Dedicazione della Basilica Lateranense
9 novembre
Prima Lettura Ez 47,1-2.8-9.12
Vidi l'acqua che usciva dal tempio, e a quanti giungeva
quest'acqua portò salvezza.
Dal libro del profeta Ezechiele
In quei giorni, [ un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, ]
mi condusse all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia
del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del
tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato
destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi
condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare
all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che
l’acqua scaturiva dal lato destro.
Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Àraba ed entrano nel mare: sfociate
nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi
sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto
rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non
appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal
santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».
Seconda Lettura 1 Cor 3,9c-11.16-17
Voi siete il tempio di Dio.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, voi siete edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi
vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento
diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio
distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Vangelo Gv 2,13-22
Siete tempio di Dio.
Dal vangelo secondo Giovanni
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro
dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non
fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù:
«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato
costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla
Scrittura e alla parola detta da Gesù.
1
La prima lettura (Ez 47,1-2.8-9.12) è tratta da Ezechiele (yüHezqë´l,
yüHezqë´l, «Dio dà forza». Nacque intorno al 620
a.C. figlio del sacerdote Buzi. Fu deportato in Babilonia nel 597 a.C. assieme al re Ioiachìn e si stabilì nel villaggio di
Tel Aviv sul fiume Chèbar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata alla missione di profeta. Doveva rincuorare i
Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme. Non si conosce la data della morte, ma 22 anni dopo la chiamata
profetica era ancora vivo). Secondo la visione di Ezechiele, le acque che scaturiscono dal nuovo tempio e
crescono diventando un fiume, che rende fertile il deserto e giunge a risanare il mar Morto, significano i doni
della «parola» e del «soffio» di Dio. Nella terra arida palestinese una sorgente è simbolo della potenza vivificante e della benedizione rigeneratrice di Dio: perciò nelle sue vicinanze si costruisce un santuario. Così è
per le umili sorgenti di Ghicon e Siloe a Gerusalemme. Analogamente, ma con un'abbondanza paradisiaca, la
sorgente che esce dal tempio della nuova Sion manifesta la potenza invincibile e vivificante del Signore la cui
gloria abita nel tempio. Gli scritti giovannei sfrutteranno questa immagine abbinandola al tempio definitivo
che è Gesù Cristo (cf Gv 7,37-39; 19,34; Ap 22,1-2). L'immagine di Ez 47 richiama anche la descrizione del
giardino dell'Eden, dal quale sgorgano i quattro fiumi che irrigano la terra (cf Gen 2,11-14). Nella città di Dio,
descritta al termine dell'Apocalisse, il fiume prodigioso fa crescere l'albero della vita.
Ez 47,1: [In quei giorni un uomo, il cui aspetto era come di bronzo,] mi condusse poi
all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente,
poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del
tempio, dalla parte meridionale dell’altare ([40,3: ´îš mar´ëºhû Kümar´Ë nüHöºšet, lett. «un uomo visione di
lui come visione di bronzo»] wayüšìbënî ´el-PeºtaH haBBayìt wühinnË-maºyim yöc´îm miTTaºHat mipTan haBBaºyit
qädîºmâ Kî|-pünê haBBaºyit qädîm wühammaºyim yördîm miTTaºHat miKKeºtep haBBaºyit hayümänît minneºgeb
lammizBëªH, lett. «E fece tornare me all'ingresso della casa ed ecco acque uscenti da sotto soglia della casa verso est, poiché
facciata della casa (era a) est. E acque scendenti da sotto il lato della casa destro da sud all'altare»).
- mi condusse poi all’ingresso del tempio (wayüšìbënî ´el-PeºtaH haBBayìt). Il tema del tempio, già annunziato in
Ez 40,4 e 43,6-12, rappresenta un importante messaggio rivolto al popolo di Dio. La Bayìt «casa del Signore»
rimanda a una teologia della santità e alla trascendenza di Dio; i criteri e le norme che assicurano un culto
puro diventano un modello che deve ispirare la vita di chi aderisce alla Bürît Hádäšâ «nuova alleanza» (cf Ger
31,31) con Dio. Il profeta intende offrire un messaggio di speranza derivante dalla nuova iniziativa del Signore.
yirmüyäºhû, «Geremia, "il Signore esalta"» è stato il primo ad annunciare la nuova alleanza (Ger 31,31-34), ma
Ezechiele (yüH
yüHezqë´l,
yüHezqë´l, «Dio dà forza») riprende con convinzione il tema (Ez 36,26-28; 37,21-24; 43,7-9; ecc.) per
sollecitare la conversione del popolo. Israele risiederà per sempre nella sua terra perché Dio abiterà sempre in
mezzo a loro (Ez 37,25-28). Il nuovo tempio non è solo un programma di vita, ma è anche un dono per tradurre
il programma in realtà.
- e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente (maºyim yöc´îm miTTaºHat mipTan haBBaºyit qädîºmâ).
Il personaggio celeste che ha guidato il profeta in una visita dell'edificio sacro, gli mostra in visione un ultimo
fatto rilevante che sembra lasciato volutamente alla conclusione. Al centro dell'area sacra, da sotto il grande
basamento del santuario, esattamente dalla destra (cioè dalla parte meridionale) della facciata, che guarda
verso oriente, sgorga un corso d'acqua. Siccome i cortili con i loro fabbricati sono posti su livelli digradanti,
l'acqua scende dal santuario e attraversa il cortile interno, poi quello esterno e infine scende sulla destra
dell'ingresso monumentale (Ez 47,1-2). Certamente la doppia menzione della parte destra va connessa con
l'idea semitica per cui la destra è segno di forza, protezione, onore, simbolo del bene e della superiorità, pur
tenendo conto che l'altimetria del colle su cui sorge il tempio manda naturalmente le acque verso est-sud-est,
fino all'alveo del torrente Cedron.
47,2: Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all’esterno, fino alla porta
esterna rivolta a oriente, e vidi che l’acqua scaturiva dal lato destro (wayyôcì´ënî De|rek-šaº`ar
cäpônâ wayüsiBBëºnî Deºrek Hûc ´el-šaº`ar haHûc Deºrek haPPônè qädîm wühinnË-maºyim müpaKKîm minhaKKätëp hayümänît, lett. «E fece uscire me (dalla) via della porta verso nord e fece girare me alla via esterna verso la porta
esterna alla via volta a est, ed ecco acque scaturenti dal lato destro»).
2
47,8-9: Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Araba ed
entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. 9Ogni essere vivente che si
muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove
giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà (wayyöº´mer ´ëlay
hammaºyim hä´ëºllè yôc´îm ´el-haGGülîlâ haqqadmônâ wüyärdû `al-hä|`áräbâ ûb亴û hayyäºmmâ ´elhayyäºmmâ hammû|cä´îm (wünirPü´û) [wünirPû] hammäºyim 9 wühäyâ kol-neºpeš Hayyâ ´á|šer-yišröc ´el
Kol-´ášer yäbô´ šäm naHálaºyim yi|Hyè wühäyâ haDDägâ raBBâ mü´öd Kî b亴û šäºmmâ hammaºyim
hä´ëºllè wüyërä|p´û wäHäy Köl ´ášer-yäºbô´ šäºmmâ hannäºHal, lett. «E disse a me: «Le acque queste uscenti verso il
circondario orientale, e scendono su l'Araba ed entrano nel mare: al mare uscite, e saranno sanate le acque. 9 E sarà ogni persona
viva che si muove dovunque arriverà là fiumi vivrà e sarà il pesce molto assai, poiché arrivano là le acque queste e saranno
sanate, e vivo tutto ciò che arriverà là il fiume»).
