Approccio moderno alle patologie infettive

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Atti del
49° Congresso Nazionale SCIVAC
Perugia, Centro Congressi Quattrotorri
29-31 Ottobre 2004
In collaborazione con AVULP
Approccio moderno alle patologie infettive
(batteriche, micotiche, protozoarie)
nel cane e nel gatto
Associazione Federata ANMVI
organizzato da
certificata ISO 9001:2000
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC
MASSIMO BARONI Presidente
GILDO BARONI Presidente Senior
DEA BONELLO Vice Presidente
FABIA SCARAMPELLA Segretario
UGO BONFANTI Tesoriere
DAVIDE DE LORENZI Consigliere
GUIDO PISANI Consigliere
COMITATO SCIENTIFICO CONGRESSUALE
DAVIDE DE LORENZI
TOMMASO FURLANELLO
COORDINATORE SCIENTIFICO CONGRESSUALE
FULVIO STANGA
SEGRETERIA SCIENTIFICA
MONICA VILLA
Tel: +39 0372 403504 - email: [email protected]
SEGRETERIA MARKETING, SPONSOR E AZIENDE ESPOSITRICI
FRANCESCA MANFREDI
Tel: +39 0372 403538 - email: [email protected]
SEGRETERIA ISCRIZIONI
PAOLA GAMBAROTTI
Tel: +39 0372 403508 - Fax: +39 0372 457091 - email: [email protected]
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
EV – Eventi Veterinari
Via Trecchi 20 – 26100 CREMONA (Italy)
ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA
TOWERS VIAGGI
Centro Direzionale Quattrotorri
06074 Ellera Scalo (PG) - Tel. 075 5170098 - Fax 075 5171045
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Associazione Federata ANMVI
49° Congresso Nazionale SCIVAC
Perugia, Centro Congressi Quattrotorri
29-31 Ottobre 2004
In collaborazione con AVULP
Approccio moderno alle patologie infettive
(batteriche, micotiche, protozoarie)
nel cane e nel gatto
organizzato da
certificata ISO 9001:2000
Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto e Dott.ssa Tiziana Binelli
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La SCIVAC ringrazia gli sponsor e gli espositori
per il contributo dato alla realizzazione del Congresso.
Hill’s*
Animal Health
VETEFARMA
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RELATORI
LUCA FORMAGGINI
Med Vet
Dormelletto (NO)
Si laurea a Milano nel Febbraio
1991. Dopo vari periodi di tirocinio in Italia e all’estero, lavora per due anni
presso la Clinica veterinaria “Città di
Pavia” e per altri due anni presso il Centro
veterinario “Gregorio VII” in Roma, rivestendo responsabilità di chirurgo e medico
di pronto soccorso. Dal 1996 lavora presso la Clinica veterinaria “Lago Maggiore”
di cui è socio fondatore. È relatore in
diversi corsi SCIVAC di chirurgia, ortopedia e medicina/chirurgia d’urgenza. È stato relatore a diversi congressi e seminari
a livello nazionale. Membro SCIVAC,
BSAVA, VECCS e EVECCS, è Resident
in training per accedere all’esame dello
European College of Veterinary Surgery
(ECVS). Dal 2001 è Segretario della
Società di Chirurgia Veterinaria Italiana
(SCVI). I principali campi di interesse sono
la chirurgia/traumatologia e la medicina
d’urgenza.
TOMMASO FURLANELLO
Med Vet, Padova
Laureato a Bologna con una tesi
sulla Peritonite Infettiva Felina
nel 1990, si è sempre interessato di medicina interna del cane e del gatto, con particolare interesse verso la farmacologia clinica, le malattie infettive e la diagnostica clinica. Ha frequentato l’Università
della Georgia ed altri centri veterinari nordamericani.
È uno degli autori del Prontuario Veterinario
Scivac e ha pubblicato numerosi articoli
scientifici su Veterinaria ed altre riviste
italiane ed estere ed ha presentato delle
comunicazioni anche al congresso annuale
del American College of Veterinary Internal
Medicine (ACVIM). È uno degli autori della
recente monografia SCIVAC sulla filariosi
cardiopolmonare.
Dal 1992 è stato relatore a numerosi
congressi e seminari SCIVAC ed ha partecipato ai Corsi Pratici SCIVAC, in qualità di relatore, di “Approccio Orientato al
Problema”, “Diagnostica di Laboratorio”,
“Biochimica Clinica”, “Endocrinologia
Clinica”, “Coagulopatie” e “Pronto Soccorso”. Dal 1994 è’stato più volte relatore alle giornate di aggiornamento di SCIVAC Regione.
Ha collaborato, sia nelle fasi organizzative che scientifiche, alla conduzione del
Gruppo di Studio di Medicina Interna. È
past president della Società Italiana di
Medicina Felina (SIMEF) e segretario
della Società Italiana di Medicina Interna
Veterinaria (SIMIV).
Dal 1996 ha ricevuto dalla Facoltà di
Medicina Veterinaria di Padova l’insegnamento di Malattie Infettive dei Piccoli
Animali. Tale incarico è stato confermato
ininterrottamente fino all’AA 2002-2003.
Attualmente sta conducendo un gruppo
di lavoro per lo studio di malattie infettive
trasmesse da zecche “emergenti” quali la
rickettsiosi canina e l’ehrlichiosi granulocitaria canina.
Svolge l’attività libero-professionale presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco
di Padova, occupandosi esclusivamente di
Medicina Interna ed è direttore clinico del
Laboratorio d’Analisi Veterinarie San Marco,
a Padova.
KATRIN HARTMANN
Prof, Dr med vet, Dr habil, Dipl
ECVIM
Monaco, Germania
Katrin Hartmann ha lavorato presso la Facoltà di Veterinaria dell’Università
della Georgia, negli Stati Uniti, dal 2001
al 2003 come Associate Professor di
Medicina Interna. È diplomata dal 1999 al
College Europeo di Medicina Interna
ECVIM. Attualmente lavora, in qualità di
Direttore di Dipartimento di medicina dei
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Piccoli Animali, alla Ludwig-MaximiliansUniversität di Monaco, in Germania. È
autrice di numerosi articoli su riviste internazionali e la sua attività di ricerca è da
sempre concentrata sulle malattie infettive del cane e del gatto .
MICHAEL R. LAPPIN
DVM, PhD, Dipl ACVIM,
Fort Collins, Colorado, USA
Dopo la laurea, conseguita
presso l’Università dell’Oklahoma State nel 1981, il Dr. Lappin ha
completato un internship in Medicina e
Chirurgia dei Piccoli Animali all’Università
del Georgia. Dopo due anni di pratica nel
settore dei piccoli animali a Los Angeles,
il Dr. Lappin ha completato un residency
in Medicina Interna dei Piccoli Animali e
conseguito un PhD in Parassitologia. Dal
1987 il Dr. Lappin è diplomato ACVIM
(American College of Veterinary Medicine).
Attualmente è Professore di Medicina
Interna dei Piccoli Animali presso il
College of Veterinary Medicine and
Biomedical Sciences dell’Università del
Colorado State e dirige un Laboratorio di
Serologia (Toxoplasma condii). Inoltre è
direttore della sezione di Medicina Interna
dei Piccoli Animali del CSU. Ha ottenuto
molte riconoscenze nel campo della ricerca
ed è autore di oltre 100 lavori di ricerca e
capitoli di libri. Il Dr. Lappin è editore associato del Journal of Veterinary Internal
Medicine e fa parte del comitato di redazione di Feline Medicine and Surgery e del
Compendium for Continuing Education for
the Practicing Veterinarian. Il Dr. Lappin
ha inoltre ricevuto il Beecham Research
Award e il Norden Distinguished Teaching
Award.
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UGO LOTTI
Med Vet,
Monsummano Terme (PT)
Si è laureato con lode a Pisa nel
1981. dopo il servizio militare, si
è dedicato ad una “mixed practice” fino al
1988, occupandosi principalmente di
medicina equina e dei piccoli animali. Nel
1989 si è specializzato in medicina dei
piccoli animali presso l’università di Pisa.
Dal 1990 si occupa esclusivamente di
medicina dei piccoli animali (cane e gatto). autore di pubblicazioni su riviste
nazionali e internazionali. Relatore presso numerosi corsi, seminari e congressi
nazionali organizzati dalla SCIVAC
(Società Culturale Italiana Veterinari per
Animali da Compagnia). Dal 1994 fa parte del Consiglio Direttivo della SCIVAC e
nel 1995 né è diventato il Segretario.
Attualmente lavora in un ospedale veterinario a Monsummano Terme in Toscana,
di cui è il Direttore sanitario, dove si occupa principalmente di medicina interna.
CARLO MASSERDOTTI
Med Vet, Brescia
Laureato col massimo dei voti
presso l’Università di Milano nel
1990. Dal 1993 si occupa di
citopatologia diagnostica, curando l’aggiornamento permanente con corsi di
approfondimento e frequentando centri di
referenza in Italia ed all’estero. È autore
di alcune pubblicazioni inerenti la citopatologia ed è relatore a meeting nazionali
ed internazionali. Dal 1988 è istruttore e
relatore al corso di Citologia organizzato
dalla SCIVAC. Dal 2001 ricopre la carica
di presidente della SICIV (Società
Italiana di Citologia Veterinaria).
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
PROGRAMMA SCIENTIFICO
Primo Giorno
Venerdì, 29 Ottobre 2004
8.30
REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI
SALA VANNUCCI E SALA MAGIONE
Chairperson: Massimo Baroni
9.45
10.30
La vicenda del cane Floppy ed altre storie (45’)
Ovvero circa l’utilità della ricerca degli agenti eziologici nell’approccio alle patologie infettive, l’utilità della ricerca diretta degli
agenti infettivi nella pratica medica tramite la presentazione di casi clinici e la necessità di abbandonare l’empirismo nell’uso degli
antimicrobici, sia per patologie semplici che complesse
Tommaso Furlanello (I)
Batteri, miceti e protozoi al microscopio (90’)
Carlo Masserdotti (I)
12.00
Fistole, croste, raccolte, essudazioni (60’)
Come raccogliere, conservare, processare ed interpretare i risultati
Tommaso Furlanello (I)
13.00
PAUSA PRANZO ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
SALA VANNUCCI E SALA MAGIONE
Chairperson: Tommaso Furlanello
14.30
Leptospirosi e Borreliosi (75’)
Epidemiologia, patogenesi, principali quadri clinici, prevenzione e terapia
Katrin Hartmann (D)
15.45
16.30
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
Tutti i relatori in una Tavola rotonda su FEBBRE DI ORIGINE SCONOSCIUTA (120’)
da una presentazione di casi clinici di
Mike Lappin (USA)
18.30
INTERRUZIONE
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Secondo Giorno
Sabato, 30 Ottobre 2004
SALA VANNUCCI E SALA MAGIONE
Chairperson: Ugo Lotti
9.00
Hepatozoonosi e infezioni da micobatteri (90’)
Katrin Hartmann (D)
10.30
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
11.15
Comportamento da tenere in caso di ferite penetranti, da morso, ascessi e tragitti fistolosi (45’)
Luca Formaggini (I)
12.00
Comportamento da tenere in caso di patologie enteriche infettive del cane e del gatto (60’)
Mike Lappin (USA)
13.00
PAUSA PRANZO ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
SALA VANNUCCI E SALA MAGIONE
Chairperson: Davide De Lorenzi
14.30
Comportamento da tenere in caso di patologie infettive genitourinarie (45’)
Mike Lappin (USA)
15.15
Comportamento da tenere in caso di osteomieliti ed artriti settiche (45’)
Luca Formaggini (I)
16.00
16.45
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
Tutti i relatori in una Tavola rotonda su
LE MALATTIE INFETTIVE NEI SOGGETTI CON PATOLOGIE PRE-ESISTENTI
O CONCOMITANTI (120’)
da una presentazione di casi clinici di
Tommaso Furlanello (I), Katrin Hartmann (D), Mike Lappin (USA)
(coordinatore Tommaso Furlanello)
18.45
8
INTERRUZIONE
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Terzo Giorno
Domenica, 31 Ottobre 2004
SALA VANNUCCI E SALA MAGIONE
Chairperson: Carlo De Feo
9.00
Comportamento da tenere in caso di versamenti settici toraco-addominali (75’)
Ugo Lotti (I) e Luca Formaggini (I)
10.15
11.00
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
Toxoplasmosi, neosporiasi, criptosporidiosi e babesiosi (120’)
Epidemiologia, patogenesi, principali quadri clinici, prevenzione e terapia
Mike Lappin (USA)
13.00
TERMINE DEL CONGRESSO
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ESTRATTI
DELLE RELAZIONI
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Luca Formaggini
Med Vet
Dormelletto (NO)
Comportamento da tenere
in caso di ferite penetranti,
da morso, ascessi
e tragitti fistolosi
Sabato, 30 ottobre 2004, ore 11.15
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INTRODUZIONE
Dal punto di vista eziopatogenetico vengono distinte ferite penetranti e
ferite perforanti. Nel primo caso, la noxa si limita ad entrare all’interno di un
organo o di una cavità corporea, mentre il secondo caso presuppone la presenza di un punto di ingresso e uno di uscita attraverso un organo o una cavità corporea. Per comodità di trattazione entrambe verranno raggruppate dall’Autore
sotto il nome di Ferite Penetranti. La causa più comune di ferita penetrante
riscontrata in Medicina Veterinaria è rappresentata dalle ferite da morso. Altre
cause riscontrate sono: ferite da proiettile, ferite da punta e da taglio (frecce,
“impalamenti” per cadute dall’alto o durante lo scavalcare delle cancellate),
ferite da oggetti migranti che come conseguenza portano alla formazione di
tragitti fistolosi, o tragitti drenanti (spighe, frammenti di legno).
FERITE DA MORSO
In uno studio retrospettivo su 93 casi, la mortalità è stata del 7% (Cowell AK,
Penwick RC, 1989). Le lesioni causate dal morso da parte d’altri animali, rispetto ad altri tipi di ferite cutanee, rivestono alcune peculiarità dovute all’elevata
pressione esercitata sui tessuti e all’elevato grado di contaminazione. La pressione esercitata (450 psi) dal morso esita in compressione tissutale diretta e
necrosi tardiva da distruzione della vascolarizzazione (Pavletic MM, 1989).
Proprio per questi motivi, al danno cutaneo superficiale e apparentemente innocuo, spesso si accompagnano ben più gravi lesioni ai tessuti sottostanti (fenomeno dell’iceberg), che possono rendersi visibili anche a distanza di giorni o settimane. Il danno ai tessuti sottostanti le ferite è direttamente proporzionale alla
taglia dell’animale aggressore (sindrome cane grande – cane piccolo). Le ferite
da morso sono considerate sempre contaminate. I batteri comunemente isolati in
questo tipo di lesioni sono Pasteurella multocida, Staphylococcus spp. e
Streptocaccus spp (Waldron DR, Zimmerman-Pope N, 2003) Ma numerosi altri
batteri (aerobi e anaerobi) risiedono nella cavità orale dei carnivori e hanno
accesso diretto nei tessuti della vittima attraverso le lacerazioni causate dai denti. Proprio l’estrema variabilità della popolazione batterica presente nelle ferite
da morso è uno dei motivi che rendono la terapia antibiotica ad ampio spettro
nella maggior parte casi inefficace. Quindi, ad una copertura con antibiotici ad
ampio spettro intrapresa nelle prime ore della presentazione, deve seguirne una
mirata dopo il risultato della coltura e dell’antibiogramma. Inoltre, i tessuti
lesionati (superficiali e profondi), a causa della pressione esercitata dal morso
vengono devascolarizzati, necrotizzano e fungono così da pabulum ideale per la
crescita batterica. Non sono rari i casi in cui il paziente è presentato alla visita
clinica a distanza di giorni dall’evento traumatico in stato di shock settico. Le
sedi più comuni di lesioni riferibili a ferite da morso sono le estremità, seguite
dalla regione della testa e del collo (Waldron DR, Zimmerman-Pope N, 2003).
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Valutazione iniziale: come per tutti i pazienti traumatizzati, la valutazione iniziale comprende l’esame degli apparati descritti dall’acronimo ABC (Airways: vie
aeree, Breathing: respiro, Circulation: parametri della perfusione). Nelle ferite da
morso localizzate alla regione del collo è importante valutare l’eventuale presenza di lesioni da perforazione tracheali (intubazione o tracheotomia d’urgenza) ed
esofagee, fratture o lussazioni del rachide cervicale (controindicazione relativa
dell’intubazione) e lesioni all’apparato legamentoso (legamento nucale). Il riscontro di ferite a livello della parete toracica è causa di alterazioni della modalità del
respiro (aumento della frequenza respiratoria accompagnata da iperventilazione o
ipoventilazione). Il dolore (fratture costali) e la paura o l’eccitazione sono spesso
la causa principale dell’aumento della frequenza respiratoria. Importanza fondamentale riveste quindi il controllo della sintomatologia dolorifica e il pronto riconoscimento di situazioni che, oltre a determinare un’alterazione della frequenza
respiratoria, sono causa di ipoventilazione e di alterato scambio gassoso. Tra queste situazioni, quelle più comunemente riscontrate sono: lo pneumotorace (toracostomia su tubo), l’emotorace, il “flail chest” (il soggetto in questo caso deve
essere posizionato in decubito latero-laterale sul lato della lesione) e la contusione
polmonare (ALI: Acute Lung Injury nella fase precoce e ARDS: Acute
Respiratory Distress Syndrome più tardiva). Dal punto di vista emodinamico, il
paziente, vittima di ferite da morso, presenta spesso i sintomi dello shock ipovolemico (nei casi cronici shock settico). In questi casi una fluidoterapia aggressiva
e un apporto supplementare di ossigeno sono assolutamente raccomandati.
Seconda valutazione: devono essere presi in esame tutti gli apparati in precedenza non considerati, con particolare attenzione a sintomatologie neurologiche
centrali (trauma cranico, fratture vertebrali), sintomi di addome acuto (perforazioni di organi cavi, rotture di organi parenchimatosi), lesioni neurologiche,
muscolari e legamentose degli arti colpiti. Inoltre, la situazione clinica di un
paziente traumatizzato è estremamente dinamica, per cui è necessario continuare il monitoraggio di tutti i parametri considerati nella prima valutazione.
La gestione delle ferite da morso segue in linea generale quella riguardante il
trattamento degli altri tipi di ferite. Quindi, alla base di tutto è valido il concetto
che la terapia antibiotica (a maggior ragione nel caso delle ferite da morso) non
sostituisce nel modo più assoluto i lavaggi abbondanti, la pulizia chirurgica e il
continuo monitoraggio dello stato dei tessuti sottostanti. Le soluzioni di lavaggio
maggiormente indicate sono quelle contenenti Clorexidina diluita allo 0,05%
(Waldron DR, Trevor P, 1993). La pulizia chirurgica della ferita richiede estrema
attenzione nella valutazione delle aree necrotiche. Queste devono essere rimosse
completamente al fine di limitare o impedire la crescita batterica. È consigliabile
tuttavia, soprattutto in quelle zone in cui la superficie cutanea è ridotta o inestensibile, approcciare la ferita in modo più conservativo; rimuovere le aree sicuramente necrotiche, lasciare in situ quelle dubbie e rivalutare la zone giornalmente
(wait and reaassess) (Waldron DR, Zimmerman-Pope N, 2003).
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TRAGITTI FISTOLOSI O TRAGITTI DRENANTI
Durante la fase acuta dell’occasionale penetrazione della superfice cutanea
da parte di spighe, stuzzicadenti e altri frammenti di legno, il segno clinico
predominante è rappresentato dalla presenza di un ascesso (semplice a una
cavità o complesso multiloculare). Nei casi più cronici, è di comune riscontro
la presenza dei cosidetti tragitti fistolosi. L’ approccio consiste nella rimozione della causa: senza questo fondamentale passo terapeutico la guarigione
non può avvenire. Dopo una iniziale valutazione del possibile coinvolgimento degli organi sottostanti (es tragitto fistoloso sul fianco in caso di legatura
del peduncolo ovarico con materiale da sutura intrecciato e/o infetto), l’esplorazione del tragitto può essere preceduta da indagini diagnostiche più o
meno complesse; radiografia senza mezzo di contrasto (corpi estranei radiopachi), fistulografia, ecografia, TAC, RM, biopsie per escludere la presenza di
forme neoplastiche (mastocitomi, neoplasie mammarie ulcerate, carcinoma
squamoso delle dita) o fungine.
