REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA
MINISTERO PER I BENI
E LE ATTIVITÀ CULTURALI
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n. 31 - gennaio-aprile 2010
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
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29 AGOSTO»5 SETTEMBRE
Feniarco
I
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
DOMENICO
BARTOLUCCI
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Via Altan
S.Vito al Tagliamento (Pn)
Italy
Tel +39 0434 876724
Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it
[email protected]
ASAC
VENETO
n. 31 - gennaio-aprile 2010
USCI
FRIULI VENEZIA GIULIA
MUSICA MODERNA
CON ANTICHE RADICI
CANTARE
IL QUOTIDIANO
RIFLESSIONI SULLA
CORALITÀ POPOLARE
LA PAROLA
È GIÀ MUSICA
INTERVISTA A MARCO BERRINI
FENIARCO
CAPUT MUNDI
LA PROFESSIONALITÀ
DEGLI AMATORI
due mondi
a confronto
concertare
con gli strumenti
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Giovanni La Porta,
Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi,
Luca Marcossi, Alessandro Kirschner,
Piero Caraba, Domenico Innominato,
Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri,
Paola De Maio, Annarita Rigo
Redazione: via Altan 39,
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: cupola della basilica di San Marco
in Venezia (foto DreamsTime)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un
anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco,
hanno contribuito a dare più informazione, a far
conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il
nostro senso di appartenenza a un movimento
culturale importante?
Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli
apprezzamenti che ci giungono da più parti,
dall’interno della nostra associazione ma anche
dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo
corale. L’attività editoriale e pubblicistica di
Feniarco dimostra che l’amatorialità è una
dimensione giuridico-economica, non un livello
qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse
economiche disponibili.
Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio
alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti,
talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre
ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in
ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui
esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando
che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd.
Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno:
l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sostenere costi che, è facile intuirlo, sono
più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la
quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun
numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le
tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto
incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e inferendo così un
duro colpo alle associazioni.
I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a
favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne
altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del
Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla
quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco di musica che
c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che
qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde
riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica
d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre.
C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare
sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
ISSN 2035-4851
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c
legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
La Feniarco ha avviato, col n. 30 di CHORALITER, il previsto programma di
pubblicazione di un CD allegato alla rivista una volta all’anno.
Per continuare nel progetto, Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate ai prossimi numeri della rivista.
Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere
state realizzate, alla data di scadenza
del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri:
• avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato
su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter
essere oggetto di un dossier della
rivista;
• essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del
repertorio proposto;
• avere una durata non inferiore ai 50
minuti.
Le registrazioni andranno inviate a
Feniarco entro il 31 agosto 2010 unitamente a un curriculum del coro e
del direttore e una dichiarazione di
autenticità dell’esecuzione.
Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da
due componenti della commissione
artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una
graduatoria in base ai predetti criteri.
I costi di realizzazione del master
sono a carico dei cori.
Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa del booklet e alla
diffusione. Il coro interprete del CD
selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando
ad avanzare diritti.
Al coro interprete del CD pubblicato
saranno riservate 100 copie omaggio
del CD con rivista.
Bando di partecipazione
Editoriale
Anno X n. 31 - gennaio-aprile 2010
CD
CD
CHORALITER
n. 31 - gennaio-aprile 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
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Due mondi a confronto
2
Il repertorio sinfonico corale
considerazioni e problematiche
5
Adriano Martinolli D’Arcy
coro e orchestra: due mondi due modi
idee, riflessioni e suggerimenti
per una fruttuosa collaborazione
Alessandro Cadario
8interpretazione, immagine sonora
e strumenti musicali
nella concertazione della musica
polifonica del tardo rinascimento
Davide De Lucia
portrait
36 lA PAROLA è GIà MUSICA
intervista a marco berrini
Sergio Bianchi
15 la cOncertazione nella musica vocal-pop
Andrea D’Alpaos
fragmentA
Dossier compositore
Domenico Bartolucci
43 LE TESTIMONIANZE MUSICALI DEL MEDIOEVO
Spunti di riflessione sulla prassi esecutiva
Franco Radicchia
Attività dell’Associazione
18 musica moderna con antiche radici
intervista a domenico bartolucci
Renzo Cilia
23 un linguaggio nuovo fondato
sulla modalità antica
Mottetto o sacrum convivium
a 4 voci miste
Renzo Cilia e Walter Marzilli
46 feniarco caput mundi
Cronache dall’assemblea nazionale
Roma, 20-21 marzo 2010
Puccio Pucci
50 Sperimentazione e valorizzazione
Nova et veterA
Nuovi progetti Feniarco
Annarita Rigo
52 UNA BIBLIOTECA CORALE VIRTUALE
Musica International Workshop
Jean Sturm e Giorgio Morandi
56
Notizie dalle regioni
Rubriche
26 una scelta di repertorio
per il coro di voci bianche
a ceremony of carols di Benjamin Britten
Enrico Miaroma
29 la fuga
dalla terminologia all’analisi
Piero Caraba
canto popolare
INDICE
33 riflessioni sulla coralità popolare
Sergio Bianchi
60 Scaffale
63 Lettera al direttore
64 Mondocoro
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corale da ricercare a seconda del brano scelto; in questa sede però vorrei soffermarmi su alcuni
aspetti pratico-esecutivi legati alla programmazione e l’allestimento di tali opere.
Il coro e l’orchestra sono due compagini in sé autonome e il loro affiancamento comporta una
serie di dinamiche, talora problematiche, che è bene conoscere per ottimizzare e rendere
fruttuosa la loro collaborazione.
A differenza dell’orchestra, il coro ha un maestro stabile che lo prepara e lo cura costantemente:
dalla meticolosità del lavoro di questa determinante figura dipenderà molta parte della riuscita
Il coro non è la mera somma di molte persone
che cantano bensì la moltiplicazione della più
vibrante delle espressioni umane.
Il repertorio
sinfonico corale
sinfonico
considerazioni e problematiche
di Adriano Martinolli D’Arcy
docente di musica corale
e direzione di coro
al conservatorio di trieste
del concerto. Egli deve essere uno dei primi interlocutori del direttore d’orchestra; a lui il
maestro concertatore rivolgerà le sue indicazioni e richieste esecutive relative alla partitura in
oggetto, prima ancora che il coro inizi le prove di lettura. Il direttore di coro inoltre garantirà
durante lo svolgimento delle prove sotto la guida del direttore d’orchestra il supporto e la
collaborazione necessari; per tutto questo importante e prezioso lavoro, al direttore del coro
andrà tutto il rispetto e la gratitudine del direttore d’orchestra.
I cori amano cimentarsi in questo repertorio per quell’esaltante senso di potenza che esso
genera nei cantori e per l’indicibile soddisfazione che ogni corista avverte nel sentire il proprio
suono sorretto dalla forza sonora di un’orchestra. I cori amatoriali, in particolare, avvertono
quasi un senso di sfida nell’affrontare questa complessa letteratura, che già per la durata e per
l’impegno vocale richiedono uno sforzo notevole per tali complessi; in aggiunta, il confronto con
una realtà per definizione “professionale” quale è l’orchestra, fa sentire l’impegno come
qualcosa di qualificante e gratificante al tempo stesso.
Se ai cori piace cantare con l’orchestra, questo piacere spesso non è ricambiato dalle orchestre
che per lo più non vedono con favore l’accostamento al coro; a parte la naturale rivalità tra i
due complessi, alcuni problemi sono oggettivi: l’orchestra lamenta spesso che il coro – sia esso
professionale o amatoriale – non va a tempo, che rallenta o che ha problemi di intonazione. Il
La letteratura che avverto maggiormente vicina al mio sentire e che prediligo dirigere è quella che
unisce la complessità sonora e la ricchezza timbrica dell’orchestra al calore emozionale e alla
possibilità drammatica della voce umana, in particolare quando essa sia amplificata in una
compagine corale: la letteratura sinfonico-corale, quel vasto repertorio che spazia dal barocco ai
giorni nostri che abbonda di brani molto amati dalle platee e dai cori, si pensi al Messiah di
Händel, al Requiem di Mozart, ai Carmina Burana di Orff o ai Chichester Psalms di Bernstein, e
che, oltre ai titolo più visitati, è ricca di brani di pari bellezza ma di più rara esecuzione. È quella
letteratura che sovrappone la musica “pura” degli strumenti con l’elemento testuale presente nelle
voci; quel logos che determina fin dall’inizio la peculiarità di questa musica a partire dalle scelte
del compositore e che influirà in modo importante anche sulle scelte interpretative del direttore.
Un discorso esaustivo sulla letteratura sinfonico corale e sulle problematiche a essa connesse
implica un esame dei vari generi in cui essa si suddivide, un approfondimento degli aspetti
stilistici legati alle varie epoche e un’analisi dei diversi organici richiesti e del colore vocale e
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coro da parte sua accusa l’orchestra di suonare sempre
troppo forte e di non lasciare passare le loro voci oltre la
barriera sonora strumentale.
I problemi relativi all’intonazione, alla precisione d’attacco e
all’articolazione, possono e devono venir risolti dal coro a
priori, prima delle prove d’assieme con l’orchestra. Un corretto
lavoro condotto dal maestro del coro in fase di preparazione e
dal direttore d’orchestra poi, che punti sul sostegno e
sull’articolazione dei suoni con il rispetto assoluto
dell’intellegibilità e dell’accentuazione naturale del testo, darà
certamente un buon risultato al momento dell’esecuzione
d’assieme. Per quanto riguarda i problemi derivanti dalla
disposizione del coro alle spalle dell’orchestra, in particolare
quando esso si trova dietro alla barriera degli ottoni e delle
percussioni, è importante che il coro sia nelle condizioni di
avere i propri riferimenti sia tra le parti del coro che
dall’orchestra. In alcuni casi si ricorre a pannelli acustici, a dei
Il coro e l’orchestra
sono due compagini
in sé autonome.
monitor e ad altri accorgimenti tecnici. Altri possibili problemi
determinati dalla disposizione e dall’acustica del luogo di
esecuzione vanno studiati per tempo e risolti scegliendo luoghi
adeguati per l’esecuzione, dotati delle necessarie pedane per il
coro e per l’orchestra e di illuminazione adeguata.
Le masse corali coinvolte in queste occasioni sono spesso di
ampie proporzioni, necessitando questo genere musicale di
forza sonora proporzionata al volume dell’orchestra più che
dei pianissimi raffinati del coro a cappella; i piani sonori del
coro, infatti, sono in queste occasioni tutti da relativizzare e
da rapportare alla sonorità generale; a questo riguardo il
direttore, nel bilanciare i piani dinamici del complesso corale e
orchestrale, dovrà essere accorto nel richiedere delle sonorità
molto robuste al coro, perché esso non forzi eccessivamente i
suoni nell’enfasi e nell’intento di passare oltre la sonorità
dell’orchestra, per non rischiare di risultare sgraziato e
sguaiato, ma vigilerà perché esso mantenga sempre costante
la resa vocale anche quando la partitura risulti
particolarmente lunga e faticosa.
Vi sono ottimi direttori d’orchestra che, quando si relazionano
a un coro, pretendono che le voci reagiscano con la stessa
immediatezza degli strumenti, creando non poco sconcerto e
insicurezza tra i coristi; parimenti vi sono maestri che, abituati
a trattare più con le voci che con gli strumenti, al momento
dell’approccio con l’orchestra creano malumori per
l’imprecisione del gesto, manchevole dei necessari riferimenti
convenzionali. Il direttore che si accosti a questa letteratura
deve necessariamente guidare con pari abilità sia il coro che
l’orchestra e conoscerne le rispettive dinamiche ed esigenze.
Guida di indiscussa autorità e responsabile ultimo della buona
riuscita del concerto, il direttore d’orchestra, oltre a essere un
buon musicista, conoscere bene la partitura e possedere una
tecnica direttoriale sicura ed efficace, dovrà anche essere un
buon coordinatore di risorse umane, sempre attento alle varie
esigenze dei gruppi coinvolti, solisti, coro e orchestra, e nel
rispettare la tempistica delle prove e delle pause. Durante le
prove che il direttore farà con il coro prima delle prove
d’insieme, egli darà tutte le necessarie indicazioni musicali
utili all’esecuzione e al contempo starà bene attento alle
reazioni del gruppo per comprendere il tipo di sollecitazioni di
cui esso avrà bisogno in fase esecutiva, cercando di
guadagnarsi la fiducia del coro e fornendo a esso il
necessario senso di sicurezza.
Nel gestire le due masse, corale e orchestrale, nell’intento di
portare tutti in un’unica consonanza, la gestualità del
direttore assume una grande rilevanza in particolare nella
divisione dei compiti affidati alle due braccia e allo sguardo:
dirigendo una partitura corale-sinfonica il direttore guiderà
infatti l’orchestra prevalentemente con la mano destra – la
mano della razionalità – quella che regge la bacchetta,
mentre reggerà le voci e la forza espressiva con la mano
sinistra, la parte del cuore, la mano dell’emozionalità.
Durante il concerto inoltre, il direttore si relazionerà con
l’orchestra con occhiate rapide e precise mentre per il coro lo
sguardo sarà quasi continuo, mirato a creare quel “ponte” di
collegamento che diminuisca la distanza fisica tra coro e
maestro e a guidare con precisione ma anche con garbo la
compagine corale, anticipandone tutte le informazioni
necessarie. Superati i problemi musicali, tecnici e di
comunicazione, il rapporto di fiducia e sicurezza che il
direttore d’orchestra sarà riuscito a instaurare con il coro
risulterà infine determinante alla riuscita del progetto poiché
il coro non è la mera somma di molte persone che cantano
bensì la moltiplicazione della più vibrante delle espressioni
umane: la voce con la sua ineguagliabile carica emozionale.
Essa, unita al caleidoscopico colore orchestrale, può condurre
a quei risultati sorprendenti e addirittura sublimi, capaci di
coinvolgere ed emozionare profondamente l’ascoltatore.
coro e orchestra:
due mondi e due modi
coro
orch
idee, riflessioni e suggerimenti
per una fruttuosa collaborazione
di Alessandro Cadario
direttore di coro
Mettere due mondi a confronto, quello vocale
e quello strumentale così come quello
amatoriale e quello professionale, può essere
davvero molto stimolante.
In primis perché non sempre c’è una netta
distinzione tra un certa qualità musicale e il
fatto che essa sia frutto dell’amatorialità o
della professionalità e, secondariamente,
perché entrambi questi mondi hanno di che
arricchirsi a contatto l’uno con l’altro.
Per un coro che si accinga a realizzare una
produzione con un’orchestra professionale, e
oggi sono sempre di più le realtà amatoriali
che realizzano questo tipo di progetti, ci sono
alcuni suggerimenti che possono semplificare
la “convivenza” e ottimizzare il lavoro.
Scelta dell’ensemble strumentale
e modalità di impostazione del lavoro
In generale, quando si parla di orchestre
professionali, occorre fare una distinzione tra
compagini stabili (in cui i professori sono
assunti dall’ente che gestisce l’orchestra),
ensemble che non sono stabili ma lavorano
insieme con una certa frequenza e sempre
con gli stessi musicisti, e infine gruppi formati
da singoli professionisti che si riuniscono per
un determinato progetto.
Questa distinzione è fondamentale perché
ognuno di questi gruppi orchestrali può avere
un approccio diverso in fase di realizzazione
della produzione stessa.
Non è così comune, ma a volte succede che
cori amatoriali di alto livello si trovino a
realizzare importanti progetti con orchestre
professionali, penso alla meraviglia del Torino
Vocal Ensemble del maestro Carlo Pavese
nella realizzazione della Creazione di Haydn
con i Pomeriggi Musicali di Milano lo scorso
anno.
Nel caso di ensemble costruiti ad hoc per un
progetto, invece, è importante scegliere con
accuratezza i singoli professori.
Come una squadra di calcio funziona bene non
solo se è formata da tutti “fuoriclasse” ma da
giocatori che sanno essere funzionali al loro
dossIER
6
ruolo, così un’orchestra necessita di musicisti che siano funzionali
a quel determinato repertorio e a quel determinato ruolo. In
questo senso affrontare il repertorio antico con un’orchestra
mista di specialisti e non, rende difficile trovare un modo
comune, una pasta di suono accettabile e unitarietà di intenti.
Organico
Nella scelta dell’organico (quanto grande deve essere
l’orchestra) è importante tenere conto di alcuni aspetti.
Un primo aspetto è il numero dei coristi, che sarà
evidentemente proporzionale al numero degli archi; questo a
sua volta dovrà però essere bilanciato con gli eventuali fiati e
le percussioni presenti nella partitura.
Senza poi fermarsi esclusivamente al numero dei coristi, il
direttore deve anche fare un’oggettiva valutazione sulla
vocalità del coro. Volendo ad esempio realizzare una messa
Mettere due mondi
a confronto può essere
davvero molto stimolante.
breve di Mozart con un organico di una ventina di coristi e
una vocalità non particolarmente impostata, possono anche
essere bastanti le parti reali negli archi (anche se questo crea,
nel caso degli strumenti moderni, un più difficile equilibrio
con trombe e timpani). È evidente che optare per un organico
con strumenti originali, nel caso della musica barocca o
classica, lascia più margine al volume sonoro del coro.
Il direttore non ceda quindi alla tentazione di avere una
grande orchestra che poi sarà di difficile gestione nel
bilanciamento dei volumi sonori.
Impostazione e gestione della prova
Molto, nella gestione di una produzione di questo tipo, grava
sulle spalle del direttore che ne deve essere all’altezza in ogni
sua parte.
Di qualunque natura sia il gruppo in questione, per ragioni
economiche, il tempo a disposizione è sempre poco, troppo
poco per ottenere un risultato musicale coeso e convincente.
Mi è capitato, in passato, di assistere a un esecuzione del
Requiem di Mozart durante un importante festival
internazionale nel nord Italia con un direttore d’orchestra di
fama internazionale e un coro “professionale” italiano. Da
subito si è evidenziato che il maestro del coro aveva preparato
i cantori con un’evidente idea della prassi esecutiva, mentre
l’orchestra (con strumenti moderni) era stata preparata con
tutt’altra concezione. Il risultato: soprattutto nelle parti dove
l’orchestra raddoppiava il coro era evidente una tale
discrepanza tra le idee dei due maestri che il risultato (se pur
professionale) non era assolutamente coeso.
Il rapporto tra il direttore d’orchestra e il maestro del coro è
quindi fondamentale soprattutto prima dell’inizio della
preparazione del coro stesso, ed è compito del maestro del
coro sincerarsi delle idee musicali del direttore d’orchestra,
senza farne un’astratta questione di ragione estetica, ma al
fine di lavorare nella stessa direzione musicale.
Nel caso poi più comune tra i cori amatoriali, dove è il
direttore di coro stesso (magari con poca esperienza
orchestrale) a dover condurre il concerto, possono essere di
aiuto alcuni suggerimenti.
Preparazione del materiale dell’orchestra
La preparazione del materiale dell’orchestra (parti staccate
dei singoli strumentisti) è una delle procedure che, se svolta
con rigore e precisione, aiuta a risparmiare molto tempo
prezioso e mette tutti i singoli musicisti nelle condizioni
migliori di lavoro.
Una delle più grandi differenze tra un corista e un orchestrale
(che spesso i direttori di coro sottovalutano) è che, in un
brano a cappella, il coro “legge” la partitura, mentre in un
brano orchestrale i musicisti hanno davanti solo la loro
singola parte. È quindi compito del direttore anche quello di
coordinare il singolo con il gruppo sia in fase di direzione che
in fase di preparazione del materiale stesso.
Un primo aspetto importante è la scelta delle edizioni. Se
l’orchestra ha già il suo materiale di un pezzo, la prima cosa
da verificare è che l’edizione (soprattutto se si tratta di
musica barocca o classica) sia la stessa di quella del coro e,
soprattutto, sia la stessa revisione critica. In secondo luogo
su quel materiale d’orchestra, il direttore dovrà segnare in
anticipo gli eventuali respiri che fa il coro, l’articolazione delle
parti in raddoppio delle voci in relazione alle parole cantate, e
tutti quegli accorgimenti agogico-interpretativi che snelliranno
di molto il lavoro delle prove di insieme.
Prova di lettura con l’orchestra
Qualora possibile, effettuare una prova solo con le prime
parti per archeggiare il materiale, oppure dare al primo violino
il materiale perché lo archeggi e poi distribuirlo su tutti i leggi
già con le informazioni necessarie riportate su tutte gli
spartiti. Ove questo non sia possibile, il direttore di coro deve
sapere che durante la lettura il primo violino dovrà mettere le
arcate e questa operazione, a ogni interruzione, porterà via
un po’ di tempo.
Occorre tener presente altresì che nel caso della musica
vocale la scelta delle arcate è molto importante e delicata nel
rispetto dell’accentuazione della parola. Un chiaro esempio
dove questo equivoco spesso si risolve in un’arcata innaturale
è l’inizio della fuga finale nel Gloria della Grande messa in do
minore di W.A. Mozart “Cum sancto spirito”. Nell’esempio c’è
l’arcata che rispetta il testo ma che spesso viene realizzata
esattamente al contrario.
Organizzazione del piano prove
Il numero delle prove deve essere programmato in maniera
realistica in base alla difficoltà della parte orchestrale e
dell’insieme, conseguentemente al livello del gruppo che si è
chiamato. È chiaro che il gruppo così detto “raccogliticcio”
necessita di un ulteriore lavoro di amalgama per trovare un
modo comune di suonare tra i vari professori d’orchestra che
si incontrano per la prima volta insieme. Tali meccanismi sono
invece ampiamente rodati nel caso di un’orchestra stabile.
In qualsiasi caso è però di fondamentale importanza una
prova di lettura con i soli strumenti. Se il direttore ha le idee
chiare, e ha preparato bene il materiale orchestrale,
permetterà all’orchestra di studiare, durante la prima lettura, i
passi più esposti e delicati per l’intonazione e le note, di
mettere le arcate, di trovare i giusti colpi d’arco per
accompagnare il coro e gli eventuali solisti.
Prova di sala con eventuali solisti
Nel caso di solisti è anche opportuno che il direttore faccia la
così detta “prova di sala” con i cantati solisti prima della
prima prova con l’orchestra.
In questa prova il direttore deve concordare i tempi, i respiri
per preparare poi l’orchestra da subito nella giusta direzione.
Oltre a questo il direttore ha il tempo di spiegare ai cantanti
la propria idea interpretativo-musicale nella massima calma,
evitando quindi i “sermoni” durante le prove di insieme.
Come preparare il coro all’incontro con l’orchestra
Il coro, soprattutto la prima volta, non deve essere spaventato
o intimorito dall’incontro con dei professionisti. Deve invece
trovare la naturalezza, frutto di un’impeccabile preparazione,
per dare il meglio, tenendo sempre ben presente che i
“professionisti” sono anche delle persone e nel fare musica
conta maggiormente il rapporto con la persona che con il
“professionista”.
Nella prova di insieme il coro dovrà però essere molto
professionale nell’atteggiamento, ovvero arrivare senza alcun
dubbio sulle parti e con un estrema attenzione anche quando
il direttore in fase di concertazione interviene sui solisti e
sull’orchestra nel più assoluto silenzio e attenzione.
Luoghi di prova
È auspicabile realizzare le prove di insieme in un luogo non
troppo riverberato che permetta di ascoltarsi con estrema
facilità, questo semplifica di molto il lavoro. È fondamentale
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poi realizzare una prova di assestamento nel luogo del
concerto (che spesso è una chiesa con un’acustica
estremamente riverberante).
La prova di assestamento serve sia per verificare gli spazi che
gli strumentisti necessitano per poter suonare con agio, che
per abituarsi all’acustica e all’equilibrio tra le voci e gli
strumenti (che è la cosa che più spesso viene sacrificata).
Riflessioni finali
Una domanda interessante potrebbe essere: si dirige il coro
come l’orchestra? Come ci si comporta dovendo dirigere coro
e orchestra insieme? Bacchetta si, bacchetta no?
La bacchetta deve essere usata se necessaria e non come
stereotipo dello “scettro” del direttore. Essa ha la funzione di
amplificare il gesto e di renderlo quindi ben visibile in
lontananza, qualora l’organico sia ridotto e la musica non lo
richieda, i direttori sappiano che impugnare la bacchetta fa
perdere alla destra la possibilità di notevoli sfumature che la
mano nuda permette.
Il rapporto tra il direttore
d’orchestra e il maestro
del coro è fondamentale.
Dalla convenzione particolare a quella universale!
Ogni direttore di coro ha una sua gestualità particolare che,
anche se in alcuni casi è incomprensibile dall’esterno,
nell’ecosistema di quel coro funziona perfettamente. Però, nel
momento in cui il direttore si trova a dover dirigere un gruppo
orchestrale con un ridottissimo numero di prove, è evidente
che si impone la necessità di un codice universale.
Questo non è da intendersi necessariamente con un’univoca
tèchne direttoriale, ma come una serie di imprescindibili
conoscenze che permettono ai professori di avere
informazioni inequivocabili sul tempo sulla battuta e sulle
dinamiche.
Questo purtroppo a volte manca da parte dei direttori di coro,
ma niente paura: fortunatamente le importanti nozioni di base
non necessitano di un lunghissimo e difficile iter.
Si può quindi lanciare un’idea, più che un appello: chi vorrà
realizzare un corso di direzione di coro pensi alla possibilità di
inserire anche alcuni strumenti o una piccola orchestra.
Buona musica a tutti!
dossIER
8
Interpretazione, immagine sonora e strumenti musicali
nella concertazione della musica polifonica del tardo Rinascimento
di Davide De Lucia
direttore dell’associazione per la musica rinascimentale a . orologio
Un problema non trascurabile
nell’interpretazione della musica antica,
soprattutto quando essa preveda
l’impiego di strumenti e in particolar
modo di quelli a intonazione fissa,
riguarda la scelta del diapason di
riferimento e del tipo di accordatura da
utilizzare. Come è noto la convenzione
internazionale che stabilisce il la3 a 440
hz è molto recente. Se consideriamo che
ancora durante la metà dell’Ottocento tra
importanti città d’Europa come Parigi,
Vienna e Londra c’erano differenze di
diapason di 30 e 40 hz possiamo capire
come, andando ancora più indietro nel
tempo, le differenze fossero grandi, e non
solo tra aree geografiche lontane, ma
anche all’interno della stessa regione e
non di rado della stessa città.
Questo problema era spesso determinato,
per quanto riguarda la musica sacra
accompagnata, dal fatto che a stabilire il diapason fosse l’organo che aveva intonazione fissa e non poteva
essere cambiato. Durante il XVI secolo i diapason erano sicuramente molto diversi arrivando anche a un tono e
oltre di differenza. Studi fatti sugli strumenti a fiato del tardo Rinascimento, e rilievi compiuti su organi storici,
portano a concludere (sebbene nell’Italia centrale e meridionale ci siano testimonianze discordi) che il diapason
italiano dell’epoca fosse mediamente più alto rispetto a quello odierno, e collocabile tra i 450 e i 460 hz.
Per le esecuzioni di musica rinascimentale con strumenti antichi oggi si usano fondamentalmente due diapason:
440 o 466 hz. Questa scelta trae origine da alcune considerazioni: gli strumenti a intonazione fissa come organo
e clavicembalo possono, quando siano costruiti a tale scopo, passare da un diapason all’atro semplicemente
scalando la tastiera di un semitono verso l’alto in quanto 466 hz corrispondono esattamente alla nota sib e
quindi un semitono sopra. Un’altra tesi a favore risiede nel fatto che certi strumenti, come ad esempio i cornetti,
funzionano ancora meglio se più corti, e quindi con un diapason più alto. Ciò non significa che 440 o 466 hz
siano i diapason più corretti e in assoluto ideali, ma semplicemente rappresentano il compromesso per certi
aspetti più ragionevole e pratico.
Spesso infine si finisce per scegliere il 440 hz semplicemente per la difficoltà oggettiva di trovare strumenti a
466 hz: infatti negli ultimi tempi è un po’ più facile reperire organi alti, ma fino a non molti anni or sono gli
strumenti erano pensati per poter scendere a 415 hz, come d’uso nella musica barocca, ma non per salire.
Una seconda questione importante riguarda la scelta del temperamento da adottare. Qualora ci siano solo
strumenti a intonazione fissa la scelta non comporta problemi in quanto, non dovendo interagire con altri tipi di
strumenti, l’organo o il clavicembalo posso essere accordati con qualunque temperamento purché storicamente
corretto. In tal senso quando vi sia solo l’organo i temperamenti più adatti sono forse quelli regolari, in
particolare il mesotonico a un quarto di comma. Infatti, presentando otto terze maggiori pure e tutte le quinte
regolari, questo temperamento conferisce agli accordi un carattere stabile e luminoso, permette alle voci, dopo
una breve fase di assestamento, di trovare facilmente una naturale intonazione e caratterizza bene le diverse
situazioni armoniche.
Cosa del tutto diversa quando a interagire con l’organo ci siano anche altri strumenti: si apre infatti in questo
caso una questione mai completamente risolta. Il
teorico veneziano Zarlino (Sopplementi musicali,
1588) divide gli strumenti in tre gruppi: quelli stabili
– organo, arpa, cembalo – quelli alterabili – tromboni
e viole senza tastatura – e quelli stabili ma alterabili
– flauti, cornetti, viole da gamba e liuti – e sostiene
che, pur avendo diverse nature e intonazioni, tutti
possano suonare insieme a condizione che gli
esecutori siano capaci di “accomodare” le differenze.
Certo è che se strumenti come cornetti e flauti hanno
un discreto margine di correzione ben altra cosa
accade a viole tastate e liuti. Questi strumenti
nascono infatti fondamentalmente equabili, vale a
dire con la divisione regolare dei semitoni, e
testimonianze come quelle di Nicola Vicentino
(L’antica Musica ridotta alla moderna pratica, 1555) o
di Vincenzo Galilei (Dialogo della musica antica e
moderna, 1581) precluderebbero loro, a causa dei
problemi di intonazione, la possibilità di suonare con
gli altri.
Senza entrare nel merito di un argomento troppo
tecnico la storia, dando ragione a Zarlino, riporta che
comunque gruppi costituiti da tastiere, flauti, liuti e
viole da gamba suonassero insieme normalmente e
fossero anzi assai diffusi, tanto più che questa pratica
continuò fino al XVIII secolo. L’accortezza oggi risiede
forse nel trovare, a seconda dei casi, un giusto
compromesso. Dunque si può usare un temperamento
più rigoroso come il mesotonico a un quarto di
comma qualora le tonalità lo consentano e quando
l’organo interagisca solo con tromboni, cornetti e
viole da braccio, mentre lo si può ammorbidire un
poco usando un temperamento regolare a un quinto o
un sesto di comma quando siano presenti anche viole
da gamba, liuti e chitarroni, e chiedendo a questi
strumentisti di adattare quanto possibile i legacci e
l’intonazione.
Un altro importante problema che si deve affrontare
quando si concerta la polifonia cinquecentesca con
strumenti antichi riguarda il coro. Dalle parti originali,
a eccezione di quei casi in cui sia chiaramente
esplicitato, raramente è possibile stabilire se le linee
vocali siano da affidare a solisti o a un gruppo di
persone più allargato. Se analizziamo alcune
composizioni policorali, concertate o meno, di fine
Cinquecento (a titolo di esempio Kyrie e Gloria dai
Concerti, 1587 di Andrea Gabrieli, Quem vidistis
pastores e Salvator noster dalle Symphoniae Sacrae,
1615 di Giovanni Gabrieli, la Sonata a 20 Dulcis Jesu,
Patris imago sempre di Giovanni Gabrieli, i Salmi a
quattro chori, 1612 di Viadana) vediamo come, al di là
delle indicazioni precise che riportano, sia tutto
sommato un po’ più semplice identificare quali parti
vadano affidate a solisti e quali al coro. Possiamo
vedere come in alcune di queste composizioni ci siano
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anche dettagliate indicazioni di strumentazione e di
esecuzione. Ma di norma nelle composizioni vocali
rinascimentali non è possibile stabilire se le parti
vocali siano solistiche o richiedano un gruppo corale
più o meno grande. In questo senso non si può che
intervenire con una scelta interpretativa personale che
tenga conto esclusivamente della storicità,
dell’aderenza alle convenzioni musicali di quel
particolare momento storico e dell’immagine sonora
che si vuole ottenere. Sicuramente affrontare la
polifonia antica soltanto con solisti offre dei grandi
vantaggi di pulizia, intonazione, trasparenza ed
espressione. Ma in certi momenti la parte reale – la
singola voce per linea melodica – soprattutto in
ambienti medio grandi può dare l’impressione di
povertà, di suono troppo piccolo e, qualora vi siano
degli strumenti in raddoppio o in sostituzione, se
l’equilibrio non è davvero perfetto la sensazione è
spesso quella che ci siano scollamenti e che qualcosa
prevalga sull’altra. Per contro i gruppi corali troppo
numerosi non sono adatti alla musica rinascimentale
così come a quella barocca.
