Università degli Studi di Torino Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali Tesi di Laurea Magistrale in Fisica delle Interazioni Fondamentali Studio della discriminazione gamma/adroni negli EAS con l’esperimento ARGO-YBJ Relatore: Prof. Piero Galeotti Correlatore: Dott. Carlo Francesco Vigorito Anno Accademico 2010/2011 Candidato: Federico Dalmasso 2 Grande cosa è certamente alla immensa moltitudine delle stelle fisse che fino a oggi si potevano scorgere con la facoltà naturale, aggiungerne e far manifeste all’occhio umano altre innumeri, prima non mai vedute e che il numero delle antiche e note superano più di dieci volte Galileo Galilei Indice Introduzione 5 1 Raggi cosmici e astronomia gamma 1.1 Storia delle osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Astronomia gamma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Origine dei raggi cosmici e dei raggi γ . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Meccanismi di produzione e accelerazione di particelle cariche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Processi di produzione di radiazione elettromagnetica 1.3.3 Sorgenti interstellari e intergalattiche . . . . . . . . . . 1.4 La mappa delle sorgenti γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Rivelazione di raggi γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 Rivelatori su satellite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Rivelatori al suolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 11 13 2 Extensive Air Shower 2.1 Meccanismi di formazione e di assorbimento . . . . . . 2.1.1 Processi a carico della componente fotonica (γ) 2.1.2 Processi tipici per la componente carica (h) . . 2.2 EAS indotto da fotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 EAS indotto da adrone (h) . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Tecniche di simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.1 Montecarlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 CORSIKA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 37 38 41 46 48 50 51 51 3 ARGO-YBJ 3.1 Il rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Resistive Plate Counter - RPC 3.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Shower mode . . . . . . . . . . 3.2.2 Scaler mode . . . . . . . . . . . 3.3 Ricostruzione di eventi . . . . . . . . . 3.3.1 Posizione del core . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 55 56 58 58 58 59 60 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 17 22 30 31 32 32 4 INDICE 3.4 3.3.2 Direzione di arrivo . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.3 L’ombra della luna e la risoluzione angolare . . Il problema della discriminazione gamma adroni (γ/h) EAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 La molteplicità di µ . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2 La misura di χmax . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.3 Lo studio della regione del core . . . . . . . . . . . . . . . . . negli . . . . . . . . . . . . . . . . 65 66 66 66 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 69 71 73 77 78 80 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Granchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 85 88 89 92 93 93 97 4 Le proprietà degli EAS alla quota di ARGO-YBJ 4.1 La simulazione Montecarlo . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 Le proprietà della distribuzione laterale . . . 4.1.2 Lo spettro integrale . . . . . . . . . . . . . . 4.2 L’osservazione del punchthrough in ARGO-YBJ . . . 4.3 L’effetto di transizione . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.1 GEANT4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Il fattore di qualità Qf e la reiezione γ/h 5.1 La sensitività . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 La discriminazione γ/h . . . . . . . . . . . . 5.3 Il calcolo del Qf . . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Sensitività di ARGO-YBJ alla Nebulosa del 5.5 Le opzioni alternative . . . . . . . . . . . . 5.5.1 L’opzione cemento . . . . . . . . . . 5.5.2 Il confronto su tre zone . . . . . . . Conclusioni 60 63 99 Appendice - Incertezze 101 Bibliografia 105 Introduzione Il lavoro svolto durante questa tesi rientra nell’ambito dell’astronomia Gamma con apparati di superficie con particolare riferimento ai metodi di discriminazione e reiezione del fondo dovuto alla componente adronica dei raggi cosmici. Nello specifico, il mio lavoro ha tratto origine da alcune idee riguardanti il possibile upgrade sperimentale dell’esperimento ARGO-YBJ proprio in funzione del raggiungimento di una maggior sensitività al segnale proveniente dalle sorgenti γ visibili nel campo di vista sperimentale. L’esperimento ARGO-YBJ, situato a 4300m s.l.m. in Tibet-Cina a circa 90 km da Lhasa capitale della regione autonoma, è un array per sciami atmosferici estesi a copertura totale in grado di osservare le particelle cariche che la radiazione cosmica genera nell’interazione con la nostra atmosfera. Come distinguere gli sciami di particelle creati da radiazione primaria neutra da quelli prodotti dal più intenso fondo di raggi cosmici carichi? L’obiettivo del presente lavoro di tesi è stata quindi la valutazione di alcune proposte di modifica del rivelatore. Nel primo capitolo verranno discusse la storia, i risultati e le prospettive future nell’ambito dell’astronomia γ e più in generale dell’astronomia dei raggi cosmici, entrambe naturali estensioni dell’astronomia ottica tradizionale. Sono quindi stati elencati i meccanismi noti di produzione e accelerazione, le “fornaci” in cui queste forme di radiazione vengono create ed emesse nello spazio circostante. In ultimo è stato introdotto un breve excursus delle principali tecniche di rivelazione. Il secondo capitolo è invece dedicato agli sciami atmosferici estesi (EAS ), ossia ai prodotti dell’interazione di raggi cosmici e raggi γ con l’atmosfera terrestre. Ne vengono sviscerate le caratteristiche e le differenze; vengono illustrati il loro modo di propagarsi in atmosfera e le tecniche che si utilizzano per osservarli. É stato altresı̀ spiegato il motivo per cui oltre certe energie l’osservazione diretta delle particelle primarie diventa impossibile e come diversi esperimenti al suolo ovviano a questo problema. Gran parte degli studi (in astrofisica nel caso specifico ma non solo) viene compiuta mediante confronto con la simulazione dei fenomeni che si vogliono studiare. Questo poiché trattandosi di studi indiretti occorre definire a priori quali possano essere le migliori osservabili fisiche. Nel caso degli sciami 5 6 INDICE atmosferici estesi (EAS ) occorre definire che cosa “guardare” e come in funzione dello scopo (ad esempio la misura dello spettro, lo studio della composizione, i modelli di fisica adronica delle interazioni, la misura di sezioni d’urto ad altissima energia, etc...). Nel particolare sono stati descritti il setup sperimentale di ARGO-YBJ, esperimento nell’ambito del quale il presente studio ha avuto luogo, e i metodi che esso utilizza per la discriminazione γ/adroni (capitolo 3). ARGO-YBJ possiede due punti di forza: è situato ad alta quota, quindi è sensibile a sciami di piccole dimensioni (ovvero bassa energia primaria), e ha una superficie di rivelazione continua, peculiarità che gli permettono di osservare energie primarie nel range delle VHE - Very High Energy (0.1 ÷ 30T eV ). Siccome l’astronomia γ viene studiata separatamente rispetto all’astronomia dei raggi cosmici, il problema principale che si presenta è costituito dall’identificazione corretta delle due tipologie di radiazione, motivo per cui è stato esposto un breve elenco dei principali metodi che vengono utilizzati. Il capitolo 4 riporta le varie fasi del lavoro, a partire dalla simulazione degli sciami allo studio delle loro proprietà al livello osservativo di ARGOYBJ, fino alla valutazione di alcune soluzioni alternative per migliorare la discriminazione del fondo carico. L’idea principale da me indagata riguarda la prevista (ma non ancora realizzata) copertura parziale del rivelatore con lastre sottili di piombo (1/2 lunghezze di radiazione) al fine di migliorarne la risoluzione angolare. É stato quindi quantitativamente stimato se la sua applicazione con opportune modifiche potesse migliorare la reiezione del segnale adronico. Infine, nel quinto e ultimo capitolo, è stato calcolato l’impatto in termini di sensitività sulla misura del flusso di sorgenti γ del metodo di discriminazione. Sono stati studiati diversi modi per cercare di migliorarlo e sono state tratte le conclusioni. Capitolo 1 Raggi cosmici e astronomia gamma L’universo è costantemente attraversato da radiazioni ionizzanti, costituite da particelle massive e da fotoni di tutte le lunghezze d’onda. Usualmente ci si riferisce alle particelle cariche con il termine di raggi cosmici (CR) per differenziarle dalla radiazione puramente elettromagnetica, sebbene i loro effetti nell’atmosfera terrestre siano molto simili. Le origini dei raggi cosmici possono essere molto diverse, a partire dalla nostra stessa galassia fino ai quasar più remoti. Le sorgenti, i meccanismi di produzione e di accelerazione di queste particelle, che raggiungono energie estremamente elevate (∼ 1020 eV ) sono oggetto di studio da vari decenni e i risultati ottenuti hanno apportato un grande contributo ai modelli cosmologici e alla fisica delle particelle. 1.1 Storia delle osservazioni Già agli inizi del XX Secolo si osservava una radioattività naturale in grado di ionizzare l’aria. Le conoscenze dell’epoca su questo tipo di fenomeno proponevano l’esistenza di tre tipi di radiazione ionizzante: i raggi α (nuclei di elio), i raggi β (elettroni) e i raggi γ (fotoni). L’interrogativo più pressante riguardava l’origine di questa radioattività: proveniva dalla Terra o da altrove? Si conoscevano le proprietà del polonio, del radio, del torio e dell’uranio, elementi contenuti nel terreno che contribuiscono alla radioattività ambientale, ma questa da sola non bastava a spiegare i fenomeni osservati. Nel 1912, Victor Hess in Austria e Kohlhörster in Germania, per dirimere la questione, effettuarono misure in quota portando degli elettroscopi a diverse migliaia di metri di quota su palloni aerostatici. La ionizzazione osservata aumentava con la quota di osservazione, e la spiegazione che Hess fornı̀ a partire dalle misure fu la presenza di una radiazione altamente penetrante 7 8 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA dall’alto. Dimostrò, cosı̀, l’origine extraterrestre di quelli che vennero in seguito chiamati da Millikan raggi cosmici e, per questa scoperta, vinse il premio Nobel nel 1936. Dopo la Prima Guerra Mondiale si approfondı̀ lo studio della ionizzazione in funzione della quota con esperimenti in diverse locazioni. Millikan, nel tentativo di confutare l’ipotesi di Hess e Kohlhörster, contribuı̀ in maniera importante allo sviluppo di nuove tecnologie per la rivelazione. Egli immerse i rivelatori in laghi montani a profondità diverse: siccome lo spessore totale dell’atmosfera terrestre corrisponde a una decina di metri d’acqua, Millikan sperava di osservare un assorbimento maggiore della radiazione ionizzante, in quanto credeva fosse costituita essenzialmente da raggi γ prodotti nella nucleosintesi di elementi comuni come elio e ossigeno. In realtà, cosı̀ facendo, Millikan misurò la ionizzazione indotta dalla componente più penetrante dei raggi cosmici: la componente muonica. Nei decenni successivi l’attenzione si spostò verso la fisica delle alte energie che i raggi cosmici, quale unica possibile sorgente, rendevano disponibile. Fino agli anni ’50 del XX Secolo non esistevano, infatti, acceleratori di particelle in grado di arrivare ad energie cosı̀ elevate e a tutt’oggi nessun acceleratore raggiunge prestazioni paragonabili ai raggi cosmici più energetici. Ad esempio, il rivelatore del Pierre Auger Observatory rivela ogni anno una trentina di raggi cosmici con energie ≥ 1020 eV [36]; il Large Hadron Collider del CERN, la più potente macchina acceleratrice mai costruita, è stata progettata per accelerare protoni a un’energia massima nel centro di massa di 14T eV [34], sette ordini di grandezza inferiore rispetto ai raggi cosmici più energetici. Nel 1929 Skobelzyn capı̀ che le particelle ionizzanti non si manifestano indipendemente ma fanno parte di cascate originate dall’interazione di particelle primarie con l’atmosfera. Venne formulata la teoria delle cascate elettromagnetiche e mosse i primi passi l’elettrodinamica quantistica. Nel 1940 la teoria degli sciami elettromagnetici era completamente sviluppata. Il numero di nuove scoperte aumentò di colpo con l’invenzione di rivelatori come la camera a nebbia, in grado di visualizzare le tracce delle particelle cariche che l’attraversano, o i contatori di Geiger-Müller, che sostituirono gli elettroscopi. La presenza di particelle altamente penetranti diverse dai raggi γ venne evidenziata grazie a contatori che, nonostante massicce schermature, segnalavano il passaggio al loro interno di particelle ionizzanti. Esperimenti in altissima quota, in cui i rivelatori erano esposti alla radiazione primaria, mostrarono tracce di protoni e nuclei più pesanti; di conseguenza fu naturale esaminare l’interazione dei raggi cosmici carichi con il campo magnetico terrestre. Il primo passo da verificare era la dipendenza del flusso di particelle cariche in funzione del campo magnetico relativo alla località dell’esperimento, e fu fatto con esperimenti posti a diverse latitudini geomagnetiche. Uno dei risultati più importanti di queste misure fu la scoperta dell’effetto east-west che consiste in un maggior flusso di raggi cosmici provenienti da ovest piuttosto che da est. Le particelle con carica positiva provenienti da ovest vengono curvate verso il suolo, mentre quelle 1.1. STORIA DELLE OSSERVAZIONI 9 provenienti da est vengono tendenzialmente deviate lontano dalla superficie terrestre. L’effetto si manifesta in maniera più consistente ed è quindi più facilmente misurabile alle elevate latitudini geomagnetiche. Nonostante il fiorire delle scoperte, quella che sembrava la frontiera della fisica sperimentale era destinata a perdere di interesse. A partire dagli anni ’50 e ’60, i miglioramenti nel campo della fisica degli acceleratori spostarono l’attenzione dei fisici verso questo nuovo modo di studiare le particelle fondamentali. Con gli acceleratori non si è più soggetti all’aleatorietà degli eventi, potendo selezionare il primario, l’intensità dei fasci di particelle, l’energia, la posizione del vertice d’interazione e soprattutto non dovendo attendere il raggio cosmico sul rivelatore. Ciò permise di migliorare notevolmente i modelli delle interazioni fondamentali. Nonostante l’esodo di scienziati verso gli acceleratori, gli studi nel campo dei raggi cosmici non si fermarono: venne studiato a fondo il campo magnetico dell’eliosfera, misurato il flusso di raggi cosmici a diverse latitudini, venne comparato con i flussi di primari ora misurati anche da satellite e correlati al ciclo solare. I rivelatori su satellite permisero una buona conoscenza della composizione chimica e isotopica dei raggi cosmici. Inoltre dalle misure di sezioni d’urto effettuate in laboratorio e dall’osservazione di raggi cosmici costituiti da isotopi instabili conosciuti fu possibile stimare il loro tempo di permanenza all’interno della nostra galassia. Allo stesso tempo ci fu un rapido sviluppo di teorie per spiegare l’accelerazione e, sul finire degli anni ’70, la combinazione dei vari modelli portò alla formulazione del modello standard dei raggi cosmici, ancora oggi in continuo aggiornamento. Sempre in quegli anni cominciò la ricerca dei neutrini solari e del decadimento del protone (per il quale si stima una vita media limite > 1030 anni), campi di ricerca che portarono all’interramento degli apparati di rivelazione per schermare anche la componente penetrante delle cascate. Gli esperimenti underground fino ad oggi hanno fornito soltanto dei limiti per la vita media del protone ma hanno messo in luce vari effetti che confermano le ipotesi sulle oscillazioni dei neutrini, fenomeni in grado di richiamare l’attenzione dei fisici degli acceleratori. A partire dagli anni ’80 i fisici astroparticellari, probabilmente ispirati dai progressi nell’astronomia gamma (a questo periodo risalgono le prime osservazioni di raggi gamma con energie dell’ordine del TeV ), cominciarono a puntare gli strumenti direttamente nelle direzioni da cui sembravano provenire le particelle di alta energia e ciò diede vita a una vera e propria astronomia dei raggi cosmici. Negli ultimi vent’anni gli interrogativi che più hanno incuriosito i fisici riguardano le particelle di altissima energia e i meccanismi che sono stati in grado di accelerarle, in particolare i neutrini. Particelle cariche di alta energia interagisco nel mezzo galattico e intergalattico deviando dalla loro traiettoria originale, mentre i neutrini che non risentono dell’interazione elettromagnetica puntano direttamente la sorgente che li ha emessi. Sebbene la loro rivelazione sia un evento raro, la commistione di questi risultati e quelli relativi ai raggi cosmici carichi e all’astronomia gamma potrà, forse, nei 10 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA prossimi anni svelare con certezza l’origine delle particelle più energetiche dell’universo conosciuto. In figura 1.1 sono mostrati gli spettri integrali di raggi cosmici (carichi e fotoni) come oggi li conosciamo. (a) Raggi cosmici (b) Fotoni Figura 1.1: Spettri integrali per raggi cosmici e per fotoni. 1.2. ASTRONOMIA GAMMA 1.2 11 Astronomia gamma Con il termine raggi γ si intende la parte più energetica dello spettro elettromagnetico con energie che partono da qualche decina di KeV . Tuttavia il grande range energetico coperto dai raggi γ e le diverse tecniche di rivelazione impongono un’ulteriore suddivisione: Low/Medium energy (LE/ME) High energy (HE) Very high energy (VHE) Utra high energy (UHE) Extremely high energy (EHE) 0.5 ÷ 30M eV 0.03 ÷ 100GeV 0.1 ÷ 30T eV 30T eV ÷ 30P eV > 30P eV Radiazioni con energie > 0.5M eV sono caratterizzate da tecniche di rivelazione molto differenti tra loro. Anche gli estremi stessi di questi intervalli sono tutt’altro che ben definiti a causa del rapido sviluppo della tecnologia di rivelazione; sono infatti definiti in base al tipo di interazione del fotone e alla tecnica di rivelazione e non ai processi di produzione. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, parlando di Astronomia si intendeva l’osservazione del cielo nell’intervallo visibile dello spettro elettromagnetico (1.5 ÷ 3.5 eV ). L’atmosfera terrestre è opaca a quasi tutte le lunghezze d’onda e, spostandosi lungo lo spettro, cambiano i processi che dominano l’assorbimento della radiazione elettromagnetica; ad esempio, nella banda dell’infrarosso l’assorbimento è causato principalmente da molecole in sospensione quali vapore acqueo, biossido di carbonio e ozono, mentre alle alte energie i fotoni interagiscono via effetto fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie. L’atmosfera risulta, quindi, trasparente solo a lunghezze d’onda appartenenti a due intervalli: il visibile e la banda delle onde radio1 . Nel 1932, Jansky per primo captò il segnale elettromagnetico al di fuori del visibile, dando vita alla Radioastronomia che costituı̀ la naturale estensione dell’astronomia ottica tradizionale. Con l’evoluzione tecnologica e la costruzione di satelliti fu possibile osservare direttamente altre lunghezze d’onda al di fuori dell’atmosfera2 , ma per osservare dei risultati statisticamente significativi e poter parlare di astronomia γ occorre attendere i primi anni ’70, quando il satellite SAS-2 rivelò un discreto numero di fotoni con energie comprese tra 30M eV e 5GeV . A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, fu il turno del satellite COS-B che identificò all’interno della nostra galassia 25 sorgenti di raggi γ con energie dell’ordine del GeV , sorgenti il cui 1 In realtà sussistono dei limiti anche in questo intervallo: le onde radio di energia più alta (λ dell’ordine di qualche mm) vengono anche’esse assorbite da molecole e vapori in sospensione, mentre le frequenze minori vengono riflesse dalla ionosfera. 