Nei casi in cui, l’intensa reazione fibrosa (ascesso e/o granuloma) precludessero una accurata e meticolosa esplorazione dell’area interessata, è consigliabile la rimozione en bloc di tutta la reazione (es resezione costale ed avanzamento del diaframma in caso di tragitti di drenaggio recidivanti della parete laterale del torace/addome).
Una volta rimossa la causa, il soggetto viene trattato con terapia antibiotica approppriata.
Letture consigliate
Cowell AK, Penwick RC: Dog bite wounds: A study of 93 cases. Compen Contin Educ Pract Vet. 11: 313, 1989.
Waldron Dr, Trevor P: Management of superficial skin wounds. In: Slatter D (ed): Textbook of small animal surgery, WB Saunders, Philadelphia, 1993, p 269.
Pavletic MM: Management of specific skin wounds. In Pavletic MM (ed): Atlas of small animal reconstructive surgery. (2nd ed.) WB Saunders, Philadelphia, 1989, pp 50, 66, 85.
Waldron DR, Zimmerman-Pope N: Superficial skin wounds. In Slatter D (ed.) Textbook of small animal
surgery, WB Saunders, Philadelphia, 2003, pp 266-267
Pavletic MM: “Penetrating Wounds”. In Wingfield WE, Raffe MR (eds.): The veterinary ICU Book.
Jackson Hole, Wyoming. Teton NewMedia. 2002.
Plunkett, SJ: “Dermatologic emergencies”. In Plunkett, SJ (ed.): Emergency Procedures for the Small
Animal Veterinarian (2th ed). Saunders, 2001.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Luca Formaggini
Clinica Veterinaria “Lago Maggiore”
C.so Cavour, 3 - Dormelletto (NO)
Tel. +39 032224716 - Fax +39 0322232756
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Luca Formaggini
Med Vet
Dormelletto (NO)
Comportamento da tenere
in caso di osteomieliti
ed artriti settiche
Sabato, 30 ottobre 2004, ore 15.15
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OSTEOMIELITE
Introduzione
Indipendentemente dalla causa (batteri piogeni, virus, funghi, corpi estranei), il termine osteomielite si riferisce ad una infiammazione dell’osso e del
suo midollo. Il processo patogenetico consiste in una distruzione dell’osso da
parte di enzimi proteolitici, una obliterazione della rete vascolare (e come
conseguenza la necrosi), decalcificazione per disuso e per eccessiva vascolarizzazione, riassorbimento osteoclastico e deposizione di nuovo tessuto osseo
da parte degli osteoblasti.
Per quanto concerne la classificazione, due sono le forme principali di
osteomielite: ematogena e post traumatica. Delle due, l’osteomielite post
traumatica è di gran lunga la più frequentemente riscontrabile dal punto di
vista epidemiologico. Per questo motivo e per la complessità dell’intero
argomento la relazione verterà sulla diagnosi, prevenzione e trattamento
dell’osteomielite post traumatica. La maggiore fonte di contaminazione
causa di osteomielite post traumatica è risultata la mancanza di asepsi
durante l’atto chirurgico di riduzione e stabilizzazione del focolaio di frattura (58% dei casi).
Diagnosi
Per una corretta diagnosi di osteomielite, vengono generalmente presi in
considerazione sei parametri: tragitti fistolosi, edema dei tessuti, reazione
periostale, segni radiografici (valutati su radiografie seriali), esami colturali e
istopatologia.
Trattamento
Si basa fondamentalmente su due punti: migliorare l’ambiente luogo dell’infezione ed una appropriata terapia antibiotica. È bene ricordare che una
corretta terapia antibiotica NON può in alcun modo sostituire il rispetto dei
principi chirurgici di Halsted ne la corretta gestione delle ferite in caso di
gestione di fratture esposte. Il trattamento elettivo dell’osteomielite traumatica è in definitiva quello chirurgico e consiste nella rimozione di pus, tessuto
necrotico, osso devascolarizzato (sequestrectomia), impianti infetti e/o mobilizzati ed eventualmente gestione aperta della ferita chirurgica e chiusura per
seconda intenzione. Per un corretto campionamento, il paziente non deve
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essere in terapia con antibiotici da almeno 7 giorni prima del trattamento chirurgico. Gli agenti patogeni più comunemente isolati nelle forme di osteomielite post traumatica sono Stafilococchi spp e Streptococchi spp. Nella
maggior parte dei casi (53%) viene isolato un solo agente eziologico. Il trattamento antibiotico “empirico”, generalmente a base di Cindamycina a 11
mg/kg bis in die viene iniziato subito dopo la chirurgia e viene continuato per
almeno 4 settimane, con lo stesso antibiotico o con altri più specifici rispetto
all’agente eziologico se la coltura e l’antibiogramma dovessero dare differenti indicazioni.
ARTRITI SETTICHE
Introduzione
Dal punto di vista eziologico, l’artrite settica può derivare da ferite penetranti (trauma o chirurgia, ivi compresa l’artrocentesi diagnostica) oppure la
contaminazione può arrivare per via ematogena (da infezioni di tessuti contigui o continui rispetto all’articolazione o da sedi lontane come ad esempio
cute e cavità orale).
Diagnosi
Il paziente si presenta generalmente affetto da zoppia e l’articolazione o le
articolazioni coinvolte si presentano calde e dolenti. I segni radiografici almeno nelle prime fasi del processo morboso risultano vaghi e inconsistenti, rendendo così l’esame radiografico utile ma certamente non definitivo. In relazione all’agente eziologico, i segni radiografici coinvolgenti l’osso sub condrale posono manifestarsi da 2 a 3 settimane dall’inizio dell’infezione.
L’analisi del liquido sinoviale (artrocentesi, esame citologico e colturale) e
della membrana sinoviale sono sicuramente esami più sensibili e precoci
rispetto all’esame radiografico.
Trattamento
I batteri comunemente isolati in corso di artriti settiche sono Stafilococchi
spp, Streptococchi spp e Pasteurella. Le basi del trattamento consistono nell’eliminare l’agente patogeno e nella rimozione dei mediatori dell’infiammazione dalla cavità articolare. Mentre in caso di artriti settiche “aperte” (di origine traumatica) sembra assodata la scelta del trattamento chirurgico (artroto19
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mia o artroscopia), in caso di artriti settiche di origine ematogena la scelta del
trattamento appropriato è ancora dibattuta. Da studi recenti sembra che in
quest’ultimo caso il trattamento non chirurgico fornisca al paziente ottimi
risultati. Considerando i batteri comunemente coinvolti in caso di artriti settiche, gli antibiotici utilizzabili sono: Amoxicillina+Acido Clavulanico,
Cefazolina ed Enrofloxacin.
Letture consigliate
MO Olmstead: Fracture Complications. In The Veterinary Clinics of North America. Small Animal
Practice. 21,4, 1991.
MR Herron: Osteomyelitis. In Bojrab MJ (ed): Disease Mechanisms in small animal surgery. Lea &
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RE Kaderly: Infectiuos Arthritis. In Bojrab MJ (ed): Disease Mechanisms in small animal surgery. Lea &
Febiger, Philadelphia, 1993. p 737.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Luca Formaggini
Clinica Veterinaria “Lago Maggiore”
C.so Cavour, 3 - Dormelletto (NO)
Tel. +39 032224716 - Fax +39 0322232756
20
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Tommaso Furlanello
Med Vet, Padova
Marco Caldin
Med Vet, Padova
Luis E. Razia
Med Vet, Padova
Antonella Giordano
Biologo, Padova
La vicenda del cane Floppy
ed altre storie
Venerdì, 29 ottobre 2004, ore 9.45
Fistole, croste, raccolte,
essudazioni
Venerdì, 29 ottobre 2004, ore 12.00
21
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INTRODUZIONE
Il presente testo accompagna due relazioni strettamente connesse tra loro,
ovvero un percorso che va dai problemi connessi all’uso empirico degli antimicrobici, alle motivazioni che devono portare ad una ricerca eziologica
anche nell’ambito delle malattie infettive, come nella gran parte delle altre
discipline della medicina veterinaria, utilizzando in modo razionale le metodiche diagnostiche disponibili.
LA VICENDA DEL CANE FLOPPY
Floppy è un cane pastore tedesco maschio intero di 6 anni d’età. Viene
portato alla visita per grave abbattimento, disuria ed ematuria. Due settimane prima era stato sottoposto ad una chirurgia spinale per una compressione
midollare ed era stato applicato un catetere rigido per facilitare lo svuotamento vescicale. Il cane, nelle due settimane che hanno preceduto la visita,
era stato sottoposto ad una terapia corticosteroidea iniettabile (presumibilmente con desametasone) e antibiotica (prima con ceftazidima IV e poi con
un chinolonico di 3a generazione). All’esame fisico il cane si presenta febbrile, depresso, con addome dolente. Indagini di diagnostica per immagini
rivelano la presenza di una vescica di grandi dimensioni, occupante buona
parte dell’addome caudale. L’ecografia vescicale indica la presenza di urina
con particelle corpuscolate e la parete vescicale si presenta ispessita, con
mucosa irregolare. L’esame delle urine presenta una grave piuria, con presenza di abbondanti corpi batterici. Gli esami emato-chimici sono compatibili con un’infiammazione grave, con probabile setticemia. La valutazione
dei dati raccolti porta alla diagnosi di cistite purulenta settica grave, causata
dalla disuria e/o dal cateterismo e favorita dall’uso dei corticosteroidi. A
questo punto qual’è la migliore scelta terapeutica del medico veterinario?
Selezionare un nuovo antimicrobico, scegliendolo tra quelli più “potenti”
e/o tra quelli che sono indicati per le patologie microbiche delle vie urinarie? Oppure richiedere un esame colturale dalle urine raccolte per cistocentesi? Per quanto tempo dovrà mantenere la terapia? Quali parametri dovrà
utilizzare per valutare la bontà della terapia (parametri chimici o citologici
delle urine? Nuovi esami colturali? Risposta clinica?).
Il caso molto complesso di Floppy, che presentava un’infezione delle vie
urinarie (UTI) pericolosa per la vita, associata a fattori di rischio quali mancato svuotamento vescicale per cause neurologiche, cateterismo permamente, uso di corticosteroidi, uso empirico di antimicrobici e presenza infine di
un agente infettivo (Corynebacterium urealyticum) estremamente difficile
22
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da far crescere in coltura, dotato di multiresistenza, localizzato nella mucosa vescicale patologica e di conseguenza difficile da eradicare1, chiaramente esprime la necessità di ricercare velocemente e caratterizzare gli agenti
infettivi, abbandonando le terapie antimicrobiche empiriche.
PREVALENZA DELLE TERAPIE ANTIMICROBICHE
NELLA PRATICA CLINICA DEI PICCOLI ANIMALI
Dall’analisi delle ricette mediche emesse dalla nostra Clinica in un mese
campione (Luglio 2004), il 33% di tutti i farmaci ricettati nel cane e del 35%
nel gatto riguardavano degli antimicrobici per uso sistemico. Nello stesso
periodo oltre il 90% degli animali ospedalizzati per più di 1 giorno ricevevano 1 o più antimicrobici, quasi sempre per via iniettabile.
Anche in USA, in un recente studio, il 43% dei pazienti canini e felini
di un Veterinary Teaching Hospital è stato sottoposto ad una terapia antibiotica2. Non stiamo quindi affrontando situazioni marginali o malattie
rare, ma piuttosto evenienze comunissime (sospetto di malattia infettiva e
relativo trattamento), che hanno un alto impatto sul benessere degli animali a noi affidati.
TERAPIE ANTIMICROBICHE: LE DOMANDE DA PORSI
Recentemente sono state elencate le domande che il clinico dovrebbe porsi nella scelta degli antibatterici3:
1) Il paziente presenta un’infezione microbica trattabile? Questa è una
domanda difficile, perché non esistono parametri indiretti che forniscano
una risposta: ad esempio la febbre può essere causata anche da patologie
neoplastiche o immuno-mediate, mente vi sono patologie microbiche che
tipicamente non inducono febbre, quali UTI o piodermiti, anche gravi. La
logica risposta è solo una: ricercare e documentare la presenza dell’agente infettivo (vedi anche oltre).
2) Dov’è l’infezione? Il sito d’infezione ha un forte impatto sulla scelta
della molecola da utilizzare, ad esempio se la localizzazione è prostatica, si dovrà utilizzare un antimicrobico in grado di penetrare (e concentrarsi) adeguatamente nella ghiandola (ad es. un chinolonico di 3a generazione e non una cefalosporina di 1a generazione). Un altro esempio
sono le piodermiti: per le forme superficiali la terapia prevede un minimo di 3 settimane, per quelle profonde 6 settimane e 2 settimane dopo
la guarigione clinica4.
23
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3) L’infezione è acuta o cronica? Le infezioni croniche comportano una
trasformazione del tessuto colpito e spesso la presenza di fattori di aderenza da parte dei germi che rendono difficile la penetrazione degli antimicrobici. L’effetto della persistenza dei germi e di una risposta infiammatoria cronica ad essa associata induce delle trasformazioni patologiche
che devono essere attentamente valutate. Ad esempio alcune malattie trasmesse da zecche (Ehrlichiosi monocitaria e granulocitaria, rickettsiosi)
possono indurre alterazioni mielodisplastiche nel midollo, che possono
non regrederire dopo l’eliminazione dell’agente infettivo e che richiedono trattamenti specifici5.
4) Quali sono i batteri più frequentemente coinvolti? Per alcuni (rari) tessuti la tipologia dei batteri presenti è prevedibile e una terapia empirica è
giustificata. Ad es. la gran parte delle piodermiti superficiali del cane è
indotta da Staphylococcus intermedius. Per molti altri l’agente eziologico
è imprevedibile e a poco servono i dati della letteratura, in quanto, tra le
altre cose, vi sono variazioni legate alla localizzazione geografica della
struttura veterinaria che ha raccolto i dati. Come esempio si rimanda alla
lettura della tabella 1.
5) Quali sono gli antimicrobici più efficaci verso gli agenti infettivi (presumiblmente) presenti? Si deve a questo punto introdurre il concetto di
antibioticoresistenza, che è diventato un problema di massima importanza
anche in medicina veterinaria. Ad esempio nel nostro Laboratorio (20032004) il 56,1% delle UTI canine è indotto da E. coli. Considerando gli
ultimi 65 isolati di E. coli (Gennaio-Luglio 2004), 35/65 erano uniformemente sensibili ad una selezione arbitraria di alcuni antimicrobici, per i
quali infatti è riportata l’attività contro questo germe (amoxicillina + acido
clavulanico, cefadrossile e chinolonici di 3a generazione [considerati cumulativamente perché nella successione delle prove sono stati utilizzati più chinolonici tra quelli registrati in Italia]). Le sensibilità dei 30 rimanenti ceppi
Tabella 1
Prevalenza di Staphylococcus intermedius e Pseudomonas aeruginosa
su campioni ottenuti in cani affetti da otiti esterne
Michigan State
University6
Laboratorio d’Analisi Veterinarie
“San Marco”, Padova
Staphylococcus intermedius
49,4%
29%
Pseudomonas aeruginosa
27,8%
35%
24
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è riportata nella tabella 2. Il clinico è invitato a considerare che il paziente
da trattare potrebbe essere affetto da uno qualsiasi dei ceppi riportati nella
tabella e da ciò è chiaro che scegliere empiricamente un antibiotico piuttosto di un altro presenta un margine d’errore, mancando tali dati, inaccettabilmente alto.
Tabella 2
Resistenze antimicrobiche ottenute da 30 isolati di E. coli provenienti da urine di cane
(metodo Kirby Bauer) [S= sensibile, MS= mediamente sensibile, R= resistente]
Isolato di
E. coli
Amoxicillina +
acido clavulanico
Cefadrossile
Chinolonici di IIIa
generazione
909
920
932
942
956
980
999
1000
1197
1203
1212
1250
1277
1292
1300
1314
1340
1377
1501
1559
1779
1873
1898
2001
2020
2118
2119
2220
2301
2319
MS
S
S
S
S
MS
R
MS
R
R
R
R
S
S
S
R
R
MS
MS
R
MS
R
MS
MS
R
S
S
S
S
MS
R
S
R
R
S
MS
S
MS
R
S
S
R
S
S
S
S
S
MS
R
R
R
R
MS
R
S
R
S
R
S
R
R
R
R
R
S
R
R
R
R
R
R
R
R
R
R
R
R
R
R
S
R
S
R
R
R
R
R
R
R
R
25
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L’alta incidenza di resistenze osservate presumibilmente è anche legata al
fatto che tradizionalmente l’esame colturale viene richiesto in caso d’infezioni recidivanti o ricorrenti, quindi valutando germi già sottoposti a
precedenti terapie. D’altra parte però un’infezione delle vie urinarie non
correttamente trattata può agevolmente estendersi alle alte vie, inducendo
pielonefriti di devastante gravità.
6) Quale dose e che via di somministrazione utilizzare per raggiungere concentrazioni efficaci nella sede d’infezione? La risposta a
questa domanda esula dall’obiettivo di questo testo. Si rimanda al
Prontuario Veterinario SCIVAC 2004 e alla bibliografia3 per ulteriori
informazioni.
ULTERIORI PROBLEMATICHE LEGATE
AD UN USO INAPPROPRIATO DEGLI ANTIMICROBICI
Da quanto scritto fino ad ora risulta chiaro che per un approccio razionale alle malattie batteriche è indispensabile abbandonare ogni tendenza
all’empirismo. L’uso inappropriato di antibiotici porta inevitabilmente a:
1) Mancato controllo della patologia infettiva (se presente).
2) Selezione di ceppi batterici resistenti all’antibiotico impiegato e ad altri
(fenomeno della multidrug resistance), pericolosi per il paziente, e
potenzialmente per altri animali e per l’uomo. L’allarme in medicina
umana a tale riguardo, indirizzato anche verso la pratica veterinaria dei
piccoli animali, è molto alto7.
3) Mancato riconoscimento di altra patologia, non batterica, perché sono
mal interpretati i sintomi clinici o perché s’utilizzano in modo inappropriato i test diagnostici. Se ad esempio s’impiega la sierologia per
diagnosticare le malattie infettive trasmesse da zecche, inevitabilmente
si potrà incorrere nel sovrastimare l’incidenza di tali malattie, perché il
titolo IgG non esprime la presenza dell’infezione, né tantomeno quella
di uno stato di malattia, ma più banalmente una memoria immunologica. In base a dati da noi pubblicati8, il 41,9% dei sieri provenienti da
cani affetti da varie malattie era positivo (metodica IFAT) per Ehrlichia
canis e il 67,4% per Rickettsia spp. Utilizzando metodiche più evolute,
che vanno alla ricerca dell’agente infettivo (ad es. PCR), il reale tasso
d’infezione è nettamente più basso. Simili rilievi sono stati recentemente raggiunti anche in USA su cani sani, valutando le infezioni da
Ehrlichia canis, con sieropositività dell’11% ma negatività con metodica PCR9.
26
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APPROCCIO PRATICO ALLA RICERCA EZIOLOGICA
NELL’AMBITO DELLE MALATTIE INFETTIVE
La ricerca dell’agente infettivo può essere eseguita tramite:
1) Esame microscopico (vedi relazione del Dott. Carlo Masserdotti).
2) Esame colturale (vedi oltre).
3) Reazioni di immunofluorescenza (immunofluorescenza diretta): trova
scarse applicazioni nella pratica clinica veterinaria.
4) Ricerca antigenica con metodiche ELISA o d’immunodiffusione (es.
ricerca antigeni della FeLV o del Parvovirus canino, cryptococcosi) o
d’agglutinazione (ad es. agglutinazione in latex per cryptococcosi).