Le prerogative fondamentali di questa musica sono la
trasparenza, la definizione, la freschezza e i disegni
imitativi: diventa estremamente complicato e non
gestibile, oltre che sbagliato storicamente, affrontare
quel repertorio con una massa di suono troppo
grande e scuro, e che per sua stessa natura, anche in
presenza dei coristi più bravi, diventa pesante, lento e
per nulla trasparente. Forse la considerazione migliore
dossIER
10
è che la polifonia rinascimentale funzioni bene quando è
affrontata da singoli cantori in ambienti non troppo
grandi, o da un nucleo di tre o quattro coristi per
singola parte in ambienti più grandi. Al contrario
mettere due soli cantori per voce, a condizione che non
si tratti di professionisti di livello, vocalmente simili e
abituati a cantare insieme, è sempre piuttosto
pericoloso per l’intonazione e la fusione.
Un altro problema di non facile soluzione riguarda le
tessiture vocali nella polifonia rinascimentale: se infatti
da un lato l’estensione delle voci nel coro barocco e
nella musica del XVIII secolo è già confrontabile con
quella del coro moderno e le parti sono codificate in
modo abbastanza chiaro e uniforme, nel Rinascimento
non è assolutamente così. O meglio, c’è abbastanza
uniformità per quanto riguarda l’estensione delle voci
maschili gravi, anche se in certi casi ci si presentano
come molto gravi o molto acute, ma è tutt’altra cosa per
quello che riguarda le voci superiori. Infatti nell’estetica
della musica sacra rinascimentale il ruolo di cantus era
sempre ricoperto da voci bianche o da voci maschili che
usavano il falsetto mentre l’altus era prerogativa dei soli
controtenori.
I problemi maggiori in realtà non si incontrano tanto con
il cantus che tutto sommato, tranne alcuni casi, può
essere abbastanza ben affrontato dai soprani moderni,
quanto con l’altus: spesso infatti tale voce ha
un’estensione che può andare dal re2 al la3 (ma anche
re3) e non è affrontabile praticamente da quasi nessun
contralto moderno. Per i gruppi di professionisti il
problema non si pone in quanto i ruoli – spesso anche
quelli di cantus – vengono assegnati ai falsettisti che, a
seconda dei casi, cambiano normalmente di registro.
Il problema nasce spesso nei cori a carattere non
professionale: le soluzioni che si possono adottare in
questi casi (scambi di parti, tenore e contralto che
cantano insieme, tenori che cantano di testa,
spostamenti di ottava di alcune note) non sono mai
completamente e realmente efficaci e finiscono sempre
per snaturare la trama e l’equilibrio della polifonia.
Infatti alcune voci, al contrario di altre, si troveranno a
cantare in situazioni molto scomode e che
compromettono pesantemente l’omogeneità del suono e
l’equilibrio.
Un artificio comunque discutibile ma forse più pratico
ed efficace consiste, dove la tessitura delle altre voci lo
consenta, nel provare a spostare il diapason di
riferimento facendo sempre comunque attenzione a
rispettare il principio vocale rinascimentale che vuole,
salvo casi eccezionali, che le voci cantino nel loro
registro medio. Una questione molto importante
riguarda anche il tipo di suono e di articolazione che si
vuole ottenere da un coro nell’esecuzione della polifonia
cinquecentesca quando siano presenti gli strumenti o
quando li si vogliano aggiungere in raddoppio.
Molti trattatisti dell’epoca – Maffei, Zacconi, Finck,
Troiano, Praetorius – ci riportano la stessa idea: il suono
del cantore, e di conseguenza del coro, deve essere
morbido e piacevole, senza sbalzi o ineguaglianze di
registro, con un naturale vibrato mai forzato, e
l’attenzione principale deve essere sempre rivolta alla
chiarezza, alla purezza dell’emissione e all’equilibrio.
Nell’aggiungere strumenti in raddoppio alle voci può
capitare facilmente che questi prevalgano su quelle: si
deve dunque prestare la massima attenzione a cambiare
soltanto il colore mantenendo la stessa chiarezza,
curando la fusione in modo omogeneo ed evitando
quegli squilibri che possono verificarsi soprattutto nelle
dinamiche estreme.
Un altro aspetto chiaramente affrontato dai trattati è
quello che riguardano la perfetta articolazione delle
parole, e la costante attenzione alla corretta pronuncia
di vocali e consonanti. Qualunque tipo di interpretazione
si voglia dare, bisogna prima di tutto avere ben
presente che nella polifonia rinascimentale la parola ha
un ruolo chiave, fondamentale, e che il testo deve
essere pronunciato e accentato correttamente e deve
assolutamente sempre essere comprensibile.
Una delle cose che possono accadere in fase di
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concertazione aggiungendo strumenti di raddoppio, in particolare cornetti e tromboni, è che
questi ultimi “mangino” un poco le consonanti: è necessario allora prestare la massima
attenzione a che il testo rimanga comprensibile ed eventualmente correggere il difetto con una
maggior pronuncia delle stesse.
L’agilità nella tecnica vocale rinascimentale deve essere sempre leggera, precisa e mai forzata e
di conseguenza le frasi musicali fiorite da passaggi melismatici devono trovare sempre una
direzione e devono essere portate a conclusione senza pesantezza e fatica. L’idea di vocalità
antica per certi versi è esattamente contraria a quella che è insegnata oggi, vale a dire più si
sale nel registro acuto più l’attenzione deve essere rivolta a cantare un poco meno forte e senza
accenti.
Un altro aspetto significativo affrontato dai trattati riguarda la qualità di suono e l’articolazione
necessarie a rendere chiara la polifonia imitativa e le entrate delle varie voci per poter ottenere
“una elegante e perfetta fuga”. Il suggerimento offerto è quello che le voci negli ingressi imitati
siano ancora più chiare e distinte del solito, e che ogni nuovo ingresso debba essere proposto
nello stesso modo, con la stessa intenzione e senza che nessuno emerga dal tessuto polifonico:
al contrario alcuni suggerisco che le voci già entrate diminuiscano impercettibilmente la loro
intensità per far meglio respirare e rendere più chiari i nuovi ingressi.
Ascoltare il timbro, il fraseggio, l’emissione e l’articolazione degli strumenti rinascimentali,
quando ben suonati, è di grande aiuto per un gruppo corale, anche di alta qualità, per
avvicinarsi ancora di più a quella particolare estetica. Nell’esecuzione della polifonia con
strumenti antichi è infatti fondamentale riuscire a trovare il corretto equilibrio e rapporto di
suono, e la medesima intenzione tra strumentista, solista e coro, soprattutto quando gli
strumenti non eseguono parti indipendenti ma raddoppiano esclusivamente quelle vocali.
Una questione che solleva sempre molti problemi riguarda l’ideale sonoro che si vuole
raggiungere con l’inserimento degli strumenti nelle composizioni polifoniche. I problemi nascono
infatti da una ricerca di equilibrio sonoro che non è mai facile da trovare: sarebbe dunque un
errore pensare che gli strumenti, purché antichi, possano essere introdotti con assoluta
intercambiabilità.
Certo è possibile trovare molte eccellenti combinazioni e in questo le testimonianze delle
composizione polifoniche già orchestrate dai compositori del tardo Rinascimento ci offrono molti
suggerimenti e spunti di riflessione. Bisogna dunque fare attenzione nel ricostruire un’immagine
sonora a non commettere in certi casi l’errore di affidarsi alla suggestione e al gusto moderno
Ascoltare il timbro, il fraseggio, l’emissione
e l’articolazione degli strumenti rinascimentali
è di grande aiuto per un gruppo corale.
per così dire, e a non creare delle combinazioni che pur usando strumenti rinascimentali, di
estetica rinascimentale non hanno molto e male si fondono tra loro. L’idea è dunque quella che
non sia sufficiente l’impiego dello strumento antico, ma che l’adattamento musicale, la
strumentazione, risponda a un criterio di autenticità e di aderenza storica a un ideale sonoro.
Sembra dunque interessante vedere molto brevemente quali strumenti venissero usati nella
polifonia e nella musica concertata del tardo Rinascimento e del primo Seicento, e analizzare le
loro caratteristiche principali per poterne formulare alcune ipotesi di impiego.
Nei secoli XVI e XVII la famiglia dei flauti è costituita da molti strumenti, dritti e traversi, ma
senza dubbio il più importante è il flauto dolce. Questi strumenti hanno otto fori e sono costruiti
normalmente in bosso e acero, più raramente in legni da frutto come pero e ciliegio, ancora più
raramente in ebano e avorio. Va ricordato che contrariamente a quanto si potrebbe immaginare
il legno di costruzione non incide in modo significativo sulla qualità del suono. Al contrario la
forma della cameratura, cioè della forma interna del tubo sonoro, influisce in modo
dossIER
12
determinante. Gli strumenti del primo
Rinascimento hanno di solito fori grandi,
camerata larga e cilindrica, cioè a diametro
regolare per tutta la lunghezza: questo
conferisce allo strumento un suono rotondo e
con buona potenza anche nel registro più
basso.
Gli strumenti descritti nei più importanti
trattati del primo Cinquecento – Agricola,
Virdung e Ganassi – sono fondamentalmente
di tre taglie: soprano in sol, tenore in do e
basso in fa. Questo lascia presupporre che le
parti di contralto fossero normalmente
realizzate con il tenore o, qualora fossero
particolarmente acute, con il soprano. Già
meno di un secolo dopo Praetorius, nella
seconda parte del Syntagma del 1619 porta le
taglie a sette. Il loro utilizzo come raddoppio
di una parte vocale, sia nella tessitura reale
che in quella all’ottava, deve essere usato
con prudenza e attenzione in quanto
comporta spesso problemi di intonazione e di
omogeneità. Tutti i flauti suonano
normalmente un’ottava sopra le note che
leggono: di questo fatto si deve tener conto
in sede di concertazione.
La bombarda è uno strumento ad ancia
libera, ha cameratura cilindrica, sei fori e una
buona estensione che può raggiungere le due
ottave. Esisteva in molte taglie, Praetorius ne
descrive sette, dal contrabbasso in fa di quasi
tre metri al soprano in la di circa quaranta
centimetri. Questo strumento presenta una
sonorità potente, particolarmente adatta
all’aperto per l’esecuzione di musica
strumentale. Il suo uso in combinazione con
le voci è ampiamente diffuso dal Medioevo a
tutto il XV secolo. Nella musica sacra del
secolo successivo viene però
progressivamente sostituito da strumenti con
maggiori possibilità dinamiche ed espressive.
Tuttavia sempre Praetorius consiglia quando
possibile di usare una bombarda
contrabbassa a rinforzo della parte più grave
nelle esecuzioni di musica concertata con
molti cantanti e strumenti.
La dulciana o fagotto è molto probabilmente
uno strumento derivato dalla bombarda ma
dalla quale si discosta molto per le
caratteristiche e soprattutto per la dolcezza, la
morbidezza e l’eleganza del suono. La grande
idea che ne sta alla base, cioè il ripiegare lo
strumento a metà attraverso due tubi paralleli
scavati nel medesimo blocco di legno e
collegati tra loro da un’apertura sul fondo,
permette di avere a disposizione uno
strumento molto più maneggevole in quanto a
parità di estensione e lungo la metà di una
bombarda. Le primissime notizie che se ne
hanno risalgono circa ai primi vent’anni del
Cinquecento ma è più logico pensare che lo
strumento sia entrato nell’uso comune dalla
metà dello stesso secolo quando lo si
comincia a trovare normalmente citato:
sarebbe dunque un errore utilizzarlo nelle
composizioni più antiche. Lo strumento si
presenta in molte taglie e si presta a suonare
molto bene in raffinati consort. Altresì,
fondendosi naturalmente con esse, raddoppia
in modo eccellente soprattutto le voci maschili
in tutta la polifonia del tardo Rinascimento.
Gli strumenti più adatti a essere impiegati nel
raddoppio, nel rinforzo o nella sostituzione
delle parti vocali nella musica polifonica del
Cinquecento sono probabilmente il cornetto e
il trombone.
Il cornetto è stato senza dubbio lo strumento
più importante durante tutto il XVI secolo e,
avendo raggiunto possibilità tecniche ed
espressive straordinare, era lo strumento dei
virtuosi. Si tratta di un ibrido tra gli ottoni e
uno strumento a fiato di legno: con i primi
condivide il bocchino, ma molto più piccolo e
di solito di corno, mentre con i secondi la
presenza di fori e l’essere fatto di solito di
legno. Lo strumento si presenta normalmente
di due tipi, dritto e curvo. Il cornetto curvo ha
sezione ottagonale, cameratura cilindrica, ed
è costituito da due parti che vengono
ricoperte di pelle per evitare perdite: questa
caratteristica gli fece prendere il nome di
cornetto nero. Il cornetto dritto era invece
ricavato di solito da un unico blocco di legno,
pertanto non veniva ricoperto di pelle e di qui
il nome di cornetto bianco. Poteva avere il
bocchino separato dallo strumento come il
cornetto curvo, o ricavato direttamente dentro
lo strumento: in questo secondo caso il
cornetto si chiamava muto. La differenza
fondamentale tra i due strumenti risiede nel
tipo di suono, più squillante, chiaro e aperto
nel primo, più morbido e dolce nel secondo.
Esisteva in diversi tagli ma il più diffuso
andava dal la2 nel grave fino al la4 nell’acuto,
che poteva arrivare al re5 e anche al fa5 a
seconda della bravura dello strumentista. La
supremazia del cornetto sugli altri strumenti è
sicuramente dovuta alla sua capacità di
imitare la voce umana e di fondersi con essa,
alla possibilità di suonare pianissimo o molto
forte, alla grande agilità e alla straordinaria
capacità di diminuzione e ornamentazione.
Nell’esecuzione della polifonia rinascimentale il
cornetto può normalmente raddoppiare la linea
del soprano o anche del contralto qualora
quest’ultima non fosse troppo bassa,
sovrapponendosi a essa o anche sostituendola.
Il tipo di cornetto da utilizzare dipende dal
colore d’insieme che si vuole ottenere e la
scelta è dunque subordinata a una particolare
idea sonora. Del tutto soggettivo e
discrezionale è anche l’uso dell’ornamentazione
e della diminuzione. In questo caso la
trattatistica antica non ci aiuta fino in fondo in
quanto spesso le testimonianze sono
contraddittorie: infatti alcuni sostengono che il
raddoppio non debba essere mai diminuito per
lasciare la linea vocale pura e per far intendere
bene le parole, mentre altri sostengono al
contrario che la diminuzione arricchisca e
impreziosisca l’esecuzione e che debba essere
praticata normalmente.
Il trombone rinascimentale è profondamente
diverso dallo strumento moderno. Era nato
probabilmente come basso della tromba
naturale ma superava tutte le limitazioni e le
difficoltà tipiche di quella con l’aggiunta di
una coulisse che permetteva di modificare la
lunghezza del tubo sonoro. Era il primo
strumento, che non fosse l’organo, ad avere
tutte le note cromatiche nel registro grave, e
poteva così raddoppiare eccellentemente le
voci nel registro di tenore e basso. Rispetto
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allo strumento moderno è molto più leggero,
ha una cameratura più stretta e un padiglione
più piccolo. Questo gli conferisce agilità e una
sonorità morbida che si fonde perfettamente
con le voci ma al tempo stesso, quando
necessario, può essere forte e brillante. Le
sue caratteristiche lo rendono ideale tanto
come basso di strumenti a fiato come i
cornetti e le bombarde, quanto per i violini e
le viole. Nel repertorio rinascimentale si
trovano di consueto viole e tromboni in parti
intercambiabili, e ancora in età monteverdiana
si trova normalmente l’indicazione viole
ovvero tromboni, a indicare l’assoluta
discrezionalità da parte dell’esecutore. I tagli
del trombone sono tre: senza dubbio il più
antico è il tenore in sib (per quanto sia
difficile definire la vera intonazione a causa
del diapason variabile) usato già dal tardo
Medioevo. Con lo sviluppo della polifonia e
con il conseguente allargamento delle
tessiture vennero poi costruiti prima il basso
e per ultimo il contralto. L’estensione di questi
strumenti è molto grande e arriva a coprire
anche due ottave e una quinta ma la
Le prerogative fondamentali
di questa musica sono la
trasparenza, la definizione, la
freschezza e i disegni imitativi.
consuetudine vuole che vengano usati
nell’estensione naturale delle voci preferendo,
come è regola normale nell’estetica antica,
non spingere lo strumento ai suoi limiti
estremi ma sostituirlo di volta in volta con
uno più grande o più piccolo.
Nel XVI secolo gli strumenti ad arco erano
spesso indicati con il termine generico di
viole da braccio e viole da gamba. I termini
da braccio e da gamba indicavano in origine il
modo in cui erano tenuti gli strumenti: le
viole da gamba più grandi erano tenute tra le
gambe mentre gli strumenti più piccoli erano
comunque appoggiati sulle cosce. Le viole da
braccio, in origine più piccole, erano
appoggiate sul petto e manterranno questo
nome anche quando, di maggiori dimensioni,
si suoneranno tenendole tra le gambe come il
violoncello. Gli strumenti che vanno sotto il
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nome di viole da braccio possono essere
riassunti, forzando un po’ il concetto e
ricordando che comunque esisteva una
varietà enorme di strumenti diversi, nei
moderni violino, viola e violoncello. Per
quanto riguarda gli strumenti da gamba, fatte
le stesse premesse, potremmo dire che
esistono fondamentalmente tre taglie, il
basso, il tenore e il soprano, mentre lo
strumento più grave della famiglia è il
violone. Non entriamo nel merito delle
accordature e delle estensioni di questi
strumenti, argomento che richiederebbe una
lunga trattazione, ma sottolineiamo le
differenze fondamentali tra gli strumenti da
gamba e quelli da braccio, ricordando
comunque che ancora alla fine del
Cinquecento c’era molta ambiguità nel
definirli. Gli strumenti da braccio hanno fasce
laterali basse, spalle rotonde, fondo non
inclinato, fori armonici a f, tastiera stretta e
senza tasti, normalmente quattro corde
abbastanza grosse accordate per quinte. Gli
strumenti da gamba hanno grandi fasce
laterali, spalle spioventi, fondo inclinato, fori
armonici a C, tastiera larga con i tasti ricavati
con legacci di budello, sei corde sottili (ma il
numero poteva variare da quattro a sette)
accordate per quarte con una terza maggiore
centrale. Un’ulteriore differenza risiede nel
modo di tenere l’arco. Queste caratteristiche
conferiscono alle due famiglie di strumenti
timbri profondamente diversi: da un lato le
viole da braccio suonano in modo più
robusto, più definito e con un attacco più
netto, dall’altro le viole da gamba hanno un
suono più nasale e dolce, e il loro attacco è
più morbido.
Nella scelta degli strumenti da utilizzare nella
concertazione ancora una volta si deve partire
dalla considerazione di quale ideale sonoro si
voglia perseguire. Un consort di viole da
gamba si presta molto bene a raddoppiare le
linee vocali di un piccolo gruppo a parti reali
o costituito da pochi coristi per singola parte,
e soprattutto per la polifonia della prima
parte del XVI secolo, senza con questo voler
escludere sicuramente quella successiva, e
senza nemmeno escludere la presenza di
strumenti a fiato. Per contro le viole da
braccio e i violini, in combinazione con
cornetti e tromboni, rappresentano un’ideale
formazione per l’esecuzione della musica di
scuola veneziana, in particolare quella
policorale e concertata, della seconda metà
del Cinquecento e della prima metà del
Seicento. Nel XVI e ancor più nel XVII secolo il
basso continuo costituisce probabilmente,
tanto nella musica sacra che in quella
profana, il nucleo fondamentale dell’orchestra.
Nella musica sacra del Cinquecento, quando
accompagnata, sicuramente il principale
strumento di base è l’organo, normalmente
quello presente in chiesa, cui possono
affiancarsi strumenti a pizzico come liuto,
arciliuto e chitarrone: questi ultimi due
strumenti derivati dal liuto hanno dimensioni
più grandi e sviluppano una maggior
estensione verso il registro grave. A questi si
può aggiungere uno strumento basso come
un violone o un trombone.
Nelle grandi composizioni del primo Seicento
il nucleo del basso continuo si moltiplica
considerevolmente: non è strano pensare a
organici costituiti da due clavicembali, due
organi, arpa, diversi strumenti della famiglia
dei liuti, normalmente quelli di grandi
dimensioni come arciliuto, chitarrone e tiorba,
più tutti gli strumenti bassi come violone,
viola da gamba, trombone e dulciana.
In conclusione possiamo dire dunque che i
problemi nella concertazione della polifonia
con strumenti antichi sono molteplici: da un
lato è necessario risolvere gli aspetti tecnici
legati agli strumenti, alle voci e alle partiture,
dall’altro sono fondamentali il rispetto della
prassi esecutiva antica e delle intenzioni
originali, e l’aderenza a un’estetica sonora
multiforme e variegata ma al tempo stesso
molto precisa. Tutto questo senza
naturalmente perdere di vista una
considerazione fondamentale: «Ogni
esecuzione effettuata con strumenti originali
e secondo i criteri della prassi esecutiva
storica, data la distanza cronologica che ci
separa dal momento della composizione, è
soltanto in realtà un tentativo di ricostruzione
e costituisce a pieno titolo un’interpretazione
del XX secolo dei brani proposti, non
certamente una loro asettica riproposizione».
(Nikolaus Harnoncourt)
Illustrazioni tratte da
M. Praetorius, Syntagma Musicum, 1620.
la concertazione
nella musica
vocal-pop
di Andrea D’Alpaos
direttore dei joy singers
music
vocal
Da qualche anno in Italia, in ambito corale, si
assiste a un crescente interesse per alcuni
generi musicali che non appartengono alla
nostra tradizione musicale: escursioni nel
pop, jazz, soul e gospel sono sempre più
frequenti anche nel repertorio di cori con
solida tradizione classica alle spalle.
Le riflessioni che seguono non possono
essere esaustive, considerando la complessa
e variegata situazione nel panorama corale
italiano. Inoltre, non ho certo la competenza
di un fonico o di un tecnico del suono per
poter offrire illuminanti risposte. Ho quindi
pensato di dividere il tema in piccoli sottotemi, evitando “verità assolute” a vantaggio
di brevi considerazioni che, spero, possano
servire come spunti per poter lavorare per un
miglioramento tecnico-artistico.
Concentriamo ora l’attenzione sulla musica
vocal-pop, nostro tema specifico.
Band
La banda, il gruppo, l’ensemble strumentale.
Spesso si crede che mettere insieme qualche
strumentista rock/pop sia già sufficiente a
dare un’impronta pop al coro. Ho riletto
l’etimologia della parola “concerto” che ha
una doppia origine latina: conserere che
significa “legare insieme, unire” e concertare
che significa “combattere, lottare”. Spesso si
ha l’impressione che questo secondo
significato venga preso alla lettera… e il
povero direttore, suo malgrado, si trovi in
mezzo alla battaglia! Ritengo fondamentale
che il direttore di un coro chiarisca da subito
e sottolinei che gli strumentisti sono sempre
al servizio del coro.
Interplay
Oggi va molto questo termine inglese. Esprime
l’affiatamento, lo scambio emozionale, la
predisposizione a cogliere ciò che gli altri
stanno esprimendo. Questa complicità, vero e
proprio dialogo, deve estendersi alle voci del
coro. Perché ciò avvenga, bisogna preparare
con cura un linguaggio comune, senza
dimenticare che tale linguaggio dovrà essere
compreso dal pubblico. Ogni strumento sarà
allora un valore aggiunto e non un’interferenza
nella comunicazione.
dossIER
16
Il Coro Accademia
Feniarco
Faccio un esempio di scelta “dannosa per l’esecuzione”: una
frase veloce in semicrome del coro viene accompagnata da
basso elettrico e batteria che sovrappongono altrettante note,
magari con accenti diversi, togliendo così chiarezza ed
espressività alle voci.
Un altro esempio è quando un chitarrista accompagna il coro
come se dovesse fare un assolo o quando il direttore concede
troppi assoli agli strumenti, relegando il coro a un ruolo di
quinta teatrale. Con gli arrangiamenti strumentali bisogna
sempre lavorare per “sottrazione”. Più leggera sarà la
struttura che accompagna, più valorizzato sarà il materiale
corale.
Arrangiamenti
È altresì ovvio che gli arrangiamenti vocali dovranno essere
funzionali allo stile e tenere presente che avranno una cornice
strumentale. E qui c’è un errore frequente nella preparazione
del repertorio. Spesso i direttori propongono delle “covers”,
brani ben noti, con un nuovo arrangiamento che risente di un
tipo di scrittura classica o popolare. I brani perdono così gli
elementi ritmico-espressivi propri della musica pop.
Amplificazione
È il vero punto di partenza di tutti i problemi legati alla
concertazione. Stiamo parlando di musica amplificata; qui
l’argomento assume infinite sfumature o possibili risposte.
L’uso di strumenti elettrici implica la necessità di amplificare il
coro. Purtroppo, e non solo per limitare i costi, si pensa che
per il coro basterà piazzare due microfoni “panoramici” al
centro. Il risultato più frequente è di avere delle belle voci
trasformate in un suono “inscatolato” che sembra uscire da
una radio anni ’40.
A questo punto il gruppo vocale dovrà analizzare i propri
obiettivi e organizzare il proprio repertorio di conseguenza.
Un vero salto di qualità ci sarà solo attraverso un
investimento economico e di energie, per sperimentare le
soluzioni tecniche più adatte ai propri mezzi vocali e alle
proprie ambizioni.
Tecnico del suono
Il primo passo è di creare una collaborazione stabile con un
tecnico del suono che sia in sintonia con le esigenze
espressive del coro. Una collaborazione stabile consente una
conoscenza approfondita delle singole voci e del repertorio da
parte del tecnico che potrà così metterne in luce le qualità e
sopperire a eventuali carenze tecnico-vocali.
Senza questa sintonia e chiarezza d’intenti, diventa inutile
anche la possibilità di disporre di un super impianto audio
con mixer da 32 canali e addirittura un microfono per ciascun
corista!
17
Sound check
Altra parola inglese che significa “controllo del suono”, ma
più propriamente esprime quell’ora di stress e angoscia nella
quale, prima di un concerto, si cerca disperatamente di dare
un equilibrio a tutti i suoni che escono dagli amplificatori e
casse audio.
È inutile sottolineare l’importanza del sound check per la
riuscita della concertazione tra strumenti e coro e quindi del
concerto stesso. E ancora si torna al concetto di dialogo tra i
diversi elementi.
Considerando la massima disponibilità di mezzi, ci troveremo
a gestire molteplici fonti sonore: all’esterno del palcoscenico
le casse audio mandano il suono al pubblico, ma questo
suono è comunque percepito dagli esecutori, sommandosi al
suono prodotto sul palcoscenico; all’interno una giungla di
monitor che consentono l’ascolto amplificato sul palcoscenico.
Ogni strumentista avrà una fonte sonora che miscelerà il
proprio e l’altrui suono. Il coro avrà dei monitor (generalmente
da due a cinque) per ascoltare la propria voce e il suono degli
strumenti. Se per il coro si usano microfoni “panoramici”,
diventa più difficile la gestione dei monitor perché il suono
rientrerà nei microfoni creando irrisolvibili problemi acustici.
E si torna al concetto di sottrazione. Ogni strumento si mette
a servizio del gruppo riducendo al minimo l’esigenza di
“sentire bello alto il suono”…
Si può adottare la soluzione delle audio-cuffie, che riducono a
zero l’impatto sonoro sul palcoscenico ma che rischiano di
isolare acusticamente ciascun strumentista.
Da queste considerazioni risulta evidente come, per la musica
vocal-pop, sia fondamentale l’aspetto tecnico.
Prove
Non sempre i cori hanno a disposizione una sede adatta a
ospitare anche la band, ma per un buon risultato è
auspicabile che si lavori il più possibile insieme allo scopo di
creare quel linguaggio comune sopraccitato. Inoltre il coro si
abituerà a cantare accompagnato, superando così il disagio
psicologico dei suoni percepiti come interferenza alla propria
emissione vocale. Un problema tipico è quello del fraseggio:
la band generalmente suona in maniera molto
compatta”appoggiandosi” alla sezione ritmica, cioè basso e
batteria; non è abituata a seguire il coro che, nel suo
fraseggiare, ha spesso delle notevoli oscillazioni
metronomiche.
Un’ultima considerazione.
Sia che si tratti di un gruppo vocal-pop con grande
disponibilità di materiale tecnico, o di un gruppo che
proponga una soluzione unplugged (letteralmente: “senza
spina”), cioè acustica con coro non amplificato e strumenti
amplificati al minimo, l’augurio è che si riesca a considerare e
avvicinare con più interesse la musica vocal-pop,
comprendendo che una vera crescita artistica si avrà solo
procedendo in parallelo su due fronti: quello del dialogo tra
strumenti e voci e quello della qualità tecnica come elemento
imprescindibile di comunicazione artistica.
Da sempre impegnata nella
salvaguarda e diffusione della
cultura e della pratica corale in
tutti i suoi linguaggi, i suoi
repertori e le sue forme d’espressione, la Feniarco si è sovente
interessata in prima linea della
musica vocal-pop, sia nelle sue
proposte didattiche e formative,
sia con progetti artistici tra i quali
spicca, per la sua recente formazione, il Coro Accademia Feniarco.
Il Coro Accademia Feniarco nasce
nel 2009 in occasione della 5ª
Accademia europea per giovani
direttori di coro organizzata a Fano
in collaborazione con Europa
Cantat.
Il gruppo, di organico variabile, è
formato da giovani coristi provenienti da tutta Italia: per
parteciparvi non serve aver
studiato in conservatorio, ma
avere una bella voce, un po’ di
istruzione musicale e soprattutto
una grande passione per la
coralità. Il repertorio,
principalmente a cappella e con
l’utilizzo della percussione vocale
e della voce come strumento, si
sviluppa intorno al repertorio pop
di nuova generazione, ovvero con
arrangiamenti molto articolati,
interpretati con uno studio
“filologico” e professionale di
questo genere. Per i numerosi
punti di contatto, l’altro repertorio
che il coro affronta è la polifonia
profana rinascimen­tale.
Tra i già numerosi inviti, in ottobre
il coro si esibirà in concerto presso
l’università di Örebro (Svezia) dove
sarà inoltre impegnato in qualità di
coro laboratorio a una masterclass
di direzione.
Il coro è diretto, sin dalla sua
formazione, dal maestro Alessandro Cadario.
compositorE
MUSICA MODERNA
CON ANTICHE RADICI
docente di composizione
presso il pontificio istituto
di musica sacra
“mediterraneo”, di cantabilità, essenzialità, aderenza al testo,
spiritualità ecc., tutto nel rispetto della tradizione del canto
gregoriano.
Mi sento un musicista “romano” non tanto a motivo
dell’ininterrotta residenza nella Città Eterna ma perché cercato
di essere fedele interprete come compositore della polifonia
della “scuola romana” e, come direttore, di quella tradizione
di canto tramandata, da secoli, da generazioni di cantori. Io
non ho fatto altro che continuare nello stesso spirito della
cantabilità palestriniana, naturalmente nello stile modale,
presentandolo in una veste più consona ai giorno nostri. La
mia musica parte da Palestrina ma sfrutta, con la stessa
logicità dei classici, tutti gli accorgimenti armonici e stilistici
che ha sviluppato nei secoli seguenti: musica moderna con
radici nell’antico.
Che cosa rappresenta la musica sacra per Lei?
Posso dire tranquillamente che la musica sacra ha occupato
la parte maggiore, e anche migliore, della mia vita di
musicista. Ho dedicato tutte le mie energie in servizio della
musica sacra. Basta vedere la quantità di composizioni, tra
messe, mottetti, laudi, salmi vari, ecc. che richiedeva
continuamente la liturgia nelle basiliche romane, nel mio caso
a Santa Maria Maggiore prima dove ero maestro direttore, e
in Basilica di San Pietro poi per le cerimonie papali durante i
miei quasi cinquant’anni di maestro di cappella in Sistina. La
musica sacra non è estranea al mio essere sacerdote. Il
musicista sacro esercita una missione di predicatore e
promulgatore della parola di Dio; non per niente la chiesa ha
sempre tenuto in grande considerazione il ruolo del musicista
e del cantore. Non si è mai concepito la liturgia senza la
musica. Il Papa Benedetto XVI nel suo discorso in Cappella
Sistina il giorno del concerto offertogli dalla nostra
fondazione ha descritto la musica sacra come «veicolo di
evangelizzazione».
domenico
intervista a DOMENICO BARTOLUCCI
a cura di Renzo Cilia
mi recai ad Arcetri con i seminaristi e, venuto a mancare
l’organista, fui chiamato a sostituirlo per accompagnare i canti
con l’armonium. Il parroco di quel luogo, mio insegnante di
latino e greco in seminario, convinto che per suonare così
bene avessi trascurato lo studio regolare, il giorno dopo mi
sottopose a una dura interrogazione e, ritenendomi
insufficiente, ottenne dal rettore l’immediata interdizione allo
studio della musica durante l’anno scolastico.
