rassegna dei modelli stocastici di danno al dna cellulare in seguito

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE
FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
TESI DI LAUREA IN FISICA
RASSEGNA DEI MODELLI STOCASTICI
DI DANNO AL DNA CELLULARE
IN SEGUITO AD ESPOSIZIONE
A RADIAZIONI IONIZZANTI
Relatore:
Laureando:
Chiar.mo Prof. Edoardo MILOTTI
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
Gabriele BABINI
Indice
Introduzione
ii
1. La cellula e le sue caratteristiche
1
1.1. Il ciclo cellulare
1.2. Radiazione incidente sulle cellule
1.3. Interazione cellula-radiazione
1.3.1. Interazione indiretta
1.3.2. Interazione diretta
1.4. Tipi di danni alla cellula
2. Modelli stocastici a confronto
1
5
6
6
7
10
11
2.1. Il modello di Chadwick e Leenhouts
2.1.1. La produzione di SSB nel DNA
2.1.2. La produzione di DSB nel DNA e sopravvivenza della cellula
2.2. Alcuni modelli basati sulla possibilità delle cellule di esistere
in tre differenti stati
2.3. Il modello di Janssen: un sistema di riparazione a più livelli
3. Analisi dei limiti, problemi e difetti dei modelli stocastici
presenti in letteratura.
12
12
13
16
24
29
3.1. L’utilizzo dei parametri nei vari modelli e l’interpretazione biofisica 29
3.2. Scelta delle condizioni iniziali
31
3.3. Gli effetti di una esposizione protratta nel tempo
32
Conclusioni
35
Bibliografia
36
i
Introduzione
L’obiettivo di questa tesi è la rassegna di alcuni modelli stocastici di danno al DNA
cellulare in seguito a radiazioni ionizzanti. Con questo lavoro non si intende
presentare un modello che sia in grado di prevedere il comportamento delle cellule
quando sottoposte all’irraggiamento, ma più semplicemente focalizzare l’attenzione
su quanto è già stato ipotizzato e cercare di individuarne punti deboli e punti di forza.
A partire da questa base di conoscenza del processo di riparazione cellulare, il
progetto VBL (Virtual Biophysics Lab) [7] potrà entrare più approfonditamente nello
studio della matematica inerente al processo biologico e cercare di individuare il
modello matematico più appropriato. VBL è un progetto interdisciplinare ambizioso,
composto da una collaborazione di fisici, biologi ed ingegneri. Esso ha l’obiettivo di
studiare complessi sistemi biologici attraverso quella che al giorno d’oggi ha assunto
grandissima importanza grazie alla notevole capacità di calcolo dei moderni
computers: la simulazione numerica. Grazie ad un approccio originale, la
simulazione numerica include sia una descrizione affidabile del metabolismo
cellulare sia l’evoluzione meccanica dei cluster di cellule. Lo svantaggio,
attualmente, consiste nell’impossibilità di descrivere dettagliatamente alcuni processi
biochimici e biofisici. Questo approccio fenomenologico garantisce però una più
semplice parametrizzazione dei processi che assicura un enorme riduzione della
complessità computazionale che sarebbe necessaria.
La principale applicazione di questi modelli numerici presenti in VBL consiste nella
simulazione di popolazioni di cellule tumorali, per ottenere una visione più
dettagliata di ciò che potrebbe accadere nello sviluppo di piccoli, e non ancora
vascolarizzati, tumori. Questa applicazione, una volta raggiunta la necessaria
completezza dei modelli, sarà molto importante in medicina. Infatti, è noto che il
problema principale nella pratica clinica non risiede nel trattamento e la cura di
grandi masse tumorali, bensì nel controllo e nell’individuazione di piccole masse che
sono dell’ordine di grandezza di 1 mm3, al di sotto del limite inferiore delle comuni
tecniche di imaging.
L’importanza di questo tipo di simulazione numerica non si limita solamente alla
capacità di ricostruire e simulare virtualmente l’evoluzione di queste cellule, ma è in
grado di fornire a biologi e medici le indicazioni per effettuare nuovi esperimenti e
capire in che direzione muoversi nelle ricerche successive. Tutto ciò instaura così una
mutua collaborazione assai fruttuosa per entrambe le parti: la fisica e la biologia.
ii
Capitolo 1
La cellula e le sue caratteristiche
In questo capitolo riassumo le caratteristiche delle cellule che servono per la
comprensione dei modelli di danno al DNA che verranno presentati nel prossimo
capitolo. Sono quindi sommariamente spiegate le fasi della vita di ogni cellula e le
interazioni che queste hanno con la radiazione. Proprio quest’ultima determina
svariati effetti sulle cellule tra i quali la morte della cellula, che è l’unico effetto
studiato più in dettaglio nel corso di questo lavoro.
1.1 Il ciclo cellulare
Il ciclo cellulare si compone di 4 fasi:
- Fase G1;
- Fase S;
- Fase G2;
- Fase M.
La fase G1 (G come gap, in inglese: intervallo) è la prima fase del ciclo cellulare,
che dà inizio all'interfase. Essa è un periodo di intensa attività biochimica che ha
inizio immediatamente dopo la nascita della cellula. Nella fase G1 la cellula, appena
uscita dal processo di mitosi e quindi avente dimensioni ridotte, accresce il suo
volume e costruisce le strutture necessarie per sostenerlo: vengono perciò sintetizzati
numerosi organelli ed in particolare si ha una elevata attività di sintesi di proteine e di
RNA.
La fase S (S come sintesi) è una fase del ciclo cellulare durante la quale il processo
principale è la sintesi e duplicazione del codice genetico contenuto nel DNA. In
questa fase, che ha inizio dopo la fase G1, i 2 filamenti appaiati che compongono la
molecola di DNA progressivamente si separano facendo da stampo ognuno per un
nuovo filamento complementare.
La fase G2 è una fase del ciclo cellulare, l'ultima dell'interfase. In questa parte del
ciclo avvengono i preparativi finali per la mitosi: la cellula inizia ad assemblare le
strutture necessarie non solo per distribuire il corredo cromosomico a ciascun nucleo
figlio, ma anche per dividere il citoplasma e separare i nuclei figli.
1
La mitosi M (dal greco mìtos, che significa filo, per l'aspetto filiforme dei
cromosomi durante la metafase) è la riproduzione per divisione equazionale della
cellula eucariote. Il processo inizia con la condensazione della cromatina che avviene
grazie alla presenza di proteine istoniche che fungono da centri primari di
organizzazione del riavvolgimento del DNA e termina con la formazione di due
cellule figlie entrambe pronte ad iniziare un nuovo ciclo cellulare.
.
Fig. 1.1: In figura è rappresentato schematicamente il ciclo cellulare nelle varie
fasi di cui è composto.
Le cellule in fase proliferativa (e.g. la mucosa dello stomaco, lo strato basale della
pelle, cellule staminali) sono più sensibili alle radiazioni. In seguito all’esposizione
alle radiazioni, esse vengono danneggiate parzialmente oppure muoiono. Le cellule
mature, cioè già differenziate e che non sono in fase di divisione mitotica (e.g.
neuroni) sono molto più radio resistenti. Quanto appena detto sta a significare che a
parità di radiazione incidente, le cellule in fase proliferativa hanno una probabilità
maggiore di morire rispetto a cellule quiescenti.
A partire da queste conoscenze, si affermò inizialmente l’idea che vi fosse una
relazione fra la forma della cellula e la sua sensibilità alla radiazione. Si introduceva
così una sorta di sezione d’urto della cellula in grado di variare a seconda della fase
del ciclo cellulare.
2
Come è stato fatto osservare da Sinclair [10], un attento studio delle popolazioni di
cellule sincrone, nelle varie fasi del loro ciclo mitotico, ha però evidenziato
l’impossibilità di interpretare coerentemente il cambiamento di forma della curva di
sopravvivenza cellulare con un modello basato sulle variazioni della forma del
bersaglio cellulare. Questo tipo di modello prevede che al variare della forma e
dimensioni della cellula debba variare anche la probabilità per la cellula stessa di
essere colpita e danneggiata. La curva di sopravvivenza rappresenta quindi la
frazione di cellule che sono vive e prive di lesioni letali, che cioè la indurrebbero alla
morte nell’arco di poco tempo, in relazione alla dose di radiazione ricevuta.
Fig. 1.2 (sotto) mostra come l’equazione
S = exp[− aD] exp[−bD 2 ]
possa essere utilizzata per fittare, con buona approssimazione (vedremo i dettagli più
avanti), i cambiamenti di forma delle curve di sopravvivenza (dati presi da Sinclair1969 [11]).
Fig. 1.2: immagine tratta da Chadwick e Leenhouts [2].
La funzione S = exp(-aD)*exp(-bD2) può essere utilizzata per fittare la curva di
sopravvivenza di cellule in fasi differenti del ciclo cellulare.
Curva 1: fase G1; curva 2: inizio della fase S; curva 3: fase S; curva 4: fase G2.
3
In Fig.1.3 è presentato l’andamento osservato del coefficiente a durante il ciclo della
cellula per alcune diverse linee cellulari. Da questi grafici è possibile osservare come
per entrambe le linee di cellule siano presenti andamenti simili di a durante le quattro
fasi. Per entrambe le linee, il coefficiente a ha un minimo durante la fase S mentre ha
un massimo in prossimità della fase della mitosi ed all’inizio della fase G1.
Fig. 1.3: immagine tratta da Chadwick e Leenhouts [2].
È rappresentata la variazione del coefficiente a durante il ciclo cellulare per due
differenti linee cellulari.
Le ragioni di tali valori stanno nella conformazione del DNA nel preciso istante in
cui viene colpito da radiazione.
Nella fase S il DNA della cellula si avvia alla duplicazione e ciò comporta l’apertura
