REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d t S y d n. 31 - gennaio-aprile 2010 Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali u t s nal o i t a n r e nt ori dirett r e p corso ini e (IT) b m a i di b info r cor a Paran e p a t ic er 1 Mus ente: Rob iana ) R E I L enez E c V T IT o A a l d • uo olo ( c n S g a a l Sp del usica tonio n M A 2 : LIER docente SA) • ATE spel tman (U o g e tual Whi Spiri e: Walt 3 R t E n LI E) doce • ATE er (D ica t h n c a a rom hum usica n Sc a M J 4 : e LIER docent E) • ATE on (S s z s z n a j a pop / ders Gör ocal n V A 5 : LIER docente EN) na • ATE erica ga (V a m a R d aría ca su Musi e: Ana M 6 R nt LIE T) doce • ATE R tti (I U u O g r T DY Ma AL STU : Corrado N O I T ERNA docente • INT LIGNANO (UD) 29 AGOSTO»5 SETTEMBRE Feniarco I Rivista quadrimestrale della FENIARCO DOMENICO BARTOLUCCI Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi Via Altan S.Vito al Tagliamento (Pn) Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] ASAC VENETO n. 31 - gennaio-aprile 2010 USCI FRIULI VENEZIA GIULIA MUSICA MODERNA CON ANTICHE RADICI CANTARE IL QUOTIDIANO RIFLESSIONI SULLA CORALITÀ POPOLARE LA PAROLA È GIÀ MUSICA INTERVISTA A MARCO BERRINI FENIARCO CAPUT MUNDI LA PROFESSIONALITÀ DEGLI AMATORI due mondi a confronto concertare con gli strumenti Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Giovanni La Porta, Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi, Luca Marcossi, Alessandro Kirschner, Piero Caraba, Domenico Innominato, Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri, Paola De Maio, Annarita Rigo Redazione: via Altan 39, 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: cupola della basilica di San Marco in Venezia (foto DreamsTime) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco, hanno contribuito a dare più informazione, a far conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il nostro senso di appartenenza a un movimento culturale importante? Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli apprezzamenti che ci giungono da più parti, dall’interno della nostra associazione ma anche dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo corale. L’attività editoriale e pubblicistica di Feniarco dimostra che l’amatorialità è una dimensione giuridico-economica, non un livello qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse economiche disponibili. Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti, talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd. Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno: l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sostenere costi che, è facile intuirlo, sono più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e inferendo così un duro colpo alle associazioni. I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco di musica che c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre. C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica. Sandro Bergamo direttore responsabile ISSN 2035-4851 Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn La Feniarco ha avviato, col n. 30 di CHORALITER, il previsto programma di pubblicazione di un CD allegato alla rivista una volta all’anno. Per continuare nel progetto, Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate ai prossimi numeri della rivista. Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri: • avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter essere oggetto di un dossier della rivista; • essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto; • avere una durata non inferiore ai 50 minuti. Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 agosto 2010 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri. I costi di realizzazione del master sono a carico dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa del booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ad avanzare diritti. Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 100 copie omaggio del CD con rivista. Bando di partecipazione Editoriale Anno X n. 31 - gennaio-aprile 2010 CD CD CHORALITER n. 31 - gennaio-aprile 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR Due mondi a confronto 2 Il repertorio sinfonico corale considerazioni e problematiche 5 Adriano Martinolli D’Arcy coro e orchestra: due mondi due modi idee, riflessioni e suggerimenti per una fruttuosa collaborazione Alessandro Cadario 8interpretazione, immagine sonora e strumenti musicali nella concertazione della musica polifonica del tardo rinascimento Davide De Lucia portrait 36 lA PAROLA è GIà MUSICA intervista a marco berrini Sergio Bianchi 15 la cOncertazione nella musica vocal-pop Andrea D’Alpaos fragmentA Dossier compositore Domenico Bartolucci 43 LE TESTIMONIANZE MUSICALI DEL MEDIOEVO Spunti di riflessione sulla prassi esecutiva Franco Radicchia Attività dell’Associazione 18 musica moderna con antiche radici intervista a domenico bartolucci Renzo Cilia 23 un linguaggio nuovo fondato sulla modalità antica Mottetto o sacrum convivium a 4 voci miste Renzo Cilia e Walter Marzilli 46 feniarco caput mundi Cronache dall’assemblea nazionale Roma, 20-21 marzo 2010 Puccio Pucci 50 Sperimentazione e valorizzazione Nova et veterA Nuovi progetti Feniarco Annarita Rigo 52 UNA BIBLIOTECA CORALE VIRTUALE Musica International Workshop Jean Sturm e Giorgio Morandi 56 Notizie dalle regioni Rubriche 26 una scelta di repertorio per il coro di voci bianche a ceremony of carols di Benjamin Britten Enrico Miaroma 29 la fuga dalla terminologia all’analisi Piero Caraba canto popolare INDICE 33 riflessioni sulla coralità popolare Sergio Bianchi 60 Scaffale 63 Lettera al direttore 64 Mondocoro dossIER 3 corale da ricercare a seconda del brano scelto; in questa sede però vorrei soffermarmi su alcuni aspetti pratico-esecutivi legati alla programmazione e l’allestimento di tali opere. Il coro e l’orchestra sono due compagini in sé autonome e il loro affiancamento comporta una serie di dinamiche, talora problematiche, che è bene conoscere per ottimizzare e rendere fruttuosa la loro collaborazione. A differenza dell’orchestra, il coro ha un maestro stabile che lo prepara e lo cura costantemente: dalla meticolosità del lavoro di questa determinante figura dipenderà molta parte della riuscita Il coro non è la mera somma di molte persone che cantano bensì la moltiplicazione della più vibrante delle espressioni umane. Il repertorio sinfonico corale sinfonico considerazioni e problematiche di Adriano Martinolli D’Arcy docente di musica corale e direzione di coro al conservatorio di trieste del concerto. Egli deve essere uno dei primi interlocutori del direttore d’orchestra; a lui il maestro concertatore rivolgerà le sue indicazioni e richieste esecutive relative alla partitura in oggetto, prima ancora che il coro inizi le prove di lettura. Il direttore di coro inoltre garantirà durante lo svolgimento delle prove sotto la guida del direttore d’orchestra il supporto e la collaborazione necessari; per tutto questo importante e prezioso lavoro, al direttore del coro andrà tutto il rispetto e la gratitudine del direttore d’orchestra. I cori amano cimentarsi in questo repertorio per quell’esaltante senso di potenza che esso genera nei cantori e per l’indicibile soddisfazione che ogni corista avverte nel sentire il proprio suono sorretto dalla forza sonora di un’orchestra. I cori amatoriali, in particolare, avvertono quasi un senso di sfida nell’affrontare questa complessa letteratura, che già per la durata e per l’impegno vocale richiedono uno sforzo notevole per tali complessi; in aggiunta, il confronto con una realtà per definizione “professionale” quale è l’orchestra, fa sentire l’impegno come qualcosa di qualificante e gratificante al tempo stesso. Se ai cori piace cantare con l’orchestra, questo piacere spesso non è ricambiato dalle orchestre che per lo più non vedono con favore l’accostamento al coro; a parte la naturale rivalità tra i due complessi, alcuni problemi sono oggettivi: l’orchestra lamenta spesso che il coro – sia esso professionale o amatoriale – non va a tempo, che rallenta o che ha problemi di intonazione. Il La letteratura che avverto maggiormente vicina al mio sentire e che prediligo dirigere è quella che unisce la complessità sonora e la ricchezza timbrica dell’orchestra al calore emozionale e alla possibilità drammatica della voce umana, in particolare quando essa sia amplificata in una compagine corale: la letteratura sinfonico-corale, quel vasto repertorio che spazia dal barocco ai giorni nostri che abbonda di brani molto amati dalle platee e dai cori, si pensi al Messiah di Händel, al Requiem di Mozart, ai Carmina Burana di Orff o ai Chichester Psalms di Bernstein, e che, oltre ai titolo più visitati, è ricca di brani di pari bellezza ma di più rara esecuzione. È quella letteratura che sovrappone la musica “pura” degli strumenti con l’elemento testuale presente nelle voci; quel logos che determina fin dall’inizio la peculiarità di questa musica a partire dalle scelte del compositore e che influirà in modo importante anche sulle scelte interpretative del direttore. Un discorso esaustivo sulla letteratura sinfonico corale e sulle problematiche a essa connesse implica un esame dei vari generi in cui essa si suddivide, un approfondimento degli aspetti stilistici legati alle varie epoche e un’analisi dei diversi organici richiesti e del colore vocale e 4 coro da parte sua accusa l’orchestra di suonare sempre troppo forte e di non lasciare passare le loro voci oltre la barriera sonora strumentale. I problemi relativi all’intonazione, alla precisione d’attacco e all’articolazione, possono e devono venir risolti dal coro a priori, prima delle prove d’assieme con l’orchestra. Un corretto lavoro condotto dal maestro del coro in fase di preparazione e dal direttore d’orchestra poi, che punti sul sostegno e sull’articolazione dei suoni con il rispetto assoluto dell’intellegibilità e dell’accentuazione naturale del testo, darà certamente un buon risultato al momento dell’esecuzione d’assieme. Per quanto riguarda i problemi derivanti dalla disposizione del coro alle spalle dell’orchestra, in particolare quando esso si trova dietro alla barriera degli ottoni e delle percussioni, è importante che il coro sia nelle condizioni di avere i propri riferimenti sia tra le parti del coro che dall’orchestra. In alcuni casi si ricorre a pannelli acustici, a dei Il coro e l’orchestra sono due compagini in sé autonome. monitor e ad altri accorgimenti tecnici. Altri possibili problemi determinati dalla disposizione e dall’acustica del luogo di esecuzione vanno studiati per tempo e risolti scegliendo luoghi adeguati per l’esecuzione, dotati delle necessarie pedane per il coro e per l’orchestra e di illuminazione adeguata. Le masse corali coinvolte in queste occasioni sono spesso di ampie proporzioni, necessitando questo genere musicale di forza sonora proporzionata al volume dell’orchestra più che dei pianissimi raffinati del coro a cappella; i piani sonori del coro, infatti, sono in queste occasioni tutti da relativizzare e da rapportare alla sonorità generale; a questo riguardo