Da parte mia, cercavo di emulare il maestro componendo
anch’io dei piccoli pezzi per l’uso in seminario, qualche laude
mariana e dei mottetti. Ma anche questo non fu ben visto dai
miei superiori. I fogli di musica erano contati e dovevano
essere firmati dal preposto alla camerata, altrimenti distrutti;
le mie musiche dovevano essere brevi e anonime e solo per
un uso interno, liturgico o per accademie. Una volta, per
riuscire a far eseguire una mia composizione polifonica, ricorsi
a un temerario stratagemma: scrissi un mottetto a 3 voci (O Jesu mi dulcissime), apponendovi il nome dell’Anerio, su un
vecchio foglio di musica dell’archivio, tra quelli che
contenevano i brani che si cantavano nella festa di San Mario
(così si chiamava il rettore). Venuta la festa, l’archivista prese,
con i fogli di musiche da eseguire, anche quello con il
mottetto, che piacque tanto da ingannare Bagnoli che lo
diresse.
Finiti gli studi di teologia potei completare la mia
preparazione musicale sotto la guida del maestro Vito Frazzi,
dove conseguii il diploma di composizione. Più tardi mi fu
concesso venire a Roma per studiare al Pontificio Istituto di
Musica Sacra. La mia presenza a Roma fu un’esperienza
formativa molto importante e decisiva per la mia futura
attività di direttore e di compositore. Qui ho potuto vivere in
pieno il contatto con il gregoriano e la polifonia sacra; inoltre,
ascoltando i maestri cantori romani, ho scoperto che cosa
significava veramente “cantare”.
19
Come si è iniziata e sviluppata la sua passione per la musica?
I miei primi contatti con la musica erano in Chiesa, dove da bambino
accompagnavo mio padre per le funzioni religiose e la messa dominicale. Poi
nella scuola elementare imparai i primi rudimenti di solfeggio e del canto. A nove anni entrai in seminario a Firenze, dove ho trovato una attività musicale
molto forte. Lì incontrai il maestro di musica Francesco Bagnoli, maestro valente
che veniva a preparare i seminaristi per la liturgia in cattedrale. La mia passione
per la musica fu grande, ma il tempo trascorso in seminario era un periodo di
incomprensioni e di proibizioni, ma anche di entusiasmo. All’inizio mi fu anche
proibito di avvicinarmi al pianoforte poi, mi ricordo, per le vacanze del 1929
ottenni finalmente il permesso di suonare il pianoforte, limitato, però, a non più
di mezz’ora e non tutti i giorni. Per la festa dell’Immacolata dello stesso anno
Si parla di Lei come un rappresentante della Scuola Romana.
Che cosa significa?
Il termine “Scuola Romana” può essere applicato a varie
discipline artistiche come la pittura o l’architettura. Vi è anche
una Scuola Romana di Musica Sacra. Possiamo già parlare
dell’esistenza di questa scuola romana ritornando molto
indietro nella storia: nel VI secolo papa Gregorio mandò i suoi
cantori a insegnare il canto romano nei diversi paesi d’Europa!
Nel XIV secolo, quando il papa risiedeva ad Avignone, si
iniziava a tessere le prime polifonie sulle melodie gregoriane.
Ritornando a Roma, il Papa portò con se i cantori della sua
cappella, fatta di musicisti di formazione principalmente
fiamminga, che si unirono ai cantori rimasti a Roma formando
così la cappella musicale papale, oggi conosciuta come
Cappella Sistina. La Scuola Romana ha visto il suo splendore
nel Rinascimento dovuto particolarmente alla persona del
Papa e della sua corte che ha attratto i migliori artisti di tutto
il mondo cattolico. Il rappresentante per eccellenza è il grande
Giovanni Pierluigi da Palestrina che ha saputo dare alla
musica sacra polifonica il suo carattere specifico diciamo
E la musica del popolo?
Io stesso fui uno dei primi a dotare le parrocchie di un
repertorio di canti nella lingua italiana, pubblicando con
l’Associazione Italiana Santa Cecilia, già molto prima del
Concilio, I Canti del popolo per la Santa Messa, melodie che
erano molto diffuse. Ho sempre sostenuto che anche questa
musica deve essere arte, capace di commuovere e di invitare
alla preghiere. Purtroppo le mie musiche furono eliminate
proprio perché, come mi fu riferito, vi era “troppa musica”!
Come descrive il linguaggio della sua musica?
Il linguaggio armonico è decisamente modale, un linguaggio
che offre al musicista un orizzonte molto più ampio della
tonalità, magistralmente “sfruttata” al massimo dai classici.
Non è un linguaggio ristretto alla modalità classica
dell’octoechos anche se da lì prende ispirazione per poi
sviluppare oltre, riportandolo a un linguaggio attuale,
arricchito dalla sensibilità moderna. Un linguaggio nel quale si
può trovare la stessa logicità di sintassi che si trova nei
20
Domenico Bartolucci__________________________
Domenico Bartolucci è nato il 7 maggio 1917 a Borgo San Lorenzo, in provincia di
Firenze, nel Mugello. I suoi primi contatti con la musica sono stati il canto dei
confratelli della Compagnia dei Neri, cui partecipava con il padre, e la scuola
elementare dove il maestro, dalla terza classe, insegnava anche i primi rudimenti
del solfeggio e del canto. Entrato nel seminario di Firenze, dove insegnava musica
il maestro Francesco Bagnoli, incontrò, contro la sua precoce passione per la
musica, gli ostacoli legati al regolamento di un seminario che lasciava poco
spazio alle evasioni personali.
Per eludere i controlli e per superare il divieto di suonare organo o pianoforte,
l’ingegnoso ragazzo ricorse a uno stratagemma che gli permise di “suonare” in
silenzio, disegnando accuratamente una tastiera su cartone, che teneva nascosta
sotto il banco, dove il suo desiderio di musica trovava furtivo sfogo. Tuttavia, già
nei primi anni di seminario iniziò i primi tentativi di composizione, tra i quali
alcune laudi alla Madonna, vari abbozzi di Messe a più voci, che gli costarono da
parte dei superiori il rimprovero di essere un “presuntuoso”. In seminario compose e diresse molta musica
d’autori vari, oltre a musiche sue, per le accademie che si tenevano. Una composizione tra le più belle di quel
periodo è il mottetto Super flumina Babilonis.
Nel 1934 il maestro Raffaele Casimiri e mons. Respighi, prefetto delle cerimonie pontificie, durante una loro
visita nel seminario di Firenze, si accordarono con il rettore affinché il promettente musicista, appena ordinato
sacerdote, si trasferisse a Roma, per studiare presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Ma il permesso tardò
ad arrivare.
Nel frattempo, durante gli anni 1937-38, completò la preparazione musicale con Bagnoli e con Vito Frazzi,
docente presso il conservatorio di Firenze. Nella sessione estiva 1939, sostenne in conservatorio, come
privatista, gli esami d’armonia, contrappunto e fuga e, nella sessione autunnale, conseguì il diploma di
composizione. Lo stesso Frazzi al termine della prima esecuzione del suo oratorio La Passione, nella chiesa del
Sacro Cuore di Firenze nel 1942, stringendogli le mani gli disse: «Ragazzo, qui dentro scorre sangue verdiano!».
Nel 1942 il cardinale Della Costa gli concesse il permesso di andare a Roma, dove fu ospite del Collegio
Capranica, e dove si occupò, per vari anni, dell’educazione musicale dei seminaristi e del loro coro. Approdato a
Roma, l’ascolto del modo “romano” di cantare la polifonia e il gregoriano sarà decisivo per la sua futura attività
di direttore e compositore. A Roma poté seguire i corsi del PIMS con i maestri Casimiri e Suñol e il corso di
perfezionamento in composizione tenuto da Ildebrando Pizzetti presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
dove conseguì il relativo diploma presentando, all’esame finale, il suo Concerto in Mi per pianoforte e orchestra.
Nel 1945, presso il PIMS, conseguì i diplomi di composizione sacra e di canto gregoriano e fu nominato Maestro
Sostituto della Cappella Musicale di San Giovanni in Laterano, dove il titolare era mons. Lavinio Virgilio.
Il 1947 è un anno decisivo per la consacrazione a compositore del giovane maestro. Al termine dell’esecuzione
del suo poema sacro Baptisma, composto su commissione dei docenti dell’Istituto, mons. Licinio Refice, docente
di composizione, proclamò ai presenti: «Abbiamo un musicista!». Mons. Frediani, prefetto della Cappella
Liberiana di Santa Maria Maggiore, presente all’esecuzione, propose a Bartolucci di assumerne la direzione.
Nel 1952, alla morte del vicemaestro Rella, da alcuni anni non più attivo, ed essendo Perosi, sempre più in
precarie condizioni di salute, fu nominato vicemaestro della Cappella Musicale Pontificia, con il consenso di
Perosi e, alla sua morte, nel 1956, Direttore Perpetuo.
Considerato il più autorevole interprete di Palestrina, oltre ai servizi liturgici papali ha guidato la Cappella
Pontificia in numerose tournée in Italia e nel mondo, eseguendo musiche polifoniche classiche e proprie.
Nel 1965 è annoverato tra gli Accademici di Santa Cecilia. Proprio l’Accademia ha più volte programmato i suoi
oratori nelle passate stagioni sinfoniche invitandolo a dirigerne le esecuzioni: tra di esse si ricordano
particolarmente il Gloriosi Principes presentato a tutti i Padri conciliari, presente Paolo VI, e l’Ascensione offerta
a Giovanni Paolo II quando, ristabilitosi dopo l’attentato, rientrò a Roma per riprendere il suo ministero
pastorale. Sempre con il Coro dell’Accademia, Bartolucci ha diretto numerosi concerti palestriniani ed è stato
protagonista di un’indimenticabile tournée nell’allora Unione Sovietica nel 1977.
Oltre ad aver diretto i principali complessi sinfonico-corali italiani a Roma, Venezia, Trieste, Palermo, Firenze e
Bari, ha tenuto corsi di polifonia palestriniana in Italia e all’estero. All’attività di Maestro di Cappella ha
affiancato anche quella di didatta presso il conservatorio di Santa Cecilia e il Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Nel 2002 alcuni amici istituirono una fondazione con lo scopo di promulgare la musica del maestro. Con il coro
polifonico della fondazione a lui intitolata ha tenuto numerosi concerti tra i quali risalta quello offerto a Sua
Santità Benedetto XVI nella Cappella Sistina (giugno 2006).
Le notizie per questa biografia sono tratte dal libro Domenico Bartolucci e la musica sacra del Novecento,
ed. Armelin Musica, Padova, 2009
compositorE
grandi del passato. La cantabilità polifonica è alla base di
ogni composizione, una cantabilità che quando è legata a un
testo sacro prende la sua ispirazione del testo stesso; è il
testo in musica, non una melodia appiccicata a un testo, anzi
la musica diventa l’esaltazione del testo stesso nel suo più
profondo significato spirituale. Diciamo la melodia al servizio
del testo sacro, ma è dal testo sacro che prende la sua
bellezza e sublimità
Per quale formazione vocale preferisce lavorare?
Non ho tali preferenze. Spesso il compositore ha in mente il
complesso corale per il quale
scrive la sua musica.
Naturalmente la parte più
consistente della mia musica
fu scritta per il Coro della
Cappella Musicale Pontificia
conosciuta come Sistina. Ho
scritto un libro di mottetti
per una, due o tre voci
dedicato ai ragazzi della
Sistina, poi altri libri di
mottetti a 4 voci molto usato
dai cori di musica sacra e
altri a 5, 6, 7 e 8 voci, molti dei quali eseguiti dal mio coro
della Cappella Sistina, gente brava nella propria professione
che non si spaventava davanti ai pezzi più complicati.
A quale brano lascia il compito di meglio descrivere Lei
stesso?
Fino ad ora abbiamo parlato della mia musica sacra, ma
questo non comprende tutta la mia produzione. Le
composizioni destinate alla liturgia sono molte ma non
esprimono in pieno il mio “mestiere”. Sono lavori scritti con
uno scopo preciso circoscritto e, giustamente, dovevano
sottomettersi alle esigenze per le quali furono composte. Io
ho composto molti altri lavori in altre forme non destinati alla
liturgia, alcuni con temi religiosi e altri non. Riguardo i primi
posso citare i diversi oratori come il Gloriosi Principes,
l’Ascensione, la Passione e la Natività, e ultimamente le
cantate sacre per Natale, Pasqua, la Madonna ecc. mentre tra
le composizioni non sacre posso citare la musica per organo,
il Concerto per pianoforte e orchestra, una Sinfonia e perfino
un’opera lirica sul tema della cupola del Duomo di Firenze con
titolo Brunellesco finora mai eseguita. L’ampiezza di questi
ultimi lavori esprime meglio e offre un spectrum più completo
della mia produzione musicale.
Allora può parlarci di qualche brano preferito dai cori che
eseguono le Sue musiche?
Le musiche più eseguite dai cori, diciamo non-professionisti,
sono i mottetti a quattro voci che sono più abbordabili dalla
maggioranza dei cori. Ma da quello che mi dicono essere il
brano più eseguito è il mottetto O Sacrum Convivium. La
melodia è ispirata dalla melodia gregoriana, anzi è la stessa
21
melodia gregoriana “ripulita” da alcune note che non aiutano
alla conduzione del brano. L’andamento è quello del canto
gregoriano con quella contabilità ampia con la quale una volta
si cantava il gregoriano nelle nostre parrocchie. Dunque
attenzione, non con quel modo asettico col quale si canta
oggi il gregoriano. Come tutta la mia musica il linguaggio è
quello modale: ed è quello che da fascino a questa musica.
Spesso utilizzo questo brano per dimostrare ai miei alunni la
bellezza della modalità. Si può tranquillamente armonizzare la
stessa melodia in un linguaggio tonale: si adatta
perfettamente, accordo di tonica, dominante, tonica,
sottodominante, secondo grado, dominante (forse anche la
settima) e di nuovo tonica! Ma mettendo le due versioni in
confronto si sente la differenza di spirito e capisce quel che
ho detto sopra, cioè la ricchezza della modalità.
E qui voglio fare una piccolo parentesi. È importante per i
direttori di coro approfondire il discorso modale e le scale
modali, altrimenti risulta difficile entrare nello spirito di
queste musiche. Sarebbe come un direttore che dirige Mozart
senza sapere che cosa sia la scala maggiore e la scala
minore. Nel brano O Sacrum Convivium la melodia gregoriana
è affidata ai soprani. Le altre voci non fanno solo armonia
come in un corale, ma cantano ugualmente anche loro; a
differenza, però, della polifonia classica dove tutte le voci
hanno la stessa importanza o quasi, in questo brano le voci
devono, in qualche modo, dare precedenza al soprano che
propone la melodia, venendo fuori soltanto in quei momenti
che fanno eco al tema del soprano, commentandolo,
proponendolo o ripetendolo. Per il resto il brano va cantato
con molta semplicità seguendo l’andamento melodico, in
modo tranquillo e meditativo.
Cosa consiglia a un giovane compositore che indirizza il suo
operato nell’ambito della musica sacra?
Decisamente e prima di tutto una profonda formazione nella
liturgica latina e specificamente quella prima del Concilio
Vaticano. Chi non ha vissuto e non vive quotidianamente la
liturgia non può fare il compositore di musica sacra. Gli
mancherà lo spirito interiore che deve ispirare le sue
composizioni. Poi è necessaria una formazione tecnica più
solida possibile, ben esercitata nell’armonia e il contrappunto.
Inoltre si deve acquistare una dimestichezza con la nostra
tradizione del canto gregoriano e della polifonia classica. Non
basta una semplice conoscenza ma è necessaria una pratica
assidua per far entrare l’humus di tali musiche nelle proprie
vene, in modo da acquistarne il sentire liturgico e lo spirito
sacro. Per me il canto gregoriano e le musiche di Palestrina
sono state le fonti principali che mi hanno plasmato nella
musica sacra, ma un musicista completo non può esimersi
dall’avere una conoscenza dei grandi musicisti, di musica
sacra e non, che hanno fatto la nostra storia musicale
italiana, quali Carissimi, Vivaldi, gli operisti Rossini, Verdi ecc.,
e la musica europea quali Bach, Beethoven, Brahms, Mozart
ecc. Naturalmente poi è giusto che ogni compositore immette
la suo indole e il suo spirito interiore in ciò che scrive.
compositorE
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Composizioni corali di Domenico Bartolucci
Oratori
La tempesta sul lago, oratorio per soli (SATB), coro a 4-7 voci e
orchestra (* riduzione per canto e pianoforte)
La Passione (Le Sette parole), oratorio per soli (TTB), coro a 6 voci e
orchestra (* riduzione per canto e pianoforte; * partitura)
La Natività, oratorio per soli (SATB), coro a 4-6 voci, coro di ragazzi
e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte)
Gloriosi princeps (Petrus et Paulus), oratorio per soli (ATB), coro a 5
voci, coro di ragazzi e orchestra (* riduzione per canto e
pianoforte)
L’ascensione, oratorio per soli (SATB), coro a 5 voci, coro di ragazzi e
orchestra.
Salmi, inni e cantate
Baptisma, poema sacro per soprano, baritono, coro femminile a 3
voci e piccola orchestra (* riduzione per canto e pianoforte)
Miserere, salmo per baritono, coro a 6 voci e orchestra (* riduzione
per canto e pianoforte)
Stabat Mater, sequenza per soprano, coro a 5 voci e orchestra
Te Deum, inno per baritono, coro a 6 voci e orchestra
Transitus animæ Beati Francisci, per soprano, coro a 4-6 voci e
piccola orchestra
Cantata biblica, per soprano, tenore, baritono, coro a 5 voci e piccola
orchestra
Cantata evangelica, per soprano, tenore, baritono, coro a 4-5 voci e
piccola orchestra
Cantata di Natale, per soprano, coro a 4-5 voci e piccola orchestra
Cantata mariana, per soprano, coro a 4-5 voci e piccola orchestra
Messe
1) Messe per soli, coro e orchestra
Messa in onore di Santa Cecilia, per soprano, coro a 4 voci e piccola
orchestra (* partitura)
Missa Jubilæi, per coro a 4 voci, organo e piccola orchestra (*
partitura)
Missa de Angelis, per coro a 4 voci, organo e piccola orchestra (*
partitura)
Missa Assumptionis, per coro a 6 voci e orchestra (* partitura)
Missa pro defunctis, per soli (SATB), coro a 7 voci e orchestra (*
canto e pianoforte)
2) Messe polifoniche, con accompagnamento d’organo e alternate al
canto gregoriano
Primo libro delle Messe (5 Messe a 1, 2, 3, e 4 voci ed organo) *
Secondo libro delle Messe (5 Messe a 2, 3 e 4 voci ed organo) *
Terzo libro delle Messe (6 Messe a 3 e 4 voci) *
Quarto libro delle Messe (5 Messe domenicali a 3 voci e organo) *
Quinto libro delle Messe (5 Messe a 2, 3 e 4 voci e organo) *
Messe alternate al canto gregoriano (a 4, 5 e 6 voci) *
Quinto libro dei mottetti (a 4, 5 e 6 voci ineguali ed organo) *
Sesto libro dei mottetti (a 4, 5, 6, 7 e 8 voci ineguali, a cappella, e
con organo) *
Sacræ cantiones (per coro a 4 voci) *
Cantica varia (a 4, 5 e 6 voci ineguali a cappella o con organo) *
2) Mottetti con orchestra
Per la maggior parte, oltre la stesura originaria (il libro da cui sono
tratti è indicato tra parentesi) è disponibile anche quella con
organico orchestrale.
Jubilate Deo, per coro a 4 voci e piccola orchestra (Quinto Libro dei
Mottetti)
Sicut cervus, per coro a 4 voci e piccola orchestra (Quinto Libro dei
Mottetti)
Quam dilecta, per coro a 4 voci virili, organo e archi (Cantica Varia).
Alleluia Hæc Dies I, per soli, coro a 4 voci e orchestra (Quinto Libro
dei Mottetti)
Alleluia Hæc Dies II, per coro a 4 voci, organo e archi (Cantica Varia).
Beatus Laurentius, per coro a 4 voci, organo e archi (Sesto libro dei
Mottetti)
Christus est, per soli, coro a 5 voci e orchestra (Natale)
Sacerdos et Pontifex, per coro a 4 voci e orchestra (nuova
composizione).
O dulce puer, per soprano, coro femminile a 3 voci e archi
(dall’Oratorio La Natività).
Tu es Petrus, per coro a 6 voci e orchestra (Quinto Libro dei
Mottetti).
Dolorosa et lacrimabilis, per coro a 4 voci e orchestra (questo brano,
pubblicato nel Primo Libro dei Mottetti, costituisce ora il
Mottetto di introduzione dello Stabat Mater per soprano, coro
e orchestra.
Altre composizioni per la liturgia
Inni (a 3, 4, 5 e 6 voci per tutto l’anno liturgico) *
Magnificat (4 Cantici a 2, 3, 4, voci ed organo; 8 Cantici a 5 voci ‘a
cappella’, sugli otto modi) *
Natale (Composizioni per coro a 1, 2, 3, 4, 5 e 6 voci) *
Settimana Santa (Messe, Mottetti e Responsori a 4 e 5 voci ) *
Laudi
Laudi mariane (per coro a 3, 4 e 7 voci) *
Madrigali
Primo libro dei madrigali (madrigali per coro a 3, 4, 5 e 6 voci) *
Secondo libro dei madrigali (madrigali a 3 e 4 voci con pianoforte) *
Lirica
Brunellesco, opera lirica in tre atti per soli, coro e orchestra
Mottetti
1) Mottetti a cappella o con accompagnamento d’organo
Primo libro dei mottetti (Antifone Mariane, a 4 voci ineguali, senza
accompagnamento) *
Secondo libro dei mottetti (a 1, 2, 3 e 4 uguali ed organo) *
Terzo libro dei mottetti (a 4 voci ineguali senza accompagnamento) *
Quarto libro dei mottetti (a 5, 6, 7 e 8 voci ineguali, senza
accompagnamento, alcuni con soprano solo) *
* I titoli indicati dall’asterisco fanno riferimento ai volumi pubblicati
dalle Edizioni Cappella Sistina
Tutto il materiale, notizie e altro sul maestro e le sue opere si
possono reperire sul sito della Fondazione Domenico Bartolucci:
www.fondazionebartolucci.it
Un linguaggio nuovo fondato sulla modalità antica
Mottetto O Sacrum Convivium a 4 voci miste
di Renzo Cilia e Walter Marzilli
Tra le musiche del maestro Bartolucci più eseguite ci sono
senza dubbio i mottetti raccolti nei sei libri editi dalla
Fondazione Domenico Bartolucci. I più eseguiti sono quelli a
quattro voci, che sono più alla portata dalla maggioranza dei
cori. Tra questi troviamo il mottetto O Sacrum Convivium, un
mottetto di modesta lunghezza ma, nella sua grande
semplicità, denso di profondità e di partecipazione
compositiva. È un mottetto “a cappella” di carattere
meditativo sull’Eucaristia. Originariamente scritto per voci
maschili, ragazzi soprani, due tenori e bassi in perfetto stile
antico, ora è pubblicato in una versione a voci miste SATB per
soddisfare le richieste di molti direttori di coro in formazione
moderna. Entrambe le versioni presentano nel finale la
possibilità di un doppio testo alla frase finale: un’Alleluja,
oppure il testo “et futurae gloriae nobis pignus datur”, che si
può cantare anche nel tempo di Quaresima.
Si tratta di una composizione scarna ma eterea, asciutta ma
sinuosa; preziosa nella sua semplicità melodica quanto
difficile da rendere proprio per la contenutezza dei mezzi
espressivi usati dal compositore. Sono le classiche quattro
voci corali senza divisioni né arditezze, dispiegate però lungo
tutta la loro tessitura, i soprani e i tenori all’acuto (ripetuti
sol) e i bassi al grave (anche in questo caso con ripetuti sol).
A causa di ciò non è quasi praticabile alcuno spostamento
dell’intonazione iniziale da quella stabilita dall’autore (appunto
sol), per adattarlo alle caratteristiche del proprio coro:
abbassandolo soffrirebbero i bassi, alzandolo i soprani e i
tenori.
In molta della sua musica per la liturgia, Bartolucci segue la
tradizione palestriniana per quanto riguarda l’ispirazione
tematica. Nelle sue composizioni egli restituisce quelle
melodie gregoriane che una volta erano patrimonio vivo della
Chiesa. La melodia gregoriana in questo caso è “ripulita”
dalle note ausiliari, come le note di passaggio, le
appoggiature ecc., che non appartengono alle corde principali
della scala modale, e non aiutano alla conduzione del brano.
Ecco per esempio la frase:
diventa:
oppure
diventa:
Il motivo gregoriano risuona per tutto il tempo nella parte dei
soprani con alcuni spunti ripetuti dalle altre voci che
rievocano in contrappunto, qua e là, parti della stessa
melodia. Le altre voci non fanno solo armonia come in un
corale, ma cantano ugualmente anch’esse. A differenza della
polifonia classica, dove tutte le voci hanno la stessa
importanza o quasi, in questo brano le voci devono in
qualche modo dare la precedenza al soprano che propone la
melodia, venendo fuori soltanto in quei momenti che fanno
da eco al tema del soprano, commentandolo, proponendolo o
ripetendolo. Per il resto il brano va cantato con molta
semplicità, seguendo l’andamento melodico in modo
tranquillo e meditativo.
Come tutta la musica di Bartolucci, la grammatica della sua
musica è quella modale. Il mottetto inizia e finisce con
l’accordo di sol e nell’armatura in chiave è presente il fa
diesis, ma il brano non è in sol maggiore (nella prima stesura
STTB il mottetto era cantato in fa). La scala usata è quella
modale del tritus autentico. Si potrebbe tranquillamente
armonizzare la stessa melodia seguendo i canoni del
linguaggio tonale: si adatta perfettamente, con accordi di
tonica, dominante, tonica, sottodominante, secondo grado,
dominante (forse anche la settima) e di nuovo tonica! Ma
mettendo le due versioni a confronto si sentirebbe la
differenza di spirito e la ricchezza della modalità (sarebbe
compositorE
24
importante approfondire il discorso modale e le scali modali;
altrimenti sarà difficile entrare nello spirito di queste musiche.
Sarebbe come per un direttore dirigere Mozart senza sapere
la differenza tra la scala maggiore e quella minore).
La melodia dei soprani si sviluppa continuamente attorno a
un centro nodale così apparentemente evanescente da non
portare mai ad una cadenza con il fa diesis durante tutto il
brano. Le cadenze al sol ivi presenti vengono trattate
utilizzando sempre il quarto grado, secondo una consuetudine
tutta modale che pervade l’intero intreccio polifonico. Non
esiste infatti un solo fa diesis nemmeno in funzione
cadenzante che abbia la possibilità di qualificarsi come una
sensibile. Le parti si muovono con fluidità e sinuosità
evitando qualsiasi pur minimo movimento ritmico che possa
turbare la potenzialità meditativa del testo:
O sacrum convivium in quo Christo sumitur:
recolitur memoria passionis eius:
mens impletur gratia et futurae gloriae
nobis pignus datur. Alleluja.
Non esistono infatti crome, e nemmeno semiminime puntate
che potrebbero turbare quella profonda fissità estatica di cui
si nutre il brano. L’intreccio polifonico è pulitissimo ed
estremamente chiaro. Inizia con le tre voci ATB che
espongono una inquadratura armonica al tema iniziale
proposto dai soprani.
Il tutto seguendo un andamento melodico estremamente
semplice e mai complicato oppure faticoso per l’intonazione.
Le linee melodiche sono infatti molto sobrie e senza tranelli,
ma non per questo prive di difficoltà, non fosse altro per
l’accordo iniziale, dove sono presenti due terze eseguite dai
tenori e dai soprani. Ogni direttore sa quanto sia difficile
cogliere l’esatta altezza intonativa di una terza maggiore da
parte di un gruppo di cantori; figuriamoci se a doverla
intonare sono due gruppi.
E poi ci sono i sei sol dei soprani a dover essere intonati
senza spingere troppo, e come se non bastasse ci sono anche
otto fa diesis. Come si sa il fa diesis sta nel bel mezzo del
passaggio di registro, e la sua esecuzione può creare non
pochi problemi. Se lo si gira bene arrotondando il suono si
rischia di ottenere un suono troppo conformato e
25
pericolosamente lirico, se invece lo si lascia nella zona
anfotera dei suoni, confuso tra quelli a metà tra il suono di
testa e i suoni che non sono ancora passati a risuonare nelle
piccole cavità facciali dei suoni acuti (in maschera) si
otterranno dei suoni faticosi e male appoggiati, di solito
piuttosto calanti. La soluzione è quella di cercare un equilibrio
tra sostegno e leggerezza, appoggio e rilassatezza, sempre
così difficile da ottenere.
Anche per i tenori la situazione non è semplicissima, con la
necessità di emettere cinque sol in totale scioltezza, come
controllata risposta tematico-melodica alle eleganti proposte
dei soprani. In particolare un lungo sol dato in assenza dei
bassi, secondo la nota consuetudine della prassi vocale antica
ben conosciuta dall’autore, secondo la quale sul tacet dei
bassi il suono del coro andava incontro a una raffinata
rarefazione dello spessore sonoro. In altre parole un lungo sol
morbido e sul filo del fiato. Ovviamente in mancanza di altre
possibilità si può ricorrere al falsetto, ma si tratterebbe di una
soluzione di comodo che non sarebbe in questo caso la
migliore.
Alle parole “recolitur memoriae” le voci si accompagnano a
coppie (basso-soprano e tenore-contralto) con movimento di
terze e seste parallele, secondo uno stile tipico del
movimento imitativo delle parti, molto ben consolidato in anni
di scrittura.
Possiamo notare delle preziose dissonanze dovute ai
collegamenti trasversali e ai ritardi. Come nella più canonica
tradizione compositiva rinascimentale, esse sono sempre date
con la dovuta preparazione, per cui l’urto risulta
estremamente ammorbidito. Si nota infatti con chiarezza la
particolare attenzione con la quale il compositore muove le
parti: in modo tale che esse vadano sempre ad anticipare con
una legatura tra le battute o con una nota ribattuta (in caso
di un maggior numero di sillabe) il momento in cui un’altra
sezione creerà la dissonanza. Con alcune legature a cavallo di
battuta il compositore ottiene un ulteriore effetto di
sospensione tipico dei fraseggi a lui tanto cari, fatti di note
continuamente in movimento e mai fisse e costanti:
«Articolate!», come diceva sempre ai cantori piegando l’ultima
falange del pollice della sua mano destra. Solo minime e
semiminime, niente altro.
Nonostante la brevità del brano (si tratta solo di 43 battute) il
compositore trova infatti il tempo di ricavare un pur breve
episodio fatto di un altro impasto sonoro, variando la
tavolozza dei colori attraverso le uniche due battute di pausa
dei bassi.
Il mottetto è inquadrato nel tempo ternario semplice ma
questo è solo una formalità convenzionale e non ha niente a
che fare con la metrica ritmica del brano. Come in tutta la
polifonia classica, l’accentuazione è data non dalla battuta ma
dal testo che talvolta richiede una accentuazione binaria come
nell’ultima frase sopra citata “et futurae gloriae” dove gli
accenti si posano sulle sillabe et, tu- e glo- , delle quali solo
la seconda rispetta l’andamento ritmico del tempo-battuta di
tre-quarti. E così in tutto il brano. Una buona interpretazione
non può prescindere da questo principio fondamentale.
Il gesto del direttore deve quindi essere fluido come il tactus
e deve assecondare l’andamento ritmico, che è tipicamente a
carattere discorsivo, ma senza mai perdere di vista la
necessità di una chiarezza di movimento per mandare insieme
gli accordi verticali, che rivestono anch’essi una grande
importanza architettonica. Possiamo affermare che in questo
senso Bartolucci si pone nel solco dei grandi compositori del
Rinascimento, le cui composizione vivevano una doppia vita:
l’una, la principale, quella melodico-orizzontale, ma l’altra,
quella armonico-verticale, non certo secondaria alla prima. La
prima non poteva prescindere dalla seconda, e viceversa.