5) Amplificazione del DNA batterico o protozoario (PCR): una presentazione della metodica PCR esula dagli scopi di queste note. Appare comunque importante far notare che questa tecnica sta conoscendo un periodo di
grande sviluppo e si presume che nei prossimi anni molte delle tecniche
convenzionali in microbiologia saranno sostituite dalla ricerca del DNA
microbico. L’evoluzione tecnica principale è la tecnica in real-time, che
presenta i seguenti vantaggi, come indicato in una recente review10:
“rispetto alla PCR convenzionale, la PCR real-time è molto più rapida e
facile da realizzare e, dato che sia la PCR che il riconoscimento delle sonde avvengono nello stesso capillare, la possibilità di una contaminazione
è ridotta. Inoltre, rispetto alle tecniche convenzionali di coltura basate sulla ricerca diretta dell’antigene, le metodiche PCR real-time sono spesso
più sensibili e molto più rapide per la ricerca o la quantificazione dei
micro-organismi”. Nella ricerca delle malattie trasmesse da zecche, per le
quali l’esame colturale è praticamente impossibile fuori dagli ambiti della ricerca, la PCR si segnala per la sua sensibilità ed è già attualmente considerata il test di riferimento11.
6) Metodiche di immunoistochimica o immunocitochimica.
7) Ricerca di tossine batteriche: si può ricercare la enterotossina CPE del
Clostridium perfringens, oppure la tossina A del Clostridium difficile12.
Per quanto riguarda gli esami colturali, nella tabella 3 sono indicate alcune soluzioni tecniche a partire dai differenti materiali biologici. Particolare
attenzione viene posta al trattamento del campione dalla raccolta alla consegna al laboratorio, dando per scontato che gli esami colturali dovrebbero essere eseguiti in laboratori veterinari di riferimento e che quindi s’impone l’invio dei campioni stessi. Si consiglia sempre di contattare il laboratorio di riferimento prima di eseguire i campionamenti; le indicazioni sotto schematizzate sono riportate a titolo indicativo e possono essere adatte solo alla pratica
degli Autori.
27
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Tabella 3
Scelta dei terreni di trasporto in base al tessuto da campionare
Terreni di trasporto e loro mantenimento
Note
Cute
Per le piodermiti superficiali e profonde si può utilizzare un tampone con un
terreno di Amies o di Stuart. Il tampone deve poi essere refrigerato
Si ricorda che Staphylococcus intermedius
è un normale commensale della cute dei
piccoli animali. La positività al tampone
dovrebbe essere associata a dati clinici e
microscopici che confermino una patologia batterica
Cavo orale,
altre mucose
idem sopra
Solo in casi assolutamente eccezionali si
dovrebbero eseguire esami colturali da
questi tessuti, perché nelle mucose sono
presenti numerosi batteri, compresi alcuni
potenzialmente patogeni.
Urine
L’esame colturale su urine deve essere
eseguito entro 6-12h, refrigerando il
campione. Se si desidera inviare il
campione ad un laboratorio si può utilizzare un dispositivo (“dip-slide”) che
comprende due o più terreni di coltura,
che vengono inseminati in sede ambulatoriale. Il dispositivo si mantiene a
temperatura ambiente
L’esame delle urine deve essere eseguito
esclusivamente su urine prelevate per cistocentesi. Le contaminazioni sono frequenti
con raccolte eseguite per altre vie e tradizionalmente viene utilizzata una soglia, da
parte del laboratorio, relativa alla carica
microbica per individuare una possibile
contaminazione (ad esempio considerare
positivi solo colture con conta ≥ 1000
cfu/ml). Questa metodica però può portare
al mancato riconoscimento di una diagnosi
di UTI a bassa carica microbica13. La soluzione migliore è quindi di raccogliere le urine per cistocentesi e considerarle positive
per UTI anche con basse cariche batteriche
Sangue
Cercando di mantenere la massima
asepsi, immettere il sanguein una bottiglia per emocoltura. Il laboratorio deve
fornire una bottiglia idonea per le
quantità di sangue ottenibile nei piccoli animali.
Non refrigerare dopo inoculazione
La bottiglia per emocoltura, che rimane
tappata, permette la crescita di germi aerobi e anaerobi
Versamenti pleurici
o peritoneali, articolari, piccoli frammenti di tessuto (ad
es. biopsie epatiche,
ossee etc.)
Inoculare il fluido attraverso la membrana perforabile o immettere il frammento
in un terreno di trasporto. Esistono dei
flaconi, con tappo perforabile che permettono di mantenere la vitalità batterica fino a 24-48h. La provetta si mantiene a temperatura ambiente
I flaconi portagermi permettono di mantenere l’anaerobiosi. La ricerca dei germi
anaerobi sono importanti nei versamenti
(ad es. piotorace).
Feci
Feci fresche
Le indicazioni per un esame colturale delle
feci sono modeste, perché le feci usualmente contengono agenti infettivi che potenzialmente possono essere considerati patogeni
(ad es. Campyolobacter spp. e Salmonella
spp.). Inoltre le enteriti batteriche sono molto rare sia nel gatto che nel cane.
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Si ricorda che il prelevamento dovrebbe essere eseguito prima di qualsiasi terapia antimicrobica. La presenza di antibiotici, anche se non ottimali in
riferimento ai germi da trattare, interferiscono con la crescita in vitro.
Un’eccezione a questa regola è il monitoraggio delle UTI recidivanti o ricorrenti, che recentemente è stato pianificato come indicato nella tabella 414.
ANTIBIOGRAMMA
La sensibilità agli antibiotici dei batteri cresciuti con l’esame colturale può
essere saggiata con due differenti tecniche:
1) diffusione su agar-gel (metodica di Kirby-Bauer). È la metodica più diffusa in medicina veterinaria, perché permette di saggiare gli antimicrobici effettivamente in uso nei piccoli animali. È il laboratorio infatti che
autonomamente sceglie gli antibiotici da inserire come dischetti e non è
legato a prodotti diagnostici pre-confezionati. Presenta il difetto di non
fornire indicazioni relative all’efficacia di un antibiotico nelle varie concentrazioni che sono ottenibili nei vari tessuti e/o modificando la posologia. Ad esempio un chinolonico di 3a generazione può essere inefficace
nella concentrazione presente nel dischetto utilizzato nella prova, ma può
diventare attivo alle concentrazioni ottenibili nelle urine del paziente.
2) Metodo delle diluizioni (determinazione della MIC, minimum inhibitory
concentration). Anche se le indicazioni che fornisce questa metodica, che
può anche essere automatizzata, non sono molto differenti da quelle otte-
Tabella 4
Monitoraggio di UTI persistenti tramite esami colturali urinari seriali14
Terapia
• 3-5 gg. dopo l’inizio della terapia
• in qualsiasi momento, dovessero ricomparire segni clinici o di laboratorio che indicano
una ricaduta
• Prima d’interrompere la terapia (3-5 gg. prima)
Sorveglianza
•
•
•
•
7-14 gg. dopo la sospensione della terapia
1-2 mesi “ “ “ “ “
3-6 mesi “ “ “ “ “
in qualsiasi momento, in caso di ricadute
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nibili con il Kirby-Bauer3, permette di stimare la concentrazione di antibiotico minima per ottenere l’inibizione batterica. Purtroppo tale metodica è attualmente di difficile applicazione, perché le gallerie di antibiotici
disponibili commercialmente sono già preformate e prevedono degli antimicrobici di difficile utilizzo in medicina veterinaria, per il costo o la
mancanza di dati farmacologici (ad es. atztreonam), mentre manca la possibilità di valutar la MIC di antimicrobici di uso comune quali i chinolonici di 3a generazione ad uso veterinario.
CONCLUSIONE
Quotidianamente vengono prescritti antibiotici ai pazienti canini e felini in
assenza di una diagnosi eziologica certa, trattando una forma infiammatoria
(cistite, bronchite, otite), ma ignorando se effettivamente è presente una componente batterica. Se l’uso è empirico, forzatamente sarà anche sconosciuto il
grado di sensibilità del germe eventualmente presente. Tale comportamento
può potenzialmente portare ad esiti disastrosi, ma può essere evitato con una
semplice indagine eziologica, a partire dal microscopio ed affidando ad un
laboratorio veterinario il campione raccolto. Ormai nessuno prescrive la
digossina senza esami cardiologici approfonditi, e di certo l’ortopedico non
esegue un’osteosintesi senza appropriati radiogrammi del tratto interessato.
Anche per le malattie infettive è giunta l’ora d’abbandonare l’empirismo.
Bibliografia
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Indirizzo per la corrispondenza:
Tommaso Furlanello
Laboratorio d’Analisi Veterinarie “San Marco”
v. Sorio 114/c, 35141 Padova
tel. +39 049 8561098 - fax +39 02 700518888
e-mail: [email protected]
web site: www.sanmarcovet.it
<http://www.sanmarcovet.it/>
31
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Katrin Hartmann
Prof., DVM., Dr. habil., Dipl. ECVIM-CA,
Monaco, Germania
Leptospirosi e Borreliosi
Epidemiologia, patogenesi,
principali quadri clinici, prevenzione e terapia
Venerdì, 29 ottobre 2004, ore 14.30
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La leptospirosi è una malattia zoonosica di importanza mondiale che colpisce molti animali e l’uomo ed è causata dall’infezione sostenuta da sierotipi antigenicamente distinti di una spirocheta mobile, Leptospira interrogans sensu lato, che può persistere in serbatoi selvatici contaminando l’ambiente. Gli appartenenti al genere Leptospira sono batteri filamentosi sottili
e flessibili formati da fini spirali con estremità ad uncino. Per la maggior parte degli oltre 200 differenti sierotipi identificati nel complesso di Leptospira
interrogans, si ignora l’importanza patogena dei singoli ceppi isolati. La leptospirosi è comune nel cane e la sua importanza in ambito veterinario viene
sottostimata, dal momento che molti casi restano non diagnosticati. Le
segnalazioni di questa infezione nel gatto sono rare.
La leptospirosi canina è stata descritta per la prima volta nel 1899. Prima
del 1960, erano considerati responsabili della maggior parte dei casi di leptospirosi canina i sierotipi icterohaemorrhagiae e canicola. In seguito, il diffuso impiego di un vaccino bivalente sierotipo-specifico nei confronti di
canicola ed icterohaemorrhagiae ha determinato un apparente calo dell’incidenza della leptospirosi “classica” nel cane. Questi vaccini, tuttavia, non
inducono un’immunità nei confronti di altri sierotipi che portano ad un
aumento relativo dell’incidenza della malattia attribuito a quelli di altri sierogruppi. La leptospirosi canina causata dal sierotipo grippotyphosa, che
venne identificato per la prima volta in cani da caccia tenuti in canile negli
Stati Uniti sud orientali, è stata riconosciuta come la forma predominante
nei cani che vivono ad est del fiume Mississippi. È stata rilevata una predominanza di pomona negli stati nord orientali e di bratislava e pomona nella
costa occidentale. Il sierogruppo Australis è stato incriminato in occasione
di un episodio di malattia verificatosi in Canada ed è stato documentato
come la causa dell’epatite cronica nel cane in Francia. In Germania, i sierotipi predominanti sono grippotyphosa, bratislava, saxkoebing e sejroe mentre in Italia, in una recente indagine, sono stati riscontrati principalmente
bratislava e grippotyphosa. Le leptospire possono venire trasmesse direttamente fra gli ospiti che vivono a stretto contatto attraverso l’urina, le vie
veneree, il trasferimento placentare, i morsi o l’ingestione di tessuti infetti,
dal momento che il microrganismo penetra attraverso le mucose o la cute
lesa. La diffusione nell’ambiente ad opera degli animali infetti avviene di
solito attraverso l’urina. La trasmissione indiretta, che è più frequente, si ha
tramite l’esposizione di animali suscettibili ad un ambiente contaminato, ad
es. terreno, cibo o lettiera. Il contatto con l’acqua è il mezzo di diffusione
più comune e gli habitat con acqua calda stagnante o in lento movimento
favoriscono la sopravvivenza dei microrganismi. Le leptospire nell’acqua
contaminata invadono l’ospite attraverso le ferite della cute o superando le
mucose integre.
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La formulazione della diagnosi è importante, poiché gli animali possono
fungere da serbatoi e comportare dei potenziali rischi zoonosici. La diagnosi di leptospirosi può venire emessa sulla base dei risultati ottenuti con diverse tecniche. Il mezzo diagnostico più comune è l’identificazione degli anticorpi mediante test di agglutinazione al microscopio (MAT); tuttavia, specialmente in Europa, sono stati utilizzati altri metodi per individuare gli anticorpi, come l’immunofluorescenza o l’ELISA. Il problema nell’interpretazione dei risultati dei test anticorpali è dato dall’elevata prevalenza di infezioni subcliniche e dalla persistenza degli anticorpi. Inoltre, anche i vaccini
per la prevenzione della leptospirosi inducono la formazione di anticorpi.
La terapia di sostegno per gli animali con leptospirosi dipende dalla gravità dei segni clinici e dalla presenza di una disfunzione renale o epatica e
di altri fattori complicanti. Nel trattamento della leptospirosi è essenziale
la terapia antimicrobica per porre termine alla batteriemia. Esistono due
stadi di trattamento. Il primo è volto ad inibire immediatamente la moltiplicazione del microrganismo ed a ridurre rapidamente le complicazioni
fatali dell’infezione, come l’insufficienza epatica e renale. La penicillina
ed i suoi derivati sono gli antibiotici d’elezione per far cessare la leptospiremia. Inizialmente, è possibile somministrare per via parenterale agli animali con vomito, uremia o compromissione epatica l’ampicillina (22
mg/kg ogni 8 ore IV) o, preferenzialmente, l’amossicillina se disponibile
per l’impiego IV (22 mg/kg ogni 12 ore IV). Questi farmaci prevengono
l’eliminazione delle leptospire nell’ambiente e la trasmissione del microrganismo entro 24 ore dall’inizio della terapia. Tuttavia, non sono in grado
né di eliminare l’infezione dai reni né di far cessare lo stato di portatore e
prevenire l’eliminazione cronica.
Quindi, nel secondo stadio, è necessario utilizzare altri principi attivi,
come le tetracicline, gli aminoglicosidi o i più recenti derivati dell’eritromicina, da far seguire alle penicilline per eliminare lo stato di portatore. Il
farmaco d’elezione è la doxiciclina (5 mg/kg ogni 12 ore PO per 3 settimane). Il trattamento con questo agente deve iniziare non appena le condizioni cliniche consentono di avviarne la somministrazione per via orale.
Per la vaccinazione sono state ampiamente utilizzate batterine inattivate
anti-icterohaemorrhagiae e canicola. Questi vaccini, tuttavia, non conferiscono una protezione crociata nei confronti di quei sierotipi responsabili
della maggior parte delle attuali infezioni nel cane. Attualmente, negli Stati
Uniti viene commercializzato un vaccino recentemente sviluppato e basato su batterine contenente i ceppi grippotyphosa e pomona, sia sotto forma
bivalente che come prodotto tetravalente in associazione con gli altri due
ceppi (Duramune® LGP o Duramune® LCI-GP, rispettivamente; Fort Dodge
Animal Health, IA, USA).
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La borreliosi è una spirochetosi trasmessa da zecche del gruppo della
malattia di Lyme (borreliosi di Lyme) veicolata da zecche ixodidi. La borreliosi di Lyme, sia sperimentalmente indotta che spontanea, è stata descritta nel
cane, nel gatto ed in altri animali domestici. In alcune aree endemiche, come
ad es. la Germania meridionale, il 30% circa delle zecche è infetto ed il 95%
circa dei cani presenta degli anticorpi. La malattia di Lyme è causata da
Borrelia burgdorferi sensu lato, che è suddivisa in diverse specie che colpiscono la popolazione umana e canina in tutto il mondo. Come la maggior parte delle spirochete, gli appartenenti al genere Borrelia sono batteri piccoli, a
forma di cavatappi, mobili, microaerofili, dell’ordine Spirochetales, che si
possono muovere nel tessuto connettivo utilizzando i loro flagelli e rilasciando speciali enzimi. Nel cane e nell’uomo sono state riscontrate almeno 6 specie. B. burgdorferi sensu stricto predomina nell’uomo e nel cane negli Stati
Uniti. Si trova anche in Europa, ma solo nel 10% degli isolati. Le specie principali in Europa sono B. garinii e B. afzelii. B. japonica è stata isolata dalle
zecche nell’uomo e nel cane in Giappone. Recentemente, sono state identificate due nuove specie (B. lusitaniae e B. valaisiana). Nel gatto, la malattia
spontanea è scarsamente documentata, anche se questi animali possono venire infettati sperimentalmente. I gatti sembrano essere meno suscettibili dei
cani ai segni clinici; a loro volta, i cani lo sono meno dell’uomo.
A differenza di Leptospira, Borrelia non sopravvive libera nell’ambiente.
Si tratta di batteri associati all’ospite, che vengono trasmessi fra serbatoi vertebrati e vettori artropodi ematofagi. Il principale vettore di B. burgdorferi
sensu lato sono le varie specie di zecche dure del complesso Ixodes. La trasmissione naturale delle spirochete richiede che la zecca resti attaccata per
48 ore, durante le quali i microrganismi si moltiplicano e attraversano l’epitelio intestinale passando nell’emolinfa, disseminandosi alle ghiandole salivari ed infettando l’ospite attraverso la saliva dell’artropode. Una volta nel
corpo dell’animale, Borrelia può agire come un agente patogeno persistente.
La maggior parte degli animali infetti non sviluppa mai segni clinici.
Probabilmente, in questi soggetti Borrelia persiste, ma non invade i tessuti
connettivi e, quindi, non provoca la comparsa di segni clinici bensì di una
risposta anticorpale persistente. In alcuni animali, Borrelia prolifera e migra
dalla cute a livello della sede del morso della zecca attraverso i tessuti, comprese le articolazioni, iniziando in stretta prossimità con il morso della zecca. La malattia clinicamente manifesta deriva dalla risposta infiammatoria
dell’ospite alla loro presenza.
La borreliosi di Lyme è una malattia sovradiagnosticata sia in medicina
umana che veterinaria, perché è diventata una malattia “di moda”. La sovrastima deriva dalla reattività crociata degli anticorpi nei confronti di altri agenti infettivi, dalla scarsa accuratezza dei test anticorpali e dalla predominanza
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di infezioni asintomatiche. La presenza di anticorpi anti-Borrelia denota l’esposizione ad una spirocheta, ma non dimostra che la malattia clinica in atto
nell’animale sia causata da Borrelia. Dal momento che i test anticorpali di
routine (ELISA o IFA) sono aspecifici e non risultano utili né l’esame di copie
di campioni né la differenziazione fra IgM ed IgG, è necessario ricorrere ad
altri test di conferma come il Western-Blot ed il nuovo C6-ELISA. Queste
prove possono venire utilizzate per rilevare gli anticorpi che indicano in modo
specifico un’infezione da B. burgdorferi ed escludono il contatto con altri batteri o con la vaccinazione. Anche i più recenti test ELISA che incorporano
l’OspC contribuiscono a differenziare l’infezione naturale dalla vaccinazione.
Negli Stati Uniti è stato recentemente messo a punto ed immesso sul mercato (SNAP 3 DxTM, IDEXX, Maine, USA) un nuovo test ELISA ambulatoriale
(C6 ELISA) che utilizza la sequenza IR6 come un peptide (C6) biotinilato a
livello N-terminale.
Gli antibiotici più efficaci per il trattamento dell’infezione da Borrelia
sono le tetracicline, l’ampicillina o l’amossicillina, alcune cefalosporine di
terza generazione per uso endovenoso e l’eritromicina ed i suoi derivati. La
doxiciclina (10 mg/kg ogni 12 ore PO per 30 giorni) è l’agente di prima scelta, perché è una tetraciclina liposolubile dal costo relativamente basso. Gli
altri farmaci vengono di solito riservati alle infezioni refrattarie o croniche.
