LO SPAZIO -TEMPO La materia ha creato lo spazio-tempo, ma solo le galassie che si trovano ai confini dell’Universo continuano a crearlo; e al di fuori dello spazio-tempo non esiste altro che il “nulla”. Per capire meglio si può dire che il “nulla” sia un concetto che nega l’entità: è la negazione della materia, dello spazio e del tempo. In fisica per spazio si può intendere la traiettoria che un punto geometrico può percorrere in una sola direzione (lunghezza), in due direzioni (superficie), in tre direzioni (volume). Poiché l’argomento riguarda l’astrofisica, per spazio dobbiamo intendere quello occupato dalla materia cosmica; è quello occupato dalle stelle e dalle galassie, ma è anche quello occupato dai pianeti, dagli asteroidi e da ogni altro corpo celeste; è quello occupato dal nucleo e dagli elettroni di un atomo, come quello occupato dalle molecole. In tale contesto lo spazio tra un’entità e l’altra può essere anche sinonimo di distanza. Definire lo spazio, pertanto, non è una facile impresa perché, per quanto ho sopra asserito, la logica mi giustifica a dedurre che lo spazio e il tempo esistono in quanto esiste la materia, che è indubbiamente la conditio sine qua non e, quindi, il binomio spazio-tempo non è completo perché per poter rappresentare la realtà dell’Universo è necessario il trinomio materia-spazio-tempo. Lo spazio, che non va mai separato dalla materia e dal tempo, può essere considerato cosmico quello occupato da tutta la materia primordiale e, quindi, quello occupato da tutte le galassie, compreso quello sempre in aumento che le stesse galassie creano allontanandosi le une dalle altre. E’, invece, considerato spazio galattico quello occupato da tutti i corpi contenuti in ogni singola galassia, che può aumentare o diminuire con il reciproco allontanamento o avvicinamento degli stessi corpi o con la diminuzione di massa delle stelle a causa della loro radiazione. Lo spazio cosmico, quindi, diventa sempre più grande mentre quello galattico (pur essendo nello spazio cosmico) può aumentare, diminuire oppure rimanere invariabile. Le galassie sono isole alla deriva nello stesso e unico oceano che non risente degli eventi che in esse si verificano; l’inscindibilità della materia-spazio-tempo è necessaria alla storia dell’Universo, che per essere raccontata e scritta occorre che si conosca la materia interessata negli eventi avvenuti, che avvengono e che avverranno nello spazio-tempo cosmico o galattico. Ma… cos’è il tempo? Einstein alla vedova del suo amico Besso scrisse che: ”La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione.” E non molto differente è il pensiero di Sant’Agostino, il filosofo di Tagaste: Se qualcuno me lo chiede, lo so; se desidero spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so…Come possono esserci il passato e il futuro quando il passato non è più e il futuro non è ancora? Quanto al presente, se fosse sempre presente e mai si muovesse per divenire passato, non sarebbe tempo, bensì eternità.1) La verità è che nell’Universo tutto si muove, panta rei (tutto scorre) e, quindi, l’eternità non esiste; anche perché nell’Universo, che ha avuto inizio ed avrà fine, non può esserci alcunché di eterno. L’eternità di Dio e quella dell’anima umana sono entrambe oggetto di fede e, quindi, non dimostrabili scientificamente. L’eternità dell’uomo reale, invece, come memoria dei valori relativi alle specifiche e personali creazioni (capolavori di letteratura, di architettura, di pittura, di ingegneria ecc.), potrebbe durare fino a quando le condizioni saranno vivibili sulla Terra o su un altro pianeta conquistato. Tuttavia, il tempo comprende passato, presente e futuro e, pertanto, l’attuale Universo può dirsi il futuro di quello che fu e il passato di quello che sarà. Il tempo è un’entità dimensionale che non può essere disgiunta da quella dello spazio, così come lo spazio è un’entità dimensionale che non può essere disgiunta da quella del tempo: lo spazio-tempo. Lo spazio-tempo non è altro che l’evolversi degli eventi della materia cosmica e da questa è creato. Quindi, nulla importa se il tempo nello spazio è scandito con l’orologio di Galilei o con quello di Einstein. 1) Gli Scolastici ammettono due eternità: ab aeterno (che non ha principio) e in aeternum (che non ha fine); sia la prima che la seconda le attribuiscono a Dio; all’anima umana, invece, solo quella in aeternum. Lo spazio-tempo nel linguaggio scientifico è un’unica entità illimitata e indefinita che risponde ai seguenti quesiti: dove sono presenti i corpi; dove e quando gli eventi sono accaduti, accadono o accadranno. Parlare, quindi, dello spazio è lo stesso che parlare del tempo e parlare del tempo è lo stesso che parlare dello spazio. Infatti, lo spazio si misura con il tempo e il tempo si misura con lo spazio; e lo spazio-tempo non può essere definito perché l’Universo è in continua espansione. Lo spazio-tempo incominciò nell’istante in cui l’energia si trasformò in materia barionica e potrebbe finire nell’istante in cui tutta la materia si sarà trasformata in energia. Esso potrebbe considerarsi cosmologico o galattico. Lo spazio-tempo cosmologico è quello dell’Universo considerato nella totalità e riferito all’istante zero (singolarità primordiale); quello galattico, invece, è quello di un evento osservato e riferito ad un accadimento dell’evoluzione galattica. Quindi, la nascita della materia e delle stelle primordiali, la formazione delle galassie e il loro allontanamento sono nello spazio-tempo cosmologico; tutti gli accadimenti fra galassie e nelle galassie, invece, sono nel tempo galattico. Lo scoppio di una supernova, la nascita del Sole, di altre stelle (di seconda, di terza… generazione) e dei presunti buchi neri sono nel tempo Galattico. Non è proprio concepibile che si possa stare nello spazio e fuori dal tempo e viceversa, come non è possibile che lo spazio si dilati o si incurvi lasciando immutato il tempo: la “censura cosmica” lo impedirebbe perché spazio-tempo sono due dimensioni, ma inscindibili l’una dall’altra; e poiché spazio e tempo sono correlati fra loro, l’uno e l’altro sono soggetti alle stesse leggi. Infatti, i fotoni impiegano più tempo quando attraversano uno spazio curvo. Lo spazio-tempo cosmologico è creato dalle galassie in allontanamento e, quindi, tende inesorabilmente verso il futuro: ipotizzare di poter viaggiare verso altre direzioni potrebbe essere possibile solo nello spazio-tempo galattico, a bordo di una ipotetica macchina del tempo o in un presunto buco nero. Le imbarcazioni (le galassie), costruite con l’assemblaggio di pezzi fatti interamente e esclusivamente nel porto (la singolarità primordiale), navigano allontanandosi sempre più da esso, mentre gli imbarcati (le stelle, i pianeti ed ogni altro corpo celeste, compreso il presunto buco nero) si muovono in ogni direzione: da poppa a prua, fuori o dentro la stiva. E’ risaputo che solo l’uomo conti il tempo, prendendone coscienza; egli, studiando la materia che è nello spazio-tempo, convenziona il secondo, il primo, l’ora, la settimana, il secolo ed il millennio, ma non il giorno, l’anno ed il mese lunare; questi li trova in natura, mentre il ciclo del saros ed il movimento di precessione degli equinozi li scopre con lo studio. In relazione alle coordinate geografiche, il tempo è considerato Tempo delle effemeridi (TE) o Tempo Dinamico (TD) , Tempo Universale (TU) o Tempo Medio del Centro-Europa (TMCE), ma può essere considerato anche come ora solare e ora locale. Il Tempo Universale è basato sulla rotazione della Terra, che non è uniforme perché tale rotazione non è costante. Il tempo esiste perché gli eventi, evolvendosi e susseguendosi in senso fisico, necessitano del prima e del dopo e tra il prima e il dopo esiste il minimum che è il presente cosmologico: quello dell’espansione. Per l’uomo potrebbe essere presente ogni evento che osserva entro una distanza massima di 300.000 Km (velocità della luce nell’unità di tempo); e dovrebbe essere già passato quello che osserva oltre tale unità temporale, persino l’evento sulla Luna che si trova alla distanza media di 384.400 Km. Comunque, il presente di ciascun accadimento è il presente di tanto tempo fa, quanto ne ha impiegato la luce per raggiungere l’osservatore; e qui è opportuno accennare al tempo relativistico. Se potessimo sistemare su una base ferma tanti orologi alla distanza di 300 mila km e sincronizzati con quello sistemato su un’astronave, tutti continuerebbero a scandire i secondi; però, se l’astronave si muovesse alla velocità della luce, l’astronauta vedrebbe fermo l’orologio di bordo, ma non gli orologi sistemati nelle postazioni sulla base ferma, i quali continuerebbero a scandire i secondi, segnando tutti la stessa ora. Tuttavia, essendo costante la velocità della luce, l’orologio di bordo segnerebbe il tempo proporzionato alla diminuita velocità dell’astronave che viaggiasse in un determinato mezzo. In espressioni più semplici: l’orologio di bordo registrerebbe un ritardo di 20 centesimi di secondo se l’astronave viaggiasse alla media di 240 mila km/s. E, ovviamente, registrerebbe in centesimi o in millesimi di secondo, la media delle velocità tenute attraversando vari mezzi da una postazione all’altra; e naturalmente, l’orologio di bordo segnerebbe tempo 0 se la velocità dell’astronave fosse quella di c o della luce. Il tempo relativistico di Einstein. Il fotone viaggia sempre a velocità costante c (forse dipendente soltanto dall’indice di rifrazione del mezzo che attraversa) però varia la sua energia in proporzione all’intensità del campo gravitazionale, ovvero alla curvatura dello spazio-tempo. Tutti gli eventi accadono con il susseguirsi di minima quanta spazio-temporali, ma l’uomo li percepisce in un lasso di tempo proporzionato alla capacità dei suoi organi sensori. Infatti, di un evento, percepito tramite il senso della vista, potrebbe considerarsi presente l’immagine che rimane sulla retina dell’occhio per un lasso di tempo che è di circa 1/16 di secondo; tale immagine è percepita come una di un pacchetto di 16 impressioni al secondo, che se sono uguali costituiscono la percezione dello stare fermo, se invece sono gradualmente diverse costituiscono quella del movimento. Lo specifico tempo di permanenza dell’immagine sulla retina fa sì che la visione di un filmato sembri continua; appare, invece, discontinua se la frequenza delle immagini al secondo è inferiore a 16. La retina dell’occhio umano percepisce anche i colori entro 1/16 di sec.; per poter ammirare i colori di una nebulosa, il colore azzurro brillante di una stella giovane o il rosso fiammante di una stella vecchia, occorre effettuare la fotografia con una macchina adatta, regolando il tempo di posa proporzionato alla luminosità di ciascuna di esse e utilizzando, se è necessario, una pellicola più sensibile: da 200-400 fino a 3.000 Iso/21° L’acqua del fiume scorre ininterrottamente e (non tenendo conto della quantità che è proporzionata anche alla velocità) nessuno può definire il presente dell’acqua che passa da una parte all’altra di una linea convenzionata, diversamente dal modo sopra descritto. Quel modo vale per tutti i fenomeni fisiologici, anche se la frequenza differisce di molto tra quelli animali e quelli vegetali; nei vegetali, infatti, bisogna far riferimento ai grandi multipli del secondo: si osservi la vegetazione di una pianta o quella di uno sboccio. Invece, l’evento percepito con il senso dell’udito è presente se avviene entro un raggio di 331 metri (velocità del suono nell’aria in un secondo) e, per quanto detto sopra, due effetti di uno stesso fenomeno (il fulmine) quello luminoso viene percepito molto tempo prima di quello acustico, ed è ovvio che siano specifici i tempi di percezione con gli altri sensi: olfatto, gusto e tatto. Però, l’uomo, contando il tempo e prendendone coscienza, fa anche alcune specifiche considerazioni: 1) Un evento può essere già tutto passato, un evento può essere tutto presente e un evento potrebbe essere prevedibile tutto nel futuro; un evento, infine, iniziato nel passato dura nel presente e potrebbe protrarsi nel futuro. L’evento si attua nella successione di innumerevoli quanti temporali, ed il minimum temporale è di 10-43 di secondo: quello occorso per la nascita dell’Universo. Comunque, per l’uomo il tempo reale è il presente che è quel lasso occorrente per percepirlo e per prenderne coscienza. 2) L’osservazione simultanea di due o più eventi non dimostra la contemporaneità dei loro rispettivi accadimenti perché i fotoni potrebbero essere partiti da un pianeta del nostro sistema solare, come da un altro corpo della nostra o da un’altra galassia: potrebbe essere accettata solo per eventi che si evolvono sul nostro pianeta Terra. L’osservatore si troverebbe ad uguale distanza da due corpi celesti o da due eventi se la luce, partita da ciascuno di essi, avesse impiegato lo stesso tempo e non avesse incontrato ostacoli gravitazionali (o zone di indice di rifrazione variabile) e quindi, non potendo disporre di un’unica misura spazio-temporale, non può considerare simultanei o contemporanei gli eventi dello spaziotempo cosmologico e quelli dello spazio-tempo galattico. Secondo la teoria della relatività ristretta di Einstein, come gli orologi in movimento rallentano così gli oggetti si contraggono e guadagnano massa. Ma sono le equazioni di Lorentz-Fitzgerald che ci indicano esattamente quanto gli oggetti in movimento si contraggano e guadagnino massa. Anche l’inerzia è indicativa della contrazione in rapporto all’accelerazione, raggiungendo il massimo teorico a velocità c; e si verifica il fenomeno inverso con la decelerazione. La massa torna nello stato di quiete quando l’accelerazione o la decelerazione diventa zero. Naturalmente, alle velocità non relativistiche, tali effetti non sono minimamente rilevabili, e l’accelerazione e la decelerazione che tutti avvertiamo in macchina o in aereo, o quelle ancora maggiori avvertite dagli astronauti, non hanno a che fare con le trasformazioni di LorentzFitzgerald. Inoltre, in fisica, con le tante leggi, vige anche quella del minimum nel dividere e del maximum nel moltiplicare; in altre parole c’è un limite fisico ad ogni minima come ad ogni massima dimensione, e, infatti, la creazione della materia (l’Universo) avvenne nel minimum di tempo (10-43 di secondo), con il maximum di densità (1094 g/cm3) ed il maximum di temperatura (1032 °K). Per altro, Planck dice che la minima misura di lunghezza, che abbia significato, è pari a 10-33 di cm, che equivale a 10-20 la dimensione di un protone; invece, la massima misura di velocità è c (quella della luce, di circa 300.000 Km/s) che nessun corpo, dotato di massa, potrà mai superare. Il minimum dello spazio-tempo, quindi, fu quello occorso nella creazione della materia primordiale, dall’istante zero fino a 10-43 di secondo, che è una misura estremamente piccola, ma non infinitamente piccola, ed è anche l’intervallo che separa il presente dal passato e dal futuro nell’Universo in espansione: il fluire di tale unità costituisce lo spazio-tempo dell’Universo reale che è stato, che è e che sarà, ma non in eterno. Eppure per ogni oggetto esiste una massa minima, irriducibile: la massa a riposo. La data dell’inizio dell’Universo è discutibile da 15 miliardi di anni fa, ma quella della fine non è stata ancora definita. L’ipotesi della totale trasformazione della materia in energia con l’esplosione dei buchi neri (Hawking) porterebbe la fine molto lontano, ma non troppo; se dovesse essere, invece, quella richiesta dal naturale decadimento degli atomi degli elementi, l’Universo sarebbe ancora nella primissima infanzia. Un isotopo dell’indio, infatti, decade in 1014 anni, e altri elementi in un tempo ancora più lungo. Se così fosse potremmo dire che i miliardi di miliardi di anni necessari al decadimento della materia siano il maximum dello spazio/tempo e, pertanto, nell’Universo reale, che è finito, non può esistere alcuna grandezza spazio-temporale infinita perché gli oggetti reali, a cui ciascun numero può essere attribuito, non sono infiniti. Il numero che supera gli oggetti reali (o gli insiemi) è immaginario come è immaginario l’infinito. Anche in matematica la progressione dei numeri (pari, dispari, decimali, razionali, irrazionali che siano) non può essere infinita, tenendo presene che lo zero, l’infinito (come l’eternità) non sono numeri (o quanti), ma limiti concettuali. Concludendo, tutti i paradossi potrebbero essere validi in teoria, ma non in pratica; infatti, nel paradosso di Zenone il minimum vieta la divisione all’infinito della metà della distanza dal traguardo per rendere impossibile la vittoria dell’atleta podista sulla lenta tartaruga, come il maximum vieta di allungare sempre più la leva (e di avere lo specifico punto di appoggio) per sollevare il mondo, nell’enunciato di Archimede. L’ipotetica leva nel paradosso di Archimede.