della doppia elica per permettere alla duplicazione di iniziare. L’apertura della doppia
elica comporta che la “sezione d’urto” del doppio filamento diminuisca. L’aumento
della distanza fra i due filamenti di DNA determina la diminuzione dell’angolo solido
sotteso da un filamento sull’altro ed è proprio la causa della diminuzione della
sezione d’urto. Questa azione di apertura determina di conseguenza una riduzione
della frazione di dose che incide sul filamento e in questo modo si spiega un
coefficiente a minore di quelli corrispondenti a tutte le altre fasi del ciclo cellulare.
Questi dati sperimentali danno ulteriore conferma a quanto già discusso
precedentemente riguardo alle teorie che cercano di spiegare le variazioni dei
parametri nelle varie fasi della cellula. Tali variazioni sono quindi legate ad un
processo microscopico cellulare ben differente da una semplice variazione di forma
macroscopica della cellula stessa.
4
1.2 Radiazione incidente sulle cellule
Gli esperimenti finora condotti sulle cellule hanno messo in evidenza che fornire una
grossa dose di radiazione in tempi limitati è più dannoso che fornire la stessa dose in
un periodo di tempo più grande. Qual è la spiegazione di questo fenomeno?
Una possibile spiegazione è associata al processo di autoriparazione naturale di
ciascuna cellula. Esistono infatti processi di controllo e correzione dei danni al DNA
e grazie a questi processi di riparazione cellulare, non necessariamente saranno
osservati danni permanenti ai tessuti colpiti dalla radiazione. Inoltre, dopo
l’esposizione delle cellule alla radiazione, gli effetti si manifestano solo dopo un
tempo di latenza. Questo tempo di latenza può variare di diversi ordini di grandezza:
si passa dalla decina di anni, per basse esposizioni alla radiazione, alle ore o minuti,
per alte esposizioni alla radiazione. L’obiettivo di questo lavoro consiste proprio
nell’analizzare e comprendere meglio alcuni modelli che sono proposti per spiegare il
comportamento delle cellule nei tempi immediatamente successivi all’irraggiamento;
di conseguenza si tralasceranno tutti gli effetti a lungo termine che la radiazione può
indurre nelle cellule.
È un fatto noto, ed osservato in molti esperimenti, che mettendo a confronto in un
grafico il logaritmo della frazione di cellule vive con la dose di radiazione ricevuta si
ottengono due differenti tipi di andamenti: il primo è direttamente proporzionale alla
dose. Questa situazione si verifica per radiazione detta “high - LET (Linear Energy
Transfer)”, quale per esempio la radiazione composta da ioni di Argon e Silicio.
L’altro tipo di andamento, che avviene per radiazione “low - LET” (e.g. Raggi X), è
una funzione concava in funzione della dose. Le spiegazioni per questa particolare
forma sono molteplici e una di queste potrebbe essere la “dual action theory” di
Kellerer e Rossi. Secondo questa teoria la spalla nel grafico, che corrisponde alla
transizione tra i due andamenti, viene prodotta da fluttuazioni nel deposito localizzato
dell’energia che creano delle lesioni che possono interagire fra loro fino a provocare
lesioni più gravi nella cellula.
Figura 1.4: confronto tra radiazione “High LET” e “Low LET”.
5
1.3 Interazioni cellula-radiazione
Il processo di interazione della radiazione con le cellule è stocastico. L’energia
depositata nelle singole cellule avviene in tempi estremamente ridotti (10-18 s) e in
modo totalmente casuale. Da tutti gli studi finora effettuati sono risultati due
differenti tipi di interazione fra la radiazione e le cellule: interazione DIRETTA e
interazione INDIRETTA.
Fig. 1.5: nell’immagine sopra vengono evidenziate le differenti interazioni
tra la radiazione e il DNA: diretta (a sinistra) e indiretta (a destra).
1.3.1 INTERAZIONE INDIRETTA
Questo tipo di interazione avviene quando l’energia trasportata dalla radiazione viene
depositata nella cellula e la radiazione interagisce con l’acqua cellulare piuttosto che
con le macromolecole della cellula stessa. Una delle possibili reazioni che avvengono
è l’idrolisi dell’acqua in un gruppo ossidrilico [OH-] e in un protone [H+] e la
conseguente formazione di uno ione idronio [H3O+]. Ma questa reazione avviene già
spontaneamente nelle cellule (dissociazione ionica dell’acqua) e non crea problemi
alla cellula di alcun tipo. I problemi si possono generare dalle ricombinazioni di
questi ioni.
Per esempio, la ricombinazione delle due molecole ossidriliche che danno luogo al
perossido di idrogeno, secondo la reazione:
OH- + OH-
H2O2
sono molto dannose per le cellule.
Questa molecola si dissocia in acqua, poiché instabile, dando origine a due ioni:
H+ + (HO2)-
H2O2
A questo punto lo ione (HO2)- può ricombinarsi a sua volta con qualche composto
organico della cellula per dare origine ad un perossido organico piuttosto stabile.
6
Questo determina un effetto domino molto pericoloso in quanto questa nuova
molecola può portare ad una perdita di funzionalità di alcuni enzimi della cellula che
a loro volta possono causare la morte della cellula o la mutazione futura della cellula
stessa.
Interessante è, in questo contesto, l’azione delle sostanze antiossidanti poiché
interagiscono con il gruppo ossidrilico impedendo la formazione del perossido di
ossigeno che dà origine all’effetto a cascata di cui parlato prima. Questa è un
importante sistema di prevenzione e autodifesa dell’organismo dall’insorgere di
mutazioni dannose per la sopravvivenza della cellula, quali per esempio tumori.
Fig.1.6: A confronto le differenti interazioni possibili della radiazione con il DNA
1.3.2 INTERAZIONE DIRETTA
La complessità dell’organismo umano è tale da garantire un’abbondanza di cellule in
continua riproduzione che interviene per sostituire le cellule morte. La sopravvivenza
dell’intero organismo richiede però la stabilità genetica che può essere conseguita
solo grazie ad accurati meccanismi di replicazione del DNA. Questi processi non
sono però impeccabili e possono commettere errori lungo i filamenti del DNA, per
tale motivo sono necessari meccanismi di riparazione dei numerosi errori accidentali
che avvengono continuamente lungo il doppio filamento. L’importanza della
riparazione del DNA è evidente dalla numerosa presenza di enzimi riparatori di DNA
nelle cellule. Recenti studi hanno rivelato che buona parte del codice presente nel
DNA è legato alla codifica di enzimi riparatori. Questo è confermato da dati
sperimentali di vario tipo: per esempio, si può osservare un aumento del numero di
mutazioni genetiche in seguito all’inattivazione di geni che codificano enzimi
riparatori.
7
Per questo motivo, vista l’importanza di questi enzimi, le cellule si sono evolute
adottando un codice ridondante che garantisca la codifica di enzimi differenti che
possano risolvere lo stesso tipo di mutazione genetica.
Per quanto riguarda questo tipo di interazione, le macromolecole della cellula
(tipicamente le proteine o il DNA) sono colpite dalla radiazione ionizzante e possono
provocare l’uccisione della cellula o il mutamento del DNA. In questo lavoro ci
occuperemo unicamente dei danni subiti dai due filamenti del DNA.
Nel caso della rottura, o modifica, di uno solo dei due filamenti gli enzimi
intervengono prendendo il filamento rimasto intatto come base di partenza per la
correzione della sequenza errata. Queste rotture, chiamate “single strand breaks”,
nonostante siano molto numerose e frequenti non sono molto pericolose per la cellula
in quanto sono facilmente e velocemente riparabili.
Per quanto riguarda invece la rottura di entrambi i filamenti (Double Strand Breaks),
esistono alcuni tipi di riparazione. Il metodo più rapido è quello in cui le estremità del
doppio filamento vengono ricollegate senza andare a ricostruire la parte distrutta.
Questo comporta la perdita di un po’ di informazione ma garantisce con grande
probabilità la sopravvivenza della cellula anche se con una mutazione. L’altro tipo di
correzione è più efficiente della precedente in quanto va a confrontare la parte
danneggiata con quella intatta presente sull’altro filamento omologo presente nella
cellula. Questo permette la ricostruzione del materiale genico presente inizialmente
ma impiega generalmente più tempo del metodo precedente. C’è da sottolineare
anche un altro accorgimento molto importante adottato dalle cellule: quando
avvengono danneggiamenti al DNA e intervengono meccanismi di riparazione, la
cellula interrompe il proprio ciclo cellulare fino a quando la riparazione non verrà
completata.
Fig. 1.8: A sinistra: un single strand break. A destra: un double strand break.
8
Numerosi studi sulla sopravvivenza delle cellule hanno messo in evidenza che le
lesioni che risultano essere fatali per le cellule sono le rotture dei due filamenti che
compongono il DNA, i DSB. Si può ritenere, con buona approssimazione, che un
singolo DSB lasciato non riparato o riparato male sia la causa dell’inattivazione di
determinati meccanismi cellulari che la inducono alla morte. La difficoltà maggiore
consiste quindi nel correggere un doppio filamento di DNA piuttosto che un singolo
filamento.
In una cellula possono accadere svariati tipi di interazioni dirette, la gravità del danno
che queste infliggono alla cellula determina di conseguenza la possibilità per la
cellula stessa di ripararsi, e sopravvivere, oppure morire. Dai vari esperimenti