Negli Stati Uniti, si trovano in commercio dei vaccini destinati ai cani e
basati su batterine dell’intera cellula e sulla proteina ricombinante OspA. I
vaccini basati sulle batterine dell’intera cellula sono da evitare perché generalmente non è desiderabile che nel vaccino siano presenti molteplici componenti che non sono coinvolti nella protezione dall’infezione e che sono potenzialmente in grado di indurre una risposta indesiderata ritardata. Hamster
immunizzati con batterine dell’intera cellula e sottoposti a stimolazione
mediante zecche infette hanno sviluppato un’artrite a distanza di diverse settimane o mesi. Questo problema ha precluso lo sviluppo di una batterina dell’intera cellula da prendere in considerazione come vaccino destinato all’impiego nell’uomo. In Europa, per l’uso nel cane sono disponibili solo batterine
di questo tipo. La molteplicità di ceppi infettanti fa anche sì che la protezione indotta dai vaccini basati sull’intera cellula (che vengono oggi commercializzati in Europa e contengono ceppi di B. burgdorferi sensu stricto), sia
discutibile, perché la protezione crociata fra le varie specie di B. burgdorferi
non è stata dimostrata.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Katrin Hartmann
e-mail: [email protected]
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Katrin Hartmann
Prof., DVM., Dr. habil., Dipl. ECVIM-CA,
Monaco, Germania
Hepatozoonosi e infezioni
da micobatteri
Sabato, 30 ottobre 2004, ore 9.00
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L’epatozoonosi è una malattia trasmessa da zecche sostenuta da
Hepatozoon. Anche se alcuni ricercatori ritengono che ciascun ospite sia colpito da una specie distinta di questo genere, secondo altri le infezioni osservate nei cani, nei gatti selvatici e domestici e in altri carnivori sono causate
tutte da H. canis. Tuttavia, una recente ricerca basata sullo studio del gene
18S-rRNA indica che l’epatozoonosi negli USA è causata da una specie differente di Hepatozoon, Hepatozoon americanum. H. canis si riscontra in tutta l’Africa, nell’Europa meridionale, in Africa (compreso il Medio Oriente) e
nelle isole degli oceani Pacifico ed Indiano, dove è presente la zecca vettrice,
Rhipicephalus sanguineus. Hepatozoon americanum si riscontra negli USA
ed è stato descritto per la prima volta lungo la costa del golfo del Texas, e nel
frattempo è stato anche segnalato in altre aree come il Texas e la Georgia.
L’ospite definitivo di H. americanum è Amblyomma maculatum. Nel gatto,
sono state isolate specie non determinate di Hepatozoon. Nei tessuti dei gatti
domestici, alla necroscopia si riscontrano degli schizonti, ma i segni clinici
sono rari. In un gatto parassitemico in Israele sono state osservate debolezza,
ipersalivazione, ulcerazione linguale e linfoadenomegalia. Un gatto delle
Hawaii presentava perdita di peso, glossite ulcerativa, piressia, anemia progressiva, scolo oculare sieroso ed ittero.
La trasmissione di H. canis ai cani avviene di solito attraverso l’ingestione della zecca vettrice. Tuttavia, sono possibili altre vie. L’osservazione dei
cani colpiti da infezione spontanea e sperimentalmente indotta indica che la
sindrome da epatozoonosi è complessa e per indurre la comparsa del quadro
clinico sono necessari fattori diversi dalla sola presenza del microrganismo.
Hepatozoon può venire identificato nei leucociti di cani clinicamente normali. Sembra essere importante l’immunosoppressione o la concomitante presenza di infezioni da virus del cimurro, parvovirus canino, Toxoplasma,
Leishmania, Babesia o Ehrlichia. La suscettibilità può anche essere correlata
all’età, perché i cani con più di 6 mesi di vita sono risultati resistenti all’infezione sperimentale.
Febbre ed emaciazione sono i due segni clinici descritti con maggiore frequenza; inoltre, nella maggior parte dei cani si osservano depressione, atrofia
muscolare generalizzata ed iperestesia (rilevabile in modo particolare in corrispondenza delle regioni paraspinali), scolo oculare e nasale purulento e lieve anemia. L’iperestesia si manifesta sotto forma di rigidità e riluttanza a
muoversi e rigidità cervicale e/o del tronco, che probabilmente deriva da reazione periostale ed infiammazione muscolare. Nella malattia ad insorgenza
spontanea risulta tipico il riscontro di un conteggio leucocitario elevato, con
valori variabili da 20.000 a 200.000 cell/_l. Le anomalie del profilo biochimico in corso di epatozoonosi sono rappresentate da abbassamento delle concentrazioni di glucosio ed albumina, occasionale iperglobulinemia ed aumen40
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to dell’attività della fosfatasi alcalina. I reperti radiografici possono variare da
una prominente proliferazione ossea periostale alla mancanza di alterazioni
rilevabili. La diagnosi definitiva di epatozoonosi viene formulata sulla base
del riscontro del microrganismo negli strisci di sangue (l’ideale è impiegare
le colorazioni di Romanovsky). I gamonti, presenti nei neutrofili e nei monociti, assumono una colorazione blu ghiaccio con le tecniche di Giemsa o di
Leishman. La biopsia muscolare è un’altra possibilità per emettere la diagnosi di epatozoonosi.
Nel tentativo di trattare l’infezione sono stati somministrati diversi agenti
antiprotozoari; tuttavia, non ne è noto nessuno in grado di determinare costantemente un miglioramento del decorso clinico dell’infezione, anche se è possibile ottenere una riduzione delle parassitemie. In pochi cani si ottiene la
guarigione; la maggior parte, invece, mostra un miglioramento temporaneo
con recidive e morte entro due anni dalla diagnosi clinica.
La micobatteriosi è una condizione causata da batteri appartenenti al
genere Mycobacterium, che raccoglie microrganismi Gram-positivi acidoresistenti non sporigeni aerobici morfologicamente simili e dotati di resistenza nell’ambiente. La maggior parte dei micobatteri vive in habitat come l’acqua o il terreno, tuttavia alcuni possono agire da agenti patogeni negli animali e nell’uomo. Sono dotati di un’ampia affinità per l’ospite e di un elevato
potenziale patogeno e grazie alle loro proprietà strutturali ed alle capacità di
sopravvivere a livello intracellulare determinano lo sviluppo di un’infiammazione granulomatosa. Oggi, si osservano più casi nel gatto che nel cane. In
entrambe le specie animali, le micobatteriosi possono essere suddivise in tre
gruppi: la tubercolosi classica causata da micobatteri patogeni obbligati (forma tubercolosa), le micobatteriosi opportunistiche causate da micobatteri
saprofiti (forma opportunistica) e la lebbra felina (forma lepromatosa). Anche
se tutti questi tre gruppi possono determinare la comparsa di manifestazioni
cutanee (di solito noduli della cute con tragitti fistolosi e/o ulcerazioni), i
micobatteri appartenenti al complesso della tubercolosi classica provocano
tipicamente anche una malattia sistemica. La tubercolosi classica è causata da
Mycobacterium tuberculosis e M. bovis. I micobatteri opportunisti riconosciuti come causa di malattia nel cane e nel gatto sono M. avium, M. microti,
M. microti-simile, M. simiae, M. fortiutum, M. chelonae, M. smegmatis, M.
phlei, M. thermosresistibile, M. terrae, M. genavense ed M. xenopi. La lebbra
felina è dovuta ad M. lepraemurium.
La tubercolosi classica è diventata sempre più importante nella popolazione dei soggetti immunodepressi a partire dall’identificazione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Oggi, la tubercolosi è la principale causa
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infettiva di morte nel genere umano e si ritiene che 1/3 della popolazione
mondiale sia infetto. Cani e gatti di solito la contraggono attraverso il contatto diretto con soggetti umani infetti, tanto che la tubercolosi canina o felina è
considerata una zoonosi inversa. Anche se gli animali da compagnia vengono
infettati dalla popolazione umana e la diffusione da cani o gatti all’uomo non
è stata segnalata, gli animali infetti rappresentano un potenziale rischio per
l’uomo e si deve prendere in considerazione il ricorso all’eutanasia. M. bovis
è strettamente correlato ad M. tuberculosis. Come quest’ultimo, M. bovis non
resiste a lungo nell’ambiente e per la sua sopravvivenza sono essenziali degli
ospiti serbatoio. M. bovis è l’agente patogeno della classica “tubercolosi felina” e viene considerato il micobatterio patogeno primario del gatto. Cani e
gatti di solito si infettano attraverso latte non pastorizzato, carne cruda o scarti di macellazione di bovini infetti e la manifestazione si osserva comunemente a livello intestinale. Nelle aree in cui la tubercolosi bovina è ben controllata, le infezioni da M. bovis sono diventate estremamente rare.
Decidere se trattare o meno un cane o un gatto con tubercolosi classica è
oggetto di discussione. Occorre tenere in considerazione il rischio zoonosico
degli animali da compagnia che potenzialmente ospitano M. tuberculosis o M.
bovis. Per decidere se effettuare il trattamento oppure l’eutanasia, specialmente se l’animale presenta una malattia generalizzata, un interessamento del
tratto respiratorio o estese lesioni cutanee fistolizzate, si raccomanda la differenziazione di specie mediante coltura o PCR.
Le micobatteriosi opportunistiche sono causate da specie di micobatteri
opportunisti saprofiti, anche detti “micobatteri atipici”, che sono ubiquitari in
natura, specialmente nell’acqua e nei terreni umidi, e non sono patogeni per
gli animali in circostanze normali. I gatti vengono colpiti più spesso dei cani
ed i felini adulti che conducono uno stile di vita che comprende la caccia o la
pesca hanno maggiori probabilità di infettarsi. La trasmissione da animale ad
animale generalmente non avviene ed il rischio zoonosico è scarso. La maggior parte dei micobatteri opportunisti che infetta il cane e il gatto viene contratta dall’ambiente in seguito ad un trauma della cute o dei tessuti molli (ferite penetranti o da combattimenti) e causa reazioni tissutali localizzate nella
cute (granulomi ed ascessi) o nei tessuti più profondi. Questi microrganismi
sono particolarmente patogeni se vengono direttamente inoculati nel tessuto
adiposo. Talvolta, si ha una diffusione sistemica.
Per trattare le infezioni da micobatteri opportunisti, è necessario effettuare l’identificazione di specie ed eseguire un antibiogramma. Il proprietario
deve sapere che si tratta di una malattia a lungo termine e difficile da mantenere sotto controllo, a causa della scarsa collaborazione del paziente (specialmente nel caso del gatto), della tossicità intrinseca di alcuni farmaci e dei
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costi economici coinvolti. Si può prendere in considerazione l’escissione chirurgica di piccole lesioni cutanee, ma il successo si ha solo in pochi casi e
l’intervento chirurgico deve essere associato alla terapia sistemica. Il trattamento ideale deve consistere in una fase iniziale ed una di mantenimento. La
prima di solito richiede almeno tre farmaci e deve durare per due mesi, mentre la seconda richiede due farmaci e dura per almeno altri quattro mesi a
seconda del tipo e dell’estensione della malattia. Alcuni animali devono
essere trattati per tutta la vita. Le attuali indicazione terapeutiche prevedono
una fase iniziale di due mesi con un’associazione di rifampicina (10 mg/kg
ogni 12 ore PO), enrofloxacin (5 mg/kg ogni 24 ore PO) ed azitromicina (10
mg/kg ogni 12 ore PO), seguita da una fase di mantenimento con rifampicina più enrofloxacin oppure azitromicina. La prognosi dipende dall’entità e
dalla gravità dell’infezione, ma è generalmente riservata, specialmente quando è presente una malattia sistemica. I casi cutanei non complicati sono quelli con la prognosi migliore.
La lebbra felina, una malattia che si osserva soltanto nel gatto e non nel
cane o nell’uomo, è causata da M. lepraemurium, l’agente della lebbra del
ratto, e di solito viene introdotta attraverso ferite da morso inferte dai roditori (eventualmente a partire da una contaminazione dei terreni) o dal contatto con i ratti infetti. Non c’è rischio zoonosico. La malattia si osserva
soprattutto nelle aree con un clima marittimo temperato. La sua manifestazione nel gatto è stata limitata alle città portuali degli Stati Uniti occidentali, della Nuova Zelanda, dell’Australia e dei Paesi Bassi, con un’incidenza
più elevata in inverno. Il microrganismo non può essere coltivato con i
metodi utilizzati di routine per i micobatteri e richiede terreni speciali. La
lebbra felina è principalmente una sindrome cutanea, può essere presente
una linfoadenopatia regionale, ma la malattia sistemica è rara. Il trattamento d’elezione è la rimozione chirurgica dei granulomi lepromatosi. In molti
gatti si è dimostrata utile l’escissione chirurgica completa di tutti i noduli.
Quando l’intervento non è fattibile o quando la rimozione è incompleta, in
un certo numero di casi ha avuto successo la somministrazione di clofazimina (8 mg/kg ogni 24 ore PO), rifampicina (15 mg/kg ogni 24 ore PO) o
claritromicina (5 mg/kg ogni 12 ore PO). A differenza di quanto avviene per
la tubercolosi e per le micobatteriosi opportunistiche, la prognosi per la lebbra felina è buona dopo rimozione chirurgica della lesione cutanea e si
osservano risoluzioni spontanee.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Katrin Hartmann
e-mail: [email protected]
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Michael R. Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Fort Collins, Colorado, USA
Febbre di origine sconosciuta
Casi clinici
Venerdì, 29 ottobre 2004, ore 16.30
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Esistono molte cause di febbre nel gatto. Recentemente, Bartonella henselae, Mycoplasma haemofelis, Ehrlichia canis e Anaplasma phagocytophilum sono stati messi in relazione con il rialzo termico in questa specie animale. Quello che segue è un aggiornamento su queste infezioni.
Bartonella henselae è la causa più comune di malattia da graffio di gatto,
nonché di angiomatosi bacillare e di peliosi bacillare, disordini comuni nei
pazienti umani con AIDS. I gatti possono anche essere infettati da B. clarridgeiae, B. koehlerae e B. weissii. Bartonella henselae è stata isolata dal sangue
di gatti sieropositivi con malattia subclinica e anche da alcuni esemplari che
presentavano una varietà di manifestazioni cliniche come febbre, letargia,
linfoadenopatia, uveite, gengivite e malattie neurologiche. Il legame con l’uveite è stato stabilito per la prima volta in un singolo caso con uveite che infine ha risposto alla terapia con doxiciclina. In seguito, abbiamo rilevato la produzione di anticorpi anti-Bartonella e di DNA nell’umore acqueo di gatti nei
quali in precedenza si era ipotizzata la presenza di un’uveite idiopatica.
Tuttavia, non è ancora chiaro perché alcuni di questi animali sviluppino l’uveite da Bartonella ed altri no.
La sieroprevalenza nei gatti varia da una regione all’altra, ma in alcune aree
geografiche degli Stati Uniti, la sieropositività per Bartonella spp. nella popolazione felina arriva fino al 54,6-81%. Il microrganismo si trasmette fra i gatti
attraverso le pulci e quindi la sua prevalenza è più elevata nei soggetti che provengono dagli stati in cui questi parassiti sono comuni. L’infezione nell’uomo
è spesso associata al contatto con i gattini. Abbiano recentemente documentato
la presenza di B. henselae e B. clarridgeiae nelle loro pulci. Forme vive di B.
henselae possono essere isolate e fatte crescere a partire da feci di pulci e quindi il contatto diretto con gli escrementi di questi artropodi può svolgere un ruolo nell’infestazione della popolazione umana. È anche possibile che quest’ultima si infetti quando viene parassitata da pulci che veicolano B. henselae.
Per valutare la presenza dell’infezione da Bartonella nei singoli gatti è
possibile utilizzare l’emocoltura, la PCR sul sangue ed i test sierologici. I gatti che risultano coltura-negativi o PCR-negativi ed anticorpo-negativi e quelli coltura-negativi o PCR-negativi ed anticorpo-positivi probabilmente non
sono una fonte di infezione per l’uomo. Tuttavia, la batteriemia può essere
intermittente e si possono avere risultati colturali o PCR falsi negativi, che
limitano il valore predittivo di una singola batteria di test. Con la PCR, si possono avere risultati falsi positivi; inoltre, la positività degli esiti non indica
necessariamente che il microrganismo sia vivo. È possibile utilizzare i test
sierologici per stabilire se un singolo gatto sia stato esposto, ma tanto i soggetti sieropositivi quanto quelli sieronegativi possono essere batteriemici, il
che limita l’utilità diagnostica delle prove sierologiche. Quindi, l’esecuzione
in gatti sani di test per l’identificazione dell’infezione da Bartonella spp. al
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momento attuale non viene consigliata. I test vanno riservati ai gatti con
sospetta bartonellosi clinica. Se i risultati degli esami per Bartonella sono
negativi in un gatto clinicamente malato, è probabile che il microrganismo
non sia la causa della sindrome clinica. Se invece sono positivi, il microrganismo resta nell’elenco delle possibili diagnosi differenziali, ma è necessario
escludere anche altre cause della sindrome clinica. La somministrazione di
doxiciclina, tetraciclina, eritromicina, amossicillina/acido clavulanico o enrofloxacin può limitare la batteriemia, ma non guarire l’infezione in tutti i gatti; inoltre, non è stato dimostrato che diminuisca il rischio di malattia da graffio di gatto. L’azitromicina ha portato a risposte cliniche parziali in alcuni
bambini con malattia da graffio di gatto e quindi è stata suggerita da alcuni
come il farmaco efficace per la bartonellosi clinica nei felini. Dal momento
che nessun agente è stato in grado di fornire convincenti dimostrazioni della
propria capacità di eliminare la batteriemia, il trattamento con antibiotici dei
gatti sani risultati positivi agli esami colturali o alla PCR è controverso. La
terapia va riservata ai soggetti con sospetta bartonellosi clinica. È necessario
mantenere un rigoroso controllo delle pulci. Bisogna impedire che i gattini
vengano a contatto con persone immunodeficienti. Bisogna tenere sempre
tagliate o coperte le unghie dei felini, che inoltre non devono mai essere stuzzicati. Le ferite provocate dai gatti devono essere adeguatamente pulite e si
deve richiedere l’intervento del medico.
Sia Mycoplasma haemophelis (Mhf) che Candidatus “Mycoplasma haemominutum” (Mhm) causano un’anemia infettiva nei felini. In almeno due
studi su gatti sperimentalmente infetti, Mhf è risultato apparentemente più
patogeno di Mhm. Recentemente è stato dimostrato che i gatti con infezione
naturale e le pulci possono essere infettati da Mhm ed Mhf. Inoltre, i gatti con
infezione da Mhm sperimentalmente indotta trasferiscono meccanicamente
l’infezione alle pulci. Abbiamo appena dimostrato che queste ultime sono vettori competenti di Mhf. Emoplasmi sono stati trasmessi sperimentalmente
mediante inoculazione di sangue IV ed IP e per via orale. Le gatte clinicamente malate possono infettare i gattini; non è stato determinato se la trasmissione avvenga in utero, durante il parto o attraverso l’allattamento. È stata ipotizzata la trasmissione attraverso il morso. I segni clinici della malattia
dipendono dal grado di anemia, dallo stadio dell’infezione e dallo status
immunitario dei gatti infetti. Sembra che le infezioni da Mhm siano potenziate dalla coinfezione da virus della leucemia felina. Le manifestazioni cliniche più comuni sono quelle associate all’anemia e comprendono pallore
delle mucose, depressione, inappetenza e, occasionalmente, ittero e splenomegalia. In alcuni gatti con depressione acuta si osserva febbre, che può essere intermittente nei soggetti con infezione cronica. Possono essere presenti
segni di malattia concomitante. Nei gatti con infezione cronica è comune la
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perdita di peso. I soggetti nella fase cronica possono essere colpiti da un’infezione subclinica che determina soltanto la ricomparsa della malattia clinicamente manifesta in seguito a periodi di stress. Fra i gatti con infezione da
Mhf, risulta più elevata la percentuale dei soggetti febbrili, suggerendo che il
microrganismo possa essere associato a febbre di origine sconosciuta.
La diagnosi si basa sulla dimostrazione del microrganismo sulla superficie
degli eritrociti attraverso l’esame di uno striscio ematico sottile, oppure mediante
la reazione a catena della polimerasi (PCR). Il numero di microrganismi presenti
fluttua, per cui l’esame dello striscio di sangue può risultare falsamente negativo
in una percentuale di casi che può arrivare al 50%. Quindi, la PCR rappresenta il
test d’elezione per la sua sensibilità. Sono disponibili dei primer che amplificano
un segmento del gene 16S rRNA comune ad entrambi gli emoplasmi.