il direttore, nel bilanciare i piani dinamici del complesso corale e orchestrale, dovrà essere accorto nel richiedere delle sonorità molto robuste al coro, perché esso non forzi eccessivamente i suoni nell’enfasi e nell’intento di passare oltre la sonorità dell’orchestra, per non rischiare di risultare sgraziato e sguaiato, ma vigilerà perché esso mantenga sempre costante la resa vocale anche quando la partitura risulti particolarmente lunga e faticosa. Vi sono ottimi direttori d’orchestra che, quando si relazionano a un coro, pretendono che le voci reagiscano con la stessa immediatezza degli strumenti, creando non poco sconcerto e insicurezza tra i coristi; parimenti vi sono maestri che, abituati a trattare più con le voci che con gli strumenti, al momento dell’approccio con l’orchestra creano malumori per l’imprecisione del gesto, manchevole dei necessari riferimenti convenzionali. Il direttore che si accosti a questa letteratura deve necessariamente guidare con pari abilità sia il coro che l’orchestra e conoscerne le rispettive dinamiche ed esigenze. Guida di indiscussa autorità e responsabile ultimo della buona riuscita del concerto, il direttore d’orchestra, oltre a essere un buon musicista, conoscere bene la partitura e possedere una tecnica direttoriale sicura ed efficace, dovrà anche essere un buon coordinatore di risorse umane, sempre attento alle varie esigenze dei gruppi coinvolti, solisti, coro e orchestra, e nel rispettare la tempistica delle prove e delle pause. Durante le prove che il direttore farà con il coro prima delle prove d’insieme, egli darà tutte le necessarie indicazioni musicali utili all’esecuzione e al contempo starà bene attento alle reazioni del gruppo per comprendere il tipo di sollecitazioni di cui esso avrà bisogno in fase esecutiva, cercando di guadagnarsi la fiducia del coro e fornendo a esso il necessario senso di sicurezza. Nel gestire le due masse, corale e orchestrale, nell’intento di portare tutti in un’unica consonanza, la gestualità del direttore assume una grande rilevanza in particolare nella divisione dei compiti affidati alle due braccia e allo sguardo: dirigendo una partitura corale-sinfonica il direttore guiderà infatti l’orchestra prevalentemente con la mano destra – la mano della razionalità – quella che regge la bacchetta, mentre reggerà le voci e la forza espressiva con la mano sinistra, la parte del cuore, la mano dell’emozionalità. Durante il concerto inoltre, il direttore si relazionerà con l’orchestra con occhiate rapide e precise mentre per il coro lo sguardo sarà quasi continuo, mirato a creare quel “ponte” di collegamento che diminuisca la distanza fisica tra coro e maestro e a guidare con precisione ma anche con garbo la compagine corale, anticipandone tutte le informazioni necessarie. Superati i problemi musicali, tecnici e di comunicazione, il rapporto di fiducia e sicurezza che il direttore d’orchestra sarà riuscito a instaurare con il coro risulterà infine determinante alla riuscita del progetto poiché il coro non è la mera somma di molte persone che cantano bensì la moltiplicazione della più vibrante delle espressioni umane: la voce con la sua ineguagliabile carica emozionale. Essa, unita al caleidoscopico colore orchestrale, può condurre a quei risultati sorprendenti e addirittura sublimi, capaci di coinvolgere ed emozionare profondamente l’ascoltatore. coro e orchestra: due mondi e due modi coro orch idee, riflessioni e suggerimenti per una fruttuosa collaborazione di Alessandro Cadario direttore di coro Mettere due mondi a confronto, quello vocale e quello strumentale così come quello amatoriale e quello professionale, può essere davvero molto stimolante. In primis perché non sempre c’è una netta distinzione tra un certa qualità musicale e il fatto che essa sia frutto dell’amatorialità o della professionalità e, secondariamente, perché entrambi questi mondi hanno di che arricchirsi a contatto l’uno con l’altro. Per un coro che si accinga a realizzare una produzione con un’orchestra professionale, e oggi sono sempre di più le realtà amatoriali che realizzano questo tipo di progetti, ci sono alcuni suggerimenti che possono semplificare la “convivenza” e ottimizzare il lavoro. Scelta dell’ensemble strumentale e modalità di impostazione del lavoro In generale, quando si parla di orchestre professionali, occorre fare una distinzione tra compagini stabili (in cui i professori sono assunti dall’ente che gestisce l’orchestra), ensemble che non sono stabili ma lavorano insieme con una certa frequenza e sempre con gli stessi musicisti, e infine gruppi formati da singoli professionisti che si riuniscono per un determinato progetto. Questa distinzione è fondamentale perché ognuno di questi gruppi orchestrali può avere un approccio diverso in fase di realizzazione della produzione stessa. Non è così comune, ma a volte succede che cori amatoriali di alto livello si trovino a realizzare importanti progetti con orchestre professionali, penso alla meraviglia del Torino Vocal Ensemble del maestro Carlo Pavese nella realizzazione della Creazione di Haydn con i Pomeriggi Musicali di Milano lo scorso anno. Nel caso di ensemble costruiti ad hoc per un progetto, invece, è importante scegliere con accuratezza i singoli professori. Come una squadra di calcio funziona bene non solo se è formata da tutti “fuoriclasse” ma da giocatori che sanno essere funzionali al loro dossIER 6 ruolo, così un’orchestra necessita di musicisti che siano funzionali a quel determinato repertorio e a quel determinato ruolo. In questo senso affrontare il repertorio antico con un’orchestra mista di specialisti e non, rende difficile trovare un modo comune, una pasta di suono accettabile e unitarietà di intenti. Organico Nella scelta dell’organico (quanto grande deve essere l’orchestra) è importante tenere conto di alcuni aspetti. Un primo aspetto è il numero dei coristi, che sarà evidentemente proporzionale al numero degli archi; questo a sua volta dovrà però essere bilanciato con gli eventuali fiati e le percussioni presenti nella partitura. Senza poi fermarsi esclusivamente al numero dei coristi, il direttore deve anche fare un’oggettiva valutazione sulla vocalità del coro. Volendo ad esempio realizzare una messa Mettere due mondi a confronto può essere davvero molto stimolante. breve di Mozart con un organico di una ventina di coristi e una vocalità non particolarmente impostata, possono anche essere bastanti le parti reali negli archi (anche se questo crea, nel caso degli strumenti moderni, un più difficile equilibrio con trombe e timpani). È evidente che optare per un organico con strumenti originali, nel caso della musica barocca o classica, lascia più margine al volume sonoro del coro. Il direttore non ceda quindi alla tentazione di avere una grande orchestra che poi sarà di difficile gestione nel bilanciamento dei volumi sonori. Impostazione e gestione della prova Molto, nella gestione di una produzione di questo tipo, grava sulle spalle del direttore che ne deve essere all’altezza in ogni sua parte. Di qualunque natura sia il gruppo in questione, per ragioni economiche, il tempo a disposizione è sempre poco, troppo poco per ottenere un risultato musicale coeso e convincente. Mi è capitato, in passato, di assistere a un esecuzione del Requiem di Mozart durante un importante festival internazionale nel nord Italia con un direttore d’orchestra di fama internazionale e un coro “professionale” italiano. Da subito si è evidenziato che il maestro del coro aveva preparato i cantori con un’evidente idea della prassi esecutiva, mentre l’orchestra (con strumenti moderni) era stata preparata con tutt’altra concezione. Il risultato: soprattutto nelle parti dove l’orchestra raddoppiava il coro era evidente una tale discrepanza tra le idee dei due maestri che il risultato (se pur professionale) non era assolutamente coeso. Il rapporto tra il direttore d’orchestra e il maestro del coro è quindi fondamentale soprattutto prima dell’inizio della preparazione del coro stesso, ed è compito del maestro del coro sincerarsi delle idee musicali del direttore d’orchestra, senza farne un’astratta questione di ragione estetica, ma al fine di lavorare nella stessa direzione musicale. Nel caso poi più comune tra i cori amatoriali, dove è il direttore di coro stesso (magari con poca esperienza orchestrale) a dover condurre il concerto, possono essere di aiuto alcuni suggerimenti. Preparazione del materiale dell’orchestra La preparazione del materiale dell’orchestra (parti staccate dei singoli strumentisti) è una delle procedure che, se svolta con rigore e precisione, aiuta a risparmiare molto tempo prezioso e mette tutti i singoli musicisti nelle condizioni migliori di lavoro. Una delle più grandi differenze tra un corista e un orchestrale (che spesso i direttori di coro sottovalutano) è che, in un brano a cappella, il coro “legge” la partitura, mentre in un brano orchestrale i musicisti hanno davanti solo la loro singola parte. È quindi compito del direttore anche quello di coordinare il singolo con il gruppo sia in fase di direzione che in fase di preparazione del materiale stesso. Un primo aspetto importante è la scelta delle edizioni. Se l’orchestra ha già il suo materiale di un pezzo, la prima cosa da verificare è che l’edizione (soprattutto se si tratta di musica barocca o classica) sia la stessa di quella del coro e, soprattutto, sia la stessa revisione critica. In secondo luogo su quel materiale d’orchestra, il direttore dovrà segnare in anticipo gli eventuali respiri che fa il coro, l’articolazione delle parti in raddoppio delle voci in relazione alle parole cantate, e tutti quegli accorgimenti agogico-interpretativi che snelliranno di molto il lavoro delle prove di insieme. Prova di lettura con l’orchestra Qualora possibile, effettuare una prova solo con le prime parti per archeggiare il materiale, oppure dare al primo violino il materiale perché lo archeggi e poi distribuirlo su tutti i leggi già con le informazioni necessarie riportate su tutte gli spartiti. Ove questo non sia possibile, il direttore di coro deve sapere che durante la lettura il primo violino dovrà mettere le arcate e questa operazione, a ogni interruzione, porterà via un po’ di tempo. Occorre tener presente altresì che nel caso della musica vocale la scelta delle arcate è molto importante e delicata nel rispetto dell’accentuazione della parola. Un chiaro esempio dove questo equivoco spesso si risolve in un’arcata innaturale è l’inizio della fuga finale nel Gloria della Grande messa in do minore di W.A. Mozart “Cum sancto spirito”. Nell’esempio c’è l’arcata che rispetta il testo ma che spesso viene realizzata esattamente al contrario. Organizzazione del piano prove Il numero delle prove deve essere programmato in maniera realistica in base alla difficoltà della parte orchestrale e dell’insieme, conseguentemente al livello del gruppo che si è chiamato. È chiaro che il gruppo così detto “raccogliticcio” necessita di un ulteriore lavoro di amalgama per trovare un modo comune di suonare tra i vari professori d’orchestra che si incontrano per la prima volta