L’autore, pur ben capace di scrivere frasi scomode e di
difficile eseguibilità come dimostrato in occasioni più a largo
respiro di questa breve composizione, in questo caso si
distacca da molti dei compositori moderni per la cantabilità
delle singole frasi melodiche.
L’autore, normalmente, non dà mai indicazioni di tempo o di
interpretazione. Per lui il segreto interpretativo rispecchia
quello dei grandi polifonisti della scuola romana: declamare
bene il testo cantando. Questa forma di declamazione-cantata
non può soggiacere alla matematica metronomica, ma lascia
spazio alla distinzione tra una nota accentuata come risulta
nel parlare: le sillabe sono tutte uguali ma alcune “lo sono
più delle altre”. L’unica indicazione è un ritardando alla fine
del brano prima dell’Alleluia per poi riprendere il tempo
originale fino alla conclusione.
L’andamento è quello del canto gregoriano, con quella
contabilità ampia con la quale una volta si cantava il
gregoriano nelle nostre chiese, evitando quel modo asettico o
quella spiritualità fine Ottocento, con i quali talvolta oggi si
sente cantare il gregoriano.
L’avvicinamento a questa musica di Bartolucci, oltre per la sua
scrittura corale di alta professionalità e per la sua cantabilità
mediterranea, offre al coro un linguaggio nuovo fondato sulla
modalità antica, ma portato a una forma attuale in un
discorso ancora pienamente logico e musicale.
nova et vetera
una scelta di
repertorio
27
Attualmente presenti nel repertorio di tutti i più importanti cori in tutto il mondo, a quel tempo
furono una creazione talmente originale che contribuì a far sì che il repertorio rivolto ai cori di
bambini fosse da quel momento in poi sempre di grande livello tecnico ed espressivo; in questo
senso A Ceremony of Carols rappresenta solo uno dei lavori di Britten rivolti alle voci bianche,
questo per sottolineare l’importanza che ha la musica per i più piccoli in tutta la sua
produzione: oltre a A Ceremony of Carols del 1942, la Missa Brevis (1959), The golden Vanity
(1966), Children’s Crusade (1969), Welcome Ode (1976) o alle opere per bambini come The little
sweep (1949) e Noye’s Fludde per esempio.
L’opera inizia e termina con un brano processionale su un canto gregoriano, Hodie Christus
natus est, probabilmente influenzato in questo dal Hymn to Jesus di Gustav Holst scritto venti
anni prima. È questo del canto processionale un effetto di sicura resa in un concerto dove i
piccoli sfilano ordinati nella chiesa cantando all’entrata e all’uscita. Il primo Carol è Wolcum
Yole!, un gioioso brano di benvenuto al Salvatore che, con semplici accorgimenti compositivi
ma estremamente efficaci, come giochi imitativi e dissonanze felicemente condotte dal
compositore (vedi soprattutto il finale) si arricchisce di gioia e di luminosità, quasi fosse un
sorriso accompagnante il benvenuto: “and
make good cheer” (e siate allegri). Di grande
dolcezza e serenità è invece permeato il
brano seguente, There is no Rose, che unisce
all’inglese medievale il suono antico del
latino; anche in questo brano non mancano
le dissonanze, ma sempre rese con grande
attenzione da parte di Britten alla linea della
singola voce. Il brano si dissolve in un
magico e misterioso ppp sul coro che
idealmente si diparte: Transeamus. That
yonge child è il canto del pastorello che racconta come la canzone dell’usignolo sia nulla in
confronto alla melodia cantata dalla Madre al suo bimbo. È davvero ricco di suggestione questo
breve canto per voce solista con un semplice ma estremamente accorto commento da parte
dell’arpa, che talora sostiene la linea principale, talora diviene ambiente sonoro a imitazione
degli uccelli notturni (si veda l’ostinato re bemolle - do). Subito attacca Balulalow, che è
proprio il canto della Vergine al Bambino Gesù. È questo forse il brano che viene più
frequentemente proposto in concerto dai cori, anche separato dalla raccolta, per il suo
carattere dolce, per il fascino della voce solista e la non troppo elevata difficoltà. As Dew in
Aprille riporta un clima di gioiosa allegria con lo sfolgorante inizio accordale sulle parole “I sing
of a Maiden that is makeless” (Io canto di una Vergine senza macchia) e il successivo allegro
gioco imitativo a canone tra tutte e tre le voci: “As Dew in Aprille that falleth on the grass”
(come rugiada che cade sull’erba). Viene quindi senz’altro il più famoso dei brani della raccolta,
This little Babe, una possente linea melodica ritmicamente molto scandita che, dapprima
enunciata all’unisono dalle tre voci, verrà nelle strofe successive ripresentata in forma di
canone a due e poi a tre voci. Il brano si conclude con uno sfolgorante finale omoritmico dove
la tecnica dell’arpista viene messa a dura prova soprattutto per il frequente cambio di pedali
che rende davvero quasi impossibile l’esecuzione al tempo richiesto dall’autore, optando per un
“sostenuto” che rende il finale sull’ultima frase all’unisono, particolarmente solenne e
grandioso. A questo punto, poco prima della prima esecuzione del 1943, il compositore inserì
un brano per arpa solista, Interlude, dove probabilmente utilizza alcune idee di un concerto per
arpa che intendeva scrivere (progetto mai realizzato). Il brano successivo, In Freezing Winter
Night, è senz’altro il brano più ardito per quanto riguarda l’uso delle dissonanze e che più
mette alla prova il coro. Di difficile esecuzione, è capace di evocare gelide atmosfere invernali e
suscitare pietà per “un piccolo tenero bambino, in una notte gelida, giace tremante in una
mangiatoia, Ahimè una scena pietosa!”. Si ritorna a un clima sereno e gioioso nello Spring
Carol, brano per due voci soliste che si procedono con solare leggerezza, talvolta in omoritmia,
talvolta in richiami a imitazione, il tutto incorniciato da un’arpa lieve e frizzante in pp, con
glissandi e fraseggi che fanno pensare allo sciogliere della neve, al canto degli uccelli e al
risveglio della primavera. L’ultimo brano della serie è Adam lay i-bounden che, con i suoi
I giovani cantori apprezzano
molto lo studio e l'esecuzione
di questa raccolta.
benjamin
britten
per il coro di voci bianche
A Ceremony of Carols di Benjamin Britten
di Enrico Miaroma
direttore del coro
di voci bianche garda
trentino e advisor di ifcm
Era il 1942 e in pieno tempo di guerra il più
importante compositore inglese del suo
tempo, Benjamin Britten (1913-1976), compose
la serie di brani A Ceremony of Carols per
coro di voci bianche e arpa durante un lungo,
pericoloso e lento viaggio su un cargo
svedese, in un mare infestato dagli U-boat
tedeschi, viaggio che durò circa un mese
prima di riportare a casa dagli Stati Uniti il
compositore, dopo l’assenza dall’Inghilterra di
tre anni, una specie di “auto esilio”, di grande
successo personale.
A quel tempo aveva già iniziato il Hymn to St.
Cecilia e una serie di lavori tra cui uno per
Benny Goodman, ed era sua intenzione
terminarli durante il viaggio, ma le autorità
della nave gli confiscarono i manoscritti,
temendo che nascondessero dei codici
segreti; mentre riuscirà in futuro a terminare
il suo Hymn to St. Cecilia, gli altri lavori
andranno definitivamente perduti.
In una sosta del viaggio a Halifax, Nova
Scotia, il compositore venne in possesso di
un libro di poesie medievali, The English
Galaxy of Shorter Poems e alcune di queste
furono da lui messe in musica durante il resto
del viaggio in una raccolta chiamata A
Ceremony of Carols.
Si tratta della celeberrima raccolta di undici
Carols – canti religiosi inglesi medievali di
carattere popolare eseguiti per celebrare
l’avvento e il Natale – composti per coro di
voci bianche e arpa per compiacere a una
commissione dell’arpista Edna Philips.
nova et vetera
28
LA FUGA
A Ceremony of Carols
op. 28 (1942)
Dalla terminologia all’analisi
1. Procession
2. Wolcum Yole!
3. There is no Rose
4a. That yonge child
4b. Balulalow
5. As dew in Aprille
6. This little Babe
7. Interlude (arpa solo)
8. In Freezing Winter Night
9. Spring Carol
10. Deo Gracias
(Adam lay i-bounden)
11. Recession
di Piero Caraba
compositore e docente presso il conservatorio di perugia
Incisioni discografiche
Britten - A Ceremony of Carols
The Choir of Trinity College,
Cambridge
dir. Richard Marlow
Conifer Classics, 1997
B. Britten: A Ceremony of
Carols etc.
Choir of King’s College
Cambridge
dir. Sir David Willcocks, Sir
Philip Ledger
Emi Classics, 2004
I Piccoli Musici - Felix
Mendelssohn e Benjamin
Britten
I Piccoli Musici di Casazza (Bg)
dir. Mario Mora
Edizioni Carrara, 1996
29
accordi in staccato e il suo maestoso finale, concludono in un crescendo di
intensità dinamica ed espressiva l’intera serie di A Ceremony of Carols.
Il fascino della lingua inglese medievale con i suoi suoni gotici e arcaici e la
grande varietà espressiva di ogni brano della raccolta, ciascuno dei quali così ben
caratterizzato, uniti all’estrema perizia tecnica del compositore, che gioca con la
forma prediletta del canone in This little Babe e in As dew in Aprille, la ricerca
della dissonanza anche molto aspra resa con sapiente cura e attenzione alla
conduzione delle parti dal compositore, come in Wolcum Yole!, in There is no Rose
e soprattutto In Freezing Winter Night, ben intervallati dall’utilizzo di solisti come
nei bellissimi That yonge child e Balulalow o nella gioia del risveglio primaverile di
Spring Carol, per terminare con il grande finale di Adam lay i - bounden, il tutto
incorniciato dal fascino del canto in latino di Procession e Recession, fanno sì che
i giovani cantori di un coro di voci bianche apprezzino grandemente lo studio e
l’esecuzione di questa raccolta e che trovino, anche nella complessità della musica
di Britten, una sfida a impadronirsi dei suoni della lingua del testo inglese
medievale e a volerne risolvere le difficoltà tecniche ed espressive.
Tutto ciò rende A Ceremony of Carols op. 28 di Benjamin Britten un lavoro di tale
fascino, complessità e importanza, dal quale anche il direttore italiano di un
complesso di voci bianche difficilmente può esimersi, condividendo così con i suoi
piccoli coristi una opportunità di crescita musicale e artistica.
A mio parere, l’esecuzione discografica più bella che si può prendere a riferimento,
oltre a quella italiana dei Piccoli Musici di Casazza diretti da Mario Mora, è forse
quella del coro di bambini del Trinity College di Cambridge (Inghilterra), diretto da
Richard Marlow in una meravigliosa registrazione nel 1997.
«La Fuga non è un’opera di ispirazione, benché
l’immaginazione e l’invenzione possano prendervi parte
grandissima; è soprattutto un’opera in cui l’arte della
fattura e dello sviluppo logico è spinta al suo limite
estremo».1 Con queste parole Theodore Dubois apre il
discorso sulla fuga nel suo celeberrimo trattato. Poche
righe più in là, egli stesso pone una citazione di
Cherubini e scrive: «Cherubini ha detto che qualunque
pezzo di musica ben fatto deve avere “se non il carattere
e le forme, almeno lo spirito di una Fuga”».2
Le due affermazioni sembrerebbero porre il lavoro del
compositore alla stregua di un creatore di strutture
logiche. Se infatti una fuga “non è un’opera di
ispirazione” e se “qualunque pezzo di musica deve avere
almeno lo spirito della Fuga”, allora vorrebbe dire che un
brano, per essere ben fatto, deve unicamente, o almeno
nella sua maggiore evidenza, rispondere a criteri di
logica escludendo ogni altra componente.
Fortunatamente la questione non è in questi termini, e le
affermazioni di Dubois sono immagine di una corrente di
pensiero e di un personaggio che non solo non è mai
riuscito ad andare, nelle proprie composizioni, al di fuori
di un limitatissimo confine di oscuro rigore, ma non ha
neppure saputo trarre dagli esempi dei grandi, che pure
cita nel suo trattato, la lezione di libertà e di ampio
respiro di cui ogni realtà artistica è espressione. Vedremo
che, nei grandi, la logica e il rigore alla base della
costruzione di una fuga, costituiscono in realtà lo
strumento con il quale ottenere i più esaltanti risultati
della propria libera ispirazione.
Prima di analizzare una fuga è però necessario intenderci
sulla denominazione e la funzione dei suoi elementi, e
qui è il caso di dire che è assolutamente necessario
fugare ogni dubbio!
La nostra prima definizione è che la fuga, più di ogni
altra forma musicale, è un gioco. Un gioco di precisa
costruzione, con regole ben determinate, ma come ogni
gioco importante può esprimere significati altrimenti
inesprimibili, e condurre all’intuizione del pensiero che
dietro quel gioco si cela.
Ogni fuga si apre con un soggetto. È un errore chiamarlo
tema. Il tema è un organismo articolato e sintatticamente
conformato; il termine si addice propriamente alle forme
del periodo romantico, prima fra tutte la forma sonata.
Nella fuga siamo in presenza di un soggetto, cioè una
linea di contrappunto che costituisce l’idea fondamentale
su cui si basa l’intera composizione. Il soggetto sarà
J.S. Bach, Messa in si minore BWV 232, nº 3, Kyrie
sempre caratterizzato da brevità, intervalli e ritmi che lo
rendano incisivo, ben definito e dunque facilmente
riconoscibile a ogni sua entrata nel gioco delle parti.
La risposta non è, come spesso si dice, la seconda
entrata delle voci; non di rado, come vedremo, la
seconda entrata è infatti costituita da un nuovo
soggetto. Si chiama risposta il soggetto stesso, quando
viene ripresentato al tono della dominante. In particolare
diremo poi che la risposta è reale quando risulterà
essere l’esatta trasposizione alla quinta superiore, nota
per nota, di tutte le note del soggetto.
Consideriamo come esempio la fuga sul Kyrie, nº 3, della
Messa in si minore di Bach BWV 232 (cfr. esempio 1). Il
basso espone il soggetto, nel tono di fa diesis minore, cui
succede l’entrata del tenore, con la risposta che ripropone
esattamente gli intervalli del soggetto, nota per nota, ma
a una quinta superiore: si tratta di risposta reale. 3
Ora consideriamo la fuga su dass er meines Angesichtes
nova et vetera
30
31
J.S. Bach, Mottetto BWV 225, Singet dem Herrn,
soggetto e risposta della fuga conclusiva
J.S. Bach, Cantata nº 21, BWV 21,
Fuga su dass er meines Angesichtes Hülfe
Hülfe che conclude la prima parte della Cantata di Bach BWV 21
(cfr. esempio 2). Il soggetto, di due battute, è esposto dal
contralto; risponde il soprano, ma le prime quattro crome sono
quattro do, cioè risponde a una quarta superiore rispetto ai
quattro sol del precedente soggetto. A seguire, tutto il resto
della risposta sarà di nuovo alla quinta, nota per nota, rispetto
al soggetto. Questo cambio nel “rispondere” crea naturalmente
differenze di intervalli nella linea melodica della risposta
rispetto al soggetto: come si vede nell’esempio, nel soggetto,
tra le parole meines e Angesichtes c’è un intervallo di terza
maggiore, mentre nella risposta, tra le stesse parole, l’intervallo
è di seconda maggiore. 4
In questi casi la risposta si chiama tonale. Perché?
La tonalità, in questo esempio, è do minore; la “testa” del
soggetto si apre con quattro sol, cioè con la dominante del
tono, poi tutto il resto si svolge nella regione tonale della
tonica. Ebbene, a questo punto la risposta, per mantenere lo
stesso rapporto tonica/dominante del soggetto deve
“rispondere” di conseguenza, e cioè trasportare alla tonica (do)
ciò che il soggetto pone alla dominante (sol), e trasportare alla
dominante tutto il resto che nel soggetto è in ambito di tonica.
Questo meccanismo, come dicevamo, concorre a mantenere un
equilibrio tonale tra le diverse entrate delle voci, circoscrivendo al
solo contrasto tonica/dominante, e reciprocamente dominante/
tonica, il rapporto tra soggetto e risposta.
Per meglio chiarire questa necessità di scambievole
rispondenza tonica/dominante consideriamo un caso limite, cioè
che l’intero soggetto si trovi alla tonalità della dominante. È la
situazione che si presenta nella fuga a conclusione del celebre
mottetto bachiano Singet dem Herrn BWV 225 (cfr. esempio 3).
Siamo nella tonalità di si bemolle maggiore, e il soggetto, di
otto battute, si presenta totalmente impiantato nel tono della
dominante, fa maggiore. La risposta è tutta in si bemolle
maggiore, né avrebbe potuto essere altrimenti: se, per assurdo,
la risposta fosse stata alla dominante rispetto al soggetto, si
sarebbe presentata tutta in do maggiore, un tono
assolutamente incompatibile con il si bemolle di impianto e
incompatibile con l’esclusivo e solido rapporto tonica/
dominante.
Abbiamo detto che la seconda entrata di una fuga potrebbe
non essere la risposta. È molto frequente infatti che dopo le
prime note del soggetto compaia subito la seconda voce a
presentare un’altra linea melodica di interesse e importanza
pari al soggetto stesso: in questo caso si tratta di un secondo
soggetto, e la fuga si chiamerà doppia fuga. 5
Citiamo solo qualche esempio assai noto nell’ambito della
musica corale: è doppia fuga il Cum Sancto Spiritu con cui si
conclude il Gloria di Vivaldi (cfr. esempio 4); l’Amen del
Magnificat RV 610 sempre di Vivaldi; la chiusa del Te Deum KV 141 di Mozart; il Kyrie del Requiem KV 626 (che costituirà
oggetto di particolare analisi nel prossimo numero di questa
rivista [n.d.r.]). 6
Altro errore comune è dire, in questi casi, che la seconda
entrata è un controsoggetto. Il controsoggetto è una linea di
contrappunto con la quale una voce continua il proprio
cammino dopo aver esposto completamente il soggetto (o la
risposta).
Ben si vede dall’esempio della Cantata BWV 21 (cfr. esempio
2): osservando il contralto, le battute 1 e 2 costituiscono il
soggetto, la battuta 3 e le successive sono il controsoggetto,
riconoscibile anche dalla battuta 5 in poi nel soprano che
accompagna l’entrata del basso e dalla battuta 7 in poi nel
basso che contrappunta l’entrata del tenore. Il controsoggetto
è dunque l’elemento costantemente complementare del
soggetto e della risposta, i quali conservano comunque la
preminenza sul piano dell’interesse e dell’efficacia per tutta la
durata della composizione.
Quando viceversa parliamo di doppia fuga, e il secondo
soggetto, come abbiamo detto, appare immediatamente a
ridosso del primo soggetto, entrambi hanno pari importanza
nell’economia funzionale ed estetica dell’intero lavoro. Chi
A. Vivaldi, Gloria RV 589, nº XII, Cum Sancto Spiritu
saprebbe dire, nel Kyrie del Requiem di Mozart, quale dei due
soggetti è più importante o più efficace? Il primo, sulle parole
Kyrie eleison, o il secondo, sul Christe eleison?
Fin qui la terminologia e le definizioni degli elementi
fondamentali che consentono di identificare una fuga come
tale; assicurato il “lessico familiare” è ora possibile passare
all’analisi, e Mozart ci mostrerà quanto le affermazioni di
Theodore Dubois, almeno nel caso specifico, siano prive del
benché minimo riscontro.
[continua]
Note
1. T. Dubois, Trattato di contrappunto e fuga, Edizione italiana, Ricordi, Milano 1905, p 109.
2. Cfr. ibid., p 109.
3. A queste due entrate fa seguito naturalmente la terza entrata, in questo caso la voce del contralto, che ripropone il soggetto, e quindi il soprano,
con la riproposizione della risposta.
4. La differenza di intervallo tra la linea del soggetto e quella della risposta prende il nome di mutazione.
5. Da non confondere con la fuga a due soggetti, che è altra cosa! Si parla di fuga a due soggetti quando il secondo soggetto fa la sua comparsa in
una posizione molto avanzata della composizione, come se il primo soggetto avesse in qualche modo “esaurito” le proprie possibilità combinatorie,
tanto da far nascere la necessità di un elemento che introduca nuova linfa vitale per il prosieguo del “gioco”. Un esempio ci viene offerto dalla Fuga
XVIII in sol diesis minore nel Vol II del Clavicembalo ben temperato di Bach, dove il secondo soggetto compare alla battuta 61 imprimendo alla
composizione nuove dinamiche costruttive.
6. In altro linguaggio, nella dodecafonia, poderoso esempio di doppia fuga vocale è l’inizio della Scena quarta dell’opera Moses und Aron
di A. Schönberg, con le quattro voci del coro impiegate al pari di strumenti dell’orchestra.
Interattiva, Spilimbergo
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REGIONE AUTONOMA
DELLA VALLE D’AOSTA
Assessorato all’Istruzione e Cultura
COMUNE DI AOSTA
FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE
DELLA VALLE D’AOSTA
SEMINARIO
COMPORRE
EUROPEO
P
E
R
CORO
PER GIOVANI
O
G
GI
COMPOSITORI
riflessioni sulla
coralità popolare
di Sergio Bianchi
val tinella e docente
al conservatorio di como
Mia Makaroff •
Pierangelo Valtinoni •
Thierry Lalo •
Carlo Pavese •
Bottega di Composizione per cori di bambini
LABORATORIO DI
COMPOSIZIONE CORALE ORIGINALE
Bottega di Elaborazione
LABORATORIO DI ELABORAZIONE
E ARRANGIAMENTO SU MATERIALI DATI
AOSTA
18-24
luglio 2010
Bottega di Arrangiamento e composizione vocal jazz-pop
LABORATORIO DI ARRANGIAMENTO
E COMPOSIZIONE VOCAL JAZZ-POP
Bottega di Sperimentazione
LABORATORIO COLLETTIVO
DI SPERIMENTAZIONE-ESECUZIONE
armonizzazioni più ricercate e che
sperimentano una ricerca vocale.
Per molto tempo (probabilmente da sempre) il
coro maschile è stato identificato con il coro
di montagna, quello degli alpini con una serie
di stereotipi deleteri. Si canta nelle osterie,
durante le gite, per fare festa o per sfogarsi,
senza curare l’intonazione, in modo molto
semplice, senza ascoltarsi vicendevolmente,
seguendo l’istinto…
Tutto ciò può essere divertente, ma non è
questo il cantare in coro… e forse proprio per
questo molti giovani snobbano il genere.
Riprendendo alcune osservazioni di Efisio
Blanc ne Il riscatto dei cori maschile al
concorso di Arezzo (Choraliter n. 30) si può
affermare che c’è una scarsa considerazione
nel cantare in un coro popolare maschile.
Certamente il valore di opere della tradizione
colta non è messo in discussione, ma il canto
popolare ha una immediatezza di
comunicazione, una facilità di trasmettere
emozioni che non deve essere sottovalutata.
Le tematiche affrontate offrono un quadro
ampio e variegato legato a luoghi particolari
corali
popoL
direttore del coro
DOCENTI
Partendo dall’esperienza personale di
direttore di coro e da anni di frequentazione
del mondo del canto popolare mi permetto di
suggerire alcune riflessioni su un genere
comunemente considerato in via di estinzione.
Dopo una breve disanima della realtà corale
maschile, cercherò di mostrare il valore di un
filone che deve essere sicuramente
rivitalizzato.
Qual è la situazione attuale?
In genere sono riscontrabili un livello
interpretativo non particolarmente elevato e
un invecchiamento che incide sulla qualità
interpretativa e sulle prospettive future.
Mancano i giovani sia per una preminenza di
altri interessi sia per una apparente
lontananza dalle tematiche proposte. Inoltre il
genere viene “snobbato”da coloro che hanno
o che stanno studiando per avere competenze
musicali.
Accanto a cori tradizionali non solo nella
divisa ma anche nel repertorio, nelle
armonizzazioni e nel modo di cantare, vi sono
realtà che si aprono a nuove composizioni
con contenuti musicali originali, con
canto popolare
34
(la montagna piuttosto che il mare), a
necessità lavorative (il fenomeno
dell’abbandono delle montagne e più in
generale quello dell’emigrazione), a momenti
della vita comunitaria (le feste, i riti religiosi,
il servizio militare), a eventi drammatici
(guerre o catastrofi naturali), a eventi naturali
(l’alternarsi delle stagioni con ciò che ne
deriva per la vita dei singoli), all’attenzione
per l’ambiente…
Si pensi inoltre alla forza dei sentimenti e
delle emozioni che da sempre condizionano la
nostra vita: quante ninna-nanne sono state
scritte nelle varie lingue, quanti canti d’amore
(gioiosi o tristi), quante denunce sulla
brutalità della guerra, quanti canti natalizi…
Il linguaggio è a volte retorico oppure suona
eccessivamente ingenuo o pomposo. Il modo
di esprimersi è legato a un contesto storico e
geografico ben preciso e quindi può sembrare
estraneo alla nostra mentalità o al nostro
modo di vivere, ma ciò che si esprime è
profondamente vero e ha un valore
universale.
Lo stupirsi davanti al ridestarsi della natura o
allo sbocciare di un fiore, il dolore atroce per
la morte avvenuta in circostanze
drammatiche, la meraviglia nel contemplare
un paesaggio, la rabbia per lo sfruttamento
del lavoro, la gioia per un amore o per una
nuova vita…
Il valore di questi sentimenti va ben oltre la
durata della vita di una persona; le modalità
di espressione cambiano nel tempo, ma ciò
che viene raccontato è profondamente vero e
non solo suscita ricordi nelle persone anziane
ma può stimolare emozioni anche nei giovani.
Il canto popolare, oggi, cantato da chi quei
momenti non li ha vissuti, ha una valenza
culturale: assurge a “documento storico”, non
solo di avvenimenti importanti (per esempio:
Monte Nero), ma ancor più di quella
moltitudine di anonimi protagonisti che hanno
contribuito, con umiltà, alla costruzione del
meraviglioso quotidiano.
Accantoniamo quindi quell’atteggiamento di
sufficienza che si è diffuso e avviciniamoci
senza pregiudizi a un repertorio che comunica
in modo semplice e per questo è più
facilmente apprezzabile.
Occorre però che il cantare non sia solo
emettere suoni. Il possedere una voce non
significa saperla automaticamente utilizzare
per cantare e per cantare insieme ad altri. Un
numero elevato di coristi non elimina
automaticamente difetti e incertezze (oltre
agli errori); se da un lato sembra mascherarli,
dall’altro il risultato complessivo ne è
condizionato. La bellezza e la tipicità di
un’armonia si esprime attraverso la pulizia
dell’intonazione; un breve respiro espressivo
è frutto della precisione ritmica di ogni
corista, così come un cambio di tempo lo si
apprezza solo attraverso la coordinazione di
tutti.
Per ottenere tutto ciò non bastano le
ripetizioni ossessive di un passaggio ma
occorrono un’attenzione costante e uno
spirito collaborativo.
In tanti anni di vita corale mi sembra di poter
affermare che un buon corista deve
possedere alcune qualità fondamentali che
non sono esclusivamente musicali. Tenendo
presente che la stragrande maggioranza dei
cori popolari annovera nelle le sue file
persone con scarse o nessuna cognizione
musicale, il possedere la capacità di lettura e
di intonazione è un dono prezioso, ma il non
possederle non deve diventare un alibi che
giustifichi qualsiasi risultato.
Cantare per diletto significa cantare per il
piacere di farlo, significa coltivare una
passione da cui voglio ricavare godimento e
soddisfazione. Pensate a quanti sacrifici si
sottopone una persona per la passione della
pesca o della caccia oppure di uno sport.
Pensate all’impegno profuso dal filatelico per
35
ottenere un certo francobollo o dal melomane per sentire una certa opera o un determinato
cantante… L’esemplificazione può essere amplissima, ma capito il concetto è importante
applicarlo al cantare in coro e occorre domandarsi cosa facciamo concretamente nei diversi
cori per migliorare le esecuzioni.
Avremo modo, in un secondo momento, di prendere in considerazione alcuni aspetti tecnici.
Vorrei concludere dedicando un piccolo spazio alle qualità del corista che deve possedere una
bella voce e che deve essere intelligente, umile e musicale.
Avere una bella voce non significa che il coro deve essere formato da persone che potrebbero
fare tutti il solista (sarebbe eccezionale!). Per cantare nel coro basta avere una voce intonata,
duttile e sufficientemente sonora. Il livello di queste qualità può essere vario e ciascuno in
base alla propria intelligenza e a un minimo di tecnica vocale potrà gestire tutto ciò nel modo
più appropriato.
Possedere intelligenza significa essere in grado di capire e di formulare giudizi. Per far questo
non sono necessari né una laurea né un titolo di studio; in un coro è sufficiente essere
disponibili a comprendere ciò che ci viene richiesto, ciò che facciamo e perché lo facciamo. Per
alcuni coristi cantare in una sezione è motivo di orgoglio o di frustrazione. Tutto ciò è ridicolo:
non si è bravi se si canta in una certa sezione, ma se si porta un contributo preciso e pulito.
Ciascuno ha un suo ruolo, ha un compito importante da svolgere, anche se poco appariscente.
Possiamo citare una frase di Madre Teresa di Calcutta: “…ogni cosa che facciamo non è che
una goccia nell’oceano, ma se non la facciamo quella goccia mancherà per sempre…”.
L’umiltà in coro è fondamentale: ciascuno porta un contributo importante. Come il mattone
deve unirsi ad altri mattoni per l’edificazione di un muro, così una voce deve unirsi ad altre
voci per dare vita al canto. In alcuni momenti ciò che ci viene richiesto può sembrare poco
importante, ma se non lo facessimo mancherebbe qualcosa che non può essere sostituito. Se
abbiamo fiducia nel direttore dovremo accettare le sue richieste anche se non fossimo
Il canto popolare ha una immediatezza di
comunicazione, una facilità di trasmettere emozioni
che non deve essere sottovalutata.
totalmente d’accordo. Si può, anzi se ne deve parlare, ma alla fine il direttore è l’unico
responsabile della interpretazione e quindi deve essere messo in condizione di poter ottenere
ciò che chiede.
Infine la musicalità è una dote preziosa che non si acquista studiando, ma che l’esercizio può
certamente affinare. È una sorta di ingrediente magico che facilita l’amalgama delle voci,
rende semplice e chiara l’interpretazione, ci mette in condizione di indirizzare la voce,
governata da abilità tecniche, in modo da ottenere quella particolare delicatezza o forza o di
creare un breve rallentato o un rubato che la musica ci chiede. Potremmo concludere che la
musicalità è la dote che rende semplice e naturale ciò che un costante esercizio ci porterà
solo a sfiorare.
Se queste doti fossero presenti in tutti i coristi certamente il livello si innalzerebbe
notevolmente e a dimostrazione che non occorre essere tutti musicisti si potrà notare che ho
anteposto alla musicalità l’intelligenza e l’umiltà. Qualità necessarie nella vita di ogni giorno
se si vuol vivere correttamente in una società rispettosa del prossimo.
Nel testo ho utilizzato normalmente il termine “corista” senza preoccuparmi di distinguere corista
(cioè colui che svolge tale attività come professione) da cantore che invece canta per pura
passione, per diletto.
portraiT
36
LA PAROLA È GIÀ MUSICA
Intervista a Marco Berrini
a cura di Mauro Zuccante
Caro maestro Marco, a te il compito di aprire il nuovo spazio
che la rivista Choraliter intende riservare al mestiere del
direttore di coro. Un’arte alla quale ci si appassiona per
motivi diversi. Vuoi riassumere brevemente quali sono stati,
nel tuo caso, i fattori stimolanti?
Senza alcun dubbio, voglio anzitutto ricordare l’incredibile
esperienza che è stata per me cantare in un coro. Ho iniziato
molto presto come voce bianca, proseguendo senza
interruzioni di sorta anche dopo la muta della voce, fino a
occupare, precocemente e con una buona dose di incoscienza,
il ruolo di direttore. Sono di fatto cresciuto, anagraficamente
e musicalmente, in un coro, che quasi per gioco mi sono
trovato un giorno a dirigere. Un’esperienza della quale
soltanto a posteriori ho capito la reale portata e la
fondamentale incidenza sul mio essere musicista, tanto da
ritenerla oggi l’unica veramente formativa a livello musicale.
Consiglierei di anteporla a qualunque studio strumentale e di
coltivarla comunque parallelamente, anche dopo aver scelto
di specializzarsi in un qualsiasi strumento. Sì, ogni musicista
dovrebbe poter includere nel proprio percorso formativo
un’approfondita esperienza corale.
