C. Debussy, Sonata per violoncello e pianoforte

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Un caleidoscopio d'emozioni per battere il dolore (C. Debussy,
Sonata per violoncello e pianoforte)
<div>Proposte di ascolto di Pino Pignatta</div>
Claude Debussy
Sonata per violoncello e pianoforte
Prologue, Sérénade, Finale
Giulia Lanati, violoncello; Marco Alpi, pianoforte
Tutta la Sonata è bella, anche se la “Sérénade” e il “Finale” richiedono qualche ascolto in più, la
frequentazione di un discorso cameristico non immediatamente melodico e intuitivo. Invece il
“Prologue”, pur scritto in un linguaggio che s’avvicina a grandi passi alle fibrillazioni armoniche
d’inizio Novecento (qui siamo nel 1915), lascia subito attoniti. Impossibile rimanere indifferenti
alla bellezza ricca di mistero di questa pagina, al continuo sovrapporsi e intrecciarsi di temi
sorprendenti, apparentemente slegati tra loro, improvvisi nel loro apparire sulla scena, ricchi di
personalità.
La Sonata per violoncello e pianoforte di Claude Debussy, composta in poco più di un mese,
era stata pensata con un titolo carico di simbolismo impressionistico, ispirato alla pittura di
Watteau: «Pierrot faché avec la lune» (Pierrot irritato con la luna). Ma il musicista francese
decise di eliminare qualsiasi riferimento “a programma” e di affidarsi esclusivamente alla purezza
del discorso sonoro, limitandosi a scrivere in calce al manoscritto «que le pianiste n’oublie jamais
qu’il ne faut pas lutter contre le violoncelle, mais l’accompagner», che il pianista non dimentichi
mai che non deve lottare contro il violoncello, ma accompagnarlo.
E dunque il pianoforte attacca da solo, come un tempo di Sonata solistica, con una melodia
sospesa, straniante, fuori da ogni riferimento di tempo e di spazio. Ed ecco che entra il
violoncello e rapidamente va a condurre il gioco, a sostenere il dialogo da protagonista, con una
cantabilità tutta cameristica ma con piglio a tratti orchestrale. Come dicevamo, è sbalorditivo
come i temi musicali concepiti da Debussy appaiano sulla scena determinando improvvisi
cambi di umore e di atmosfera, tanto da lasciare incantati. Non c’è in questo capolavoro
un solo momento al quale aggrapparsi in modo stabile, in cui chi ascolta possa abituarsi alle
suggestioni sonore proposte.
Sbalzi armonici, melodie che tagliano il “palcoscenico” come colpi di luce, variazioni ritmiche che
tengono in tensione l’intera partitura. L’impressione è uno stato di quasi “eccitazione”, una
disposizione per la quale sei costretto a modificare continuamente i pensieri, senza un centro di
gravità, in un caleidoscopio di emozioni asimmetrico: non hai il tempo di riflettere, che già il
panorama musicale cambia e imprime una nuova direzione alle meditazioni. E in questo senso il
beneficio è che non puoi indugiare su alcun pensiero negativo, pessimistico, depressivo,
perché all’improvviso cambia il vento e sospinge verso nuovi stati d’animo.
Dev’esser stata, questa, una difesa messa in atto dallo stesso Debussy per proteggere se stesso.
Scrisse questa musica – insieme con altre composizioni pianistiche e da camera tutte importanti
per il rinnovamento estetico – negli ultimi anni della vita, già minato dal cancro che lo avrebbe
portato alla morte. Pagine come i Trois poèmes de Mallarmé (1913), Douze études pour
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Un caleidoscopio d'emozioni per battere il dolore (C. Debussy, Sonata per violoncello e pianoforte)
piano (1915), e le Sonates: pour piano et violoncello (1915), pour flùte, alto et harpe
(1915), e pour piano et violon (1917). In quest’ultimo gruppo di lavori si avverte l’impegno del
musicista verso un’arte più austera e pura, con meno seduzioni immediate, ma ugualmente ricca
di idee e di ispirazioni. Che questa fosse l’intenzione di Debussy lo si ricava da una lettera da lui
inviata al suo editore parigino Durand: «Vous aller recevoir, avant cette lettre peut-étre, la
Sonata pour violoncelle et piano. Il ne m’appartient pas d’en juger l’excellence, mais j’en aime
les proportions et la forme presque classique dans le bon sens du mot».
