PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO MARIO FEDERICI (1900 – 1975) drammaturgo Tra le personalità più insigni del teatro e della cultura abruzzese, Mario Federici nasce, secondo di sette figli, a L’Aquila il 3 giugno 1900 da Antonio, pubblico impiegato e da Giuditta Del Giudice. Diplomatosi all'istituto tecnico della sua città, si arruolò volontario nel 1917; inviato al fronte come artigliere, vi rimase per un anno. Nel giugno 1918, nell'ambito di una generale riorganizzazione dei quadri dell’esercito, fu inviato all’Accademia militare di Torino, dove seguì un breve corso per allievi ufficiali; con il grado di sottotenente tornò al fronte. Rientrò all'Aquila nel 1919 e nello stesso anno s’iscrisse alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma, dove si trasferì desideroso di uscire dal guscio della provincia. Nella capitale ebbe modo di conoscere intellettuali di rilievo, come Filippo Tommaso Marinetti e Giacomo Balla e di partecipare allo stimolante clima culturale di quegli anni. Si destò in lui l'interesse per la poesia e la letteratura ma soprattutto si avvicinò al teatro, che sarebbe poi diventata la passione dominante della sua vita. A Roma infatti il teatro viveva un momento particolarmente fecondo: venivano rappresentate opere di autori importanti, quali Luigi Pirandello, Pier Maria Rosso di San Secondo e Maurice Maeterlinck, opere che lasciarono nello spettatore Federici un segno profondo. Nel 1921 decise di abbandonare gli studi scientifici, verso i quali nutriva una sempre maggiore insofferenza, e fece ritorno all'Aquila, dove conseguì più tardi la licenza liceale per iscriversi poi alla facoltà di Giurisprudenza; contemporaneamente si iscrisse anche al locale fascio di combattimento con altri reduci che, delusi dalla esperienza bellica e dalla politica giolittiana, vedevano nel fascismo emergente un movimento più sensibile ai fermenti sociali e più consono alle loro aspettative. Ben presto però Federici, amareggiato da contrasti interni al fascio e preoccupato per il delinearsi di una struttura fortemente autoritaria e di una ideologia intrisa di violenza, ne uscì e si allontanò da ogni attività politica. Maturò quindi la scelta radicale e definitiva di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura e, in uno stato di grande fervore creativo, compose versi, scrisse numerose novelle e abbozzò i suoi primi drammi. Mario Federici (1900-1975) – Drammaturgo 1 PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO Nel gennaio 1924 si recò a Milano, con la speranza di vedere rappresentato il suo dramma “I parenti poveri”, nella prima versione atto unico, ma i suoi tentativi furono vani e Federici si rese conto di quanto fosse arduo far accettare alle compagnie teatrali un testo impegnativo che non rientrasse negli usuali schemi della commedia brillante e sofisticata. Deluso da tale esperienza rientrò all'Aquila dove sposò Maria Agamben, intellettuale illuminata, personalità di spicco in campo culturale, politico e sociale, futura Deputata all'Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana, dal 19 luglio 1946 al 31 gennaio 1948 unica donna abruzzese con Filomena Delli Castelli. Nel 1926 si trasferì con la moglie a Roma, tirando avanti con piccole collaborazioni a vari giornali: “Il Giornale d'Italia”, “La Tribuna”, “Il Mondo”. Nel frattempo i suoi contatti con il mondo del teatro si intensificarono, finché nel luglio dello stesso anno la compagnia del grande attore Gastone Monaldi mise in scena al “Manzoni” la sua “Filantropo d'eccezione”, una favola satirica sul mondo della psicanalisi, che cadde però alla prima rappresentazione. Nel 1928, il destino del drammaturgo abruzzese muta il suo corso, con “Nebbie”, di cui purtroppo è andato smarrito il copione, vinse un concorso indetto dal Governatorato di Roma; l'opera fu premiata per il coraggio civile dell'autore, impegnatosi nel delineare, attraverso il contrasto fra due generazioni, il declino dell'Italia liberale. Nel 1930 vinse il concorso nazionale indetto dal teatro “Argentina” di Roma, della giuria facevano parte Fausto Maria Martini, Luigi Almirante, Ermete Liberati e Silvio D'Amico, con “I parenti poveri”, seconda versione in tre atti, ivi rappresentata l'anno successivo, 17 aprile, per poche repliche, dalla compagnia di Maria Melato. Dal 1931 al 1937 seguì la moglie, insegnante di lettere all'estero presso gli Istituti Italiani di Cultura, ottenendo qualche collaborazione giornalistica, in particolare come corrispondente teatrale per la rivista “Scenario”. In questi anni trascorsi tra Barcellona, Il Cairo, Parigi e Vienna, Federici ampliò i propri orizzonti culturali e trasse nuovi stimoli per la sua attività di autore drammatico. Parallelamente si accentuò in lui un inaspettato senso di sradicamento e di perdita di identità culturale, ciò che costituisce il nucleo originario di quella tematica del “reduce” che tanta importanza ebbe nella sua produzione teatrale. Tale tematica è sviluppata nella trilogia, cosiddetta “della guerra”, cui appartengono “Lunga marcia di ritorno”, “Chilometri bianchi” e “Nessuno salì a bordo”. La prima, rappresentata il 24 febbraio 