Tra le altre competenze, alla base della tua professionalità
c’è una preparazione pianistica notevole. Posso affermare ciò
perché ti ho ascoltato suonare il pianoforte con estrema
disinvoltura. Quanto e in che circostanze ti facilita questa
abilità nell’esercizio di dirigere il coro?
Lo studio del pianoforte è stata una diretta conseguenza
dell’esperienza corale: cantare provocava in me un tale
piacere da chiedermi un ulteriore avvicinamento alla musica. Il
pianoforte e l’organo sono stati, pertanto, i miei primi contatti
con uno strumento e con una letteratura diversa da quella
vocale. La pratica e l’approfondita conoscenza della tastiera
mi è infatti di aiuto in molte circostanze: dalla lettura delle
partiture, al momento di studio con le formazioni vocali, nelle
audizioni e nel lavoro con i cantanti. Mi rende autonomo e
indipendente nel mio lavoro e questo è tanto utile quanto
piacevole per me.
Quindi se da un lato studiare approfonditamente uno
strumento ha significato in realtà tornare alla mia passione
iniziale per il canto con maggiore competenza e
consapevolezza, dall’altro questo mio primario contatto con la
voce si è rivelato e si rivela determinante anche quando
suono o dirigo un’orchestra. Cerco sempre di portare nella
pratica pianistica e strumentale quel bisogno di respiro che
troppo spesso manca a chi suona uno strumento. La
necessità del respiro (che nel canto e nell’espressione verbale
diviene irrinunciabile veicolo di intenzioni espressive) è
bisogno primario della musica come lo è per l’esistenza
stessa dell’esecutore. L’assenza di respiro in musica uccide la
musica stessa, come l’assenza del respiro è prerogativa di un
corpo morto.
Non è facile, da semplici strumentisti – figli della scuola
italiana – capire di primo acchito questo postulato se non si
ha una solida esperienza vocale alle spalle. Nella pratica
strumentale, tutto rimanda alla voce e all’atto del cantare: i
primi a capirlo furono, secoli fa, i trattatisti che hanno
codificato nei loro testi informazioni e indicazioni mediandole
dalla coeva pratica vocale, ossia usando la voce come
modello per le istanze del nuovo idioma strumentale. Molte
volte mi sono trovato a chiedere ai miei studenti di
conservatorio (ottimi strumentisti, ma privi per formazione di
qualunque esperienza vocale) cosa significasse per loro il
termine cantabile col quale spesso si trovano a confrontarsi
nella loro pratica strumentale; bene, la risposta è sempre
stata univoca: «Cantabile deve essere qualcosa che attiene al
cantare, che avvicina il mio far musica al modo del canto».
Ma la risposta non è mai arrivata quando replicavo: «Ma per
te che non hai mai cantato e sei in procinto di conseguire un
diploma, cosa significa cercare sul tuo strumento un suono
che attenga al cantare»? Paradossale, ma vero!
Nei concerti da te diretti, ai quali ho avuto il piacere di
assistere, mi ha sempre colpito la cura riservata
all’articolazione della parola. Ho l’impressione che nelle tue
interpretazioni il disegno della frase musicale scaturisca da
un minuzioso lavoro di limatura fatto attorno alla singola
parola. Condividi?
Ti ringrazio molto per questa tua osservazione, che mi rende
molto felice perché rende giustizia a quella che è la mia idea
fondamentale del far musica con la voce, con il coro: chi
canta, canta la parola! E anche in questo, lo scontro con i
presupposti dello studio accademico, si fa ruvido. Ci hanno
sempre insegnato a “leggere le note e a suonarle tutte
esattamente intonate e a tempo” (presupposto sicuramente
imprescindibile), quasi che la fedele e corretta riproduzione
dei suoni possa esaurire in sé stessa il nostro rapporto di
interpreti con l’opportunità semantica che il codice scritto ci
offre. Per chi fa musica con la voce, la parola rappresenta
quel che può trasformare la pagina che avviciniamo,
silenziosa e ferma nella sua staticità grafica, in un veicolo di
comunicazione espressiva, in un medium tra sé e gli altri.
La parola è già musica: lo diceva già Cicerone parlando del
cantus obscurus; in essa già convivono
tutti quegli ingredienti che la rendono
espressione musicale per eccellenza
(altezza dell’intonazione, ritmo,
opportunità timbrica, intenzione
espressiva…). E la prerogativa che
connota la parola, l’accento, non ha
forse un’etimologia (ad cantus, verso il
canto) che lo lega intimamente all’atto
del cantare? L’accento è il canto della
parola stessa, è la sua naturale
intonazione, e questa deve mantenersi
altrettanto espressiva in musica.
Quando il compositore ha saputo
rendere giustizia alla parola,
dipingendola con un gesto grafico che
Marco Berrini____
Diplomato presso il conservatorio G. Verdi di
Milano in pianoforte, musica corale e
direzione di coro e composizione polifonica
vocale, si è dedicato fin da giovanissimo alla
musica corale, studiando anche direzione
d’orchestra e musicologia.
È risultato vincitore del 1º Premio ai seguenti
concorsi corali: 1986, Quartiano (Lo); 1987,
Bresso (Mi); 1991, Bresso (Mi); 1991, Vittorio
Veneto (Tv); 1995, Battipaglia (Sa); 1996,
Vittorio Veneto (Tv) IV Gran Premio Corale E.
Casagrande; 1999, Tortona (Al); 2003, Arezzo
(Nazionale, Internazionale e Gran Prix
Corale); 2004, Gorizia, 2º premio ex-aequo al
16º Gran Prix Corale Europeo. Nel 2001 è
stato ammesso alle fasi finali della prima
edizione del Concorso internazionale per
direttori di coro M. Ventre di Bologna dove
ha vinto il 3º premio ex-aequo.
Ha diretto in Spagna, Portogallo, Francia,
Germania, Svizzera, Austria, Israele,
Argentina.
Ha lavorato a fianco di grandi direttori fra i
quali A. Ceccato, O. Dantone, G. Noseda; ha
realizzato produzioni musicali con importanti
orchestre italiane e con importanti festival e
stagioni concertistiche in Italia e all’estero,
tra i quali, a Milano, la Società del Quartetto
e Musica e poesia a S. Maurizio, I Pomeriggi
Musicali, il Festival Internazionale Settimane
Musicali di Stresa, il Teatro Bellini di Catania,
il Teatro Due di Parma, l’Associazione
Scarlatti di Napoli, il Maggio Musicale
Fiorentino, il Festival di Musica Antica di
37
asseconda il suo corretto modo di
pronunciarla, è compito della sensibilità
dell’interprete lasciar risuonare la sua
intrinseca e connaturata musicalità nel
suono che emette.
Perché, domando sempre ai direttori
con i quali ho il piacere di confrontarmi,
pur riconoscendo un valore espressivo
e musicale alla parola e non potendo
fare a meno di sentire la grande
potenza espressiva della musica che la
riveste, alla fine riusciamo a far sì che
la feconda unione di parola e suono
risulti sterile, monocorde? Forse il
condizionamento stilistico di certe
esecuzioni d’oltralpe pesa sulle nostre
idee…
Nella tua carriera hai avuto modo di
spaziare nei diversi generi della musica
corale e di eseguire musiche di autori
di epoche diverse. Ma qual è il
repertorio dove ti senti più a tuo agio e
dove pensi di saper esprimere al
meglio la tua sensibilità artistica?
Agli inizi della mia attività di direttore
ho indirizzato le mie scelte verso la
letteratura del periodo rinascimentale e
barocco, anche in ragione del fatto che
il gruppo con cui lavoravo in quel
periodo non mi consentiva di
avvicinarmi consapevolmente e con
cognizione di causa da un punto di
Malaga (Spagna) e il Teatro Real di Cordoba
(Argentina).
Dal 1989 al 1992 è stato maestro sostituto
direttore del Coro da Camera della Rai di
Roma col quale ha effettuato registrazioni
per Rai Radio Tre.
Ha fondato e dirige il Coro da Camera del
conservatorio A. Vivaldi di Alessandria con il
quale svolge regolare attività concertistica e
discografica.
Ha diretto le prime esecuzioni assolute di
composizioni di B. Bettinelli, I. Danieli, O.
Dipiazza, B. Zanolini, F. Ermirio, R. Beltrami,
P. Manfrin e la prima esecuzione italiana del
Weihnachtsoratorium per soli, coro e
pianoforte di F. Nietzsche (maggio, 1998).
La sua discografia in qualità di direttore
dell’Ars Cantica Choir & Consort comprende
incisioni monografiche dedicate a A. Lotti,
G.G. Gastoldi, G.P. da Palestrina, O. di Lasso,
V. Ruffo, M.A. Grancini, F. Durante, F.
Nietzsche, L. Perosi, B. Bettinelli, quasi tutte
in prima registrazione assoluta, oltre a opere
di autori italiani contemporanei in prima
incisione assoluta.
È stato inoltre invitato a tenere un atelier
sulla musica polifonica veneziana del
Rinascimento alla XVI edizione del Festival
Europa Cantat (Mainz, 2006).
Nel 2007 e nel 2008 è stato invitato in
Argentina, a Buenos Aires a dirigere il Coro
Nazionale Giovanile Argentino (Co.Na.Jo) per
un ciclo di concerti sulla musica italiana del
’900, a Cordoba per dirigere il Coro
Polifonico del Teatro della Provincia de
Cordoba, e a La
Plata, per un master
sulla prassi
esecutiva della
musica
rinascimentale.
A partire dalla
primavera 2008, è
stato invitato a
collaborare in qualità
di direttore ospite
con il Coro del
Teatro dell’Opera di Malaga e con il Coro del
Teatro della Maestranza di Siviglia (dal
febbraio 2009).
È direttore artistico e musicale del complesso vocale professionale Ars Cantica Choir &
Consort e del Quartetto Vocale S. Tecla,
formazione professionale del Duomo di
Milano.
Ha curato la pubblicazione di musica vocale
per le case editrici Suvini Zerboni, Carrara,
Rugginenti.
È regolarmente chiamato a far parte della
giuria di concorsi corali nazionali e internazionali e a tenere master di formazione e
perfezionamento per cantori e direttori in
Italia e all’estero.
È membro della Commissione Tecnico-Artistica dell’Associazione Regionale Cori della
Valle d’Aosta.
È docente al P.I.A.M.S. (Pontificio Istituto
Ambrosiano di Musica Sacra) di Milano e
docente di esercitazioni corali presso il
conservatorio A. Vivaldi di Alessandria.
portraiT
38
vista tecnico e musicale ad altri repertori. Ho
sempre creduto, e ancor oggi lo credo
fermamente, che i propri desiderata di
interprete musicale vadano consapevolmente
filtrati e mirati sulle reali potenzialità del
gruppo di cui si dispone. In quegli anni,
davvero fecondi per lo studio, il lavoro di
formazione con Domenico Zingaro e di
approfondimento con Giovanni Acciai, ha
contribuito in maniera sostanziale a
strutturare il mio pensiero di interprete. Oggi
ho il piacere di poter avvicinare letterature
corali di epoche diverse: la formazione che
dirigo me lo consente e credo che, nel tempo,
anche io sia cresciuto con loro. Resto sempre
però particolarmente attratto e stimolato
dalla letteratura più antica, anche perché la
lunga e intensa frequentazione della stessa
mi ha aiutato a leggere e interpretare meglio
quel che è seguito.
In ogni caso, quale che sia l’autore e il
periodo da affrontare, cerco sempre di pormi
in modo intellettualmente onesto di fronte
alla pagina da interpretare, e solo dopo aver
dedicato cura e tempo all’analisi e allo studio
della partitura lascio che le istanze estetiche
e stilistiche di un linguaggio musicale
risuonino in me: la pagina musicale parla
all’interprete che umilmente si predispone ad
ascoltarla.
Una performance corale prevede varie fasi di
lavoro. Dico le più importanti. Lo studio della
partitura, l’istruzione delle sezioni del coro,
la concertazione, l’esecuzione vera e propria.
In quale momento concentri l’impegno
maggiore? Vien da pensare che un coro ben
addestrato possa cantare senza direttore.
Eppure, c’è chi considera irrinunciabile il
gesto del direttore, anche (o soprattutto) in
concerto. Come la pensi?
Il cammino che porta dalla scelta di un brano,
al suo studio individuale e corale, alla
concertazione e infine alla esecuzione è una
sorta di cammino di iniziazione. Il primo a
dover essere “iniziato” al significato della
musica da eseguire è proprio il direttore.
Prediligo pertanto molto uno studio molto
approfondito della pagina da eseguire; questo
mi aiuterà a condurre con più facilità il
gruppo che con me dovrà condividere
l’esperienza musicale lungo le strade della
comprensione del brano. Una comprensione
che dovrà nutrirsi di cognizioni storiche,
estetiche, tecniche, vocali, corali… Il coro deve
conoscere, comprendere e condividere i
percorsi interpretativi del direttore, che si
esprimono – durante le fasi di lavoro
collettive – attraverso un uso sapiente della
parola parlata, un uso ancor più intenso ed
efficace della parola cantata nelle
esemplificazioni vocali, in un gesto che
istante dopo istante diviene sempre più
visualizzazione del pensiero, non mera
pulsazione metronometrica avulsa da quel
dire espressivo che abita il suono. Un coro
tecnicamente ben addestrato può arrivare a
cantare senza un gesto direttoriale
accademicamente inteso, ma può ugualmente
non poter fare a meno di aver di fronte quella
figura che nel momento della esecuzione è
solo e semplicemente promemoria visivo di
un percorso di iniziazione, condiviso e
compreso, al di là del gesto chironomico. Il
gesto del direttore può arrivare a sganciarsi
da tutti i presupposti tecnici che lo abitano
per divenire, nel momento della esecuzione,
“medium” di una comunicazione, unica,
intima ed esclusiva, con il coro che ha di
fronte. È un gesto d’amore.
Il tuo palmarès è ricco di successi ottenuti in
concorsi nazionali e internazionali. Credo che
in primis sia doveroso ricordare la splendida
affermazione del 2003 all’Internazionale di
Arezzo, con il conseguimento del Gran Prix.
Vuoi raccontarci le emozioni di quei giorni.
39
Il ricordo di quei giorni, e di quelli che gli sono seguiti, riporta alla mente emozioni molto forti,
anche contrastanti fra loro. Ripenso senz’altro in prima istanza al lavoro condiviso con il coro e
ai brillanti riconoscimenti ottenuti, ma anche a un certo malsano clima della coralità italiana, che
dietro a luminescenti vetrine nasconde, a volte neanche troppo, grandi povertà…
A giudicare dai tuoi impegni ti occupi molto di formazione. In forma stabile od occasionale,
tieni corsi, stages e masterclass per direttori di coro in varie località italiane e straniere. Mi
incuriosisce sapere se, dopo anni di questa attività, riconosci la tua impronta in qualche
giovane direttore; insomma, se, come si dice, pensi di aver fatto scuola.
Non è mai stato un mio obbiettivo quello di creare una “scuola di pensiero”. Sicuramente ci
sono persone a me più vicine, con le
quali oggi vivo lo stupore fecondo di
un rapporto di discenza trasformato
in vera amicizia, e che in maniera più
diretta di altre hanno condiviso con
me esperienze formative, didattiche
e musicali forti e caratterizzanti, che
oggi si riconoscono, come me, entro
i confini di una determinata linea di
pensiero musicale e più in generale
di una idea del “far coro”. Mi preme comunque dire, che ho ricevuto moltissimo in ogni
esperienza corsuale che ho avuto il privilegio di condividere con cantori e direttori: la mia
crescita è passata prepotentemente anche attraverso questi incontri, nei quali il desiderio di
approfondimento e conoscenza dei discenti è indiscutibilmente diventato uno stimolo per il
sottoscritto.
Ogni musicista dovrebbe includere
nel suo percorso formativo
un'approfondita esperienza corale.
Una questione spinosa. Ho assistito lo scorso anno alle selezioni per il Premio Nazionale delle
Arti, riservato ai cori di conservatorio. Francamente, c’è stato poco da entusiasmarsi per il
livello espresso dalle compagini che si sono esibite. Approfitto pertanto della tua schiettezza e
del tuo ruolo di docente di esercitazioni corali, per chiederti i motivi per cui, all’interno dei
portraiT
40
conservatori italiani (cioè dei luoghi deputati
all’alta istruzione musicale), stentano a
formarsi gruppi corali di valore e di
riferimento.
Rispondo a questa domanda con la curiosità
di chi verrà a contatto (in qualità di membro
della commissione di ascolto) per la prima
volta alla fine di questo mese di aprile con
questa esperienza concorsuale nella quale
vengono coinvolti i cori dei conservatori
italiani. Lavoro ormai da un ventennio nei
conservatori italiani e posso solo dire una
cosa a questo riguardo: come per tutte le
esperienze concrete della vita, quando accade
(o non accade) qualcosa c’è sempre qualcuno
che vuole che sia così. Nei conservatori italiani
non ci sono cori? Quelli che ci sono non
cantano o esprimono un livello decisamente
basso? La risposta a questi interrogativi è
presto data.
Gli studenti dei conservatori italiani non hanno
nulla da invidiare a nessuno studente di
nessun altro conservatorio europeo.
Dobbiamo soltanto porci con estrema
franchezza alcune domande: in quale misura
la gestione didattica dei conservatori italiani
(e sto parlando in modo concreto, pensando ai
direttori) promuove la coralità in seno al
conservatorio? Obbligando gli studenti a un
numero irrisorio di anni di frequenza alla
classe di esercitazioni corali, in un momento
della vita formativa dello studente che è
magari non è neanche fisiologicamente idoneo
(leggi, per le voci maschili: quello della muta
della voce)? Esonerando gli studenti delle
classi di canto a partecipare alle lezioni di
esercitazioni corali? Ebbene sì, i cantanti
vengono esonerati perché l’attività corale
“danneggia il loro strumento”… Continuiamo
pure a creare degli illusi! Coloro i quali
dovrebbero far tesoro di una esperienza
didattica che potrebbe essere – nel loro poco
roseo futuro – l’unica valvola di sfogo per
poter continuare a far musica dopo lo straccio
di diploma che verrà loro rilasciato, vengono
esonerati dalla stessa! Ma lo sanno questi
cantanti che chiedono esoneri a raffica
presentando false certificazioni mediche (se ci
fosse lo spazio avrei una letteratura in
proposito…) che alcuni fra gli attuali più
grandi cantanti al mondo (facciamo solo un
paio di nomi: Anne Sofie von Otter,
mezzosoprano svedese, e Brin Terfel, baritono
gallese) provengono da qualificatissime
esperienze corali? Ma forse, in Svezia e in
Scozia, la voce ai cantanti che studiano
non si rovina come in Italia!
Che dire poi, quand’anche non ci si
imbatta in situazioni come quella sopra
descritta, delle scelte di repertorio delle
classi di esercitazioni corali? Gli studenti
dei conservatori italiani devono cantare,
devono frequentare la pratica vocale come
un nutrimento formativo per la parallela
pratica strumentale: la voce, il coro, deve
tornare – anche qui da noi – a essere un
punto centrale del progetto formativo.
I giovani che frequentano i conservatori
italiani vanno formati alla coralità dalla
base, con le difficoltà che si incontrano
solitamente lavorando con un coro di
dilettanti: hanno poca esperienza nella
lettura cantata (mi esimo dall’esprimere
opinioni sulle competenze acquisite dagli
studenti nelle classi di teoria e solfeggio),
nessuna esperienza vocale e tantomeno
corale; non sono abituati a pensare
all’intonazione di un suono come a un
fatto legato alla volontà della coscienza…
Quindi, in sostanza, cosa fargli cantare?
Ma, come per tutte le esperienze della vita, ci
sono le “eccezioni che confermano la regola”:
laddove in un conservatorio si uniscono
lungimiranza e competenza didattica e c’è una
volontà “che vuole”, i cori cantano… e bene!
Una delle iniziative in cui sei stato di recente
particolarmente attivo è quella della
conduzione del Coro Regionale Valdostano e,
fuori dai confini nazionali, del Coro Nazionale
Giovanile Argentino. Forme analoghe di
aggregazioni corali attorno a un progetto si
ripetono altrove e in diversi contesti. Vuoi
brevemente parlarci del senso di queste
esperienze?
L’esperienza del Coro Giovanile Nazionale
Argentino è stata incredibile. Una formazione
solidissima, formata da giovani tra i 18 e i 29
anni selezionati su scala nazionale e
provenienti da tutto il territorio argentino (che
conta una superficie pari a cinque volte quella
italiana): il meglio del meglio dal punto di
vista musicale e non soltanto per la qualità
vocale! Ricordo che nei giorni immediatamente
successivi alla mia produzione musicale a
Buenos Aires (con un repertorio
completamente dedicato alla letteratura
italiana del ’900) si sarebbero svolte le
selezioni nazionali per integrare l’organico che
alla fine della stagione sarebbe stato privato
41
di un paio di voci per raggiunti limiti di età. Gli iscritti alla selezione per soli due posti erano più di
150! Sì, perché il Coro Giovanile Nazionale Argentino è un coro trattato professionalmente dallo Stato,
che stipendia i cantanti che ne fanno parte per tutti gli anni di permanenza nella formazione.
Come se non bastasse, in Argentina ci sono anche il Coro Nazionale dei Bambini, il Coro Nazionale
dei Ciechi e il Coro Nazionale (degli adulti): anch’essi tutti regolarmente stipendiati. Necessità di
commentare? Uno dei paesi al mondo che dopo anni di estrema congiuntura e difficoltà economica
sta ora rialzando un poco la testa, ci dà una grande lezione di civiltà. Un intero popolo che canta… e
come canta!
Un bilancio decisamente positivo è anche
quello che posso tracciare dopo la bella
esperienza alla guida del primo Coro
Regionale Valdostano: 17 cori su 31 hanno
aderito all’iniziativa per un totale di 72
cantori abbastanza equilibrati numericamente
nella distribuzione fra i registri vocali,
soprattutto se si tiene conto della “fisiologica” mancanza di voci maschili.
Ricordo ancora l’entusiasmo con il quale fu accolta la proposta dell’iniziativa da parte della
commissione artistica e soprattutto del presidente dell’associazione dei cori valdostani, Marinella
Viola, che non ha esitato a valutare concretamente la fattibilità dell’operazione.
Ghiotta si rivelava poi l’opportunità di far coincidere il primo concerto di questa formazione regionale
con il decennale dell’Arcova. Un progetto lungimirante, che spero venga portato avanti in futuro da
questa piccola ma operosa associazione regionale; un’opportunità concreta, al di là di tante parole,
per far crescere il senso di appartenenza attorno al valore del cantare insieme.
Mi sento di invitare i giovani
e gli appassionati a non mollare.
Nel tuo lavoro, oltre alla direzione stabile del prestigioso Ars Cantica Choir & Consort, collabori in
Italia e all’estero con varie istituzioni corali professionali e non. In virtù di questa privilegiata
posizione di osservazione e della tua esperienza, come giudichi le opportunità che si offrono oggi a
un giovane che volesse intraprendere il mestiere di direttore di coro? Quali consigli ti senti di
dargli?
Ho il piacere di poter collaborare stabilmente con i cori dei teatri di Siviglia e Malaga, in Spagna, e
questo mi ha offerto l’opportunità di confrontarmi con realtà musicali, e di formazione musicale,
molto differenti dalla nostra.
Gli studenti che si preparano alla professione del direttore di coro, all’estero, godono innanzitutto di
una opportunità quasi totalmente negata in Italia: quella di poter studiare, almeno in alcuni momenti
della loro carriera di studenti, di fronte a una formazione corale. È risaputo che in Italia al direttore di
coro sono offerte pochissime opportunità per studiare con un coro: è incredibile, ma è la realtà,
ormai consolidata e confermata da anni.
Inoltre il direttore di coro italiano non ha reali sbocchi occupazionali: le formazioni professionali
legate agli enti lirici e alle istituzioni sinfoniche usano criteri molto “originali” per la selezione degli
eventuali maestri del coro, e comunque sempre senza indire alcuna forma di concorso pubblico; sono
pochissime (e piuttosto blindate anche esse) le istituzioni religiose propense a considerare in modo
professionale la figura del maestro di cappella. E poi, in Italia, o sei direttore d’orchestra o non sei
nessuno…
Quindi le prospettive non sono rosee: una formazione “all’acqua di rose”, nessuna certezza lavorativa
concreta nel campo specifico. Ma io mi sento di invitare i giovani e gli appassionati a non mollare.
Soffriamo della mancanza di alcune fondamenta culturali a livello musicale (e non solo) che
penalizzano pesantemente tutto il settore. A noi direttori di coro sta il compito di lavorare sul
territorio, diffondendo quella cultura del far musica in prima persona che sola può recuperare alla
musica (quella con la M maiuscola!) il posto che le spetta nella prospettiva culturale del nostro
paese; lavorare all’interno di quel fecondo terreno di coltura che sono i cori amatoriali, con dedizione,
pazienza, umiltà, facendo crescere una consapevolezza musicale individuale che possa poi esprimersi
a livelli sempre più qualificati. Quella della bellezza è la migliore voce per rendere giustizia a chi fa
sempre più fatica a farsi ascoltare.
www.ectorino2012.it
fragmentA
43
LE TESTIMONIANZE MUSICALI DEL MEDIOEVO
Spunti di riflessione sulla prassi esecutiva
di Franco Radicchia
direttore del gruppo vocale armonioso incanto
readyTOsing
Great and joyful
vocal festival
torino
Singers and choirs
from all over the world
Ateliers of
all vocal genres
Open
Singing
Famous
international
conductors
ready
sing
More than
100 concerts
Italian music,
art, culture
and… food!
Meetings
& friendships
È sempre difficile e, direi, soggettivo parlare di prassi
esecutiva quando trattiamo forme musicali così lontane nel
tempo. Le fonti ci riportano una codificazione piuttosto
schematica e certamente non esaustiva di una pratica sempre
in evoluzione nel tempo e negli spazi. Solo valutando vari
parametri storici, etnici, religiosi, scientifici e perché no, anche
musicali, potremmo tentare una nostra interpretazione del
contenuto delle fonti a noi giunte e dell’iconografia.
A mio parere chi si illude di recuperare il passato, e non la
musica del passato, commette un errore grossolano. Colui che
si occupa onestamente del passato, prossimo o remoto che
sia, non si colloca in simbiosi con esso, ma lo analizza, lo
studia, lo giudica e, così facendo, in buona misura se ne
allontana. Se si considera dunque una proposta esecutiva di
musiche medioevali come una vera e propria
“interpretazione” si deve ammettere che essa rappresenta
un’operazione decisamente moderna.
La ricerca di un colore e di un paesaggio sonoro di
quest’epoca è fortemente condizionata da passioni religiose
di carattere monastico e popolare e inoltre, affascina oggi la
nostra mente stimolando situazioni utili a ritrovare una
dimensione pura, più acustica e meno tecnologica. Le
problematiche esecutive della musica medioevale devono
tener conto della situazione reale ed emozionale in cui
l’evento si proietta; vi è un preciso connubio tra momento
musicale e momento sociale, sia esso sacro o profano. Nelle
musiche dell’epoca è presente una forte componente di
improvvisazione legata a fattori di caratterizzazione etnica
che perdono una precisa identità interpretativa e spontanea
quando vengono “ingabbiati” in formule di trascrizione e di
codificazione. Sono in perfetta sintonia con chi afferma che
queste testimonianze musicali non possono essere presentate
in un semplice concerto, bisogna quanto meno provare a
ricostruire l’aspetto storico ed emozionale generatore. Ne è
un classico esempio l’esecuzione del canto gregoriano al di
fuori della liturgia.
Se vogliamo comunque affrontare problematiche di prassi
esecutiva, occorre sottolineare l’importanza della simbiosi tra
suono e parola. Questo rapporto ha radici profonde: risale
all’antica Grecia e, fin dai tempi di Platone, non ha mai
mancato di accendere il dibattito fra teorici e musici. Tale
rapporto è divenuto l’elemento sostanziale del canto
gregoriano, nesso imprescindibile per una sua autentica
interpretazione. Con l’avvento della polifonia a partire dal IX
secolo, il legame non si spezzò, ma al contrario, si irrobustì
ancor più, fino a toccare il culmine nel corso del sec. XVI.
L’ars dicendi, ovvero l’arte del parlare, il potere incontrastato
dell’eloquenza nel muovere gli affetti, che informa
l’espressione musicale, contribuisce non poco ad accelerare
quel processo di verbalizzazione della musica sacra e profana,
che conoscerà il suo culmine nelle esperte mani di
Monteverdi.
Importanti sono le testimonianze su questo tema dei teorici
Guido d’Arezzo e Johannes Cotto. Nel suo Micrologus Guido
afferma che, come nella metrica ci sono lettere e sillabe, parti
e piedi e versi, così nella musica ci sono suoni dei quali uno,
due o tre si raggruppano in sillabe; e una o due di quest’ultime
in un neuma, cioè costituiscono la parte di una cantilena; una
o più parti, poi, formano una distinctione ovvero un luogo
opportuno per respirare. Nella declamazione dei salmi, il
rapporto suono-parola è ancora più eloquente; nella pratica
liturgica si raccomanda di “pronunciare distintamente ogni
singola parola rispettandone gli accenti ed evitando di
sovrapporle o dividerle in due; di mantenere il medesimo
criterio di articolazione del testo, affinché non risulti più veloce
l’inizio rispetto alla metà o alla fine del versetto”.
fragmentA
44
Dobbiamo ora mettere in evidenza l’affascinante figura della Madonna che, con il suo umile e
semplice prestigio, ha notevolmente influenzato la pratica musicale nel Medioevo anche nelle
sue contaminazioni tra sacro e profano. La purezza e la dolcezza di Maria condizionano la
pratica vocale con la quale il suono cercato deve essere limpido e intimamente connesso alla
parola, mediante gli accenti e le inflessioni ritmiche del linguaggio parlato e declamato. L’ottica
con cui si possono affrontare brani sacri del periodo medioevale, è contrassegnata dalla
raffinatezza vocale che riflette la filosofia e la retorica del canto cristiano romano.
È proprio nel Medioevo che la figura della Madonna acquista grande prestigio anche come
mediatio e intercessione tra l’uomo e Dio, rifugio
delle aspirazioni umane alla ricerca di un sollievo
spirituale che allontani le nefandezze terrene. Ne è
una tangibile testimonianza il fenomeno della lauda
dove è maggiormente in evidenza l’incontro tra
sacro e profano e dove l’uomo comune cerca, con un
suo linguaggio ancora rozzo e poco raffinato, di
appropriarsi dei misteri spirituali e di una
dimensione religiosa più comprensibile.
Ritornando all’interpretazione musicale dei testi, dobbiamo centrare la nostra attenzione alle
forme retoriche presenti nei brani dell’epoca medievale come nel caso dell’incipit dell’antifona
gregoriana Alma redemptoris mater. È innegabile l’importanza di esecuzione di questo spunto
melodico che prepara alla regalità e alla bellezza della figura mariana, la melodia parte dal
basso e si staglia verso l’alto allo stesso tempo con forza e devozione. C’è un importante segno
di paleografia gregoriana, il quilisma, che accentua questo movimento melodico tra la seconda e
quarta nota. È importante considerare come la vocalità deve essere rispettosa di questi segni
che esprimono indicazioni esecutive dove non può essere eclatante la forza sonora ma
l’intenzione del cuore. Perciò rispettare un fraseggio dedicato al significato profondo del testo
con una precisa intimità sonora che cerchi di cogliere la vera essenza della figura mariana.
La testimonianza del canto gregoriano condiziona anche la polifonia medioevale a cominciare
dall’epoca carolingia stessa (ca. 750 in poi). Il cantare a più voci rappresenta un’azione sul canto
piano, ma non come fatto tecnico, semplicemente come amplificazione e ornamentazione dello
stesso. Si cantava a più voci soprattutto nella pratica cristiana legata alla Chiesa di oriente.
Il rapporto tra suono e parola è
divenuto l’elemento sostanziale
del canto gregoriano.
Questa ornamentazione polifonica veniva fatta nel
rispetto della sacralità degli intervalli sinfonici di
4-5-8; l’introduzione in Europa del primo organo
idraulos potrebbe aver incoraggiato questa pratica. Lo
studio interpretativo che viene portato avanti è
basato fortemente su questa amplificazione polifonica
del testo sacro; le voci sono continuamente alla
ricerca dello sviluppo armonico naturale
assecondando naturalmente la sovrapposizione
acustica insita nel suono base generatore.
Le fonti ci riportano una testimonianza di prassi
esecutiva attraverso una codificazione piuttosto
scarna e per nulla esaustiva sul rivestimento musicale
del testo. È ormai assodato che insieme alle melodie
tramandate nei codici, venissero usate forme di
polifonia orale che scaturivano dalle varie tipologie di
canto. Vi sono diverse tecniche di amplificazione
orale: tenendo presente che cantare per 5ª o per 4ª o
per 8ª non è una vera polifonia in quanto questi suoni
sono armonici del suono generatore, la prima vera
polifonia è rappresentata dal discanto, cioè far
cantare una voce in contrapposizione melodica con la
principale.