condotti, si può infine affermare che maggiore è la dose di radiazione incidente,
maggiori saranno le possibilità di osservare effetti del danneggiamento delle cellule
(e di conseguenza la loro morte) e quindi si potranno cercare i valori di soglia
dell’esposizione, se essi esistono, che causano tali effetti.
Fig.1.9: in questa immagine si possono osservare due differenti situazioni:
-
a sinistra: un DSB che viene riparato senza poter sfruttare un filamento integro
da cui correggere la parte danneggiata;
a destra: due differenti SSB. Si può notare come possa accadere che due SSB
in posizioni vicine fra loro abbiano gli stessi effetti di un DSB. Va ricordato
però che la probabilità di un evento come questo è molto inferiore alla
probabilità che si verifichi un DSB.
Una delle difficoltà maggiori sta nel valutare l’ammontare dei DSB poiché non
possono essere visti o contati facilmente. Un grosso contributo alla risoluzione di
queste difficoltà è stato dato dagli esperimenti di Frankenberg-Schwager et al. poiché
hanno espresso una stima dei DSB presenti dopo l’irraggiamento della cellula.
9
Attraverso una serie di accorgimenti, relativi al tipo di cellule su cui compiere
l’esperimento e sulle tecniche per il trattamento delle stesse, furono ottenuti risultati
interessanti riguardo ai profili della lunghezza normale dei cromosomi.
Successivamente, per ottenere una stima del numero di DSB, questi profili furono
analizzati all’interno di una simulazione di rotture attraverso il metodo Monte-Carlo
con distribuzione poissoniana delle rotture lungo il filamento.
1.4 Tipi di danni alla cellula
Esistono tre tipi di danni cellulari che possono accadere in seguito all’esposizione
alla radiazione: 1) divisione ritardata, 2) riproduzione fallita (mitosi non completata
immediatamente o nei cicli delle generazioni seguenti), 3) morte della cellula, che
consiste in una morte relativamente improvvisa della cellula stessa.
1.4.1 DIVISIONE RITARDATA
È stato osservato che la divisione mitotica può essere ritardata di un certo periodo di
tempo ma poi ritorna quasi alla normalità per ragioni ancora non pienamente
conosciute. Questo effetto può essere osservato in seguito ad una esposizione
superiore ai 0.5 Gy, con andamento lineare fino ai 3.0 Gy circa. A valori superiori
interviene una complicazione a questo danno: il ritardo nella divisione mitotica è tale
da non poter più essere ristabilito e il ciclo mitotico non riprende più generando la
morte della cellula.
1.4.2 RIPRODUZIONE FALLITA
L’andamento tra dose assorbita e gravità del danno segue due fasi. La prima è non
lineare e casuale e avviene per dosi inferiori ai 1.5 Gy, la seconda avviene a livelli
superiori a 1.5 Gy ed è non casuale e lineare. Con l’aumentare della dose si verifica
così l’aumento della probabilità di un fallimento della riproduzione.
1.4.3 MORTE DELLA CELLULA
Le spiegazioni sono molteplici. La morte della cellula potrebbe accadere alcune
generazioni dopo l’iniziale esposizione alla radiazione e in tal caso i “cloni” non sono
più in grado di riprodursi e sono incapaci di dare origine a nuove generazioni di
cellule.
Un’altra possibilità è che possa avvenire una morte improvvisa delle cellule, detta
apoptosi, a causa di un complesso sistema di controllo della cellula che, raggiunto un
determinato livello di danni, autoinducono la morte della cellula stessa attraverso la
produzione di determinate proteine, quali per esempio la proteina P53.
Un terzo tipo di morte è quella per necrosi. La cellula, danneggiata gravemente dalla
radiazione, non riesce a riparare le parti vitali ed è portata ad una morte quasi
immediata.
10
Capitolo 2
Modelli stocastici a confronto
In questo capitolo sono trattati alcuni modelli stocastici di repair-misrepair incontrati
in letteratura e che propongono soluzioni tra loro più o meno diversificate, con
peculiarità, problemi e limiti differenti per ciascuno di essi.
Lo scopo di questo capitolo non è quello di fornire una descrizione dettagliata ed
esaustiva di tutti i parametri utilizzati, né quello di dare motivazioni ai valori da essi
assunti, ma quello di effettuare una panoramica sugli aspetti legati all’approccio
matematico utilizzato in ciascuno di queste modelli.
Questi modelli possono essere classificati in 3 differenti livelli di complessità.
Inizieremo considerando il modello di Chadwick e Leenhouts [2] in cui si focalizza
l’attenzione sulla differenza fra rottura di un solo filamento e rottura di entrambi i
filamenti ma senza tenere troppo in considerazione la possibilità di errori di
correzione e alla classificazione dei danni. Verranno presentati poi alcuni modelli tra
loro molto simili per quanto riguarda i processi cellulari di repair-misrepair ma a
volte molto diversi per le equazioni che sono adottate per spiegarli e descriverli
(Sontag [12]). Infine verrà presentato il modello di Janssen [5], il cui livello di
complessità si pone al di sopra dei precedenti in quanto si tengono in considerazione
differenti processi di riparazione dai danni subiti dalla radiazione incidente.
11
2.1 Il modello di Chadwick e Leenhouts [2]
Questo modello cerca di spiegare il tasso di produzione di rotture singole del
filamento (single strand breaks) e quello di rotture doppie del filamento (DSB).
Le ipotesi, e le considerazioni effettuate per definire i parametri di questo modello,
sono molteplici. Per prima cosa si ritiene che nella cellula ci siano alcune molecole
critiche, l’integrità delle quali determina la successiva capacità della cellula di
riprodursi e sopravvivere. Queste molecole critiche sono identificate con il DNA (e la
sua doppia elica) e i danni più pericolosi per la cellula sono quelli che coinvolgono i
DSB. La radiazione incidente viene ovviamente considerata la causa della
formazione di rotture nei legami nei filamenti di DNA e i vari effetti biologici sulla
cellula sono perciò il risultato di differenti livelli di irraggiamento. Le modifiche ai
danni causati dalle radiazioni sono considerate azioni di riparazione e possono essere
più o meno complete e possono ristabilire interamente le funzioni della cellula
oppure solo in parte.
2.1.1 La produzione di Single Strand Breaks nel DNA.
Definiamo i seguenti parametri:
- N, il numero di legami integri per unità di massa che potranno portare ad una
rottura singola del filamento se danneggiati;
- N0, il numero totale iniziale di legami;
- K, la probabilità che il legame venga rotto per unità di dose;
- D, la dose fornita.
Assumiamo che il tasso di rottura di legami lungo il filamento di DNA sia
proporzionale al numero di legami presenti a quel determinato istante, quindi:
dN
= − KN
dD
da cui otteniamo:
N = N 0 exp(− KD )
Si ottiene quindi il numero dei legami rotti per unità di massa:
N 0 − N = N 0 (1 − exp(− KD ))
Definiamo ora con r la frazione di legami rotti che sono stati riparati o sostituiti e con
f =1-r la frazione di legami non riparati. Allora il numero medio di single strand
breaks non riparati nel DNA è dato da:
fN 0 (1 − exp(− KD ))
12
2.1.2 La produzione di DSB nel DNA e sopravvivenza della cellula
Passiamo ora ad analizzare i modi e i rate con i quali si formano i DSB.
La radiazione può rompere la doppia elica del DNA nei due seguenti modi:
i.
Entrambi i filamenti vengono rotti dalla stessa radiazione incidente;
ii.
I due filamenti sono rotti indipendentemente da due eventi differenti di
irraggiamento della cellula.
Consideriamo innanzitutto il secondo modo. Noi sappiamo che il DNA è composto
da due filamenti che chiamiamo filamento 1 e filamento 2 per distinguerli fra loro.
Definiamo:
n1 è il numero di legami del filamento 1 per cellula;
n2 è il numero di legami del filamento 2 per cellula, (qui assumiamo in modo
del tutto arbitrario che il numero di legami sia uguale nei due filamenti,
ovvero n1 = n2 = n);
k è la probabilità che il legame venga rotto per unità di dose;
f1 e f2 sono le frazioni di legami rotti e che non sono stati riparati su ciascun
filamento;
se una frazione ∆ della dose D incide sulla cellula ed è la causa di un DSB nel
modo (i) allora la frazione di dose (1-∆) sarà responsabile dei DSB che
vengono causati nel modo (ii).
Analogamente a quanto succede per i single strand breaks, il numero di legami rotti e
non riparati o sostituiti nel filamento 1 e nel filamento 2 sono rispettivamente:
f1 n{1 − exp[− kD(1 − ∆ )]}
f 2 n{1 − exp[−kD(1 − ∆ )]}
Se ε è la frazione di questi legami rotti che danno origine a DSB, e sono da
considerarsi i principali responsabili della morte della cellula, allora il numero medio
di DSB per cellula è:
εn 2 f 1 f 2 {1 − exp[−kD(1 − ∆)]}2
Va sottolineata l’arbitrarietà di questa scelta. Con il coefficiente ε si esprime la
probabilità condizionata che, in seguito alla rottura di un filamento in un punto, si
verifichi la rottura dell’altro filamento in una posizione molto vicina a quella
dell’altra rottura e dopo un periodo di tempo limitato tale da garantire la formazione
di un DSB.
Consideriamo ora il primo modo di rottura della doppia elica, definiamo quindi con:
n0 il numero di siti per questo tipo di rottura della doppia elica, imponendo la
condizione n0 ≤ n;
k0 la probabilità per sito per unità di dose che siano spezzati entrambi i
filamenti del DNA.
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Allora il numero medio di DSB formati in questo modo è:
n0 {1 − exp[− k0 ∆D ]}
Da ciò si ottiene il numero totale medio di DSB prodotti per cellula in seguito ad una