- Queste acque scorrono verso la regione orientale (hammaºyim hä´ëºllè yôc´îm ´el-haGGülîlâ haqqadmônâ). La
portata dell'acqua cresce rapidamente scorrendo verso est, per una misteriosa virtù interna di queste acque,
senza l'apporto di affluenti. Mentre l'alveo superiore del Cedron è asciutto quasi tutto l'anno, e le prime acque
vi giungono, poco abbondanti, dalla cosiddetta Fonte di Maria, posta a valle del tempio, il profeta osserva di
persona che le acque del santuario dopo circa mille metri di gli arrivano alle ginocchia, e dopo altri mille metri
sono diventate così profonde che non si possono più attraversare (Ez 47,3-5).
47,12: Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui
foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le
loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come
medicina (wü`al-hannaºHal ya`álè `al-Süpätô mizzè ûmizzè Kol-`ë|c-ma´ákäl lö´-yiBBôl `älëºhû wülö|´yiTTöm Piryô lo|Hódäšäyw yübaKKër Kî mêmäyw min-hammiqDäš hëºmmâ yô|c´îm (wühäyû) [wühäyâ] piryô
lüma|´ákäl wü`älëºhû litrûpâ, lett. «E presso il fiume salirà sulla riva di esso, da qui e da qui, ogni albero cibo, non cadrà
foglia di esso e non terminerà frutto di esso, al mese di esso matureranno, poiché acque di esso dal santuario esse uscenti. E
sarà frutto di esso come cibo e foglie di esso come risanamento»).
- I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina (wühäyâ piryô lüma|´ákäl wü`älëºhû litrûpâ). In virtù
di quest'acqua che esce dal Tempio, le due sponde si rivestono di una ricca vegetazione. Quindi la guida rivela
al profeta che le acque del santuario sono anche medicinali, perché raggiungendo il mar Morto annullano le
conseguenze del sale concentrato in esso. La valle di Sodoma e Gomorra, maledetta a causa dei peccati dei
suoi abitanti (Gn 19; Sap 10,7-8; cf Dt 29,22; Sof 2,9), viene redenta in maniera prodigiosa: il mar Morto
abbonderà di pesci come il Mediterraneo, pur mantenendo in certe zone la propria salsedine in quanto può
servire all'uomo; le sue rive non saranno semplicemente risanate, ma diventeranno talmente fertili che gli
alberi saranno produttivi ogni mese dell'anno, dando frutti per nutrimento e foglie per medicina (Ez 47,612). Secondo Ez 11,19-20; 36,26-28, il dono di lëb Hädäš «un cuore nuovo» e rûªH Hádäšâ «uno spirito nuovo»
trasformerà gli uomini fino a sperimentare una vera conversione che li porta alla vita (cf Ez 18,30-32). In Zc
12,10 Dio verserà sui giudei rûªH Hën wütaºHánûnîºm «uno spirito di grazia e di consolazione». Benché il senso di
questi termini non risulti strettamente precisato, il contesto fa capire che esprimono un orientamento nuovo di
tutta la persona, che abbandona ormai la durezza egoistica del peccatore. L'acqua che purifica ricorre in tre
passi caratteristici dell'AT associata con l'azione dello «spirito» di Dio.
Ez 36,26: wünätaTTî läkem lëb Hädäš würûªH Hádäšâ ´eTTën BüqirBükem wahásìºrötî ´et´et-lëb hä´eºben miBBüSarkem
wünätaTTî läkem lëb BäSär, «vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il
cuore di pietra e vi darò un cuore di carne»
Sal 51,12: lëb †ähôr Bürä´Bürä´-lî ´élöhîm würûªH näkôn HaDDëš BüqirBî, «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in
me uno spirito saldo»
Zac 12,10a: wüšäpakTî `al`al-Bêt Däwîd wü`al yôšëb yürûšälaºim rûªH Hën wütaºHánûnîºm wühiBBû ´ëlay ´ët
´ët ´ášer´ášerDäqäºrû, «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di
consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto».
3
La conversione è concepita come un'azione che agisce nell'intimo, opera di Dio che chiede all'uomo
solamente di collaborare con la fede e la preghiera.
La ricchezza e varietà del simbolo dell'acqua. L'acqua come base indispensabile della vita
fisica serve da immagine sotto vari aspetti. Quella che irriga il terreno e sviluppa la vegetazione perché dia i
suoi frutti, serve a descrivere non soltanto le cure del Signore per l'efficienza spirituale del suo popolo (Is 27,23; Ez 34,26-27), ma anche la missione salvifica in mezzo ai pagani (Mi 5,6). Nelle profezie sul nuovo esodo, il
dono dell'acqua che rinnova il prodigio di Mosè, dissetando il popolo nel suo cammino per il deserto,
rappresenta i beni della salvezza messianica (Is 35,6-7; 41,17-20; 43,18-20; ecc.). Nel Sal 36,8-10: «Quanto è
prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, 9 si saziano dell’abbondanza della tua casa: tu
li disseti al torrente delle tue delizie. 10 È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» Dio è colui che
protegge, nutre, disseta, colmando l'uomo di soddisfazione; egli è la sorgente della vita e della luce. Is 55,1:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza
denaro, senza pagare, vino e latte» arricchisce l'espressività dell'acqua inserendola in un lauto banchetto (cf Is
25,6).
Più tardi, nelle riflessioni del Siracide (verso il 180 a.C.), è la sapienza che viene presentata sotto le
immagini del pane e dell'acqua, come ristoro graditissimo per quelli che temono il Signore (cf Sir 15,3;
24,21). La sapienza si trova esposta nella Toràh, il libro dell'insegnamento divino, dal quale si riversa in
abbondanza, come dai grandi fiumi portatori di fecondità.
Tutto questo è il libro dell’alleanza del Dio altissimo, la legge che Mosè ci ha prescritto, eredità per le assemblee
di Giacobbe. 24Non cessate di rafforzarvi nel Signore, aderite a lui perché vi dia vigore. Il Signore onnipotente è
l’unico Dio e non c’è altro salvatore al di fuori di lui. 25Essa trabocca di sapienza come il Pison e come il Tigri
nella stagione delle primizie, 26effonde intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura
(Sir 24,23-26).
L'acqua simbolo della salvezza. L'immagine dell'acqua nell'AT serve a descrivere l'azione salvifica di
Dio. Come la morte è venuta dal rifiuto della parola divina (Gn 2-3), così la vita non si ottiene se non
accogliendo la Parola, che Dio propone di nuovo agli uomini (Gn 12; Es 3; 20). Poiché la debolezza umana è
congenita, Dio lo rafforza col suo «spirito» e la sua Parola.
Verrà allora il Signore, mio Dio, e con lui tutti i suoi santi. 6In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo:
un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce. 8In
quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso
il mare occidentale: ve ne saranno sempre, estate e inverno. 9Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il
Signore sarà unico e unico il suo nome (Zac (14,5b-9).
7sarà
Secondo Zaccaria (zükaryâ,
zükaryâ, «Dio si è ricordato»), l'epoca finale di Gerusalemme presenterà i caratteri di
un paradiso terrestre, animato dalla presenza di Dio e dei suoi santi, e mentre la luce del giorno sarà
continua, senza più l'alternanza con la notte (cf Is 60,1-3), dalla città sgorgheranno «acque vive» perenni, che
scenderanno a irrigare il paese in direzione sia d'oriente che d'occidente (cf Is 30,25-26).
Anche Gioele (yô´ël
yô´ël «Adonay è Dio») parla di un'abbondanza di acque in tutta la Giudea e di una
sorgente che nasce dal tempio: «In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo e latte scorrerà per le colline; in
tutti i ruscelli di Giuda scorreranno le acque. Una fonte zampillerà dalla casa del Signore e irrigherà la valle di Sittìm»
(4,18). I due profeti confermano e sviluppano la prospettiva di Ezechiele (47,12), che annunzia una produttività
continua sulle sponde risanate del fiume (cf Am 9,13). La potenza vivificante del Signore non riporterà il
mondo semplicemente nelle condizioni primitive (Gn 2,9-14), distruggendo tutto il regno del peccato, ma lo
trasformerà in un mondo più perfetto, caratterizzato da una nuova comunione dell'uomo con Dio, in cui i
valori della luce e della vita giungeranno alla massima realizzazione.