Finché l’amplificazione polifonica segue lo sviluppo e
l’articolazione testuale non vi sono problematiche
legate all’andamento ritmico. L’invenzione ritmica
rappresenta invece la vera novità dell’Ars Nova dove,
soprattutto presso la Schola di Notre Dame, c’è
l’esigenza di creare delle strutture ritmiche che
potevano gestire la proliferazione degli organa
melismatici sopra il canto fermo. L’arricchimento
ritmico non deve comunque scombinare una certa
purezza e trasparenza vocale che permette una
corretta e comprensibile interpretazione del testo.
Abbiamo precedentemente accennato al fenomeno
popolare della lauda come genuina trasparenza della
religiosità comune; a ciò possiamo affiancare le
melodie tratte dal famoso Livre Vermeil che raccoglie
le testimonianze musicali del pellegrinaggio
medioevale alla Madonna Nera del monastero di
Montserrat.
Andare in pellegrinaggio era allora come oggi
un’esperienza di forte rinnovamento spirituale. Il
codice ci documenta sui miracoli della Vergine e sul
pellegrinaggio presso il sacro sito. Era grande la sua
fama pietosa e riconoscente che sempre un maggior
numero di pellegrini salivano fino a Lei per lodarla e
per chiederle perdono. Pare che l’esplosione delle
emozioni accumulate dai pellegrini durante il viaggio
fosse tale che, oltre a pregare la Vergine e a pentirsi
fortemente, essi cantassero e danzassero. Come ci
documenta questo codice, era data la possibilità ai
fedeli di cantare e danzare con fervore popolare; ciò
dimostra ancora come sia forte la contaminazione tra
sacro e profano nel Medioevo. Anche
45
nell’interpretazione di queste musiche va rispettato il
significato testuale e, come già precedentemente
detto, tener conto dell’aspetto emozionale dell’evento
dovuto dal luogo dove veniva perpetuato.
A conclusione di questi spunti di riflessione sulla
prassi esecutiva delle testimonianze musicali del
Medioevo, possiamo ribadire lo spirito storico con cui
avvicinarsi a questo repertorio, ma soprattutto la
giusta coscienza nel calarsi a fondo negli stimoli sacri
e profani che hanno generato questa cultura. Non è
possibile interpretare qualche cosa che non fa parte
della nostra spiritualità, lo studio di una corretta
Nel Medioevo era forte
la contaminazione
tra sacro e profano.
interpretazione delle fonti medioevali deve passare
attraverso la parola e al suo significato più ampio che
condiziona tradizioni e usanze sia colte che popolari.
La parola e la musica narrano esperienze e
testimonianze che vanno ben oltre una pura e
semplice accezione estetica.
ASSOCIAZIONE
feniarco
caput mundi
anno di straordinario lavoro Feniarco. Anno
che poi, come sappiamo, ha portato il
presidente Fornasier a essere eletto alla guida
dell’organismo internazione di Europa Cantat.
Le proposte sempre discusse in toni sereni e
collaborativi hanno riguardato le iniziative
formative, culturali e di prospettiva che sono
ormai elemento di operatività costante della
federazione. Significativa la presenza ai lavori
del Consigliere Provinciale Battaglia e dello
stesso Assessore Regionale alla Cultura, l’On.
Giulia Rodano, a testimonianza
dell’apprezzamento delle locali istituzioni
verso le iniziative culturali promosse
dall’associazione che riunisce e coordina le
attività dei cori laziali. Dopo un pausa che ha
visto anche un piccolo momento di
convivialità musicale con l’esibizione della
47
ha trovato nelle parole del presidente
Fornasier una chiara illustrazione e il
consenso unanime dei delegati.
Il momento celebrativo del ventennale Arcl ha
trovato sede naturale nel corso della cena di
gala. Il presidente Vatri ha presentato i
componenti del Consiglio Direttivo e della
Commissione Artistica che annovera illustri
maestri quali Ermanno Testi, Marina Mungai,
Bruna Liguori Valenti, Tullio Visioli, Amedeo
Scutiero, Piero Caraba, Remo Guerrini e
Walter Marzilli e ha ricordato quale grande
difficoltà di percorso trova un’associazione
che si occupa di una nicchia musicale
scarsamente seguita dai media e per di più
che opera in una Roma dove si concentra non
soltanto l’attività politica, bensì anche quella
culturale e sociale di tutta la nazione.
assemblea
nazionale
Cronache dall’assemblea nazionale
Roma, 20-21 marzo 2010
di Puccio Pucci
I delegati regionali che da tempo vivono
l’esperienza Feniarco hanno avuto modo, nel
recente passato, di essere ospiti di località e
regioni diverse, quali sedi delle annuali
assemblee, tutte fascinose e interessanti.
Dalla Sicilia alla Val d’Aosta, le associazione
regionali della federazione hanno offerto ai
colleghi occasioni di ospitalità, sempre
contrassegnate da quel tocco di regionalità che
le distingueva le une dalle altre, grazie anche
alle accorte regie di chi le organizzava.
I lavori assembleari, che spesso hanno
impegnato i delegati sin dal venerdì e per tutto il
weekend, sono stati stemperati, nelle pause,
dagli incontri informali, punteggiati sovente da
intrattenimenti musicali che hanno dato anche ai
momenti conviviali un particolare sapore di festa
e di relax.
La conoscenza reciproca si è venuta a cementare
e approfondire per l’apporto di un gruppo di
consorti che, condividendo l’esperienza della
coralità dei loro mariti, hanno contribuito a fare
della Feniarco una vera affiatata famiglia con la
loro presenza costante, collaterale a queste
riunioni.
Certo per l’Assemblea di primavera 2010, essere
ospiti della Arcl, l’Associazione Regionale Cori del
Lazio, e della grande capitale ha creato davvero
una pressante attesa perché il fascino di Roma,
con quanto questa città si porta alle spalle da
tremila anni, donava all’evento un sapore di
scoperta e rivisitazione, unitamente al fatto che
si celebrava anche la festa ventennale
dell’associazione che ci ospitava.
Quindi attraversare a piedi vie famose, per averle
viste spesso alla ribalta della cronaca, con
monumenti straordinari che ti scivolano accanto
come la Chiesa di Santa Maria Maggiore, il Foro
e la svettante colonna di Traiano, la superba
Torre delle Milizie, mentre ti apprestavi a essere
ospitato nella sala di Palazzo Valentini, sede
della Provincia, ti dava un senso quasi di
timidezza; non c’è che dire, ci siamo resi subito
conto che il gruppo degli amici, guidati dal
presidente Vatri e dal suo collaboratore
vicepresidente Silvetti, aveva fatto le cose in
modo davvero esemplare.
I lavori dell’assemblea hanno così avuto inizio il
sabato 20 e l’atmosfera è stata subito distesa e
partecipativa nell’esaminare argomenti
impegnativi e delicati quali i bilanci, che
rappresentano il consuntivo economico di un
feniarco
fresca vocalità del Coro Vivaldi, ci è stato
presentato, attraverso un video
magnificamente montato, lo spaccato della
festa corale di Europa Cantat a Utrecht, una
premessa convincente di quanto potrà e
dovrà essere quella che Feniarco sta
preparando per Torino 2012. L’andamento
delle iniziative e degli incontri già fatti e di
quelli programmati per questo grande evento
Discorso ben noto a tutti i delegati che trova
rare eccezioni; del resto il fermento visto in
giro a sera con tre megariunioni sociopolitiche contemporanee nel pomeriggio e
una maratona da ventimila partecipanti
programmata per la domenica, ci aveva
stordito non poco.
Per onor di cronaca, a fine cena un imprevisto
incidente occorso a un delegato e che si è
ASSOCIAZIONE
48
LA PROFESSIONALITÀ DEGLI AMATORI
Considerazioni a margine dell’assemblea di Roma
di Sandro Bergamo
La musica corale non è più marginale nella cultura italiana.
Sono molti i segnali in questo senso. Il crescere della coralità
giovanile, e scolastica in particolare; il successo crescente,
smentendo ogni timore e previsione della vigilia, del Festival
di Primavera, che quest’anno supera le 1200 presenze;
l’interesse di importanti riviste musicali nazionali, dove la
produzione corale trova e troverà, negli articoli e nei cd
allegati, sempre più spazio.
Un sogno a lungo coltivato si va facendo realtà. Di semestre
in semestre, questo registrano le assemblee nazionali di
Feniarco: e i bilanci, non solo quelli economici, sono positivi.
Anche le iniziative promosse in sede ministeriale, pur non
essendo ancora approdate a nessun provvedimento
legislativo, testimoniano comunque che le istituzioni si sono
accorte del mondo amatoriale e dell’importanza che riveste
nella formazione culturale del paese. È stata anche l’occasione
per un dialogo tra le organizzazioni corali, bandistiche e
folkloristiche, che non mancherà di dare i suoi frutti nei
prossimi anni.
Questa crescita della coralità italiana e della sua capacità
operativa, di fare sistema, viene percepita e apprezzata anche
all’esterno. Come è stato sintetizzato dal vicepresidente Alvaro
Vatri, poco più di un anno fa vivevamo come un sogno la
possibilità che Torino vincesse la candidatura a Europa Cantat
2012: oggi festeggiamo un italiano alla presidenza di Europa
Cantat.
Una vicenda, quella della sua elezione, rievocata da Sante
Fornasier in apertura dei lavori dell’assemblea nazionale di
Roma. Un bisogno di cambiamento che si è espresso in
maniera inattesa riversando i voti su un italiano, ben inserito
nel board dell’associazione europea, ma con un profilo diverso
da quello tipico del presidente di EC. Si può dire che in
qualche modo Feniarco è diventata un modello per l’Europa
corale.
Naturalmente è un impegno, che finisce per assorbire tempo e
risorse e oggi sottopone a notevoli sforzi la struttura della
nostra associazione. Questo avviene in un momento non facile
dal punto di vista economico: si riducono i finanziamenti
pubblici, diminuiscono le disponibilità delle fondazioni e degli
sponsor privati; in sostanza, mentre cresce il ruolo di Feniarco
e si ampliano le competenze, non altrettanto si può dire delle
risorse. L’oculata gestione degli anni passati ha consentito di
superare il 2009 e aiuterà senz’altro a gestire il 2010.
Tre elementi, quali che siano le risorse, emergono comunque
irrinunciabili dall’assemblea di Roma:
– la qualità, che deve essere caratteristica di ogni momento
del nostro agire: dalla grafica all’accoglienza, dalla
collocazione in contesti adeguati all’organizzazione. È un
aspetto emerso in particolare nella discussione relativa
alle linee guida per festival e concorsi patrocinati da
Feniarco, un settore nel quale andava messo un po’
d’ordine, come emerso già dall’assemblea di Castel San
Pietro lo scorso anno. Ma la qualità che pretendiamo per
dare il patrocinio la dobbiamo anzitutto offrire: è la forma
prima di comunicazione, ma è soprattutto un costume, un
abito mentale indispensabile per approdare all’obbiettivo
finale, alla qualità della musica e della sua esecuzione;
– la rete delle competenze, frutto di una azione comune e
del senso di appartenenza: l’incontro tra le capacità
individuali e un sistema in grado di valorizzarle, va a
beneficio di entrambe; il sistema realizza efficienza, il
singolo trova risonanza alla sua qualità. È il caso, per
esempio, del Coro Accademia Feniarco, costituito e
preparato con grande rapidità dal maestro Alessandro
Cadario, dimostratosi compagine di notevole qualità che si
riproporrà in altre occasioni, a partire dal Festival di
Primavera;
– la comunicazione, che rimane una delle preoccupazioni
primarie della nostra associazione e sulla quale riusciamo
un po’ alla volta a ottenere qualche risultato. La qualità
delle proposte, l’utilizzo della rete di competenze che la
nostra associazione è in grado di reperire al suo interno
ottengono un po’ alla volta il risultato di far passare il
nostro messaggio. Sempre più spesso anche gli organi di
informazione si accorgono dell’esistenza della musica
corale e identificano nella nostra associazione il punto di
riferimento. La stampa dell’associazione, Choraliter e
Italiacori.it, assieme al lavoro che si sta compiendo per
armonizzare i siti internet delle associazioni regionali, sono
gli strumenti principali di questo lavoro. Forse è necessario
far crescere ancora nella base, tra i coristi, un maggior
senso di appartenenza e la consapevolezza di far parte di
un importante movimento.
In sintesi, lo slogan potrebbe essere “con professionalità, al
servizio della coralità amatoriale”: questa la linea tracciata
dall’assemblea nazionale di Roma, linea che accompagnerà
la federazione agli impegni dei prossimi anni, in testa ai
quali c’è il grande appuntamento di Torino 2012, in cui la
coralità italiana, con queste premesse, può e deve dare il
meglio di sé.
felicemente risolto con una volata al pronto soccorso, conclusasi
a notte fonda, ha costretto gli organizzatori a rimandare la
prevista gita Roma by night, cosicché la visita ai tanti
monumenti illuminati è rimasta solo dei nostri sogni.
Non meno interessante anche la sezione domenicale
dell’assemblea che, iniziata puntualmente alle 9, ha trattato e
definito i progetti e le numerose iniziative da realizzare, tra cui il
Festival di Salerno, che l’Associazione dei Cori della Campania è
riuscita a organizzare sin da quest’anno, e quelli in fieri di
Bolzano e Stresa. Iniziative a cui sono state date precise linee
guida, che cercheranno soprattutto di valorizzare le qualità dei
cori partecipanti, differenziandosi così dalle tante organizzazioni
che invece fanno unicamente leva sulla valorizzazione turistica dei
luoghi in cui sono organizzate. Sono stati anche discussi e
approvati i nuovi progetti APS, che Feniarco riesce con tenacia a
programmare ogni anno, grazie alla grande operatività del gruppo
dei collaboratori della segreteria, preziosi in ogni frangente;
iniziative dalla struttura di rendicontazione complicatissima, ma
che hanno già dato risultati di straordinario valore culturale:
citiamo quello recentemente concluso inDirection, che ha
interessato ottanta direttori di coro e quelli in avvio Archivicorali.
net e Armonia di voci, riservato a esperienze musicali delle
nume-rose minoranze etniche presenti in Italia.
Così facendo, l’assemblea ha dipanato il complesso ordine del
giorno che si era data e poco prima di pranzo ha concluso
felicemente i lavori, partecipando anche alla gioiosa festa
musicale organizzata dall’Associazione
Cori del Lazio, che ha visto la presenza
di tantissimi direttori ai quali il
presidente Vatri ha consegnato il
diploma del ventennale: un’artistica
composizione che si rifà alla
michelangiolesca nascita dell’uomo
come espressione del dono dello spirito
vitale che è intelligenza, cultura,
espressività e quindi musica. Graditissima la presenza di un
gruppo giovanile romano, il Cantering, che, con alcuni brani
formalmente perfetti e cantati con la spontaneità propria dei
giovani, ci ha ricordato, con un delizioso canto popolare laziale,
che “la vita nun è vita, quando manca la munita!” Al brindisi
finale il presidente Vatri, citando Seneca, ci ha ricordato che il
tempo è cosa da non far trascorrere con leggerezza, perché se
è vero che noi “moriamo un po’ ogni giorno”, dobbiamo
comunque tener ben stretto il nostro tempo. È un augurio di
buon lavoro per il tempo, tantissimo, che ancora si presenterà
avanti a noi.
Per completare il quadro straordinario di queste giornate
romane, non possiamo non esprimere i complimenti più sinceri
a tutto lo staff organizzativo che ci ha permesso una
permanenza deliziosa: un grazie particolare al gruppo delle
numerose signore che hanno sovrainteso, con competenza e
gentilezza, all’intrattenimento degli accompagnatori,
contribuendo a quel clima di serena amicizia cui abbiamo già
accennato. E un grazie a Roma, che abbiamo sentito davvero
come nostra grande e splendida capitale.
49
Il presidente Fornasier
con il Coro Vivaldi di Roma
Feniarco è diventata
un modello per l’Europa corale.
50
Sperimentazione e valorizzazione
Nuovi progetti Feniarco
di Annarita Rigo
Parlare di Feniarco significa porre l’attenzione sulla coralità italiana e sugli oltre 2.400 cori che,
tramite le rispettive associazioni regionali, fanno riferimento a essa. Tra i compiti della
federazione nazionale primeggia quello di sviluppare un associazionismo capace di promuovere
con successo gli obiettivi della coralità fra testimonianza del passato e ricerca di nuove forme di
espressione culturale e artistica in un quadro nazionale e internazionale in continua
trasformazione. In questa prospettiva Feniarco da diversi anni promuove rilevanti progetti e
iniziative che, grazie anche al riconoscimento ottenuto come Associazione di Promozione Sociale
(Aps), vengono approvati e sostenuti dalle istituzioni.
Su questa linea si è appena concluso positivamente inDirection, un innovativo progetto di
ricerca dedicato totalmente al complesso ruolo del direttore di coro e i cui risultati, raccolti in un
volume, saranno oggetto di discussione durante il VI Convegno Nazionale delle Commissioni
Artistiche Regionali che si terrà il 22 e 23 maggio a Villa Manin di Passariano, Udine.
Gli ingranaggi sono ben oliati e la macchina corre verso nuovi orizzonti da conquistare. Infatti,
mentre si valorizzano i risultati dell’iniziativa appena conclusa, per il 2010 hanno già preso avvio
due nuovi progetti che coinvolgeranno la coralità italiana, Armonia di voci e Archivicorali.net,
entrambi sostenuti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Il progetto Armonia di Voci volge lo sguardo al variegato e ampio mondo cultural-musicale dei
gruppi linguistici minoritari presenti in Italia e prevede la realizzazione, in sinergia con le
associazioni regionali corali, di un Festival nazionale delle minoranze linguistiche, un importante
momento di incontro e confronto con queste realtà e le loro ricche tradizioni.
La Repubblica Italiana è uno dei pochi paesi europei che esplicitamente tutela, nella sua
Costituzione, le minoranze linguistiche. La legge n. 482 del 15 dicembre 1999, in attuazione
dell’art.6 della carta costituzionale, disciplina in forma organica la tutela della lingua e della
cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle
parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Il principio
cardine su cui poggia la normativa è che le diversità linguistiche costituiscono per
l’Italia e per l’Europa una preziosissima risorsa: “la tutela e la promozione
delle lingue minoritarie rappresentano un contributo importante per
l’edificazione di una Europa fondata sui principi della democrazia e
della diversità culturale, nel quadro della sovranità nazionale e
dell’integrità territoriale” (Carta Europea delle Lingue Regionali o
Minoritarie - Strasburgo, 5 novembre 1992).
Tali realtà sono molto vive in ambito sociale, civile e artistico-culturale.
Non si tratta di folclore o di mera tradizione, ma di gruppi dalla forte
connotazione identitaria, come dimostrato dalla ricchezza e dalla vivacità
intellettuale delle loro manifestazioni, delle documentazioni prodotte, degli
studi antropologici ed etno-musicologici effettuati.
Feniarco, con l’attuazione di questo progetto, intende dare un significativo
contributo alla valorizzazione e alla conoscenza di questo ricco patrimonio in
ambito musicale e segnatamente corale attraverso l’organizzazione di un
festival di rilievo nazionale che possa rappresentare un ulteriore apprezzabile
ponte comunicativo fra diverse culture, usi e tradizioni, costituendo un evento di
prestigio nell’intero scenario corale e culturale del Paese.
Grazie all’attiva collaborazione delle associazioni regionali verranno individuate sia
le formazioni corali che più propriamente si identificano nell’ambito delle minoranze
linguistiche dislocate sul territorio nazionale, sia i luoghi che ospiteranno i diversi
concerti. Il festival, che non ha finalità competitive, si terrà nel corso del 2010 e vedrà
ASSOCIAZIONE
l’organizzazione di una dozzina di concerti dislocati sul territorio nazionale, nelle
rispettive aree di interesse, con un epilogo che raggrupperà i cori e i gruppi che
si saranno particolarmente distinti in occasione degli appuntamenti territoriali.
Sarà un excursus su repertori di particolare interesse, sconosciuti ai più, nonché
un confronto interculturale di portata nazionale.
Parallelamente ad Armonia di voci troverà attuazione, sempre nel 2010,
Archivicorali.net. Un’iniziativa ambiziosa e innovativa che ha l’obiettivo di creare
un grande archivio della coralità italiana per documentarne la ricchezza,
favorirne la valorizzazione e diffonderne gli esiti.
Presso le sedi delle associazioni regionali e dei cori si trova un inestimabile
patrimonio biblio-discografico e la federazione nazionale ritiene opportuna la
predisposizione di uno strumento in grado di raccogliere, in un unico luogo,
questo “capitale” e di metterlo a disposizione degli associati. Tutto ciò sarà
possibile grazie alla progettazione e strutturazione di una vera e propria
biblioteca virtuale della coralità italiana che sia facilmente fruibile e consultabile
da tutti.
Dopo aver censito le realtà corali dislocate sul territorio nazionale con la
realizzazione di un’apposito database online, di facile utilizzo, in cui sono
contenute le informazioni di tutti i cori aderenti, le loro manifestazioni, i
repertori e le notizie relative alle loro attività (progetti Coralmente e Feniarco:
solo coralità…), la federazione nazionale ha pensato di proseguire nell’ottica
dell’informatizzazione proponendo la creazione di un database degli archivi
(raccolte di materiali musicali editoriali e sonori) della coralità amatoriale,
organizzato secondo criteri omogenei e funzionali, da mettere a disposizione di
tutti gli operatori del settore e non solo, consentendo loro di attingere,
comodamente e velocemente, a informazioni e in grado di offrire spunti
progettuali utili alla messa in cantiere di nuove iniziative.
Nello specifico verranno raccolti i cataloghi delle biblioteche già esistenti presso
alcune associazioni regionali e i libri, le musiche, i video e anche le incisioni
edite dai singoli cori e dalle stesse associazioni regionali corali (in riferimento
alle modalità di raccolta del materiale editoriale e discografico da parte dei cori
si rimanda alla comunicazione in allegato a questo numero di Choraliter).
Successivamente, tutto il materiale giunto a Feniarco dalle realtà territoriali verrà
fisicamente inserito nella biblioteca della federazione e, dopo un preziosissimo e
impegnativo lavoro di catalogazione informatica, andrà a formare la biblioteca
virtuale della produzione corale italiana. Il catalogo digitalizzato verrà messo in
rete e sarà consultabile online, da chiunque ne fosse interessato, tramite i siti di
Feniarco e delle rispettive associazioni regionali.
In linea con lo spirito che anima l’intera proposta progettuale, e cioè di un
proficuo sperimentalismo, ci si attende che, dopo la messa in rete dell’archivio,
lo stesso diventi strumento di lavoro per tutta l’associazione e possa quanto
prima trovare adeguato spazio anche tra i riconosciuti sistemi bibliografici
nazionali. Inoltre, grazie a questo strumento innovativo, anche le generazioni
più giovani potranno facilmente approcciarsi a un’esperienza longeva come
quella della coralità in Italia.
Armonia di voci e Archivicorali.net: non semplici progetti, piuttosto due nuove
sfide per Feniarco che troveranno piena realizzazione grazie alla partecipazione
attiva e consolidata della base associativa, “linfa vitale” della federazione
stessa.
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6° Convegno nazionale
delle commissioni
artistiche regionali
Villa Manin di Passariano,
Codroipo (Ud)
22-23 maggio 2010
Si terrà il 22 e 23 maggio nella
prestigiosa cornice di Villa Manin
a Passariano (Ud), grande
contenitore artistico e culturale
della regione Friuli Venezia Giulia,
il 6° Convegno Nazionale delle
Commissioni Artistiche Regionali.
Durante l’incontro verrà presentato
ai presidenti delle commissioni
artistiche regionali e ai loro
delegati il report finale del
progetto InDirection.
inDirection
La gestione delle dinamiche
interpersonali di un coro
Relatori:
prof. Fabiana Gatti
Psicologa e docente della facoltà di
psicologia e dell’interfacoltà lettere /
filosofia / economia / sociologia
dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano
dott. Simone Scerri
Psicologo e collaboratore del Centro
studi e ricerche di psicologia della
comunicazione dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano
Il programma sarà così articolato:
sabato 22 maggio 2010
ore 15.00-19.00 convegno
ore 20.30 cena
domenica 23 maggio 2010
ore 9.00-13.00 relazioni delle commissioni
artistiche regionali
ore 13.30 pranzo
Ulteriori informazioni
sul sito www.feniarco.it
CRONACA
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UNA BIBLIOTECA CORALE VIRTUALE
Musica International Workshop
di Jean Sturm e Giorgio Morandi
Musica International è l’associazione che produce, gestisce e diffonde il progetto di banca dati denominato
Musica; un progetto che attualmente propone al mondo corale mondiale la reperibilità immediata – sotto ogni
aspetto – di oltre 150.000 partiture corali di tutto il mondo. Un progetto che prossimamente coinvolgerà
direttamente il nostro territorio con l’organizzazione, in Lombardia, di un workshop di rilievo internazionale.
Cerchi un mottetto in tedesco per 6-8 voci del XVII secolo? O vuoi un brano per coro femminile e orchestra d’archi in
inglese e che duri meno di 10 minuti, preferibilmente del XVIII secolo?
Musica, la banca dati internazionale del repertorio corale
mondiale (www.musicanet.org) in pochi istanti può darti
un’indicazione completa e corretta: uno spezzone di partitura
per darti un’idea del pezzo, una buona esecuzione dello
stesso, la dizione e la traduzione del testo in più lingue, la
biografia dei musicisti coinvolti (compositori, arrangiatori) e
altro ancora.
La banca dati – progetto ufficiale di Ifcm, la Federazione
Mondiale per la Musica Corale – è in continua evoluzione. Al
momento può rispondere alle vostre domande su oltre
150.000 composizioni corali di tutto il mondo nelle lingue
francese, inglese, tedesco e spagnolo.
Musica opera sulla base di “parole chiave”, livello di difficoltà
per il coro, livello di difficoltà per il direttore di coro, voci,
strumentazione, paese del compositore, secolo della
composizione e altro ancora, tutto in aggiunta ai campi
bibliografici standard (compositore, titolo, autore del testo,
editore, ecc.). Tutti questi campi permettono una ricerca molto
ampia e dettagliata.
La creazione di questo fantastico strumento si realizza grazie
alla collaborazione fra direttori di coro, documentalisti
musicali, editori, compositori… che per una settimana si
incontrano arricchendosi reciprocamente delle conoscenze
individuali e trovandosi tra le mani musiche poco o per nulla
note.
Docenti dell’associazione Musica sono presenti tutta la
settimana per garantire il buon funzionamento del programma
informatico, per far apprendere ai partecipanti la tecnica per il
MUSICA INTERNATIONAL Assemblea 20.03.2010
di Giorgio Morandi
In concomitanza con l’assemblea della Feniarco svoltasi a
Roma il 19 e 20 marzo, a Stoccarda, presso la sede
dell’importante editore corale Carus Verlag, ha avuto luogo
l’assemblea annuale di Musica International.
Esplicate tutte le formalità e assolti i compiti istituzionali
dell’assemblea (presentazione, discussione e approvazione
della relazione del presidente Dolf Rabus; presentazione,
discussione e approvazione dei bilanci consuntivo 2009 e
preventivo 2010), l’assemblea ha continuato con l’elezione/
integrazione di alcuni membri del Consiglio Direttivo
(proponendo esplicitamente un consigliere italiano) e con la
conferma in blocco dei revisori dei conti in scadenza di
mandato. In questa occasione il presidente ha annunciato la
sua intenzione di portare a termine il suo mandato tra un anno,
ma di non avere intenzione di ripresentare la sua candidatura.
Esaminati in modo specifico altri tre punti all’ordine del
giorno:
Strategie, progetti e sviluppo futuro dell’associazione
Alcuni membri dell’assemblea chiedono di poter avere un
piano d’azione annuale e un piano d’azione quinquennale
specifici, con indicazione di dati programmatici completi sia
dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista della
tempistica. Il Direttore Esecutivo Jan Sturm propone la
redazione del documento “Musica come era; Musica come è;
Musica come sarà sulla base delle prospettive possibili oggi.”.
Nell’ambito di questo argomento la presidenza chiede
all’assemblea di esprimere il proprio parere circa l’opportunità
(già discussa a livello di Consiglio Direttivo) di creare delle
sezioni nazionali o regionali (continentali) di Musica
53
recupero e l’inserimento dei dati e l’esecuzione delle ricerche in modo
ottimale.
Il successo di una Musica Session dipende da molteplici fattori:
– lavorare per una settimana è efficace al fine di inserire nuovi dati in
grande quantità in un breve lasso di tempo;
– lavorare in équipe significa apprendere molto dagli altri;
– lavorare in équipe è anche il piacere di scoprire nuovi brani corali, per caso
(con una lettura a prima vista), mentre si scambiano battute amichevoli e
divertendosi, insomma vivendo buoni momenti e conoscendo nuovi amici/
colleghi;
– lavorare nella banca dati con l’équipe di Musica, che è disponibile ad
aiutarvi nelle ricerche più complesse, regala l’occasione eccezionale di
ottimizzare il vostro lavoro mettendovi in grado, in futuro, di poter inserire
autonomamente le vostre musiche (“vostre” perché da voi o per voi
composte, “vostre” perché da voi scelte e amate) e vi aiuta a trovare delle
idee per compilare programmi tematici di concerti futuri sempre più
interessanti e originali.
Come si svolge una sessione di Musica?
La compilazione di una fiche documentaria si fa… partitura alla mano e
consiste nell’inserire i dati bibliografici classici, ma anche informazioni
musicali, dati tecnici, livello di difficoltà (per il coro e per il direttore di coro),
la registrazione della corretta pronuncia del testo, la traduzione, ecc…
La prima mattina è dedicata alla presentazione dettagliata della banca dati e
all’apprendimento delle regole che governano il progetto Musica.
Successivamente e gradualmente i partecipanti vengono lasciati a se stessi, ma
sotto il controllo degli esperti che li aiutano a essere presto autonomi ed efficaci
sia nell’inserimento dei dati, sia nella ricerca, e in genere nell’utilizzo concreto e
completo (sfruttando la massima potenzialità) dello strumento Musica.
International Association, aventi lo scopo principale di
promuovere localmente, con maggiore efficacia, la
conoscenza e la diffusione del progetto Musica,
soprattutto presso università, conservatori, biblioteche,
grandi editori, ecc.
Musica Sessions, Festivals, Symposia del 2010-2011
Su proposta del presidente Dolf Rabus l’assemblea delibera
per il 2010 l’opportunità di organizzare non più di due
edizioni del laboratorio Musica, evidenziando quella ormai
certa che avrà luogo a Strasburgo a metà giugno e una
edizione in Italia che è in fase di studio e organizzazione.
Tra i festival in cui Musica International Association sarà
presente vengono elencati il festival Sing - Day of Song a
Dortmund (Germania, 4-5 giugno); il festival Choral
International di Neuchatel (Svizzera, 7-10 luglio); il festival Pécs
Cantat 2010 (Ungheria, 15-22 agosto), il 20e Choralies di
Vaison la Romaine (Francia, 2-10 agosto). Musica International
Association parteciperà al IX World Choral Symposium a
Puerto Madryn (Argentina, 3-10 agosto 20011).
Data e luogo per l’assemblea generale del 2010
Sull’ipotesi di Lyon proposta all’assemblea da un membro del
Consiglio Direttivo, il rappresentante dell’associazione corale
francese A Coeur Joie France dà la disponibilità e accetta la
proposta. Come data di svolgimento l’assemblea indica il
periodo di metà marzo 2011.
Per alcuni eventi facenti riferimento a situazioni non ben
definite e in via di sviluppo, l’assemblea accetta che la
discussione e/o definizione alla luce dell’evoluzione delle
situazioni venga ripresa in occasione della prima riunione
del Consiglio Direttivo di Musica International già
programmata per il prossimo mese di agosto a Vaison la
Romaine.
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39
tel. 0434 876724 - [email protected] - www.feniarco.it
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In generale gli orari sono stabiliti di comune accordo
all’inizio della “sessione”, ma siete liberi di stabilire
l’utilizzo del vostro tempo anche in relazione alla
disponibilità dell’aula informatica.
Quale musica si inserirà?
I partecipanti potranno portare le loro musiche
preferite, oppure censiranno quelle fornite
dall’organizzazione o da Musica International stessa.
Ma tutto ciò ha l’aria di essere un lavoro!