insieme. Tali meccanismi sono invece ampiamente rodati nel caso di un’orchestra stabile. In qualsiasi caso è però di fondamentale importanza una prova di lettura con i soli strumenti. Se il direttore ha le idee chiare, e ha preparato bene il materiale orchestrale, permetterà all’orchestra di studiare, durante la prima lettura, i passi più esposti e delicati per l’intonazione e le note, di mettere le arcate, di trovare i giusti colpi d’arco per accompagnare il coro e gli eventuali solisti. Prova di sala con eventuali solisti Nel caso di solisti è anche opportuno che il direttore faccia la così detta “prova di sala” con i cantati solisti prima della prima prova con l’orchestra. In questa prova il direttore deve concordare i tempi, i respiri per preparare poi l’orchestra da subito nella giusta direzione. Oltre a questo il direttore ha il tempo di spiegare ai cantanti la propria idea interpretativo-musicale nella massima calma, evitando quindi i “sermoni” durante le prove di insieme. Come preparare il coro all’incontro con l’orchestra Il coro, soprattutto la prima volta, non deve essere spaventato o intimorito dall’incontro con dei professionisti. Deve invece trovare la naturalezza, frutto di un’impeccabile preparazione, per dare il meglio, tenendo sempre ben presente che i “professionisti” sono anche delle persone e nel fare musica conta maggiormente il rapporto con la persona che con il “professionista”. Nella prova di insieme il coro dovrà però essere molto professionale nell’atteggiamento, ovvero arrivare senza alcun dubbio sulle parti e con un estrema attenzione anche quando il direttore in fase di concertazione interviene sui solisti e sull’orchestra nel più assoluto silenzio e attenzione. Luoghi di prova È auspicabile realizzare le prove di insieme in un luogo non troppo riverberato che permetta di ascoltarsi con estrema facilità, questo semplifica di molto il lavoro. È fondamentale 7 poi realizzare una prova di assestamento nel luogo del concerto (che spesso è una chiesa con un’acustica estremamente riverberante). La prova di assestamento serve sia per verificare gli spazi che gli strumentisti necessitano per poter suonare con agio, che per abituarsi all’acustica e all’equilibrio tra le voci e gli strumenti (che è la cosa che più spesso viene sacrificata). Riflessioni finali Una domanda interessante potrebbe essere: si dirige il coro come l’orchestra? Come ci si comporta dovendo dirigere coro e orchestra insieme? Bacchetta si, bacchetta no? La bacchetta deve essere usata se necessaria e non come stereotipo dello “scettro” del direttore. Essa ha la funzione di amplificare il gesto e di renderlo quindi ben visibile in lontananza, qualora l’organico sia ridotto e la musica non lo richieda, i direttori sappiano che impugnare la bacchetta fa perdere alla destra la possibilità di notevoli sfumature che la mano nuda permette. Il rapporto tra il direttore d’orchestra e il maestro del coro è fondamentale. Dalla convenzione particolare a quella universale! Ogni direttore di coro ha una sua gestualità particolare che, anche se in alcuni casi è incomprensibile dall’esterno, nell’ecosistema di quel coro funziona perfettamente. Però, nel momento in cui il direttore si trova a dover dirigere un gruppo orchestrale con un ridottissimo numero di prove, è evidente che si impone la necessità di un codice universale. Questo non è da intendersi necessariamente con un’univoca tèchne direttoriale, ma come una serie di imprescindibili conoscenze che permettono ai professori di avere informazioni inequivocabili sul tempo sulla battuta e sulle dinamiche. Questo purtroppo a volte manca da parte dei direttori di coro, ma niente paura: fortunatamente le importanti nozioni di base non necessitano di un lunghissimo e difficile iter. Si può quindi lanciare un’idea, più che un appello: chi vorrà realizzare un corso di direzione di coro pensi alla possibilità di inserire anche alcuni strumenti o una piccola orchestra. Buona musica a tutti! dossIER 8 Interpretazione, immagine sonora e strumenti musicali nella concertazione della musica polifonica del tardo Rinascimento di Davide De Lucia direttore dell’associazione per la musica rinascimentale a . orologio Un problema non trascurabile nell’interpretazione della musica antica, soprattutto quando essa preveda l’impiego di strumenti e in particolar modo di quelli a intonazione fissa, riguarda la scelta del diapason di riferimento e del tipo di accordatura da utilizzare. Come è noto la convenzione internazionale che stabilisce il la3 a 440 hz è molto recente. Se consideriamo che ancora durante la metà dell’Ottocento tra importanti città d’Europa come Parigi, Vienna e Londra c’erano differenze di diapason di 30 e 40 hz possiamo capire come, andando ancora più indietro nel tempo, le differenze fossero grandi, e non solo tra aree geografiche lontane, ma anche all’interno della stessa regione e non di rado della stessa città. Questo problema era spesso determinato, per quanto riguarda la musica sacra accompagnata, dal fatto che a stabilire il diapason fosse l’organo che aveva intonazione fissa e non poteva essere cambiato. Durante il XVI secolo i diapason erano sicuramente molto diversi arrivando anche a un tono e oltre di differenza. Studi fatti sugli strumenti a fiato del tardo Rinascimento, e rilievi compiuti su organi storici, portano a concludere (sebbene nell’Italia centrale e meridionale ci siano testimonianze discordi) che il diapason italiano dell’epoca fosse mediamente più alto rispetto a quello odierno, e collocabile tra i 450 e i 460 hz. Per le esecuzioni di musica rinascimentale con strumenti antichi oggi si usano fondamentalmente due diapason: 440 o 466 hz. Questa scelta trae origine da alcune considerazioni: gli strumenti a intonazione fissa come organo e clavicembalo possono, quando siano costruiti a tale scopo, passare da un diapason all’atro semplicemente scalando la tastiera di un semitono verso l’alto in quanto 466 hz corrispondono esattamente alla nota sib e quindi un semitono sopra. Un’altra tesi a favore risiede nel fatto che certi strumenti, come ad esempio i cornetti, funzionano ancora meglio se più corti, e quindi con un diapason più alto. Ciò non significa che 440 o 466 hz siano i diapason più corretti e in assoluto ideali, ma semplicemente rappresentano il compromesso per certi aspetti più ragionevole e pratico. Spesso infine si finisce per scegliere il 440 hz semplicemente per la difficoltà oggettiva di trovare strumenti a 466 hz: infatti negli ultimi tempi è un po’ più facile reperire organi alti, ma fino a non molti anni or sono gli strumenti erano pensati per poter scendere a 415 hz, come d’uso nella musica barocca, ma non per salire. Una seconda questione importante riguarda la scelta del temperamento da adottare. Qualora ci siano solo strumenti a intonazione fissa la scelta non comporta problemi in quanto, non dovendo interagire con altri tipi di strumenti, l’organo o il clavicembalo posso essere accordati con qualunque temperamento purché storicamente corretto. In tal senso quando vi sia solo l’organo i temperamenti più adatti sono forse quelli regolari, in particolare il mesotonico a un quarto di comma. Infatti, presentando otto terze maggiori pure e tutte le quinte regolari, questo temperamento conferisce agli accordi un carattere stabile e luminoso, permette alle voci, dopo una breve fase di assestamento, di trovare facilmente una naturale intonazione e caratterizza bene le diverse situazioni armoniche. Cosa del tutto diversa quando a interagire con l’organo ci siano anche altri strumenti: si apre infatti in questo caso una questione mai completamente risolta. Il teorico veneziano Zarlino (Sopplementi musicali, 1588) divide gli strumenti in tre gruppi: quelli stabili – organo, arpa, cembalo – quelli alterabili – tromboni e viole senza tastatura – e quelli stabili ma alterabili – flauti, cornetti, viole da gamba e liuti – e sostiene che, pur avendo diverse nature e intonazioni, tutti possano suonare insieme a condizione che gli esecutori siano capaci di “accomodare” le differenze. Certo è che se strumenti come cornetti e flauti hanno un discreto margine di correzione ben altra cosa accade a viole tastate e liuti. Questi strumenti nascono infatti fondamentalmente equabili, vale a dire con la divisione regolare dei semitoni, e testimonianze come quelle di Nicola Vicentino (L’antica Musica ridotta alla moderna pratica, 1555) o di Vincenzo Galilei (Dialogo della musica antica e moderna, 1581) precluderebbero loro, a causa dei problemi di intonazione, la possibilità di suonare con gli altri. Senza entrare nel merito di un argomento troppo tecnico la storia, dando ragione a Zarlino, riporta che comunque gruppi costituiti da tastiere, flauti, liuti e viole da gamba suonassero insieme normalmente e fossero anzi assai diffusi, tanto più che questa pratica continuò fino al XVIII secolo. L’accortezza oggi risiede forse nel trovare, a seconda dei casi, un giusto compromesso. Dunque si può usare un temperamento più rigoroso come il mesotonico a un quarto di comma qualora le tonalità lo consentano e quando l’organo interagisca solo con tromboni, cornetti e viole da braccio, mentre lo si può ammorbidire un poco usando un temperamento regolare a un quinto o un sesto di comma quando siano presenti anche viole da gamba, liuti e chitarroni, e chiedendo a questi strumentisti di adattare quanto possibile i legacci e l’intonazione. Un altro importante problema che si deve affrontare quando si concerta la polifonia cinquecentesca con strumenti antichi riguarda il coro. Dalle parti originali, a eccezione di quei casi in cui sia chiaramente esplicitato, raramente è possibile stabilire se le linee vocali siano da affidare a solisti o a un gruppo di persone più allargato. Se analizziamo alcune composizioni policorali, concertate o meno, di fine Cinquecento (a titolo di esempio Kyrie e Gloria dai Concerti, 1587 di Andrea Gabrieli, Quem vidistis pastores e Salvator noster dalle Symphoniae Sacrae, 1615 di Giovanni Gabrieli, la Sonata a 20 Dulcis Jesu, Patris imago sempre di Giovanni Gabrieli, i Salmi a quattro chori, 1612 di Viadana) vediamo come, al di là delle indicazioni precise che riportano, sia tutto sommato un po’ più semplice identificare quali parti vadano affidate a solisti e quali al coro. Possiamo vedere come in alcune di queste composizioni ci siano 9 anche dettagliate indicazioni di strumentazione e di esecuzione. Ma di norma nelle composizioni vocali rinascimentali non è possibile stabilire se le parti vocali siano solistiche o richiedano un gruppo corale più o meno grande. In questo senso non si può che intervenire con una scelta interpretativa personale che tenga conto esclusivamente della storicità, dell’aderenza alle convenzioni musicali di quel particolare momento storico e dell’immagine sonora che si vuole ottenere. Sicuramente affrontare la polifonia antica soltanto con solisti offre dei grandi vantaggi di pulizia, intonazione, trasparenza ed espressione. Ma in certi momenti la parte reale – la singola voce per linea melodica – soprattutto in ambienti medio grandi può dare l’impressione