La doxiciclina va somministrata alla dose di 10 mg/kg PO ogni 24 ore per
28 giorni. Nei gatti intolleranti a questo farmaco si deve ricorrere all’enrofloxacin alla dose di 5 mg/kg PO ogni 24 ore o di 10 mg/kg PO ogni 24 ore per periodi fino a 28 giorni. In uno studio, l’azitromicina non è risultata efficace per il
trattamento dell’emoplasmosi. L’imidocarb dipropionato somministrato alla
dose di 5 mg/kg IM ogni due settimane per almeno due iniezioni è stato impiegato con successo nel trattamento di 5 gatti con infezione spontanea in cui la
terapia con altri agenti aveva fallito. I glucocorticoidi sono indicati se è presente un’agglutinazione. Nei casi in cui la situazione clinica lo richiede, si deve
ricorrere alla trasfusione di sangue. Bisogna attuare il controllo dei potenziali
artropodi vettori. I gatti vanno ricoverati in casa per evitare il contatto con i vettori e gli scontri con i conspecifici. In un recente studio sulla prevalenza condotto a livello nazionale negli USA, è stato dimostrato che il 20,9% dei gatti utilizzati come donatori di sangue era PCR-positivo per emoplasmi.
I gatti sperimentalmente infettati con Neorickettsia risticii (già E. risticii)
sviluppano delle morule a livello degli elementi mononucleati ed, occasionalmente, mostrano segni clinici di malattia quali febbre, depressione, linfoadenopatia, anoressia e diarrea. I gatti con infezione sperimentale da Anaplasma
phagocytophilum (già E. equi, agente eziologico erlichiale granulocitario
umano, E. phagocytophila ed agente erlichiale granulocitario del cane), hanno sviluppato delle morule nei neutrofili e negli eosinofili, non nelle cellule
mononucleari. I tentativi di trasmettere E. canis al gatto mediante inoculazione sottocutanea di morule in coltura sino ad oggi non hanno avuto successo.
Mediante l’impiego del test della PCR, è stato possibile amplificare da gatti
esposti all’infezione naturale il DNA Erlichia canis-simile (3 gatti in Nord
America e 2 gatti in Francia) ed A. phagocytophilum (5 gatti in Nord America,
parecchi gatti in Svezia, Danimarca e Regno Unito). Morule Erlichia-simili
sono state individuate nelle cellule mononucleari o nei neutrofili di gatti esposti all’infezione spontanea in Stati Uniti, Kenia, Brasile, Francia, Svezia e
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Thailandia. La diagnosi clinica è stata anche basata sull’associazione di positività dei test sierologici per E. canis o N. risticii, riscontri clinici o di laboratorio compatibili con l’infezione da erlichie, esclusione di altre cause e risposta ad un farmaco anti-rickettsiale. L’esposizione agli artropodi è stata segnalata nel 30% circa dei casi. Le zecche del genere Ixodes spp. sono state associate a parecchi casi di infezione da A. phagocytophilum.
La maggior parte dei gatti per i quali è stato effettuato il segnalamento
aveva più di due anni di vita, in genere si trattava di gatti domestici a pelo corto ed erano colpiti sia i maschi che le femmine. Anoressia, febbre, inappetenza, letargia, perdita di peso, iperestesia o dolore articolare, pallore delle mucose, splenomegalia, dispnea e linfoadenomegalia erano i riscontri anamnestici
e clinici più comuni. L’anemia è una comune anomalia di laboratorio e di solito è di tipo non rigenerativo. Per alcuni gatti sono state descritte leucopenia,
leucocitosi caratterizzata da neutrofilia, linfocitosi, monocitosi, pancitopenia
e trombocitopenia intermittente. Per molti gatti è stata riferita un’iperglobulinemia; l’elettroforesi delle proteine dimostra una gammopatia policlonale
nella maggior parte dei gatti esaminati. Tuttavia, è stato stabilito un legame
epidemiologico fra la presenza di anticorpi anti-Erlichia spp. nel siero e la
gammopatia monoclonale.
Alcuni gatti con sospetta erlichiosi clinica presentavano anticorpi specifici per E. canis ed N. risticii, mentre altri mostravano una positività anticorpale solo per l’uno o l’altro di questi agenti e non per entrambi. I 5 gatti degli
Stati Uniti con DNA di A. phagocytophilum nel sangue erano positivi per anticorpi anti-A. phagocytophilum, ma non anti-E. canis. Risultati positivi dei test
sierologici si riscontrano sia nei gatti sani che in quelli clinicamente ammalati, per cui la diagnosi di erlichiosi clinica non va basata sui soli risultati sierologici. Dal momento che esiste una reattività crociata variabile negli anticorpi specifici per le differenti specie, l’esito negativo dei test anticorpali nei
confronti di una specie non esclude l’infezione da parte di altre erlichie.
Inoltre, anticorpi anti E. canis non sono stati rilevati in tre gatti con DNA E.
canis-simile nel sangue e quindi i risultati dei test sierologici possono anche
essere falsi negativi. I segni clinici della malattia possono comparire prima
che si rilevino gli anticorpi e quindi i test sierologici possono essere negativi
nei casi acuti. Per confermare l’infezione è anche possibile utilizzare la reazione a catena della polimerasi e la sequenziazione genica, che risultano indicati per alcuni gatti con infezione da E. canis dal momento che talvolta non si
rilevano gli anticorpi.
Nella maggior parte dei gatti è stato segnalato un miglioramento clinico in
seguito alla terapia con tetraciclina, doxiciclina (10 mg/kg PO ogni 24 ore per
28 giorni) o imidocarb dipropionato (5 mg/kg IM ogni 14 giorni per almeno
2-4 iniezioni).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Michael R. Lappin
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Michael R. Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Fort Collins, Colorado, USA
Comportamento da tenere
in caso di patologie enteriche
infettive del cane e del gatto
Sabato, 30 ottobre 2004, ore 12.00
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Nematodi. I più comuni nematodi responsabili di malattia del tratto
gastroenterico sono Toxocara, Toxascaris, Physaloptera, Ollulanus,
Ancylostoma, Uncinaria e Strongyloides. Toxocara, Toxascaris, Ollulanus e
Physaloptera si trovano generalmente nel tratto gastroenterico superiore e
sono comunemente associati a vomito. Ancylostoma ed Uncinaria sono
anchilostomi presenti in genere nel piccolo intestino e responsabili di diarrea
e di una significativa perdita di sangue. La centrifugazione in solfato di zinco è la più sensibile metodica di flottazione fecale utilizzata per favorire la
diagnosi della maggior parte di questi parassiti. Ollulanus e Physaloptera
vengono frequentemente diagnosticati soltanto mediante endoscopia. Il
pirantel pamoato ed il fenbendazolo sono di solito trattamenti efficaci;
Physaloptera può rispondere meglio al pirantel. Tutti i cuccioli e gattini
devono essere sottoposti a trattamenti antielmintici ed esame delle feci.
L’autore generalmente effettua la sverminazione con pirantel in occasione di
ognuna delle prime tre vaccinazioni. L’impiego di farmaci per la prevenzione della filariosi cardiopolmonare capaci di controllare anche le infestazioni
da anchilostomi ed ascaridi riduce la diffusione zoonosica di questi parassiti. Tutti gli animali da compagnia devono essere sottoposti ad un esame delle feci mediante flottazione una o due volte all’anno, specialmente se vengono lasciati vivere anche fuori casa.
Cestodi. L’infestazione del cane e del gatto da parte dei cestodi Taenia,
Dipylidium ed Echinococcus è generalmente subclinica. La diagnosi di
Taenia e Dipylidium viene spesso formulata sulla base dell’identificazione
delle loro proglottidi. Il praziquantel costituisce un trattamento approvato ed
efficace per tutti e 3 i generi. Esistono parecchi altri cestodi che parassitano il
cane o il gatto, ma sono molto rari.
Coccidi. I più comuni coccidi in grado di causare una malattia del tratto gastroenterico sono Cryptosporidium spp., Cystoisospora spp.
(Isospora) e Toxoplasma gondii. Nella maggior parte dei casi la criptosporidiosi induce una diarrea del tenue; Cystoisospora è più comunemente
associato ad una diarrea del crasso. Alcuni ceppi di Cryptsporidium sono
potenzialmente zoonosici. La criptosporidiosi è più comune nei soggetti
immunodepressi; Cystoisospora spp. generalmente è associato alla malattia soltanto nei cuccioli e nei gattini. L’infestazione da Toxoplasma gondii
causa raramente la comparsa di segni clinici di malattia durante il periodo
di diffusione delle oocisti nell’ambiente, che dura per 5-20 giorni nella
maggior parte dei gatti colpiti. Questo microrganismo è più comunemente
associato a febbre, uveite, malattia del SNC e dolore muscolare. Le oocisti
sporulate sono infestanti per la popolazione umana. Le oocisti di T. gondii
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e Cystoisospora spp. vengono facilmente identificate mediante centrifugazione in solfato di zinco. La maggior parte dei gatti con toxoplasmosi non
si ammala fino a dopo il termine del periodo di eliminazione delle oocisti
e quindi per l’identificazione degli animali infestati si utilizzano test anticorpali sierici. A causa delle piccole dimensioni delle oocisti, per diagnosticare accuratamente una criptosporidiosi nel cane e nel gatto è necessario
ricorrere all’esame di un campione di feci mediante colorazione acido-resistente, esame con anticorpi monoclonali di uno striscio o test ELISA per la
ricerca degli antigeni. Il 5% circa dei cani e dei gatti con diarrea cronica
osservati presso la Colorado State University elimina oocisti di
Cryptosporidium parvum nelle feci.
Come trattamento iniziale della criptosporidiosi clinica nel cane e nel gatto, l’autore attualmente somministra tilosina alla dose di 10-15 mg/kg PO
ogni 12 ore per periodi fino a 21 giorni. Anche la paromomicina alla dose di
150 mg/kg ogni 12-24 ore PO per 5 giorni sembra essere efficace in queste
specie animali, ma è costosa. Inoltre, questo farmaco può venire assorbito
attraverso il tratto gastroenterico se è presente una diarrea emorragica ed è
stato messo in relazione con insufficienza renale acuta. L’azitromicina alla
dose di 10 mg/kg/die PO per almeno 10 giorni ha risolto la diarrea nel 50%
circa dei gatti infestati. Il periodo di eliminazione delle cisti di Toxoplasma
gondii nell’ambiente può essere abbreviato con la somministrazione di clindamicina alla dose di 15 mg/kg PO ogni 12 ore per 10 giorni. Cystoisospora
spp. generalmente risponde alla somministrazione di sulfadimetossina alla
dose di 25 mg/kg/die PO per 7 giorni ripetendo il protocollo terapeutico 7
giorni più tardi.
Flagellati. Tritrichomonas foetus e Giardia spp. sono i comuni flagellati che infestano il cane o il gatto. La giardiasi nella maggior parte dei casi
si accompagna ad una diarrea del tenue; l’infestazione da Tritrichomonas è
più spesso associata ad una diarrea del crasso. Giardia può parassitare animali di qualsiasi tipo. Tritrichomonas di norma si accompagna ad una
malattia nei gattini. Alcuni ceppi di Giardia e Tritrichomonas sono potenzialmente zoonosici. La centrifugazione in solfato di zinco è la tecnica ottimale per la dimostrazione delle cisti di Giardia. Invece, Tritrichomonas
presenta soltanto lo stadio di trofozoita (mobile). I trofozoiti di entrambi i
microrganismi possono essere dimostrati mediante preparati umidi (wet
mounts). Tritrichomonas può anche venire identificato mediante esami colturali o PCR. Il test per la ricerca degli antigeni di Giardia nelle feci rileva
il 90% circa degli animali parassitati. Giardia vive nel tratto distale del piccolo intestino del gatto e quindi per dimostrare la presenza dei trofozoiti
non si può utilizzare l’aspirazione duodenale. Non esiste alcun farmaco che
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elimini le infestazioni da Tritrichomonas. Per il trattamento della giardiasi,
l’autore impiega generalmente il metronidazolo, somministrato alla dose di
25 mg/kg bid PO per 7 giorni, il fenbendazolo, alla dose di 50 mg/kg PO al
giorno per 5 giorni, o il febantel, alla dose di circa 50 mg/kg al giorno per
3 giorni nel cane o 5 giorni nel gatto. Negli Stati Uniti sono disponibili dei
vaccini per la prevenzione dell’infestazione da Giardia nel cane e nel gatto.
Il loro uso a scopo preventivo è discutibile. Tuttavia, alcuni animali con
infestazione cronica sono stati liberati dalla presenza dei parassiti in seguito alla somministrazione dei vaccini come immunoterapia.
Malattie batteriche. I batteri patogeni primari del tratto gastroenterico
del cane e del gatto sono rappresentati da Salmonella, Campylobacter,
Clostridium perfringens, Helicobacter spp. ed E. coli enterotossigeni.
Ciascun agente è in grado di causare il vomito. Tutti, tranne Helicobacter,
possono indurre la comparsa di segni clinici, di diarrea del tenue o del crasso. La maggior parte dei cani e dei gatti con infezione da Helicobacter spp.
è sana. L’elicobatteriosi viene diagnosticata sulla base della dimostrazione
della presenza di spirochete mediante esame citologico o istologico associata alla positività del test dell’ureasi ed alla presenza di infiammazione.
Salmonella, Campylobacter ed E. coli possono causare una diarrea del tenue,
del crasso o di tipo misto, mentre Clostridium perfringens in genere è causa
di una diarrea del crasso. L’infezione nel gatto sembra essere meno comune
che nel cane. La campilobatteriosi è più frequente nei cuccioli e nei gattini.
La salmonellosi è spesso associata a segni clinici polisistemici quali febbre
e neutropenia nello stadio di sepsi dell’infezione. Il 50% circa dei gatti con
salmonellosi portati alla visita presenta febbre senza segni di malattia a carico del tratto gastroenterico. Il proprietario può riferire una recente anamnesi
di ingestione di uccelli canori. La presenza di un gran numero di neutrofili
nell’esame citologico delle feci suggerisce l’esistenza di una malattia batterica, ma non la dimostra. Clostridium perfringens è un batterio bastoncellare di grandi dimensioni; i ceppi patogeni generalmente presentano una spora non colorata. L’esito positivo di una coltura di Clostridium perfringens o
la presenza di grandi forme bastoncellari sporigene non dimostra la produzione di enterotossine. I Campylobacter sono spirochete. La diagnosi definitiva si basa sugli esami colturali. La proliferazione batterica del piccolo intestino è una sindrome che insorge secondariamente a molte altre malattie intestinali ed in particolare all’insufficienza del pancreas esocrino. La diagnosi
può essere confermata nel cane mediante coltura aerobica ed anaerobica
quantitativa del duodeno. Il riscontro di un aumento delle concentrazioni sieriche di folati e di un calo di quelle della vitamina B12 è compatibile con
questa sindrome.
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Clostridium perfringens e la proliferazione batterica generalmente
rispondono al trattamento con metronidazolo, ampicillina, amossicillina,
tilosina o tetracicline. Il farmaco d’elezione per la campilobatteriosi è l’eritromicina; in alternativa si possono utilizzare tetracicline, tilosina, chinoloni e cloramfenicolo. La salmonellosi deve essere trattata soltanto per via
paraenterale a causa della rapida resistenza che si sviluppa in seguito alla
somministrazione di antibiotici per os. Gli antibiotici adatti per il trattamento della salmonellosi sono rappresentati da cloramfenicolo, trimethoprim/sulfamidici ed amossicillina; i chinoloni sono efficaci, ma vanno
riservati alle infezioni resistenti. L’infezione da Helicobacter viene di solito trattata con una combinazione di metronidazolo e tetraciclina o amossicillina e metronidazolo; spesso è efficace la claritromicina, che può essere
utilizzata una volta al giorno nel gatto. Dal momento che il microrganismo
si replica meglio in un pH acido, risulta anche utile la somministrazione di
antiacidi.
Le infezioni epatiche generalmente rispondono ad amossicillina, cefalosporine di prima generazione o cloramfenicolo. La diminuzione numerica
della flora enterica mediante somministrazione per via orale di penicilline,
metronidazolo o neomicina può attenuare i segni clinici dell’encefalopatia
epatica.
Gli animali con apparente batteriemia dovuta ad agenti enterici vanno
trattati con antibiotici paraenterali dotati di uno spettro d’azione che comprenda i microrganismi anaerobici e Gram-negativi. Generalmente è efficace l’associazione dell’enrofloxacin con una penicillina o una cefalosporina
di prima generazione. Anche le cefalosporine di seconda e terza generazione o l’imipenem rappresentano delle scelte appropriate.
Malattie virali. Il virus della panleucopenia, quello della leucemia felina,
quello dell’immunodeficienza felina ed i coronavirus sono i più comuni agenti eziologici virali di malattia del tratto gastroenterico del gatto. Nel cane i più
comuni sono parvovirus, coronavirus e virus del cimurro. Il vomito e la diarrea del tenue sono i segni clinici più frequenti a carico del tratto gastroenterico. Il sospetto diagnostico viene generalmente formulato sulla base dei
riscontri clinici. I kit per l’identificazione degli antigeni del parvovirus canino nelle feci rilevano anche il parvovirus felino. La diarrea associata al virus
dell’immunodeficienza felina o a quello della leucemia felina può essere
dimostrata soltanto attraverso l’esclusione di altre cause di malattia. Le malattie virali vengono trattate mediante terapia di sostegno. L’immunoterapia passiva può diminuire la morbilità associata alle infezioni da parvovirus.
Generalmente, si somministra IV 1 ml/kg di siero o plasma iperimmune ottenuto da un animale vaccinato o guarito.
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Malattie varie. Le malattie micotiche del tratto gastroenterico sono rare
nel cane e nel gatto. Negli Stati Uniti è più diffusa l’istoplasmosi, che causa una diarrea di tipo misto o del grosso intestino. Il microrganismo si può
osservare mediante esame citologico all’interno del citoplasma dei macrofagi prelevati dal retto. La prototecosi (causata da alcune alghe) può provocare una diarrea del crasso e una consunzione nei cani immunodepressi, ma
è estremamente rara. Neorickettsia induce una diarrea nei cani della regione nord-occidentale del Pacifico negli Stati Uniti, ma i gatti sono molto resistenti all’infezione.
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Comportamento da tenere
in caso di patologie infettive
genitourinarie
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Parassiti. I parassiti del tratto urinario sono rappresentati da Capillaria
plica, Capillaria feliscati, Encephalitozoon cuniculi e Dioctophyma renale.
Questi agenti sono rari negli Stati Uniti. I segni clinici della malattia dovuti
all’infestazione da Capillaria plica sono minimi. Dioctophyma ed
Encephalitozoon possono indurre un’insufficienza renale. La diagnosi si basa
sulla dimostrazione delle uova di Capillaria e di Dioctophyma e delle spore
di Encephalitozoon nelle urine. La maggior parte delle infestazioni da
Capillaria è autolimitante. Secondo quanto segnalato in letteratura, per il trattamento di Capillaria è efficace il fenbendazolo. Nel caso dei vermi adulti di
Dioctophyma, generalmente è necessaria la rimozione chirurgica. Non esiste
alcun trattamento di efficacia nota per l’infestazione da Encephalitozoon nel
cane e nel gatto.
Agenti micotici. Le infezioni del tratto urinario indotte da agenti micotici
sono rare. Occasionalmente, l’analisi dell’urina evidenzia la presenza di lieviti. Nei cani con aspergillosi sistemica, l’analisi dell’urina mostra spesso
segni citologici della presenza dei microrganismi e l’urocoltura può risultare
positiva. Nella maggior parte dei casi, le malattie micotiche dell’apparato urinario si verificano in seguito ad una terapia antibiotica a lungo termine od una
immunosoppressione. Il trattamento della malattia primaria generalmente esita nella risoluzione dell’infezione micotica. Gli agenti antimicotici per uso
orale come il ketoconazolo e l’itraconazolo possono contribuire ad eliminare
alcune infezioni micotiche dal tratto urinario. Per il trattamento della cistite
micotica è stata utilizzata anche la somministrazione topica di clotrimazolo.