dose D:
n0 {1 − exp[− k 0 ∆D ]} + εn 2 f 1 f 2 {1 − exp[− kD(1 − ∆ )]}2
Se f0 è la frazione di DSB non riparata dalla cellula e p è un fattore che mette in
relazione il numero di DSB con la morte cellulare allora la probabilità di morte della
cellula per dose D, che segue una statistica di tipo poissoniana, è data da:
E = 1 − exp[− pf 0 ( n0 {1 − exp(− k 0 ∆D )} + εn 2 f1 f 2 {1 − exp[− kD(1 − ∆)]}2 )]
La probabilità di sopravvivenza è data da S = 1 – E, quindi:
S = exp[− pf 0 ( n0 {1 − exp(− k 0 ∆D)} + εn 2 f1 f 2 {1 − exp[− kD(1 − ∆)]}2 )]
Ma poiché k0 e k sono molto piccoli allora si può approssimare questa soluzione con
uno sviluppo in serie di Taylor al primo ordine e otteniamo la funzione di
sopravvivenza delle cellule nella forma lineare quadratica, che è espressa come:
S = exp[− pf 0 n0 k 0 ∆D ] exp[− pf 0 εn 2 f 1 f 2 {kD(1 − ∆)}2 ]
Questa espressione è del tipo:
S = exp[− aD] exp[−bD 2 ]
dove:
a = pf 0 n0 k 0 ∆
b = pf 0 εn 2 f 1 f 2 k 2 (1 − ∆ ) 2
Prendiamo ora in considerazione due serie di dati relative alla curva di sopravvivenza
di due differenti culture di cellule di origine umana (T-1g) esposte alle seguenti
radiazioni:
Curva 1: radiazione formata da neutroni di energia 15 MeV;
Curva 2: radiazione X da 250 kVp.
Come si può osservare dal grafico presente nella pagina successiva, la sopravvivenza
delle cellule si può ritenere, con buona approssimazione, proporzionale alla dose di
radiazione fornita solamente per dosi molto piccole. Questo aspetto è molto
importante in radioprotezione sebbene vada considerato il fatto che in questo caso
stiamo irraggiando una cultura di cellule e non stiamo considerando la sopravvivenza
di un organo. In quest’ultimo caso, la morte di qualche cellula non determinerebbe in
alcun modo la perdita di funzionalità dell’organo stesso.
14
Figura 2.1: A confronto due curve di sopravvivenza
per differenti tipi di radiazione
Per la curva 1, il fit effettuato indica i seguenti valori:
a = 7.923 * 10 −3 ± 3.5 * 10 −5
b = 5.23 * 10 −6 ± 1.18 * 10 −6
con un chi quadro ridotto di circa 1.
Per la curva 2, il fit indica invece i seguenti valori:
a = 2.388 * 10 −3 ± 7.2 * 10 −5
b = 2.701 * 10 −6 ± 1.26 * 10 −6
anch’esso con un chi quadro ridotto di circa 1.
Va osservato che il termine lineare dell’esponenziale domina sul termine quadratico
se vale:
pf 0 n0 k 0 ∆ > pf 0 εn 2 f 1 f 2 k 2 (1 − ∆ ) 2 D
Questo vale in generale per piccole dosi ma è certamente dipendente dal parametro
∆ e dal LET della radiazione. In particolare, all’aumentare di ∆ o del LET, il
termine lineare assumerà un’importanza via via maggiore.
Per quanto concerne i punti e i relativi errori riportati in grafico, si assume che ogni
punto sia determinato dal numero di cellule vive diviso il numero totale di cellule
vive presenti inizialmente. Poiché studiamo variabili aleatorie, la deviazione
standard sarà la radice quadrata del valore di aspettazione, quindi:
yi =
Ni
N0
da cui
σi =
15
Ni
N0
=
yi
N0
2.2 Alcuni modelli basati sulla possibilità delle
cellule di esistere in tre differenti stati.
(Sontag [12])
Tutti i modelli presentati qui di seguito si basano sull’assunzione che le cellule
irraggiate siano capaci di esistere in tre differenti stati che sono:
SA, lo stato in cui la cellula è totalmente riparata. Essa ha riparato le
precedenti lesioni oppure tali lesioni sono ininfluenti per la sopravvivenza;
SC, lo stato in cui la cellula contiene lesioni letali. Queste lesioni non possono
essere riparate e portano a danni letali (“Lethal Damages”- LDs);
SB, stato in cui la cellula contiene lesioni potenzialmente dannose
(“Potentially Lethal Damages” – PLDs) che possono essere riparate
completamente (e tornare nello stato SA) oppure convertite in lesioni letali (e
la cellula si porta nello stato SC).
La differenza fra tutti questi modelli sta nelle relazioni matematiche che legano
questi tre stati a partire da identiche condizioni iniziali.
I modelli di sopravvivenza sono tutti basati sulle seguenti ipotesi:
Il numero medio di lesioni (LDs e PLDs) causate dalla radiazione sono
proporzionali alla dose assorbita;
Le lesioni di tipo PLDs possono essere eliminate tramite processi di
riparazione, oppure possono interagire fra loro causando nuovi tipi di lesione
che portano alla perdita di capacità riproduttive della cellula;
Il numero delle lesioni per cellula indotte da radiazione segue una statistica
poissoniana;
Il tempo di irraggiamento è molto più breve del ciclo cellulare o del tempo di
riparazione;
Tutte le cellule che si trovano nello stato SC sono considerate morte.
Per semplificare il confronto dei vari modelli è stata adottata una notazione comune a
tutti. Più in dettaglio, le lettere greche α, β, δ, γ , κ e λ stanno ad indicare i parametri
dei modelli, ed in particolare valgono per ogni modello le seguenti definizioni:
δ  è il tasso di formazione di PLDs per unità di dose;
γ è il tasso di formazione di LDs per unità di dose.
Il significato degli altri quattro parametri varia da modello a modello.
16
Le lettere A, B e C stanno invece ad indicare:
A(t), il numero di cellule al tempo t nello stato SA in seguito all’esposizione
iniziale ad una dose D;
B(t), il numero di cellule al tempo t nello stato SB in seguito all’esposizione
iniziale ad una dose D;
C(t), il numero di cellule al tempo t nello stato SC in seguito all’esposizione
iniziale ad una dose D.
L’analisi di questi modelli (Sontag[12]) è stata effettuata a partire da condizioni
iniziali leggermente differenti rispetto a quelle riportate nell’articolo. La differenza
consiste nel non considerare tutte le cellule danneggiate dalla radiazione ma ritenere
che una parte Α0 sia priva di danni dopo l’irraggiamento iniziale.
Più in dettaglio, la radiazione incidente viene considerata la causa di:
δD cellule con danni potenzialmente letali;
γD cellule con danni letali e già nella fase di apoptosi che la portano alla
morte.
Α0 cellule sane che non hanno subito danni di alcun tipo.
La scelta di queste condizioni iniziali è arbitraria. Successivamente, nel corso del
prossimo capitolo, si valuteranno altre possibili condizioni iniziali e quanto siano
influenti sull’evoluzione dei processi di repair-misrepair.
Per qualsiasi tempo t deve però valere la relazione:
N 0 = A0 + δD + γD = A(t ) + B (t ) + C (t )
Con il termine “surviving fraction” S(t) consideriamo il rapporto fra il numero di
cellule ancora vive al momento del conteggio e il numero iniziale di cellule. Il
numero di cellule vive che vengono conteggiate nella curva di sopravvivenza
comprende sia quelle sane che quelle con danni potenzialmente letali poiché non vi è
una differenza nel fenotipo, visibile in qualche modo, ma solo nel genotipo.
Tenendo conto di questa relazione e della quinta ipotesi iniziale, possiamo già
affermare che la curva di sopravvivenza cellulare sarà determinata da:
S (t ) =
A(t ) + B (t )
C (t )
= 1−
N0
N0
Nei modelli, che verranno esposti qui di seguito, S(t) rappresenterà la soluzione per la
funzione di sopravvivenza cellulare nel tempo mentre S0 rappresenterà la soluzione
con tempo di riparazione nullo e infine S∞ rappresenterà la soluzione con tempo di
riparazione infinito.
17
1°modello (Kappos e Pohlit)
In questo modello viene assunto che il tasso di riparazione dei PLDs, espresso da α, e
il tasso di conversione da PLDs a LDs, espresso da β, siano entrambi lineari.
Il modello, contenente cinque parametri (α, β, δ, γ , Τ0 ), è costituito dalle seguenti
equazioni differenziali:
dB (t )
= −αB − β B con B (0) = δD
dt
dA(t )
= αB con
dt
A(0) = A0
dC (t )
= β B con C (0) = γD
dt
La probabilità di sopravvivenza può essere espressa in funzione della dose e del
tempo: S = f(D,t). Risolvendo le equazioni differenziali ed effettuando uno sviluppo
in serie di Taylor al primo ordine per dosi piccole otteniamo:
ln(S ) = −
γD
N0
−
βδD
{1 − exp[−(α + β )t ]}
α+β
da cui, al limite per t→ ∞, otteniamo:
  γ
βδ  
 D 
+
S ∞ = exp  − 
  N0 α + β  
Come si può notare anche dal grafico, la funzione di sopravvivenza è rappresentata
da un’esponenziale pura che non rispecchia l’andamento reale osservato negli
esperimenti di studio delle cellule irraggiate.
Osserviamo tale risultato nei seguenti grafici:
S @ tD
1.
0.95
0.9
0.85
0.8
0
20
40
60
80
100
t
Figura 2.2: Relazione fra surviving fraction e tempo per il modello
di Kappos e Pohlit.
18
S¶ @DD
0.1
0.01
0.001
10-4
0
5
10
15
20
Dose
Figura 2.3: Si può osservare la linearità fra la surviving fraction (in scala
logaritmica) e la dose per il modello di Kappos e Pohlit.
2°modello (Tobias):
Questo è il modello “repair-misrepair” di Tobias. Questi PLDs che vengono prodotti
vengono poi riparati attraverso due differenti processi di riparazione: lineare (con rate
α) oppure quadratico (con rate β). La probabilità che la riparazione lineare dia
origine al cosiddetto “eurepair” è κ, mentre la probabilità che la riparazione
quadratica sia un errore letale è λ.
Il modello, contenente sei parametri (α, β, δ, λ , κ ,T0), è costituito dalle seguenti
equazioni differenziali:
dB (t )
= −αB − βB 2
dt
con B (0) = δD
dA(t )
= καB + (1 − λ ) β B 2
dt
con
A(0) = A0
dC (t )
= (1 − κ )αB + λβB 2 con C (0) = γD
dt
Risolvendo queste equazioni differenziali si ottiene la curva di sopravvivenza che
può essere espressa in termini di logaritmo della funzione in seguito ad uno sviluppo
in serie di Taylor attraverso:
ln(S ) =
1
N0