di povertà, di suono troppo piccolo e, qualora vi siano degli strumenti in raddoppio o in sostituzione, se l’equilibrio non è davvero perfetto la sensazione è spesso quella che ci siano scollamenti e che qualcosa prevalga sull’altra. Per contro i gruppi corali troppo numerosi non sono adatti alla musica rinascimentale così come a quella barocca. Le prerogative fondamentali di questa musica sono la trasparenza, la definizione, la freschezza e i disegni imitativi: diventa estremamente complicato e non gestibile, oltre che sbagliato storicamente, affrontare quel repertorio con una massa di suono troppo grande e scuro, e che per sua stessa natura, anche in presenza dei coristi più bravi, diventa pesante, lento e per nulla trasparente. Forse la considerazione migliore dossIER 10 è che la polifonia rinascimentale funzioni bene quando è affrontata da singoli cantori in ambienti non troppo grandi, o da un nucleo di tre o quattro coristi per singola parte in ambienti più grandi. Al contrario mettere due soli cantori per voce, a condizione che non si tratti di professionisti di livello, vocalmente simili e abituati a cantare insieme, è sempre piuttosto pericoloso per l’intonazione e la fusione. Un altro problema di non facile soluzione riguarda le tessiture vocali nella polifonia rinascimentale: se infatti da un lato l’estensione delle voci nel coro barocco e nella musica del XVIII secolo è già confrontabile con quella del coro moderno e le parti sono codificate in modo abbastanza chiaro e uniforme, nel Rinascimento non è assolutamente così. O meglio, c’è abbastanza uniformità per quanto riguarda l’estensione delle voci maschili gravi, anche se in certi casi ci si presentano come molto gravi o molto acute, ma è tutt’altra cosa per quello che riguarda le voci superiori. Infatti nell’estetica della musica sacra rinascimentale il ruolo di cantus era sempre ricoperto da voci bianche o da voci maschili che usavano il falsetto mentre l’altus era prerogativa dei soli controtenori. I problemi maggiori in realtà non si incontrano tanto con il cantus che tutto sommato, tranne alcuni casi, può essere abbastanza ben affrontato dai soprani moderni, quanto con l’altus: spesso infatti tale voce ha un’estensione che può andare dal re2 al la3 (ma anche re3) e non è affrontabile praticamente da quasi nessun contralto moderno. Per i gruppi di professionisti il problema non si pone in quanto i ruoli – spesso anche quelli di cantus – vengono assegnati ai falsettisti che, a seconda dei casi, cambiano normalmente di registro. Il problema nasce spesso nei cori a carattere non professionale: le soluzioni che si possono adottare in questi casi (scambi di parti, tenore e contralto che cantano insieme, tenori che cantano di testa, spostamenti di ottava di alcune note) non sono mai completamente e realmente efficaci e finiscono sempre per snaturare la trama e l’equilibrio della polifonia. Infatti alcune voci, al contrario di altre, si troveranno a cantare in situazioni molto scomode e che compromettono pesantemente l’omogeneità del suono e l’equilibrio. Un artificio comunque discutibile ma forse più pratico ed efficace consiste, dove la tessitura delle altre voci lo consenta, nel provare a spostare il diapason di riferimento facendo sempre comunque attenzione a rispettare il principio vocale rinascimentale che vuole, salvo casi eccezionali, che le voci cantino nel loro registro medio. Una questione molto importante riguarda anche il tipo di suono e di articolazione che si vuole ottenere da un coro nell’esecuzione della polifonia cinquecentesca quando siano presenti gli strumenti o quando li si vogliano aggiungere in raddoppio. Molti trattatisti dell’epoca – Maffei, Zacconi, Finck, Troiano, Praetorius – ci riportano la stessa idea: il suono del cantore, e di conseguenza del coro, deve essere morbido e piacevole, senza sbalzi o ineguaglianze di registro, con un naturale vibrato mai forzato, e l’attenzione principale deve essere sempre rivolta alla chiarezza, alla purezza dell’emissione e all’equilibrio. Nell’aggiungere strumenti in raddoppio alle voci può capitare facilmente che questi prevalgano su quelle: si deve dunque prestare la massima attenzione a cambiare soltanto il colore mantenendo la stessa chiarezza, curando la fusione in modo omogeneo ed evitando quegli squilibri che possono verificarsi soprattutto nelle dinamiche estreme. Un altro aspetto chiaramente affrontato dai trattati è quello che riguardano la perfetta articolazione delle parole, e la costante attenzione alla corretta pronuncia di vocali e consonanti. Qualunque tipo di interpretazione si voglia dare, bisogna prima di tutto avere ben presente che nella polifonia rinascimentale la parola ha un ruolo chiave, fondamentale, e che il testo deve essere pronunciato e accentato correttamente e deve assolutamente sempre essere comprensibile. Una delle cose che possono accadere in fase di 11 concertazione aggiungendo strumenti di raddoppio, in particolare cornetti e tromboni, è che questi ultimi “mangino” un poco le consonanti: è necessario allora prestare la massima attenzione a che il testo rimanga comprensibile ed eventualmente correggere il difetto con una maggior pronuncia delle stesse. L’agilità nella tecnica vocale rinascimentale deve essere sempre leggera, precisa e mai forzata e di conseguenza le frasi musicali fiorite da passaggi melismatici devono trovare sempre una direzione e devono essere portate a conclusione senza pesantezza e fatica. L’idea di vocalità antica per certi versi è esattamente contraria a quella che è insegnata oggi, vale a dire più si sale nel registro acuto più l’attenzione deve essere rivolta a cantare un poco meno forte e senza accenti. Un altro aspetto significativo affrontato dai trattati riguarda la qualità di suono e l’articolazione necessarie a rendere chiara la polifonia imitativa e le entrate delle varie voci per poter ottenere “una elegante e perfetta fuga”. Il suggerimento offerto è quello che le voci negli ingressi imitati siano ancora più chiare e distinte del solito, e che ogni nuovo ingresso debba essere proposto nello stesso modo, con la stessa intenzione e senza che nessuno emerga dal tessuto polifonico: al contrario alcuni suggerisco che le voci già entrate diminuiscano impercettibilmente la loro intensità per far meglio respirare e rendere più chiari i nuovi ingressi. Ascoltare il timbro, il fraseggio, l’emissione e l’articolazione degli strumenti rinascimentali, quando ben suonati, è di grande aiuto per un gruppo corale, anche di alta qualità, per avvicinarsi ancora di più a quella particolare estetica. Nell’esecuzione della polifonia con strumenti antichi è infatti fondamentale riuscire a trovare il corretto equilibrio e rapporto di suono, e la medesima intenzione tra strumentista, solista e coro, soprattutto quando gli strumenti non eseguono parti indipendenti ma raddoppiano esclusivamente quelle vocali. Una questione che solleva sempre molti problemi riguarda l’ideale sonoro che si vuole raggiungere con l’inserimento degli strumenti nelle composizioni polifoniche. I problemi nascono infatti da una ricerca di equilibrio sonoro che non è mai facile da trovare: sarebbe dunque un errore pensare che gli strumenti, purché antichi, possano essere introdotti con assoluta intercambiabilità. Certo è possibile trovare molte eccellenti combinazioni e in questo le testimonianze delle composizione polifoniche già orchestrate dai compositori del tardo Rinascimento ci offrono molti suggerimenti e spunti di riflessione. Bisogna dunque fare attenzione nel ricostruire un’immagine sonora a non commettere in certi casi l’errore di affidarsi alla suggestione e al gusto moderno Ascoltare il timbro, il fraseggio, l’emissione e l’articolazione degli strumenti rinascimentali è di grande aiuto per un gruppo corale. per così dire, e a non creare delle combinazioni che pur usando strumenti rinascimentali, di estetica rinascimentale non hanno molto e male si fondono tra loro. L’idea è dunque quella che non sia sufficiente l’impiego dello strumento antico, ma che l’adattamento musicale, la strumentazione, risponda a un criterio di autenticità e di aderenza storica a un ideale sonoro. Sembra dunque interessante vedere molto brevemente quali strumenti venissero usati nella polifonia e nella musica concertata del tardo Rinascimento e del primo Seicento, e analizzare le loro caratteristiche principali per poterne formulare alcune ipotesi di impiego. Nei secoli XVI e XVII la famiglia dei flauti è costituita da molti strumenti, dritti e traversi, ma senza dubbio il più importante è il flauto dolce. Questi strumenti hanno otto fori e sono costruiti normalmente in bosso e acero, più raramente in legni da frutto come pero e ciliegio, ancora più raramente in ebano e avorio. Va ricordato che contrariamente a quanto si potrebbe immaginare il legno di costruzione non incide in modo significativo sulla qualità del suono. Al contrario la forma della cameratura, cioè della forma interna del tubo sonoro, influisce in modo dossIER 12 determinante. Gli strumenti del primo Rinascimento hanno di solito fori grandi, camerata larga e cilindrica, cioè a diametro regolare per tutta la lunghezza: questo conferisce allo strumento un suono rotondo e con buona potenza anche nel registro più basso. Gli strumenti descritti nei più importanti trattati del primo Cinquecento – Agricola, Virdung e Ganassi – sono fondamentalmente di tre taglie: soprano in sol, tenore in do e basso in fa. Questo lascia presupporre che le parti di contralto fossero normalmente realizzate con il tenore o, qualora fossero particolarmente acute, con il soprano. Già meno di un secolo dopo Praetorius, nella seconda parte del Syntagma del 1619 porta le taglie a sette. Il loro utilizzo come raddoppio di una parte vocale, sia nella tessitura reale che in quella all’ottava, deve essere usato con prudenza e attenzione in quanto comporta spesso problemi di intonazione e di omogeneità. Tutti i flauti suonano normalmente un’ottava sopra le note che leggono: di questo fatto si deve tener conto in sede di concertazione. La bombarda è uno strumento ad ancia libera, ha cameratura cilindrica, sei fori e una buona estensione che può raggiungere le due ottave. Esisteva in molte taglie, Praetorius ne descrive sette, dal contrabbasso in fa di quasi tre metri al soprano in la di circa quaranta centimetri. Questo strumento presenta una sonorità potente, particolarmente adatta all’aperto per l’esecuzione di musica strumentale. Il suo uso in combinazione con le voci è ampiamente diffuso dal Medioevo a tutto il XV secolo. Nella musica sacra del secolo successivo viene però progressivamente sostituito da strumenti con maggiori possibilità dinamiche ed espressive. Tuttavia sempre Praetorius consiglia quando possibile di usare una bombarda contrabbassa a rinforzo della parte più grave nelle esecuzioni di musica concertata con molti cantanti e strumenti. La dulciana o fagotto è molto probabilmente uno strumento derivato dalla bombarda ma dalla quale si discosta molto per le caratteristiche e soprattutto per la dolcezza, la morbidezza e l’eleganza del suono. La grande