1936 al teatro “Eliseo” di Roma con la regia di Anton Giulio Bragaglia e Amedeo Nazzari fra gli interpreti, ebbe un notevole, anche se contrastato, successo di critica e di pubblico. Tre anni più tardi, il 18 aprile 1939, andò in scena al teatro “delle Arti” di Roma “Chilometri bianchi”. Mario Federici (1900-1975) – Drammaturgo 2 PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO Questo periodo, così fecondo e ricco di riconoscimenti per Federici, fu interrotto allorché venne richiamato alle armi nel 1939, nel 1938, dopo un breve corso, era stato promosso capitano e assegnato alla direzione generale trasporti dello stato maggiore. Dopo l'8 settembre del ’43, prese posizione contro il nazifascismo e, nel gennaio ’44, entrò a far parte della Resistenza, dedicandosi ad attività di propaganda e collegamento tra i partigiani durante l’occupazione nazista a Roma. Al termine del conflitto, decorato con la croce di guerra per l'attività partigiana, si rimise al lavoro con rinnovato entusiasmo e compose: “Nessuno salì a bordo”, opera conclusiva della trilogia del “reduce”, rappresentata al “Quirino” di Roma dalla compagnia di Tatiana Pavlova il 27 maggio 1949; “Marta la madre”, rappresentata il 10 gennaio 1953 al teatro “dei Satiri” di Roma con Wanda Capodaglio e “... ovvero il Commendatore”, con la quale vinse il premio I.D.I. Saint-Vincent nel 1954, rappresentata al teatro “S. Erasmo” di Milano dalla compagnia di Carlo Lari il 25 giugno 1954. Negli anni successivi compose per la RAI alcuni drammi, tra i quali ricordiamo: “Questa mia donna”, “La ballata dei poveri gabbati”, trasmesso il 21 ottobre 1962, “Un garofano rosso” del 1970 e “Ernesto Rossi”. Mario Federici morì a Roma il 14 novembre 1975, lasciando incompiuta la sua ultima commedia “Le piccole libertà” sul tema della libertà, intesa come fondamentale privilegio umano. Pur vivendo prevalentemente a Roma, non manca di infondere nelle sue pieces alcuni tratti salienti delle proprie origini. Federici riservava al teatro uno spazio interiore proiettando sul palcoscenico le inquietudini di una intera generazione, quella uscita dalla catastrofe della prima guerra mondiale e impossibilitata a riadattarsi alla società civile. Nasceva così il tema del “reduce” che rappresenta il vertice della sua drammaturgia. Attorno a questo motivo di fondo, svolto nella trilogia “della guerra”, si aggregavano temi che rinviavano sotterraneamente alle origini etniche dell’autore. Il dramma “Quelli di Montetreboschi”, del 1929, ad esempio, pur se proiettato in un tempo indefinito, esprime l’armonia dell’antica famiglia patriarcale in via di dissoluzione non appena si allontana il padre che ne è l’asse portante. Qui Federici, sullo sfondo di un paesaggio ove campeggia una montagna massiccia, fa rivivere il proprio attaccamento alla civiltà contadina, mentre la rappresentazione assume intensi toni lirici. Tra i pregiudizi di rito e la coreografia di una festa campagnola, tipiche concessioni all’immagine di un Abruzzo oleografico, predomina il sentimento autentico dell’unità del focolare. Questi ed altri spunti permettono il riaggancio di un autore “esule” come Federici alla sua concretezza storico-geografica, non certo per ricondurla ad un ambito più ristretto, ma per comprenderne meglio i meccanismi di fondo e l’energia che l’alimenta. Mario Federici (1900-1975) – Drammaturgo 3 PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO Parallelamente alla sua attività di autore non va dimenticata quella di infaticabile operatore teatrale: nel 1955 assunse la direzione dei gruppi teatrali dell'ENAL, Ente Nazionale Associazione Lavoratori, in seguito ricoprì la carica di segretario generale della Società italiana autori drammatici, S.I.A.D., per venti anni e, dal 1961 al 1965, fu presidente dell'Association Internationale du Théátre d'Amateur, fondata nel 1952, cui sono aggregate le più importanti federazioni nazionali di teatro amatoriale. Diresse inoltre per dieci anni la rivista “Ridotto”, aperta a tutte le tendenze teatrali. In ognuna di queste cariche il Federici portò la sua esperienza d'autore e l'entusiasmo di chi credeva profondamente nella funzione civilizzatrice del teatro in seno alla società. Le opere teatrali di Mario Federici, oltre a quelle citate si ricordano: Incontri impossibili, L'amore si acclimata, Un caso dubbio, Notte alta, E cominciò così, Oscuri pregiudizi, Il figlio sulle rovine, Canovaccio per una Galatea, Brocclinbar, Quelli di Montetreboschi, sono tutte raccolte nei due volumi di Teatro, Roma 1976-77. Si ricorda inoltre il volume di poesie “Io come un albero”, Rieti 1978, e tre racconti in Istituto di studi pirandelliani, Mario Federici, quad. n. 6: La fuga, pp. 97104; Povero di spirito, pp. 104-112; Le lettere, pp. 112-116, Roma 1983. BIBLIOGRAFIA: AA.VV., Mario Federici, nota introduttiva di Gianni Oliva, Roma, Bulzoni, 1993 Patrizia Bartoli Amici, Federici Mario, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1995, vol.45 Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Letteratura delle regioni d’Italia. Storia e Testi. Abruzzo, Brescia, La Scuola, 1986 Mario Federici (1900-1975) – Drammaturgo 4