2 i primi fotoni γ fuori dall’atmosfera vennero rivelati dal satellite Explorer XI nel 1961. 12 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA numero è stato notevolmente incrementato a partire dal 1991 con la messa in orbita di CGRO (Compton Gamma Ray Observatory). A partire dal centinaio di GeV , l’osservazione diretta della radiazione γ primaria si fa decisamente problematica, per cui si studiano dal suolo gli Extensive Air Shower (EAS 3 ) di particelle prodotti dall’interazione dei fotoni altamente energetici con l’atmosfera terrestre. Nel 1972, ad esempio, un telescopio Čerenkov4 del Crimean Astrophysical Observatory mostrò un significativo eccesso di sciami con energie primarie dell’ordine del T eV nella direzione della stella Cygnus X-3. Verso la fine degli anni ’80 il telescopio Čerenkov WHIPPLE osservò un eccesso di fotoni con energie ≥ 500GeV provenienti dalla Crab Nebula5 . Essa si è poi rivelata una sorgente continua e stazionaria nell’intervallo 0.5T eV ÷10T eV , e da allora viene utilizzata dagli esperimenti come standard candle per la calibrazione [11]. In figura 1.2 sono mostrate alcune misure sperimentali dello spettro emesso dalla Nebulosa del Granchio ottenute con apparati che usano tecniche diverse (Čerenkov - H.E.S.S., MAGIC, apparati sciame a campionamento - Tibet AS-γ - e a copertura totale - ARGO-YBJ ). Figura 1.2: Spettro differenziale della Crab Nebula misurato da diversi esperimenti. 3 Extensive Air Shower. Per una descrizione approfondita degli EAS e delle loro proprietà si veda il capitolo 2. 4 I telescopi Čerenkov sono in grado di rivelare la luce Čerenkov emessa dalle particelle cariche di uno sciame che viaggiano di moto superluminale nell’atmosfera. 5 Nebulosa del Granchio (NGC 1952) situata nella costellazione del Toro. Ascensione retta: 05h 34m 31.97s , Declinazione: +22◦ 000 52.100 . 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 13 Con l’ulteriore evoluzione degli apparati di rivelazione è stato successivamente possibile osservare sorgenti γ extragalattiche come, ad esempio, i nuclei galattici attivi. L’importanza di questi oggetti celesti è evidente dal momento che in linea di principio essi sarebbero in grado di accelerare i raggi cosmici alle massime energie. 1.3 1.3.1 Origine dei raggi cosmici e dei raggi γ Meccanismi di produzione e accelerazione di particelle cariche L’origine dei raggi cosmici è legata ai principali meccanismi di formazione delle stelle, alla loro evoluzione e ai processi più estremi che coinvolgono la materia nella galassia e oltre essa. La produzione nelle stelle Le stelle sono oggetti molto massivi e, se l’attrazione gravitazionale non fosse bilanciata dalla pressione interna, collasserebbero in breve tempo. Approssimando una stella ad una sfera statica di raggio r, l’equazione per l’equilibrio idrostatico è: dP (r) GM (r)ρ(r) =− dr r2 dove M (r) è la massa racchiusa entro una distanza r dal centro, P (r) e ρ(r) sono la pressione e la densità alla distanza r. I principali contributi alla pressione interna sono dovuti al moto di ioni ed elettroni e alla pressione di radiazione. Una grande quantità di luce (di tutte le frequenze) viene prodotta all’interno della stella e ne fuoriesce. In generale si può pensare alla stella come costituita da diversi gusci sferici, ognuno dei quali fornisce il proprio apporto energetico alla luminosità totale. Il processo che domina in stelle che si trovano nella sequenza principale della loro evoluzione6 è la fusione nucleare; in questa fase evolutiva la stella fonde l’idrogeno in elio (la fusione dell’idrogeno è possibile per T ≥ 5·106 K). L’energia viene liberata in quanto la massa di un nucleo di He è minore della massa di quattro nucleoni presi separatamente (di ∼ 24.7M eV ). La successione delle reazioni che portano alla produzione dell’elio prende il nome di catena protone-protone e consiste nelle reazioni mostrate in tabella 1.1. Tutti i rami della catena terminano con la produzione di 4 He. Ogni reazione richiede una temperatura e una pressione minima e quindi può avvenire solo entro una certa distanza dal 6 L’evoluzione stellare passa attraverso diverse fasi: formazione, sequenza principale, fase post-sequenza principale, fase finale. La fase finale può essere molto diversa a seconda della massa iniziale della stella; stelle con masse < 10M sono destinate a “soffiare” via gli strati più esterni e a formare una nana bianca, mentre stelle più massicce possono esplodere in supernove e dare origine a stelle di neutroni o, nei casi in cui la massa iniziale sia estremamente grande, a buchi neri. 14 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA 1a 1b 2 3a 3b 3c 4a 4b 5a 5b 6b p+p p + p + e− 2H + p 3 He +3 He 3 He +4 He 3 He + p 7 Be + p 7 Be + p 7 Li + p 8B 8B∗ → 2 H + e+ + νe → 2 H + νe → 3 He + γ → 4 He + 2p → 7 Be + γ → 4 He + e+ + νe → 7 Li + νe → 8B + γ → 2 · 4 He → 8 B ∗ + e+ νe → 2 · 4 He Tabella 1.1: La catena protone-protone: le lettere affiancate ad alcuni passi indicano reazioni in competizione tra loro che portano a rami differenti della catena. Ad esempio, la reazione 3a sarà seguita dalla 4a e dalla 5a. centro della stella. La catena protone-protone è il processo dominante per la produzione di energia in stelle nella sequenza principale. Alcune tra le reazioni della catena causano l’emissione di neutrini, grazie all’osservazione dei quali è stato possibile confermare l’ipotesi nucleare per il sostentamento energetico del nostro Sole (e delle altre stelle). Un meccanismo che porta alla formazione di 4 He, più efficiente della catena p-p per temperature ≥ 107 K, è il ciclo CNO (carbonio azoto ossigeno) riassunto in tabella 1.2 che avviene negli strati più interni della stella. 12 C +1 H 13 N 13 C 14 N +1 H +1 H 15 O 15 N +1 H → → → → → → 13 N +γ + e+ + νe 14 N + γ 15 O + γ 15 N + e+ + ν e 12 C +4 He 13 C Tabella 1.2: Il carbonio, l’azoto e l’ossigeno, da cui il ciclo CNO prende il nome, fungono da catalizzatori per le reazioni che producono i nuclei di elio. I prodotti di fusione, più pesanti, tendono ad accumularsi verso il nucleo della stella accrescendone la temperatura. Se la temperatura sale oltre i 108 K si innesca la fusione dell’elio, secondo la catena 3α (342 He →12 6 C + γ) 8 oppure con elementi più pesanti; oltre i 7 · 10 K si innesca la fusione del carbonio e oltre i 9 · 108 K quella dell’ossigeno (vedi tabelle 1.3 a 1.5). Le stelle sono, dunque, fornaci che producono nuclei atomici, leptoni, neutrini e radiazione elettromagnetica, particelle che, una volta liberate da fasi esplosive, possono percorrere distanze astronomiche e giungere sulla 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 15 Terra. Ovviamente, per un nucleo la probabilità di fuoriuscire dal campo gravitazionale della stella diminuisce drasticamente con il crescere della sua massa; infatti la quasi totalità di raggi cosmici carichi è costituita da nuclei di idrogeno (∼ 90%) e da nuclei di elio, sebbene siano stati osservati anche dei nuclei di ferro. 12 C +4 He 6 2 16 O +4 He 8 2 20 N e +4 He 10 2 → → → 16 O + γ 8 20 N e + γ 10 24 M g + γ 12 Tabella 1.3: Esempi di fusione dell’elio con elementi più pesanti, processi che competono con la catena 3α. 2 · 12 6 C → → → 20 N e +4 He + γ 10 2 23 N a +1 H + γ 11 1 23 M g + n 12 Tabella 1.4: Fusione del carbonio 2 · 16 8 O → → 28 Si +4 He + γ 14 2 31 P +1 H + γ 15 1 Tabella 1.5: Fusione dell’ossigeno. 16 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Meccanismo di Fermi L’idea dell’accelerazione stocastica delle particelle cariche fu sviluppata da Enrico Fermi negli anni ’30. Una particella con energia iniziale E0 incontra una nube massiva dotata di campi magnetici turbolenti. In prima approssimazione la particella può essere considerata quasi relativistica e di massa trascurabile e la nube di massa infinita e velocità vcl . Si supponga che la particella entri nella nube, subisca scattering multiplo all’interno della turbolenza magnetica e fuoriesca in direzione opposta e collineare a quella iniziale. Nel sistema di riferimento della nube: E0∗ = γcl (E0 + βcl p0 ) 2 )−1/2 . L’interazione con il campo magnetico con βcl = vccl e γcl = (1 − βcl all’interno della nube sarà completamente elastica, e la direzione della velocità invertita. L’energia della particella in uscita rispetto a un osservatore esterno sarà: 2 E1 = γcl (E0∗ + βcl p20 ) = E0 · γcl (1 + βcl )2 il che implica un guadagno relativo ∆E E1 − E0 2 = = γcl (1 + βcl )2 − 1 E E0 proporzionale alla velocità della nube. Il guadagno dipende fortemente dall’angolo tra la direzione d’entrata e la direzione d’uscita e la velocità della nube: una particella che attraversasse completamente la nube, ad esempio, non subirebbe la minima accelerazione, anzi, in alcuni casi potrebbe verificarsi una decelerazione. La direzione assunta all’interno della nube è completamente isotropa (< cosθ2 >= 0), la direzione di ingresso dipende dalla direzione di spostamento della nube e < cosθ1 >= −β/3, quindi il 2 . Dopo n interazioni guadagno medio per interazione con nube è ξ ' 34 βcl (per semplicità con nubi aventi la stessa β) l’energia della particella sarà: En = E0 (1 + ξ)n Durante ogni interazione, la particella può uscire dalla regione occupata dalla nube magnetica e la probabilità che ciò avvenga viene indicata con Pesc . La probabilità che la particella abbia raggiunto al momento dell’uscita un’energia pari a En è (1−Pesc )n . Il numero di particelle accelerate a energie ≥ En è proporzionale al numero di particelle che restano nella regione di accelerazione per più di n interazioni con le nubi: N (> En ) = N0 ∞ X (1 − Pesc ) n m En ∝A E0 −γ con γ ' Pesc ξ . L’accelerazione stocastica genera spettri energetici secondo 2. una legge di potenza con indice proporzionale a βcl 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 17 Il guadagno medio per unità di tempo è: dE c ξE = νenc ∆E = dt λenc solitamente λenc non è più breve di 1pc. Accelerazione per onda d’urto Durante l’esplosione di una supernova, il gas si sposta a velocità vR maggiore rispetto a quella del suono nel mezzo interstellare. L’onda d’urto attraversa il gas in espansione con velocità vS che dipende da vR e dal rapporto tra l’energia termica del mezzo perturbato dall’onda e il mezzo imperturbato. In caso di mezzo interstellare ionizzato, la velocità con cui si propaga l’onda d’urto è vS ' 4/3vR . Se il raggio dell’onda d’urto è molto maggiore rispetto al raggio di girazione7 delle particelle cariche presenti, l’onda può esser considerata piana per gli scopi riguardanti l’accelerazione di particelle. Nel sistema di riferimento dell’onda, il mezzo interstellare ancora imperturbato fluisce dentro di essa con velocità v1 = vS e la materia attraversata dall’onda ne fuoriesce con velocità v2 < v1 . Il gas di particelle cariche contenuto nel mezzo interstellare attraversa l’onda d’urto; una frazione di particelle l’attraversa completamente e finisce nel residuo perturbato, ma una parte scattera all’indietro e esce dall’onda in direzione del mezzo interstellare dove, nuovamente possono interagire con il fronte d’onda e subire cosı̀ una serie di accelerazioni successive. L’accelerazione per onda d’urto è molto più rapida del meccanismo originale proposto da Fermi. Il guadagno energetico è proporzionale a β, non più a β 2 (accelerazione al second’ordine). Inoltre, la velocità dell’onda d’urto prodotta da una supernova è molto maggiore della velocità media delle nubi di gas presenti nel mezzo interstellare. Questo meccanismo è diversi ordini di grandezza più efficiente di quello di Fermi. L’energia massima che una particella relativistica (E = pc) può raggiungere è: v1 Emax = ZeBrS c 1.3.2 Processi di produzione di radiazione elettromagnetica La radiazione elettromagnetica può essere di tipo termico o non termico. Gli oggetti più caldi dell’universo (ad esempio i dischi di accrescimento intorno a stelle compatte) sono in grado di generare radiazione con energia fino alla decina di KeV, di vari ordini di grandezza inferiore al dominio VHE: è evidente che i processi di produzione coinvolti sono di tipo non termico. I principali processi di produzione di γ ad alta energia sono: 7 Raggio di girazione: rg = pc ZeB , dove Z è la carica elettrica della particella accelerata. 18 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA 1. Bremsstrahlung 2. Radiazione di sincrotrone 3. Effetto Compton inverso (ICE) 4. Decadimento di pioni neutri Bremmsstrahlung La bremsstrahlung (radiazione di frenamento) consiste nell’emissione di un fotone da parte di una particella carica decelerata da un campo elettrostatico, come può essere quello di un nucleo atomico. La perdita di energia segue la legge di Bethe-Heither: ( dE E )=− dx X0 2 dove X0 è la lunghezza di radiazione (X0 ∝ ZA · ρ cm−1 ). L’energia Eγ del fotone emesso è uguale alla perdita di energia della particella carica. Se lo spettro energetico degli elettroni primari (particelle più pesanti come protoni subiscono decelerazioni molto meno consistenti) segue una legge di potenza (ad esempio con indice α) anche lo spettro dei fotoni emessi seguirà una legge di potenza: Nγ (Eγ ) ∝ Eγ−β con β ≡ α . Figura 1.3: Rappresentazione schematica dell’emissione di radiazione di frenamento. 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 19 Figura 1.4: Rappresentazione schematica dell’emissione di radiazione di sincrotrone. Radiazione di sincrotrone Un elettrone in moto in un campo magnetico risente della forza di Lorentz, e la sua traiettoria acquista un andamento elicoidale con frequenza di girazione data da: νg = eB γmc che non dipende dall’angolo θ formato dal vettore velocità dell’elettrone ~ L’accelerazione cui è sottoposta la particella care il campo magnetico B. ica causa l’emissione di fotoni lo spettro dei quali presenta un picco alla frequenza: ν= 3eBγ 2 4πmc · sinθ dove γ, in questo caso, è il fattore di Lorentz. I fotoni di sincrotrone prodotti nel campo magnetico interstellare (qualche µG) appartengono perloppiù all’intervallo delle onde radio. Condizioni estreme di campo magnetico (ad esempio in prossimità di stelle di neutroni che sviluppano campi magnetici fino a 1015 G) ed energia degli elettroni possono generare fotoni fino alle frequenze γ. La nebulosa e la pulsar del Granchio sono due delle sorgenti meglio studiate negli ultimi anni e la radiazione di sincrotrone spiega bene lo spettro di emissione fino a qualche centinaio di MeV. Di nuovo, se lo spettro energetico degli elettroni primari segue una legge di potenza, anche lo spettro dei fotoni emessi seguirà una legge di potenza, in questo caso con indice diverso: Nγ (Eγ ) ∝ Eγ−β con β = (α + 1)/2 . 20 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Effetto Compton Inverso L’effetto Compton inverso (ICE) consiste nell’interazione tra un elettrone altamente energetico con un fotone di bassa energia e ha come risultato l’emissione di un fotone di alta energia. Se l’energia del fotone primario è Eγ ≤ me c2 , la perdita di energia per l’elettrone è: dE 4 = σT · c · Urad · β 2 γ 2 dt 3 dove σT è la sezione d’urto di Thomson, Urad è la densità di energia del v campo di radiazione, β = ec− , e γ è il fattore di Lorentz. Lo spettro emesso è continuo e l’energia massima, che corrisponde alla situazione di urto “frontale”, è Emax ∼ 4γ 2 Ee− . In regime Thomson, l’energia caratteristica del fotone emesso è grande, tuttavia corrisponde a una piccola frazione dell’energia dell’elettrone incidente. In regime Klein-Nishina, cioè nel caso di elettroni e fotoni ultrarelativistici (Eγ Ee (me c2 )2 ) il fotone emesso porta con sé gran parte dell’energia dell’elettrone e la sezione d’urto diminuisce rapidamente. Per quanto riguarda gli indici spettrali, se l’indice degli elettroni è α, l’indice dei fotoni sarà β = (α+1)/2 in regime Thomson e β = α+1 al limite di Klein-Nishina. L’ICE è rilevante quando è presente un’elevata densità di radiazione ambientale. Una conseguenza dell’ICE può essere il processo Synchrotron Self Compton (SSC), che si verifica quando un fotone emesso per radiazione di sincrotrone fa ICE con l’elettrone che l’ha generato. La natura SSC dell’emissione VHE della nebulosa del Granchio è stata dimostrata (vedi figura 1.6) comparando il campo magnetico medio < BCrab > ricavato da osservazioni nel range dei TeV con quello calcolato dalla separazione spettrale tra la componente radio e quella ottica [4]. Figura 1.5: Rappresentazione schematica dell’effetto Compton inverso. 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 21 Figura 1.6: La nebulosa del Granchio è uno degli oggetti celesti meglio studiati in tutte le lunghezze d’onda accessibili. La componente di bassa energia (10−12 ÷102 M eV )è attribuibile alla radiazione di sincrotrone mentre quella più energetica (102 ÷ 108 M eV ) all’effetto Compton inverso. 22 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Decadimento di pioni neutri Le interazioni tra adroni e nuclei della materia producono stati eccitati che portano all’emissione di pioni (π + , π − , π 0 ): pp → N N π + π − π 0 dove N può essere un protone o un neutrone. I pioni carichi decadono debolmente in leptoni, mentre il π 0 decade in un tempo estremamente breve (τ = 8.4 · 10−17 s) in una coppia di fotoni (π 0 → γγ). Dato l’indice spettrale α per i protoni, quello della radiazione risultante è β = 43 (α − 21 ). 