λαδD exp{−αt} 
α
βδD
(1 − exp{−αt}) +
(1 − λ )δD + (λ + κ − 1) ln 1 +

α + βδD(1 − exp{−αt}) 
β
α

Da cui, per t→ ∞, otteniamo:
S∞ =
A0 + (1 − λ )δD
α
 βδD 
+ (κ + λ − 1)
log1 +

N0
βN 0
α 

19
3°modello (Curtis):
Questo è il modello “lethal-potentially lethal” (LPL) di Curtis. Viene ipotizzato che il
tasso di riparazione, α, dei PLDs sia lineare mentre la conversione dei danni
potenzialmente letali in danni letali, β, avvenga in modo dipendente dal quadrato del
numero di PLDs. Il modello, contenente cinque parametri (α, β, δ, γ, T0), è costituito
dalle seguenti equazioni differenziali:
dB (t )
= −αB − βB 2
dt
dA(t )
= αB con
dt
dC (t )
= βB 2
dt
con B (0) = δD
A(0) = A0
con C (0) = γD
La curva di sopravvivenza è espressa da:
S=
A0

1 α
αδD exp{−αt}
βδD
+
(1 − exp{−αt}) +
 ln 1 +

N0 N0 β
α + βδD (1 − exp{−αt}) 
α
Ma poiché il secondo termine fra parentesi tende a zero per t→ ∞, allora avremo che
la surviving fraction è:
S∞ =
N 0 − δD − γD
α
 βδD 
+
log 1 +
N0
βN 0
α 

Esiste anche un’estensione di questo modello di Curtis. La modifica consiste nel
considerare ancora lineare il tasso di riparazione dei PLDs ma il numero degli enzimi
“riparatori” è dipendente dal numero stesso dei PLDs. Il parametro α nel modello
LPL è sostituito dall’espressione α+κδD. Questo significa che, se κ=0 noi otterremo
di nuovo il modello LPL originale, se κ>0 invece si può osservare che all’aumentare
del numero dei PLDs aumenterà anche il numero degli enzimi di riparazione indotti.
Il modello, contenente sei parametri (α, β ,δ, γ , κ,T0), è costituito dalle seguenti
equazioni differenziali:
dB (t )
= −(α + κδD ) B − βB 2
dt
dA(t )
= (α + κδD ) B con
dt
dC (t )
= βB 2
dt
con B (0) = δD
A(0) = A0
con C (0) = γD
20
La curva di sopravvivenza è espressa da:
S=
+
A0
1 α + κδD 
βδD
(1 − exp{− (α + κδD)t}) +
+
ln 1 +

N0 N0  β
 α + κδD

1
N0


(α + κδD)δD exp{−(α + κδD)t}
 (α + κδD ) + βδD (1 − exp{−(α + κδD)t}) 


da cui si ottiene, per t→ ∞ :
S∞ =
N 0 − δD − γD (α + κδD )