Agenti virali. La peritonite infettiva felina, il linfoma renale associato
all’infezione da virus della leucemia felina e l’insufficienza renale cronica
abbinata ai virus dell’immunodeficienza felina o della peritonite infettiva felina sono esempi di infezioni virali dell’apparato urinario. Un gatto con infezioni da virus della leucemia felina presentava un’iperattività del muscolo
detrusore; altri mostravano una debolezza dello sfintere uretrale. Herpesvirus
e calicivirus sono stati isolati da gatti con infiammazione sterile delle basse
vie urinarie, ma il ruolo svolto da questi agenti nella patogenesi della malattia è poco chiaro. Il virus della leucemia felina, quello dell’immunodeficienza felina e quello della peritonite infettiva felina sono stati associati a glomerulonefrite nel gatto. Nel cane, l’herpesvirus può causare una lieve vaginite
transitoria.
Agenti batterici. Le infezioni batteriche del tratto urinario sono estremamente comuni nel cane, ma rare nel gatto. In quest’ultima specie animale, si
riscontrano maggiormente dopo il quarto anno di età e dopo uretrostomia
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perineale. L’infezione può colpire i reni, gli ureteri, la vescica e l’uretra, sia
singolarmente che in concomitanza. La forma più comune è la cistouretrite
batterica. Possono essere coinvolti quasi tutti i microrganismi aerobi. Prima di
scegliere la terapia antimicrobica da effettuare sono quasi sempre consigliati
l’esame delle urine e la colorazione di Gram. Negli animali con piuria associata o meno a batteriuria sono indicati l’urocoltura per batteri aerobi e l’antibiogramma. Nel 20% circa dei casi si possono riscontrare due o più microrganismi. I test di sensibilità in vitro risultano altamente correlati al successo
del trattamento; uno studio ha dimostrato in più dell’80% dei casi il buon esito in ambito clinico degli agenti che erano risultati efficaci in vitro. Una determinazione quantitativa del numero dei batteri in un campione di urina prelevato mediante cistocentesi o cateterizzazione da un paziente con infezione del
tratto urinario deve generalmente essere superiore a 105 batteri. Quando il
conteggio dei microrganismi risulta intermedio (103/105 ml), è da ritenere possibile una contaminazione durante il prelievo.
Se è necessario trattare un’infezione che si verifica per la prima volta
oppure una ricorrente prima che siano disponibili i risultati degli esami colturali, si raccomanda l’impiego di agenti ad ampio spettro. Questi farmaci
devono raggiungere elevate concentrazioni nell’urina in caso di infezioni
delle basse vie urinarie; sono indicati, ad es., penicilline, cefalosporine e
chinoloni. Per le infezioni delle vie urinarie superiori l’agente impiegato
deve raggiungere concentrazioni elevate nel siero e nell’urina. Per il trattamento di tutti i cani maschi con infezioni del tratto urinario si devono
impiegare antibiotici capaci di attraversare la barriera ematoprostatica. La
durata della terapia nell’infezione del tratto urinario deve sempre essere
monitorata attraverso l’impiego di urocoltura e non semplicemente basandosi sui segni clinici e sull’aspetto del sedimento urinario. Se possibile l’urocoltura va ripetuta a distanza di 4-7 giorni dalla cessazione delle somministrazioni, perché le recidive dei medesimi microrganismi tendono ad
essere rapide. La terapia deve basarsi sull’impiego di ampicillina, cefalosporine o sulfamidici potenziati (con trimethoprim od ormetoprim) per le
infezioni da microrganismi Gram-positivi e sulfamidici potenziati, cefalosporine o chinoloni per quelle sostenute da Gram-negativi. Penicillina e
cefalosporine non vanno usate nei maschi perché non attraversano facilmente la barriera ematoprostatica.
Nelle infezioni ricorrenti o complicate gli agenti antimicrobici devono
essere somministrati per almeno 4-6 settimane e può essere necessario continuare a tempo indeterminato fino a che non si ottiene la sterilizzazione
delle urine. Per le infezioni ricorrenti da batteri Gram-negativi come
Pseudomonas, Proteus o Klebsiella spp. si raccomanda l’impiego di fluorochinoloni, ad es. ciprofloxacin, marbofloxacin, orbifloxacin, norfloxacin ed
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enrofloxacin. Dopo la sterilizzazione dell’urina, può essere necessario
ricorrere alla somministrazione preventiva di singole dosi serali pari al 5070% della dose giornaliera di un antisettico urinario o di un’associazione di
trimethoprim/sulfamidico, in particolare negli animali con infezioni prostatiche o renali. Le infezioni ricorrenti del tratto urinario indotte dallo stesso
microrganismo suggeriscono l’esistenza di un focolaio di infezione, una
terapia incompleta o un’immunosoppressione. Diverticoli uracali, calcoli,
pielonefrite o neoplasia sono fonti comuni di infezioni ricorrenti. Gli animali colpiti da questi particolari processi infettivi devono essere sottoposti
nuovamente ad indagini diagnostiche per escludere l’esistenza di un focolaio di infezione. Le procedure comunemente utilizzate per questo scopo
sono rappresentate da radiografia, cistouretrografia con mezzo di contrasto,
ecografia e pielografia endovenosa. Le infezioni ricorrenti del tratto urinario indotte da microrganismi differenti suggeriscono un’infezione ascendente ricorrente. Le infezioni ascendenti ricorrenti si verificano comunemente nei cani immunodepressi, in quelli con incompetenza dello sfintere
uretrale ed in quelli con anomalie vaginali.
La formulazione del sospetto diagnostico di pielonefrite si basa sulla documentazione dell’infezione del tratto urinario associata ad iperazotemia o segni
clinici di coinvolgimento renale. Una diagnosi più definitiva può essere emessa sulla base dei risultati delle indagini radiografiche (alterazioni di forma o
ingrossamento dei reni) ed ecografiche, della pielografia endovenosa o della
biopsia renale. La pielonefrite cronica va trattata per almeno sei settimane con
un agente antimicrobico che sia dotato di una buona capacità di penetrazione
tissutale, come ad es. il cloramfenicolo, il trimetoprim o i fluorochinoloni
(enrofloxacin, orbifloxacin, marbofloxacin, norfloxacin, ciprofloxacin).
Naturalmente, se esiste una concomitante insufficienza renale le tetracicline
(eccetto la doxiciclina) e gli aminoglicosidi sono da evitare e il dosaggio e/o
la frequenza di somministrazione dei chinoloni vanno ridotti in accordo con
la diminuzione della funzione renale.
La brucellosi nel cane può essere causa di endometrite, epididimite e
prostatite. È anche associata ad uveite, proteinuria, iperglobulinemia e
discospondilite. La diagnosi definitiva si basa sui risultati colturali.
Tuttavia, si può utilizzare anche la sierologia. Se si impiega il test di agglutinazione rapida su vetrino, con o senza trattamento con 2-ME per la rimozione delle agglutinine IgM non specifiche, i risultati positivi vanno confermati mediante AGID o agglutinazione in provetta. In generale, i test che
risultano negativi all’agglutinazione rapida su vetrino sono di solito davvero negativi. Il trattamento raccomandato per la brucellosi è rappresentato da
aminociclina, doxiciclina o enrofloxacin somministrati per cicli di due settimane separati da altre due settimane. Secondo quanto pubblicato in lette60
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ratura, risulta anche efficace la terapia combinata con tetracicline e streptomicina. L’animale deve essere ovariectomizzato o castrato per ridurre il
numero di batteri eliminati nell’ambiente. Il trattamento deve continuare per
almeno 2-4 settimane dopo aver ottenuto lo status di sieronegatività. Alcuni
cani non riusciranno mai a liberarsi completamente dell’infezione. I proprietari devono essere informati del rischio zoonosico; alcuni possono optare per l’eutanasia.
Esistono almeno 11 sierotipi di Leptospira che infettano i cani degli Stati
Uniti; i gatti sono molto resistenti all’infezione. La Leptospirosi va sospettata nei cani con epatite o nefrite acuta. Le infezioni sono anche spesso causa di febbre; inoltre possono indurre una malattia cronica in alcuni animali.
Risulta pure comune il riscontro di iperazotemia con piuria ma senza batteriuria, dal momento che i microrganismi di solito non sono visibili al microscopio ottico. La diagnosi può essere effettuata mediante esame dell’urina
in campo oscuro, coltura, presenza di anticorpi sierici ed amplificazione
mediante PCR del DNA dei microrganismi nell’urina. Per il trattamento si
deve utilizzare inizialmente la somministrazione endovenosa di penicillina,
seguita da diverse settimane di terapia con doxiciclina per eliminare le fasi
tissutali. I vaccini contengono 2-4 sierotipi, e quindi non sono protettivi al
100%, dal momento che i vari sierotipi non danno origine a protezione crociata. Inoltre, l’immunità associata alla vaccinazione può persistere per
meno di un anno.
Nei cuccioli, la vaginite è generalmente una condizione autolimitante che
risponde alle docciature con aceto (diluito 1:4 con acqua) o polivinilpirrolidone iodio (diluito 1:40 con acqua). I microrganismi potenzialmente in grado di fungere da agenti patogeni primari delle vie genitali sono rappresentati da Brucella canis, Micoplasma spp., Ureaplasma spp. ed Herpesvirus. Dal
momento che Micoplasma ed Ureaplasma spp. fanno parte della flora normale, è difficile dimostrare un’associazione con la malattia. Questi microrganismi di solito rispondono alla terapia con chinoloni o doxiciclina. Nei
casi più persistenti di vaginite negli adulti generalmente sono coinvolti
Escherichia coli, Proteus, Staphylococcus o Streptococcus spp. Queste infezioni sono invariabilmente secondarie ad incontinenza urinaria, infezioni del
tratto urinario, difetti anatomici quali stenosi vaginali o pliche epivulvari
prominenti, corpi estranei o neoplasie. Se si utilizza un trattamento antibiotico di tipo empirico, occorre tenere presente che spesso risultano efficaci le
associazioni di amossicillina-acido clavulanico, le cefalosporine di prima
generazione o i chinoloni.
In tutti i casi di piometra ed endometrite è indicata la pronta attuazione
di una terapia antimicrobica e di sostegno. Il trattamento d’elezione è l’ovaristerectomia, seguita dall’esame colturale e dall’antibiogramma del conte61
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nuto uterino. Nella maggior parte dei casi si osserva un’infezione da E. coli,
mentre occasionalmente si trovano anche Proteus e Streptococcus. I farmaci empirici d’elezione sono il cloramfenicolo, le associazioni trimethoprimsulfamidico ed i chinoloni. Spesso sono coinvolti anche batteri anaerobi e
quindi, se si rilevano segni clinici di sepsi, è indicato un approccio a 360°.
L’associazione di un chinolone con ampicillina o una cefalosporina di prima
generazione costituisce un approccio logico. Nei casi in cui si opta per un
trattamento non chirurgico, l’infusione intrauterina di soluzioni antisettiche
o antibiotiche è di scarso valore.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Michael R. Lappin
e-mail: [email protected]
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Michael R. Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Fort Collins, Colorado, USA
Toxoplasmosi, neosporiasi,
criptosporidiosi e babesiosi
Epidemiologia, patogenesi,
principali quadri clinici, prevenzione e terapia
Domenica, 31 ottobre 2004, ore 11.00
63
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TOXOPLASMOSI
Toxoplasma gondii è uno dei più diffusi parassiti che infestano i vertebrati a sangue caldo. Solo i gatti consentono il completamento del loro ciclo vitale ed eliminano con le feci oocisti resistenti nell’ambiente. I cani possono
emettere delle oocisti con le feci in seguito all’ingestione di feci feline. Gli
sporozoiti evolvono in oocisti dopo 1-5 giorni di esposizione all’ossigeno in
appropriate condizioni ambientali di temperatura ed umidità. I tachizoiti vengono disseminati nel sangue o nella linfa durante l’infezione attiva e si replicano rapidamente a livello intracellulare fino a che la cellula non viene
distrutta. I bradizoiti sono lo stadio tissutale persistente che si suddivide lentamente e si forma nei tessuti extraintestinali degli ospiti infestati quando le
risposte immunitarie attenuano la replicazione dei tachizoiti. Le cisti tissutali
si formano facilmente a livello di SNC, muscoli ed organi viscerali.
L’infestazione dei vertebrati a sangue caldo avviene in seguito all’ingestione
di uno qualsiasi dei tre stadi vitali del microrganismo, oppure per via transplacentare. La maggior parte dei gatti non è coprofaga e, quindi, si infesta
più comunemente con l’ingestione dei bradizoiti di T. gondii durante l’alimentazione, per carnivorismo. Le oocisti compaiono nelle feci dopo 3-21
giorni. Quelle sporulate possono sopravvivere nell’ambiente per mesi o anni
e sono resistenti alla maggior parte dei disinfettanti. I bradizoiti possono persistere nei tessuti per tutta la vita dell’ospite. Il 30-40% circa dei gatti e della
popolazione umana ed il 20% circa dei cani degli Stati Uniti risultano sieropositivi e, quindi, presumibilmente infestati.
La morte nel cane e nel gatto può insorgere in seguito ad una replicazione
intracellulare dei tachizoiti che travolge le difese dell’organismo dopo l’infestazione primaria; vengono comunemente coinvolti i tessuti epatici, polmonari, del SNC e pancreatici. I gattini infestati per via transplacentare o attraverso l’allattamento sviluppano i segni clinici più gravi della toxoplasmosi
extraintestinale e generalmente vengono a morte per patologie polmonari o
epatiche. I comuni riscontri clinici nei gatti con toxoplasmosi disseminata
sono rappresentati da depressione, anoressia, febbre seguita da ipotermia, versamento peritoneale, ittero e dispnea. Se un ospite con toxoplasmosi cronica
è immunodepresso, i bradizoiti nelle cisti tissutali possono replicarsi rapidamente e disseminarsi nuovamente come tachizoiti. La toxoplasmosi disseminata è stata documentata in gatti con infezione concomitante da leucemia felina, immunodeficienza felina o peritonite infettiva felina ed in altri sottoposti
a trapianto renale. In alcuni cani e gatti si riscontra una toxoplasmosi cronica.
L’infestazione da Toxoplasma gondii deve essere presa in considerazione
come possibile diagnosi differenziale nei gatti con uveite anteriore o posteriore, febbre, iperestesia muscolare, perdita di peso, anoressia, crisi convulsi64
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ve, atassia, ittero, diarrea e pancreatite. Sulla base dei risultati della ricerca
degli anticorpi specifici per T. gondii nell’umore acqueo e del test di reazione
a catena della polimerasi, la toxoplasmosi sembra essere una comune causa
infettiva di uveite nel gatto. I gattini che hanno contratto la parassitosi per via
transplacentare o attraverso l’allattamento sviluppano comunemente una
malattia oculare. Nella toxoplasmosi cronica clinicamente manifesta e subfatale possono essere coinvolti la formazione di immunocomplessi e la loro
deposizione nei tessuti e lo sviluppo di reazioni di ipersensibilità ritardata.
Dal momento che nessuno dei farmaci anti-Toxoplasma è in grado di liberare
totalmente l’organismo dal parassita, le recidive della malattia sono comuni.
Nel cane, sono comuni soprattutto le infestazioni respiratorie, gastroenteriche o neuromuscolari che esitano in febbre, vomito, diarrea, dispnea ed ittero e si riscontrano più frequentemente nei soggetti immunodepressi, come
quelli con infezione da virus del cimurro o quelli trattati con ciclosporina per
prevenire il rigetto di un trapianto renale. I segni clinici neurologici dipendono dalla localizzazione delle lesioni primarie e comprendono atassia, crisi
convulsive, tremori, deficit dei nervi cranici, paresi e paralisi. I cani con miosite presentano debolezza, andatura rigida o consunzione muscolare. Si può
avere una rapida progressione verso la tetraparesi e la paralisi, con disfunzione da motoneurone inferiore. Alcuni cani con sospetta toxoplasmosi neuromuscolare sono probabilmente affetti da neosporosi. In certi cani parassitati si
osserva un’infestazione miocardica che esita in aritmie ventricolari. Nei soggetti colpiti da una malattia polisistemica si rilevano dispnea, vomito o diarrea. In alcuni casi di toxoplasmosi canina si riscontrano retinite, uveite anteriore, iridociclite e neurite ottica.
I cani o gatti con toxoplasmosi clinicamente manifesta possono presentare una varietà di anomalie di laboratorio e radiografiche, ma nessuna capace
di documentare con certezza la malattia. In alcuni casi, si osservano anemia
non rigenerativa, leucocitosi neutrofila, linfocitosi, monocitosi, neutropenia,
eosinofilia, proteinuria, bilirubinuria ed aumenti dei livelli sierici di proteine
e di bilirubina, nonché delle attività di creatininachinasi, alanina-aminotransferasi, fosfatasi alcalina e lipasi. Nella maggior parte dei casi, la toxoplasmosi polmonare provoca dei quadri diffusi di tipo interstiziale o alveolare,
oppure un versamento pleurico. Le concentrazioni di proteine ed i conteggi
cellulari nel liquido cefalorachidiano sono spesso più elevati del normale. I
leucociti predominanti nel liquor sono i piccoli elementi mononucleati, ma si
riscontrano comunemente anche i neutrofili. La diagnosi definitiva della
Toxoplasmosi nell’animale in vita può essere formulata sulla base della dimostrazione del microrganismo; tuttavia, si tratta di un’evenienza poco comune.
I bradizoiti o i tachizoiti si identificano raramente nei tessuti, nei versamenti,
nei liquidi di lavaggio broncoalveolare, nell’umore acqueo o nel liquor.
65
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Anticorpi specifici per Toxoplasma gondii (cane o gatto), antigeni (gatto),
immunocomplessi (gatto), e DNA (gatto) si possono rilevare sia nel sangue
degli animali normali che in quello dei soggetti con segni clinici di malattia,
per cui è impossibile formulare una diagnosi ante mortem di toxoplasmosi clinica basandosi soltanto sui risultati di questi test. La diagnosi della malattia
nell’animale in vita può essere formulata sotto forma di sospetto sulla base
dell’associazione di: dimostrazione di anticorpi nel siero che documenti l’esposizione a T. gondii, dimostrazione di un titolo di IgM > 1 : 64 o di un
aumento di 4 volte o più del titolo di IgG che suggerisca un’infestazione
recente o in atto, segni clinici di malattia riferibili a toxoplasmosi, esclusione
di altre cause comuni della sindrome clinica e risposta positiva al trattamento
appropriato. Per il trattamento della malattia clinicamente manifesta, l’autore
ha utilizzato più frequentemente la clindamicina cloridrato, l’associazione trimethoprim/sulfamidico e l’azitromicina. I gatti o cani con uveite vanno trattati con glucocorticoidi topici, orali o parenterali per evitare un glaucoma
secondario e la lussazione della lente. Gli animali sieropositivi per
Toxoplasma gondii e con uveite che per il resto risultano normali possono
essere trattati con la sola somministrazione topica di glucocorticoidi, a meno
che l’uveite non sia ricorrente o persistente. In queste situazioni, può essere
utile la somministrazione di un farmaco con attività anti-T. gondii.
NEOSPOROSI
Neospora caninum è un coccidio che in passato è stato confuso con T. gondii perché presenta una morfologia simile. Il suo ciclo sessuale si completa
nel tratto gastroenterico del cane ed esita nell’eliminazione all’esterno delle
oocisti nelle feci. Gli sporozoiti evolvono in oocisti entro 24 ore dalla deposizione. Gli altri due stadi vitali sono rappresentati dai tachizoiti (lo stadio che
si suddivide rapidamente) e dalle cisti tissutali che contengono centinaia di
bradizoiti (lo stadio che si suddivide lentamente). I cani si infestano con l’ingestione dei bradizoiti, ma non dei tachizoiti. L’infestazione è stata documentata in seguito all’ingestione di tessuti placentari bovini parassitati. La
trasmissione transplacentare della parassitosi è stata ben documentata; le
madri che danno alla luce una progenie infestata possono ripetere la trasmissione transplacentare in occasione delle gravidanze successive. Anche se la
replicazione del microrganismo si verifica in molti tessuti, compresi i polmoni, la malattia clinicamente manifesta nel cane è primariamente neuromuscolare. Nel gatto non sono stati descritti quadri clinici di malattia ad insorgenza
spontanea, mentre nei gattini sperimentalmente infestati si sviluppano encefalomielite e miosite. La neosporosi canina è stata segnalata in molti Paesi del
66
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mondo. Dal momento che si verificano ripetute infestazioni transplacentari,
esiste un rischio maggiore per i cuccioli nati da una cagna che in precedenza
aveva già generato una progenie parassitata. Cuccioli con infestazione congenita sviluppano una paralisi ascendente con iperestensione degli arti posteriori; in molti casi si può avere un’atrofia muscolare. È possibile riscontrare polimiosite ed interessamento multifocale del SNC, da soli o in associazione. I
segni clinici possono essere evidenti subito dopo la nascita oppure ritardare di
diverse settimane. È comune la morte neonatale. Anche se la malattia tende
ad essere più grave nei cuccioli con infestazione congenita, sono stati clinicamente colpiti cani di età fino a 15 anni. In alcuni casi, si osservano miocardite, disfagia, dermatite ulcerativa, polmonite ed epatite. Il trattamento con glucocorticoidi può attivare i bradizoiti nelle cisti tissutali esitando nella comparsa di una malattia clinicamente manifesta. L’infiammazione del SNC è di
solito caratterizzata da infiltrati cellulari mononucleari che suggeriscono una
componente immunomediata della patogenesi della malattia. In assenza di
trattamento, la maggior parte dei cani colpiti muore.