1.3.3 Sorgenti interstellari e intergalattiche Visti i diversi meccanismi di produzione, vediamo ora una breve carrellata degli ambienti astrofisici (sorgenti) in cui i sopracitati meccanismi trovano applicazione e producono raggi cosmici. Supernove Le supernove sono la fase esplosiva terminale di stelle molto massive ( > 2M ) al termine del loro ciclo vitale. Sono caratterizzate da un inviluppo di gas in rapida espansione (10000 ÷ 20000 ms−1 ) e in pochi giorni sono in grado di aumentare la propria luminosità di 20 magnitudini (che in termini di potenza emessa significa un fattore dell’ordine del centinaio di milioni). Dopo aver raggiunto un picco di luminosità la stella diventa invisibile nel giro di qualche giorno. Durante le fasi di crescita della curva di luce sono state osservate emissioni nei raggi X e γ. Esistono due classi di supernove: supernove di tipo I (SN I) e supernove di tipo II (SN II), caratterizzate da curve di luce e magnitudini massime differenti. Le SN I sono caratterizzate dall’assenza delle righe spettrali dell’idrogeno e raggiungono una magnitudine più elevata. La curva di luminosità in fase calante è regolare, quasi esponenziale. Le SN II presentano, invece, una caduta di luminosità più irregolare e hanno un massimo più debole. Il loro spettro presenta righe di idrogeno e metalli. Esistono distinzioni più raffinate: le supernove della sottoclasse SN Ia, ad esempio, presentano una riga del Si molto piccata, mentre SN Ib e SN Ic si distinguono rispettivamente per la presenza o l’assenza delle righe dell’elio. Le sottoclassi delle SN II si distinguono in base allo spettro: le SN II-L (lineari) hanno una caduta di luminosità lineare mentre le SN II-P (plateau) mostrano un plateau compreso tra il trentesimo e l’ottantesimo giorno dopo il massimo. I diversi tipi di supernova sono dovuti a diversi meccanismi che modulano la luminosità. Le figure 1.7 e 1.8 riportano le tipiche curve di luminosità 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 23 relative ai tipi di supernova. L’associazione con l’oggetto originario prima dell’esplosione mostra che le SN I corrispondono a stelle vecchie di massa < 4M e le SN II a stelle giovani di grande massa. Le SN II risultano dal collasso interno e dalla conseguente esplosione di stelle con M > 9M ; anche per le SN Ib e SN Ic si pensa a collasso di stelle massicce. Per quanto riguarda le SN Ia, il modello più accreditato prevede una nana bianca la cui massa sia vicina al limite di Chandrasekhar 8 in un sistema binario che sottrae materiale alla stella compagna. In questo modo la sua massa aumenta e la temperatura cresce fino a innescare la fusione del carbonio. Entro pochi secondi dall’inizio della fusione, la reazione rilascia un’energia (∼ 1044 J) sufficiente a disgregare la stella in maniera esplosiva. Figura 1.7: Curve di luce tipiche di supernove SN I e SN II. Residui di supernova Quando una stella molto massiccia giunge al termine della propria vita, può esplodere in una supernova. Quando ciò avviene il nucleo collassa gravitazionalmente in una stella di neutroni o, se la stella era estremamente massiccia, in un buco nero e gli strati esterni vengono proiettati a grande velocità nello spazio circostante. Il materiale espulso spazza e scalda il gas già presente nei dintorni della stella e insieme a tutto ciò che raccoglie attraverso il mezzo interstellare (ρ ∼ 1 atomo · cm−3 ) forma il residuo di 8 MCh ' 1.44M , rappresenta la massa massima che può essere supportata dalla pressione degli elettroni degeneri. Una volta superata questo limite la stella collassa. Durante la sequenza principale la pressione interna della stella contrasta la contrazione gravitazionale; una volta terminato il combustibile se la massa è minore della massa di Chandrasekhar, la stella diventa una nana bianca stabile, altrimenti collassa. 24 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Figura 1.8: Curve di luce di supernove SN II-L e SN II-P. 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 25 Figura 1.9: La supernova 1987a è una supernova di classe SN II esplosa circa 68000 anni fa ed è stata vista dalla Terra a partire dal 23 febbraio 1987. E’ situata nella Grande Nube di Magellano, galassia satellite della Via Lattea. E’ la supernova più vicina studiata dalla scienza moderna, e ha permesso di confermare le teorie sulla fase finale delle stelle massicce mediante le misure di emissione neutrinica. supernova 9 (SNR) che si presenta come una superficie piuttosto sottile (su scala astronomica) in espansione al cui interno è racchiusa una regione a bassa densità di materia (vedi figura 1.9, la supernova SN1987a). Si pensa che i residui di supernova siano l’acceleratore di raggi cosmici fino al cosiddetto ginocchio dello spettro (energie dell’ordine di 1015 eV ); l’onda d’urto, infatti, può accelerare particelle mediante un meccanismo noto come Diffusive Shock Acceleration (DSA), uno sviluppo al prim’ordine del meccanismo di Fermi10 . Il DSA genera uno spettro esponenziale con indice −2 che è consistente con quello osservato sulla Terra (∼ 2.7), tenendo conto del percorso attraverso la galassia. Tuttavia lo spettro VHE finora osservato da SNR shell-type 11 può essere spiegato mediante modelli puramente leptonici, senza evidenti coinvolgimenti di adroni accelerati. Nella Via Lattea sono stati rivelati oltre 150 residui di supernova, soprattutto nella banda delle onde radio, che risentono meno dell’estinzione (si veda ad esempio la Nebulosa del Granchio nelle figure 1.10 e 1.11). Si crede 9 Questo processo si svolge su scale temporali molto lunghe: è stato calcolato che 10M di materiale con una velocità media di 5000km/s impiegherebbero 103 anni per spazzare una pari massa di materiale interstellare [5]. 10 Cfr. §1.3.1. 11 Gli SNR sono classificati come Plerioni se la stella genitrice diventa una pulsar, oppure shell-type se gli strati esterni formano un alone approssimativamente sferico. 26 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA che i residui di supernova siano degli ottimi acceleratori di raggi cosmici in quanto una parte dell’energia cinetica del gas in espansione potrebbe essere spesa per accelerare particelle atomiche e subatomiche, dal momento che possiedono campi magnetici più intensi del mezzo interstellare circostante. Figura 1.10: La nebulosa del Granchio, ripresa dall’Hubble Space Telescope, dista 6500 anni luce. Le sue emissioni fino ai raggi X (polarizzate e non termiche) sono causate dalla radiazione di sincrotrone. Pulsar Una pulsar è una stella di neutroni in rapida rotazione con periodi che vanno da pochi millisecondi fino a qualche decina di secondi e dotate di un forte campo magnetico il cui asse non coincide con l’asse di rotazione (altrimenti non si osserverebbe l’emissione pulsata di onde radio e raggi X da cui prende il nome questo tipo di stella). Il campo elettrico in prossimità della superficie V può raggiungere i 1012 cm e variando cosı̀ rapidamente è in grado di accelerare a energie ultrarelativistiche le particelle cariche portando alla creazione di cascate e+ e− e di un fascio di radiazione molto esteso. Sebbene a energie del TeV non si sia ancora osservata emissione pulsata, radiazione VHE non pulsata è stata osservata da tre plerioni (Nebulosa del Granchio, Vela, PSR 1706-44) ed è spiegabile mediante il processo SSC. 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 27 Figura 1.11: Il resto di supernova Nebulosa del Granchio osservato a diverse frequenze. La mappa nei raggi X si riferisce alla zona centrale ed è legata all’attività della pulsar. Nuclei galattici attivi Come nucleo galattico attivo (AGN) si intende una regione molto compatta e luminosa su tutto lo spettro elettromagnetico situata al centro di una galassia (vedi schema in figura 1.12). Gli AGN sono anche caratterizzati da ampie variazioni di luminosità su scale temporali che vanno dalle poche ore a diversi anni. Oggetti celesti come quasar, blazar, radiogalassie e galassie di Seyfert sono stati scoperti come oggetti differenti ma successivamente è stato ipotizzato un modello unificato che li classifica tutti come AGN. Nel centro si trova un buco nero supermassivo (106 ÷ 109 M ) circondato da un sottile strato di plasma (il disco di accrescimento) che emette radiazione termica piccata nei raggi X e da una nube in rapido movimento che produce radiazione ottica e UV. Un toroide di gas e polvere può oscurare lungo alcune linee di vista l’emissione delle nubi in modo che solamente le linee di emissione più strette, prodotte dalle nubi più lente esterne al toroide siano visibili. Alcuni nuclei galattici presentano un getto di materia collimato ortogonale al disco di accrescimento. A seconda dell’angolo tra il getto e l’osservatore gli AGN manifestano caratteristiche molto differenti, da cui l’originale interpretazione come oggetti diversi di AGN semplicemente visti da angolazioni diverse. 28 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Figura 1.12: Rappresentazione schematica di un nucleo galattico attivo. Figura 1.13: Oggetti apparentemente molto diversi sono riconducibili al modello unificato dei nuclei galattici attivi. 1.3. ORIGINE DEI RAGGI COSMICI E DEI RAGGI γ 29 Figura 1.14: La galassia M87 nella costellazione della Vergine, ripresa dall’Hubble Space Telescope, dista ∼ 52 · 106 anni luce e contiene uno dei nuclei galattici attivi più vicini alla Terra, classificato come radiogalassia. Il getto è molto ben visibile e si estende per più di 5000 anni luce. 30 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Gamma Ray Burst I Gamma Ray Bursts o GBR (lampi gamma) sono fenomeni non infrequenti e tuttavia alquanto misteriosi. Si manifestano come lampi di fotoni γ molto intensi con energie comprese tra 100KeV e 1M eV (in taluni casi anche 1GeV ) e di breve durata. La prima osservazione risale al 1967 quando un satellite militare americano registrò un’emissione non proveniente dalla Terra. L’esperimento BATSE [25] permise di escluderne la provenienza galattica e da ciclo stellare, avendo osservato per i GBR una distribuzione isotropa. La conferma dell’origine cosmica dei GBR fu data dal satellite italo-olandese BeppoSAX [26], che captò in corrispondenza dei lampi un afterglow. L’afterglow è un’emissione in frequenze diverse da quelle tipiche, ad esempio nei raggi X, nel visibile o nelle onde radio. Proprio da misure di redshift 12 nell’afterglow con frequenze nel visibile si è capita l’origine cosmica dei GBR. Sempre l’afterglow ha permesso di migliorare la risoluzione angolare e quindi le misure sulla direzione di provenienza. E’ chiaro quindi che sono coinvolti fenomeni in grado di liberare grandi quantità di energia in piccoli volumi e in brevi intervalli di tempo. Il modello finora più accreditato è quello della fireball, che prevede un espansione di particelle relativistiche nel mezzo circostante. Alcuni modelli di fireball prevedono emissioni γ a energie comprese tra i T eV e i GeV e osservazioni in questo range aiuterebbero a capire meglio i meccanismi di produzione dei lampi γ. 1.4 La mappa delle sorgenti γ Le prime informazioni sui raggi γ vennero fornite dal Second Small Astronomy Satellite (SAS-II). Le sue osservazioni mostrarono una forte correlazione tra gli eccessi di eventi rivelati alle basse latitudini galattiche e la struttura della Galassia stessa; inoltre rivelò emissione γ da tre pulsar (Pulsar del Granchio, Vela e Geminga). Successivamente il satellite COS-B, operativo dal 1975 al 1982, produsse la prima mappa delle sorgenti alla scala dei GeV che includeva anche la prima sorgente extragalattica (AGN 3C273) [6]. Il catalogo di sorgenti al GeV più completo venne stilato grazie al rivelatore EGRET montato sul Compton Gamma Ray Observatory, che ha terminato la propria missione nel 2000. Esso contiene 80 sorgenti nel piano galattico, di cui 5 pulsar, un brillamento solare e 74 sorgenti non identificate; le sorgenti al di fuori del piano galattico includono una radio galassia (Cen A), una galassia ordinaria (la Grande Nube di Magellano), 27 possibili nuclei galattici attivi, 66 possibili blazar e 96 sorgenti non identificate. A causa dei flussi molto ridotti, per molto tempo non si è riusciti a indicare con precisione le sorgenti dei fotoni VHE; soltanto nel 1989, la collaborazione di 12 E’ stato misurato il redshift di 20 GBR, per 18 dei quali è z ≥ 0.5. 1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ 31 Whipple comunicò la scoperta della prima sorgente nota di radiazione VHE: la Nebulosa del Granchio. L’apparato dell’HESS 13 (High Energy Stereoscopic System) permise, negli anni successivi, di scrutare a fondo la zona centrale della nostra galassia (a latitudini galattiche comprese tra −2◦ , 2◦ e longitudini comprese tra −30◦ , 30◦ ) e di scoprire altre 14 sorgenti VHE, alcune delle quali sono state associate a residui di supernova o pulsar già identificati nel range dei raggi X o delle onde radio. Tre di queste sorgenti sono compatibili con oggetti non identificati del catalogo EGRET. Figura 1.15: Le sorgenti VHE ad oggi conosciute. 1.5 Rivelazione di raggi γ Questo lavoro di tesi ha riguardato l’astronomia γ sperimentale: un maggior peso viene dato alla rivelazione della radiazione elettromagnetica piuttosto che della componente carica. Durante il viaggio dalla sorgente all’osservatore, i raggi γ possono interagire con la radiazione cosmica di fondo14 . Per una corretta stima dello spettro alla sorgente è necessario tener conto anche dell’assorbimento medio dei fotoni nel mezzo interstellare. La sezione d’urto per questo assorbimento 13 L’HESS è situato in Namibia, nei pressi del Monte Gamsberg. L’interazione con il mezzo interstellare (ρ ∼ 1 atomo cm−3 ) e con il mezzo intergalattico (ρ ∼ 10−5 atomi cm−3 ) è trascurabile. Considerando una distanza interstellare tipica di 104 anni luce o una distanza intergalattica di 108 anni luce, la quantità di materia incontrata corrisponde a meno di una lunghezza di radiazione. 14 32 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA presenta un massimo quando Eγ hν(1 − cosθ) ∼ 2(me c2 )2 dove Eγ è l’energia del fotone γ, hν è l’energia del fotone di fondo e θ è l’angolo tra i due. L’assorbimento comincia a farsi importante per γ con energie dell’ordine del P eV . I fotoni che sopravvivono, possono essere rivelati con tecniche diverse a seconda della loro energia. 1.5.1 Rivelatori su satellite Nella regione del GeV le osservazioni necessitano di apparecchiature collocate al di fuori dell’atmosfera, a causa dell’opacità che essa presenta nei confronti delle energie in gioco15 . Inoltre non è possibile utilizzare espedienti simili all’ottica dei normali telescopi per migliorare l’area di raccolta dei fotoni, poiché i raggi γ non possono subire riflessione (la loro lunghezza d’onda è circa tre ordini di grandezza inferiore alle tipiche distanze cui gli atomi si dispongono in un solido). Le tecniche di rivelazione dovranno quindi basarsi sui principali processi d’interazione dei fotoni γ con la materia nella regione energetica di interesse, cioè l’effetto fotoelettrico (E ≤ 0.3M eV ), l’effetto Compton (0.3M eV < E < 30M eV ) e la produzione di coppie e+ e− (E ≥ 30M eV )16 . Se si considera il range HE il processo dominante sarà dunque la produzione di coppie. Un telescopio convertitore su satellite è costituito tipicamente da tre componenti fondamentali: un tracciatore, un calorimetro e un’anticoincidenza. Il fotone in ingresso interagisce con uno degli strati di conversione ad alto Z e dalle tracce dell’elettrone e del positrone è possibile ricostruire la direzione di arrivo (con risoluzioni ≤ 1◦ ). Nel calorimetro si sviluppa una cascata elettromagnetica che permette di risalire all’energia del fotone primario, mentre l’anticoincidenza permette di identificare e rigettare il fondo generato da raggi cosmici carichi. L’area efficace del rivelatore dipende dall’efficienza di rivelazione ed è funzione dell’energia: Aef f (E) = N Φ(E)T dove N è il numero di eventi registrati e Φ(E) è il flusso di fotoni di energia E in un tempo T . 1.5.2 Rivelatori al suolo Oltre il centinaio di GeV , la sensitività (capacità di distinguere tra eventi generati da diverse specie) degli apparati su satellite cala drasticamente a 15 16 A livello del mare, lo spessore dell’atmosfera equivale a 28 lunghezze di radiazione. Per una descrizione approfondita di questi processi si rimanda al §2.1. 1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ 33 causa della rapida diminuzione del flusso γ con l’energia e dall’incapacità di effettuare corrette misure calorimetriche; osservazioni dirette diventano, quindi, impossibili. La sola via possibile è quella delle osservazioni indirette, caratterizzate dall’osservazione dei prodotti dell’interazione γ primario-atmosfera. Le tipologie più diffuse sono: gli array di rivelatori a copertura totale (es. ARGOYBJ 17 , MILAGRO [38]) o a campionamento (AUGER [36]) che rilevano la componente carica delle cascate in atmosfera, i telescopi Čerenkov (WHIPPLE [39], HESS [40])che osservano la luce Čerenkov che le particelle cariche in moto superluminale emettono nell’atmosfera, e i rivelatori a fluorescenza che rivelano la luce di fluorescenza emessa isotropicamente dalla cascata. A conclusione di questo capitolo, viene proposta una rapida carrellata dei diversi tipi di rivelatori utilizzati al suolo. Imaging Atmospheric Čerenkov Telescopes (IACT) Un telescopio Čerenkov è costituito da uno o più specchi sferici o parabolici che focalizzano la luce Čerenkov su una camera di fotomoltiplicatori situata sul piano focale (vedi figure 1.16 e 1.17). Siccome il segnale è molto tenue, gli IACT possono lavorare solo nelle notti buie e senza luna con un duty cycle 18 basso (< 20%); in aggiunta il campo di vista è molto piccolo (2◦ ÷ 4◦ ). Nonostante ciò, a partire dagli anni ’80, questi strumenti vengono utilizzati regolarmente nell’astronomia γ dal suolo, poiché M. Hillas sviluppò un metodo molto efficace per discriminare gli sciami atmosferici originati da adroni, metodo che permise alla collaborazione di Whipple 19 di identificare la Nebulosa del Granchio come sorgente di radiazione nel range del T eV e misurarne lo spettro. Altre caratteristiche che giustificano l’utilizzo degli IACT sono la bassa energia di soglia (≤ 60GeV ) e la risoluzione energetica che, dal 30 ÷ 40% del singolo telescopio, scende fino al 10% per telescopi usati in coincidenza. Inoltre gli array di IACT sono in grado di individuare la fonte con maggior precisione mediante misure stereoscopiche: di un’immagine raccolta da un singolo telescopio si può dedurre che il punto di origine dello sciame giace lungo una retta passante per un punto qualsiasi dell’immagine fornita dai fotomoltiplicatori, mentre se si utilizzano più telescopi, essi mostreranno l’immagine ripresa da angolazioni differenti e la sorgente potrà essere localizzata dall’intersezione delle diverse rette. 17 Una descrizione dettagliata dell’esperimento ARGO-YBJ verrà presentata nel capitolo 3. 18 Il duty cycle è il rapporto tra il tempo in cui lo strumento raccoglie dati e il tempo totale che la sorgente trascorre nel campo di vista dello strumento stesso. 19 Fred Lawrence Whipple Observatory, Tucson, Arizona, U.S.A. 34 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Figura 1.16: Telescopio del Fred Lawrence Whipple Observatory. Sono ben visibili lo specchio composito e la camera di fotomoltiplicatori. Figura 1.17: Schema di un array di telescopi Čerenkov. 1.5. RIVELAZIONE DI RAGGI γ 35 EAS arrays Come EAS array si intende un insieme di unità di rivelazione (in genere scintillatori) dislocati su superfici molto estese. L’estensione della superficie, la quota, e le caratteristiche del rivelatore determinano il range di energia coperto dall’esperimento. Le energie di soglia vanno dalle decine di T eV per array a campionamento situati a livello del mare fino a qualche T eV per gli array in alta quota o anche meno per gli esperimenti a copertura totale. Gli array di rivelatori sono essenzialmente di due tipi: a campionamento e a copertura totale. Le tecniche di rivelazione oggi utilizzate negli array a copertura totale sono diverse: RPC 20 (Resistive Plate Counters) oppure array di fototubi immersi in acqua per rivelare le particelle dell’EAS mediante la luce Čerenkov (MILAGRO [38]). La copertura totale comporta superfici attive molto più grandi e continue, quindi soglie in energia più basse. La direzione di provenienza viene determinata dai tempi di volo delle singole particelle cariche. La risoluzione angolare è meno precisa rispetto a quella tipica degli IACT, ma con tre vantaggi notevoli: un campo di vista estremamente ampio, misure continue anche di giorno con qualsiasi condizione meteo e un duty cycle che, in linea di principio, può arrivare al 100% (tipicamente ≥ 90%). Ciò implica che un array può scrutare il cielo continuamente e può studiare sorgenti estese o transitorie e identificarne di nuove. Nel sito di Yang Ba Jing (Tibet, Cina) sono presenti le due tipologie di esperimento: ARGO-YBJ e Tibet AS-γ. Una coppia di immagini del sito in questione e dei laboratori è mostrata nelle figure 1.18 e 1.19. 20 Per una descrizione accurata delle RPC si veda il capitolo 3. 