idea che ne sta alla base, cioè il ripiegare lo strumento a metà attraverso due tubi paralleli scavati nel medesimo blocco di legno e collegati tra loro da un’apertura sul fondo, permette di avere a disposizione uno strumento molto più maneggevole in quanto a parità di estensione e lungo la metà di una bombarda. Le primissime notizie che se ne hanno risalgono circa ai primi vent’anni del Cinquecento ma è più logico pensare che lo strumento sia entrato nell’uso comune dalla metà dello stesso secolo quando lo si comincia a trovare normalmente citato: sarebbe dunque un errore utilizzarlo nelle composizioni più antiche. Lo strumento si presenta in molte taglie e si presta a suonare molto bene in raffinati consort. Altresì, fondendosi naturalmente con esse, raddoppia in modo eccellente soprattutto le voci maschili in tutta la polifonia del tardo Rinascimento. Gli strumenti più adatti a essere impiegati nel raddoppio, nel rinforzo o nella sostituzione delle parti vocali nella musica polifonica del Cinquecento sono probabilmente il cornetto e il trombone. Il cornetto è stato senza dubbio lo strumento più importante durante tutto il XVI secolo e, avendo raggiunto possibilità tecniche ed espressive straordinare, era lo strumento dei virtuosi. Si tratta di un ibrido tra gli ottoni e uno strumento a fiato di legno: con i primi condivide il bocchino, ma molto più piccolo e di solito di corno, mentre con i secondi la presenza di fori e l’essere fatto di solito di legno. Lo strumento si presenta normalmente di due tipi, dritto e curvo. Il cornetto curvo ha sezione ottagonale, cameratura cilindrica, ed è costituito da due parti che vengono ricoperte di pelle per evitare perdite: questa caratteristica gli fece prendere il nome di cornetto nero. Il cornetto dritto era invece ricavato di solito da un unico blocco di legno, pertanto non veniva ricoperto di pelle e di qui il nome di cornetto bianco. Poteva avere il bocchino separato dallo strumento come il cornetto curvo, o ricavato direttamente dentro lo strumento: in questo secondo caso il cornetto si chiamava muto. La differenza fondamentale tra i due strumenti risiede nel tipo di suono, più squillante, chiaro e aperto nel primo, più morbido e dolce nel secondo. Esisteva in diversi tagli ma il più diffuso andava dal la2 nel grave fino al la4 nell’acuto, che poteva arrivare al re5 e anche al fa5 a seconda della bravura dello strumentista. La supremazia del cornetto sugli altri strumenti è sicuramente dovuta alla sua capacità di imitare la voce umana e di fondersi con essa, alla possibilità di suonare pianissimo o molto forte, alla grande agilità e alla straordinaria capacità di diminuzione e ornamentazione. Nell’esecuzione della polifonia rinascimentale il cornetto può normalmente raddoppiare la linea del soprano o anche del contralto qualora quest’ultima non fosse troppo bassa, sovrapponendosi a essa o anche sostituendola. Il tipo di cornetto da utilizzare dipende dal colore d’insieme che si vuole ottenere e la scelta è dunque subordinata a una particolare idea sonora. Del tutto soggettivo e discrezionale è anche l’uso dell’ornamentazione e della diminuzione. In questo caso la trattatistica antica non ci aiuta fino in fondo in quanto spesso le testimonianze sono contraddittorie: infatti alcuni sostengono che il raddoppio non debba essere mai diminuito per lasciare la linea vocale pura e per far intendere bene le parole, mentre altri sostengono al contrario che la diminuzione arricchisca e impreziosisca l’esecuzione e che debba essere praticata normalmente. Il trombone rinascimentale è profondamente diverso dallo strumento moderno. Era nato probabilmente come basso della tromba naturale ma superava tutte le limitazioni e le difficoltà tipiche di quella con l’aggiunta di una coulisse che permetteva di modificare la lunghezza del tubo sonoro. Era il primo strumento, che non fosse l’organo, ad avere tutte le note cromatiche nel registro grave, e poteva così raddoppiare eccellentemente le voci nel registro di tenore e basso. Rispetto 13 allo strumento moderno è molto più leggero, ha una cameratura più stretta e un padiglione più piccolo. Questo gli conferisce agilità e una sonorità morbida che si fonde perfettamente con le voci ma al tempo stesso, quando necessario, può essere forte e brillante. Le sue caratteristiche lo rendono ideale tanto come basso di strumenti a fiato come i cornetti e le bombarde, quanto per i violini e le viole. Nel repertorio rinascimentale si trovano di consueto viole e tromboni in parti intercambiabili, e ancora in età monteverdiana si trova normalmente l’indicazione viole ovvero tromboni, a indicare l’assoluta discrezionalità da parte dell’esecutore. I tagli del trombone sono tre: senza dubbio il più antico è il tenore in sib (per quanto sia difficile definire la vera intonazione a causa del diapason variabile) usato già dal tardo Medioevo. Con lo sviluppo della polifonia e con il conseguente allargamento delle tessiture vennero poi costruiti prima il basso e per ultimo il contralto. L’estensione di questi strumenti è molto grande e arriva a coprire anche due ottave e una quinta ma la Le prerogative fondamentali di questa musica sono la trasparenza, la definizione, la freschezza e i disegni imitativi. consuetudine vuole che vengano usati nell’estensione naturale delle voci preferendo, come è regola normale nell’estetica antica, non spingere lo strumento ai suoi limiti estremi ma sostituirlo di volta in volta con uno più grande o più piccolo. Nel XVI secolo gli strumenti ad arco erano spesso indicati con il termine generico di viole da braccio e viole da gamba. I termini da braccio e da gamba indicavano in origine il modo in cui erano tenuti gli strumenti: le viole da gamba più grandi erano tenute tra le gambe mentre gli strumenti più piccoli erano comunque appoggiati sulle cosce. Le viole da braccio, in origine più piccole, erano appoggiate sul petto e manterranno questo nome anche quando, di maggiori dimensioni, si suoneranno tenendole tra le gambe come il violoncello. Gli strumenti che vanno sotto il 14 nome di viole da braccio possono essere riassunti, forzando un po’ il concetto e ricordando che comunque esisteva una varietà enorme di strumenti diversi, nei moderni violino, viola e violoncello. Per quanto riguarda gli strumenti da gamba, fatte le stesse premesse, potremmo dire che esistono fondamentalmente tre taglie, il basso, il tenore e il soprano, mentre lo strumento più grave della famiglia è il violone. Non entriamo nel merito delle accordature e delle estensioni di questi strumenti, argomento che richiederebbe una lunga trattazione, ma sottolineiamo le differenze fondamentali tra gli strumenti da gamba e quelli da braccio, ricordando comunque che ancora alla fine del Cinquecento c’era molta ambiguità nel definirli. Gli strumenti da braccio hanno fasce laterali basse, spalle rotonde, fondo non inclinato, fori armonici a f, tastiera stretta e senza tasti, normalmente quattro corde abbastanza grosse accordate per quinte. Gli strumenti da gamba hanno grandi fasce laterali, spalle spioventi, fondo inclinato, fori armonici a C, tastiera larga con i tasti ricavati con legacci di budello, sei corde sottili (ma il numero poteva variare da quattro a sette) accordate per quarte con una terza maggiore centrale. Un’ulteriore differenza risiede nel modo di tenere l’arco. Queste caratteristiche conferiscono alle due famiglie di strumenti timbri profondamente diversi: da un lato le viole da braccio suonano in modo più robusto, più definito e con un attacco più netto, dall’altro le viole da gamba hanno un suono più nasale e dolce, e il loro attacco è più morbido. Nella scelta degli strumenti da utilizzare nella concertazione ancora una volta si deve partire dalla considerazione di quale ideale sonoro si voglia perseguire. Un consort di viole da gamba si presta molto bene a raddoppiare le linee vocali di un piccolo gruppo a parti reali o costituito da pochi coristi per singola parte, e soprattutto per la polifonia della prima parte del XVI secolo, senza con questo voler escludere sicuramente quella successiva, e senza nemmeno escludere la presenza di strumenti a fiato. Per contro le viole da braccio e i violini, in combinazione con cornetti e tromboni, rappresentano un’ideale formazione per l’esecuzione della musica di scuola veneziana, in particolare quella policorale e concertata, della seconda metà del Cinquecento e della prima metà del Seicento. Nel XVI e ancor più nel XVII secolo il basso continuo costituisce probabilmente, tanto nella musica sacra che in quella profana, il nucleo fondamentale dell’orchestra. Nella musica sacra del Cinquecento, quando accompagnata, sicuramente il principale strumento di base è l’organo, normalmente quello presente in chiesa, cui possono affiancarsi strumenti a pizzico come liuto, arciliuto e chitarrone: questi ultimi due strumenti derivati dal liuto hanno dimensioni più grandi e sviluppano una maggior estensione verso il registro grave. A questi si può aggiungere uno strumento basso come un violone o un trombone. Nelle grandi composizioni del primo Seicento il nucleo del basso continuo si moltiplica considerevolmente: non è strano pensare a organici costituiti da due clavicembali, due organi, arpa, diversi strumenti della famiglia dei liuti, normalmente quelli di grandi dimensioni come arciliuto, chitarrone e tiorba, più tutti gli strumenti bassi come violone, viola da gamba, trombone e dulciana. In conclusione possiamo dire dunque che i problemi nella concertazione della polifonia con strumenti antichi sono molteplici: da un lato è necessario risolvere gli aspetti tecnici legati agli strumenti, alle voci e alle partiture, dall’altro sono fondamentali il rispetto della prassi esecutiva antica e delle intenzioni originali, e l’aderenza a un’estetica sonora multiforme e variegata ma al tempo stesso molto precisa. Tutto questo senza naturalmente perdere di vista una considerazione fondamentale: «Ogni esecuzione effettuata con strumenti originali e secondo i criteri della prassi esecutiva storica, data la distanza cronologica che ci separa dal momento della composizione, è soltanto in realtà un tentativo di ricostruzione e costituisce a pieno titolo un’interpretazione del XX secolo dei brani proposti, non certamente una loro asettica riproposizione». (Nikolaus Harnoncourt) Illustrazioni tratte da M. Praetorius, Syntagma Musicum, 1620. la concertazione nella musica vocal-pop di Andrea D’Alpaos direttore dei joy singers music vocal Da qualche anno in Italia, in ambito corale, si assiste a un crescente interesse per alcuni generi musicali che non appartengono alla nostra tradizione musicale: escursioni nel pop, jazz, soul e gospel sono sempre più frequenti anche nel repertorio di cori con solida tradizione classica alle spalle. Le riflessioni che seguono non possono essere esaustive, considerando la complessa e variegata situazione nel panorama corale italiano. Inoltre, non ho certo la competenza di un fonico o di un tecnico del suono per poter offrire illuminanti risposte. Ho quindi pensato di dividere il tema in piccoli sottotemi, evitando “verità