Sì, in un certo senso lo è, ma è pure molto
arricchente e formativo, tanto che molti partecipanti
di workshop precedenti tornano a ripeterli più volte e
in paesi diversi. Del resto Jean Sturm (Direttore
Esecutivo e creatore di Musica) che solitamente
gestisce personalmente la “sessione”, sa come creare
rapidamente un’atmosfera piacevole e amichevole
grazie al suo senso innato dell’ospitalità e sa far sì
che tutti i partecipanti siano animati dallo stesso
obiettivo di contribuire a un progetto universale
collettivo. E così anche il lavoro diventa parte del
piacere.
I partecipanti sono invitati a frequentare tutta la
sessione. Eccezionalmente, se qualcuno può essere
presente soltanto alcuni giorni, faccia in modo di
essere presente nei primi giorni quando viene fornita
l’istruzione di base (che nella settimana non potrà poi
essere ripetuta). A chiunque lo richieda sarà rilasciato
un certificato di partecipazione.
Cosa bisogna portare?
1. Le vostre partiture
preferite che non siano già
nella banca dati; un editore
può portare tutte le sue
partiture pubblicate, un
compositore può portare
tutte le sue composizioni…
2. I vostri cd di canto corale
preferiti, per illustrare e
documentare meglio e più chiaramente le
caratteristiche multimediali di Musica.
3. Se il peso lo permette, tutto il materiale che
potrebbe risultare utile per il lavoro con Musica:
dizionari linguistici e musicali, un cronometro… senza
dimenticare ciò che può dare “dolcezza”
all’esperienza del vivere insieme il progetto Musica:
del buon vino, del cioccolato, delle caramelle, qualche
dolce locale che i vostri colleghi apprezzeranno molto.
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Risultato concreto finale raggiunto: l’inserimento nella
banca dati corale mondiale Musica di qualche migliaio
di partiture della “nostra” (in tutti i sensi) musica che
viene così messa a disposizione della coralità
mondiale, promuovendo l’estro artistico dei nostri
musicisti e l’opera dei nostri editori.
Maggiori dettagli sui workshop di Musica sono
disponibili in:
www.musicanet.org/en/workshops.php.
Briciole Musica-li
Non si può dimenticare che Musica diventa anche potente
strumento pubblicitario e di immagine (a costo zero!)
essendo gli editori e le associazioni proprietari delle
musiche ampiamente (e giustamente) evidenziati nelle
pagine di Musica ogni volta che viene evidenziata una “loro”
partitura.
Solitamente chi è interessato a partecipare a un workshop
di Musica può farlo in qualsiasi paese la “sessione” venga
organizzata e ogni volta che questa esperienza lo interessa.
Nel corso del 2010 Musica International organizzerà due
edizioni di Musica, uno in Francia a Strasburgo, nei giorni
dal 8 al 14 giugno, mentre il secondo è allo studio per la
realizzazione in Italia, in una città della Lombardia. Notizie
saranno fornite al più presto.
Musica International Association durante il Festival “20e
Choralies” di Vaison La Romaine (2-10 agosto 2010) e
durante il 9º Symposium Corale Mondiale di Puerto Madryn
(Argentina, 3-10 ottobre 2011) intende proporre un workshop
speciale denominato Come, input and go (Vieni, inserisci e
vai) per offrire a direttori di coro, compositori ed editori
presenti la possibilità di inserire partiture o di fare ricerche
con l’assistenza costante ed esperta dei tecnici di Musica.
La banca dati Musica (al momento: 150.000 partiture corali,
25 mila biografie di musicisti di tutto il mondo) è acquisibile
da chiunque nei seguenti modi:
– utilizzo privato: acquisto Dvd-rom o accesso a banca dati
Musica via internet mediante password personale;
– utilizzo professionale: associazioni corali, biblioteche
(musicali o non solo), università e conservatori attraverso il
loro sito dedicato possono ottenere senza password
l’accesso privilegiato alla banca dati.
È possibile sostenere Musica e la sua associazione
diventando fan in facebook:
www.facebook.com/pages/
Musica-international/117584693914.
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Sostieni FENIARCO
e firma nell’apposito spazio della
dichiarazione dei redditi riservato al sostegno
delle Associazioni di Promozione Sociale (A.P.S.)
che trovi nei modelli 730, UNICO e CUD,
indicando a fianco il nostro codice fiscale:
92004340516
www.feniarco.it
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REGIONI
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Notizie dalle regioni
A.R.C.C.
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Un nuovo periodico per i cori campani
Il 30 gennaio 2010, presso il Grand Hotel Salerno, si è riunita l’Assemblea dell’Arcc: un’assemblea ricca e serena, con la presenza di 28 corali. Si è discusso del Festival Nazionale
Corale di Salerno e del Concorso Nazionale di Composizione. Si è preso atto con piacere
che il numero degli associati aumenta di anno in anno grazie anche all’ottimo lavoro d’insieme che il presidente Pepe ha saputo stimolare nei cori associati; allo stato attuale, infatti,
sono 37 le formazioni iscritte e si prevede di superare agevolmente il numero di 40 associati
entro la fine dell’anno 2010. Stabilita anche la pubblicazione di un trimestrale dal titolo
InformARCC il cui direttore responsabile sarà il giornalista Amedeo Finizio già addetto stampa
dell’Arcc. Il periodico sarà stampato in 2000 copie che saranno inviate a tutti i cori regionali
iscritti e alle associazioni che ne faranno richiesta; a ogni formazione corale saranno inviate
circa 20 copie, in modo da poter consentire anche ai cantori di prenderne visione.
A.R.C.L.
Associazione Regionale Cori del Lazio
Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma
Presidente: Alvaro Vatri
Buon compleanno, Arcl!
Il 20 e 21 marzo, presso Palazzo Valentini (sede della Provincia di Roma) e il Centro Congresso
Cavour, l’Assemblea Nazionale di Feniarco si è riunita per la prima volta a Roma, nell’anno
del ventennale dell’Arcl. La presenza delle autorità istituzionali provinciali e regionali ha
dimostrato la crescente attenzione verso il ruolo che l’associazione svolge nel tessuto culturale e sociale della regione, ruolo che è ancora in attesa di un riconoscimento legislativo.
A conclusione dei lavori, i presidenti dei cori aderenti all’Arcl hanno ricevuto dal presidente
Fornasier un diploma a ricordo dell’evento. Ben nutrita la presenza, con oltre 100 partecipanti,
al secondo incontro de “Il coro bene intonato” sul tema Problemi di intonazione e vocalità
del coro: come riconoscerli, come affrontarli, tenutosi il 20 e 21 febbraio presso l’Università
La Sapienza. Il seminario, tenuto dal docente Dario Tabbia, è stato occasione di approfondimento del lavoro avviato l’anno scorso, ripartendo dalle basi teoriche già premesse, nonché
di un’accurata riflessione sui fondamenti dell’intonazione. Il repertorio di studio, a voci miste,
è stato proposto dal maestro Tabbia scelto tra brani di larga diffusione, di epoche e ambiti
diversi. Per due formazioni corali al completo è stato possibile dedicare una sessione del
seminario al confronto sulle tematiche in via di svolgimento, tramite l’esecuzione di un brano
del proprio repertorio.
Prodotto dall’Anonima Armonisti e patrocinato dall’Arcl, si è svolto il 17 gennaio VokalFest,
“raduno” di musica vocale a Roma che ha visto la partecipazione di dieci formazioni corali.
Il progetto nasce con il proposito di radunare i giovani appassionati del canto d’assieme,
dando loro un’occasione di visibilità e di reciproca conoscenza, in un contenitore “dedicato”
(la Stazione Birra) ben conosciuto dagli appassionati di pop e jazz, particolarmente attrezzato dal punto di vista tecnico.
L’Arcl annovera tra i propri cori associati ben sei compagini istituzionalmente “di montagna”, in quanto emanazioni delle due istituzioni (il
C.A.I. - Club Alpino Italiano, e l’A.N.A. - Associazione Nazionale Alpini)
che salvaguardano e promuovono la cultura e la tradizione alpina italiana. Grazie alla disponibilità del Coro “Saraceni” degli universitari di
Roma, abbiamo avuto l’occasione di offrire loro una prestigiosa cornice
per manifestazione “Lassù sui monti”, che il 5 febbraio presso l’Aula
Magna dell’Università La Sapienza ha permesso di approfondire la
conoscenza reciproca, di consolidare lo spirito di appartenenza associativo, ma soprattutto di assaporare le atmosfere evocate dai vari
brani in repertorio in quel clima di vicinanza e cameratismo peculiare
del “mondo montano”.
A.R.CO.M.
Associazione Regionale Cori Marchigiani
Via Panoramica Ardizio, 95 - 61100 PESARO
Presidente: Aldo Cicconofri
Due x due: formazione e concerti nelle Marche
Due proposte formative interessanti hanno impegnato l’Arcom in questo inizio d’anno.
Nel mese di febbraio, a Loreto, si è tenuto un corso di formazione
sull’apprendimento del sofware “Finale”: il corso, tenuto dal docente
Giuliano Viabile, è valso come primo approccio per alcuni e approfondimento per altri circa la conoscenza di tale programma di scrittura
musicale, molto utile per la trascrizione di brani musicali in genere e
specificatamente per coro.
Tutt’altro tema è stato invece affrontato nell’ambito del corso di formazione “Il coro nella liturgia”, rivolto a direttori di coro e animatori
liturgici, che il 6 e 7 marzo a Macerata ha coinvolto 18 partecipanti
sotto la guida del docente don Valentino Donelli, il quale ha affrontato
i principi generali riguardanti l’attività corale in chiesa, per poi condurre un laboratorio di analisi di una quindicina di brani sacri, puntualizzando il loro valore artistico e rituale e la loro concreta inseribilità nel contesto celebrativo. Il corso è stato seguito dai presenti
con interesse e profitto.
Due anche le rassegne che hanno recentemente coinvolto i cori associati delle Marche: Puer natus est, manifestazione corale regionale, ha visto tra il 12 dicembre e il 6 gennaio la realizzazione di 13
concerti corali incentrati su canti e tradizioni natalizie della regione,
con la partecipazioni di quasi quaranta gruppi corali, tra cui un coro
ospite da L’Aquila, invitato appositamente nell’ambito del “progetto
per l’Abruzzo”, dopo i luttuosi eventi sismici; Picenincoro, manifestazione giunta alla sua XIV edizione, ha invece coinvolto 33 cori del
territorio piceno in una rete di 14 concerti articolatisi tra agosto 2009
e gennaio 2010.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 39 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Sante Fornasier
Grazie Sante; buon lavoro, Franco!
A seguito della recente e importante elezione alla presidenza di Europa
Cantat, il Presidente Sante Fornasier – dopo sedici anni trascorsi alla
guida dell’Usci Friuli Venezia Giulia – passa il testimone.
È questa una scelta che nasce dall’impegno sempre maggiore richiesto
a livello nazionale ed europeo, anche in vista dell’importante appuntamento con il Festival Europa Cantat a Torino nel 2012. Un impegno che
va di pari passo con la competenza, la lungimiranza e i meriti che in
questi anni il presidente Fornasier ha saputo dimostrare prima di tutto
alla coralità regionale, estendendo poi la sua strategia, il suo orizzonte
di pensiero e il suo metodo di lavoro all’Italia e ora anche all’Europa.
In occasione dell’Assemblea annuale svoltasi a Gorizia il 28 febbraio
scorso, il Consiglio Direttivo ha dunque accolto la richiesta di Sante
di essere sollevato dall’incarico e ha eletto quale nuovo presidente il
prof. Franco Colussi, docente e musicologo e già coordinatore della
Commissione Artistica regionale.
La coralità regionale esprime quindi i più sentiti ringraziamenti a Sante
per l’impegno sostenuto in tutti questi anni e a Franco un vivo augurio
di buon lavoro!
U.S.C.I. Lombardia
Unione Società Corali della Lombardia
Via Santa Marta, 5 - 23807 Merate (Lc)
Presidente: Franco Monego
Novità istituzionali nell’assetto lombardo
Tutte le Delegazioni Provinciali dell’Usci Lombardia hanno tenuto nei
primi mesi dell’anno le rispettive assemblee sociali; il Consiglio Direttivo regionale è dunque attualmente composto da: Franco Monego,
presidente; Tonino Chiodo, vicepresidente; Diego Fracasso, presidente
del Collegio Sindacale; Guerino Comi, consigliere presidente Usci Bergamo; Ernesto Marini, consigliere presidente Usci Brescia (neo-eletto);
Silvia Galli, consigliere delegato Usci Como (da confermare); Ingrid
Pustijanac, consigliere presidente Usci Cremona (neo-costituita); Giorgio Morandi, consigliere presidente Usci Lecco; Davide Nigrelli, consigliere presidente Usci Mantova (neo-eletto); Gaudenzio Zebro, consigliere presidente Usci Milano; Gilberto Massarotti, consigliere
presidente Usci Pavia (neo-eletto); Gianpietro Mariconti, consigliere
delegato Usci Sondrio; Maurizio Biscotti, consigliere delegato Usci
Varese. Si costituirà inoltre ufficialmente nei prossimi mesi la nuova
delegazione Usci di Monza e Brianza.
58
+ notizie>
+ approfondimenti>
+ curiosità>
+
Segnaliamo inoltre che, organizzata dall’Usci Milano, la III rassegna corale “La Fiera del Firun”
ha coinvolto nel mese di gennaio, nell’ambito della tradizionale omonima fiera a Pessano con
Bornago (Mi), alcuni cori con repertorio popolare e spiritual/gospel delle provincie di Milano,
Lodi e Monza e Brianza.
Federazione Cori del Trentino
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avvenimenti corali
Passaggio Zippel, 2 - 38122 Trento
Presidente: Sergio Franceschinelli
Quattro stages formativi per direttori di coro
Il 23 e 24 gennaio a Trento, i docenti Mario Mora e Mauro Zuccante sono stati impegnato in
uno stage di perfezionamento per direttori di cori di voci bianche e cori giovanili. La proposta
formativa, che ha visto la positiva presenza di 21 direttori partecipanti, si inserisce nell’ambito
di un ciclo di quattro stages proposto dalla Federazione Cori del Trentino per il 2009/2010
quale approfondimento sulla direzione delle diverse tipologie corali (cori polifonici, cori di
voci bianche e giovanili, cori popolari, tutte le tipologie di coro).
Ricordiamo inoltre che si è riunita il 27 marzo a Nogaredo, presso la sala riunioni della Distilleria Marzadro, l’Assemblea della federazione. Con una folta presenza dei cori associati,
sono stati discussi all’ordine del giorno la relazione del Presidente e del Collegio dei Revisori
dei Conti e l’approvazione dei bilanci. All’assemblea era presente anche il presidente di Feniarco Sante Fornasier.
LA RIVISTA DEL CORISTA
A.R.Co.V.A.
Associazione Regionale Cori della Valle d’Aosta
Via San Giocondo, 8 - 11100 Aosta
Presidente: Marinella Viola
La coralità giovanile in Valle
Il 23 ottobre scorso, l’Arcova ha proposto uno stage di formazione rivolto ai docenti e agli
operatori musicali delle istituzioni iscritti con i propri cori alla prima rassegna di cori scolastici
La scuola canta. Lo stage, tenuto dalla docente Roberta Paraninfo, ha dato l’impostazione
didattica corale e ha proposto alcuni percorsi di lavoro in classe. All’aggiornamento sono
intervenuti anche i compositori dei canti d’obbligo Efisio Blanc, Davide Benetti e Davide
Sanson che hanno proposto i loro brani e si sono confrontati sui possibili approcci per il loro
apprendimento. Il concerto finale, svoltosi il 15 aprile ad Aosta, ha coinvolto sette cori della
scuola primaria e otto della scuola secondaria di primo grado.
Il 3 gennaio di quest’anno, nell’ambito del progetto Noel en Choeur 2010, è stato proposto, in
Cattedrale ad Aosta, lo speciale progetto didattico e formativo per il Choeur des Jeunes dell’associazione. Nato in occasione del decennale di fondazione dell’associazione, il Choeur des Jeunes,
di cui è coordinatore artistico il maestro Efisio Blanc, è stato diretto da un maestro di eccellenza:
Marco Berrini, che ha scelto di preparare una energica e suggestiva Little Missa Jazz e Be thou
my vision di Bob Chilcott. L’entusiasmo, la partecipazione dei giovani coristi e la grande disponibilità dei loro direttori, ma soprattutto la grande professionalità del Maestro Berrini, hanno
permesso di ottenere uno splendido risultato, consensi da parte del pubblico e una reale ricaduta
sui soggetti coinvolti. I migliori stimoli per la prosecuzione di un tale progetto!
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RUBRICHE
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SCAFFALE
Luigi Agustoni - Johannes Berchmans Göschl
Introduzione all’interpretazione
del canto gregoriano - volume II
Tomo I e II - Estetica
Roma, Torre d’Orfeo Editrice, 2009
Il Tomo I si apre con una premessa di Giovanni Conti, presidente di Cantus
Gregoriani Helvetici Cultores (Società svizzera studi di canto gregoriano) che vuole
essere un dovuto tributo alla grandezza e all’instancabile contributo dei due autori,
Luigi Agustoni e Johannes Berchmans Göschl, che hanno dedicato l’intera vita allo
studio e alla divulgazione del canto gregoriano, oltre che un invito alla scoperta
di una pubblicazione di inestimabile valore rivolta soprattutto agli iniziati della
materia (tomo I, pag. 3-4).
La presentazione di pag. 5 dice che il volume II qui presentato è la continuazione
organica del volume I (pubblicato sei anni prima), che presentava i neumi monosonici e le loro varie forme di pulsazione.
Struttura dell’opera: Tomo I, capitoli 1-5; Tomo II, capitoli 6-9.
1. Elementare movimento ritmico-melodico d’ascesa: il pes
2. Movimento elementare ritmico-melodico discendente: la clivis
3. Elementare movimento ritmico-melodico ad arco superiore: il torculus
4. Elementare movimento ritmico-melodico ad arco inferiore: il porrectus
5. Movimento ascendente sviluppato con tre o più suoni: scandicus, salicus,
quilisma-scandicus
6. Movimento discendente ampliato di tre o più suoni: il climacus
7. Movimenti sonori più sviluppati: neumi resupini, neumi di flessione e neumi
suppuntati
8. La liquescenza nel canto gregoriano, un fenomeno dell’estetica del rapporto
parola-suono
9. Interpretazione e musicalità
Nell’opera viene affrontata specificamente la trattazione di tutti i neumi gruppo
non unisonici e delle loro pulsazioni. La prospettiva del discorso è orientata a
evidenziare gli apporti estetici che vengono offerti dai dati semiologici.
Si intendono mettere in risalto due aspetti: il primo concerne l’analisi del rapporto
parola-suono, quale emerge dai dati semiologici; si evidenzia come le configurazioni
neumatiche fungano da mediazione tra l’elemento verbale e quello musicale, e si
pongono in rilievo gli apporti che vengono offerti dalle varie condizioni della struttura modale; il secondo si occupa dei problemi interpretativi: prende in esame le
questioni teoriche per dedurne suggerimenti circa il tipo di musicalità richiesta,
per trasmettere nel modo più pertinente il messaggio spirituale e i connotati artistici
della composizione che la tradizione gregoriana ci ha trasmesso (tomo I, pag. 5).
Ogni capitolo si apre con la presentazione storico-grafica del neuma. Una tabella
dettagliata ne esplicita il segno, nei diversi significati ritmici, e la sua evoluzione
nel tempo. Le grafie sono quelle di “Laon (L) e San Gallo (SG)” per le grafie adiastematiche (in campo aperto) e quelle di “Vaticana (Vat) e Neografie (Ng)” per
quelle diastematiche (su rigo).
Ogni singolo caso grafico presente in tabella viene preso in esame ed esplicitato
per: funzione melodica in relazione al segno grafico (movimento
ascendente, discendente ecc.); diversificazione delle modalità
grafiche (forma congiunta o disgiunta); aggiunte di segni ritmici
(episema, ecc.); utilizzo di lettere significative (di carattere melodico e ritmico).
Dopo la presentazione del neuma seguono le grafie speciali,
modificate con utilizzo di segni come “oriscus, quilisma, liquescenza,” che influiscono sul senso agogico-ritmico e melodico
del movimento neumatico.
Ricca la scelta degli esempi presi dal Graduale, ben presentati
e muniti di traduzione testuale per una comprensione più profonda ed esegetica delle scelte neumatiche. Molto dettagliata
l’esemplificazione della funzione del segno in relazione al tipo
di sillaba sul quale si trova.
I capitoli si chiudono con tabelle riepilogative nelle quali vengono comparati passaggi uguali su testi diversi (funzione neumatica messa in relazione alla funzione sillabica) con particolare
risalto alla formula, elemento portante della composizione gregoriana. Il concetto di interpretazione non è quasi mai inteso in
senso astratto ma compreso, caso per caso, mediante specifica
analisi di ciascun contesto, condotta con attenzione e in tutta
la sua ampiezza.
Al capitolo 8 del secondo tomo, dopo aver trattato in quello
precedente i movimenti sonori più sviluppati (neumi resupini,
neumi di flessione e neumi suppuntati), trova ampio spazio
l’annoso problema del fenomeno della liquescenza gregoriana,
fenomeno dell’estetica del rapporto parola-suono. Questo capitolo viene presentato come completamento necessario sia di
natura storica in relazione alle diverse recenti interpretazioni
della liquescenza, sia di natura fonetica in rapporto ad alcune
particolari forme grafiche e ulteriori particolarità relative al fenomeno stesso.
L’esposizione porta un importante contributo, favorendo
un’apertura sulle dimensioni che rivelano l’intimo rapporto tra
liquescenza e testo, la cui espressività viene, a livello esecutivo,
incrementata e raffinata.
Il secondo tomo si chiude con un lungo e approfondito trattato
sull’interpretazione e musicalità nel quale lo sforzo primario si
concentra nell’impegno di operare un confronto tra analisi dettagliate e modalità per una loro trasformazione in entità musicale, nell’ottica delle esigenze di un’interpretazione artisticomusicale ispirata dal testo. L’interprete è qui chiamato a una
maturità globale acquisita attraverso una visione d’insieme profonda, grazie a un intenso cammino nel quale far crescere e
coesistere conoscenze analitiche, musicalità, intuizione artistica
e impegno personale di spiritualità.
Roberto Spremulli
Coro Monte Cauriol
Canzoniere
Genova, KC edizioni, 2009
È uscito lo scorso anno, per le edizioni KC e a cura di Piero
Mendula, il nuovo Canzoniere del Coro Monte Cauriol.
Opera pregevole e interessante che, proponendo una serie di
nuovi brani, arricchisce il già vasto repertorio del coro fornendo un valido sussidio a coloro che hanno a cuore il canto
po­polare.
Una scelta, quella del Monte Cauriol, che diventa stile; una scelta
dovuta soprattutto al maestro Armando Corso che, conosciuto
presso il grande pubblico come “direttore dotato di personalità
coinvolgente, trascinante, a volte quasi travolgente”, è in realtà
un grande armonizzatore. La sua innata modestia lo ha portato
in tutti questi anni a celarsi dietro lo pseudonimo “armonizzazione Cauriol”, ma in realtà «Armando Corso è uno dei pochi
musicisti italiani che, operando nel campo del cosiddetto canto
di montagna o più genericamente popolare, hanno saputo valorizzare tante melodie incastonandole in compiute e coerenti
strutture armoniche senza stravolgere né intaccare il materiale
musicale di base ma utilizzandolo nel pieno rispetto del contenuto emotivo che viene evidenziato e posto al centro del messaggio da esprimere. Nel suo lavoro si riconoscono gusto raffinato, grande fantasia, perfetta conoscenza e assoluta
padro­nanza dell’armonia».
Più recentemente il figlio Massimo e il vice maestro Oreste Durand, oltre a musicisti esterni al coro, hanno continuato il lavoro
di armonizzazione nel solco del grande maestro.
Questo nuovo canzoniere è importante perché in una società
che vive sull’effimero, sull’apparenza, che consuma rapidamente
e che tende a dimenticare velocemente, il ricordare le proprie
origini, il mostrare modi di sentire ormai desueti, paure, gioie,
preoccupazioni e incertezze che hanno segnato la nostra lunga
storia, non è solo opera meritoria, ma è opera culturale.
Siamo stati un popolo spesso in balia di forze straniere, abbiamo
conosciuto il dolore dell’emigrazione; il ricordarlo, non solo in
un testo letterario, ma anche nella musica e nel canto, assume
un valore inestimabile.
Per questo dispiace che per “esigenze editoriali” siano state
tolte quelle note che ci permettevano di scoprire le origini di un
canto, le sue modificazioni, le sue affinità con altri canti. Informazioni che rendevano più vivo e palpitante il nostro approccio
di uomini del duemila… (forse si potevano eliminare i canti già
presenti nei volumi precedenti in modo da fornire annotazioni
utili per entrare nella storia del brano proposto).
RUBRICHE
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lettera al direttore
a cura di Sandro Bergamo
Meritevole lo sforzo di introdurre una «più corretta grafia, secondo la prassi e le
regole ortografiche delle varie lingue e dialetti» e di proseguire un cammino coerente con «l’atteggiamento disinibito con cui il coro ha vissuto la propria avventura
e costruito il suo repertorio riproponendo l’approccio più autentico con il suo patrimonio musicale, utilizzandolo a proprio piacimento e gusto, senza alcuna remora
e condizionamento, per esprimere i propri sentimenti e stati d’animo».
Ci siano consentite solo alcune annotazioni su indicazioni che possono creare qualche problema a chi si avvicina per la prima volta a tale repertorio: la scrittura talora
non è chiarissima a causa della disposizione dei valori (pagina 52, battute 14-16;
pagina 368,battute 13 e seguenti per la disposizione delle pause e battuta 64); le
indicazioni metronomiche lasciano qualche volta perplessi (Vegnin jù i Cjargnei in
cui il quarto viene quantificato a 152 con l’indicazione Largo(accel.) Allegretto; La
ligrìe, nelle prime otto battute vi sono sette cambi di metronomo, non era più
semplice indicare accelerando?); si lascia in alcuni casi eccessiva libertà al direttore
non indicando cosa si vuole che si canti (Chevaliers, battute 1-8; Ciao amore; The
end of my journey, cosa canta il solo da battuta 33?); o al contrario può essere
pericolosa una sillabazione troppo marcata (Fratelli d’Italia,battute 13-16; Sul ponte
di Perati, battuta 1); infine qual è l’organico dei canti Inno di Garibaldi e Inno
popolare (pagine 330 e 332)? Sarebbe infine utile avere un elenco dei brani registrati sul compact disc.
Si tratta di “peccati veniali” dovuti probabilmente ai tempi stretti della revisione e
alla mole veramente notevole del lavoro. Ci è sembrato utile suggerire questi piccoli
appunti per non sminuire il valore indiscusso del lavoro che evidenzia in più brani
un gusto e una sensibilità notevoli.
Non c’è ostentazione o ricerca di effetti roboanti, ma il mettersi al servizio della
melodia e del testo per cogliere sfumature e significati non appariscenti. Si veda
l’accordo in minore che apre il canto e il “sapore” armonico generale di Che felice
incontro; lo spirito sbarazzino, pieno di “verve” e di buon gusto, di Belli come noi;
la semplicità (che non è banalità) di Addormete povero fiju; il gusto armonico nel
creare il clima di Ciao amore (certamente un omaggio all’illustre cantautore genovese e alla tematica proposta); le sapienti scelte armoniche di E Cadorna manda
a dire e E dammi quella chiave; il rispetto dello spirito del testo, ma nello stesso
tempo le sottolineature di alcuni momenti e della semplicità della melodia di E tutti
va in Francia (battute 33-34 e conclusione)…
L’elenco potrebbe allungarsi notevolmente, ma credo sia sufficiente per evidenziare
la perizia, il rispetto, ma direi soprattutto l’amore per questi canti.
Un lavoro consigliato a tutti coloro che hanno a cuore non solo la sopravvivenza
ma soprattutto la testimonianza dei valori contenuti nel repertorio popolare.
Sergio Bianchi
«Ho seguito il 18 febbraio su Rai 3 l’intervista, se pur breve, al maestro Bergamo e a due
direttori di coro. Credo che sia passato un messaggio falso e cioè quello in cui si dice che
“cantare in coro è cosa facile e tutti possono farlo”. Penso anche di aver captato nel messaggio,
quell’incoraggiamento a intraprendere questo percorso con leggerezza d’animo in modo tale
che i nostri cori italiani non rischino l’estinzione!
Ma non è così, secondo me, che riusciremo ad allargare le file delle sezioni con cantori
appassionati. Sappiamo tutti che il boom dei cori è passato: oggi un giovane va a Sanremo
(gratificato) cantando su una base musicale che copre le magagne, ma “che importa… c’è il
televoto, il ripescaggio ecc.” e si va in testa alle classifiche.
Dovremmo invece raccontare un’altra storia: in una società dell’edonismo, della morte del
dialogo (ci mandiamo sms anche in famiglia, per comunicarci semplici cose) dove di musica se
ne fa tanta veramente (e ripeto in che modo?) cantare in coro è difficilissimo.
Condivisione di spazi, di regole (e chi le rispetta più), di scelte… oltre al problema dell’intonazione, c’è ben altro.
Poi ovviamente si passa alla musica. Chi canta in coro, sceglie il difficile: mette il suo strumento
al servizio degli altri e cerca di fare del suo meglio, non del suo “all’incirca”.
Siamo strumenti di cultura o no? Serviamo a mantenere vive le tradizioni (e non mi riferisco solo
al canto popolare)? Proviamo un po’ a stringere la cinghia, a selezionare non solo le voci ma i
modi di “raccontare il coro”».
Rossella Agnolucci
direttrice del Coro polifonico Santa Cecilia di Castiglion della Pescaia (Gr)
Forse, nel ricordo della direttrice Agnolucci, si sovrappongono le mie parole con quelle di altri ospiti
della trasmissione. Io ricordo piuttosto di aver sottolineato proprio come il coro sia luogo di formazione alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri e il tutto attraverso la musica, non a
un banale “stare insieme”: alla scontata domanda sul coro come luogo di socialità, ho replicato
che «è il cantare a far bene all’amicizia, non l’amicizia al cantare», tanto per rimettere la musica al
centro della nostra ragion d’essere. Dopo di che, incoraggiare i nostri concittadini a cantare, nella
consapevolezza che sia una pratica alla portata di tutti quelli che si vogliano impegnare a farlo,
non credo sia raccontar qualcosa di falso.
Su una cosa sola dissento dalla collega, se capisco bene il suo pensiero: la coralità italiana non
rischia l’estinzione né io lo penso. Con oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero
dell’Istruzione), con millecento ragazzi che hanno frequentato gli ateliers del Festival di Primavera,
con un fiorire di nuovi maestri che portano vitalità e freschezza, la nostra non è una coralità in
declino. Raccontarla con un po’ di entusiasmo, sottolineando anche i successi accanto alle difficoltà,
dismettendo l’espressione da crisantemo che qualche volta aleggia sulle nostre facce può forse
trascinare gli italiani più di una reprimenda. (sb)
RUBRICHE
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Il nostro tradizionale incontro nasce sotto gli auspici che la primavera in corso
sia ricca di musica e di colori; le “sette note d’oro” che vi proponiamo rappresentino per voi facile ma, soprattutto, piacevole accesso al successo di tutte le vostre
attività corali.
Sette note d’oro
DOng!
Verso gli ultimi colpi delle ore 20.30 tutti i coristi si radunano per la prova. Entro le 20.45
tutto deve poter cominciare. Un’ora e mezza è
già così breve!
REgolarità
È una virtù che manca purtroppo a molti cantori in generale! Ma, poiché si apprende qualcosa (canto, esecuzione, interpretazione) a
ogni incontro, è a ogni incontro (prova) che
bisogna essere presenti.
MInimo: rispetto e fiducia degli altri e di se stessi.
Fin dall’inizio della preparazione del canto, come della preparazione del concerto,
ogni cantore è indispensabile.
FAldone delle partiture
Come dice il termine stesso, il faldone deve contenere le partiture, non il naso del
loro proprietario che deve – il proprietario – seguire il direttore! Un faldone in
ordine permette di trovare entro il terzo tentativo la partitura da cantare.
SOLitudine
Questa non esiste, cantava Gilbert Bécaud. Di fatto è la situazione del cantore
sotto la doccia che si preoccupa poco o nulla del suo vicino. In un coro la precisione
richiede che si ascolti assolutamente ciò che avviene intorno a sé. “Il canto è tre
quarti di orecchie e un quarto di voce!”.
LA memoria è una facoltà da esercitare
Essendo le partiture e soprattutto le fotocopie proibite durante il concerto, bisogna
conoscere i canti a memoria. Questo richiede un lavoro personale da svolgere a
casa.