Come le altre opere del crepuscolo creativo, anche questa Sonata per violoncello (che su
YouTube ascoltate interpretata dal duo Lanati-Alpi, ma che non dovete perdere nella versione
leggendaria di Mstislav Rostropovich al violoncello e del compositore inglese Benjamin Britten al
pianoforte) è stata scritta, non senza difficoltà, sotto la pressione bellica della prima guerra
mondiale e nonostante la sofferenza per il cancro. Debussy, raccontano gli storici, era assai
depresso perché età e salute gli impedivano di servire l’esercito francese. Anzi, per un lungo
periodo non toccò il pentagramma.
Poi cominciò a considerare la composizione in senso nazionalistico, l’unico atto di patriottismo di
cui era capace. In un certo senso, queste meraviglie (il consiglio è di ascoltare anche la Sonata
per flauto, viola e arpa, e quella per violino) sono un’affermazione “politica” della cultura
francese. Scriveva Debussy: «Voglio lavorare non tanto per me, ma per dimostrare, per quanto
piccolo io sia, che nemmeno 30 milioni di soldati stranieri riusciranno a distruggere il pensiero
francese». Quindi, una riaffermazione in musica della cosiddetta “grandeur”.
Già dal “Prologue” della Sonata per violoncello si percepisce questo orgoglio, impastato di nobiltà
e superiorità culturale, misto alla tristezza personale per il dolore fisico dovuto al tumore. Il
primo movimento, come abbiamo già sottolineato, si distingue per vivacità di tono e ironia
timbrica, espressa soprattutto dal violoncello, la cui scrittura non è priva di volate virtuosistiche.
Ma è nel secondo tempo, nella “Sérénade”, che il compositore francese accentua i tratti
umoristici, burleschi e fantastici.
Dal violoncello si sprigionano effetti brillanti: l’attacco è sbalorditivo, tutto scritto in “pizzicato”;
ricordiamo ancora che siamo nel 1915, e il discorso sonoro e ritmico sembra quasi anticipare
certe improvvisazioni affidate, di lì a poco, al contrabbasso jazz. E poi, proprio all’inizio della
Serenata, lo spettacolo di due chiare note suonate invece con l’arco, pienamente dissonanti, che
sembrano due lamenti sommessi di Debussy per il dolore fisico, ma anche, forse, un
isolamento mentale, un sospendersi nel vuoto per sublimare la sofferenza.
Il “Finale” è contrassegnato da uno slancio ritmico gioioso, interrotto soltanto una volta da
queste parole in partitura: «Molto rubato e con morbidezza», e con una grande varietà di effetti
strumentali dai quali traspare non tanto la vittoria sul dolore, ma la serenità del suo
superamento, della sua accettazione.
Anche se le Sonate dell’ultimo periodo, tra le quali questa per violoncello e pianoforte, sono
ormai considerati capolavori del repertorio di musica da camera, all’epoca non furono ben accolti,
soprattutto nel primo decennio dopo la morte del compositore. Furono giudicati la prova della
sua diminuita capacità creativa, della fine del Debussy anti-accademico, anti-formalista, padre
dell’impressionismo, quasi come se la musa avesse girato le spalle al compositore. Le opere dei
suoi ultimi anni di vita, sostengono oggi i musicologi, rivelano invece una nuova crescita, una
nuova spinta verso l’innovazione armonica, piuttosto che l’esaurimento e la morte.
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Buon ascolto.
Per approfondire l'ascolto
1) Claude Debussy (Cello Sonata, Violin Sonata)
Maurice Ravel (Piano Trio)
Lynn Harrel, violoncello; Itzhak Perlman, violino; Vladimir Askenazy, pianoforte (Decca, disponibile
anche su iTunes)
2) Claude Debussy (Cello Sonata)
Gabriel Fauré (Cello Sonata 1 & 2, Elégie)
Paul Tortelier, violoncello; Jean Hubeau, pianoforte (Erato Disques, disponibile anche su iTunes)
3) Claude Debussy (Cello Sonata)
Franz Schubert (Arpeggione Sonata)
Robert Schumann (Fünf Stücke im Volkston)
Mstislav Rostropovich, violoncello; Benjamin Britten, pianoforte (Decca, disponibile anche su
iTunes)
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