assolute” a vantaggio di brevi considerazioni che, spero, possano servire come spunti per poter lavorare per un miglioramento tecnico-artistico. Concentriamo ora l’attenzione sulla musica vocal-pop, nostro tema specifico. Band La banda, il gruppo, l’ensemble strumentale. Spesso si crede che mettere insieme qualche strumentista rock/pop sia già sufficiente a dare un’impronta pop al coro. Ho riletto l’etimologia della parola “concerto” che ha una doppia origine latina: conserere che significa “legare insieme, unire” e concertare che significa “combattere, lottare”. Spesso si ha l’impressione che questo secondo significato venga preso alla lettera… e il povero direttore, suo malgrado, si trovi in mezzo alla battaglia! Ritengo fondamentale che il direttore di un coro chiarisca da subito e sottolinei che gli strumentisti sono sempre al servizio del coro. Interplay Oggi va molto questo termine inglese. Esprime l’affiatamento, lo scambio emozionale, la predisposizione a cogliere ciò che gli altri stanno esprimendo. Questa complicità, vero e proprio dialogo, deve estendersi alle voci del coro. Perché ciò avvenga, bisogna preparare con cura un linguaggio comune, senza dimenticare che tale linguaggio dovrà essere compreso dal pubblico. Ogni strumento sarà allora un valore aggiunto e non un’interferenza nella comunicazione. dossIER 16 Il Coro Accademia Feniarco Faccio un esempio di scelta “dannosa per l’esecuzione”: una frase veloce in semicrome del coro viene accompagnata da basso elettrico e batteria che sovrappongono altrettante note, magari con accenti diversi, togliendo così chiarezza ed espressività alle voci. Un altro esempio è quando un chitarrista accompagna il coro come se dovesse fare un assolo o quando il direttore concede troppi assoli agli strumenti, relegando il coro a un ruolo di quinta teatrale. Con gli arrangiamenti strumentali bisogna sempre lavorare per “sottrazione”. Più leggera sarà la struttura che accompagna, più valorizzato sarà il materiale corale. Arrangiamenti È altresì ovvio che gli arrangiamenti vocali dovranno essere funzionali allo stile e tenere presente che avranno una cornice strumentale. E qui c’è un errore frequente nella preparazione del repertorio. Spesso i direttori propongono delle “covers”, brani ben noti, con un nuovo arrangiamento che risente di un tipo di scrittura classica o popolare. I brani perdono così gli elementi ritmico-espressivi propri della musica pop. Amplificazione È il vero punto di partenza di tutti i problemi legati alla concertazione. Stiamo parlando di musica amplificata; qui l’argomento assume infinite sfumature o possibili risposte. L’uso di strumenti elettrici implica la necessità di amplificare il coro. Purtroppo, e non solo per limitare i costi, si pensa che per il coro basterà piazzare due microfoni “panoramici” al centro. Il risultato più frequente è di avere delle belle voci trasformate in un suono “inscatolato” che sembra uscire da una radio anni ’40. A questo punto il gruppo vocale dovrà analizzare i propri obiettivi e organizzare il proprio repertorio di conseguenza. Un vero salto di qualità ci sarà solo attraverso un investimento economico e di energie, per sperimentare le soluzioni tecniche più adatte ai propri mezzi vocali e alle proprie ambizioni. Tecnico del suono Il primo passo è di creare una collaborazione stabile con un tecnico del suono che sia in sintonia con le esigenze espressive del coro. Una collaborazione stabile consente una conoscenza approfondita delle singole voci e del repertorio da parte del tecnico che potrà così metterne in luce le qualità e sopperire a eventuali carenze tecnico-vocali. Senza questa sintonia e chiarezza d’intenti, diventa inutile anche la possibilità di disporre di un super impianto audio con mixer da 32 canali e addirittura un microfono per ciascun corista! 17 Sound check Altra parola inglese che significa “controllo del suono”, ma più propriamente esprime quell’ora di stress e angoscia nella quale, prima di un concerto, si cerca disperatamente di dare un equilibrio a tutti i suoni che escono dagli amplificatori e casse audio. È inutile sottolineare l’importanza del sound check per la riuscita della concertazione tra strumenti e coro e quindi del concerto stesso. E ancora si torna al concetto di dialogo tra i diversi elementi. Considerando la massima disponibilità di mezzi, ci troveremo a gestire molteplici fonti sonore: all’esterno del palcoscenico le casse audio mandano il suono al pubblico, ma questo suono è comunque percepito dagli esecutori, sommandosi al suono prodotto sul palcoscenico; all’interno una giungla di monitor che consentono l’ascolto amplificato sul palcoscenico. Ogni strumentista avrà una fonte sonora che miscelerà il proprio e l’altrui suono. Il coro avrà dei monitor (generalmente da due a cinque) per ascoltare la propria voce e il suono degli strumenti. Se per il coro si usano microfoni “panoramici”, diventa più difficile la gestione dei monitor perché il suono rientrerà nei microfoni creando irrisolvibili problemi acustici. E si torna al concetto di sottrazione. Ogni strumento si mette a servizio del gruppo riducendo al minimo l’esigenza di “sentire bello alto il suono”… Si può adottare la soluzione delle audio-cuffie, che riducono a zero l’impatto sonoro sul palcoscenico ma che rischiano di isolare acusticamente ciascun strumentista. Da queste considerazioni risulta evidente come, per la musica vocal-pop, sia fondamentale l’aspetto tecnico. Prove Non sempre i cori hanno a disposizione una sede adatta a ospitare anche la band, ma per un buon risultato è auspicabile che si lavori il più possibile insieme allo scopo di creare quel linguaggio comune sopraccitato. Inoltre il coro si abituerà a cantare accompagnato, superando così il disagio psicologico dei suoni percepiti come interferenza alla propria emissione vocale. Un problema tipico è quello del fraseggio: la band generalmente suona in maniera molto compatta”appoggiandosi” alla sezione ritmica, cioè basso e batteria; non è abituata a seguire il coro che, nel suo fraseggiare, ha spesso delle notevoli oscillazioni metronomiche. Un’ultima considerazione. Sia che si tratti di un gruppo vocal-pop con grande disponibilità di materiale tecnico, o di un gruppo che proponga una soluzione unplugged (letteralmente: “senza spina”), cioè acustica con coro non amplificato e strumenti amplificati al minimo, l’augurio è che si riesca a considerare e avvicinare con più interesse la musica vocal-pop, comprendendo che una vera crescita artistica si avrà solo procedendo in parallelo su due fronti: quello del dialogo tra strumenti e voci e quello della qualità tecnica come elemento imprescindibile di comunicazione artistica. Da sempre impegnata nella salvaguarda e diffusione della cultura e della pratica corale in tutti i suoi linguaggi, i suoi repertori e le sue forme d’espressione, la Feniarco si è sovente interessata in prima linea della musica vocal-pop, sia nelle sue proposte didattiche e formative, sia con progetti artistici tra i quali spicca, per la sua recente formazione, il Coro Accademia Feniarco. Il Coro Accademia Feniarco nasce nel 2009 in occasione della 5ª Accademia europea per giovani direttori di coro organizzata a Fano in collaborazione con Europa Cantat. Il gruppo, di organico variabile, è formato da giovani coristi provenienti da tutta Italia: per parteciparvi non serve aver studiato in conservatorio, ma avere una bella voce, un po’ di istruzione musicale e soprattutto una grande passione per la coralità. Il repertorio, principalmente a cappella e con l’utilizzo della percussione vocale e della voce come strumento, si sviluppa intorno al repertorio pop di nuova generazione, ovvero con arrangiamenti molto articolati, interpretati con uno studio “filologico” e professionale di questo genere. Per i numerosi punti di contatto, l’altro repertorio che il coro affronta è la polifonia profana rinascimen­tale. Tra i già numerosi inviti, in ottobre il coro si esibirà in concerto presso l’università di Örebro (Svezia) dove sarà inoltre impegnato in qualità di coro laboratorio a una masterclass di direzione. Il coro è diretto, sin dalla sua formazione, dal maestro Alessandro Cadario. compositorE MUSICA MODERNA CON ANTICHE RADICI docente di composizione presso il pontificio istituto di musica sacra “mediterraneo”, di cantabilità, essenzialità, aderenza al testo, spiritualità ecc., tutto nel rispetto della tradizione del canto gregoriano. Mi sento un musicista “romano” non tanto a motivo dell’ininterrotta residenza nella Città Eterna ma perché cercato di essere fedele interprete come compositore della polifonia della “scuola romana” e, come direttore, di quella tradizione di canto tramandata, da secoli, da generazioni di cantori. Io non ho fatto altro che continuare nello stesso spirito della cantabilità palestriniana, naturalmente nello stile modale, presentandolo in una veste più consona ai giorno nostri. La mia musica parte da Palestrina ma sfrutta, con la stessa logicità dei classici, tutti gli accorgimenti armonici e stilistici che ha sviluppato nei secoli seguenti: musica moderna con radici nell’antico. Che cosa rappresenta la musica sacra per Lei? Posso dire tranquillamente che la musica sacra ha occupato la parte maggiore, e anche migliore, della mia vita di musicista. Ho dedicato tutte le mie energie in servizio della musica sacra. Basta vedere la quantità di composizioni, tra messe, mottetti, laudi, salmi vari, ecc. che richiedeva continuamente la liturgia nelle basiliche romane, nel mio caso a Santa Maria Maggiore prima dove ero maestro direttore, e in Basilica di San Pietro poi per le cerimonie papali durante i miei quasi cinquant’anni di maestro di cappella in Sistina. La musica sacra non è estranea al mio essere sacerdote. Il musicista sacro esercita una missione di predicatore e promulgatore della parola di Dio; non per niente la chiesa ha sempre tenuto in grande considerazione il ruolo del musicista e del cantore. Non si è mai concepito la liturgia senza la musica. Il Papa Benedetto XVI nel suo discorso in Cappella Sistina il giorno del concerto offertogli dalla nostra fondazione ha descritto la musica sacra come «veicolo di evangelizzazione». domenico intervista a DOMENICO BARTOLUCCI a cura di Renzo Cilia mi recai ad Arcetri con i seminaristi e, venuto a mancare l’organista, fui chiamato a sostituirlo per accompagnare i canti con l’armonium. Il parroco di quel luogo, mio insegnante di latino e greco in seminario, convinto che per suonare così bene avessi trascurato lo studio regolare, il giorno dopo mi sottopose a una dura interrogazione e, ritenendomi insufficiente, ottenne dal rettore l’immediata interdizione allo studio della musica durante l’anno scolastico. Da parte mia, cercavo di emulare il maestro componendo anch’io dei piccoli pezzi per l’uso in seminario, qualche laude mariana e dei mottetti. Ma anche questo non fu ben visto dai miei superiori. I fogli di musica erano contati e dovevano essere firmati dal preposto alla camerata, altrimenti distrutti; le mie musiche dovevano essere brevi e anonime e solo per un uso interno, liturgico o per accademie. Una volta, per riuscire a far eseguire una mia composizione polifonica, ricorsi a un temerario stratagemma: scrissi un mottetto a 3 voci (O Jesu mi dulcissime), apponendovi il nome dell’Anerio, su un vecchio foglio di musica dell’archivio, tra quelli che contenevano i brani che si cantavano nella festa di San Mario (così si chiamava il rettore). Venuta la festa, l’archivista prese, con i fogli di musiche da eseguire, anche quello con il mottetto, che piacque tanto da ingannare Bagnoli che lo diresse. Finiti gli studi di teologia potei completare la mia preparazione musicale sotto la guida del maestro Vito Frazzi, dove conseguii il diploma di composizione. Più tardi mi fu concesso venire a Roma per studiare al Pontificio Istituto di Musica Sacra. La mia presenza a Roma fu un’esperienza formativa molto importante e decisiva per la mia futura attività di direttore e di compositore. Qui ho potuto vivere in pieno il contatto con il gregoriano e la polifonia sacra; inoltre, ascoltando i maestri cantori romani, ho scoperto che cosa significava veramente “cantare”. 