Non esistono specifici riscontri ematologici o biochimici, ma nei cani con
miosite si osserva comunemente l’aumento delle attività di CK ed AST. Le
anomalie del liquido cefalorachidiano sono rappresentate da un incremento
della concentrazione di proteine (20-50 mg/dl) e da una lieve pleocitosi (1050 cellule/dl) di elementi infiammatori di tipo misto, rappresentati da monociti, linfociti, neutrofili e, raramente, eosinofili. Nelle radiografie del torace è
possibile notare quadri di tipo interstiziale ed alveolare. La dimostrazione del
microrganismo nel liquor o nei tessuti fornisce la diagnosi definitiva. I tachizoiti vengono raramente identificati attraverso l’esame citologico del liquido
cefalorachidiano, dei preparati per impronta allestiti a partire dalle lesioni dermatologiche e dal lavaggio broncoalveolare. Nell’aspirato transtoracico di un
cane con pneumopatia è stata notata un’infiammazione di tipo misto con presenza di neutrofili, linfociti, eosinofili, plasmacellule, macrofagi e tachizoiti.
Le oocisti possono venire identificate nelle feci attraverso l’esame microscopico dopo arricchimento o mediante PCR. Le cisti tissutali di Neospora caninum hanno una parete > 1 _; quelle di T. gondii hanno una parete < 1 _. Il
microrganismo può essere differenziato da T. gondii mediante microscopia
elettronica, immunoistochimica e PCR. Il sospetto diagnostico di neosporosi
può venire formulato sulla base del riscontro combinato di segni clinici compatibili con la malattia e della positività sierologica o della presenza di anticorpi nel liquor, dopo aver escluso altre eziologie capaci di indurre sindrome
cliniche simili, ed in particolare T. gondii. Nella maggior parte dei cani con
neosporosi clinicamente manifesta sono stati rilevati titoli anticorpali di
immunoglobuline G = 1 : 200; esiste una reattività crociata sierologica minima con T. gondii a titoli = 1 : 50.
67
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La prognosi per i cani che vengono portati alla visita con un grave coinvolgimento neurologico è sfavorevole. Alcuni sono sopravvissuti in seguito al
trattamento con trimethoprim/sulfadiazina associato a pirimetamina, somministrazione sequenziale di clindamicina-cloridrato, trimethoprim/sulfadiazina
e pirimetamina, o clindamicina da sola.
Anticorpi anti-Neospora caninum sono stati rilevati nella popolazione
umana, ma in uno studio non è stata individuata alcuna correlazione con l’aborto ripetuto. È stato stabilito un legame epidemiologico fra il cane ed il
bovino e quindi occorre fare tutto il possibile per ridurre la contaminazione
degli alimenti per il bestiame da parte delle feci canine ed impedire ai cani di
ingerire le placente bovine. Le cagne che partoriscono cuccioli clinicamente
affetti dalla malattia non devono più essere destinate alla riproduzione. Non si
devono somministrare glucocorticoidi agli animali sieropositivi, se possibile,
perché esiste il rischio di attivazione dell’infestazione.
BABESIOSI
Esistono molteplici specie di Babesia che parassitano i cani di tutto il
mondo. Babesia canis ha una distribuzione mondiale che interessa Africa,
Asia, Australia, Europa, America Centrale, Sud America, Giappone e Stati
Uniti. Babesia canis rossi viene trasmessa da Haemaphysalis Jeachi ed è la
più patogena. Babesia canis canis è trasmessa da Dermacentor reticulates ed
è moderatamente patogena. Babesia canis vogeli è la meno patogena e viene
veicolata da Rhipicephalus sanguineus. Babesia gibsoni infesta i cani degli
Stati Uniti, del Giappone, dell’India, dello Sri Lanka, della Corea e
dell’Egitto. I ceppi di B. gibsoni isolati in Nord America ed Asia presentano
delle variazioni genetiche sufficienti a farli proporre come specie differenti.
Nei Paesi diversi dagli Stati Uniti, Haemaphysalis bispinosa ed H. longicornis sono vettori noti di B. gibsoni. È stato ipotizzato, ma non dimostrato, il
ruolo di Rhipicephalus sanguineus come vettore negli Stati Uniti. In
Oklahoma è stata descritta una Babesia spp. che presenta delle considerevoli
variazioni genetiche rispetto agli altri ceppi isolati di B. canis o B. gibsoni.
Nessuna delle Babesia spp. che infestano i gatti, B. cati (India), B. felis (Sud
Africa e Sudan), B. herpailuri (Sud America e Africa) o B. pantherae (Kenya)
si trova negli Stati Uniti. Babesia spp. può anche venire trasmessa mediante
trasfusione di sangue.
I microrganismi si replicano a livello intracellulare negli eritrociti, esitando in un’anemia emolitica intravascolare. Le reazioni immunomediate contro
il parassita o gli antigeni self alterati aggravano l’anemia emolitica ed esitano
comunemente nella positività del test di Coomb. La gravità della malattia
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dipende dalla specie, dal ceppo di Babesia e dallo status immunitario dell’ospite; in alcuni casi possono essere comuni infestazioni croniche e subcliniche. Le infestazioni iperacute ed acute da Babesia esitano in anemia e febbre
che portano a pallore delle mucose, tachicardia, tachipnea, depressione, anoressia e debolezza. In alcuni cani, sono presenti ittero, petecchie, iperazotemia ed epatosplenomegalia, in funzione dello stadio dell’infestazione e della
presenza di una coagulazione intravasale disseminata. Lo sviluppo di quest’ultima, nonché dell’acidosi metabolica e della nefropatia, è potenziato dalla grave anemia acuta. La principale diagnosi differenziale per la babesiosi
acuta è l’anemia emolitica immunomediata primaria. I cani con infestazione
cronica presentano comunemente perdita di peso ed anoressia. In alcuni soggetti con infestazione atipica si riscontrano ascite, segni gastroenterici, manifestazioni a carico del SNC, edema e quadri clinici di malattia cardiopolmonare. Esiste anche un’infestazione subclinica. La somministrazione di glucocorticoidi o la splenectomia possono attivare la malattia cronica.
Nei cani con babesiosi sono comuni anemia rigenerativa, iperbilirubinemia, bilirubinuria, emoglobinuria, trombocitopenia, acidosi metabolica, iperazotemia, gammopatia policlonale e cilindri renali. In commercio si trovano
test anticorpali basati sull’immunofluorescenza indiretta per B. canis e B. gibsoni. La dimostrazione di un aumento dei titoli nell’arco di 2 o 3 settimane è
compatibile con un’infestazione recente o in atto. Al momento attuale, non
esiste alcuna standardizzazione fra i laboratori e quindi i valori soglia suggeriti per la positività dei titoli variano. Risultati sierologici falsi negativi si possono ottenere nei casi iperacuti o nei cani con concomitante immunosoppressione. Per B. gibsoni è stato suggerito un titolo > 1:320, ma non tutti i cani
infestati raggiungono questo valore. Il sospetto diagnostico può essere formulato sulla base dei riscontri anamnestici e clinici, dei risultati degli esami
di laboratorio e della positività delle prove sierologiche. Poiché molti cani clinicamente normali sono sieropositivi, la sierologia da sola non può essere utilizzata per la formulazione di una diagnosi definitiva. Quest’ultima si basa
sulla dimostrazione del microrganismo negli eritrociti mediante colorazione
di Wright o Giemsa su strisci ematici sottili. Babesia canis si presenta tipicamente sotto forma di una coppia di corpi piriformi che misurano 2,4 x 5,0 _.
Babesia gibsoni è tipicamente presente sotto forma di singoli corpi anulari
che misurano 1,0 x 3,2 _. Oggi è disponibile in commercio la reazione a catena della polimerasi, che può essere utilizzata per documentare la presenza del
microrganismo, ma la positività dei suoi risultati non è sempre correlata alla
malattia clinica.
Si deve effettuare una terapia di supporto, secondo necessità. Per il trattamento della babesiosi possono essere efficaci la fenamidina isetionato e l’imidocarb dipropionato. Gli effetti indesiderati sono rappresentati da saliva69
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zione transitoria, diarrea, dispnea, lacrimazione e depressione. Il metronidazolo o la clindamicina cloridrato possono attenuare la malattia clinicamente
manifesta se gli altri farmaci non sono disponibili. Sono stati anche utilizzati
il diminazene aceturato, la pentamidina isetionato, la parvacuoina ed il niridazone. Non è noto alcun farmaco capace di eliminare l’infestazione e quindi si ignora se sia utile trattare i cani sieropositivi sani. Se possibile si deve
attuare il controllo delle zecche. Nei soggetti precedentemente infestati bisogna evitare la somministrazione di farmaci immunosoppressori e la splenectomia. I cani impiegati come donatori di sangue devono essere sottoposti a
valutazione per individuare la presenza dell’infestazione mediante PCR o
screening sierologici. Attualmente, non esistono dati che indichino che le specie di Babesia che infestano il cane ed il gatto possano essere causa di malattia nell’uomo.
CRIPTOSPORIDIOSI
Si veda la relazione dedicata alle infestazioni gastroenteriche.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Michael R. Lappin
e-mail: [email protected]
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Ugo Lotti
Med Vet, Monsummano Terme (PT)
Luca Formaggini
Med Vet, Dormelletto (NO)
Comportamento da tenere
in caso di versamenti settici
toraco-addominali
Domenica, 31 ottobre 2004, ore 9.00
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Introduzione. In questa trattazione si descrive la gestione di un paziente
con piotorace iniziando dall’eziologia, la fisiopatologia, l’approccio diagnostico ed il trattamento medico. Nella presentazione orale verranno presentati
anche alcuni casi clinici.
Si definisce piotorace la raccolta di essudato settico nello spazio pleurico,
è una patologia descritta sia nel cane che nel gatto, anche se le esperienze cliniche dell’autore sono principalmente nella specie canina.
Eziologia. Sebbene in bibliografia si descriva che un versamento toracico settico può essere causato da ferite toraciche penetranti, rottura dell’esofago, estensioni di infezioni polmonari, mediastiniche o comunque dai tessuti contigui, la causa più comune di piotorace nel cane è la migrazione di
corpi estranei vegetali (CEV) aspirati attraverso la bocca fino ai bronchi
che, quindi, vengono perforati, permettendo la diffusione dell’infezione allo
spazio pleurico, mentre nel gatto l’eziologia del piotorace è spesso idiopatica. La flora batterica coinvolta non è semplice da isolare in ogni caso dai
dati bibliografici risulta appartenere alle specie Nocardia spp, Actinomyces
spp, anaerobi come il Fusobacterium spp ed altri batteri come Pasteurella
multocida, Streptococcus spp, ecc.
Fisiopatologia. La cavità pleurica è uno spazio virtuale che contiene, in
condizioni fisiologiche, da 1 a 5ml di fluido che serve a lubrificare i polmoni durante i movimenti respiratori. La pleura è una sierosa formata da
un unico strato di cellule endoteliali che rivestono un connettivo contenente i vasi sanguigni e linfatici. In condizioni di normalità, la pleura parietale, che riveste la parete toracica il mediastino ed il diaframma, produce il
fluido pleurico che viene riassorbito dalla rete di linfatici toracica e dai
capillari della pleura viscerale, che riveste la superficie sierosa dei polmoni. Quando la quantità di fluido prodotto dalla superficie pleurica è eccessivo (come si verifica in una pleurite) oppure le capacità assorbitive sono
in difetto (come avviene per un blocco della circolazione linfatica - es.
massa che comprime il dotto toracico o per un processo infiammatorio che
coinvolge le superfici pleuriche) o per entrambe le patologie suddette, si
verifica un versamento pleurico. Nel caso dell’essudazione settica toracica,
sia la vasodilatazione che l’aumento della permeabilità dei capillari della
pleura infiammata producono un aumento del fluido toracico ricco in proteine che ne aumentano la pressione colloidosmotica, fattore che richiama
ulteriore fluido. La membrana pleurica diventa, inoltre, anche più spessa a
causa dell’infiammazione cronica, cosa che ne diminuisce le capacità
assorbitive, tutti questi fattori hanno come effetto un versamento toracico
purulento che tende sempre ad aumentare.
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Anamnesi. Esame fisico. Il paziente con piotorace viene descritto come
letargico, anoressico, dimagrito, che respira male, che si stanca facilmente.
Spesso, nei cani sportivi, viene descritto un episodio di tosse subito dopo un
esercizio fisico, dovuta all’aspirazione del CEV, oppure un episodio di febbre di origine sconosciuta che risponde bene ad un qualsiasi trattamento antibiotico, dovuta all’inizio della migrazione del CEV. L’esame fisico mette in
evidenza dispnea di entità variabile, a seconda della quantità di essudato
pleurico, febbre, che però, non è sempre presente. La dispnea si presenta con
uno sforzo inspiratorio evidente e con un’espirazione superficiale. Ci può
essere un aumento del tempo di riempimento capillare ed all’auscultazione il
murmure vescicolare scompare ventralmente quando il cane è in posizione
quadrupedale e caudalmente quando lo mettiamo in posizione eretta sulle
due zampe posteriori. Alla percussione le zone ventrali del torace si presentano con un suono ottuso.
DIAGNOSI
Esame radiografico. La conferma del sospetto diagnostico di versamento pleurico avviene dopo un esame radiografico del torace che lascia pochi
dubbi in caso di versamento voluminoso, invece si presta ad incertezze in
caso di versamento modesto inferiore ai 100cc. In proiezione laterale piccole quantità di liquido si possono vedere come triangoli radiodensi che si
formano tra le fissure interlobari dei polmoni e lo sterno. La proiezione con
il paziente in stazione quadrupedale ed il raggio diretto orizzontalmente,
sarebbe la migliore per evidenziare anche un piccolo versamento ma, in
molte strutture veterinarie, non è possibile eseguirla. Nei CEV migranti,
oltre al versamento pleurico potrebbe evidenziarsi una osteomielite di una o
più sternebre. Nella mia pratica clinica più di una volta ho trovato la spiga
all’interno di un tragitto fistoloso dentro una sternebra.
Ecografia. L’esame ecografico del torace permette di visualizzare anche
minime quantità di versamento oltre ad eventuali masse ascessuali, da cui è
possibile eseguire una toracentesi ecoguidata oltreché un ago aspirato, per
queste ragioni è una procedura diagnostica da eseguire di “routine” in caso
di sospetto versamento pleurico.
Patologia clinica. La conferma diagnostica del piotorace si ottiene dopo
una toracentesi, che evidenzia un essudato settico, talvolta maleodorante, che
viene sottoposto sia ad esame citologico che ad esame batteriologico con col73
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ture sia per germi anaerobi che aerobi, anche se tali procedure spesso danno
esiti negativi per la difficoltà che si incontra a fare sviluppare, nei comuni terreni colturali, i germi coinvolti, ovviamente, questo aspetto negativo non ci
deve scoraggiare e tali procedure di ricerca dell’antibiotico più efficace devono essere fatte di routine.
La citologia evidenzia, soprattutto, un tappeto di neutrofili degenerati
assieme a batteri ed a materiale amorfo. Per una maggiore accuratezza diagnostica, si dovrebbe usare anche la colorazione di Gram e se si vedono dei
batteri filamentosi Gram + allora si esegue anche la colorazione di ZielNielsen, e se questi germi Gram + sono positivi a quest’ultima colorazione
allora si può parlare di probabile Nocardia spp., se sono negativi alla ZielNielsen allora si tratta probabilmente di Actinomyces spp. Dagli esami
ematologici si evidenzia nell’emogramma una leucocitosi a volte molto
spinta con aumento dei banda e qualche volta con caratteristiche degenerative (presenza di neutrofili tossici).
Spesso è presente una marcata iperfibrinogenemia, come conseguenza
del forte stimolo infiammatorio, ed un notevole aumento della VES, per
lo stesso motivo. Nel profilo biochimico il reperto più frequente è la diminuzione delle albumine che sono perse nel liquido pleurico, anche il ferro totale diminuisce in quanto viene sequestrato nel focolaio infiammatorio inoltre, come conseguenza della sepsi in atto, si può avere un’ipoglicemia anche marcata. Nei casi più gravi ci può essere anche una coagulazione intravasale disseminata, documentata da un’aumento dei D-dimeri
e degli FDP oltra a una diminuzione delle piastrine ed in questo caso
anche del fibrinogeno. La valutazione della PO2 e della PCO2 è importante per stabilire quando sia indispensabile un’ossigenoterapia, che è
comunque sempre necessaria in un cane dispnoico inoltre, l’emogasanalisi ripetuta nei giorni successivi al trattamento, ci aiuta a capire quanto il
polmone si stia espandendo e quindi stia recuperando la sua funzione di
scambio gassoso.
Toracoscopia. La toracoscopia è una procedura sia diagnostica che terapeutica che ci permette di localizzare esattamente il tipo e la sede di una lesione, di fare biopsie e, qualche volta, anche di individuare ed estrarre l’eventuale CEV.
TAC/ RM. Queste procedure di diagnosi per immagini avanzate ci permettono di localizzare bene un’eventuale lesione, soprattutto la TAC che,
per sua natura, è più adatta a visualizzare un organo in continuo movimento come il polmone, rendendo possibile un più preciso eventuale approccio
chirurgico.
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TERAPIA
Terapia medica. I presidi terapeutici da applicare ad un paziente con piotorace sono tre: un’adeguata terapia di supporto a base di fluidi (cristalloidi ed
eventualmente colloidi), antibioticoterapia ad ampio spettro (seguita poi da
terapia antibiotica specifica, basata su un antibiogramma del liquido pleurico)
ed applicazione di drenaggi in torace mono o bilateralmente.
La fluidoterapia è molto importante in quanto si tratta di pazienti ipovolemici e, spesso, anche ipoalbuminemici, per cui qualche volta si deve utilizzare plasma, albumina umana oppure colloidi sintetici come il destrano, nello
dosi proporzianate al grado di deficit o al tipo di alterazioni elettrolitiche presente. Spesso è necessaria una supplementazione di destrosio al 33% in quanto si tratta di pazienti settici quindi in ipoglicemia, come detto. In caso di versamenti modesti e quando le condizioni cliniche del paziente sono buone si
possono buoni risultati anche solo con terapia antibiotica, in questo caso l’associazione preferita dall’autore è la seguente:
Cefazolina 25 mg/Kg q 12h –
Metronidazolo 25 mg/Kg q8h –
Enrofloxacina 5 mg/Kg q 24h
in caso di insuccesso, peraltro evento abbastanza raro in quanto si tratta di
germi sensibili agli antibiotici, si sostituisce la Cefazolina e l’Enrofloxacina
con il Ceftriaxone (Rocefin®) alla dose di 25 mg/Kg q 12 h, ovviamente, una
volta in possesso dei risultati dell’antibiogramma, si usa l’antibiotico specifico. Si deve precisare che la terapia di supporto difficilmente risolve definitivamente il problema infatti, molto spesso, ci sono delle ricadute soprattutto se la causa del piotorace è un CEV.