36 CAPITOLO 1. RAGGI COSMICI E ASTRONOMIA GAMMA Figura 1.18: Una vista dall’alto dell’esperimento Tibet AS-γ, che mostra le unità di rivelazione dislocate su una superficie, tutto sommato, limitata. In secondo piano si può notare il capannone che ospita l’esperimento a copertura totale ARGO-YBJ, che occupa un’area decisamente inferiore ma presenta un’area attiva pari al ∼ 93%. Figura 1.19: Il tappeto di resistive plate counters di ARGO-YBJ. Capitolo 2 Extensive Air Shower Come già detto, i raggi cosmici sono particelle di origine extraterrestre, in genere fotoni, protoni, particelle alfa, o nuclei più pesanti. Questo tipo di radiazione interagisce con i nuclei dei gas che compongono la nostra atmosfera generando (in base all’energia e al tipo di primario) una cascata di particelle secondarie che possono giungere fino al suolo propagandosi in atmosfera o creare particelle a loro volta, attraverso diversi meccanismi. Ciascuna di esse porta con sè una frazione di energia della particella genitrice. Quando l’energia scende al di sotto della soglia per la produzione, si ferma la generazione e la cascata verrà riassorbita. Con il termine Extensive Air Shower (EAS ) è comunemente indicato il processo di cascata. Lo sviluppo dell’EAS presenterà, dunque, un massimo situato ad una quota che dipende dalla posizione della prima interazione, dall’energia e dal tipo di primario. In questo capitolo verranno descritti brevemente i processi che portano alla formazione della cascata. L’osservazione e la misura delle particelle ad una definita quota di osservazione costituiscono una misura indiretta della radiazione primaria. 2.1 Meccanismi di formazione e di assorbimento La perdita di energia nell’attraversamento dell’atmosfera e parallelamente la generazione di particelle secondarie sono la base del processo di formazione dello sciame. Il tipo di fenomeno che si verifica dipende dal tipo di particella, dalla sua energia e dal materiale in cui interagisce. I fotoni di alta energia perdono energia nella materia essenzialmente in tre modi: per effetto fotoelettrico, per effetto Compton e per produzione di coppie elettrone-positrone. Le particelle cariche, invece, perdono energia per ionizzazione e bremsstrahlung (radiazione di frenamento); inoltre adroni altamente energetici, interagendo con i nuclei (costituiti anch’essi da adroni), possono dar luogo all’adronizzazione, ossia alla produzione di adroni leggeri quali pioni e kaoni. 37 38 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER Figura 2.1: Rappresentazione schematica di un EAS. La figura 2.1 mostra schematicamente la formazione di un EAS in atmosfera, cioè la generazione di una cascata di particelle in grado di arrivare al suolo. Di seguito viene esposto un breve elenco dei processi fisici relativi alla componente carica e fotonica dello sciame. 2.1.1 Processi a carico della componente fotonica (γ) La radiazione puramente elettromagnetica interagisce con la materia essenzialmente in tre modi (a seconda del range di energia): l’effetto fotoelettrico, l’effetto Compton e la produzione di coppie elettrone positrone. L’effetto fotoelettrico L’effetto fotoelettrico è un fenomeno di assorbimento di un fotone da parte di un elettrone. Per la conservazione dell’impulso, si può verficare solamente in presenza di un terzo interagente (il nucleo atomico, nel caso di elettroni legati). Se l’energia del fotone è maggiore dell’energia di legame dell’elettrone, questo viene estratto con energia cinetica pari alla differenza tra le due: Te− = hν − W La sezione d’urto per assorbimento di un fotone di energia Eγ = hν da parte di un elettrone è data dall’approssimazione non relativistica di Born: σph = me c2 hν !7 2 α4 Z 5 σTe h 2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO 39 dove σT h è la sezione d’urto di Thomson per scattering elastico di fotoni su elettroni. Nel caso in cui l’effetto fotoelettrico avvenga per un elettrone di un orbitale interno, possono verficarsi effetti secondari: un elettrone delle shell superiori scende a colmare la lacuna emettendo sotto forma di raggi X la differenza di energia tra i due orbitali; questo fotone, a sua volta, può dar luogo all’effetto fotoelettrico. Il processo in questione prende il nome di effetto Auger. I fotoelettroni si distinguono dagli elettroni Auger in quanto gli ultimi si manifestano con energie molto minori. Figura 2.2: Rappresentazione schematica dell’effetto fotoelettrico. L’effetto Compton L’effetto Compton, al contrario dell’effetto fotoelettrico, consiste nello scattering tra fotoni ed elettroni liberi. Se l’energia del γ è molto più grande dell’energia di legame di un elettrone atomico, questo può essere considerato libero e subire effetto Compton. La sezione d’urto per effetto Compton è data dalla formula di KleinNishina: σC = 2πre 1+γ γ2 3+γ 1 + 2γ ln(1 + 2γ) ln(1 + 2γ) 1 + 3γ − + − γ 2γ (1 + 2γ)2 con γ = hν/me c2 e re raggio classico dell’elettrone. Imponendo la conservazione del quadrimpulso, si ricava l’energia del fotone diffuso: Eγ Eγ0 = 1 + γ(1 − cosθ) La produzione di coppie Se l’energia di un fotone supera di almeno due volte la massa a riposo dell’elettrone (me = 0.51M eV ), il fotone può creare una coppia elettronepositrone: Eγ ≥ 2me c2 Il processo deve verificarsi in prossimità di un nucleo che fornisca un fotone virtuale per rispettare la conservazione dell’impulso. A basse energie, i fotoni per produrre coppie devono avvicinarsi al nucleo e 40 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER Figura 2.3: Rappresentazione schematica dell’effetto Compton. Figura 2.4: Andamento della sezione d’urto per assorbimento di fotoni nella materia. Alle basse energie si distingue la struttura a picchi tipica dell’effetto fotoelettrico dovuta all’entrata in gioco di orbitali successivi. Alle medie energie si osserva una piccola zona in cui domina l’effetto Compton; questa zona è tanto più piccola quanto maggiore è il numero atomico del materiale in cui avviene l’assorbimento dei fotoni. Infine, alle alte energie, l’unico processo che si verifica è la produzione di coppie. 2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO 41 quindi ne vedono la carica “nuda”, invece i fotoni più energetici che interagiscono a distanze maggiori vedono la carica elettrica del nucleo parzialmente schermata da quella degli elettroni. Alle alte energie la produzione di coppie diventa il processo dominante per l’assorbimento dei fotoni da parte di un materiale e l’andamento della sezione d’urto tende a diventare indipendente dall’energia del fotone: 7 A 1 · 9 NA X0 dove si vede che permane la dipendenza dal materiale, contenuta nel numero di massa e nella lunghezza di radiazione X0 . La partizione dell’energia tra elettrone e positrone è simmetrica alle basse e medie energie, mentre col crescere dell’energia diventa fortemente asimmetrica. σpair ∼ Figura 2.5: Rappresentazione schematica della produzione di coppie e+ e− . 2.1.2 Processi tipici per la componente carica (h) Le particelle cariche e massive cedono energia al materiale che attraversano in diversi modi, a seconda dell’energia e del materiale stesso. Eccitazione e ionizzazione Una particella carica che si muove in un mezzo cede parte della propria energia agli elettroni legati degli atomi, portandoli ad uno stato eccitato. L’atomo torna, successivamente, al suo stato fondamentale emettendo un fotone di bassa energia: q ± + atomo → atomo∗ + q ± → atomo + γ + q ± Se la cessione di energia supera l’energia di legame dell’elettrone ha luogo la ionizzazione. L’energia massima che una particella può cedere dipende dalla sua massa e dal suo impulso; una particella relativistica di massa a riposo m0 può cedere ad un elettrone atomico sotto forma di energia cinetica: Emax = 2 Etot Etot + m20 c2 /2me 42 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER La perdita di energia nello spessore di materiale segue la legge di BetheBloch: " 2me c2 γ 2 β 2 dE Z 1 δ ln − = 4πNA re2 me c2 z 2 − β2 − 2 dx Aβ I 2 # dove I è la costante di ionizzazione che dipende dal materiale (I ∼ 16·Z 0.9 ) e δ è un parametro indice di quanto il campo elettrico della particella incidente sia schermato dalla densità di carica dovuta agli elettroni atomici. Figura 2.6: Le curve di Bethe-Bloch relative a materiali diversi. Il minimo prende il nome di minimo di ionizzazione e rappresenta l’energia alla quale la perdita di energia è minima. La radiazione di frenamento Particelle cariche veloci, perdono energia oltre che per ionizzazione anche per bremsstrahlung o radiazione di frenamento. La particella, passando in prossimità di un nucleo può deviare la propria traiettoria subendo una decelerazione. L’energia cinetica persa viene emessa sotto forma di fotone. La perdita di energia per un elettrone è: − dE Z2 183 = 4αNA re2 · E · ln 1 dx A Z3 dove E e re sono rispettivamente l’energia e il raggio classico dell’elettrone. Questo processo è molto importante per particelle di piccola massa (come gli elettroni) ed è quasi trascurabile per particelle più massive (come i protoni). 2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO 43 Raggruppando tutte le costanti e i parametri dipendenti dal materiale, può essere semplificata: dE E − = dx X0 dove X0 è la lunghezza di radiazione ed è una grandezza che caratterizza il materiale 1 . Figura 2.7: Rappresentazione schematica della bremsstrahlung. La produzione diretta di coppie Un ulteriore meccanismo di perdita energetica cui sono soggette particelle cariche di alta energia è la produzione diretta di coppie e+ /e− e µ+ /µ− . Le coppie vengono prodotte dai fotoni virtuali scambiati tra il nucleo e la particella interagente. La perdita energetica dipende da un parametro che è funzione del materiale e dell’energia della particella: − dE = bpair (Z, A, E) · E dx Lo spettro energetico dei leptoni da produzione diretta è più ripido di quello dei leptoni da produzione di coppie tradizionale che, dunque, domina i processi con grandi trasferimenti di energia. L’emissione di luce nello sciame - Čerenkov e Fluorescenza Una particella che si muove in un dielettrico con indice di rifrazione n con velocità v maggiore della velocità della luce in quel mezzo produce una luminescenza detta luce Čerenkov. La particella sposta i baricentri delle 1 Cfr. §1.3.2. 44 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER cariche positive e negative degli atomi prossimi, creando dei dipoli elettrici i quali, terminata la perturbazione, si rilassano emettendo un fotone. Se la velocità della particella non supera quella della luce nel mezzo, l’orientazione dei dipoli in prossimità della particella è simmetrica, cosicché non viene rivelata nessuna radiazione a grande distanza. Al contrario, se la particella è superluminale, il dielettrico si polarizza lungo la sua traiettoria; se la particella si muove più velocemente delle onde elettromagnetiche che genera al suo passaggio, si crea un fronte d’onda di angolo: cosθ = 1 nβ con β = v/c. La soglia per l’emissione di luce Čerenkov è: β ≥ βthr = 1 n La maggior parte delle particelle generate in uno sciame sono relativistiche quindi è possibile osservare la luce Čerenkov che emettono2 . É da notare che la soglia energetica per emissione Čerenkov degli elettroni è minore dell’energia critica, il che implica che anche in fase di riassorbimento di uno sciame (s > 1) si continua a osservare luce Čerenkov. Un’altra fonte di luce osservabile durante la propagazione di EAS particolarmente energetici è la luce di fluorescenza. Essa è emessa isotropicamente dalle molecole atmosferiche (perloppiù di azoto) eccitate al passaggio delle particelle cariche. I fotoni di fluorescenza sono tipicamente emessi dopo 10 ÷ 50 ns dall’eccitazione. L’energia totale ceduta in luce di fluorescenza consiste in meno dell’1% della perdita energetica totale quindi è ben osservabile per sciami originati da primari con energie a partire da 1017 eV . Figura 2.8: Rappresentazione schematica dell’effetto Čerenkov. 2 Cfr. §1.5.2. 2.1. MECCANISMI DI FORMAZIONE E DI ASSORBIMENTO 45 Ricapitolando, un EAS è l’insieme delle diverse componenti (carica e neutra) che si generano dall’interazione in atmosfera e dalla loro stessa propagazione fino al suolo. Dal punto di vista osservativo, uno sciame è caratterizzato da: • un size Ne , cioè il numero di e± che lo compongono ad un dato istante; • un asse, identificato dal prolungamento della direzione del primario dopo la prima interazione; • un core, coincidente con la regione in prossimità dell’asse dove la densità di particelle è più elevata; • una distribuzione laterale, ossia la densità di particelle in funzione della distanza dal core misurata su un piano perpendicolare all’asse; • un profilo longitudinale, costituito dal size Ne (h) in funzione della quota; • un’età s che indica lo stadio di sviluppo dell’EAS. In corrispondenza del size massimo s = 1; prima del massimo s < 1; dopo s > 1. Figura 2.9: Profilo longitudinale per EAS da fotone a diverse energie. Sono indicate le quote di alcuni esperimenti. La locazione degli esperimenti in alta quota ha lo scopo di portare i rivelatori in prossimità del massimo sviluppo degli sciami e la copertura totale consente di abbassare l’energia minima degli shower rivelabili. I processi sopra esposti sono responsabili dell’aumento del numero di particelle secondarie con il procedere della cascata fino ad una profondità 46 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER massima, superata la quale il size diminuisce nuovamente. Il numero di particelle presenti in funzione della quota (il profilo longitudinale dello sciame) presenta un massimo che dipende da energia e tipo di primario. La figura 2.9 da un’idea di come cambia il profilo con la profondità atmosferica e individua la quota del massimo (s = 1). Nelle sezioni successive verranno descritte le differenze sistematiche tra gli EAS generati da primari diversi. 2.2 EAS indotto da fotone Un fotone interagisce con la materia essenzialmente per effetto fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie. Quest’ultimo meccanismo domina in aria a partire da qualche decina di MeV di energia. L’elettrone e il positrone generati perdono parte delle loro energie per radiazione di frenamento (bremsstrahlung) creando fotoni in grado, a loro volta, di creare altre coppie. Quando l’energia media per particella scende al di sotto di un’energia critica (che in aria vale circa Ec ' 80M eV ), la bremsstrahlung cede posto alla ionizzazione e la produzione di coppie perde il proprio dominio a favore dell’assorbimento dei fotoni via effetto Compton ed effetto fotoelettrico. Lo shower viene riassorbito dopo aver raggiunto un’estensione massima in corrispondenza di < E >= Ec , ossia quando l’energia media di ciascuna particella tocca il valore critico. Le caratteristiche fondamentali di uno sciame elettromagnetico possono essere descritte da un modello molto semplice (vedi figura 2.10). Alle alte energie la lunghezza di radiazione X0 per bremsstrahlung e per produzione di coppie sono pressoché uguali, inoltre si può assumere in prima approssimazione che l’energia ad ogni passo sia equipartita tra le particelle della generazione successiva. Alla profondità t (in termini di X0 ) dalla prima interazione, il numero di particelle sarà: N (t) = 2t ciascuna di energia E(t) = E0 2t Il processo moltiplicativo continua finché non viene raggiunta l’energia critica, che può essere scritta E0 Ec = tmax 2 dopo la quale incomincia il riassorbimento dello sciame. Il parametro che misura lo stadio evolutivo dell’EAS è l’età (s); l’età vale s = 0 all’istante della prima interazione, vale s = 1 in corrispondenza del massimo e oltre si ha s > 1. 2.2. EAS INDOTTO DA FOTONE 47 Il numero di particelle in funzione della profondità varia approssimativamente come 1 ∂lnNe ' (s − 1 − 3lns) ∂t 2 e il size dello sciame, cioè il numero di particelle ad una data profondità, può essere calcolato dalla formula di Greisen: Ne (E0 , t) = 0.31 1 2 3 · et(1− 2 lns) β0 3t 0 con β0 = ln E Ec e s = t+2β0 . Le quantità sopra citate descrivono lo sviluppo longitudinale dello sciame ma le particelle secondarie subiscono una diffusione laterale poiché acquisiscono momento trasverso a causa dello scattering multiplo nell’aria. La distribuzione è simmetrica rispetto all’asse dell’EAS e può essere parametrizzata dalla formula NKG (Nishimura-Kamata-Greisen) che esprime la densità di particelle in funzione della distanza dall’asse misurata su un piano perpendicolare all’asse stesso: N2 Γ(4.5 − s) ρ(Ne , r) = e · · RM 2πΓ(s)Γ(4.5 − 2s) r RM s−2 r +1 RM s−4.5 dove RM è il raggio di Molière3 e Γ è la funzione Γ di Euler. Si evince che un EAS originato da un fotone sarà composto essenzialmente da e± e γ. Bisogna però considerare le produzioni dirette di coppie µ+ /µ− e le interazioni fotonucleari, tutti processi a bassissima sezione d’urto che creano una piccola componente muonica anche negli EAS da fotone. 3 Il raggio di Molière è il raggio del cilindro ideale che contiene il 90% dell’energia dello s sciame: RM = XE0 E , Es energia caratteristica per scattering multiplo. 0 48 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER Figura 2.10: Rappresentazione schematica di uno sciame iniziato da un fotone. 2.3 EAS indotto da adrone (h) Una particella carica entrante in atmosfera interagisce con i nuclei dell’aria in base ad un libero cammino medio, il quale dipende dalla particella, dalla sua energia e dal mezzo. Il punto dove avviene la prima interazione dipende dalla sezione d’urto del primario con l’aria. Misure precise di sezione d’urto protone-aria sono state condotte con diversi tipi di apparati sciame e sono riassunte in figura 2.11. Si osservi che gli esperimenti sui raggi cosmici sono il solo mezzo per eseguire misure di sezione d’urto a energie più elevate di quelle raggiungibili negli acceleratori. In particolare, la regione energetica che si vorrebbe esplorare con maggior dettaglio è quella in cui i vari modelli di interazione adronica iniziano a fornire previsioni diverse fra loro, e solo da misure via via più precise a tali energie si possono discriminare i vari modelli. Dall’interazione di protoni su nuclei vengono prodotti principalmente pioni e, se l’energia iniziale è sufficiente, anche kaoni o barioni. I prodotti acquisiscono un momento trasverso pt e la loro direzione si discosta da quella del primario incidente e possono interagire a loro volta oppure decadere. Il processo dominante è il decadimento se il libero cammino medio ad esso associato (considerando anche gli effetti relativistici) è più lungo rispetto a quello per interazione. I principale canali di decadimento che si presentano sono: π ± → µ± + νµ (BR = 99.99%) 2.3. EAS INDOTTO DA ADRONE (H) 49 Figura 2.11: Sezione d’urto protone-aria misurata da ARGO-YBJ [2] e da altri esperimenti. Per protoni con energie dell’ordine ' 1013 eV si ha un valore di sezione d’urto σ ' 280mb. Le curve colorate si riferiscono alle previsioni dei diversi modelli di interazione adronica. K ± → µ± + νµ (BR = 63.54%) K ± → π± + π0 (BR = 20.68%) K ± → π 0 + e± + νe (BR = 5.08%) In questo modo si genera la compenente muonica dello shower che è altamente penetrante e arriva quasi del tutto intonsa all’observation level sia perché interagisce poco, sia perché la dilatazione temporale (di solito i muoni creati sono relativistici) rende improbabile il decadimento in tempi più brevi di quelli che servono per giungere al suolo. Il numero di µ in uno sciame è legato alla probabilità che un mesone ha di interagire piuttosto che di decadere e, quindi, dipende dall’energia dei mesoni e dalla densità locale dell’aria in cui viaggiano. Per energie inferiori ai 100GeV , la probabilità di decadimento è elevata e inoltre in alta quota l’aria è rarefatta, motivi per cui la quasi totalità dei mesoni decade. L’evoluzione della componente elettromagnetica parte dal decadimento degli adroni sopravvissuti (principalmente pioni). In particolare il pione neutro possiede una vita media estremamente breve (τ = 8.4 · 10−17 s) e decade: π0 → γ + γ π 0 → e+ + e− + γ (BR = 98.8%) (BR = 1.2%) 50 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER Tali elettroni e fotoni danno inizio a diverse cascate puramente elettromagnetiche. Anche gli shower iniziati da adrone sono soggetti a diffusione laterale dovuta allo scattering multiplo e al momento trasverso acquistato dai muoni nella loro produzione. Solitamente i muoni si allontanano dall’asse dello sciame molto più delle particelle elettromagnetiche o degli adroni, in quanto non essendo soggetti a decadimento o interazioni percorrono distanze decisamente maggiori. Inoltre le deviazioni dovute al campo geomagnetico fanno sı̀ che la distribuzione azimutale sia asimmetrica. Figura 2.12: Rappresentazione schematica di uno sciame iniziato da un raggio cosmico. 