19 Come si è iniziata e sviluppata la sua passione per la musica? I miei primi contatti con la musica erano in Chiesa, dove da bambino accompagnavo mio padre per le funzioni religiose e la messa dominicale. Poi nella scuola elementare imparai i primi rudimenti di solfeggio e del canto. A nove anni entrai in seminario a Firenze, dove ho trovato una attività musicale molto forte. Lì incontrai il maestro di musica Francesco Bagnoli, maestro valente che veniva a preparare i seminaristi per la liturgia in cattedrale. La mia passione per la musica fu grande, ma il tempo trascorso in seminario era un periodo di incomprensioni e di proibizioni, ma anche di entusiasmo. All’inizio mi fu anche proibito di avvicinarmi al pianoforte poi, mi ricordo, per le vacanze del 1929 ottenni finalmente il permesso di suonare il pianoforte, limitato, però, a non più di mezz’ora e non tutti i giorni. Per la festa dell’Immacolata dello stesso anno Si parla di Lei come un rappresentante della Scuola Romana. Che cosa significa? Il termine “Scuola Romana” può essere applicato a varie discipline artistiche come la pittura o l’architettura. Vi è anche una Scuola Romana di Musica Sacra. Possiamo già parlare dell’esistenza di questa scuola romana ritornando molto indietro nella storia: nel VI secolo papa Gregorio mandò i suoi cantori a insegnare il canto romano nei diversi paesi d’Europa! Nel XIV secolo, quando il papa risiedeva ad Avignone, si iniziava a tessere le prime polifonie sulle melodie gregoriane. Ritornando a Roma, il Papa portò con se i cantori della sua cappella, fatta di musicisti di formazione principalmente fiamminga, che si unirono ai cantori rimasti a Roma formando così la cappella musicale papale, oggi conosciuta come Cappella Sistina. La Scuola Romana ha visto il suo splendore nel Rinascimento dovuto particolarmente alla persona del Papa e della sua corte che ha attratto i migliori artisti di tutto il mondo cattolico. Il rappresentante per eccellenza è il grande Giovanni Pierluigi da Palestrina che ha saputo dare alla musica sacra polifonica il suo carattere specifico diciamo E la musica del popolo? Io stesso fui uno dei primi a dotare le parrocchie di un repertorio di canti nella lingua italiana, pubblicando con l’Associazione Italiana Santa Cecilia, già molto prima del Concilio, I Canti del popolo per la Santa Messa, melodie che erano molto diffuse. Ho sempre sostenuto che anche questa musica deve essere arte, capace di commuovere e di invitare alla preghiere. Purtroppo le mie musiche furono eliminate proprio perché, come mi fu riferito, vi era “troppa musica”! Come descrive il linguaggio della sua musica? Il linguaggio armonico è decisamente modale, un linguaggio che offre al musicista un orizzonte molto più ampio della tonalità, magistralmente “sfruttata” al massimo dai classici. Non è un linguaggio ristretto alla modalità classica dell’octoechos anche se da lì prende ispirazione per poi sviluppare oltre, riportandolo a un linguaggio attuale, arricchito dalla sensibilità moderna. Un linguaggio nel quale si può trovare la stessa logicità di sintassi che si trova nei 20 Domenico Bartolucci__________________________ Domenico Bartolucci è nato il 7 maggio 1917 a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze, nel Mugello. I suoi primi contatti con la musica sono stati il canto dei confratelli della Compagnia dei Neri, cui partecipava con il padre, e la scuola elementare dove il maestro, dalla terza classe, insegnava anche i primi rudimenti del solfeggio e del canto. Entrato nel seminario di Firenze, dove insegnava musica il maestro Francesco Bagnoli, incontrò, contro la sua precoce passione per la musica, gli ostacoli legati al regolamento di un seminario che lasciava poco spazio alle evasioni personali. Per eludere i controlli e per superare il divieto di suonare organo o pianoforte, l’ingegnoso ragazzo ricorse a uno stratagemma che gli permise di “suonare” in silenzio, disegnando accuratamente una tastiera su cartone, che teneva nascosta sotto il banco, dove il suo desiderio di musica trovava furtivo sfogo. Tuttavia, già nei primi anni di seminario iniziò i primi tentativi di composizione, tra i quali alcune laudi alla Madonna, vari abbozzi di Messe a più voci, che gli costarono da parte dei superiori il rimprovero di essere un “presuntuoso”. In seminario compose e diresse molta musica d’autori vari, oltre a musiche sue, per le accademie che si tenevano. Una composizione tra le più belle di quel periodo è il mottetto Super flumina Babilonis. Nel 1934 il maestro Raffaele Casimiri e mons. Respighi, prefetto delle cerimonie pontificie, durante una loro visita nel seminario di Firenze, si accordarono con il rettore affinché il promettente musicista, appena ordinato sacerdote, si trasferisse a Roma, per studiare presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Ma il permesso tardò ad arrivare. Nel frattempo, durante gli anni 1937-38, completò la preparazione musicale con Bagnoli e con Vito Frazzi, docente presso il conservatorio di Firenze. Nella sessione estiva 1939, sostenne in conservatorio, come privatista, gli esami d’armonia, contrappunto e fuga e, nella sessione autunnale, conseguì il diploma di composizione. Lo stesso Frazzi al termine della prima esecuzione del suo oratorio La Passione, nella chiesa del Sacro Cuore di Firenze nel 1942, stringendogli le mani gli disse: «Ragazzo, qui dentro scorre sangue verdiano!». Nel 1942 il cardinale Della Costa gli concesse il permesso di andare a Roma, dove fu ospite del Collegio Capranica, e dove si occupò, per vari anni, dell’educazione musicale dei seminaristi e del loro coro. Approdato a Roma, l’ascolto del modo “romano” di cantare la polifonia e il gregoriano sarà decisivo per la sua futura attività di direttore e compositore. A Roma poté seguire i corsi del PIMS con i maestri Casimiri e Suñol e il corso di perfezionamento in composizione tenuto da Ildebrando Pizzetti presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove conseguì il relativo diploma presentando, all’esame finale, il suo Concerto in Mi per pianoforte e orchestra. Nel 1945, presso il PIMS, conseguì i diplomi di composizione sacra e di canto gregoriano e fu nominato Maestro Sostituto della Cappella Musicale di San Giovanni in Laterano, dove il titolare era mons. Lavinio Virgilio. Il 1947 è un anno decisivo per la consacrazione a compositore del giovane maestro. Al termine dell’esecuzione del suo poema sacro Baptisma, composto su commissione dei docenti dell’Istituto, mons. Licinio Refice, docente di composizione, proclamò ai presenti: «Abbiamo un musicista!». Mons. Frediani, prefetto della Cappella Liberiana di Santa Maria Maggiore, presente all’esecuzione, propose a Bartolucci di assumerne la direzione. Nel 1952, alla morte del vicemaestro Rella, da alcuni anni non più attivo, ed essendo Perosi, sempre più in precarie condizioni di salute, fu nominato vicemaestro della Cappella Musicale Pontificia, con il consenso di Perosi e, alla sua morte, nel 1956, Direttore Perpetuo. Considerato il più autorevole interprete di Palestrina, oltre ai servizi liturgici papali ha guidato la Cappella Pontificia in numerose tournée in Italia e nel mondo, eseguendo musiche polifoniche classiche e proprie. Nel 1965 è annoverato tra gli Accademici di Santa Cecilia. Proprio l’Accademia ha più volte programmato i suoi oratori nelle passate stagioni sinfoniche invitandolo a dirigerne le esecuzioni: tra di esse si ricordano particolarmente il Gloriosi Principes presentato a tutti i Padri conciliari, presente Paolo VI, e l’Ascensione offerta a Giovanni Paolo II quando, ristabilitosi dopo l’attentato, rientrò a Roma per riprendere il suo ministero pastorale. Sempre con il Coro dell’Accademia, Bartolucci ha diretto numerosi concerti palestriniani ed è stato protagonista di un’indimenticabile tournée nell’allora Unione Sovietica nel 1977. Oltre ad aver diretto i principali complessi sinfonico-corali italiani a Roma, Venezia, Trieste, Palermo, Firenze e Bari, ha tenuto corsi di polifonia palestriniana in Italia e all’estero. All’attività di Maestro di Cappella ha affiancato anche quella di didatta presso il conservatorio di Santa Cecilia e il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Nel 2002 alcuni amici istituirono una fondazione con lo scopo di promulgare la musica del maestro. Con il coro polifonico della fondazione a lui intitolata ha tenuto numerosi concerti tra i quali risalta quello offerto a Sua Santità Benedetto XVI nella Cappella Sistina (giugno 2006). Le notizie per questa biografia sono tratte dal libro Domenico Bartolucci e la musica sacra del Novecento, ed. Armelin Musica, Padova, 2009 compositorE grandi del passato. La cantabilità polifonica è alla base di ogni composizione, una cantabilità che quando è legata a un testo sacro prende la sua ispirazione del testo stesso; è il testo in musica, non una melodia appiccicata a un testo, anzi la musica diventa l’esaltazione del testo stesso nel suo più profondo significato spirituale. Diciamo la melodia al servizio del testo sacro, ma è dal testo sacro che prende la sua bellezza e sublimità Per quale formazione vocale preferisce lavorare? Non ho tali preferenze. Spesso il compositore ha in mente il complesso corale per il quale scrive la sua musica. Naturalmente la parte più consistente della mia musica fu scritta per il Coro della Cappella Musicale Pontificia conosciuta come Sistina. Ho scritto un libro di mottetti per una, due o tre voci dedicato ai ragazzi della Sistina, poi altri libri di mottetti a 4 voci molto usato dai cori di musica sacra e altri a 5, 6, 7 e 8 voci, molti dei quali eseguiti dal mio coro della Cappella Sistina, gente brava nella propria professione che non si spaventava davanti ai pezzi più complicati. A quale brano lascia il compito di meglio descrivere Lei stesso? Fino ad ora abbiamo parlato della mia musica sacra, ma questo non comprende tutta la mia produzione. Le composizioni destinate alla liturgia sono molte ma non esprimono in pieno il mio “mestiere”. Sono lavori scritti