βδD 
+
log 1 +

N0
βN 0
 (α + κδD ) 
4°modello (Sontag):
Questo è il modello di sopravvivenza cellulare con riparazione saturabile (SSR) di
Sontag. Qui viene ipotizzato che il rate di riparazione dei PLDs segua una classica
cinetica di Michaelis-Menten per gli enzimi, con α e κ che rappresentano le costanti
con le quali avvengono questi processi. Per quanto concerne invece la velocità con la
quale avviene la conversione di PLDs in LDs, β, è dipendente dal quadrato del
numero di PLDs. Il modello, contenente sei parametri (α, κ, β ,δ, γ , T0), è costituito
dalle seguenti equazioni differenziali:
dB (t )
αB
=−
− βB 2
κ+B
dt
dA(t )
αB
=
dt
κ+B
dC (t )
= βB 2
dt
con
con B(0) = δD
A(0) = A0
con C (0) = γD
Data la complessità di queste equazioni differenziali, puntiamo la nostra attenzione
al caso in cui B(t) sia piccolo rispetto a κ, quindi effettuiamo uno sviluppo in serie di
Taylor al primo ordine ed otteniamo le seguenti espressioni:
dB (t )
αB  B 
2
=−
1 −  − β B
κ  κ
dt
dA(t ) αB  B 
=
1 −  con
dt
κ  κ
21
con B (0) = δD
A(0) = A0
Risolvendo analiticamente per parti queste equazioni otteniamo:
B (t ) =
1
 1 βκ 1 
 α  1 βκ 
 δD + α − κ  exp− κ t  + κ − α 





ed analogamente per A(t).
Da queste equazioni otteniamo l’espressione per il logaritmo della funzione di
sopravvivenza:


2


A
δD 
1
2α − βκ
α
S= 0 +
−

+
N 0 N 0 α − βκ 2   βδκD δD 
 α  βδκD δD

−
+
1 +
 exp − t  −

α
κ 
α
κ
 κ 
 
+
1 κα − α 2  βδκD δD  βδκD δD 
 α 
ln 1 +
−
+
+
 exp t 
2
α
κ  α
κ   κ 
N 0 α − βκ

Come prevedibile, per t=0 otteniamo:
S0 =
A0 + δD
N0
Per quanto riguarda il limite per t → ∞, l’approssimazione utilizzata inizialmente
implica che la sopravvivenza S(t) dovrebbe divergere poiché, mentre B(t) tende
asintoticamente ad una costante, la derivata prima di A(t) tende ad una costante,
ovvero dopo un certo tempo il tasso di riparazione corretta è lineare con il tempo e
quindi diverge per tempi infiniti.
Se risolviamo in maniera numerica questo sistema di equazioni differenziali noi
otteniamo invece i seguenti risultati:
Surviving fraction S H tL
1.00
0.95
0.90
0.85
0.80
0
20
40
60
80
Figura 2.4: Relazione fra surviving fraction e tempo.
22
100
tempo
Surviving fraction S¶HDL
1.
0.95
0.9
0.85
0.8
0
20
40
60
80
100
Dose
Figura 2.5: Relazione fra surviving fraction (in scala logaritmica) e dose.
Come si può notare dal grafico, la simulazione numerica permette di ottenere una
buona approssimazione di quanto osservato sperimentalmente nello studio di colture
di cellule irraggiate dalla popolazione.
5°modello (Kiefer):
Questo è il modello di “repair fixation” di Kiefer. Le ipotesi per questo modello
indicano, anche in questo caso, che i PLDs sono prodotti esclusivamente durante
irraggiamento delle cellule e che sia la riparazione che la fissazione dei PLDs segue
la classica cinetica di Michaelis-Menten, con i parametri α, κ, β e λ che
rappresentano le costanti di velocità degli enzimi di riparazione e fissazione. Il
modello, contenente sei parametri (α, κ, β ,δ, λ, T0), è costituito dalle seguenti
equazioni differenziali:
dB (t )
αB
βB
=−
−
dt
κ+B λ+B
dA(t )
αB
=
dt
κ+B
con
con B (0) = δD
A(0) = A0
dC (t )
βB
=
con C (0) = γD
λ+B
dt
Le equazioni differenziali possono essere risolte analogamente a quanto fatto per il
modello precedente attraverso alcuni passaggi matematici quali lo sviluppo in serie di
Taylor ed ad alcune integrazione per parti fino ad ottenere le funzioni di
sopravvivenza cellulare. Come per il modello di Sontag, la soluzione analitica delle
equazioni differenziali, per t→ ∞, divergerebbe per le stesse motivazioni fornite
precedentemente.
23
2.3 Il modello di Janssen[5]: un sistema di
riparazione a più livelli.
In questo modello stocastico viene definito un sistema di riparazioni più complesso,
rispetto a quelli finora esaminati, che cerca di spiegare la tipica curva di
sopravvivenza cellulare colpita da radiazione attraverso una formulazione
matematica che è di conseguenza più complessa rispetto a quelle finora trattate.
Innanzitutto bisogna sottolineare una prima ipotesi iniziale dell’intero processo: il
danno cellulare causato da radiazione è da considerarsi istantaneo se confrontato con
i tempi di riparazione dei danni stessi.
Per quanto riguarda i danni alla cellula causati dalla radiazione, assumiamo i seguenti
comportamenti:
i percorsi della radiazione sono distribuiti nella cellula in accordo con un
processo Poissoniano in due dimensioni con parametro di intensità V. Questo
parametro V dipende sia dalla dose che dal LET della radiazione incidente;
nell’intorno di ogni percorso c’è un numero casuale di lesioni nella cellula
con probabilità di generazione espressa dalla funzione H(s), che può
dipendere dal LET della radiazione;
una lesione ha un effetto visibile sulla cellula (per esempio: morte,
trasformazione) con una probabilità θ. Questo parametro θ può dipendere
dall’area relativa di sensibilità della cellula.
Il numero totale di lesioni iniziali ha una componente data da una distribuzione
Poissoniana con probabilità:
G ( s ) = exp{−V [1 − H (1 + θ ( s − 1))]}
Immediatamente dopo l’irraggiamento, il destino della cellula è alquanto incerto.
Solamente dopo il tentativo di riparazione, da parte degli enzimi, è possibile stabilire
se una determinata lesione porterà alla morte cellulare, ad una trasformazione oppure
sarà priva di effetti sulla cellula stessa.
24
Le lesioni indotte dalla radiazione, chiamate “uncommitted lesions” U, saranno
sottoposte a due differenti processi di riparazione chiamati:
self-repair: l'insieme di meccanismi di autoriparazione del DNA da parte della
cellula;
cross-repair: la riparazione di un “double strand break” in cui avviene
l'incrocio dei due filamenti di DNA.
I due processi di riparazione non agiscono con la stessa intensità ma hanno
probabilità:
λ , per selfrepair;
κ , per crossrepair.
Per entrambi i processi, la riparazione è in funzione del numero di lesioni non ancora
riparate e tali processi di riparazione si possono considerare eseguiti con successo
solamente nel caso in cui le lesioni iniziali siano perfettamente riparate, ovvero non
possono provocare mutazioni genetiche o addirittura la morte della cellula.
Questo è detto “eurepair”, ovvero una riparazione avvenuta in modo corretto, e vi
sono probabilità differenti per i due processi di riparazione di raggiungere questo
obiettivo:
φ , è la probabilità di riparare correttamente il danno attraverso il “selfrepair”;
δ , è la probabilità di riparare correttamente il danno attraverso il
“crossrepair”.
Una riparazione errata, chiamata “misrepair”, potrà portare a due differenti stati della
cellula:
una trasformazione, con probabilità α;
la morte, con probabilità β.
Va tenuto presente che, poiché non sono considerati altri effetti della riparazione
errata, vale la seguente relazione:
α + β =1
È possibile definire un sistema di equazioni tali da ottenere la soluzione per la
probabilità di sopravvivenza, data dal caso in cui non vi siano cellule con danni letali.
Questo porterebbe a un sistema piuttosto complicato di equazioni che perciò
tratteremo in un modo semplificato se si considera un tempo sufficientemente grande
per garantire la conclusione dei vari processi di repair-misrepair.
In questo modello semplificato, il processo Markoviano in esame viene osservato per
step di tempo corrispondenti ai passaggi tra uno stato e l’altro. Come indicato nel
diagramma seguente, i vari processi di riparazione potranno condurre la cellula alla
correzione di tutti i danni (eurepair) oppure ad un misrepair che sarà la causa di una
trasformazione o della morte.
25
Le cellule che sono state colpite dalla radiazione possono quindi avere lesioni
classificabili con i tre seguenti stati:
U (uncommitted), cioè lesioni non ancora sottoposte ai processi di repairmisrepair;
T (trasforming), cioè le cellule hanno subito danni al DNA che non sono stati
corretti completamente e portano ad una mutazione della cellula più o meno
evidente;
L (lethal), cioè lesioni letali che provocano la morte della cellula.
Uncommitted
lesions
λ
Self-repair
con tasso λ
1−φ
1−φ
κ
Cross-repair
con tasso κ
δ
φ
1-δ
Eurepair
Misrepair
α
β
Trasformazione
della cellula
Morte
cellulare
Fig. 2.6. Nello schema vengono rappresentate le possibili transizioni tra i vari
stati intermedi e gli stati finali in cui possiamo trovare le cellule. Vengono
inoltre indicate le rispettive probabilità di passaggio tra i vari stati.
La probabilità di transizione da uno stato all’altro è indicato nello schema sottostante:
Transizioni possibili
U, T, L
Probabilità
U-1, T, L
[φλ(u)+δκ(u)]/D(u)
U-1, T+1, L
α[(1-φ)λ(u)+(1-δ)κ(u)]/D(u)
U-1, T, L+1
β[(1-φ)λ(u)+(1-δ)κ(u)]/D(u)
Fig. 2.7. Diagramma che rappresenta le
26probabilità delle varie transizioni.
Con D(u) = λ(u)+κ(u). Da sottolineare il fatto, lasciato implicito da Janssen, che se
questi due parametri λ(u) e κ(u) sono probabilità, allora necessariamente la loro
somma dovrà essere uno dal momento che non ci sono altre possibili riparazioni.
Fissiamo ora ad n il numero di lesioni iniziali da esaminare. La probabilità
condizionata di sopravvivenza, cioè di non avere lesioni letali, è data da:
n

(1 − Φ )λ ( j ) + (1 − δ )κ ( j ) 
P ( L = 0, U (0) = n) = ∏ 1 − β

λ ( j) + κ ( j)
j =1 

Notiamo che se consideriamo λ proporzionale a κ, la precedente probabilità si può
esprimere come una costante elevata alla potenza n. Per questo motivo, la loro forma
funzionale deve essere necessariamente differente. Se si considera λ come l’intensità
di riparazione dei SSB mentre κ come l’intensità di riparazione dei DSB allora è
possibile definire λ come un multiplo del numero di lesioni e κ proporzionale al
numero di coppie di lesioni.
In particolare, definiamo:
λ (u ) = λu
ε = λκ
κ (u ) = κu (u − 1)
Attraverso queste assunzioni possiamo ridefinire la probabilità di sopravvivenza
come:
P ( L = 0, U (0) = n) = {1 − β (1 − δ )}
n
Γ(ερ + n)Γ(ε )
Γ(ερ )Γ(ε + n)
dove:
ρ=
1 − β (1 − Φ )
1 − β (1 − δ )
e con Γ(n) si intende la gamma di Eulero del valore indicato.
Per esprimere la curva di sopravvivenza delle cellule dobbiamo innanzitutto
considerare il fatto che il numero di lesioni è in funzione della dose di radiazione
subita. Per semplicità, supponiamo che questo numero di lesioni iniziali sia definito
da una costante γ che moltiplica la dose D. Si impone inoltre che la funzione H(s)
sia un’identità.
A partire da queste condizioni e da queste scelte arbitrarie possiamo ottenere
l’espressione per la funzione si sopravvivenza:
∞
S ( D) = exp{−γD}∑
[(1 − β (1 − δ ))δD ] Γ(ερ + n)Γ(ε )
n!
n =0
Γ (ερ )Γ(ε + n)
da cui, prendendo i primi tre termini della serie, otteniamo:

Γ (ερ + 1)Γ(ε ) 1
2 Γ (ερ + 2)Γ (ε ) 
S ( D) = exp{−γD}1 + (1 − β (1 − δ ) )δD
+ [(1 − β (1 − δ ) )δD ]
Γ (ερ )Γ(ε + 1) 2
Γ(ερ )Γ(ε + 2) 

27
Vista la complessità nel valutare i cinque parametri coinvolti in questo modello,
semplifichiamo il problema definendo alcune parametri in modo arbitrario.
Supponiamo per esempio che il selfrepair conduca sempre allo stato di eurepair
mentre il crossrepair fallisca quasi sempre. In tal caso avremo che φ=1 e δ=0.
Otteniamo quindi l’espressione per la funzione di sopravvivenza:
∞
S ( D) = exp{−γD}∑
[(1 − β )δD ] Γ(ερ + n)Γ(ε )
n =0
Γ(ερ )Γ(ε + n)
n!
con:
ρ=
1
1− β
Eseguendo un grafico di questa funzione otteniamo:
Surviving fraction S @DD
1
0.1
0.01
0.001
10-4
10-5
10-6
0
5
10
15
20
Dose
Figura 2.6: Grafico della curva di sopravvivenza in funzione della
dose fornita inizialmente.
Anche in questo caso non sono discussi, in questo lavoro, i significati fisici dei
valori dei parametri presi in considerazione a causa di una mancanza di conoscenza
dettagliata dei processi biologici che vengono coinvolti. Vedremo nel prossimo
capitolo come i diversi autori hanno spiegato e motivato le scelte da loro effettuate.
28
Capitolo 3
Analisi dei limiti, problemi e difetti dei modelli
stocastici presenti in letteratura.
Lo scopo di questo capitolo è quello di analizzare più in dettaglio quali sono i limiti e
i difetti di ogni modello stocastico, e presentare un confronto tra le diverse soluzioni
adottate, per tentare di spiegare e motivare le scelte alla luce delle conoscenze
possedute nell’ambito della biologia.
In molti casi, purtroppo, la scelta delle equazioni differenziali e delle rispettive
condizioni iniziali non sono motivate dagli autori. In tal modo, essi privano il loro
lavoro della dimostrazione di conoscere ciò che realmente accade a livello
microscopico nelle cellule in esame.
Un’altra osservazione importante riguarda la distinzione tra popolazione e cellula
singola. In questi modelli questa distinzione non appare e molto spesso si utilizzano i
due termini indistintamente. Questo crea grossi problemi nel caso di simulazione
numerica, soprattutto quando si vuole comprendere se una singola cellula sarà in
grado di sopravvivere oppure no.
Per cercare di colmare queste lacune, verranno quindi proposte e discusse alcune
interpretazioni dei vari problemi incontrati.
3.1 L’utilizzo dei parametri nei vari modelli e
l’interpretazione biofisica
Andiamo ad analizzare innanzitutto il modello lineare-quadratico di Chadwick e
Leenhouts[2].
Questo modello, come osservato nel corso del precedente capitolo, è in grado di
fittare i dati raccolti negli esperimenti di biologia con grande accuratezza e precisione
secondo l’espressione:
S = exp[− aD] exp[−bD 2 ]
Per basse dosi si può osservare che prevale il termine a mentre al crescere della dose
assume via via più importanza il termine b, fino a dominare sul primo.
29
Il difetto di questo modello è però la mancanza di un reale significato fisico-biologico
dei valori di questi parametri. Nella teoria molecolare di Chadwick e Leenhouts [2]
viene assunto che l’effetto principale della radiazione sia la rottura dei legami
molecolari all’interno del filamento del DNA. I legami che sono stati rotti, o
danneggiati, possono essere riparati dai processi interni alla cellula.
Questo modello non fornisce alcuna spiegazione in merito alle capacità della cellula
di riparare i danni oppure di fallire la correzione, ma si limita a considerare alcuni
parametri in modo generale, quali ad esempio la frazione di dose ∆, lasciando la
possibilità di adattare questo modello ad ogni tipo di radiazione ionizzante ed a vari
tipi di LET della radiazione stessa.
Passiamo ora all’analisi dei modelli presentati nell’articolo di Sontag[12].
Tutti questi modelli, come già è stato esposto nel precedente capitolo, sono
accomunati dalla scelta di classificare le cellule in tre possibili stati. La scelta
originaria per i vari modelli prevedeva un’analisi di tipo statistico delle cellule,
ovvero:
S = exp[− B(t ) − C (t )]
che però non è un’analisi corretta poiché non si basa sull’esperienza diretta. La
surviving fraction è infatti determinata come il rapporto fra le cellule vive e le cellule
inizialmente presenti prima dell’irraggiamento. Pertanto si è deciso di adottare
l’espressione data dalla somma delle cellule sane e quelle con danni potenzialmente
letali ma che però sono ancora vive, secondo la formula:
S (t ) =
A(t ) + B (t )
C (t )
= 1−
N0
N0
Anche nel caso di questi modelli, i parametri che vengono presentati sono solamente
in parte giustificati. Mentre è relativamente chiaro riconoscere quali di essi
rappresentano tassi di formazione e costanti dei vari processi, lo stesso non si può
dire riguardo alle motivazioni che ne hanno determinato le scelte differenti fra i vari
modelli. Risulta inoltre non molto chiara la dipendenza di questi parametri dalle
condizioni iniziali a cui si fa riferimento in ogni esperimento, primo fra tutti il
numero iniziale di cellule della popolazione. In alcuni casi, la necessità
dell’adimensionalità di alcuni termini rende implicita l’assunzione di una dipendenza
del parametro dal numero iniziale di cellule.
Questa assunzione, supponendola plausibile, non è però supportata da esperimenti e
dati allo scopo di motivarla.
30
Il lavoro di Janssen[5] si discosta dai precedenti modelli per il suo tentativo di analisi
dell’intero processo in maniera dettagliata ed approfondita. Nonostante la sua
difficoltà nell’affermare con decisione i valori dei parametri da lui introdotti, anche a
causa di una mancanza di sufficienti dati sperimentali a riguardo, Janssen ha
introdotto un processo Markoviano degno di nota. Uno dei punti deboli della
spiegazione di questo modello consiste nella definizione della proporzionalità tra il
tasso di selfrepair e il tasso di crossrepair che intervengono all’interno della cellula.
3.2 Scelta delle condizioni iniziali
Per tutti i modelli considerati in questo lavoro, si ritiene che il numero iniziale di
lesioni causate dall’irraggiamento sia dovuto ad una costante che moltiplica la dose D
ricevuta. Questa scelta, nonostante sia condivisa da più autori in letteratura, non viene
però dimostrata o verificata sperimentalmente. Anche in questo caso, come per la
scelta dei parametri, assume l’aspetto di una buona supposizione ma manca di una
certezza a causa delle difficoltà nello studiare dettagliatamente questi processi a
livello microscopico.
Confrontiamo ora le condizioni iniziali adottate dai vari modelli con le varie
possibilità che potremmo adottare.
Nel caso di lesioni direttamente proporzionali alla dose noi otterremo:
danni iniziali
10
8
6
4
2
2
4
6
8
10
Dose
Grafico 3.1: Condizioni iniziali espresse dall’equazione B(0) = δ*Dose
31
Questo tipo di ipotesi sulle condizioni iniziali necessita dell’assunzione che vi sia una
proporzionalità diretta tra i danni e la dose per ogni valore della dose. Questa ipotesi
non sembra molto valida in quanto, mentre per basse dosi sembra esserci una
proporzionalità lineare, per alte dosi questa proporzionalità sembra non essere più
rispettata.
Introduciamo ora alcune ipotesi alternative a questa proporzionalità diretta:
B ( 0) =
B ( 0) =
δ *D
1+ D
δ * D2
1+ D2
Se si studiano queste diverse espressioni per B(0), si può osservare che per piccole
dosi vi è un andamento approssimativamente lineare dei danni in funzione della dose
mentre per alte dosi interviene un processo di “saturazione” che riduce il tasso di
formazione di danni all’aumentare della dose stessa fino a raggiungere un valore
asintotico.
3.3 Gli effetti di una esposizione protratta nel
tempo
Una considerazione riscontrata in tutti i modelli precedentemente esposti è
l’intervento dei processi di riparazione dei danni durante un’esposizione protratta nel
tempo.
In seguito ad una certa dose D, un determinato numero di DSB del DNA si sono
formati a causa di una rottura dei due filamenti avvenuta nello stesso istante o in
istanti successivi. In quest’ultimo caso, se la dose viene cioè fornita per un periodo di
tempo non trascurabile in confronto ai tempi di riparazione del DNA, alcuni SSB
potranno essere riparati prima che avvenga una rottura sull’altro filamento in
corrispondenza della prima rottura, riducendo così la formazione di DSB.
Nel caso del modello di Chadwick e Leenhouts, il parametro r rappresenta proprio la
frazione di legami che sono stati riparati mentre il parametro f = 1-r rappresenta la
frazione di legami non ancora riparati. Se il tempo di esposizione si allunga ciò
32
significa che la frazione di legami riparati r tenderà all’unità, per dosi non molto
elevate, mentre la frazione f tenderà a zero. In tal caso, poiché il termine b
dell’espressione della surviving fraction è rappresentato da:
b = pf 0 εn1 n 2 f 1 f 2 k 2 (1 − ∆) 2
con f1 ed f2 a rappresentare le rispettive frazioni per i filamenti 1 e 2. Allora
l’equazione lineare-quadratica di Chadwick e Leenhouts si ridurrà alla forma:
S = exp[−aD ]
Questo aspetto è stato verificato attraverso l’esperimento di Hall (1972) che mostra
come all’aumentare della dose al minuto che viene fornita aumenti anche il valore
del coefficiente b, e viceversa. (figura 3.2 nella pagina successiva).
L’ipotesi effettuata da Chadwick e Leenhouts sembra quindi avere un fondo di
verità. La mancanza di alcun ulteriore dettaglio, in merito a questo argomento, lascia
in sospeso la questione in attesa di maggiori conferme sperimentali e di nuove
ipotesi in grado di predire il comportamento delle cellule in queste condizioni.
Grafico 3.2: tre curve corrispondenti a dosi al minuto differenti. Qui di seguito
verranno indicati i valori assunti dai due parametri. (Chadwick e Leenhouts [2])
Curva 1(107 rad/min): a = 2.6*10-3, b = 2.0*10-6 ;
Curva 2(30 rad/min): a = 2.8 *10-3, b = 1.2*10-6 ;
Curva 3(16 rad/min): a = 2.7*10-3, b = 5.5*10-7.
33
Va sottolineato un aspetto di questo grafico. I valori che sono stati riportati da
Chadwick e Leenhouts per i due parametri delle tre curve non sembrano essere il
risultato di un fit basato su una giusta considerazione dei punti e relativi errori. Il
metodo adottato fino ad ora, ovvero quello di una statistica Poissoniana, implica che
le deviazioni standard dei punti siano la radice quadrata del valore stesso. Ponendo
queste condizioni, il fit delle curve non converge ai valori sopra indicati. L’ipotesi
che può essere fatta, per spiegare tali valori, è che sia stata imposta la curva senza
tenere conto del peso differente che ogni punto ha nel grafico.
34
Conclusioni
In questo lavoro di tesi di laurea triennale sono stati studiati alcuni modelli stocastici
che tentano di spiegare gli effetti della radiazione incidente sulle cellule. Come è
stato fatto notare nei precedenti capitoli, l’approccio adottato dai vari autori è
interessante e porta a conclusioni che apparentemente sembrano essere compatibili
con i dati sperimentali. Questi modelli presi in considerazione, nonostante le
differenti scelte adottate da ciascuno di essi, non possiedono però i requisiti necessari
per ritenere utile studiarli più approfonditamente né migliorarli per poterli
successivamente inserire all’interno del progetto VBL. Le ragioni di questa
“bocciatura” consistono in molteplici aspetti. Il più rilevante consiste nella difficoltà
nell’adottare questi modelli per lo studio di una singola cellula, ma anche le carenti
motivazioni delle scelte adottate per i differenti modelli matematici, rendono assai
improbabile il loro utilizzo per simulare l’evoluzione cellulare.
In conclusione, a causa della necessità di definire il processo di repair-misrepair
cellulare, il lavoro da svolgere si potrà dividere su due strade: la prima consiste nel
cercare nuovi modelli matematici presenti in letteratura scientifica e verificare che
essi possiedano i requisiti di cui precedentemente discusso; la seconda consiste nel
costruire un modello matematico che sia consistente con i dati sperimentali a
disposizione.
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Bibliografia
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Terminology.”, J Nucl Med Technol 2001; 29:67-73.
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Cell Survival”, Phys. Med. Biol. (1973), vol.18, no.1, 7887.
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consummate survivor”, Nature Reviews/Microbiology,
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potentially lethal damage after exposure of plateau phase
Chinese hamster V79 cells to γ-rays”, Radiat Environ
Biophys (1985) 24:185-202.
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effects of radiation on cells”, J. Math. Biol. (1987) 24:681689.
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Repair in Yeast”, ETATS-UNIS (22/06/1991) 1992,
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Biophysics Lab”, Il nuovo cimento, Vol. 31 C, N. 1.
[8] Pelliccioni M., “Fondamenti fisici della radioprotezione”,
Pitagora Editrice, (1989) ISBN 88-371-0470-7
[9] Roesler S., Liu J.C., “Radioactivity and radiation
protection”.
[10] Sinclair W.K., (1968) Radiat. Res., 33, 620.
[11] Sinclair W.K., (1969) Radiat. Res., 39, 135.
[12] Sontag W., “Comparison of six different models
describing survival of mammalian cells after irradiation”,
Radiat Environ Biophys (1990) 29:185-201.
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