2.4 Tecniche di simulazione Gli extensive air shower sono fenomeni del tutto aleatori e imprevedibili e la raccolta di statistica sufficiente per studi approfonditi è problematica. Soprattutto non è possibile studiare lo sciame a diverse quote di osservazione in tutte le sue componenti contemporaneamente. Per poter derivare dalla misura indiretta dell’EAS informazioni sulla componente primaria, occorre in qualche modo analizzare la cascata e definire quali sono le migliori osservabili sperimentali. Il problema venne in parte arginato con l’invenzione degli acceleratori di particelle grazie ai quali si può decidere quando, dove e cosa far collidere. Gli acceleratori, però, sono in grado di raggiungere solo energie limitate (il Large Hadron Collider del CERN è stato costruito per raggiungere 14T eV nel centro di massa) e non danno luogo a sciami estesi. 2.4. TECNICHE DI SIMULAZIONE 2.4.1 51 Montecarlo La soluzione migliore è la simulazione numerica degli sciami mediante l’estrazione pseudo-casuale dei loro parametri. Il metodo Montecarlo 4 è una tecnica che viene impiegata per calcolare probabilità e quantità correlate a partire da sequenze di numeri casuali. É importante sottolineare che non ha senso parlare di singoli numeri casuali, ma di sequenze. Simulazioni di questo tipo trovano applicazioni in vari campi, dall’astrofisica alla fisica biomedica alla fisica degli acceleratori; insomma, ovunque ci sia necessità di caratterizzare un fenomeno complesso. La procedura parte dall’estrazione di m numeri casuali da una distribuzione uniforme tra [0, 1], si definisce poi una seconda sequenza → − − x = (x1 , ..., xn ) distribuita secondo una funzione f (→ x ). Caratteristica fondamentale della sequenza di numeri casuali è la mancanza di correlazione tra elementi successivi. Ciò non è ottenibile nella realtà perché gli algoritmi di estrazione sono deterministici; quello che si può ottenere è una sequenza di periodo finito ma molto lungo (esistono sequenze che contengono diversi milioni di numeri) in modo che la sequenza “sembri” casuale. Un esempio Un semplice esempio di algoritmo di generazione è dato dal generatore che Von Neumann ideò nel 1946, detto metodo middle square. Si parte da un numero iniziale I0 di m cifre e l’algoritmo di generazione è: In+1 = [ m cifre centrali di In2 ] Ad esempio: 2 I0 = |5772156649 {z } ⇒ I0 = 33317 7923805949 {z } 09291, con m = 10 | I0 I1 Il metodo di Von Neumann presenta dei problemi, primo fra tutti, la brevità della sequenza per piccoli m. Negli ultimi sessant’anni sono stati sviluppati molti algoritmi in grado di generare sequenze sempre più lunghe; a titolo di esempio, si citano i metodi lineari congruenti, l’algoritmo RANDU, il Minimal Standard Generator, RANMAR, RANLUX e il Marsenne-Twister utilizzato nelle classi TRandom del framework ROOT 5 [24]. 2.4.2 CORSIKA Nell’ambito della fisica dei raggi cosmici e in particolare nello studio degli EAS un codice molto diffuso è CORSIKA [35]. Il software CORSIKA (Cos4 Con riferimento al celebre casinò. ROOT è un framework sviluppato e utilizzato al CERN per l’analisi e la simulazione di fenomeni legati alla fisica delle particelle [33]. 5 52 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER mic Ray Simulation for Kascade) è stato sviluppato dalla collaborazione dell’esperimento Kaskade esclusivamente per la simulazione di extensive air shower. Corsika è un programma scritto in Fortran che permette di eseguire simulazioni Monte Carlo di EAS ad alta energia. Nel corrente lavoro sono stati utilizzati i pacchetti: • QGSJET (Quark Gluon String model with JETs) che simula l’adronizzazione secondo il modello “Quark Gluon String”. In figura 2.11 si possono osservare le sezioni d’urto previste da questo modello in funzione dell’energia del primario. • GHEISHA (Gamma Hadron Electron Interaction code) valido per simulare collisioni adroniche con energie dell’ordine di qualche centinaio di GeV. Tutti i parametri della particella primaria e dell’ambiente sono impostabili dall’utente: • particella, energia iniziale, zenith, azimuth, ... • livello d’osservazione, quota della prima interazione, campo magnetico locale, ... CORSIKA fornisce diversi output che permettono di seguire tutto lo sviluppo della cascata. Un’opzione permette di ottenere anche un file di ROOT [33] contenente diversi istogrammi riportanti le distribuzioni dei parametri caratteristici dello sciame. Questi file sono stati analizzati, durante il presente lavoro, mediante programmi scritti appositamente in C++. In figura 2.13 si possono osservare due esempi di simulazione con CORSIKA di sciami generati in atmosfera eseguite per primari differenti (γ e p) a 300GeV . L’elevato numero di tracce è un indicatore della complessità del processo. 2.4. TECNICHE DI SIMULAZIONE (a) EAS γ-in 53 (b) EAS p-in Figura 2.13: Simulazione di EAS da fotone e da protone entrambi a 300GeV e verticali eseguite mediante CORSIKA. Sono rappresentate in rosso la componente elettromagnetica, in blu la componente adronica e i verde la componente muonica; si noti come nello sciame γ-in la componente dominante sia quella elettromagnetica. 54 CAPITOLO 2. EXTENSIVE AIR SHOWER Capitolo 3 ARGO-YBJ L’esperimento ARGO-YBJ (Astrophysical Radiation with a Ground based Observatory at Yang Ba Jing) è un rivelatore di EAS a copertura totale, per studiare i raggi cosmici e la radiazione γ. L’apparato di rivelazione ha una soglia di qualche centinaio di GeV e il range per cui è ottimizzato si estende dai T eV fino al P eV . L’esperimento è il primo che ha montato in alta quota (4300m s.l.m.) un rivelatore a copertura totale. E’ situato nei pressi del villaggio di Yang Ba Jing, in Tibet. La sua locazione (lat. 30◦ 060 3800 N, long. 90◦ 310 5000 E) consente di monitorare l’emisfero boreale nella banda di declinazione δ ∈ [−10◦ , +70◦ ]. La combinazione di queste due peculiarità consente di studiare gli sciami nel dettaglio1 in prossimità della regione in cui si verifica il massimo sviluppo longitudinale, consentendo di abbassare la soglia di rivelazione. Gli obiettivi principali di ARGO-YBJ vanno dall’astronomia γ (monitoraggio e ricerca di sorgenti extragalattiche, osservazione della radiazione diffusa dal piano galattico, studio di fenomeni transitori quali lampi gamma [16] e brillamenti solari) allo studio dei raggi cosmici (spettro nella regione del ginocchio [10], misura del rapporto p/p nel range di energia [0.3, 1]T eV , misure della sezione d’urto protone-aria [2]). 3.1 Il rivelatore Il rivelatore di ARGO-YBJ (la parte attiva) consiste in uno strato di RPC (Resistive Plate Counter) disposte secondo uno schema modulare, la cui unità di base è il cluster che è costituito da 12 camere RPC. La carica liberata dentro un’RPC viene letta da ottanta strip di rame; gruppi di otto strip costituiscono una pad e ogni RPC contiene dieci pad lette in maniera indipendente (la pad rappresenta, dunque, la risoluzione spazio-temporale dell’apparato). Il rivelatore completo è costituito da 153 cluster (vedi figu1 Un rivelatore a copertura totale riesce a raccogliere quasi il 90% delle particelle di uno sciame, mentre un array tradizionale supera di poco l’1%. 55 56 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ ra 3.1) corrispondenti a una superficie attiva di ∼ 6700m2 , dei quali 130 sono disposti in una matrice 10 x 13 a formare un tappeto centrale mentre i restanti sono posizionati all’esterno del tappeto come anello di guardia (guard ring) per migliorare l’individuazione degli eventi interni (quegli eventi il cui core cade all’interno del tappeto di RPC ). Un DCS (Detector Control System) controlla i parametri ambientali (pressione atmosferica, temperatura interna ed esterna, umidità) e i parametri di funzionamento del rivelatore (tensione di lavoro, corrente parassita). Figura 3.1: Le RPC sono organizzate in cluster; 153 cluster formano il rivelatore di ARGO-YBJ per un totale di 1560 RPC. Ciascuna RPC è letta da 10 gruppi di 8 strip di rame. 3.1.1 Resistive Plate Counter - RPC Le RPC (vedi figura 3.2) sono rivelatori a gas sensibili alla componente carica dello sciame. Una particella carica che l’attraversa perde energia per ionizzazione lungo il percorso nel gas2 estraendo elettroni dagli atomi. Gli elettroni vengono fatti derivare verso piatti resistivi (bachelite3 ) posti a una tensione di lavoro di 7200V ; la carica raccolta viene letta per induzione dalle strip di rame. L’efficienza di rivelazione che si ottiene è del 95% con una risoluzione temporale di ∼ 1.5ns. Il segnale, proporzionale alla carica totale liberata nel gas, mostra un andamento lineare fino a circa 104 particelle/m2 che corrispondono a un’energia del primario ∼ 10P eV . 2 La miscela utilizzata nelle RPC di ARGO-YBJ è composta in proporzioni 15/10/75 da argon, isobutano e tetrafluoretano. 3 Resina fenolica ad alta resistività: ρ = 0.5 ÷ 1.0 · 1012 Ω · cm. 3.1. IL RIVELATORE 57 Figura 3.2: Il contatore contiene un volume sensibile di 125x180 cm2 spesso 2mm riempito di gas e racchiuso tra due piatti di bachelite spessi 2mm. Il tutto è inserito tra due fogli di alluminio rivestiti a loro volta da uno strato di schiuma e da altri fogli di alluminio. Uno strato di schiuma racchiuso tra pareti di ferro è posizionato al di sopra dell’RPC e funge da superficie calpestabile. 58 3.2 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ Acquisizione dati Per aumentare la versatilità del rivelatore, le RPC di ARGO-YBJ sono collegate a due sistemi di acquisizione dati che lavorano in maniera indipentente e corrispondono a due modalità di funzionamento. 3.2.1 Shower mode In questa modalità vengono registrati la posizione e il tempo di arrivo di ogni particella rivelata, per consentire la ricostruzione dei parametri dello sciame. In shower mode la soglia per sciami γ è di 100 ÷ 200GeV . L’informazione spazio-temporale viene gestita dalla LS (local station) a livello di cluster dove viene contato il numero di pad colpiti (molteplicità) in una finestra temporale di 150ns che corrisponde circa alla differenza massima tra i tempi di arrivo su superfici comparabili con quella dei cluster per particelle appartenenti al medesimo sciame. Ogni evento registrato viene inviato alla CS (central station) per la ricostruzione. Vengono utilizzate due logiche di trigger basate entrambe sulla molteplicità [18] a livello LS : LMT (Low Multiplicity Trigger) e HMT (High Multiplicity Trigger). I segnali provenienti da pad adiacenti vengono correlati da uno schema di coincidenze a quattro livelli con lo scopo di abbattere il rumore di fondo dovuto a segnali spuri. L’algoritmo di selezione degli sciami è molto semplice: vengono sommate le molteplicità di ciascun cluster in ∼ 400ns; il trigger scatta quando il numero totale di conteggi supera la soglia programmata. La soglia è fissata a Npad = 20 particelle localizzate nell’area centrale del tappeto, corrispondenti a un rate di acquisizione di ∼ 4kHz e a una soglia efficace di 30 particelle. Un’immagine di uno sciame con il core sul carpet centrale è mostrata in figura 3.4. 3.2.2 Scaler mode Quando il rivelatore lavora in scaler mode, la frequenza di conteggio di ciascun cluster viene misurata ogni 0.5s perdendo però tutte le informazioni su energia e direzione d’arrivo del primario. Ogni cluster possiede quattro canali che registrano le frequenze per Npad ≥ 1, ≥ 2, ≥ 3, ≥ 4 in una breve finestra temporale (150ns). Le particelle vengono conteggiate indipendentemente che appartengano a grossi sciami o che siano solitari sopravvissuti di piccoli sciami. Se si osserva lo spettro dei CR si capisce che la maggior parte dei conteggi proviene da sciami generati da primari con energie dell’ordine 1 ÷ 100GeV . L’energia di soglia in scaler mode scende a qualche GeV . Questa modalità di lavoro viene utilizzata per studiare fenomeni transitori (gamma ray burst) 3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI 59 [12] [13], la cui emissione viene osservata come un eccesso statistico di conteggi rispetto al fondo dovuto alla presenza di raggi cosmici. Un esempio della modulazione del counting rate di un cluster è mostrata in figura 3.3. Figura 3.3: Counting rate in funzione del tempo per tre cluster con molteplicità Npad ≥ 1, ≥ 2, ≥ 3, ≥ 4. Si osservano le modulazioni dovute alle variazioni di temperatura e pressione. 3.3 Ricostruzione di eventi Il primo livello di ricostruzione consiste nell’associare a ciascun pad gli eventi registrati, rigettando i segnali provenienti da quelli inattivi. Il secondo livello consiste nell’eliminazione del fondo, nell’individuazione del core e nella ricostruzione della direzione d’arrivo. La soglia al di sopra della quale un evento viene registrato come sciame è di 20 particelle rivelate in una finestra di 2µs nell’area centrale del tappeto. Sui segnali sopravvissuti viene eseguito un fit piano per confermare la loro effettiva appartenenza a un EAS. A questo punto vengono ricostruiti la posizione del core e la direzione d’arrivo. 60 3.3.1 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ Posizione del core Il criterio statistico utilizzato per ricostruire la posizione del core è il metodo della massima verosimiglianza. − − Sia X = (→ xi , ni )i=1...N un esempio di evento, con ni e → ri il numero di particelle e la posizione dell’i−esimo pixel, la funzione di massima verosimiglianza F (X|η, − r→ C ) dipenderà dal size η dello sciame (il numero di particelle al livello della rivelazione) e dalla posizione del core − r→ C = (xC , yC ). − La probabilità di osservare m particelle a una distanza R = |→ r −− r→ C | dal core è: µm −µ p(m) = e m! dove µ = ρ(R) è la densità locale di particelle. La relativa funzione logaritmica è tale che, richiedendo l’annullarsi del suo gradiente nella variabile η, permette di esprimere il size in funzione delle sole variabili (xC , yC ). Dove il size è massimo, lı̀ viene individuato il core. Figura 3.4: Lo sciame viene registrato in base al numero di particelle cariche che colpiscono il tappeto. La soglia è di 20 conteggi localizzati. 3.3.2 Direzione di arrivo In prima approssimazione il fronte dello sciame può essere considerato un disco piatto, ortogonale alla direzione di arrivo del primario (vedi figura 3.5). Per ricostruire la direzione d’arrivo viene eseguito un fit sui tempi di arrivo ti minimizzando la variabile χ2 : χ2 = X i ni (f − ti )2 3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI 61 Figura 3.5: Fronte di uno sciame osservato a ARGO-YBJ. somma che viene eseguita su tutti i pad colpiti, dove ni è il numero di strip colpite sull’i−esimo pad e f è una funzione che descrive un piano. I parametri del fit sono un offset temporale t0 e tre coseni direttori (l, m, n) e la forma esplicita della variabile χ2 da minimizzare diventa: 2 χ = X i ni xi yi zi (ti − t0 ) − l − m − n c c c 2 dove t0 rappresenta l’istante di arrivo del fronte, c è la velocità della luce e (xi , yi , zi ) sono le coordinate del pad. La bontà della ricostruzione è determinata dall’angolo ψ tra la direzione vera (l, m, n) e quella ricostruita (l∗ , m∗ , n∗ ): ψ = ll∗ + mm∗ + nn∗ La procedura del fit viene iterata più volte escludendo ad ogni passo quei segnali il cui residuo4 non si accorda con la coda di una distribuzione gaussiana; già dopo il secondo fit piano, la distribuzione di ψ si restringe. In realtà l’approsimazione piana non è precisa, a causa dello scattering multiplo che le particelle subiscono in aria. Ad ogni distanza dall’asse dello sciame, la distribuzione temporale è caratterizzata da un valore medio che rappresenta la deviazione media da un fronte piano. Questo si quantifica in un ritardo di circa 30ns/100m. 4 Come residuo si intende il ritardo della particella rispetto al tempo di arrivo risultante dal fit. 62 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ Figura 3.6: Il ritardo delle particelle in funzione della distanza dal core per un tipico sciame γ-in. Come risultato si ha un fronte non più piano ma parabolico che, per distanze inferiori ai 50m, si può approssimare a un cono. Al fit planare vengono quindi apportate correzioni coniche. La funzione da minimizzare diventa: χ2 = X i ni (ti − t0 ) − xi yi Ri l− m− α c c c 2 essendo α la correzione conica (la discrepanza rispetto al piano ortogonale alla direzione di arrivo), che può essere considerata parametro libero oppure valutata mediante simulazioni Monte Carlo (un valore tipico è α = 0.03). Siccome la distanza Ri dall’asse dello sciame dipende dalla direzione di arrivo, quindi dalla posizione del vertice del cono, la minimizzazione va fatta su un sistema di equazioni non lineari; Per ottenere una soluzione analitica del problema, ad ogni passo, Ri viene calcolata usando come direzione quella ricavata nel passo precedente (partendo dal fit planare). 3.3. RICOSTRUZIONE DI EVENTI 63 Figura 3.7: Approssimazioni piane del profilo conico del fronte dello sciame. 3.3.3 L’ombra della luna e la risoluzione angolare Per valutare la risoluzione angolare, si utilizza l’effetto dell’ombra lunare sui raggi cosmici carichi. Contrariamente ad altri studi, si cercano non degli eccessi ma dei deficit di eventi rispetto al fondo. Questo sistema è applicabile solo a particelle cariche perché si basa sulla deflessione indotta dal campo geomagnetico (vedi schema in figura 3.8). il numero di eventi di fondo attesi entro un’area circolare di un 1◦ di raggio è: Nbkg (1◦ ) = Φp (> E) · Af id · TM · (d.c.) · ∆Ω(1◦ ) dove Φp (> E) è il flusso di protoni con energia superiore a un certo valore; Af id è l’area fiduciale dell’esperimento; TM è il tempo di osservazione della luna; (d.c.) il duty cycle; ∆Ω(1◦ ) è la superficie angolare del cerchio considerato (∆Ω(1◦ ) = 9.57 · 10−4 sr). La deflessione geomagnetica si valuta partendo da un raggio cosmico (CR) di carica Ze e massa m situato alle coordinate di ARGO-YBJ e proiettandolo verso la posizione della luna. Il campo geomagnetico piega la traiettoria in modo tale che il CR non termina la sua corsa a ritroso alla posizione moon ma alla posizione moon0 . Il percorso tracciato in questo modo è lo stesso che se il CR provenisse dalla posizione moon0 verso terra. → − → −0 Si definiscono due vettori X e X che puntano rispettivamente a moon e 0 → − moon0 . Il vettore X è la linea di vista del rivelatore verso la vera posizione → − della luna (la traiettoria che seguirebbero i fotoni) e X è la linea di vista verso una posizione apparente. L’impulso di un CR viaggiante dalla vera → − luna verso terra è parallelo al vettore X quando arriva sul carpet. 64 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ Figura 3.8: I raggi cosmici vengono proiettati fuori dall’atmosfera e tracciati tenendo conto della deflessione geomagnetica. Figura 3.9: Significanza di ARGO-YBJ sull’ombra della luna, riguardante eventi con angolo di zenith θ < 50◦ e Npad > 60. 