con uno scopo preciso circoscritto e, giustamente, dovevano sottomettersi alle esigenze per le quali furono composte. Io ho composto molti altri lavori in altre forme non destinati alla liturgia, alcuni con temi religiosi e altri non. Riguardo i primi posso citare i diversi oratori come il Gloriosi Principes, l’Ascensione, la Passione e la Natività, e ultimamente le cantate sacre per Natale, Pasqua, la Madonna ecc. mentre tra le composizioni non sacre posso citare la musica per organo, il Concerto per pianoforte e orchestra, una Sinfonia e perfino un’opera lirica sul tema della cupola del Duomo di Firenze con titolo Brunellesco finora mai eseguita. L’ampiezza di questi ultimi lavori esprime meglio e offre un spectrum più completo della mia produzione musicale. Allora può parlarci di qualche brano preferito dai cori che eseguono le Sue musiche? Le musiche più eseguite dai cori, diciamo non-professionisti, sono i mottetti a quattro voci che sono più abbordabili dalla maggioranza dei cori. Ma da quello che mi dicono essere il brano più eseguito è il mottetto O Sacrum Convivium. La melodia è ispirata dalla melodia gregoriana, anzi è la stessa 21 melodia gregoriana “ripulita” da alcune note che non aiutano alla conduzione del brano. L’andamento è quello del canto gregoriano con quella contabilità ampia con la quale una volta si cantava il gregoriano nelle nostre parrocchie. Dunque attenzione, non con quel modo asettico col quale si canta oggi il gregoriano. Come tutta la mia musica il linguaggio è quello modale: ed è quello che da fascino a questa musica. Spesso utilizzo questo brano per dimostrare ai miei alunni la bellezza della modalità. Si può tranquillamente armonizzare la stessa melodia in un linguaggio tonale: si adatta perfettamente, accordo di tonica, dominante, tonica, sottodominante, secondo grado, dominante (forse anche la settima) e di nuovo tonica! Ma mettendo le due versioni in confronto si sente la differenza di spirito e capisce quel che ho detto sopra, cioè la ricchezza della modalità. E qui voglio fare una piccolo parentesi. È importante per i direttori di coro approfondire il discorso modale e le scale modali, altrimenti risulta difficile entrare nello spirito di queste musiche. Sarebbe come un direttore che dirige Mozart senza sapere che cosa sia la scala maggiore e la scala minore. Nel brano O Sacrum Convivium la melodia gregoriana è affidata ai soprani. Le altre voci non fanno solo armonia come in un corale, ma cantano ugualmente anche loro; a differenza, però, della polifonia classica dove tutte le voci hanno la stessa importanza o quasi, in questo brano le voci devono, in qualche modo, dare precedenza al soprano che propone la melodia, venendo fuori soltanto in quei momenti che fanno eco al tema del soprano, commentandolo, proponendolo o ripetendolo. Per il resto il brano va cantato con molta semplicità seguendo l’andamento melodico, in modo tranquillo e meditativo. Cosa consiglia a un giovane compositore che indirizza il suo operato nell’ambito della musica sacra? Decisamente e prima di tutto una profonda formazione nella liturgica latina e specificamente quella prima del Concilio Vaticano. Chi non ha vissuto e non vive quotidianamente la liturgia non può fare il compositore di musica sacra. Gli mancherà lo spirito interiore che deve ispirare le sue composizioni. Poi è necessaria una formazione tecnica più solida possibile, ben esercitata nell’armonia e il contrappunto. Inoltre si deve acquistare una dimestichezza con la nostra tradizione del canto gregoriano e della polifonia classica. Non basta una semplice conoscenza ma è necessaria una pratica assidua per far entrare l’humus di tali musiche nelle proprie vene, in modo da acquistarne il sentire liturgico e lo spirito sacro. Per me il canto gregoriano e le musiche di Palestrina sono state le fonti principali che mi hanno plasmato nella musica sacra, ma un musicista completo non può esimersi dall’avere una conoscenza dei grandi musicisti, di musica sacra e non, che hanno fatto la nostra storia musicale italiana, quali Carissimi, Vivaldi, gli operisti Rossini, Verdi ecc., e la musica europea quali Bach, Beethoven, Brahms, Mozart ecc. Naturalmente poi è giusto che ogni compositore immette la suo indole e il suo spirito interiore in ciò che scrive. compositorE 22 23 Composizioni corali di Domenico Bartolucci Oratori La tempesta sul lago, oratorio per soli (SATB), coro a 4-7 voci e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte) La Passione (Le Sette parole), oratorio per soli (TTB), coro a 6 voci e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte; * partitura) La Natività, oratorio per soli (SATB), coro a 4-6 voci, coro di ragazzi e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte) Gloriosi princeps (Petrus et Paulus), oratorio per soli (ATB), coro a 5 voci, coro di ragazzi e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte) L’ascensione, oratorio per soli (SATB), coro a 5 voci, coro di ragazzi e orchestra. Salmi, inni e cantate Baptisma, poema sacro per soprano, baritono, coro femminile a 3 voci e piccola orchestra (* riduzione per canto e pianoforte) Miserere, salmo per baritono, coro a 6 voci e orchestra (* riduzione per canto e pianoforte) Stabat Mater, sequenza per soprano, coro a 5 voci e orchestra Te Deum, inno per baritono, coro a 6 voci e orchestra Transitus animæ Beati Francisci, per soprano, coro a 4-6 voci e piccola orchestra Cantata biblica, per soprano, tenore, baritono, coro a 5 voci e piccola orchestra Cantata evangelica, per soprano, tenore, baritono, coro a 4-5 voci e piccola orchestra Cantata di Natale, per soprano, coro a 4-5 voci e piccola orchestra Cantata mariana, per soprano, coro a 4-5 voci e piccola orchestra Messe 1) Messe per soli, coro e orchestra Messa in onore di Santa Cecilia, per soprano, coro a 4 voci e piccola orchestra (* partitura) Missa Jubilæi, per coro a 4 voci, organo e piccola orchestra (* partitura) Missa de Angelis, per coro a 4 voci, organo e piccola orchestra (* partitura) Missa Assumptionis, per coro a 6 voci e orchestra (* partitura) Missa pro defunctis, per soli (SATB), coro a 7 voci e orchestra (* canto e pianoforte) 2) Messe polifoniche, con accompagnamento d’organo e alternate al canto gregoriano Primo libro delle Messe (5 Messe a 1, 2, 3, e 4 voci ed organo) * Secondo libro delle Messe (5 Messe a 2, 3 e 4 voci ed organo) * Terzo libro delle Messe (6 Messe a 3 e 4 voci) * Quarto libro delle Messe (5 Messe domenicali a 3 voci e organo) * Quinto libro delle Messe (5 Messe a 2, 3 e 4 voci e organo) * Messe alternate al canto gregoriano (a 4, 5 e 6 voci) * Quinto libro dei mottetti (a 4, 5 e 6 voci ineguali ed organo) * Sesto libro dei mottetti (a 4, 5, 6, 7 e 8 voci ineguali, a cappella, e con organo) * Sacræ cantiones (per coro a 4 voci) * Cantica varia (a 4, 5 e 6 voci ineguali a cappella o con organo) * 2) Mottetti con orchestra Per la maggior parte, oltre la stesura originaria (il libro da cui sono tratti è indicato tra parentesi) è disponibile anche quella con organico orchestrale. Jubilate Deo, per coro a 4 voci e piccola orchestra (Quinto Libro dei Mottetti) Sicut cervus, per coro a 4 voci e piccola orchestra (Quinto Libro dei Mottetti) Quam dilecta, per coro a 4 voci virili, organo e archi (Cantica Varia). Alleluia Hæc Dies I, per soli, coro a 4 voci e orchestra (Quinto Libro dei Mottetti) Alleluia Hæc Dies II, per coro a 4 voci, organo e archi (Cantica Varia). Beatus Laurentius, per coro a 4 voci, organo e archi (Sesto libro dei Mottetti) Christus est, per soli, coro a 5 voci e orchestra (Natale) Sacerdos et Pontifex, per coro a 4 voci e orchestra (nuova composizione). O dulce puer, per soprano, coro femminile a 3 voci e archi (dall’Oratorio La Natività). Tu es Petrus, per coro a 6 voci e orchestra (Quinto Libro dei Mottetti). Dolorosa et lacrimabilis, per coro a 4 voci e orchestra (questo brano, pubblicato nel Primo Libro dei Mottetti, costituisce ora il Mottetto di introduzione dello Stabat Mater per soprano, coro e orchestra. Altre composizioni per la liturgia Inni (a 3, 4, 5 e 6 voci per tutto l’anno liturgico) * Magnificat (4 Cantici a 2, 3, 4, voci ed organo; 8 Cantici a 5 voci ‘a cappella’, sugli otto modi) * Natale (Composizioni per coro a 1, 2, 3, 4, 5 e 6 voci) * Settimana Santa (Messe, Mottetti e Responsori a 4 e 5 voci ) * Laudi Laudi mariane (per coro a 3, 4 e 7 voci) * Madrigali Primo libro dei madrigali (madrigali per coro a 3, 4, 5 e 6 voci) * Secondo libro dei madrigali (madrigali a 3 e 4 voci con pianoforte) * Lirica Brunellesco, opera lirica in tre atti per soli, coro e orchestra Mottetti 1) Mottetti a cappella o con accompagnamento d’organo Primo libro dei mottetti (Antifone Mariane, a 4 voci ineguali, senza accompagnamento) * Secondo libro dei mottetti (a 1, 2, 3 e 4 uguali ed organo) * Terzo libro dei mottetti (a 4 voci ineguali senza accompagnamento) * Quarto libro dei mottetti (a 5, 6, 7 e 8 voci ineguali, senza accompagnamento, alcuni con soprano solo) * * I titoli indicati dall’asterisco fanno riferimento ai volumi pubblicati dalle Edizioni Cappella Sistina Tutto il materiale, notizie e altro sul maestro e le sue opere si possono reperire sul sito della Fondazione Domenico Bartolucci: www.fondazionebartolucci.it Un linguaggio nuovo fondato sulla modalità antica Mottetto O Sacrum Convivium a 4 voci miste di Renzo Cilia e Walter Marzilli Tra le musiche del maestro Bartolucci più eseguite ci sono senza dubbio i mottetti raccolti nei sei libri editi dalla Fondazione Domenico Bartolucci. I più eseguiti sono quelli a quattro voci, che sono più alla portata dalla maggioranza dei cori. Tra questi troviamo il mottetto O Sacrum Convivium, un mottetto di modesta lunghezza ma, nella sua grande semplicità, denso di profondità e di partecipazione compositiva. È un mottetto “a cappella” di carattere meditativo sull’Eucaristia. Originariamente scritto per voci maschili, ragazzi soprani, due tenori e bassi in perfetto stile antico, ora è pubblicato in una versione a voci miste SATB per soddisfare le richieste di molti direttori di coro in formazione moderna. Entrambe le versioni presentano nel finale la possibilità di un doppio testo alla frase finale: un’Alleluja, oppure il testo “et futurae gloriae nobis pignus datur”, che si può cantare anche nel tempo di Quaresima. Si tratta di una composizione scarna ma eterea, asciutta ma sinuosa; preziosa nella sua semplicità melodica quanto difficile da rendere proprio per la contenutezza dei mezzi espressivi usati dal compositore. Sono le classiche quattro voci corali senza divisioni né arditezze, dispiegate però lungo tutta la loro tessitura, i soprani e i tenori all’acuto (ripetuti sol) e i bassi al grave (anche in questo caso con ripetuti sol). A causa di ciò non è quasi praticabile alcuno spostamento dell’intonazione iniziale da quella stabilita dall’autore (appunto sol), per adattarlo alle caratteristiche del proprio coro: abbassandolo soffrirebbero i bassi, alzandolo i soprani e i tenori. In molta della sua musica per la liturgia, Bartolucci segue la tradizione palestriniana per quanto riguarda l’ispirazione tematica. