Alla scoperta della contea di Pietralata. I centri abitati che fanno corona nell’alta val Prino Alessandro Giacobbe TERRITORIO La valle Prino, nell’entroterra di Porto Maurizio, assieme alla vallecola di Vasia, si chiude ad anfiteatro sotto un sistema montuoso elevato e protettivo, che culmina nella cima del Monte Faudo (1119 m.) 29 TERRITORIO L’abitato di Villa Talla. Molini di Prelà visto dal borgo di Ca’ Sottane. Alle pagine precedenti Veduta aerea dell’Alta Val Prino e l’Alta Val Prino in una carta automobilistica T.C.I. 30 L a sua dimensione storica ed insediativa è particolare, potendosi ben distinguere nel territorio tre spazi ben definiti, con un centro urbanistico attrattivo, a partire dalla costa. La bassa valle ha un suo punto di riferimento nell’abitato di Piani, che in origine ebbe il ruolo di “pieve” ed in seguito fece parte del primo terziere portorino, quello di San Maurizio. Segue l’ambito di Torrazza, che dà il nome al secondo terziere, quello di San Giorgio, intimamente legato anch’esso alla parte inferiore della valle. Al centro campeggia il sito di Dolcedo Piazza, con i suoi attraversamenti del torrente, la relazione con le vallette laterali ed una intensa polverizzazione dei centri abitati. L’alta valle fa capo invece a Molini di Prelà: la sua vicenda cronotipologica è quella che si vuole prendere qui in considerazione, grazie alla sua specificità storica. L’alta val Prino, a partire dal XIII secolo, ebbe vicende storiche distanti da quelle delle zone medio-inferiori della stessa valle, rimasta sotto controllo portorino e quindi genovese. Il settore superiore è stato invece coinvolto nell’episodio della espansione dei conti di Ventimiglia rispetto ai limiti assegnati, con la successiva creazione di una “enclave” compresa fra Carpasio in valle Argentina e l’intera valle del Maro. L’alta val Prino diventa così baricentrica in uno spazio che lega le sue fortune a poteri lontani. Questo accade a metà del XV secolo, quando i conti di Tenda e di Briga, ovvero i Ventimiglia-Lascaris, ottengono il possesso dell’area, non senza disomogeneità, dai cugini Ventimiglia. Si crea così un embrione di stato regionale senza sbocco al mare, cosa oggi assai difficile da immaginare per la Liguria, ma concreta, in un’epoca in cui non esisteva strada litoranea ed il peso economico dei centri della costa era fortemente condizionato dall’efficienza produttiva e viabilistica dell’entroterra. Ne è conseguita una particolare attenzione dei signori tendaschi sull’area in questione, che ha i suoi fulcri nel castello di Prelà soprana, nella vicina pieve dei SS. Giacomo e Nicola e nella chiesa di fondovalle di San Giovanni Battista. Prelà, dunque, da “Pietralata”, pietra larga, l’ammasso roccioso ove si pone il punto difensivo e governativo. Il titolo comitale risulta eredità dei Ventimiglia, per questo si parlerà sempre di “contea di Pietralata”, fino al definitivo passaggio del territorio in mano sabauda, nel complesso espansionismo piemontese del 1575-1576. Genova avrà così una spina nel fianco in rapporto ai territori ponentini, in cui si imponeva anche il possesso sabaudo dello scalo marittimo di Oneglia e della valle Impero. Precedentemente, comunque, il confronto si operava con la politica dei signori di Tenda, punto di contatto fra gli ambiti ligure, piemontese e provenzale. L’operato dei Tenda sull’alta valle Prino si concentra nel favore per il commercio e per il TERRITORIO sostegno all’impianto della produzione olivicola, che porta, come conseguenza, alla definizione dell’abitato di Molini di Prelà come fulcro vallivo, riunito attorno a frantoi, mulini ed alla chiesa del Battista, detta di San Giovanni “del groppo”. L’alta valle Prino trova il suo comune denominatore in una realtà insediativa minuta e suggestiva, che si disperde in uno spazio frastagliato di vallecole, caratterizzate da una dimensione ambientale ancora integra. L’olivo dominante cede il passo a qualche castagneto ed ai boschi di roverelle. Oltre si distendono i pascoli di altura ed i grandi prati da sfalcio. Una miriade di mulattiere e sentieri assicura il collegamento fra abitati e borgate, peraltro serviti oggi da una strada carrozzabile. Il nostro percorso può iniziare da un capoluogo comunale, Vasia, che si raggiunge salendo per la val Caramagna da Porto Maurizio, addentrandosi nella vallecola detta appunto di Vasia, lungo una strada costeggiata da ininterrotti oliveti. Vasia accoglie con l’oratorio di San Rocco. Se ne intuisce immediatamente lo sviluppo ampio, partito in borgate, il cui andamento dilatato fa da contraltare ad un punto identificativo comunitario molto particolare. Si tratta del campanile della chiesa parrocchiale, un prodigio architettonico alto 49 m., frutto della perizia costruttiva del ticinese Ignazio Monti fra il 1804 e 1806. Riguardo alla costruzione di questa struttura si narrano vicende di rivalità familiari locali, che, peraltro, si sono anche tradotte in una effettiva crescita edilizia di alcuni palazzi entro l’abitato. La chiesa parrocchiale è in realtà un edificio della metà del XVII secolo, ancora a tre navate, mentre altrove si cominciava a preferire la navata unica. Non mancano, in chiesa, le presenze di polittici tardomedievali, provenienti anche da altre chiese del circondario, come San Martino e Sant’Anna. Il titolo della parrocchiale è infatti Sant’Antonio Abate. Di fronte alla parrocchiale rivaleggia in dimensioni l’oratorio, sotto il titolo dell’Immacolata Concezione, frutto di un progetto di Antonio Filippo Marvaldi e realizzato fra 1757 e 1766. Custodisce, fra l’altro, la statua del Cristo Risorto, di produzione fossanese: una singolare effigie, assai diversa dalle “casse” processionali genovesi, che viene portata alla benedizione “ai quattro venti” nel giorno di Pasqua, doppiamente festivo per Vasia. Echi di Medioevo si ritrovano percorrendo il territorio olivato. Dapprima in San Prelà Castello. Vasia: il paese con il caratteristico campanile Vasia: la chiesa di San Martino, di fondazione benedettina, immersa tra gli ulivi. Martino, presso il cimitero: luogo voluto dalla popolazione per un insediamento minuscolo di monaci benedettini lerinesi nel 1119. Porzioni dell’edificio ed il bel campanile riportano almeno all’inizio del XIII secolo, quando non proprio al XII. Su di un altro versante si incontra la chiesa di Sant’Anna, santuario legato alla viabilità locale, con tanto di portico di accesso. Subito ci si accorge che l’originario edificio a tre navate è stato ridotto ad un solo ambiente, forse per una frana, un crollo, un abbandono. I sopraporta scolpiti appaiono datati: uno al 1493, l’altro al 1513, siglato da un lapicida di nome Giovanni Leone. Si tratta dunque di artigiani locali, forse coadiuvati da altre maestranze abili nel taglio della pietra. Si deve indagare 31 Pantasina: Santuario di N.S. della Guardia Pantasina: sovrapporta in ardesia murata nella parete esterna della parrocchiale. Vasia: la facciata settecentesca dell’Oratorio. 32 ancora sulla loro possibile origine lombarda. Va detto che questo edificio sacro è stato a lungo disputato fra le comunità di Vasia e di Moltedo, in quanto erano state riunite in un’unica parrocchia fino alla prima metà del Seicento. Il famoso dipinto della Sacra Famiglia, già attribuito al Van Dyck ed ora assegnato a Jan Roos, custodito a Moltedo, proverrebbe da questo sito, tanto che già alla fine del XVII secolo gli abitanti di Vasia ne avevano prodotto una copia che era rimasta nel santuario fino al recente trasferimento in parrocchiale. Continuando la strada oltre Vasia, si intraprende un cammino di mezzacosta, molto panoramico, pianeggiante, reso vario dalle curve morbide che in breve portano ad altri centri abitati, in genere borgate di piccole dimensioni. E’ il caso di Torretta, la cui unica emergenza architettonica è una piccola chiesa sotto il titolo dell’Immacolata. L’edificio sacro è stato però voluto e finanziato nel 1723 da padre Nicolò Calzamiglia, autorevole gesuita. Non a caso, dunque, il minuscolo sacello è ricco di altari in marmo e di arredi che ricordano, in alcuni casi, la devozione tipica della compagnia ignaziana. Poco oltre si trova Pianavia. Il toponimo fa riferimento alla via pianeggiante, che immette nella borgata principale. Più in alto si raggruppano le “Case Soprane”. La chiesa dell’Annunciazione rivela linee tardosettecentesche, tali da riflettersi, all’interno in un arredo in corso di recupero: il dipinto principale, che raffigura appunto l’Annunciazione, è di Antonio Calzia, apprezzato pittore del contesto onegliese, originario di Villa Guardia, oggi frazione di Pontedassio in valle Impero. All’interno spiccano però gli arredi lignei, come le notevoli panche settecentesche ancora collegate fra loro ed un confessionale restituito all’originale colore bigio, in linea con la tipologia decorativa dell’intero edificio. Da Pianavia si scende rapidamente verso Prelà Castello, il fulcro politico e militare della valle. Il paese è infatti contenuto fra due poli, il grande castello e la pieve dei Santi Giacomo e Nicola. Il punto fortificato è oggi un cospicuo e praticabile rudere, memore di antiche battaglie, frutto di una probabile ricostruzione tardomedievale. Ben munito anche alla fine del XVI secolo, è stato reso definitivamente inservibile dagli Ispano-Genovesi con la guerra contro i Franco-Sabaudi del 1625. Si apprezzano comunque alcuni particolari decorativi e funzionali, come le precise linee delle feritoie. La chiesa ebbe ruolo di pieve, dunque di matrice battesimale, dalla quale si sono separate tutte le altre parrocchie del circondario. Possiede ancora uno schema a tre navate, frutto di una ricostruzione cinquecentesca che culmina nel grande portale del 1559. Questa struttura presenta aspetti autenticamente e preziosamente rinascimentali, attribuibili alla maestria dei due lapicidi-architetti Pietro e Bartolomeo Varenzi da Cenova (valle di Rezzo, non lontano da Pieve di Teco). All’epoca era signore di Tenda, e dunque anche dell’alta val Prino, il conte Claudio, abile uomo politico, capace di favorire la ricostruzione di chiese nel contesto ligure e di appoggiare istanze ugonotte, dunque protestanti, nell’ambito provenzale. A lui si deve anche la volontà di migliorare i collegamenti tra i possedimenti liguri e quelli della valle Roya, mediante la costruzione o la risistemazione di antiche vie di comunicazione interna. Anche la chiesa di Prelà Castello possiede arredi significativi, come un rilevante polittico del tardo Quattrocento. Prelà Castello ha una posizione strategica ed è nodo di un sistema viario mulattiero di notevole importanza, capace di collegare in breve tempo tutti i centri della valle e di portarsi anche oltre lo spartiacque, allo scopo di raggiungere la valle del Maro. Volendo invece intraprendere un percorso più comodo, anche se sicuramente meno emozionante, si deve ritornare a Pianavia, sulla strada carrozzabile e procedere verso ponente in direzione di Pantasina. Questo è un abitato che allunga varie borgate a mezzacosta: mediante un reticolo di sentieri e scalinate si va da Costa a Cornarolo, da Case Amei a Case Pino, dal Poggio a Case Galli. Si intuisce che ci si trova di fronte a centri virilocali, il cui nome dipende dall’insediamento originario di una specifica famiglia. La chiesa parrocchiale della Trasfigurazione del Santissimo Salvatore, assieme all’oratorio, fa da nodo centrale del sistema insediativo. Si erge con la sua notevole mole, frutto di una ricostruzione operata fra 1621 e 1631 dall’architetto locale Angelo Pino. Questi ha saputo riutilizzare abilmente le strutture tardomedievali della chiesa precedente, inglobando anche il portale datato 1484 e scolpito da Giovanni Ameglio. Nel tessuto urbanistico storico di Pantasina spicca, lungo la strada per borgata Pino, quel che resta del palazzo dei Lascaris di Tenda. In particolare si nota il grande portale, arricchito dai blasoni a rilievo e da una frase scolpita nella quale Claudio di Tenda dichiara fedeltà alla madre Anna. Volendo incontrare spazi ancora incontaminati e godere di spunti paesaggistici di notevole valore, si può salire ancora fino al santuario della Madonna della Guardia. Di qui la vista spazia sulla val Prino fino al mare. Il santuario è un caratteristico esempio di edificio neomedievale, terminato nel 1934, con valore di memoria storica per i Caduti della prima guerra mondiale e per i carcerati che vi hanno prestato la loro opera, sostenuti dal loro cappellano don Abbo, morto in concetto di santità. Oltre il santuario si possono incontrare i castagneti ed i prati di Cianzerbo, superando dunque i limiti colturali dell’olivo. Ci si trova infatti oltre i 500 m. di quota. La discesa da Pantasina permette di incontrare diversi minuscoli insediamenti: Canneto, Case Carli e Praelo. Sono agglomerati che hanno perduto progressivamente abitanti nei tempi passati, a beneficio di Molini di Prelà, comodo centro di aggregazione, di produzione e di commercio. Canneto è diviso in due borgate, una superiore e l’altra inferiore. Si nota qui la chiesa della Visitazione di Nostra Signora, le cui linee tardoneoclassiche (1838) rivelano una ricostruzione di sicura monumentalità. A Praelo la vecchia chiesa di san Bartolomeo è stata sostituita da una nuova, edificata nel 1839, ancora improntata al gusto neoclassico mutuato dall’osservazione della grande basilica di San Maurizio di Porto. Nel caso di Praelo i principali finanziatori dell’impresa furono i componenti della famiglia Gandolfi. Questi, ancora oggi, sono depositari di una tradizionale produzione olivicola e mantengono intatto un frantoio storico databile almeno al tardo Medieovo: una traccia della precoce affermazione della coltura olearia nelle valli di Porto Maurizio. Case Carli è un abitato virilocale, agganciato alla parentela “Carli”, poi latinizzata in “De Carolis”. La chiesa, guardata da case con le tipiche logge dell’area portorina, ha il titolo di San Sebastiano. All’interno si apprezzano alcuni interessanti dipinti. Nella tela del coro la Vergine Maria tiene in braccio il Bambino Gesù e quest’ultimo reca in mano un ramoscello d’olivo, segno tangibile del favore popolare nei confronti della pianta produttrice di ricchezza in questa valle. L’oratorio sotto il titolo della SS.ma Trinità è ai margini del paese. Le originarie sedi per la riunione delle confraternite erano infatti così localizzate, in un silente isolamento, qui accompagnato dagli olivi circostanti. L’edificio è semplicissimo: il solo campanile a vela sembra ricordare l’uso religioso della struttura. In breve si scende ai Molini di Prelà, un abitato che si allunga sulla sponda sinistra del Prino. Il torrente è attraversato da un antico ponte, di fondazione tardomedievale, all’altezza delle Ca’ Sottane, borgata inferiore del sistema urbanistico. Questo agglomerato di case appare “senza tempo”, con l’appendice robusta dei frantoi e delle vasche di decantazione delle sanse delle olive schiacciate, che riportano ad anni lontani di dure fatiche. Si scende al ponte all’altezza della piccola cappella di San Giacinto, che nulla sembra aver mutato dal momento di una sistemazione edilizia settecentesca. Seguendo la strada carrozzabile rettilinea, si giunge in breve al complesso composto dall’oratorio di Santa Maria Maddalena e dalla chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, dotata di un elevato campanile. L’oratorio vive ancora nella sua facciata composta di elementi policromi a rilievo. Si spera in una sua trasformazione in museo vicariale, in modo tale che l’edificio possa ritrovare una funzione comunitaria. La chiesa parrocchiale detta di San Giovanni “del Groppo” (del grande masso) è disposta lungo la strada. Si crea così un dialogo tra la mole allungata dell’edificio sacro e l’elevazione perpendicolare del campanile tardomedievale, capostipite di una serie di simili strutture che si incontrano ancora in valle. La chiesa in effetti è frutto di una sistemazione tardomedievale, che si chiude nella posa in opera di elementi decorativi e funzionali. Si osservi allora il taber- Pantasina: Oratorio di Santa Caterina. Il borgo di Case Carli. Molini di Prelà: l’antico ponte medioevale e la borgata di Ca’ Sottane. 33 nacolo nel presbiterio e soprattutto la porta di accesso alla sacrestia, datata al primo luglio del 1519, recante il blasone di Renato di Savoia, detto “il Gran Bastardo” in quanto figlio naturale del duca piemontese. Si noti, poi, entrando, il ricco sistema del portico di accesso, che presenta i dipinti murali di Giovanni Cambiaso, raffiguranti la vicenda di San Giovanni e le effigi dei Profeti; si osservino anche le agili colonnine di sostegno, risalenti al 1557, opera dei già incontrati Pietro e Bartolomeo Varenzi da Cenova. Ci si trova di fronte a due gioielli in pietra, arricchiti da una decorazione a fune ritorta che individua lunghe specchiature occupate da un sistema di grottesche, di evidente ispirazione rinascimentale. All’interno della chiesa si incontra una serie di presenze pittoriche di notevole livello. Il trittico di San Sebastiano proviene dalla chiesa sotto il medesimo titolo sita in borgata Magliani: era questo uno dei centri abbandonati in seguito all’aggregazione popolare nell’ambito dei Molini di Prelà, fenomeno protratto dal XV al XVII secolo. Il trittico è opera di Agostino da Casanova, pittore portorino di adozione, le cui notizie giungono fino al 1564, autore, come si vedrà, di un cospicuo gruppo di opere disperse lungo la val Prino. Altra figura cardine della dimensione artistica di Porto Maurizio, qui presente a Molini, è quella di Francesco Bruno: vissuto fra 1643 e 1721, qui si rivela con tre opere: una giovanile, la Predica di San Giovanni Battista nel deserto, posta nel coro; una matura, l’Assunzione della Vergine in capo alla navata destra; infine una tarda, il Compianto dell’Addolorata sul Cristo Morto, nella cappella laterale destra. Un tale insieme figurativo non è che l’emergenza maggiore di un sistema devozionale e decorativo assai ricco e complesso, che fa della chiesa di Molini una delle più rilevanti del comprensorio imperiese. Questa dimensione di ricchezza devota e decorativa si riflette nei centri della valle del rio Furchin, che contribuisce a formare il Prino provenendo da destra. Il minimo centro di Costiolo introduce alla via che raggiunge, di seguito, Valloria, Tavole e Villatalla. Si tratta di una serie di centri accomunati dalla sequenza di campanili tardomedievali, dalla presenza delle opere di Agostino da Casanova e da un insieme edilizio arroccato e rurale, ingentilito da logge ed aperture che offrono squarci panoramici di notevole suggestione. Costiolo è disegnato da una semplice fila di case a schiera entro le quali trova posto l’oratorio di San Bernardo. Ben diversa è la posizione sollevata, aerea, di Valloria, guardata dalla chiesa parrocchiale sotto il titolo dei Santi Sebastiano, Gervasio e Protasio, una costruzione tardoseicentesca dovuta alla perizia degli architetti locali della famiglia Battarello. La compresenza di più santi titolari deriva da uno spostamento della primitiva sede religiosa, che ha definitivamente assommato diverse devozioni. L’abitato si arrocca e si distende ai margini della piazza pensile della chiesa. Risale fino al belvedere dell’oratorio settecentesco di San Giuseppe. Lungo le strade, sprazzi di colore e di vivacità vengono offerti dalle molte porte dipinte, che hanno caratterizzato gli ultimi anni di rilancio culturale e territoriale del paese, ove si svolgono apprezzate feste all’insegna della danza e della gastronomia. Alcune fra queste “porte dipinte” sono state assegnate alla creatività di artisti contemporanei di indubbio valore. In chiesa parrocchiale si apprezza soprattutto il polittico che ha visto Agostino da Casanova in collaborazione con il nizzardo Stefano Adrechi: la data è quella del 1523: può dunque considerarsi un esperimento giovanile di confronto con la tradizione provenzale in voga nel contesto locale. Salendo ancora si raggiunge Tavole. Qui si incontra nuovamente la dimensione della borgata virilocale. Novelli, Oreggi e Revelli o Chiapparo contribuiscono alla definizione urbanistica, ricordando le parentele familiari fondatrici. Fulcro del sistema è ancora una volta la chiesa parrocchiale, qui sotto il titolo dell’Annunciazione. L’elegante edificio ingloba elementi decorativi, nonché il campanile, della precedente struttura tardomedievale. Nell’insieme, è frutto della perizia costruttiva di Giacomo Filippo Marvaldi (1673-1743), secondo un progetto portato a termine fra 1718 e 1729. La definizione settecentesca del complesso è quanto mai preziosa di stucchi e di tele dipinte provenienti dalle botteghe pittoriche di Porto Maurizio, come quella di Francesco Carrega. L’insieme ornamentale riesce ad inglobare anche il polittico della Madonna del Soccorso di Agostino da Casanova, realizzato nel 1537, che indulge ancora alla dimensione tardogotica tanto nella decorazione, quanto nel profilo grafico di alcune figure. Può essere interessante, poi, andare alla scoperta di Tavole, raggiungendo ogni borgata mediante le strade antiche, salendo e scendendo mulattiere presso fossati e ritani ombrosi, orti verdissimi ed ordinati, case dall’intonaco vissuto. Il ritorno alla chiesa parrocchiale svela la piazza lunga e stretta, da sempre spazio destinato al gioco della palla al pugno. Non a caso a Tavole è nato uno dei maggiori interpreti di quest’ arte sportiva, ormai relegata fra le colline della Liguria di Ponente e del Piemonte meridionale: si tratta del pluricampione Franco Balestra, un mito vivente per più generazioni di giocatori. Lasciando Tavole il profumo di campagna muta rapidamente: dall’afrore argenteo dell’olivo si passa al muschio, al bosco, allo stallatico. Si giunge così a Villatalla, centro più elevato della valle. Abitato submontano, dunque tale da suscitare motivi di interesse in una dimensione molto lontana da quella costiera, non solo in termini di immagine, ma anche di mentalità. Per giungere alla chiesa parrocchiale sotto l’arcaico titolo di San Michele, si percorre uno stretto caruggio, fra mura di pietra viva e passaggi coperti. Infine si giunge al piccolo sagrato, ove è stato reimpiegata la vasca del fonte battesimale quattrocentesco. La chiesa è una ricostruzione del 1671, legata ancora alla pratica edilizia dei Battarello di Valloria, capace però di reimpiegare strutture medievali preesistenti. Anche all’interno il passato riemerge stratificato, compreso fra il 1530 circa di un altro polittico di Agostino da Casanova ed il XVII-XVIII secolo di varie statue, dipinti ed arredi. Villatalla, come tutti gli altri centri finora citati, è poi attorniata da altre sedi sacre e monumentali. In questo caso si tratta del santuario della Madonna della Neve, mentre altrove basta percorrere alcune centinaia di metri lungo ripide mulattiere per incontrare piccole cappelle itinerarie o santuari mariani legati a radicate attività devozionali. Ci si trova così alla fine del percorso, sotto la corona di monti al termine di una sequenza di centri abitati. Sono tanti e molti i valori di una Liguria integra, verde e vivace che ancora crede nel futuro verso il quale si proietta il suo presente, fatto di realtà insediative storiche, di sapori gastronomici, di autenticità contadina. Un insieme che è stato colto da tempo dai molti stranieri, soprattutto Tedeschi, che hanno scelto questi luoghi per abitarvi. E che forse hanno capito prima di noi Italiani il destino, si spera fecondo, di questo territorio. La Sacra Famiglia di Jan Roos, un tempo nella parrocchiale di Vasia, ora nella parrocchiale di Moltedo. Molini di Prelà: la chiesa di San Giovanni al Groppo con il bel campanile tardomedioevale. A fronte Torretta, frazione di Prelà: Cappella dell’Immacolata. Tavole: Oratorio di San Rocco. Tavole: particolare degli edifici che circondano la chiesa della SS. Annunziata. 35