3.4. IL PROBLEMA DELLA DISCRIMINAZIONE GAMMA ADRONI (γ/H) NEGLI EAS65 Figura 3.10: Risoluzione angolare in funzione della molteplicità di pad per eventi simulati (in rosso) a confronto con dati reali (in nero). Proiettando, quindi, la direzione del momento finale di un raggio cosmico osservato in direzione opposta alla Terra, sembra che questo provenga dalla posizione moon che viene identificata come posizione di provenienza. La risoluzione angolare che caratterizza questo procedimento è data da: ∆Ω = 1.6◦ · Z E(T eV ) La figura 3.9 mostra l’ombra della luna ottenuta cumulativamente in 3 anni di presa dati; in figura 3.10 la risoluzione angolare sperimentale ottenuta con i dati dell’ombra lunare in funzione dell’energia. 3.4 Il problema della discriminazione gamma adroni (γ/h) negli EAS Il problema principale nell’astronomia γ al suolo è la distinzione tra gli EAS originati da fotoni primari e quelli iniziati da adroni, cioè la discriminazione tra le due componenti dei raggi cosmici. Nel corso di oltre 60 anni di ricerca sperimentale sono stati sviluppati diversi metodi per riconoscere gli eventi γ, basati sulle differenze morfologiche che i diversi tipi di sciame manifestano 66 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ e su come tali differenze possano essere studiate da rivelatori che utilizzano tecniche diverse. Ecco i principali metodi. 3.4.1 La molteplicità di µ Come visto nel secondo capitolo i processi fisici che caratterizzano lo sviluppo di un EAS da fotone o da adrone primario sono differenti. Il decadimento debole dei pioni e dei kaoni prodotti dalle interazioni adroniche nell’aria genera una popolazione di muoni assente o quasi nelle cascate puramente elettromagnetiche. Mediamente il contenuto in µ in sciami adronici risulta circa due ordini di grandezza superiore a quello in sciami γ di pari energia primaria. Ne deriva che saper contare con precisione il numero di muoni in un EAS è un potenziale mezzo per discriminare tra primari diversi almeno in quei rivelatori, tipicamente array a campionamento e calorimetri traccianti, che ne sono capaci. 3.4.2 La misura di χmax Come visto l’osservazione della luce Čerenkov o di quella di fluorescenza, permettendo la ricostruzione del profilo longitudinale della cascata, consente una misura diretta della profondità del massimo. Questa, come dimostrato, è un buon indicatore della carica/massa del primario. Telescopi Čerenkov o a fluorescenza che sfruttano l’imaging, singoli o in array, sono dunque gli apparati che meglio realizzano questo tipo di discriminazione. 3.4.3 Lo studio della regione del core Laddove non sono possibili né il conteggio dei µ né la determinazione della profondità del massimo χmax la discriminazione può essere fatta analizzando la morfologia della distribuzione laterale nel core dello sciame. Nel secondo capitolo ho fatto vedere come questa zona sia particolarmente sensibile proprio perché sciami da primari diversi mostrano distribuzioni laterali differenti. ARGO-YBJ per le sue carratistiche di rivelatore in alta quota montana a copertura continua è particolarmente adatto allo scopo. Consente infatti di osservare nel dettaglio la componente carica dello sciame e come essa modula intorno al core. Diverse procedure sono state sviluppate a questo fine e tra queste la Fisher Linear Discriminant Analysis - FLDA ha dato buoni risultati. Essa ha come base la differenza tra le distribuzioni laterali di sciami adronici e fotonici [19]. Vengono definiti cinque parametri caratterizzanti la distribuzione laterale in prossimità dell’asse: 1. la distanza media < R > dal core ricostruito delle pad colpite; 3.4. IL PROBLEMA DELLA DISCRIMINAZIONE GAMMA ADRONI (γ/H) NEGLI EAS67 2. un parametro indice della crescita del size in aree che contengono determinate percentuali dei conteggi totali; 3. un parametro che indica come varia la concentrazione di strip colpite nelle superfici appena definite; 4. il rapporto tra il numero di strip colpite nei 10 moduli a maggior conteggio e quelle nei 20 moduli successivi5 ; 5. il rapporto tra la distanza media < R > e la distanza media dal core valutata sulla regione che contiene il 20% dei conteggi totali. I parametri vengono combinati linearmente per ottenere il massimo potere discriminante (vedi figura 3.11). I risultati ottenuti per questo metodo sono riportati schematicamente in tabella 3.1: Mpad 100 ÷ 300 300 ÷ 1000 1000 ÷ 3000 3000 ÷ 6000 Qf 1.45 ± 0.03 1.68 ± 0.07 1.97 ± 0.18 1.98 ± 0.19 εγ 0.63 0.53 0.58 0.78 εp 0.81 0.90 0.91 0.84 Tabella 3.1: Fattore di qualitá Qf in funzione della molteplicitá di particelle cariche registrate dalle pad del tappeto centrale. Sono riportate anche le efficienze di rivelazione d egli sciami γ-in e p-in. Oltre alla FLDA l’analisi delle caratteristiche degli sciami nel core e il confronto con le zone adiacenti è un potenziale mezzo di discriminazione. Questa tesi ha, dunque, indagato questa possibilità, analizzando l’attuale configurazione sperimentale di ARGO-YBJ e una sua eventuale implementazione futura. Sono per questo state analizzate nel dettaglio le proprietà degli EAS alla quota sperimentale dell’esperimento e studiate alcune possibili modiche del setup sperimentale. 5 Come modulo si intende un raggruppamento di tre RPC. 68 CAPITOLO 3. ARGO-YBJ Figura 3.11: In alto, la distribuzione lineare di uno spettro simulato di sciami γ-in (linea rossa) e di sciami p-in (linea blu). In basso, le corrispondenti funzioni discriminanti. Capitolo 4 Le proprietà degli EAS alla quota di ARGO-YBJ Il problema principale dell’astronomia VHE (dell’astronomia γ in generale) è il riconoscimento degli EAS da fotone primario rispetto al fondo adronico. Nel precedente capitolo sono state esposte diverse metodologie di discriminazione; in questo verrà analizzata un’idea proposta dalla collaborazione di ARGO-YBJ basata sulla morfologia degli sciami, ovvero lo studio di alcune caratteristiche peculiari della distribuzione laterale delle particelle cariche1 . A questo scopo, ho quindi porovveduto a implementare una catena di simulazione atta a definire quali osservabili sperimentali, alla quota di osservazione di ARGO-YBJ, meglio caratterizzano lo sciame esteso. 4.1 La simulazione Montecarlo La simulazione di diverse migliaia di sciami a diverse energie ha permesso uno studio sistematico delle proprietà degli EAS che tenesse conto anche delle fluttuazioni statistiche. Per cominciare sono stati simulati dei campioni da 1000 sciami da protone e 1000 da fotone con il software CORSIKA vs. 6970 alle energie: 100 GeV , 300 GeV , 1 T eV , 3 T eV , 10 T eV . Gli sciami sono stati simulati verticali e isotropi in azimuth in un range di energie che coprisse la soglia stimata dell’esperimento. Il rivelatore, a questo livello, non è stato simulato, il che equivale a considerare un’efficienza di raccolta del 100% su tutta la superficie. Di fatto a queste energie, la “pixellizzazione” del detector non comporta ancora effetti di saturazione e l’efficienza di copertura (∼ 93%) è vicina alla superficie realmente occupata. 1 Si ricordi che il rivelatore di ARGO-YBJ è sensibile alle sole particelle cariche. 69 70CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ Sono state considerate diverse aree di raccolta centrate sul core degli sciami, localizzate a 4300m s.l.m. alle coordinate sperimentali del detector. Sono cosı̀ definite: • ARGO Carpet (AC): ovvero l’attuale area di copertura totale corrispondente a un rettangolo di 78x74m2 (5600m2 ); • ARGO Extended (AE): ovvero l’area attualmente disponibile all’interno del capannone di ARGO-YBJ, ora parzialmente ricoperta dai 23 cluster del guard ring (area totale 5200m2 ); • ARGO Outside (AO): un’area estesa attorno al capannone di 15m per lato, pari a 7200m2 . Questa schematizzazione è riportata in figura 4.1 in scala rispetto alle dimensioni attuali del rivelatore. A queste tre zone farò riferimento nel prosieguo della discussione, intendendo che ad esse possa essere associata una corrispondente copertura di rivelatori RPC, eventualmente schermati da un qualche tipo di assorbitore. Figura 4.1: Schema riassuntivo delle tre zone considerate in questa tesi: in verde ARGO carpet, in rosso ARGO extended e in azzurro ARGO outside. L’analisi dei dati simulati ha permesso di evidenziare differenze e analogie tra sciami generati da primari diversi (γ, p), che sono state usate come base per lo sviluppo di questo studio. Dunque la simulazione riproduce i processi di generazione della cascata alla quota di osservazione sperimentale. A tale livello osservativo, il contenuto in particelle degli sciami viene salvato per analisi specifiche. Vediamone le proprietà. 4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO 4.1.1 71 Le proprietà della distribuzione laterale La figura 4.2 mostra le l.d.f. (lateral distribution function), cioè l’andamento della densità di particelle in funzione della distanza dall’asse alla quota osservativa richiesta. Esse sono ottenute come media su 1000 sciami simulati a 3T eV per primari γ e protone. A pari energia (3T eV nel caso specifico) il size Ne , ovvero il contenuto in particelle cariche e± , è circa 10 volte più grande nella cascata puramente elettromagnetica (γ primario) di quanto osservato nel caso adronico (protone primario). Figura 4.2: Esempio di l.d.f. (lateral distribution function) per sciami da fotone e da protone (E = 3T eV ) a 4300m s.l.m.. In rosso è rappresentata la componente neutra (γ) degli sciami e in blu la componente carica. Si nota che le densità delle componenti secondarie dello sciame scalano nella stessa maniera con la distanza dall’asse e che la densità di particelle in uno sciame da fotone diminuisce più rapidamente, il che significa che esso è più collimato. A primario definito, la componente secondaria neutra (γ) è circa 6 ÷ 8 volte più grande di quella carica (e± ); essa è però rivelabile soltanto se si adottano rivelatori sensibili ai γ ovvero se in qualche modo i fotoni secondari vengono convertiti in particelle cariche. Osservando come le distribuzioni laterali modulano con la distanza, si osserva una maggiore dispersione dei carichi e dei γ secondari a grande distanza nel caso di adrone primario. Al contrario gli sciami puramente elettromagnetici risultano più collimati in tutte le componenti (e± , γ) secondarie: ovvero come mostrato in figura 4.2, la l.d.f. decresce a distanze più piccole dall’asse. La maggior collimazione è altresı̀ chiara in figura 4.3 per un singolo evento. Nel caso p-in, è evidente la maggior dispersione delle particelle dovuta ai momenti trasversi ceduti agli adroni dello sciame e, parimenti, il minor 72CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ (a) γ-initiated (b) p-initiated Figura 4.3: Esempio di scatter plot della componente carica (e± , µ± ) di EAS da fotone e da protone entrambi a 3T eV con livello di osservazione a 4300m s.l.m.. Si noti che lo sciame γ-in presenta una componente carica più consistente e più concentrata rispetto allo sciame protonico. numero di particelle cariche osservabili. Ciò, come descritto nel paragrafo §2.3, è a causa dell’energia “mancante” associata alla componente adronica penetrante (µ± ) e non (adroni). Le proprietà descritte sono riassunte nelle tabelle 4.1 e 4.2. Per i due tipi di primario, il numero di particelle secondarie osservate sul carpet (AC, divise per tipo e mediate su 1000 sciami) è riportato in funzione dell’energia primaria. La terza colonna rappresenta il size osservabile, ovvero il numero di carichi raccolti dal rivelatore. Tenuto conto di un’efficienza del 93% del tappeto AC e che la soglia di trigger del rivelatore in shower mode (vedi capitolo 3) è 20 hit localizzati al centro, la soglia efficace in protoni primari è ∼ 300GeV e circa la metà per γ primari. Eγ 100GeV 300GeV 1T eV 3T eV 10T eV < Nelm > 80.6 388.7 1898.0 7559.6 44801.1 < Ne± > 10.4 53.4 277.3 1165.5 6314.7 < Nγ > 70.2 335.3 1620.7 6394.1 38486.3 < Nµ± > 0.003 0.05 0.4 1.3 5.9 Tabella 4.1: La tabella riporta i sizes medi delle varie componenti per sciami γ-initiated a diverse energie. Inoltre dall’ultima colonna si evince che, all’energia di 300GeV , il numero di µ± osservabili è circa un fattore 100 maggiore nel caso p-in rispetto al caso γ-in. Questo fatto, come descritto nel capitolo 3, può essere utile nella discriminazione della componente primaria a patto che la componente 4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO Ep 100GeV 300GeV 1T eV 3T eV 10T eV < Nelm > 44.8 193.9 911.8 3709.0 21281.3 < Ne± > 6.6 30.1 146.2 609.3 2998.5 73 < Nγ > 38.2 163.8 765.6 3099.7 18282.8 < Nµ± > 0.7 5.5 28.7 67.9 185.6 Tabella 4.2: La tabella riporta i sizes medi delle varie componenti per sciami p-initiated a diverse energie. Il numero medio di µ negli sciami da protone supera di 2 ordini di grandezza quello misurato in sciami da fotone. (a) γ-initiated (b) p-initiated Figura 4.4: Spettri differenziali di sciami γ-in (a sinistra) e p-in (a destra). Le componenti elettromagnetica e neutra scalano allo stesso modo indipendentemente dal tipo e dall’energia del primario. penetrante possa essere discriminata da quella elettromagnetica di bassa energia. Nelle tabelle si vede altresı̀ che il numero di particelle osservabili scala linearmente con l’energia. Cioè, le distribuzioni laterali mantengono analogo andamento come mostrato per due energie campione in figura 4.4 per diversi primari. 4.1.2 Lo spettro integrale Se invece della densità delle particelle si studiano gli spettri energetici dei secondari, si nota un’altra proprietà interessante. A questo scopo ho costruito gli spettri integrali in due differenti regioni definite in funzione della distanza dall’asse dello sciame. Una regione ingloba un’area fino a distanza R < 20m, sostanzialmente equivalente alla zona occupata dal tappeto centrale AC. Una seconda è invece ottenuta integrando su un’area compresa tra 20m e 50m compatibile con l’eventuale area di estensione AE. Per sem- 74CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ plicità gli integrali sono stati poi rinormalizzati in termini di percentuale di particelle raccolte e sono riportati in figura 4.5. Gli spettri integrali delle particelle secondarie (e± , γ) cadute entro 20m dal core, non mostrano differenze significative; ovvero hanno analogo andamento in funzione dell’energia fino a 1GeV prescindendo dal tipo di primario (p-in in blu, γ-in in rosso). Ciò significa che il solo numero di carichi misurati sul carpet centrale non è, di per sé, utile nella discriminazione dei primari, mentre lo è in certa misura la sua distribuzione (morfologia) come dimostrato dall’analisi lineare esposta nel paragrafo §3.4. Ora, se ci si sposta in una regione più lontana dal core dello sciame, nel caso specifico una regione compresa tra 20m e 50m, allora una maggiore separazione diventa più evidente. Questo effetto era già osservabile in figura 4.2 ma diventa più chiaro nel confronto incrociato degli spettri integrali della componente elettromagnetica totale (e± , γ). Questo significa che, in regioni distanti dal core e negli sciami p-in, c’è un contenuto di particelle energetiche (E ≥ 200M eV ) proporzionalmente maggiore di quello di uno sciame γin. Tenendo conto di quanto visto nelle distribuzioni laterali (vedi figura 4.2) il contributo dominante a questo enhancement deriva principalmente dalla componente secondaria neutra. La capacità di contare queste particelle potrebbe essere quindi un metodo alternativo per migliorare la reiezione γ/h di un rivelatore, ARGO-YBJ nel caso specifico. Tuttavia occorre rendere disponibile quest’informazione convertendo la componente più energetica e selezionandola opportunamente. Questo implica l’applicazione di un taglio (cut) energetico studiato e calibrato per l’osservazione di questo effetto, comunemente noto come punchthrough. Il punchthrough non è altro che l’eccesso di particelle energetiche osservabile al di fuori del core dello sciame, distinto dalla componente penetrante muonica. Si veda a questo proposito la figura 4.6. Essa mostra gli spettri integrali (sommati su 1000 sciami) a due energie campione (1T eV e 3T eV ) ottenuti integrando la componente elettromagnetica nella zona di estensione AE. Per entrambi i primari sono indicati il numero totale delle particelle della componente elettromagnetica e± , γ e della componente muonica µ± . Ad una soglia di ∼ 200 ÷ 300M eV , i secondari del protone primario risultano dominanti su quelli del γ primario di pari energia, e a energie di ∼ 1GeV eguagliano il conteggio dei muoni. Il punchthrough [14] è quindi l’eccesso di carichi energetici “muon-like” nella coda dello spettro osservati lontano dal core. Poiché il contenuto di muoni Nγ 1 nel caso di γ primario è trascurabile (essendo Nµp ' 100 ) la discriminazione µ γ/h nella zona AE è potenzialmente interessante. Quanto e come, è oggetto della discussione seguente. 4.1. LA SIMULAZIONE MONTECARLO 75 (a) R < 20m (b) 20m < R < 50m Figura 4.5: Spettri integrali delle componenti elettromagnetiche (e± , γ) di EAS originati da fotone (linee rossa) a confronto con quelli originati da protone (linee blu) in due zone di raccolta diverse. Le differenze cominciano a manifestarsi a una certa distanza dal core selezionando cioè le particelle di più alta energia. 76CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ (a) Epr = 1T eV (b) Epr = 3T eV Figura 4.6: Spettri integrali per 1000 sciami delle componenti elettromagnetiche (e± , γ) di EAS originati da fotone (linee rossa) a confronto con quelli originati da protone (linee blu) per primari da 1T eV (figura in alto) e da 3T eV (figura in basso). In questo caso gli spettri non sono stati normalizzati, cosicché si possa vedere dove avviene l’incrocio delle due distribuzioni. Le linee tratteggiate rappresentano la componente muonica. 4.2. L’OSSERVAZIONE DEL PUNCHTHROUGH IN ARGO-YBJ 4.2 77 L’osservazione del punchthrough in ARGOYBJ Per quanto descritto nel capitolo 3, l’esperimento ARGO-YBJ è un rivelatore capace di contare le particelle ma non di misurarne l’energia. Inoltre, le RPC sono sensibili alla sola componente carica mentre il punchthrough è legato alla capacità di misurare una componente neutra energetica. Parimenti occorre avere una superficie sensibile nella zona estesa, attualmente coperta solo per il 20% (996m2 ), pari alla superficie di 23 moduli. Come ovviare a questi difetti? In primo luogo è sottintesa l’estensione della superficie attiva a tutta l’area disponibile nel capannone e quindi alla sovrapposizione di uno strato di assorbitore opportunamente scelto per un duplice scopo: da un lato permettere la conversione in carichi osservabili della componente secondaria neutra, e dall’altro schermare la componente secondaria carica di bassa energia. Ciò si traduce in un taglio “hardware” sullo spettro integrale delle particelle dello sciame. In sostanza, un nuovo rivelatore è stato considerato nelle simulazioni come composto dal carpet centrale interamente coperto di RPC e da una zona ARGO extended continua anch’essa, al di sopra della quale sono stati simulati diversi spessori di materiale assorbitore per selezionare la regione energetica in cui avviene la separazione degli spettri e qui definire un criterio di discriminazione. La zona attuale del carpet AC mantiene, dunque, funzionamento analogo a quello presente, quindi stessa soglia e area efficace ma coadiuvata dalla zona estesa AE per migliorare la selezione della componente primaria neutra. A parità di area di trigger, cioè il carpet, la sensitività del nuovo rivelatore all’osservazione delle sorgenti scalerà linearmente con l’efficienza di reiezione, il cosiddetto fattore di qualità Qf che meglio descriverò nel prossimo capitolo. Altra possibilità sarebbe quella di misurare con maggiore efficienza il numero dei muoni (come fatto in [15]) ma questo comporterebbe la realizzazione di rivelatori dedicati a distanze dal core maggiori di 50m. A questo punto, rimanendo all’ipotesi di estensione del tappeto nella zona AE, si osservi la figura 4.7 Si nota che l’energia minima di taglio risulta circa Ecut ∼ 200M eV : maggiore l’energia migliore risulta la separazione degli spettri e quindi la capacità di discriminazione. In figura 4.8 è mostrato l’istogramma di molteplicità per sciami γ-in e p-in, ovvero il numero totale di particelle cariche e± , µ± per 1000 sciami campione a due diverse energie primarie: in alto, senza tagli di alcun tipo, in basso con un taglio ideale ad 1GeV . Si nota chiaramente che il numero medio di carichi in uno sciame γ-in è superiore rispetto a quello dei p-in nel primo caso, mentre nel secondo la situazione si ribalta e la separazione tra i primari ne risulta migliorata. 78CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ Figura 4.7: Spettri energetici integrali delle particelle secondarie cadute in una zona corrispondente ad ARGO extended. In questa zona, gli sciami p-in presentano un numero maggiore di secondari con energie > 200M eV . In rosso, lo spettro degli EAS γ-in; in blu quello degli EAS p-in. Gli EAS sono stati simulati per primari con energia E = 3T eV . A questo punto bisogna capire come realizzare il taglio in questione agendo a livello hardware. La strada più ovvia da seguire consiste nel posizionare uno schermo di materiale assorbitore al di sopra del rivelatore. Il primo materiale preso in considerazione per realizzare un eventuale schermo è stato il piombo. Il posizionamento di una lastra sottile di piombo sulla superficie estesa AE risulterebbe, infatti, relativamente facile da mettersi in opera. Uno stanziamento economico per un’operazione simile era già stato previsto nel proposal dell’esperimento dedicato alla copertura della zona AC al fine di migliorare la risoluzione angolare del rivelatore alle basse energie (300GeV ÷ 1T eV ). L’azione dell’assorbitore si manifesta in quello che è comunemente noto come effetto di transizione. 4.3 L’effetto di transizione Nel paragrafo §2.1 sono stati descritti i meccanismi con cui la radiazione carica e neutra interagisce all’interno di un materiale. Allora il materiale considerato era l’atmosfera terrestre, una miscela di azoto (78%), ossigeno (21%) e altri gas (' 1%) ma i meccanismi sono gli stessi che si tratti di aria, piombo o qualsiasi altro mezzo (la cui dipendenza compare infatti nelle formule che descrivono la perdita di energia, in particolare nella densità ρ e 4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE 79 (a) Epr = 1T eV (b) Epr = 3T eV Figura 4.8: Molteplicità di sciami γ-in (in rosso) e p-in (in blu) a due diverse energie. Gli istogrammi in alto si riferiscono allo sciame osservato integralmente, quelli in basso ai soli carichi di energia E ≥ Ecut = 1GeV . 80CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ nella lunghezza di radiazione X0 ). In questo caso, cioè il caso di particelle con energie medie intorno agli 80M eV 2 , i meccanismi dominanti sono la produzione di coppie per quanto riguarda i fotoni, la radiazione di frenamento e la ionizzazione per quanto riguarda i carichi. Il risultato è che anche nel piombo si generano sciami di particelle caratterizzati da un massimo superato il quale vengono gradualmente riassorbiti. Se si sceglie uno spessore di materiale che non si discosti troppo dalla profondità alla quale si verifica il massimo, è possibile osservare in uscita dalla lastra un numero di particelle cariche superiore a quelle che erano entrate, proprio per effetto della conversione della componente neutra. Si ricordi che un EAS è costituito principalmente da componente elettromagnetica elettroni, positroni e fotoni - e componente penetrante - muoni. A parità di sciame atmosferico, cioè energia primaria, incrementando lo spessore del materiale assorbitore, si osserverà un numero di particelle in uscita che aumenta (crescendo la probabilità che un fotone si converta in coppia e+ e− ) fino a un certo spessore, poi comincerà a decrescere fino ad azzerarsi del tutto. Aumentando infatti lo spessore aumenta l’energia totale che ciascuna particella carica perde per ionizzazione. Questo fenomeno prende il nome di effetto di transizione e fu studiato da Bruno Rossi nella prima metà del XX Secolo, consentendogli di teorizzare un modello per le cascate elettromagnetiche: il modello di Rossi. Per capire la portata dell’effetto di transizione nel nostro caso specifico, poiché come detto esso dipende dallo spettro dei carichi nell’EAS alla caratteristica quota di osservazione, ho costruito una simulazione Montecarlo. Gli effetti di moltiplicazione sui γ secondari e il taglio in energia sui carichi non possono essere modellizzati con il metodo di Rossi ma sono piuttosto l’effetto combinato di generazione e assorbimento nel mezzo attraversato. Pertanto ho utilizzato il kit GEANT4 [32] per riprodurre la risposta dell’assorbitore. 4.3.1 GEANT4 GEANT4 è un toolkit per la simulazione Montecarlo3 del passaggio di particelle nella materia, sviluppato dalle collaborazioni del CERN [32]. Viene applicato in diversi ambiti, dalla fisica degli acceleratori alla fisica astroparticellare e anche in campo biomedico. Evoluzione del precedente GEANT3 scritto in FORTRAN, GEANT4 consiste in un set di classi scritte in C++ che consentono di creare rivelatori con tutte le caratteristiche richieste e far interagire in essi le particelle. L’utente imposta un mainfile che implementa tutte le classi necessarie per la simulazione. Alcune classi costituiscono il nucleo essenziale: 2 La quota di ARGO-YBJ è posta in prossimità del massimo degli shower, ossia in prossimità dell’energia critica Ec ' 80M eV . Cfr. §2.2. 3 Cfr. §2.4.1. 4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE 81 • Una classe DetectorConstruction, che contiene tutte le informazioni sulla geometria del materiale. In questo lavoro è stata simulata una semplicissima lastra di piombo ma è possibile riprodurre rivelatori molto complessi. • Una classe PhysicsList, ossia una lista di tutti i processi fisici che si vogliono considerare. Sta dunque all’utente inserire la corretta definizione dei processi fisici considerati. • Una classe PrimaryGeneratorAction, dove vengono impostate le informazioni sulle particelle che si vogliono lanciare sui materiali, quali il tipo di particella, le coordinate spaziali e l’impulso. • Una classe SteppingAction che gestisce la storia della particella ad ogni passo. Un passo termina quando la particella compie un’azione, che sia il verificarsi di un processo fisico o il passaggio da un volume ad un altro. • Una classe EventAction che gestisce le informazioni di tutte le particelle generate dalla primaria. • Una classe RunAction che gestisce tutte le particelle primarie lanciate. Informazioni più approfondite sull’utilizzo e la programmazione in GEANT4 si possono trovare alle referenze [27] e [28]. Per il caso in questione, la simulazione GEANT4 (G4) ha reso necessaria la simulazione di una generica lastra di piombo a spessore variabile. Sulla lastra vengono fatti incidere, evento per evento, e particella per particella, gli output di CORSIKA ovvero le particelle che costituiscono lo sciame. La lastra è creata grande abbastanza, in grado cioè di raccogliere i secondari dello sciame comunque siano distribuiti e non introdurre gli errori dovuti al sottodimensionamento. G4 provvede quindi a simulare la risposta del materiale assorbitore e permette dunque di correlare fra loro il numero totale di carichi uscenti (Nout , le sole osservabili fisiche cui gli RPC sono sensibili) rispetto ai carichi incidenti (Nin ). Il risultato di questa simulazione è illustrato nella figura 4.9, per protoni e γ primari a 5 diverse energie. Esse rappresentano la modulazione dell’effetto di transizione, cioè il rapporto R = NNout , con lo spessore di assorbitore in in piombo. Si dimostrano cosı̀ alcune interessanti proprietà. • Il massimo della moltiplicazione è compreso tra 5 e 15mm di spessore, ovvero ∼ 1 ÷ 3 lunghezze di radiazione ed è indipendente, o quasi, dal primario. 82CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ • R non scala con l’energia ma conserva la posizione del massimo. Ciò è comprensibile, dal momento che il size Ne e la componente neutra Nγ scalano linearmente con l’energia del primario, cioè gli spettri degli EAS mantegono la stessa forma qualunque sia l’energia primaria. • Al massimo il rapporto R vale circa 2 alla soglia di 300GeV , indicando dunque una moltiplicazione efficace del numero di carichi mediante conversione della componente γ secondaria di alta energia. A questo punto, si può valutare se e quanto l’utilizzo di un assorbitore (piombo o altro materiale) permette di migliorare la reiezione γ/h nella zona estesa e valutarne l’efficienza. Avendo dimostrato che il massimo della moltiplicazione è compreso tra 5 e 15mm si può ridurre il tempo di simulazione studiando solo questi casi limite. L’efficienza sarà quindi definita in termini di sensibilità a sorgenti γ del nuovo rivelatore, ovvero il tempo richiesto per osservare un determinato flusso, il flusso minimo osservabile, e infine il tempo scala per vedere un segnale ad una data significatività. Nell’ultimo capitolo svilupperò quindi il problema della reiezione e la sua valutazione attraverso il fattore di qualità Qf . 4.3. L’EFFETTO DI TRANSIZIONE 83 (a) γ-in (b) p-in Figura 4.9: Nelle figure si osserva come varia il rapporto eout /ein . I marcatori rappresentano in dimensione crescente le energie crescenti dei primari: 100 GeV , 300 GeV , 1 T eV , 3 T eV , 10 T eV . Non si notano grandi differenze col variare dell’energia, ma ciò è comprensibile, dal momento che il size e la componente neutra scalano linearmente con l’energia del primario. 84CAPITOLO 4. LE PROPRIETÀ DEGLI EAS ALLA QUOTA DI ARGO-YBJ Capitolo 5 Il fattore di qualità Qf e la reiezione γ/h Nel primo capitolo ho chiarito come uno dei maggiori problemi in γ astronomia sia legato alla necessità di estrarre segnali deboli provenienti dalle sorgenti rispetto ad un fondo dominante dovuto alla componente adronica. Mentre un esperimento su satellite può facilmente discriminare i raggi cosmici carichi utilizzando scintillatori plastici in anticoincidenza, per gli esperimenti al suolo la situazione è più problematica. Essi, infatti, osservano gli EAS (e non direttamente i primari) costituiti da un grande numero di particelle cariche e neutre e cercano di ricostruire natura ed energia del raggio cosmico primario in modo indiretto. Una sorgente γ viene normalmente identificata come un significativo eccesso statistico di eventi (si veda la figura 5.1) al di sopra del fondo di raggi cosmici carichi provenienti dalla stessa direzione entro un angolo pari alla risoluzione angolare dell’esperimento considerato. La capacità di distinguere tra il segnale cercato e il fondo carico dipende dalle caratteristiche dell’esperimento, le quali assumono un ruolo cruciale. 5.1 La sensitività La sensitività di un esperimento al suolo è solitamente espressa in unità di deviazioni standard del fondo adronico: Nγ S=p Nbkg dove Nγ è l’eccesso di eventi provenienti da una certa direzione e Nbkg è il numero di CR osservati entro un angolo solido ∆Ω. I conteggi Nγ e Nbkg dipendono dai flussi attesi (Jγ (E) per la sorgente e Jbkg (E) per il fondo cosmico) e dalle caratteristiche dell’esperimento, ovvero 85 86CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Figura 5.1: Una sorgente γ si manifesta come una distribuzione di eventi centrati sulla sorgente. Una buona risoluzione angolare porta alla produzione di distribuzioni più sottili (caso A) che possono essere visibili al di sopra del fondo adronico; nel caso B il livello delle fluttuazioni copre il segnale. la soglia di energia Ethr , l’area efficace Aef f , l’efficienza angolare (∆Ω), il tempo di misura: Z Nγ = Ethr Z Nbkg = 0 Ethr f Jγ (E) · Aef · T · (∆Ω) · dE γ f Jbkg (E) · Aef bkg · T · (∆Ω) · dE Vediamoli brevemente: • L’area efficace Aef f L’area geometrica non corrisponde, in genere, con l’area effettiva di campionamento, avendo tipicamente l’EAS direzione diversa da quella ortogonale al rivelatore. L’efficienza del rivelatore è convenzionalmente rappresentata mediante un’area efficace definita come la superficie di un rivelatore ideale (efficienza pari a 1 se il core vi cade all’interno, 0 se cade fuori) normale alla direzione di arrivo del primario. L’area efficace dipende dalla natura del primario, dalla sua energia e dalla sua direzione di arrivo. Natura, energia e direzione influiscono infatti sullo sviluppo della cascata e quindi sul numero di carichi osservabili nel rivelatore. • L’energia di soglia Ethr Un apparato di rivelazione registra l’evento (trigger ) se rivela un numero minimo di carichi. Nel caso di ARGO-YBJ la soglia è di 20 5.1. LA SENSITIVITÀ 87 particelle localizzate che corrispondono a una trentina di particelle cadute in totale sul carpet. Il numero di particelle cariche al livello di osservazione (size) dipende sia dal tipo di primario, sia dalla sua energia. Per primari diversi, quindi, un esperimento avrà soglie energetiche diverse, come dimostrato nel capitolo 4. • Il tempo di osservazione T Occorre definire un tempo di osservazione efficace Tef f che dipende dal duty cycle (il tempo in cui il rivelatore è realmente in funzione) dell’esperimento e dal tempo che la sorgente trascorre all’interno del campo di vista: Tef f = f · T · (d.c.), dove f è la frazione di tempo utile per l’osservazione e T è l’intervallo di tempo considerato. • La risoluzione angolare σθ Rappresenta l’accuratezza con cui si ricostruisce la direzione d’arrivo del primario; essa è costituita da due componenti, una statistica (fluttuazioni nello sviluppo dello sciame, rumore del rivelatore) e una sistematica (ad esempio l’errore di puntamento). La risoluzione angolare è legata all’angolo solido di osservazione ∆Ω. Se la dispersione di σθ è gaussiana, l’apertura angolare che massimizza il segnale al di sopra del fondo uniforme è data da ∆θ = 1.58σθ ; quest’angolo è chiamato Ψ72 in quanto la frazione di eventi in arrivo dalla direzione della sorgente entro ∆Ω è = 0.72. Siccome l’angolo di osservazione intorno alla sorgente è solitamente piccolo, si può scrivere: ∆Ω = 2π(1 − cos∆θ) ' π(∆θ)2 (∆Ω) 0.26 √ = σθ ∆Ω L’espressione completa per la sensitività diventa, quindi: R S=r Eth R 0 Eth Jγ (E) · Aγef f · dE Jbkg (E) · Abkg ef f · dE · q Tef f · 0.26 · Qf σθ Nella formula di cui sopra, compare un nuovo fattore, il Qf (quality factor ), definito come: εγ Qf = q (1 − εbkg ) dove εγ rappresenta la frazione di EAS γ-in correttamente identificati come tali in base a un criterio di selezione (comunque sia stato definito) e (1−εbkg ) è la contaminazione del fondo adronico che sopravvive ai tagli. Sia la risoluzione angolare che il Qf migliorano la sensitività sperimentale facilitando la reiezione del background. 88CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Tuttavia, poiché nel nostro caso non c’è una variazione sostanziale del setup del tappeto centrale di ARGO-YBJ gli effetti sulla sensitività sperimentale possono derivare unicamente dal miglioramento del Qf . In assenza di reiezione avremo εγ = 1 e εbkg = 0, ovvero Qf = 1; per Qf > 1 si avrà sempre un miglioramento della sensitività che dovrà però essere correlato con l’efficienza del segnale alla sorgente (εγ ). Quando Qf > 1 questo si traduce direttamente in un guadagno lineare in S (S ∝ Qf ) √ e quadratico in tempo (S ∝ T ) a definita significatività di osservazione. 5.2 La discriminazione γ/h Alla fine del capitolo 3, sono stati esposti alcuni metodi di discriminazione γ/h. ARGO-YBJ non è in grado di utilizzare né il conteggio dei µ né le immagini Čerenkov, dal momento che il segnale generato nelle RPC dai µ è identico a quello generato da e± e non vi sono rivelatori IACT. Tuttavia ARGO-YBJ possiede una peculiarità che lo distingue dagli EAS arrays tradizionali: grazie alla copertura totale, è in grado di raccogliere tutte le particelle cariche in un’area piuttosto ampia attorno all’asse dello sciame. Consente quindi di effettuare delle analisi che riguardano la morfologia dello sciame in termini di particelle cariche. Negli anni passati sono state pensate diverse tecniche di discriminazione γ/h o GHD (Gamma Hadron Discrimination): • Un metodo GHD basato sullo studio della distribuzione degli hit e sulle loro fluttuazioni sul detector con l’ausilio di reti neurali [17]; • Un metodo GHD basato sulla natura multifrattale dell’immagine dell’EAS sul rivelatore [20]; • Un metodo GHD basato sullo studio della compattezza e uniformità della distribuzione laterale dello sciame [19]; in proposito si veda anche il paragrafo §3.4; • Un metodo GHD basato sullo studio della trasformata di Radon [22] applicata all’immagine dello sciame sul rivelatore. Nonostante ciascuno di essi prometta sulla carta dei Qf ∼ 2 (per studi eseguiti mediante simulazioni di sciami con il core centrato sul rivelatore), per sciami con il core in posizione casuale sul carpet, la capacità di discriminazione decresce sensibilmente. Nel capitolo 4, abbiamo evidenziato la possibilità di utilizzare l’effetto di punchthrough per migliorare la selezione dei primari γ. Di seguito discuterò questa possibilità in termini di incremento del Qf . 5.3. IL CALCOLO DEL QF 5.3 89 Il calcolo del Qf Avendo individuato il massimo dell’effetto di transizione, si è deciso di simulare, sempre mediante GEANT4, l’apparato di ARGO extended coperto da lastre di piombo di spessore 5mm, 10mm, 15mm. Per ottenere un criterio di discriminazione tra le due tipologie di sciame è stato confrontato il numero di particelle cariche in uscita dal piombo (visibili dall’RPC ) nei due casi, p-in e γ-in a parità di energia. In media, gli sciami da fotone presentano molteplicità maggiori ed occorre stabilire un taglio (cut) in particelle oltre il quale lo sciame viene identificato come γ-in. Come si vede dalla figura 5.2, ottenuta su un campione di mille sciami simulati a 1T eV , le fluttuazioni statistiche fan sı̀ che alcuni sciami γ manifestino una molteplicità inferiore a quella media (ciò significa che essi verranno erroneamente scartati dalla selezione in molteplicità) mentre alcuni sciami p ne contegono un numero maggiore (e verranno erroneamente identificati come γ). Il fattore che definisce la bontà della discriminazione è il quality factor o Qf , definito: εγ Qf = p 1 − εp dove εγ è l’efficienza di rivelazione dei γ cioè la frazione di sciami che, correttamente, sopravvivono al taglio; εp è invece il fondo costituito dalla frazione di sciami p erroneamente identificati come γ. Considerando un’efficienza di rivelazione dei γ pari a εγ = 1 (ovvero se uno sciame è effettivamente di tipo fotone viene identificato), un Qf = 1 significa che il rapporto tra sciami identificati correttamente e quelli di tipo p identificati come γ è 1/1. Ciò indica che gli sciami γ vengono tutti inclusi ma, del totale di quelli selezionati, la metà sono in realtà p-in. Un Qf = 2 riduce il rapporto a 1/4 e un Qf = 3 lo riduce a 1/9. Da qui, l’esigenza di massimizzare il Qf , cercando un sistema per separare il più possibile le distribuzioni di molteplicità per gli sciami di tipo diverso. La figura 5.3 mostra le molteplicità degli sciami nella zona ARGO extended coperta da 10mm di piombo. L’effetto moltiplicativo del materiale ha fatto sı̀ che le distribuzioni siano più allargate verso alti valori di molteplicità. Il punto migliore dove scegliere il taglio è quello dove le distribuzioni si intersecano anche se, come si vede dalla figura, può non essere univoco. La tabella successiva (5.6) riporta il valori di Qf e di efficienza sui γ per diversi tagli e per diversi spessori di piombo. L’energia degli sciami in questione è 1T eV , scelta perché prossima alla soglia dell’esperimento. Dai valori ricavati, si capisce che la presenza del piombo non aiuta in modo efficace nella discriminazione tra gli sciami. Sicuramente questi spessori non consentono cioè di sfruttare il punchthrough: le molteplicità degli EAS da fotone rimangono in media più elevate di quelle da protone. Ciò non stupisce dal momento che con 15mm di piombo (che corrispondono a circa 90CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Figura 5.2: Molteplicità di particelle nella zona AE per sciami da 1T eV γ-in (rosso) e p-in (blu) a confronto per un campione di mille EAS simulati. In questo caso non è ancora stato considerato lo schermo di piombo. In termini di molteplicità è possibile stabilire un taglio oltre il quale lo sciame viene identificato come γ-in. Figura 5.3: Molteplicità di particelle cariche in sciami da 1T eV γ-in (rosso) e p-in (blu) dopo una lastra di piombo di 10mm di spessore. Le distribuzioni si sono entrambe allargate rispetto al caso senza piombo, a causa della moltiplicazione dei carichi. 