SIlenzio
Quando il direttore precisa l’interpretazione di un canto o quando corregge un
errore, è meglio ascoltare lui che parlare col vicino.
Conclusione:
UTilizzare tutte queste regole concorre a garantire il successo del concerto.
Costanza di presenza + memoria + partecipazione + rispetto = successo!
(C. de Blommaert)
Cantare
La chiave della felicità… per un cantore
Non avete mai pensato di cantare in un coro da chiesa? Potrebbe
essere qualcosa che vale la pena di prendere in considerazione,
anche se non siete praticanti.
Ecco alcune ragioni:
1. Molti dei cori migliori sono cori da chiesa. Frequentarli per
credere!
2. Non è necessario essere religiosi praticanti per cantare in
una chiesa o cattedrale. Nel limite in cui sei entusiasta di compiere i tuoi doveri corali,
nessuno ti disturberà facendo domande sulla tua fede.
3. Per cantare nelle chiese
e cattedrali non c’è da pagare, anzi! Talvolta i cantori
sono pagati. Cantare bella
musica, in grandi cori, in
luoghi stupendi ed essere
pagati è veramente una situazione eccezionale.
4. In molte chiese e cattedrali l’acustica è semplicemente strepitosa. Perfino una voce mediocre come la mia può
risultare piacevole.
5. Alcuni degli edifici più belli del’umanità sono chiese e cattedrali. Cantare in esse costituisce una delle esperienze più interessanti: si canta e si godono capolavori di scultura e grandi
vetrate.
6. Chiese e cattedrali spesso hanno ottime risorse, con eccellente staff musicale, grandi biblioteche ricche di splendida musica e tutto ciò che necessita per una strepitosa esperienza
corale.
7. Alcuni dei più grandi cantanti pop di tutto il mondo hanno
cominciato come cantori di chiesa o di cattedrale: Freddie Mercury, Mariah Carey, George Michael, John Lennon, Whitney Houston, Robbie Williams. Evidentemente chiese e cattedrali sono
un’ottima scuola per sviluppare le proprie capacità musicali.
8. Chiese e cattedrali possono talvolta essere favolosi luoghi
di sostegno amichevole e sociale. Mentre qualcuno canta e se
ne va subito a casa, altri, dopo il servizio liturgico domenicale,
si trovano insieme al ristorante, mentre in altri momenti organizzano attività sociali, karaoke, ecc.
9. Lo standard dei cori di chiesa o di cattedrale è molto variabile,
ma alcuni sono davvero di levatura mondiale. Alcuni musicisti
cercano nelle migliori chiese i cori migliori.
10. Se eviti un coro di chiesa solo perché non sei uno stretto
praticante ricorda che forse stai rinunciando a un coro che sarebbe perfetto per te.
Infatti un grande coro è un grande coro, che sia un coro di
chiesa oppure no. La chiave della felicità per un cantore è quella
di trovarsi nel coro giusto per le sue esigenze.
Saper cantare… è molto utile.
Le vie del Signore sono infinite. Il canto apre tutte le porte.
Quando un pensionato che cantava da tenore si trovò bloccato
nella toilette dell’ospedale in cui era ricoverato, per attirare
l’attenzione dell’infermiera egli usò un’arma insolita: il coro
dell’Alleluja di Händel.
Può sembrare la battuta di uno sketch comico ma è esattamente
ciò che è successo all’ottantenne Gorge Hudson nell’ospedale Kent
& Sussex. Dopo aver azionato l’allarme per ben tre volte senza
risultato, decise di affidarsi alle sue fedeli corde vocali e – egli
dice – «Ho pensato: ‘sta arrivando Natale’ e quindi intonai il primo
verso del coro dell’Alleluja di Händel. La porta si aprì velocemente.
Mi piace pensare che ciò avvenne più perché non volevano disturbare gli altri pazienti che non per il mio cantare».
Anche se l’incidente avrebbe potuto avere conseguenze ben
peggiori, il tenace tenore non fu redarguito né dal personal né
dall’Ospedale. «Mi spiace tantissimo per loro» disse. «Stanno
facendo le loro cose. Io mi trovavo in una sala con alcuni caratterini davvero difficili.
Voglio dire che si comportavano così male con le
infermiere! Credo che se
non avessi avuto la gamba spezzata l’avrei sicuramente usata per prenderli
a calci».
Il signor Hudson, che aveva cantato per ventisette
anni con la Cranbrook and
District Choral Society, afferma che questa non è stata l’unica volta che egli ha usato la
voce per avere ciò che voleva. «Mia moglie è terrorizzata quando
in treno ci troviamo seduti vicino a giovani signore che al cellulare passano in rassegna tutti i loro affari domestici», ha detto
Mr Hudson. «Io le dico che se non la piantano immediatamente
io comincio a cantare. Lei mi prega di non farlo!».
Purtroppo a causa dell’infortunio Mr Hudson non sarà presente
nella chiesa di St. Dunstan quando il prossimo 12 dicembre il
coro dell’Alleluja sarà cantato tutto intero.
Il portavoce dell’ospedale Darren Yates ha rilasciato la seguente
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affermazione: «Noi auguriamo a Gorge il meglio per il suo futuro e ci scusiamo
per non aver risposto prima alla sua chiamata fatta con mezzi più tradizionali».
L’altra faccia dei sessanta. Il coro e il direttore.
«Andare in pensione significa ritirarsi dalle proprie occupazioni, affari, uffici, avendo esaurita la propria vita di lavoro attivo». Questa, più o meno, è la definizione
del famoso The American Heritage Dictionary of the English Language.
«Anch’io la pensavo così» dice Sharon Hansen, editrice. «Mi sono recata in una
comunità di pensionati, ma lì avevo inciampato in un gruppo chiamato Le voci del
Villaggio. Ero stata informata che avevano bisogno di un nuovo direttore di coro
e – senza perdere un attimo di tempo – mi hanno chiesto quanto mi aspettavo
di essere pagata. Ora sono 5 anni che sto con questo gruppo di 140 persone di
cui la più giovane ha 51 anni mentre la più anziana ne ha 86. Insomma, età media
71 anni». E su questo argomento degli aspetti e dei problemi di cori di pensionati
e di rapporti tra direttori di coro e cantori anziani, Sharon Hauser va avanti per
ben 9 fitte pagine finendo con l’esemplificazione di quattro programmi di concerto
realizzati negli ultimi anni coi suoi… vecchietti. (Choral Journal, dicembre 2009,
pag. 31).
Siamo poco meno che fossili!
Davvero abbiamo bisogno di un altro Messia?
Da cantore, una delle mie principali lamentele
è che cantiamo sempre le stesse cose, decine
e decine e decine di volte. I compositori sono
gli stessi.
Ho cantato Carmina Burana in ogni stato
dell’Australia; nella mia carriera ho incontrato
più volte la cura anti-insonnia Fauré, e il Requiem di Mozart è un amico molto, molto vecchio; l’ho cantato da soprano, da contralto e da
tenore. Fino allo scorso anno non ho mai cantato Il Messia, ma amici miei lo cantano un anno sì e un anno no da decine d’anni.
Nessuna di queste opere è terribile. Alcune sono davvero grandi. Tutte meritano
di essere cantate. Qualche volta!
Ripetizioni corali “ad nauseam”!
A me dà l’impressione che noi coristi finiamo per cantare questi pezzi anziché
eseguire la bellissima musica che qua e là è stata scritta da compositori viventi.
Molte persone amano Bach, ma dobbiamo proprio cantare le sue cose tutti gli
anni? Tutte le volte che cantiamo Bach perdiamo l’occasione di cantare cose nuove
e sostenere compositori viventi.
Recentemente qualcuno ha scritto: «Un pezzo che ho scritto e che ha avuto la sua
prima esecuzione nel 2004 per quanto ne so non è più stato eseguito, dato che
nessuno mi ha contattato per avere le parti strumentali».
Il brano a cui fa riferimento è eccellente. Lo so perché l’ho cantato alla sua “prima”.
Eppure da allora non si è più sentito perché i cori non vogliono cogliere l’opportunità della nuova musica. E così il lavoro di questo giovane musicista è lì a prendere polvere. Allora non è una sorpresa che chi scrive musica si annoi e si scocci
con i cori e con i comitati che li dirigono. I discorsi che sempre
si ripetono contro l’esecuzione di opere nuove sono che i compositori sconosciuti non portano pubblico e quindi il danaro
scarseggia. Ne consegue che Bach e Mozart sono l’unico modo
per riempire le sale. Questo può anche essere vero, ma perché
non fare come la Società Corale dell’Università di Melbourne in
uno dei concerti che hanno avuto grande successo? Quel coro
combinò i Carmina Burana – opera di sicuro richiamo – con la
praticamente sconosciuta Sinfonia Corale di Carl Vine. Quello
che successe fu che il pubblico venne a sentire i Carmina Burana
e se ne andò entusiasta per la Sinfonia Corale di Carl Vine.
L’espediente tecnico di combinare opere poco o per nulla conosciute con opere di grande richiamo è un ottimo modo di presentare brani nuovi di compositori sconosciuti. Il movimento
australiano Intervarsity ha utilizzato questo espediente per sostenere il giovane compositore Matthew Olovich le cui opere
sono state presentate in diversi festival di Intervarsity. Egli è
un grande talento le cui opere meritano di essere eseguite.
Musica corale vecchia e nuova: la musica corale non è semplicemente roba composta da compositori che sono morti. C’è una
gran quantità di musica che viene scritta al giorno d’oggi da
compositori che sono vivi ora, e in qualità di cori moderni noi
dobbiamo darle una possibilità di essere eseguita. Se non lo
facciamo, noi siamo poco più che una piccola parte di fossile,
una forma artistica che è davvero morta stecchita, in ogni
senso.
La musica cresce e cambia e naturalmente una gran parte andrà
persa. Ovvio che molto di ciò che viene scritto oggi non è neppure molto buono. Oggi come oggi è nostro dovere dare a tutta
la musica prodotta la possibilità di essere almeno ascoltata una
volta. Diamo una possibilità alla musica!
Se sei un direttore di coro o un membro del direttivo di un coro,
trova il tempo di andare a guardare dentro Cpdl e di dare la
caccia a compositori locali. Ascolta i loro brani, leggi le loro
partiture e programma le loro musiche per i tuoi concerti. Nel
mondo c’è tempo a sufficienza per Mozart, Bach, Beethoven e
Händel, e tra due anni la gente starà ancora ascoltando Il Messia. Se non diamo alla musica scritta oggi una possibilità mentre
il suo compositore è vivo e respira, forse tutto sarà perduto.
Credo che sarebbe un peccato davvero. (The Chorister, [email protected]).
67
Partiture
Animal Crackers, vol I, Eric
Whitacre, Shadow Water Music
HL08746973
www.shadowwater.com – www.
ericwhitacre.com
Si tratta di una serie di tre brevi
lavori per coro a 4 voci miste e
pianoforte, intitolati La pantera,
La mucca e La lucciola. Scritti
con molta intelligenza, evocano
memorie di altri lavori corali
umoristici scritti da Norman Luboff (Le contraddizioni proverbiali) e da Paul Sjolund (Amore
perduto). In queste miniature
Whitacre pone ciò che egli definisce “Poemi ridicoli sugli animali” di Ogden Nash. Whitacre informa che in futuro musicherà
altri di questi testi di O. Nash.
Mentre i tre brani attuali possono benissimo essere presentati
in concerto insieme, il compositore americano invita il direttore
di coro a mischiare a suo piacere questi brani con quelli che
stanno per essere scritti, così da costruirsi uno zoo musicale
personale. Benché accessibili per estensione vocale e ritmo alla
maggior parte dei cori di scuola e di college, i tre lavori presentano alcune sfide armoniche e alcuni intervalli difficili in ciascuna voce. Ogni nuovo lavoro di Whitacre merita un attento esame
da parte del direttore di coro. Anche in questi brani Whitacre
conserva il suo tipico linguaggio armonico e un alto livello di
creatività. In queste miniature egli ha trovato un nuovo tipo di
dialogo; aspettiamo di vedere le prossime.
(Choral Journal, dicembre 2009, pag. 66)
O Vos Omnes, Giovanni Croce,
arr. di Endry Snyder, 3 voci miste,
Hal Leonard #08551958
www.halleonard.com
Ecco un altro bell’esempio di Rinascimento classico portato a
livello di coro di scuola essendo
stato arrangiato a tre voci miste.
È un esempio particolarmente
accessibile essendo la voce del
baritono contenuta fra un do’ e
un sol sotto, con l’eccezione di
un fa. Le linee vocali originali in
RUBRICHE
68
gran parte sono state mantenute e l’interesse melodico in tutta la partitura è
sostenuto. Benché presentato come arrangiamento senza accompagnamento, la
parte opzionale del pianoforte riempie alcuni accordi mancanti e aggiunge la desiderata presenza di un basso. L’adattamento è stato fatto con molta attenzione
e rispetto dei modelli armonici e melodici del Croce. Potrebbe efficacemente essere
cantato in tandem con l’originale versione per SATB, forse mettendo insieme voci
vecchie e voci giovani (F R. DeWald / Michigan).
(Choral Journal, dicembre 2009, pag. 71)
unitamente a una copia dell’eccellente guida Come cantare in
finnico della Sulasol.
Il terzo volume, per esempio, contiene 78 brani, metà di compositori locali storici o viventi: Chydenius, Johansson, Kekkonen,
Kokrekangas, KostÍainen, Kuula, Makaroff, Mäntyjärvi, Rautavara, Sibelius. Fra i compositori internazionali sono presenti
Bardos, Copi, Erb, Kreeb, Sisask e così pure mottetti latini del
XVI e XVII secolo.
Raccolte di partiture corali
Le raccolte di partiture sono un buon investimento. Che il tuo coro sia in Argentina,
in Romania, in Indonesia o Canada, comprare partiture è un vero investimento
nell’odierna società di stretta economia globale. Molti direttori di coro guardano
alle collezioni di partiture come occasione stupenda per comprare volumi di partiture a un costo molto inferiore a quello necessario per le stesse singole partiture.
Eccone alcune:
È primavera in Finlandia? (Is it Spring in Finland?) è il titolo di
una collezione Sulasol di 14 partiture romantiche nazionali brillantemente edite dal compositore Jakko Mäntyjärvi. Tutte le
partiture sono a cappella, per cori misti, a varie voci. Le annotazioni contestuali, culturali e biografiche in inglese spalancano
a cori non finnici le porte della comprensione di questa importante e bella stagione della musica corale finlandese. Jakko
Mäntyjärvi fornisce una guida molto chiara alla pronuncia, sia
dei testi finnici, sia di quelli svedesi. Fra i compositori ci sono
Sibelius, Palmgren, Kuula, Madetoja e Sallinen. Da ottimo traduttore professionale, J. Mäntyjärvi accompagna la partitura
originale con un’ottima traduzione in inglese, cantabile. Per chi
vuole cominciare a scoprire con il proprio coro la coralità finnica
questo è un ottimo punto di partenza.
Cominciamo a cantare (Let’s get singing, ISBN 9783-7649-24393; Gustav Bosse Verlag, Bärenreiter).
È una collezione globale di 100 partiture SATB di
35 paesi diversi e in altrettante lingue. È pubblicato
da quattro educatori musicali tedeschi. Circa 50
partiture sono folksongs per metà europei e per
metà di altri paesi come Haiti, Bolivia, Kenya, Congo, Madagascar, Macedonia, Mexico, Samoa, Serbia, Slovenia, Sudafrica, Tanzania, Jamaica e Ucraina. Le altre 50 partiture sono equamente suddivise
fra musiche profane, sacre e natalizie. Alcune partiture sono arrangiamenti originali delle culture di
provenienza. Molti lavori sono a cappella, di durata
molto breve e musicalmente accessibili a un coro
di un’altra cultura o di diverso gruppo linguistico.
Traduzioni e testi sono di solito sia in tedesco, sia in inglese. Non esistono registrazioni dei pezzi, ma tuttavia un audio cd con 99 tracce e testo dei brani non
inglese è disponibile. La pronuncia dei testi è disponibile online in http://bit.
ly/4J6aLV. Questa è una delle collezioni più globali pubblicate a tutt’oggi.
Esistono poi collezioni di partiture di una stessa regione o di un paese specifico
pubblicato o per un uso locale o per quei cori che desiderano esplorare il repertorio
di quella regione.
Dalla Finlandia e dall’editore Sulasol ci vengono due collezioni, una destinata
principalmente ai cori finnici e una destinata alla coralità internazionale.
Sekakuorolauluja (che significa “Canti per cori misti”): sono tre volumi di partiture
per coro misto, dedicate particolarmente ai cori finlandesi. Tutte le informazioni
sono esclusivamente in finnico, ma tutte le partiture hanno respiro, profondità e
accessibilità notevole. Sarebbe interessante poter avere le annotazioni in inglese
69
Per chi fosse interessato, la statunitense Marian Dolan (direttore di coro) su ICB (International Choral Bulletin, 1st Quarter
2010, pagg. 45-46) fornisce chiare notizie anche sulle seguenti
raccolte:
- Musica corale norvegese 1905-2005 (ISBN 82-7093-532-8,
New York Musicforlag), 45 partiture corali raccolte in tre
parti da Käre Hanken. Qui in http://bit.ly/5J128F, un elenco
completo delle partiture e dei compositori.
- Polifonie latino americane (Polyphonies Latino-americaines) del direttore, compositore e musicologo Néstor Zadoff
per voci miste a cappella, edizione A Coeur Joie.
- Canti per voci acute (5 Songs for Upper Voices, ISBN 9780-19-335920-8) pubblicata da Bob Chilcott presos la
Oxford.
- Song Stream, sempre di Bob Chilcott, ma con Peter Hunt,
sempre presso Oxford, utile per chiunque cerchi partiture
SAB per cori giovanili. Informazioni e partiture in pdf nei siti
http://bit.ly/8Zzqxf e http://bit.ly/5nMacu.
- Praizing, raccolta corale sacra della Bärenreiter (www.bärenreiter.com) che comprende al momento 4 volumi dedicati
rispettivamente alla Bulgaria, a Israele, alla Russia e alla
Svezia.
E per ultimo, ma non meno interessante:
Makumbebé: Repertorio corale latino americano (Makumbebé
Latin american Choral Repertoire, Carus Verlag 2.302). È il primo
volume della serie Carmina Mundi di Maria Guinand che potrebbe essere la vostra guida perfetta se, con il vostro coro
misto, siete interessati a esplorare il repertorio latino americano
dai ritmi così eccitanti e diversi. È una collezione di 12 folksongs
per voci miste a cappella, originari dell’Argentina, Brasile, Chile,
Colombia, Ecuador, Perù, Uruguay e Venezuela. L’elenco completo delle partiture e dei compositori è reperibile sul sito
della Carus Verlag (http://bit.
ly/5j603d). La raccolta è completa di informazioni e commenti che rendono giustizia
all’esperienza editoriale di Maria Guinand. I testi tradotti in
inglese, una eccellente guida
per le percussioni e l’accompagnamento di chitarre, una biografia dei compositori e una
breve guida alla pronuncia
completano questo ottimo
strumento di canto corale.
Partiture da scaricare
Breitkopf and Hartel offre partiture per più di 200 opere corali che
possono essere gratuitamente scaricate come pdf files dal sito
dell’editore: www.breitkopf.com. Maggiori dettagli sono reperibili
in www.musicanet.org/pdf/freedownload.choralmusic.pdf (newsletter di Musica International Association, febbraio 2010).
Compact disc
Claudio Monteverdi, Madrigals
I Fagiolini – Direttore: Robert Hollingsworth
Flaming heart - Chandos CHAN0730 (2006, 76’01”)
Fire and Ashes - Chandos CHAN 0749 (2008, 78’55”).
I Madrigali di Monteverdi segnano un preciso punto di svolta
nella storia della musica occidentale, una svolta innovativa e
controversa che ha ispirato il lavoro dei compositori per lungo
tempo. Fondamentale fu il desiderio di Monteverdi di sbloccare
le passioni intrappolate nelle parole e permettere al loro dramma di emergere nella musica che le accompagna.
RUBRICHE
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Questi appassionati madrigali scioccarono già
il pubblico dell’epoca sorprendendolo con una
musica che era fortemente diversa da quella del
suo stile precedente che era stato relativamente con­servatore.
Robert Hollingsworth e I Fagiolini affrontano molti
di questi lavori con nuovo fervore e li presentano
sotto una dirompente nuova luce. E ciò senza
staccarsi mai completamente da una esecuzione
stilisticamente appropriata. I Fagiolini riescono a
infondere su questa opera fuoco, passione e
dramma raramente udito nelle esecuzioni contemporanee. Essi portano l’opera a nuovi estremi di
tempo, di gamma vocale, e di dinamica che portano via l’ascoltatore in un’onda di passioni senza
precedenti. I due cd qui recensiti presentano il
lavoro de I Fagiolini al tempo di The full Monteverdi, il loro dvd che ri-immagina il Quarto libro
dei Madrigali come un moderno dramma teatrale.
Allo stesso modo questi due cd presentano un
concerto – forse un’opera – tratto dai lavori di
Monteverdi, cominciando con una ouverture per
muoversi attraverso una selezione di madrigali che sviluppano una vaga linea
storica piuttosto che un romantico ciclo di canti.
Ognuna delle due incisioni sembra concepita in due atti, con un semplice entr’acte
strumentale che li separa. La selezione di Hollingsworth comprende una varietà
di brani per una o due voci. Ci sono sezioni dell’opera Orfeo e le sue drammatiche
scene di Tirsi e Clori (Ottavo libro dei Madrigali).
Ogni esecuzione usa un solo cantore per ogni parte; il tempo è flessibile, scatta
in avanti nei momenti d’ardore per rientrare nei momenti di tristezza; le voci sono
chiare e sonore. Attraverso le sue opere Monteverdi fa esperimenti con frasi sempre
più cromatiche e armonie che sarebbero una sfida per qualsiasi gruppo corale. I Fagiolini sanno gestire meravigliosamente la sfida e cantare ogni accordo e ogni
cromatismo perfettamente in tono.
L’ampia varietà di strumenti dell’epoca usati in tutta l’esecuzione la mantengono
fresca e interessante. Il punto più alto di entrambe le esecuzioni è la presentazione
senza accompagnamento di Lagrima d’amante al sepolcro dell’amato (dal Settimo
libro dei Madrigali), che si trova sul cd Fire and Ashes. Questo brano presenta le
parole di doglianza di un giovane sulla tomba del suo amante. In questi sei brevi
madrigali è evidenziata tutta la gamma delle emozioni, dai grandi singhiozzi e
dalle stridenti dissonanze fino alla rassegnazione alla realtà da parte dell’amante
mentre discende emozionalmente e musicalmente nella sua tomba vivente. Questo
è un esempio che vale per entrambe le incisioni, ma ogni momento è perfetto.
Difficilmente l’ascoltatore potrà distrarsi. Robert Hollingsworth e I Fagiolini sono
stati capaci di presentare quest’opera in una nuova luce.
(Choral Journal, dicembre 2009)
Libri
Migliaia di direttori di coro di scuole pubbliche o college in
America sono anche direttori di cori da chiesa e costantemente
devono lottare contro la mancanza di educazione musicale della
maggior parte dei loro coristi. Paul G. Hill è pastore aggiunto e
ministro per la musica e la liturgia della Prima Chiesa Battista
di Marietta in Georgia (Usa) e si definisce educatore di musica
da chiesa. Egli ha portato avanti un approfondito studio sul
campo e ha scoperto che i componenti dei cori da chiesa mancano di quell’educazione musicale di base che è necessaria per
dare un contributo da cantori seri e impegnati. Conseguentemente il risultato del suo studio lo ha portato a sviluppare un
corso disegnato e testato per incrementare la lettura musicale
di questi cantori da chiesa. Il corso è così definito: Corso di
base per l’apprendimento della lettura musicale (Basic MusicReading Skills Course. Il capitolo “Preparazione musicale degli
adulti nei cori da chiesa” pubblicato da Choral Journal (dicembre
2009, pagg. 12-21) presenta il corso e il percorso curriculare
usato per il miglioramento della capacità di lettura da parte
degli adulti nei cori da chiesa.
Grani di senape
Efah - European Forum for the Arts and Heritage
L’Efah è stato fondato nel 1992 per dare voce in capitolo agli
artisti, alle associazioni e agli operatori culturali nell’ambito
dell’unione europea. Il suo compito è quello di monitorare la
politica e la legislazione che regolano il mondo della cultura,
nonché di riferire informazioni su finanziamenti o altre opportunità economiche a coloro che si occupano di cultura.
La scena corale cinese
La recente rapida crescita della Cina attira in diversi modi l’attenzione di tutto il mondo in tutti i settori, anche in campo corale.
Per una succinta ma comprensibile presentazione dell’immenso
mondo corale cinese,
sono stati interpellati
tre esperti di coralità
di fama e rispettabilità mondiale, come il
prof. Wu Lingfen, il
prof. Tian Xiabao e il
signor Mng Dpeng i
quali analizzano il fenomeno da e con
71
prospettive diverse. L’articolo The Current Choiral Scene in Cina
è pubblicato da ICB International Choral Bulletin, Vol. XIX, n. 1,
1st Quarter 2010, pag. 7 (disponibile su richiesta al redattore
[email protected]).
Cori di ragazzi e cori giovanili
Parliamo di metodo…
…nel mondo dei cori giovanili o di ragazzi. Articolo di Christian
Grases, giovane musicista corale emergente, membro del Consiglio Direttivo di IFCM International Federation of Choral Music.
L’articolo offre ai lettori informazioni su aspetti tecnici della
direzione di coro e pensieri di veri leader artistici. Idea sulla
direzione, sulla conduzione delle prove per cori di ragazzi o di
giovani e strategie per lo sviluppo delle istituzioni che li sostengono. «In questo articolo – dice Grases – vorrei esplorare le
idee riguardanti ciò che considero essere l’aspetto fondamentale nel mondo corale: la leadership, termine che, spesso abusato, parlando di direttore di coro copre molti aspetti diversi»
(ICB, 1st Quarter 2010, pag. 39).
Parliamo di arrangiamento musicale…
Articolo di Clara Levi, con due pagine di referenze bibliografiche.
Esso fornisce le linee guida per l’arrangiamento di musiche per
cori di bambini. Quando si arrangia per cori di bambini la musica
deve rifarsi a un’ampia serie di emozioni e di idee che portano
i cantori a trovare, a dar valore e a esprimere la loro vita emotiva.
Il testo deve avere un tema accattivante e un linguaggio appropriato; la melodia deve essere cantabile, deve avere senso musicalmente e avere una forma strutturale con frasi ripetute,
sezioni o ritornelli e il tema deve mantenersi consistente per
l’intera composizione. Parole e melodia devono essere compatibili e contribuire a formare la stessa atmosfera. L’accompagnamento deve essere leggero nella tessitura e raddoppiare le linee
vocali (Choral Journal, dicembre 2009, pag. 6).
Tecnologia per i cori del 21° secolo
Philip Copeland dice ai lettori di Choral Journal (dicembre 2009,
pagg. 22-30) che la tecnologia sta rimodellando ogni parte della
nostra vita. Con ogni nuovo cellulare venduto e con ogni pagina
web creata diventiamo sempre più legati e dipendenti da apparecchi elettronici e connessioni internet. «Solitamente quando abbiniamo musica e tecnologia – dice Copeland – noi pensiamo e programmi di notazione, sequenziatori e sintetizzatori».
Nel suo articolo Copeland esamina come i nuovi strumenti e le
nuove idee ci rendono capaci di raggiungere una nuova generazione di studenti, rendendo il nostro lavoro più efficace e
72
creano impatto con altri musicisti corali. Verso la fine di questo articolo densamente
informativo sul mondo della tecnologia veniamo gentilmente ammoniti circa il fatto
che non possiamo assolutamente evitare il cambiamento che la tecnologia porta
alla nostra professione corale. Per rafforzare il suo punto di vista Copeland cita il
politico inglese Harold Wilson che ebbe a dire: «Colui che rifiuta i cambiamenti è
costruttore di decadenza. L’unica istituzione umana che rifiuta il progresso è il
cimitero».
Ricetta… corale
“Riposino gli occhi, ma le orecchie ascoltino!”. C’è da essere veramente sorpresi
di quanto leggiamo in campo corale, sia durante la preparazione accademica, sia
dopo: libri, pagine web, twitters, facebook, e-mail, programmi, recensioni di giornali, opinioni, dissertazioni, tesi, note, materiale promozionale, articoli di giornali, di
riviste (pubblicazioni delle associazioni corali locali, regionali, nazionali, mondiali;
pubblicazioni statali e regionali di educazione musicale; pubblicazioni relative alla
musica da chiesa, ecc.). Eppure la nostra prima attività è quella di far musica.
Non si vuole certo sminuire il valore della parola scritta nella nostra vita musicale,
ma bisogna incrementare l’ascolto. Facciamo riposare gli occhi e lasciamo che le
orecchie facciano il lavoro.
Quando è stato l’ultima volta che abbiamo ascoltato una registrazione corale semplicemente per la gioia di farlo? Voglio dire, abbiamo effettivamente ascoltato
senza la distrazione del guidare, del lavorare o dello studiare? Quando è stato
l’ultima volta che abbiamo frequentato un concerto per ragioni che non fossero
dovere o amicizia? È difficile trovare tempo per fare ciò. È difficile trovare spazio
nelle nostre super impegnate vite semplicemente per sederci, per chiudere gli occhi
e ascoltare.
Bene, occasioni per ascoltare musica meravigliosa ce ne sono. Esse spesso vengono fornite dai nostri cori, dalle nostre organizzazioni corali. Frequentiamoli questi
concerti e saremo trasportati, ispirati, intellettualmente ed emozionalmente impegnati, spiritualmente rinvigoriti. (Jerry McCoy, Presidente di ACDA, Associazione
Americana dei Direttori di Coro).
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Giovanni La Porta,
Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi,
Luca Marcossi, Alessandro Kirschner,
Piero Caraba, Domenico Innominato,
Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri,
Paola De Maio, Annarita Rigo
Redazione: via Altan 39,
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: cupola della basilica di San Marco
in Venezia (foto DreamsTime)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un
anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco,
hanno contribuito a dare più informazione, a far
conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il
nostro senso di appartenenza a un movimento
culturale importante?
Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli
apprezzamenti che ci giungono da più parti,
dall’interno della nostra associazione ma anche
dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo
corale. L’attività editoriale e pubblicistica di
Feniarco dimostra che l’amatorialità è una
dimensione giuridico-economica, non un livello
qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse
economiche disponibili.
Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio
alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti,
talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre
ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in
ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui
esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando
che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd.
Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno:
l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sostenere costi che, è facile intuirlo, sono
più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la
quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun
numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le
tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto
incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e inferendo così un
duro colpo alle associazioni.
I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a
favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne
altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del
Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla
quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco di musica che
c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che
qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde
riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica
d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre.
C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare
sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
ISSN 2035-4851
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c
legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
La Feniarco ha avviato, col n. 30 di CHORALITER, il previsto programma di
pubblicazione di un CD allegato alla rivista una volta all’anno.
Per continuare nel progetto, Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate ai prossimi numeri della rivista.
Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere
state realizzate, alla data di scadenza
del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri:
• avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato
su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter
essere oggetto di un dossier della
rivista;
• essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del
repertorio proposto;
• avere una durata non inferiore ai 50
minuti.
Le registrazioni andranno inviate a
Feniarco entro il 31 agosto 2010 unitamente a un curriculum del coro e
del direttore e una dichiarazione di
autenticità dell’esecuzione.
Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da
due componenti della commissione
artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una
graduatoria in base ai predetti criteri.
I costi di realizzazione del master
sono a carico dei cori.
Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa del booklet e alla
diffusione. Il coro interprete del CD
selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando
ad avanzare diritti.
Al coro interprete del CD pubblicato
saranno riservate 100 copie omaggio
del CD con rivista.
Bando di partecipazione
Editoriale
Anno X n. 31 - gennaio-aprile 2010
CD
CD
CHORALITER
REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA
MINISTERO PER I BENI
E LE ATTIVITÀ CULTURALI
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Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
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Rivista quadrimestrale della FENIARCO
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Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Via Altan
S.Vito al Tagliamento (Pn)
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Tel +39 0434 876724
Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it
[email protected]
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VENETO
n. 31 - gennaio-aprile 2010
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FRIULI VENEZIA GIULIA
MUSICA MODERNA
CON ANTICHE RADICI
CANTARE
IL QUOTIDIANO
RIFLESSIONI SULLA
CORALITÀ POPOLARE
LA PAROLA
È GIÀ MUSICA
INTERVISTA A MARCO BERRINI
FENIARCO
CAPUT MUNDI
LA PROFESSIONALITÀ
DEGLI AMATORI
due mondi
a confronto
concertare
con gli strumenti