Oggi l'azione divina è per lo più nascosta. Ezechiele non ha visto lo splendore della vegetazione che le
acque del tempio alimentavano sulle rive del mar Morto: lo ha conosciuto dalla sua guida celeste, prestando
4
fede alla sua parola (Ez 47,8-12). Soltanto alla fine il Dio d'Israele sarà riconosciuto come l'unico vero sovrano
dell'universo: Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome (Zc 14,9).
Il fiume di Ezechiele nasce dal tempio, cioè dalla «casa del Signore»; dunque viene da Dio. Ma qual è
il significato vero del tempio?
Davide decise di costruire una casa per il Signore, ma il profeta Natan gli riferisce:
5Così
dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? … 8Ora dunque dirai al mio servo
Davide: Così dice il Signore degli eserciti: …11 Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. 12Quando i tuoi
giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle
tue viscere, e renderò stabile il suo regno. 13Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del
suo regno per sempre. 14Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio (2Sam 7,5-14).
Salomone riconobbe che l'abitazione di Dio non si poteva restringere al tempio materiale (1Re 8,27). Is
66,1-2 dichiara impossibile offrire al Signore una casa, ma solo chi lo ascolta può attirare il suo sguardo. Lo
stesso discorso di Ez 40-43 sottintende che il tempio vaticinato dai profeti non è quello di pietra e appartiene a
un futuro ancora lontano. Secondo Zc 6,12-13 la ricostruzione vera del tempio sarà opera del Messia.
Luca proclama che l'eternità del regno di Davide si adempie nel figlio della vergine Maria (Lc 1,3033), mentre Gesù afferma velatamente che il tempio di Dio è lui stesso (Gv 2,19-21). San Paolo spiegherà che
«È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). Il fiume salutare che sgorga dal Tempio
va riconosciuto nell'acqua che esce dal costato trafitto di Cristo (Gv 19,33-35).
Durante la festa delle capanne:
37Nell’ultimo
giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e
beva 38chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». 39Questo egli
disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Gv 7,37-39).
A Nicodemo Gesù dichiara: ἐὰν μή τις γεννηθῇ ἐξ ὕδατος καὶ πνεύματος οὐ δύναται εἰσελθεῖν
εἰς τὴν βασιλείαν τοῦ θεοῦ, «se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
Alla samaritana Gesù offre ὕδωρ ζῶν «acqua viva» (Gv 4,10-14).
Durante il discorso sul pane di vita fatto nella sinagoga di Cafarnao Gesù dichiara: ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος
τῆς ζωῆς ὁ ἐρχόμενος πρός ἐμὲ οὐ μὴ πεινάσῃ, καὶ ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ οὐ μὴ διψήσει πώποτε, «Io sono
il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,35). Gesù, Parola eterna del
Padre, si presenta come τὸ φῶς τὸ ἀληθινόν, ὃ φωτίζει πάντα ἄνθρωπον, «la luce vera che illumina ogni
uomo» (Gv 1,9) e come ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια καὶ ἡ ζωή, «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Insieme con la Parola rivelatrice, l'immagine biblica dell'acqua si riferisce anche allo «Spirito santo»,
«che è Signore e dà la vita» (concilio Costantinopolitano I, 381 d.C) e che «procede dal Padre attraverso il
Figlio» (concilio di Firenze, decreto per i greci, 1431). Egli è mandato a noi come frutto della morte e
risurrezione di Gesù (Gv 7,39; 16,7; 19,34-37), induce i peccatori a guardare verso il pastore divino che hanno
ripudiato e crocifisso, e agendo nei sacramenti della chiesa li conduce alla medesima risurrezione (Gv 3,5-6;
20,22-23; Rm 8,11). Egli viene ad abitare in noi per comunicarci la parola del Maestro (Gv 14,16-17; 14,25-26;
16,12-15) e rende anche noi figli di Dio mettendoci in comunicazione con il Padre (Rm 8,14-17; 8,26-27). Egli è
l'Amore divino che si riversa nei nostri cuori con la sua infinita potenza, per generare in noi la carità e
diventare la legge e la forza del credente (Rm 5,5; 8,2-4), onde produciamo in abbondanza ciò che san Paolo
chiama ὁ καρπὸς τοῦ πνεύματός «il frutto dello Spirito» (Gal 5,22; cf 1Cor 13,4-7).
Il quadro finale dell'Apocalisse compendia la storia della salvezza tramite una visione: Καὶ ἔδειξέν μοι
ποταμὸν ὕδατος ζωῆς λαμπρὸν ὡς κρύσταλλον ἐκπορευόμενον ἐκ τοῦ θρόνου τοῦ θεοῦ καὶ τοῦ
ἀρνίου, «E mi mostrò poi un fiume d'acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello».
5
Nella seconda lettura (1Cor 3,9c-11.16-17) Paolo ci ricorda che la comunità cristiana è come un
santuario che si distingue dal mondo profano. Lo Spirito Santo la mantiene unita e salda, mentre le divisioni
che la disgregano derivano dal Sä†än, Satàn. Chi si rende responsabile di un simile disastro sarà trattato dal
Signore con estrema severità: φθερεῖ τοῦτον ὁ θεός «Dio distruggerà lui» (v. 17). È l'immagine tradizionale del
giudizio finale che serviva, nel linguaggio rabbinico, non a descrivere ciò che accadrà alla fine, ma a mettere in
risalto l'estrema gravità di un'azione.
1Cor 3,9b: [Fratelli] voi siete campo di Dio, edificio di Dio (θεοῦ γεώργιον, θεοῦ οἰκοδομή ἐστε).
- voi siete campo di Dio (θεοῦ γεώργιον … ἐστε). La similitudine agricola della comunità cristiana come
«campo di Dio» mette in rilievo l'origine divina e il primato dell'azione di Dio. In vista della maturazione
spirituale dei fedeli, i ministri sono necessari; perciò Dio (come già con gli antichi profeti, cf Ger 1,10; 31,28) ha
affidato loro l'incarico di guide (cf 1Cor 9,16-17). Tuttavia, i ministri non hanno la capacità di far crescere i
semi. Solo Dio ce l'ha. Sicuramente, i ministri svolgono nella Chiesa compiti differenti, come nel caso della
comunità cristiana di Corinto: un conto è stato il ruolo di Paolo, suo fondatore; un altro, quello di Apollo, che
gli è succeduto come predicatore. Ma, attraverso le attività di entrambi, è sempre e solo il Signore che ha fatto
maturare i credenti (vv. 6-7). Per quanto semplice, l'immagine agricola è in grado di purificare nei ministri
qualsiasi tentazione di protagonismo ecclesiastico: i missionari che annunciano il Vangelo e che fondano le
comunità cristiane, ma anche i ministri che poi le dirigono non devono legare a sé i fedeli, ma devono
condurli a Cristo. In quanto συνεργοὶ θεοῦ «collaboratori di Dio» (v. 9; cf 2Cor 5,1-4; 1Ts 3,2; 3Gv 8), non
possono cedere alla tentazione di considerare gli altri ministri come rivali, né accettare che logiche
concorrenziali si scatenino all'interno della Chiesa. Essa non è riducibile a loro proprietà personale; è il
campo di Dio. Anzi, non è solo il campo in cui Dio ha operato come il vignaiolo nella sua vigna (cf Is 5,1-7), ma
è la stessa dimora di Dio tra gli uomini.
3,10: Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il
fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce
(Κατὰ τὴν χάριν τοῦ θεοῦ τὴν δοθεῖσαν μοι ὡς σοφὸς ἀρχιτέκτων θεμέλιον ἔθηκα, ἄλλος δὲ ἐποικοδομεῖ.
ἕκαστος δὲ βλεπέτω πῶς ἐποικοδομεῖ).
- come un saggio architetto io ho posto il fondamento (ὡς σοφὸς ἀρχιτέκτων θεμέλιον ἔθηκα). Anche la
similitudine edile era utilizzata nella tradizione anticotestamentaria (cf Nm 12,7; Os 9,15), che definiva il
popolo d'Israele Bêt yiSrä´ël «casa d'Israele» (Rut 4,11 ; Is 5,7; Ez 39,29) o bêt ya`áqöb «casa di Giacobbe» (Es 19,3),
alludendo alla scelta di Dio d'abitare in mezzo ai suoi fedeli. Rispetto alla similitudine agricola, quella edile si
colora di un aspetto ulteriore perché θεοῦ οἰκοδομή, l'«edificio di Dio» (v. 9) è il ναὸς θεοῦ «tempio di Dio»
(vv. 16-17). Perciò, in primo luogo, Paolo può ribadire, per mezzo di questa similitudine, la centralità di Cristo
nella vita ecclesiale: ogni edificio, sacro o profano che sia, ha delle fondamenta; analogamente, la Chiesa ha
come suo unico fondamento Cristo (v. 11). Il richiamo di Gesù a costruire sulla roccia vale anche per la Chiesa
(cf Mt 7,24-27; Lc 6,47-49).
- ciascuno stia attento a come costruisce (ἕκαστος δὲ βλεπέτω πῶς ἐποικοδομεῖ). All'interno del paragone edile
della comunità cristiana come una specie di cantiere sempre aperto in vista della costruzione di un edificio di
Dio nella storia, Paolo focalizza l'attenzione sul compito architettonico dei missionari. Sostiene così che ci
sono due tipi di costruttori di comunità cristiane. Il primo, che si comporta come un architetto esperto, fonda
la vita di una Chiesa su Cristo (v. 10b). E Paolo dichiara di aver agito proprio così a Corinto, anche se ammette
di aver ricevuto da Dio una grazia particolare per comportarsi così (v. 10a). Altri poi, come Apollo, hanno
completato l'opera.
3,11-13: Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è
Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre
preziose, legno, fieno, paglia, 13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la
farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di
ciascuno (θεμέλιον γὰρ ἄλλον οὐδεὶς δύναται θεῖναι παρὰ τὸν κείμενον, ὅς ἐστιν Ἰησοῦς Χριστός. 12εἰ δέ
τις ἐποικοδομεῖ ἐπὶ τὸν θεμέλιον χρυσίον, αργύριον, λίθους τιμίους, ξύλα, χόρτον καλάμην, 13ἑκάστου τὸ
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ἔργον φανερὸν γενήσεται, ἡ γὰρ ἡμέρα δηλώσει, ὅτι ἐν πυρὶ ἀποκαλύπτεται• καὶ ἑκάστου τὸ ἔργον
ὁποῖον ἐστιν τὸ πῦρ αὐτὸ δοκιμάσει).
- nessuno può porre un fondamento diverso da … Gesù Cristo (θεμέλιον γὰρ ἄλλον οὐδεὶς δύναται θεῖναι … ὅς
ἐστιν Ἰησοῦς Χριστός). Il secondo tipo di ministro tenta di edificare la Chiesa su un fondamento diverso da
Cristo o con materiali scadenti come il fieno o la paglia (v. 12), cioè pervertendo il Vangelo e finendo per
distruggere la stessa comunità cristiana.
- il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno (ἑκάστου τὸ ἔργον ὁποῖον ἐστιν τὸ πῦρ αὐτὸ δοκιμάσει). La
rovina della comunità è qui espressa nei termini dell'attuazione del giudizio di Dio, immaginato come un
fuoco che divora una casa diroccata (v. 13). Ricorrendo a un simbolo caro agli antichi profeti (cf Is 1,25; Ger
6,29-30; Ml 3,2-3), Paolo spinge i Corinzi a immaginare il fuoco della fine dei tempi: al ritorno glorioso di Cristo
risorto (cf 1Cor 1,7-8; cf Fil 1,6.10), esso purificherà ciò che di prezioso delle attività personali ed ecclesiali dovrà
rimanere per sempre al cospetto di Dio, da tutte le scorie che invece saranno annientate (cf 2Cor 5,10). È
evidente la preoccupazione di Paolo. Non gli interessa salvaguardare le proprie prerogative di padre fondatore
della Chiesa corinzia. Ciò che gli preme è evitare che la comunità, lacerata da contese e gelosie (cf 3,3), non si
fondi più sulla «pietra angolare» di Cristo (cf Mc 12,10-11; At 4,11; 1Pt 2,6-7). Non stringendosi a lui, le λίθοι
ζῶντες «pietre viventi» (1Pt 2,4-5) dell'intero θεοῦ οἰκοδομή «edificio di Dio» ben presto si disgregheranno.
3,14-15: Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una
ricompensa. 15Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si
salverà, però quasi passando attraverso il fuoco (εἴ τινος τὸ ἔργον μενεῖ ὃ ἐποικοδόμησεν, μισθὸν
λήμψεται• 15εἴ τινος τὸ ἔργον κατακαήσεται, ζημιωθήσεται, αὐτὸς δὲ σωθήσεται, οὕτως δὲ ὡς διὰ πυρός).
- Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà (εἴ τινος τὸ ἔργον μενεῖ ὃ ἐποικοδόμησεν). Quanto poi ai
missionari che, sopraggiunti dopo la fondazione di una Chiesa, continuano a edificarla, Paolo avverte che è
importante il tipo di materiale con cui lo fanno. Nel giorno del giudizio finale (v. 13), alla prova del fuoco
dell'amore divino apparirà inequivocabilmente il valore dell'operato dei ministri della Chiesa: alcuni
riceveranno una ricompensa divina per aver fondato la comunità su Cristo e averla fatta maturare mediante
una saggia cura pastorale (v. 14). Per altri, invece, sarà come scampare all'incendio di un edificio (v. 15), perché,
pur avendo lavorato per Cristo e per la sua Chiesa, non l'hanno costruita in modo giusto, per cui è crollato
tutto.
1Cor 3,16-17: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17Se uno
distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi
(Οὐκ οἴδατε ὅτι ναὸς θεοῦ ἐστε καὶ τὸ πνεῦμα τοῦ θεοῦ ἐν ὑμῖν οἰκεῖ; 17εἴ τις τὸν ναὸν τοῦ θεοῦ φθείρει,
φθερεῖ τοῦτον ὁ θεός• ὁ γὰρ ναὸς τοῦ θεοῦ ἅγιος ἐστιν, οἵτινες ἐστε ὑμεῖς).
- Dio distruggerà lui (φθερεῖ τοῦτον ὁ θεός). Il futuro indicativo φθερεῖ (da φθείρω, «distruggo, travio,
corrompo, danneggio») è attestato dalla gran parte dei testimoni, vale a dire: papiro Chester Beatty II (P46),
codici Sinaitico (‫)א‬, Alessandrino (A), Vaticano (B), Efrem riscritto (C), della Laura del monte Athos (Ψ),
numerosi minuscoli greci, il testo bizantino e la maggior parte dei lezionari nel Synaxarion e nel Menologion, vari
manoscritti dell'Itala, la Vulgata, la versione copta saidica e boairica, la versione armena, nonché diversi Padri
della Chiesa. Meno probabile è il presente indicativo φθείρει, «distrugge», che, influenzato verosimilmente dal
medesimo termine della prima parte del versetto, è riportato in alcuni testimoni, soprattutto della tradizione
occidentale. Dunque la prospettiva è escatologica.
- santo è il tempio di Dio, che siete voi (ὁ γὰρ ναὸς τοῦ θεοῦ ἅγιος ἐστιν, οἵτινες ἐστε ὑμεῖς). Paolo applica la
similitudine del tempio alla comunità cristiana di Corinto. Egli interpella i destinatari con un interrogativo che,
pur ispirandosi al modello della diatriba stoica, fa appello alla loro coscienza di credenti. Essi sanno o
dovrebbero sapere che sono ὁ ναὸς τοῦ θεοῦ, «il tempio di Dio» perché in essi abita lo Spirito Santo.
L'identificazione della comunità corinzia con il tempio di Dio è simmetrica all'appellativo iniziale di «chiesa di
Dio» (1,2). La presenza permanente dello Spirito consacra la Chiesa come dimora o santuario di Dio. Questa
idea affonda le sue radici in alcuni testi profetici e trova un'eco nel NT e nei documenti di Qumràn (Ez 36,27;
37,27-28; cf 2Cor 6,16; Ef 2,20; 1Pt 2,5; 1QS 8,7-8; 9,6; 11,8; 1QH6,26-27). Nel seguito della lettera Paolo rimanda
a questa presenza spirituale di Dio nel singolo credente per definirne lo statuto e l'identità (6,19).
All'interrogativo che richiama l'attenzione dei corinzi sullo statuto santo della comunità cristiana Paolo fa
seguire una risposta-dichiarazione costruita secondo lo stile delle leggi del diritto sacro.
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Chi distrugge il santuario di Dio, che è la comunità cristiana, è reo di una grave profanazione che lo espone
alla rovina escatologica.
Il vangelo (Gv 2,13-22) ci propone il secondo σημεῖον, sēmeĩon «segno» che consiste nella purificazione
del tempio, narrato dai Sinottici alla fine del ministero di Gesù (Mc 11,15-17), mentre per il Quarto Vangelo
(QV) è uno dei primi interventi pubblici della sua attività. Dopo il segno di Cana e il ritiro a Cafarnao con i
primi discepoli, Gesù sale a Gerusalemme dove continua a rivelare la sua gloria proprio in occasione di PeºsaH,
aH,
«Pasqua». Alla stessa festa si farà riferimento in Gv 4,45.
Gv 2,13: Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme (Καὶ ἐγγὺς ἦν
τὸ πάσχα τῶν Ἰουδαίων, καὶ ἀνέβη εἰς Ἱεροσόλυμα ὁ Ἰησοῦς).
- Si avvicinava era la Pasqua dei Giudei (Καὶ ἐγγὺς ἦν τὸ πάσχα τῶν Ἰουδαίων, lett. «Ed era prossima la pasqua dei
Giudei»). In questa traduzione letterale, notiamo che la frase inizia con la congiunzione Καὶ «e» non tradotta in
italiano. Ma la congiunzione evidentemente vuole collegare quanto sta per accadere a Gerusalemme a ciò che è
già accaduto a Cana di Galilea, dove Gesù, trasformando l'acqua in vino, aveva manifestato la sua δόξα
«gloria» di Sposo messianico. Le due scene hanno vari punti in comune. Entrambe raccontano una transizione:
le giare sono vuote; il tempio è svuotato. Il legame con la Pasqua è sottolineato nel primo racconto: «il terzo
giorno, egli manifestò la sua gloria», nel secondo: «il tempo di Pasqua», «in tre giorni lo rialzerò» (Gv 2,19),
«quando poi fu rialzato dai morti» (Gv 2,22);
- la Pasqua dei Giudei (τὸ πάσχα τῶν Ἰουδαίων). L'espressione «la Pasqua dei Giudei» è riportata nei due
versetti che fanno da cornice all'azione (2,13.23). Questa formula ritorna in Gv 6,4; 11,55 e in Gv 7,2 per la festa
di Sukkot «Capanne». Essa, ripresa tre volte nel vangelo, conferma la solidità delle informazioni di
Giovanni. Queste tre pasque corrispondono ai due anni e mezzo della vita pubblica di Gesù. Mettere in
parallelo le feste ebraiche con i fatti che marcavano le azioni di Gesù mostra che, nella sua persona, le feste
bibliche assumono un altro significato. Solo Gesù è menzionato, qui e nella scena dei venditori scacciati. I
discepoli sono presenti, testimoni silenziosi, e riappaiono solo alla fine in un atto di rilettura postpasquale.
Non può essere un caso che Gesù offra il suo secondo σημεῖον, sēmeĩon «segno», connesso alla sua nuzialità
messianica, proprio in occasione della Pasqua ebraica. Infatti presto annuncerà, in maniera velata, la sua
Pasqua di morte e di risurrezione. Tra la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana infatti esiste un nesso profondo,
che illustra il mistero dell'Amore divino.
- e Gesù salì a Gerusalemme (καὶ ἀνέβη εἰς Ἱεροσόλυμα ὁ Ἰησοῦς). È difficile stabilire con certezza il tempo e
le circostanze esatte di questo evento nella vita di Gesù. Molto probabilmente il viaggio ha avuto luogo verso la
fine della sua missione ed è stato uno dei motivi che ha portato alla decisione di ucciderlo, come documentato
dai Sinottici (Mt 21,12-13.17; Mc 11,15-17; Lc 19,45-48). Il Quarto Vangelo, invece, preferisce collocare l'episodio
all'inizio della vita pubblica di Gesù come un'introduzione letteraria al tema dei conflitti che
caratterizzeranno i rapporti tra Gesù e «i Giudei». L'uso del verbo ἀναβαίνω, anabaínō, «salgo» (a
Gerusalemme), si riferisce alla posizione della città situata in collina (800 slm). Il verbo è usato anche come
termine tecnico per indicare il pellegrinaggio al Tempio. Questa è la prima «salita» di Gesù a Gerusalemme.
2,14: Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i
cambiamonete (καὶ εὗρεν ἐν τῷ ἱερῷ τοὺς πωλοῦντας βόας καὶ πρόβατα καὶ περιστερὰς καὶ τοὺς
κερματιστὰς καθημένους).
- nel Tempio (εὗρεν ἐν τῷ ἱερῷ). I mercanti erano istallati nel heHäcër haGôyìm
haGôyìm «cortile dei gentili» (in greco
ἱερόν, οῦ, τό, hierón, «tempio») e non all'interno del tempio.
Distinguiamo tra ἱερόν, οῦ, τό «santuario» (10 occorrenze in Gv) e ναός, οῦ, ὁ «tempio» (3x in Gv),
intendendo col primo termine tutto il complesso sacro, con i portici, le recinzioni e i vari cortili, ovvero lo
spazio attorno al tempio nel suo insieme; mentre con «tempio» (ναός) l'edificio al centro del terzo recinto,
che conteneva il «Santo dei Santi». La distinzione è evidente non solo nel NT (Gesù, non essendo di stirpe
sacerdotale, in Mt 21,12 entrerà nel «santuario» (ἱερόν), ma non nel «tempio» (ναός) riservato ai sommi
sacerdoti, e dove si trova il velo che si squarcia alla sua morte, 27,51), ma è chiara anche nella Settanta e
per Giuseppe Flavio (37-100 d.C.). Né la versione CEI né la Vulgata o altre traduzioni antiche fanno
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questa distinzione, e confondono il tempio vero e proprio con lo spazio più ampio che lo contiene (l'eccezione è in 23,35 dove CEI rende: Zaccaria che avete ucciso tra il santuario [ναός] e l'altare). La distinzione però
diventa rilevante anche teologicamente, soprattutto nel quarto vangelo, dove il corpo di Gesù è
paragonato al ναός e non allo ἱερόν (cf Gv 2,21). Pertanto è importante distinguere i due termini, come già
riconosciuti nella traduzione latina della Guerra Giudaica di Rufino di Aquileia (340-410, monaco, storico e
teologo cristiano), nella quale ἱερόν è reso con fanum, «recinto sacro», mentre ναός con templum, «tempio»
(cf Guerra Giudaica 1, prologo, 10 § 25).
I pellegrini, giunti dal mondo intero, avevano bisogno di cambiare il loro denaro per offrire gli animali in
sacrificio. Gesù, da profeta geloso dei diritti di Dio, pensa che ciò profani il tempio stesso. Salomone, nella
sua lunga preghiera di dedicazione del tempio, sottolinea la vocazione particolare di questo luogo santo in
rapporto ai pagani che potevano recarvisi:
«41Anche lo straniero, che non è del tuo popolo Israele, se viene da una terra lontana a causa del tuo nome,
42perché si sentirà parlare del tuo grande nome, della tua mano potente e del tuo braccio teso, se egli viene a
pregare in questo tempio, 43tu ascolta nel cielo, luogo della tua dimora, e fa’ tutto quello per cui ti avrà invocato
lo straniero, perché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome, ti temano come il tuo popolo Israele e
sappiano che il tuo nome è stato invocato su questo tempio che io ho costruito» (1Re 8,41-43).
Lo spazio sacro deve essere quindi degno del «nome del Signore». Rappresentato dal tempio, esso comporta
una dimensione universale:
bêtî BêtBêt-Tüpillâ yiqqärë´ lükollükol-hä`ammîm,
hä`ammîm, «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli» (Is
56,7).
I profeti denunceranno infaticabilmente le numerose violazioni contro il tempio di Dio. Per mezzo della bocca
del profeta Geremia, Dio denuncia:
«10Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: “Siamo
salvi!”, e poi continuate a compiere tutti questi abomini. 11Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul
quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! Oracolo del Signore» (Ger 7,10-11).
Gesù purificando il tempio segnala che gli ultimi tempi sono cominciati.
Giuseppe Flavio (37-100 d.C.) riferisce che il generale Pompeo, nel 63 a.C., aveva violato il divieto di entrare
nel qöºdeš haqqódäšîm «santo dei santi», dove anticamente era custodita l'Arca dell'Alleanza. Il generale romano
fu sorpreso di trovarvi soltanto uno spazio totalmente vuoto. Svuotando il tempio di tutto ciò che lo
ingombrava, Gesù ripristina il vero uso dei luoghi santi: degli spazi in cui l'uomo, nella nudità e nel
silenzio, incontra il mistero di Dio.
2,15: Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i
buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, (καὶ ποιήσας φραγέλλιον
ἐκ σχοινίων πάντας ἐξέβαλεν ἐκ τοῦ ἱεροῦ τά τε πρόβατα καὶ τοὺς βόας, καὶ τῶν κολλυβιστῶν ἐξέχεεν τὰ
/ τὸ κέρματα / κέρμα καὶ τὰς τραπέζας ἀνέτρεψεν)
- e scacciò tutti (πάντας ἐξέβαλεν). Secondo la maggior parte dei commentatori, πάντα, pánta «tutti»
comprende anche tutti gli esseri umani associati al commercio degli animali e al cambio delle monete oltre agli
animali stessi. L'intervento di Gesù è simile ai gesti dei profeti che si servivano di essi per trasmettere meglio
ciò che Dio vuole comunicare. Il gesto di Gesù in Giovanni ha maggiore ampiezza rispetto ai Sinottici:
fabbricazione della frusta, presenza dei buoi e delle pecore nel tempio. Lungo il Cedron o sul monte degli Ulivi
c'era un mercato di animali per i sacrifici, organizzato dal sinedrio. Per far loro concorrenza, Caifa aveva aperto
un mercato sul cortile del tempio. Di fronte a tale profanazione, Gesù protesta.
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2,16: e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del
Padre mio un mercato!» (καὶ τοῖς τὰς περιστερὰς πωλοῦσιν εἶπεν• ἄρατε ταῦτα ἐντεῦθεν, μὴ ποιεῖτε
τὸν οἶκον τοῦ πατρός μου οἶκον ἐμπορίου).
- e ai venditori di colombe disse (καὶ τοῖς τὰς περιστερὰς πωλοῦσιν εἶπεν). Gesù qui si rivolge a due gruppi
diversi. Prima parla ai venditori di colombe; poi a un gruppo più ampio di ascoltatori non identificati,
intimando loro di non fare del Tempio un mercato. Questa interpretazione è richiesta dall'entrata in scena dei
Giudei nel v. 18, i quali chiedono un segno che dimostri il diritto di Gesù di comportarsi in quel modo. Essi
sono stati sempre presenti, anche se nei vv. 14-16 non vengono nominati.
- non fate della casa del Padre mio un mercato! (μὴ ποιεῖτε τὸν οἶκον τοῦ πατρός μου οἶκον ἐμπορίου). A
partire da Salomone, vi era la convinzione che Dio, la cui dimora è nel cielo, avesse fissato la dimora del suo
Nome nel Tempio (1Re 8,18-49). La kabbalà (tradizione mistica ebraica) successivamente ha parlato della
Shekinà «Presenza» materna di Dio, compassionevole e premuroso, in mezzo al suo popolo. La parola di Gesù
non è direttamente una citazione della Scrittura, ma evoca Zc 14,21: wülö´wülö´-yihyè küna`ánî `ôd BübêtBübêtyhwh(´ädönäy) cübä´ôt
cübä´ôt Bayyôm hahû´,
hahû´, lett. «E non ci sarà cananeo ancora in casa del Signore degli eserciti nel giorno
quello»; CEI: «In quel giorno non vi sarà più un mercante nella casa del Signore degli eserciti».
Tale denuncia di Gesù differisce dalla versione sinottica, secondo la quale il Maestro si adira perché BêtBêt-Tüpillâ
«la casa della preghiera» (Is 56,7) era stata ridotta a un covo di ladri: ὑμεῖς δὲ πεποιήκατε αὐτὸν σπήλαιον
λῃστῶν, «Voi invece ne avete fatto un covo di ladri» (Mc 11,17; cf Ger 7,11: mü`ärat Pärìcîm).
Pärìcîm Se nei Sinottici le
parole di Gesù esortano i mercanti a una maggiore onestà, nel QV esse decretano l'assoluta inconciliabilità tra
culto e commercio, tra Tempio e affari. In entrambi i casi non è possibile sostenere che Gesù si sia schierato
contro il Tempio, definito «casa del Padre mio», per decretarne la definitiva e radicale illegittimità come luogo
della presenza e dell'incontro con Dio. In linea con la più antica tradizione profetica e la più genuina
spiritualità ebraica (Sal 24,3-5; m. Berachot 9,5; b. Berachot 62b) egli si schiera e si slancia contro il mercimonio
di cui può esser fatto oggetto anche il luogo più sacro.
Nella predicazione profetica sono frequenti aspre e severe critiche nei confronti del Tempio e degli abusi
connessi al culto (cf Is 1,10-20; Ger 7,11; Os 4,4-6). Fra le molteplici aspettative dell'attesa escatologica giudaica
rientra anche la riforma del culto e il suo ritorno alla genuinità originaria. A partire dall'esilio si era fatta
strada l'idea di un tempio nuovo, ideale e non contaminato (Ez 40-46; Tb 13,10; 14,5; cf 5Q15; 1QS 5,5-6).
Proprio a Qumran, nel Rotolo del Tempio si parla di questo miqDäš escatologico. Il NT, in linea con queste attese,
prospetta la sostituzione del tempio materiale con un tempio di genere totalmente diverso (Eb 9,11-14,24; Ap
5,6-14; 7,15; 21,22). Secondo Mal 3,1-4, il messaggero verrà a preparare la via per l'improvvisa venuta del
Signore nel Tempio con la purificazione dei suoi sacerdoti e del culto. La sferza (φραγέλλιον, ου, τό)
adoperata da Gesù potrebbe rievocare la tradizione del flagello del Messia di cui si trova traccia anche nella
letteratura rabbinica (Mekilta Esodo 16,25; 16,29; m. Sanhedrin 98b,4; cf 2Ts 2,8; Ap 19,15). L'azione dimostrativa
di Gesù non è rivolta, perciò, solo contro gli abusi di natura commerciale che avevano luogo nei recinti del
Tempio, ma lascia presagire una nuova forma di culto «in spirito e in verità» (4,23).
2,17: I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà
(ἐμνήσθησαν οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ ὅτι γεγραμμένον ἐστίν• ὁ ζῆλος τοῦ οἴκου σου καταφάγεταί με).
- I suoi discepoli si ricordarono (ἐμνήσθησαν οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ). I discepoli compaiono nel racconto
inaspettatamente, poiché non era stato precisato che avevano accompagnato Gesù da Cafarnao a Gerusalemme
(v. 13). Il verbo ἐμνήσθησαν è aor. ind. pass. di μιμνήσκομαι, «vengo ricordato».
- «Lo zelo per la tua casa» (ὁ ζῆλος τοῦ οἴκου σου). Il Salmo 69,10LXX: ὁ ζῆλος τοῦ οἴκου σου κατέφαγέν με
è usato anche in altri passi del NT in riferimento alla Passione di Cristo (cf Rm 11,9; Mt 27,48; Gv 15,25; 19,2829; At 1,20).
- mi divorerà (καταφάγεταί με). Il verbo καταφάγεταί è ind. fut. med. di κατεσθίω «divoro, consumo,
distruggo». Le tradizioni testuali presentano qualche variante: il verbo oscilla tra il futuro usato da Giovanni e
l'aoristo usato dai LXX nel Sal 69. Giovanni comprende l'isolamento di Gesù nei confronti dei suoi fratelli (e più
ampiamente del suo popolo) e il suo tragico destino: lo zelo di Gesù per la casa di Dio lo condurrà alla morte.
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2,18: Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste
cose?» (ἀπεκρίθησαν οὖν οἱ Ἰουδαῖοι καὶ εἶπαν αὐτῷ• τί σημεῖον δεικνύεις ἡμῖν ὅτι ταῦτα ποιεῖς;)
- Quale segno (τί σημεῖον). L'uso della parola sēmeĩon da parte de «i Giudei», dopo che il narratore ha usato la
stessa parola per parlare del miracolo di Cana (cf 2,11), mette in guardia contro un'interpretazione univoca del
termine. A differenza del narratore che usa «segno» per parlare della rivelazione visibile della δόξα, dóxa
«gloria» (2,11), qui «i Giudei» chiedono che il suo gesto profetico venga autenticato. Nel Quarto Vangelo,
però, Gesù non opera mai «segni» miracolosi per provocare la fede. Qui Gesù si comporta da difensore dei
diritti di Dio e rivela qualcosa della sua relazione con il Padre.
Il mondo giudaico del tempo di Gesù era pervaso da diverse attese messianiche e si interrogava sull'identità,
la provenienza e i tempi in cui sarebbe apparso il Messia. Oggi si parla di "giudaismi" al plurale, sicché ogni
giudaismo aveva aspettative messianiche diverse dagli altri. Ai giudei che gli chiedono un segno che legittimi il
suo comportamento nel Tempio, Gesù risponde con un secondo detto: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo
farò risorgere» (Gv 2,19). Il termine "segno", introdotto dalle autorità giudaiche, non ha il consueto significato
giovanneo, ma equivale alla richiesta di un miracolo di legittimazione (cf 6,30; Mc 8,11; Mt 12,38-39; 16,1-4; Lc
23,8). Tuttavia, per i lettori del vangelo, il termine rimanda al grande segno messianico della morte e
risurrezione a cui si allude nella risposta di Gesù.
2,19: Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (ἀπεκρίθη
Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτοῖς• λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον καὶ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερῶ αὐτόν).
- Rispose loro Gesù (ἀπεκρίθη Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτοῖς). Nonostante il suo rifiuto di mostrare un «segno» a
garanzia della sua autorità profetica, la risposta di Gesù ai Giudei deve essere intesa come la promessa di un
«segno».
- Distruggete questo Tempio (λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον). Gesù risponde alla domanda di un segno con una
parola misteriosa sul tempio. Nei sinottici si trova una frase simile a questa, ma con alcune differenze
importanti: la predizione sulla distruzione del tempio è riferita da falsi testimoni malevoli; in Giovanni, è posta
sulle labbra di Gesù. In Marco, la distruzione del tempio è attribuita a Gesù: «Io distruggerò» (Mc 14,58); in
Giovanni, la distruzione è riferita ai suoi interlocutori: «Distruggete questo Tempio». Nei vv. 14-15 per indicare il
Tempio si usava il termine ἱερόν, οῦ, τό «santuario», qui invece ricorre ναός, οῦ, ὁ «tempio». I Giudei (cf v.
20) sembra che non colgano la differenza dei termini, per Gesù invece c'è una distinzione.
- Distruggete questo Tempio... lo farò risorgere (λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον … ἐγερῶ αὐτόν). I verbi λύω
«distruggo» ed ἐγείρω «faccio alzare, metto in piedi, risorgo» possono essere applicati in senso proprio tanto
alla demolizione e ricostruzione di un fabbricato quanto all'uccisione e risurrezione del corpo di Gesù.
- in tre giorni (ἐν τρισὶν ἡμέραις). L'uso dell'espressione «il terzo giorno» in 2,1 è legata a Es 19,16: «Il terzo
giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il
popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore». Si tratta di un'espressione convenzionale per indicare un
breve periodo di tempo, perciò Gesù è come se dicesse: «Anche se il tempio venisse distrutto, io posso
ricostruirlo in un attimo» (Lindars). L'espressione «il terzo giorno» non compare mai in Gv 20-21, tuttavia la
tradizione l'ha associata all'evento della risurrezione.
«I tre giorni» rievocano «i tre giorni» di Giona nel ventre del cetaceo, l'unico segno che Gesù offre agli
increduli scribi e farisei in Mt 12,38-40; 16,4. Gesù non ha alcuna intenzione di distruggere il tempio né
comanda loro di distruggerlo, ma è come se affermasse che con la loro condotta le autorità provocheranno la
distruzione del tempio, proprio come i loro padri causarono la fine di Silo e del primo tempio di Gerusalemme
(Ger 7,12-14; 26). Alla luce della distruzione del tempio nel 70, questo detto doveva risuonare particolarmente
tragico agli occhi di ogni ebreo; nel contempo, però, esso prospetta l'edificazione di un nuovo santuario
escatologico aperto a tutte le nazioni. «L'accento va posto dunque non sulla distruzione, ma sulla
riedificazione e restaurazione escatologica» (G. Segalla, Gesù e il tempio, 290). Tuttavia, il detto di Gesù
provoca un grosso equivoco. Le sue parole non vengono comprese nemmeno dai discepoli se non dopo la
resurrezione dai morti. Che al tempo di Gesù esistesse una certa apprensione per le sorti del tempio è
confermato da Giuseppe Flavio (Guerra giudaica, VI,5,3) e da una tradizione rabbinica successiva secondo la
quale rabbi Zadok avrebbe cominciato a digiunare intorno al 30 d.C. per prevenire la distruzione di
Gerusalemme (b. Gittin 56a).
Le parole pronunciate da Gesù rinviano all'ultima festa di Pasqua in cui verrà messo a morte. Al tempo di
Gesù esisteva un'accezione spiritualizzata del Tempio. Gli scritti di Qumran attestano l'esistenza dell'immagine
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dell'edificio o del tempio come raffigurazione della comunità (cf 1QS 8,7-10; 1QH 6,25-28; 7,7-9). Concezioni
simili si ritrovano anche in Henoch 53,5; 90,28; 91,13. La novità del testo giovanneo è l'esplicita identificazione
della casa del Padre con il corpo del Figlio. La comunità giovannea guarda a Gesù risorto come al nuovo
tempio.
2,20: Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in
tre giorni lo farai risorgere?» (εἶπαν οὖν οἱ Ἰουδαῖοι• τεσσεράκοντα καὶ ἓξ ἔτεσιν οἰκοδομήθη ὁ ναὸς
οὗτος, καὶ σὺ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερεῖς αὐτόν;).
- quarantasei anni (τεσσεράκοντα καὶ ἓξ ἔτεσιν). Dato che il periodo di 46 anni non corrisponde ai dati storici,
sono state attribuite a questa cifra varie interpretazioni simboliche: l'età di Gesù, il valore numerico del nome
«Adamo», altre speculazioni numeriche gnostiche, ecc. Ciò che importa è che l'attenzione dei Giudei è limitata
alla costruzione di un edificio e che perciò perdono di vista ciò che Gesù intende dire di se stesso.
2,21: Ma egli parlava del tempio del suo corpo (ἐκεῖνος δὲ ἔλεγεν περὶ τοῦ ναοῦ τοῦ σώματος
αὐτοῦ).
- del tempio del suo corpo (περὶ τοῦ ναοῦ τοῦ σώματος αὐτοῦ). Alcuni hanno sostenuto che l'espressione ὁ
ναὸς τοῦ σώματος αὐτοῦ «il tempio del suo corpo» possa riferirsi all'esperienza eucaristica della comunità
giovannea (O. Cullmann); però il passo eucaristico più esplicito del QV (6,51-58) usa il termine σάρξ, sárx (cf
1,14) e non σῶμα, ατος, τό, sỗma.
2,22: Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto
questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù (ὅτε οὖν ἠγέρθη ἐκ νεκρῶν
ἐμνήσθησαν οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ ὅτι τοῦτο ἔλεγεν, καὶ ἐπίστευσαν τῇ γραφῇ καὶ τῷ λόγῳ ὃν εἶπεν ὁ
Ἰησοῦς).
- i suoi discepoli si ricordarono (ἐμνήσθησαν οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ). Rileviamo uno stretto legame tra questo
versetto e il v. 17. Il parallelismo è stabilito dal verbo ἐμνήσθησαν, aor. ind. pass. di μιμνήσκομαι, «vengo
ricordato». Per quanto positiva possa sembrare l'interpretazione delle azioni di Gesù data dai discepoli nel loro
ricordarsi delle parole del Sal 69,10, il v. 22 indica che essi non hanno capito a fondo lo zelo di Gesù per Dio,
né hanno capito la Scrittura al momento della purificazione del Tempio; ma successivamente essi
arriveranno a credere nella Scrittura e nelle parole di Gesù che parlava della risurrezione del suo corpo.
- credettero alla Scrittura e alla parola (ἐπίστευσαν τῇ γραφῇ καὶ τῷ λόγῳ). Il verbo πιστεύω ricorre nel NT
241 volte, di cui 222 nei vangeli. Tra questi si distingue Gv (98x), Mc (14x), Mt (11x), Lc (9x). L'evangelista
riconosce nel Gesù risorto la presenza del ναός «Tempio». Questa interpretazione cristologica spesso viene
applicata anche al concetto paolino del σῶμα τοῦ Χριστοῦ «corpo di Cristo», cioè alla Chiesa. Giovanni però
non conosce questa teologia.
Il racconto della purificazione del tempio, narrato dai Sinottici alla fine del ministero di
Gesù (Mc 11,15-17 e paralleli), è, secondo il Quarto Vangelo (QV), uno dei primi eventi pubblici della sua
attività. Dopo il segno di Cana e il ritiro a Cafarnao con i primi discepoli, Gesù sale a Gerusalemme dove
continua a rivelare la sua gloria, non a caso, proprio in occasione di PeºsaH,
aH, Pésach. Alla stessa festa si farà
riferimento in Gv 4,45.
Una suggestiva chiave di lettura può derivarci dall'accostamento di 2,13: Si avvicinava intanto la Pasqua
dei Giudei, a 2,11: Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui. Dopo il primo segno di evidente valore nuziale, archetipo di tutti gli altri segni che
seguiranno nel vangelo, Gesù entra nel Tempio (vv. 14-15) per offrire un secondo segno in continuità con il
primo. Infatti, rivendicando i diritti della casa del Padre suo, egli annuncia la distruzione del tempio come
necessità per uscire dalla logica della religione-mercato ed entrare in una relazione di intimità, di preghiera
con Dio. Il tempio che verrà distrutto sarà il corpo del Figlio, dello Sposo che è venuto a portare fuoco sulla
terra (cf Lc 12,49), è venuto per donarsi totalmente alla sua Sposa, vincendo la freddezza della morte,
dell'idolatria, frutto della caparbietà del cuore umano.
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Morire per amore è la scelta che Gesù opera per purificare il talamo nuziale. Tale talamo corrisponde
proprio al Tempio ove gli Sposi (Gesù-Israele) dovranno incontrarsi per offrire al Padre un'alleanza rinnovata,
un culto riformato, un'adorazione «in spirito e verità». La δόξα «gloria» che Gesù aveva manifestato a Cana
di Galilea, ora la manifesta a Gerusalemme di Giudea, mediante un segno clamoroso che rimanda all'Ora della
sua glorificazione: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (2,19). Infatti, la δόξα, dóxa di Gesù
sarà manifesta a tutti proprio al momento della sua resurrezione dai morti. Perciò la rivelazione della nuzialità
divina iniziata a Cana, troverà pieno compimento sul trono della croce, cioè nel mistero pasquale del Kýrios.
Dopo la distruzione del tempio, la comunità cristiana procede, parallelamente a quella giudeorabbinica, a una rilettura del significato della festa di Pasqua. Mentre per i rabbini la Pasqua avrà il suo nuovo
centro liturgico nell'istituzione familiare e quindi fondata su di un elemento di sangue, per i cristiani il centro
della celebrazione sarà la persona di Gesù, morto e risorto, nella quale s'incontrano persone di ogni famiglia,
razza e nazione. L'unico requisito richiesto è la fede: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato»
(Gv 6,29). L'idea del tempio sussisterà, comunque, in entrambe le celebrazioni pasquali: in quella cristiana
l'incontro si realizza nel nuovo tempio-Cristo morto e risorto, in quella giudeo-rabbinica il tempio continua a
essere presente, ma solo in prospettiva escatologica: «l'anno prossimo a Gerusalemme!» (Haggada ha-Pesach).
Il palazzo del Laterano, proprietà della famiglia imperiale, diventò nel secolo IV abitazione ufficiale del
Papa. La basilica adiacente, dedicata al divin Salvatore, fu la prima cattedrale del mondo: vi si celebravano
specialmente i battesimi nella notte di Pasqua. Dedicata poi anche ai due santi Giovanni, Battista ed
Evangelista, per molto tempo fu considerata la Chiesa-madre di Roma e ospitò le sessioni di cinque
grandi Concili ecumenici.
Le Chiese di tutto il mondo, unendosi oggi alla Chiesa di Roma, le riconoscono la «presidenza della carità»
di cui parlava già sant’Ignazio di Antiochia (35-107 d.C.). Similmente avviene per la festa della Dedicazione
della chiesa cattedrale di ogni diocesi, alla quale sono «legate» tutte le parrocchie e le comunità che ne
dipendono. In ogni edificio-chiesa dedicato a Dio si celebra quel «mistero di salvezza» che opera meraviglie
in Maria, negli Angeli e nei Santi. Quella di oggi è una festa del «Signore». Cristo risorto è presente nella sua
Chiesa: ne è il Capo. Le chiese in muratura sono un segno di questa presenza di Cristo: è lui che ivi parla, dà
se stesso in cibo, presiede la comunità raccolta in preghiera, «rimane» con noi per sempre (SC 7).
Il Cenacolo, le basiliche paleocristiane, le cattedrali del Medioevo, gli edifici sacri del rinascimento o del
barocco, le architetture religiose moderne sono sempre «qualificate a dimensione d’uomo»: in ogni tempo la
comunità ha proiettato nella struttura dei suoi edifici l’immagine di sé. E non le sono mai mancate le pietre
vive per la costruzione del tempio spirituale di cui il Risorto è pietra d’angolo. «Il tempio come figura della
Chiesa (cf LG 6) è un richiamo alla comunità e alla comunione. Come un edificio non potrebbe stare in piedi
se tutti i materiali di cui è composto non fossero tenuti saldamente insieme in forza dei progetto elaborato
dall’architetto ed eseguito dai costruttori, così tutti i membri della Chiesa, «comunità di fede, di speranza e di
carità» (LG 8), debbono vivere e operare in una sincera e costante solidarietà e comunione».
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