5.3. IL CALCOLO DEL QF Ncut 12 13 14 15 16 17 18 0mm εγ 0.90 0.88 0.86 0.84 0.80 0.76 0.73 Q 1.45 1.47 1.45 1.44 1.41 1.40 1.36 Ncut 18 19 20 21 22 23 24 91 5mm εγ 0.93 0.92 0.90 0.89 0.88 0.87 0.85 Q 1.42 1.42 1.42 1.42 1.42 1.43 1.41 Ncut 15 16 17 18 19 20 21 10mm εγ 0.96 0.95 0.93 0.92 0.91 0.90 0.88 Q 1.38 1.38 1.38 1.39 1.39 1.39 1.38 Ncut 10 11 12 13 14 15 16 15mm εγ 0.98 0.97 0.96 0.95 0.94 0.91 0.90 Q 1.35 1.36 1.37 1.38 1.37 1.35 1.36 Tabella 5.1: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo, nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera miglioramenti significativi al Qf . 2.7X0 , lo spessore di piombo più elevato considerato) la soglia energetica che si ottiene è piuttosto bassa. La scelta dello spessore, da un lato, era stata dettata dalla necessità di massimizzare l’effetto di transizione e dall’altro dai presumibili costi di copertura (2000 euro per tonnellata di piombo) e dalle possibilità tecniche di sovrapposizione delle lastre sui moduli di RPC. Facciamo un conto semplificato. Nota la densità del materiale (ρP b = 11.35 g · cm−3 ) e la perdita media di energia nel piombo per particelle al minimo di ionizzazione [3] avremo: dE dx = 1.122 M eV ·g −1 cm2 e ρP b · min dE dx = 12.74 M eV ·cm−1 min . Quindi a 2.7X0 , avremo un soglia in energia pari a: Ethr ' 20 M eV ben inferiore rispetto ai circa 200 M eV 1 che servono per rendere efficace il punchthrough e l’inversione degli spettri (come visto in figura 4.6). Per arrivare a ottenere un taglio minimo ragionevole sulla componente carica occorre un Ecut ∼ 500 M eV . Questo permetterebbe di osservare bene la separazione ma al “prezzo” di 40cm di spessore di piombo. Ciò corrisponde altresı̀ ad una profondità di 71X0 2 e quindi al quasi totale assorbimento dello sciame. 1 L’energia dove si verifica l’inversione degli spettri cresce leggermente con l’aumentare dell’energia dei primari, ma per sciami da 1T eV e da 3T eV il valore si aggira comunque intorno ai 200 M eV (fig. 4.6). 2 In realtà lo spessore è leggermente sovrastimato perché è stato calcolato al minimo di ionizzazione; quando la sua energia scende al di sotto del minimo di ionizzazione, la particella perde energia molto rapidamente. Cfr. fig. 2.6. 92CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H In sostanza l’utilizzo del piombo non sembra migliorare la discriminazione γ/h: in piccoli spessori (1 ÷ 2X0 ), aumenta il numero di carichi che arrivano sul rivelatore3 ma non incrementa sostanzialmente il Qf . Vediamo come, in queste condizioni, cambia la sensitività di ARGO-YBJ ad una sorgente γ. 5.4 Sensitività di ARGO-YBJ alla Nebulosa del Granchio Il flusso di raggi γ atteso utilizzando lo spettro della Nebulosa del Granchio è stato misurato con precisione dalla collaborazione HESS [29]: dN = 3.45 · 10−7 E −2.63 f otoni m−2 s−1 T eV −1 ; dE E ∈ [0.41; 40]T eV Nel calcolare il flusso atteso dalla Nebulosa, bisogna tenere conto del percorso giornaliero della sorgente all’interno del campo di vista di ARGO-YBJ (mostrato in figura 5.4). La sorgente, che culmina a θc = 8.1◦ , è seguita nel suo percorso apparente per angoli di zenith θ ≤ 40◦ , angolo limite per la sky survey dell’esperimento. Il tempo che la Nebulosa trascorre all’interno del campo di vista di ARGO-YBJ è di circa 5.9 ore/giorno. Figura 5.4: Moto apparente della Nebulosa del Granchio nell’arco del giorno. Per eventi con molteplicità sul carpet Nhit > 500 (Ethr ∼ 2T eV , si veda la tabella 4.1) il flusso atteso è di 9.77 γ/giorno. L’angolo che massimizza il rapporto segnale/rumore in questo range di molteplicità è 0.4◦ (figura 3 Questo aiuta a migliorare la risoluzione angolare. 5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE 93 3.10) e la frazione di eventi che cadono nell corrispondente finestra è 0.42; ne segue che il flusso atteso all’interno di questa finestra è 4.1 γ/giorno. Per quanto riguarda il flusso atteso di CR [30] [31], si stima un valore di ∼ 630 eventi/giorno all’interno di un bin angolare di 1◦ centrato sulla sorgente. La sensitività attesa vale quindi: 4.1 segnale =√ = 0.16σ/giorno S=√ f ondo 630 Tutto ciò significa che la Nebulosa del Granchio può essere rivelata con una significatività di 4σ in 600 giorni oppure di ∼ 3.1σ in un anno senza utilizzare alcuna GHD. Se invece si utilizza la migliore reiezione γ/h studiata in questo capitolo (Qf = 1.47, ottenuto nella zona AE senza assorbitore), la sensitività diventa: S −→ SGHD = S · Qf = 0.24σ/giorno Il che vuol dire che per ottenere una significatività alla Nebulosa del Granchio di 4σ occorrerebbero 278 giorni, e che in un anno di presa dati si potrebbe arrivare a una significatività di 4.6σ. 5.5 Le opzioni alternative Avendo dimostrato che uno strato sottile di piombo non è efficace al punchthrough, e quindi alla GHD nella zona AE, sono state seguite due opzioni alternative. La prima è quella dell’utilizzo di un diverso tipo di assorbitore; la seconda quella di un’estensione dell’area di raccolta alla zona esterna del capannone (ARGO outside AO, come definita in figura 4.1). 5.5.1 L’opzione cemento L’utilizzo del cemento come moderatore è ragionevole per due distinte ragioni: • da un lato ottimizza il numero di lunghezze di radiazione a parità di soglia energetica (ovvero il taglio Ecut sulla componente carica di bassa energia); • dall’altro ha un costo di messa in opera ridotto. Basterebbe infatti interrare i rivelatori. L’idea copia alcuni studi (vedi riferimenti [14] e [15]) fatti per un rivelatore di muoni a grande distanza dal core dello sciame (R > 50m). 94CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Cominciamo con il valutare l’efficienza di taglio in funzione dello spessore. Dal Particle Data Book [3] ricaviamo che la perdita di energia al minimo di ionizzazione nel cemento, la densità media e la lunghezza di radiazione X0 sono: dE dx concrete = 1.711 M eV · g −1 cm2 , ρconcrete = 2.5 g · cm−3 , min X0 =concrete = 26.57 g · cm−2 Si avrà quindi: concrete ρ . · dE dx concrete ∼ 4 M eV cm−1 min Quindi per due spessori tipo di 50cm e 100cm (5 ovvero 10X0 ) abbiamo una soglia di taglio di circa 200M eV e 400M eV rispettivamente. Nuovamente con l’aiuto del Montecarlo GEANT4 abbiamo analizzato la risposta del rivelatore in termini di molteplicità di particelle per mille sciami campione. Il risultato è mostrato nelle figure 5.5 e 5.6 rispettivamente per due rivelatori ideali a copertura continua nella zona di estensione AE o in quella ampliata AO. Appare ora più evidente l’effetto del punchthrough, in particolare nel caso con 100cm di cemento (figura 5.6). L’effetto si accoppia ad una notevole riduzione del numero di carichi osservati nelle due zone considerate (come effetto della soppressione della componente di bassa energia) anche se i Qf (vedi tabelle 5.7 e 5.8) ottenuti sembrano escluderne una reale efficacia in termini di discriminazione. I valori infatti sono prossimi all’unità e non sono competitivi rispetto a quanto osservato senza l’assorbitore. ARGO extended ARGO outside Qf 1.07 1.03 εγ 0.98 1 Ncut 6 10 Tabella 5.2: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo schermo simulato è costutito da 100cm di cemento. ARGO extended ARGO outside Qf 1.01 1.05 εγ 0.91 1 Ncut 16 24 Tabella 5.3: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo schermo simulato è costutito da 50cm di cemento. Quanto ottenuto dimostra che la sola schermatura non migliora la discriminazione γ/h se non è accoppiata ad un’efficiente discriminazione della componente penetrante come dimostrato in [15]. 5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE 95 (a) ARGO extended (b) outside ARGO Figura 5.5: Molteplicità dopo uno schermo di cemento spesso 50cm. In rosso gli sciami γ-in, in blu quelli p-in: si nota come il numero medio di carichi sopravvissuti sia in media maggiore per la distribuzione blu. 96CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H (a) ARGO extended (b) outside ARGO Figura 5.6: Molteplicità dopo uno schermo di cemento spesso 100cm. In rosso gli sciami γ-in, in blu quelli p-in. In questo caso il punchthrough si è verificato in maniera più sensibile rispetto alla figura 5.5. 5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE 5.5.2 97 Il confronto su tre zone Un’ultima valutazione è stata fatta comparando ad energia fissa i Qf nelle tre zone di studio AC, AE, AO (rispettivamente di 5800m2 , 5200m2 , 7200m2 ) in assenza di uno schermo assorbitore. Il risultato è mostrato in figura 5.7 e in tabella 5.9 per tre energie (1T eV, 3T eV, 10T eV ). Eprimari = 1 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside < Nch > p-in 37.2 14.7 12.7 < Nch > γ-in 125.9 29.1 23.1 Qf 1.68 1.47 1.34 εγ 0.91 0.88 0.92 Ncut 34 12 8 < Nch > p-in 224.1 64.3 52.5 < Nch > γ-in 592.3 122.4 92.3 Qf 1.59 1.46 1.40 εγ 0.91 0.84 0.87 Ncut 248 77 57 < Nch > p-in 1245.5 288.6 224.2 < Nch > γ-in 3061.5 583.8 430.8 Qf 1.86 2.0 2.0 εγ 0.88 0.87 0.88 Ncut 1770 417 313 Eprimari = 3 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside Eprimari = 10 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside Tabella 5.4: Valori di Qf e εγ nelle tre zone per sciami originati da primari con energie diverse. A energie dell’ordine del T eV , la soglia cui facciamo riferimento, non ci si riesce a discostare di molto da valori dell’ordine di 1.5 per il Qf . Migliora con l’energia (intrinsecamente per il maggior numero di muoni) e non si osservano grosse differenze tra le zone ARGO extended e ARGO outside, un ampliamento quest’ultimo che resta comunque di difficile realizzazione pratica. In tabella si osserva che il Qf nella regione centrale AC è sempre il migliore a parità di energia, tuttavia non può essere utilizzato essendo la zona centrale quella deputata alla selezione degli eventi. La selezione avviene infatti in base alla posizione del core e alla discriminazione in energia in funzione del numero di hit. Essa rappresenta qui, dunque, una valutazione puramente accademica e non utile nell’analisi dati sperimentale. Per questa, invece, assumono una certa rilevanza le analisi di tipo morfologico delle diverse distribuzioni laterali (vedi §5.2). 98CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H (a) ARGO carpet (b) ARGO extended (c) outside ARGO Figura 5.7: Molteplicità delle particelle cadute nelle tre zone. In rosso gli sciami γ-in, in blu gli sciami p-in, tutti originati da primari con E = 1T eV . Conclusioni Durante questa tesi sono state esaminate alcune possibilità volte ad ottenere dei buoni fattori di reiezione Qf (Quality Factor ) per la discriminazione γ/h nell’ambito dell’esperimento ARGO-YBJ. Elemento comune alle opzioni esaminate è la copertura della zona dell’attuale anello di guardia (zona estesa AE attorno al tappeto centrale) con rivelatori RPC per valutare se e quanto fosse utile nella discriminazione del fondo adronico oltre che per la migliore identificazione di eventi interni. E’ stata quindi valutata l’ipotesi di porre uno schermo fisico (assorbitore) al di sopra dei rivelatori in questa zona, con lo scopo di “tagliare” le particelle cariche di bassa energia e convertire i fotoni secondari più energetici dello spettro in e± quindi rivelabili dalle RPC. É stata cioè indagata la possibilità di osservare sperimentalmente l’effetto di punchthrough della coda più energetica dello spettro dei secondari presenti a distanze dal core maggiori di 30m. Infatti sciami p-in a medie distanze dal core (30−50m) presentano un numero maggiore di particelle energetiche (prevalentemente fotoni) rispetto a sciami γ-in di pari energia. A tal fine è stato studiato l’effetto di transizione per spessori variabili di piombo da 0 a 30mm per valutare l’incidenza della conversione. I risultati mostrano che il piombo in piccoli spessori pur permettendo un’efficiente conversione (un fattore circa 2) non consente, a causa della piccola lunghezza di radiazione, un adeguato taglio sulla più numerosa componente secondaria di bassa energia. Ne segue che si può escludere dunque che l’utilizzo di un assorbitore in piombo nella zona di estensione AE sia efficace allo scopo. D’altra parte è stato osservato che un aumento del fattore di qualità Qf si ottiene anche dalla sola copertura a tappeto continuo di RPC dello spazio disponibile all’interno del capannone. I Qf stimati con le simulazioni per sciami originati da particelle primarie al T eV sono rispettivamente Qf = 1.43 e Qf = 1.47 con e senza piombo. La differenza tra i due valori non giustificherebbe quindi la spesa relativa alla copertura con il piombo della zona AE ricordando però che, in ogni caso, un’eventuale copertura del tappeto centrale (originariamente inserita nel proposal del rivelatore) migliorerebbe la risoluzione angolare dell’esperimento. In alternativa abbiamo simulato l’impatto di uno schermo in cemento con spessori fino a 1m. In tal caso, grazie anche alla maggior lunghezza di 99 100CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H radiazione del materiale a più basso Z medio, l’osservazione del punchthrough è efficace ma dal momento che i valori di Qf ottenuti dalle simulazioni non vanno oltre Qf = 1.07 per 1m di spessore la messa in opera di questa ipotesi non è proponibile. Si tenga presente che una copertura di cemento di spessore sufficiente risulterebbe estremamente problematica sia dal punto di vista della realizzazione, sia per la successiva difficoltà di manutenzione sui rivelatori medesimi. In ultimo è stata valutata la possibilità di posizionare dei rivelatori anche al di fuori del capannone che ospita ARGO-YBJ su area complessiva di circa 7200m2 . I risultati ottenuti nella configurazione ideale (superficie attiva continua e con efficienza di rivelazione 100%) non si discostano molto dalle previsioni ricavate per la sola zona di estensione AE: sempre per primari di energia 1T eV , QAE = 1.47 e QAO = 1.34. f f In conclusione il solo upgrade che ha dato un esito soddisfacente sui metodi di discriminazione γ/h, e per certi aspetti inatteso, è la copertura totale del guard ring. Anche in vista di un futuro sito sperimentale che includa l’attuale esperimento ARGO-YBJ in un più complesso array di rivelatori multi-componente (progetto LHAASO) tale opprtunità verrà sicuramente presa in considerazione. Appendice - Incertezze Le incertezze in questione sono quelle tipiche di esperimenti di conteggio: dato un numero Nc di conteggi, la sua incertezza corrisponde alla radice quadrata p σNc = Nc Ricordando la definizione Qf = p εγ 1 − εp ne segue che la sua incertezza si ottiene propagando le incertezze sulle efficienze εγ e εp : v ! u u ∂Q 2 f σε2γ + σQf = t ∂εγ ∂Qf ∂εp !2 v u u σε2 2 σεp =⇒ σQf = t p γ 1 − εp + σε2p ε2γ · 4 1 − εp L’efficienza εγ è il rapporto tra gli sciami contati come γ-in e il numero complessivo degli sciami γ, discorso analogo per quanto riguarda εp : εγ = Nγ Nγtot e ! √ N N tot + ·ε N N tot √ =⇒ σε = εp = 101 Np Nptot 102CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Di seguito sono ripetute le tabelle dei Qf nella zona AE a diversi spessori in piombo con l’aggiunta delle incertezze σQf : Ncut 12 13 14 15 16 17 18 0mm εγ Q 0.90 1.45 0.88 1.47 0.86 1.45 0.84 1.44 0.80 1.41 0.76 1.40 0.73 1.36 σQf 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 Ncut 18 19 20 21 22 23 24 5mm εγ Q 0.93 1.42 0.92 1.42 0.90 1.42 0.89 1.42 0.88 1.42 0.87 1.43 0.85 1.41 σQf 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 Tabella 5.5: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo, nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera miglioramenti significativi al Qf . Ncut 15 16 17 18 19 20 21 10mm εγ Q 0.96 1.38 0.95 1.38 0.93 1.38 0.92 1.39 0.91 1.39 0.90 1.39 0.88 1.38 σQf 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 Ncut 10 11 12 13 14 15 16 15mm εγ Q 0.98 1.35 0.97 1.36 0.96 1.37 0.95 1.38 0.94 1.37 0.91 1.35 0.90 1.36 σQf 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 Tabella 5.6: Valori del Q factor per sciami da 1T eV a diversi tagli in particelle e a diversi spessori di piombo. Si nota che la presenza del piombo, nonostante moltiplichi il numero di particelle cariche, di fatto non opera miglioramenti significativi al Qf . 5.5. LE OPZIONI ALTERNATIVE 103 Tabelle per le zone AE e AO con 100cm e 50cm di cemento: ARGO extended ARGO outside Qf 1.07 1.03 σ Qf 0.07 0.06 εγ 0.98 1 Ncut 6 10 Tabella 5.7: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo schermo simulato è costutito da 100cm di cemento. ARGO extended ARGO outside Qf 1.01 1.05 σ Qf 0.06 0.07 εγ 0.91 1 Ncut 16 24 Tabella 5.8: Valori del Qf per sciami originati da primari da 1T eV ; lo schermo simulato è costutito da 50cm di cemento. 104CAPITOLO 5. IL FATTORE DI QUALITÀ QF E LA REIEZIONE γ/H Tabelle per le tre zone senza assorbitore: Eprimari = 1 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside < Nch > p-in 37.2 14.7 12.7 < Nch > γ-in 125.9 29.1 23.1 Qf 1.68 1.47 1.34 σ Qf 0.09 0.08 0.08 εγ 0.91 0.88 0.92 Ncut 34 12 8 < Nch > p-in 224.1 64.3 52.5 < Nch > γ-in 592.3 122.4 92.3 Qf 1.59 1.46 1.40 σ Qf 0.09 0.08 0.08 εγ 0.91 0.84 0.87 Ncut 248 77 57 < Nch > p-in 1245.5 288.6 224.2 < Nch > γ-in 3061.5 583.8 430.8 Qf 1.86 2.0 2.0 σ Qf 0.09 0.10 0.10 εγ 0.88 0.87 0.88 Ncut 1770 417 313 Eprimari = 3 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside Eprimari = 10 TeV ARGO carpet ARGO extended ARGO outside Tabella 5.9: Valori di Qf e εγ nelle tre zone per sciami originati da primari con energie diverse. Bibliografia [1] P. Vallania et al. 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Sempre dal punto di vista professionale, ringrazio il dott. Piero Vallania che ha puntato il suo occhio vigile durante lo svolgimento del lavoro e ringrazio i dottori Molinario, Di Pierro e Berzano per il loro supporto informatico; li ringrazio anche dal punto di vista personale come Andrea, Federico e Dario. Ringrazio i miei amici di Fisica, che in questi anni hanno trasformato l’università in una seconda casa e si sono comportati come una seconda famiglia, supportandomi e sopportandomi nei momenti più duri. Ringrazio, ovviamente, la mia famiglia che mi ha permesso di studiare e mi ha incitato a farlo durante tutta la vita. Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in montagna a sfogare le tensioni accumulate sui libri e al computer. Ringrazio Frà che mi ha messo la pulce nell’orecchio e ringrazio Cri che nonostante i mille e oltre chilometri di distanza ha ricambiato il supporto morale durante la scrittura. 109