In caso di versamenti importanti e quando le condizioni cliniche del
paziente sono gravi con una dispnea evidente, la fluidoterapia e le terapie
antibiotiche proposte possono solo fare da adiuvanti all’applicazione di drenaggi toracici che, quindi, rappresentano l’unica terapia proponibile ed utile
per restituire, quando possibile, una funzione respiratoria adeguata. L’autore
esegue l’applicazione dei drenaggi toracici in anestesia generale e, quasi sempre, bilateralmente con il cane in decubito sternale, bloccandoli con una sutura a “dito di cinese”; è importante applicare, al momento del risveglio, un collare elisabettiano per impedire che il cane si strappi i drenaggi. Lo svuotamento della pleura viene eseguito dall’autore, due volte al giorno, senza usare nessun tipo di liquido di lavaggio. Il monitoraggio del paziente viene eseguito valutando i parametri infiammatori e la cellularità, oltre che la quantita
del liquido aspirato. Quando il liquido diminuisce fino a 5-10 ml per emitorace e se la cellularità infiammatoria è significativamente ridotta, di solito
questo si verifica dopo 5-6 giorni, i drenaggi possono essere tolti.
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Terapia chirurgica. Spesso con la terapia medica non riusciamo a
risolvere il problema, allora è indispensabile un ricorso alla chirurgia in
questo caso, come già detto, una precisa localizzazione della lesione è
indispensabile al successo della procedura, a questo scopo può essere
molto utile la toracoscopia oppure una diagnostica per immagini avanzata
come TC o RM.
Bibliografia
Lotti U, Lubas G, Sacchini F, Furlanello T, Occurence of pyothorax in dogs living in Italy. Clinical experience in 55 cases. Atti ESVIM 2001, Dublino.
Lotti U, Niebauer G, Tracheobronchial foreign bodies of plant origin in 153 hunting dogs. Compendium
of Continuing Education 14:900, 1992.
Turner, Breznock, Continuous suction drainage for management of canine pyothorax. A retrospective
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Frendin J, Gresko e coll., Thoracic and abdominal wall swelling in dogs caused by foreign body. Journal
of Small Animal Practice, 1983.
Brenna KE, Ihrke PJ, Grass awn migration in dogs and cats: a retrospective study of 182 cases. Journal of
American Veterinary Medical Association, 1983.
Frendin J, Pyogranulomatous pleuritis with empyema in huntinjg dogs. Zentralbl Veterinarmed A. 1997,
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Frendin J, Obel N Catheter drainage of pleural collections and pneumothorax. Journal of Small Animal
Practice, 1997 June; 38(6);237-42.
Piek C J, Robben J H, Pyothorax in nine dogs. Vet Quarterly, 2000; April; 22(2); 107-111.
Nelson R W, Couto C G,5° ed. 2000, Small Animal Internal Medicine III ed., Cap. 25 Ed. Mosby USA.
Ettinger S J, Feldman E C, 3° ed. 2003, Textbook of Veterinary Internal Medicine Cap 130, Ed. Saunders
USA.
King L G, 1° ed. 2004, Textbook of Respiratory Desease in Dogs and Cats, Cap. 80 Ed. Saunders USA.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Ugo Lotti
Clinica Veterinaria “Valdinievale”
Monsummano Terme (PT)
e-mail: [email protected]
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Luca Formaggini
Clinica Veterinaria “Lago Maggiore”
C.so Cavour, 3 - Dormelletto (NO)
Tel. +39 032224716 - Fax +39 0322232756
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49° Congresso Nazionale SCIVAC
PERUGIA, 29-31 OTTOBRE 2004
Carlo Masserdotti
Med Vet, Brescia
Ugo Bonfanti
Med Vet, Milano
Davide De Lorenzi
Med Vet, Padova
Alessandra Tosini
Med Vet, Brescia
Batteri, miceti e protozoi
al microscopio
Venerdì, 29 ottobre 2004, ore 10.30
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INTRODUZIONE
Oltre alla possibilità di riconoscere direttamente alcuni comuni agenti
eziologici, la citologia permette un’ampia gestione di alcune malattie infettive, poiché consente di inquadrare il tipo di flogosi associata, di monitorare
la malattia in dipendenza delle scelte terapeutiche e di individuare la presenza di condizioni primarie correlate, quali le neoplasie. Con questi obiettivi
l’esame citologico rappresenta una tappa obbligata nella gestione delle
malattie sostenute da numerosi agenti eziologici e sicuramente un supporto
concreto alle indagini microbiologiche.
CITOLOGIA ED AGENTI EZIOLOGICI
L’analisi morfologica, il riconoscimento e la distinzione degli agenti batterici, protozoari o fungini sono alcuni dei numerosi vantaggi forniti dalla
citologia rispetto all’istologia, poiché i metodi di prelievo e le colorazioni
di base rappresentano il mezzo ideale per osservare i corpi di molti agenti
nella loro integrità e nel contesto entro cui si sviluppano e stimolano le
risposte difensive dell’organismo aggredito. Tuttavia molto frequentemente,
malgrado l’elevata sensibilità dell’indagine citologica nel rilevare la presenza di agenti eziologici, l’osservazione degli stessi non permette un riconoscimento accurato della specie responsabile, ma solo una collocazione
morfologica degli stessi all’interno delle grandi categorie tassonomiche dei
batteri, dei protozoi o dei funghi; fanno eccezione alcune specie patogene
protozoarie, quali Leishmania, Toxoplasma, Babesia, Hepatozoon e alcune
altre, per le quali l’osservazione morfologica è sufficiente a permetterne il
riconoscimento.
Agenti eziologici ed infezioni. È opinione degli autori che l’esame citologico dovrebbe sempre precedere o accompagnare l’indagine microbiologica,
poiché oltre ad accertare spesso la presenza di agenti eziologici in un campione, l’osservazione diretta fornisce preziose indicazioni, quali la natura del
patogeno ed il suo effettivo ruolo in un contesto flogistico: il riconoscimento di fenomeni di fagocitosi di un agente batterico o della sua semplice presenza sul fondo dell’allestimento in assenza di elementi infiammatori, per
esempio, sono riscontri pratici molto utili, che permettono di inquadrarlo
come agente responsabile di un processo infiammatorio nel primo caso o
come contaminante o commensale nel secondo.
Agenti eziologici ed analisi microbiologica. La segnalazione del tipo di
agente eziologico rilevato all’analisi microscopica è di valido supporto alle
indagini del microbiologo, che può discriminare a priori l’orientamento da
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seguire nelle tecniche colturali, in base alla natura batterica, protozoaria o
fungina dell’agente segnalato dal citologo.
Agenti eziologici ed artefatti. L’utilità dell’esame citologico si estende
sino alla discriminazione di pseudoagenti, rappresentati primariamente da
aspetti morfologici non determinati da patologie infettive o da artefatti di tecnica, di campionamento o di colorazione. L’esperienza e un’analisi accurata
permettono infatti di distinguere, per esempio, i precipitati di colorante o le
frammentazioni nucleari dei granulociti neutrofili da agenti batterici, le zolle
di detrito fagocitato ed i globuli secretori da agenti protozoari, le striature di
materiale nucleare da corpi fungini.
Falsi negativi. Si ricorda che l’esame citologico, per effetto di svariate
condizioni può fallire nell’evidenziare gli agenti eziologici: per esempio, in
alcuni casi, essi possono essere in numero talmente basso od essere confinati in microfocolai dispersi nel contesto di una lesione, che il risultato dell’indagine citologica è semplicemente quello di un quadro flogistico aspecifico; in questi casi è utile classificare il tipo di flogosi rilevata ed approfondire le ricerche con campionamenti ripetuti, poiché l’evidenza di degenerazione neutrofilica può celare sporadici elementi batterici, mentre la prevalenza di una flogosi piogranulomatosa può risultare associata alla presenza
di miceti. Ancora, soggetti sottoposti ad indagine citologica in corso di terapia antibiotica possono risultare negativi, poiché il farmaco determina una
riduzione del numero degli agenti eziologici sufficiente per sfuggire alla
ricerca microscopica, ma non sufficiente per determinare una completa risoluzione dei sintomi.
AGENTI EZIOLOGICI BATTERICI
Generalmente i corpi batterici si presentano come strutture di tipo coccoide, bastoncellare o filamentoso ma esistono batteri che si manifestano
con forme particolari, come le palizzate serrate e regolarmente allineate di
Simonsiella, un comune batterio saprofita che colonizza, senza alcun ruolo
patogeno, la mucosa del cavo orale. Con le normali colorazioni tipo
Romanowsky si ottengono cromatismi dei corpi batterici variabili da intensamente eosinofili a basofili.
- Batteri coccoidi. Sono di piccole dimensioni, generalmente esprimibili
in frazioni di micron, e sono caratterizzati da forma sferica, uniforme, a
profilo regolare, cromaticamente basofila. Si presentano generalmente
in numero variabile e organizzati in aggregati irregolari, che talora possono manifestare disposizione in coppie, in quartine o in catenelle. A
questo tipo di batteri appartengono gli Stafilococchi e gli Streptococchi
(Figg. 1 e 2).
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Figura 1 - Neutrofilo degenerato, nel cui citoplasma si osservano batteri coccoidi fagocitati
(MGG; 100X)
Figura 2 - Neutrofili degenerati e materiale
nucleare filamentoso, tra i quali si osservano
batteri coccoidi (MGG; 100X)
Figura 3 - Batteri bastoncellari nel citoplasma
di un granulocita neutrofilo degenerato (MGG;
100X)
Figura 4 - Batteri bastoncellari di piccole
dimensioni (MGG; 100X)
- Batteri bastoncellari. Posseggono dimensioni variabili e forma inconfondibile per il loro profilo allungato. Possono presentarsi singolarmente o in
piccoli aggregati, talora in filiere regolari che gli conferiscono un aspetto
filamentoso. Con tali caratteristiche si annoverano numerosi batteri Gram
negativi, quali E.coli, Pseudomonas spp., Proteus spp. (Figg. 3 e 4).
Una categoria morfologica particolare è rappresentata dai micobatteri, che,
essendo dotati di una parete ricca di acido micolico, non assumono i normali coloranti di routine, ma appaiono come bastoncelli acromatici, presenti liberi o fagocitati dai macrofagi. Solo con colorazioni speciali quali
il metodo di Ziehl-Nielsen è possibile ottenere un cromatismo rosso del
corpo batterico.
- Batteri filamentosi. Sono caratterizzati da corpi allungati e sottili, a cromatismo debolmente basofilo, talora reso peculiare da segmentazioni
regolari. Esibiscono questa morfologia svariate specie batteriche, tra le
quali alcuni agenti appartenenti alla famiglia delle Actinomicetacee e delle Nocardiacee (Figg. 5 e 6).
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Come precedentemente sottolineato è molto difficile, se non addirittura
azzardato, sulla base morfologica di un agente batterico, esprimersi circa la
sua esatta collocazione tassonomica; tuttavia, in alcune condizioni, le forme
batteriche riconoscibili al microscopio possono essere abbastanza suggestive,
in particolare se associate al contesto flogistico ed alla provenienza anatomica, di particolari tipi eziologici. Per esempio il riscontro, in un campione proveniente da lesioni cutanee superficiali essudatizie, di numerosi batteri coccoidi associati ad abbondante cellularità granulocitaria neutrofilica degenerata, che esibisce fagocitosi degli stessi, suggerisce che i microorganismi in
questione siano probabilmente ascrivibili a Staphilococcus intermedius, frequentissimo patogeno dermatologico. Oppure la presenza di batteri di aspetto bastoncellare, in contesto flogistico granulocitario neutrofilico relativo ad
un sedimento urinario, suggerisce che essi siano rappresentanti della specie
Escherichia coli, usuale patogeno urinario. Ancora il riscontro di batteri filamentosi organizzati in colonie grossolane e tridimensionali, circondate da
abbondante componente flogistica di tipo suppurativo in un campione proveniente da un liquido di versamento pleurico, permette di sospettare la presenza di agenti eziologici della famiglia delle Actinomicetacee o delle
Nocardiacee. In tutti questi casi, qualora si renda indispensabile ai fini prognostici o terapeutici l’esatto riconoscimento dell’agente responsabile è
comunque indispensabile procedere a corrette tecniche di campionamento, di
coltura e di tipizzazione microbiologica.
AGENTI EZIOLOGICI PROTOZOARI
Il mondo dei protozoi in citopatologia veterinaria è rappresentato da una
gamma meno estesa di agenti eziologici. Questi organismi sono solitamente
dotati di caratteristiche morfologiche sufficienti per permetterne l’attribuzione ad una determinata specie.
Un esempio di quanto esposto è la morfologia di Leishmania spp., caratterizzata da dimensioni ridotte, circa 2-4 µm, e dall’inconfondibile profilo
ovoidale del citoplasma indistinto e nucleo intensamente eosinofilo, cui si
contrappone in posizione ortogonale il cinetoplasto. Gli amastigoti di
Leishmania, possono essere reperiti sia liberi sia in forma fagocitata nei
macrofagi, in prelievi per agoaspirazione provenienti da linfonodo, milza o
midollo ematopoietico (Fig. 7).
Toxoplasma gondii, nei rari casi in cui si rende evidente, esibisce forma
allungata, lunghezza di circa 5 µm ed estremità lievemente assottigliate, che
gli conferiscono un aspetto a mezzaluna; il citoplasma, è debolmente basofilo ed alloggia un piccolo nucleo ipercromatico. Tachizoiti di Toxoplasma pos81
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Figura 5 - Lungo batterio filamentoso che avvolge un neutrofilo (MGG; 100X)
Figura 6 - Popolazione batterica mista, tra cui
spiccano alcuni elementi filamentosi, dislocati
tra neutrofili degenerati (MGG; 100X)
Figura 7 - Amastigoti di Leishmania fagocitati
da un macrofago (MGG; 100X)
Figura 8 - Tachizoiti di Toxoplasma (MGG;
100x)
sono essere reperiti occasionalmente in aghi aspirati provenienti dal parenchima epatico, da lavaggi tracheo od alveolobronchiali o da sedimenti del
liquido cefalorachidiano (Fig. 8).
Giardia è un protozoo flagellato, causa di forme dissenteriche, che
misura circa 15 µm di lunghezza, e che possiede un citoplasma ovale, con
l’estremità inferiore affusolata, due nuclei nucleolati molto evidenti, corpuscoli citoplasmatici, quali l’assonema ed il corpo mediano e quattro paia
di lunghi flagelli, benché in realtà l’esame citologico consente il riconoscimento del solo profilo citoplasmatico e dei nuclei. Le tecniche per l’osservazione di tale parassita spaziano dall’esame per flottazione fecale in
solfato di zinco al prelievo bioptico della mucosa intestinale e successiva
indagine citologica previa allestimento tramite schiacciamento del campione tra due vetrini (Figg. 9 e 10).
Alcuni protozoi patogeni sono reperibili negli strisci di sangue fresco periferico. Babesia canis è un classico esempio, rappresentato da forme intraeritrocitarie, la cui morfologia peculiare è fornita dal profilo piriforme del paras82
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Figura 9 - Trofozoita di Giardia, di cui si notano il profilo ovoidale ed i nuclei nucleolati
(MGG; 100X)
Figura 10 - Trofozoita di Giardia ed alcuni enterociti (MGG; 100X)
Figura 11 - Quattro elementi di Babesia canis
all’interno di un eritrocita (MGG; 100X)
Figura 12 - Capsula di Hepatozoon fagocitata
da un neutrofilo (MGG; 100X)
sita. Hepatozoon, protozoo parassita trasmesso dalle zecche, è diagnosticabile nel sangue di cane o di gatto per la sua localizzazione all’interno del citoplasma, in forma fagocitata, dei granulociti neutrofili ed eventualmente dei
monociti: si ritiene che il parassita abbandoni la cellula che lo contiene, poiché nella stragrande maggioranza dei casi in essa è visibile solo una capsula
ovale semitrasparente (Figg. 11 e 12).
AGENTI EZIOLOGICI FUNGINI
Se la morfologia microscopica delle forme protozoarie conduce ad un
accurato riconoscimento dell’agente eziologico e quella delle forme batteriche almeno ad una classificazione di massima, per quanto concerne gli agenti eziologici fungini l’esame citologico consente di esprimersi circa l’appartenenza di un microrganismo al grande gruppo dei miceti benché molto difficilmente permetta l’identificazione della specie di appartenenza.
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Figura 13 - Elementi di Malassetia pachidermatis attorno a squame cornee (Hemacolor; 100X)
Figura 14 - Criptococcus neoformans è caratterizzato dall’ampia capsula acromatica che circonda il citoplasma (MGG; 100X)
I funghi sono dotati di un nucleo scarsamente discernibile, di un citoplasma, che generalmente assume tintorialità basofila con i principali metodi di
colorazione citologica, di una membrana citoplasmatica e di una parete che
risulta acromatica e translucida, per effetto del suo elevato contenuto in nacetilglucosammina ed altri componenti, tra cui mannani, polisaccaridi, lipidi e proteine. Alcuni funghi unicellulari, quali Criptococcus spp., sono dotati di una voluminosa capsula che avvolge completamente il corpo cellulare,
costituita da mucopolisaccaridi con funzioni protettive, antigeniche ed antifagocitiche.
L’aspetto morfologico dei miceti è strettamente correlato al loro comportamento biologico: i blastomiceti ed i lieviti, o funghi imperfetti, infatti sono
caratterizzati da corpo unicellulare dal quale protrudono estroflessioni secondarie, denominate gemme, che si trasformeranno a loro volta in unità fungine. Tali caratteristiche permettono di riconoscere alcune comuni specie fungine, quali Malassetia spp. e Candida spp., che esibiscono la prima un profilo bilobato caratteristico, la seconda un profilo rotondeggiante e gemmazioni
bipolari. Altra specie fungina unicellulare presente sul territorio italiano è
Criptococcus spp., reso peculiare dal profilo rotondo, dalle gemmazioni unipolari e, come descritto precedentemente, da una spessa capsula acromatica
(Figg. 13 e 14).
I funghi cenocitici, cui appartengono gran parte delle specie patogene, tra
cui i comuni Microsporum spp., Tricophyton spp., Aspergillus spp., formano
invece strutture allungate e sottili, denominate ife, lisce e prive di setti nei
Sifonomiceti, separate da setti e ripiegate con angolature variabili nei
Septomiceti, dotate, come descritto, di citoplasma basofilo e di sottile capsula acromatica, che conferisce a questi agenti eziologici un aspetto peculiare.
Tra i metodi riproduttivi, quello asessuato, o agamico, è responsabile della
formazione di spore; esso può estrinsecarsi nella formazione di sporangi,
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Figura 15 - Un’ifa fungina, riconoscibile per il
profilo allungato e suddiviso in setti, aggredita
da elementi flogistici (Hemacolor; 100X)
Figura 16 - Spore fungine, caratterizzate da
profilo rotondo e parete acromatica, circondate
da flogosi piogranulomatosa (Hemacolor, 100X)
speciali contenitori di spore, che verranno poi liberate nell’ambiente, come
nel caso della specie patogena Rinosporidium Seberii, o nella produzione di
spore esogene, che a loro volta possono essere suddivise secondo i metodi di
formazione, analizzati in sedi diverse da questa. Le spore sono sferule di piccole dimensioni, circa 2-3 µm, singole o in gruppi, dotate, come il corpo fungino di provenienza, da protoplasma basofilo e dalla caratteristica parete
acromatica. In ogni caso le spore possono essere l’unica espressione morfologicamente apprezzabile nell’esame citologico di molte patologie fungine,
ed anzi la loro presenza può essere più facile da rilevare rispetto alle ife progenitrici.
Letture consigliate
V. Perman, R.D. Alasker, R.C.Riis. Cytology of the Dog and Cat, American Animal Hospital Association,
1979, Indiana.
R.L. Cowell, R.D.Tyler, J.H.Meinkoth Cytology of the Dog and Cat, Mosby, 1999, St.Louis
R. Baker, J.H.Lumsden. Color Atlas of Cytology of the Dog and Cat, Mosby, 2000, St.Louis
Enciclopedia delle Scienze: Botanica, Istituto Geografico de Agostini, 1981, Novara
C.E.Greene. Infectious Diseases of the Dog and Cat, Saunders Co, 1998, Philadelphia
Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Carlo Masserdotti
Laboratorio Biodiversity - Divisione Veterinaria
Via Carfù, 71 - 25124 Brescia
e-mail: [email protected]
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Finito di stampare
nel mese di ottobre 2004
dalla Press Point s.r.l.
di Abbiategrasso - MI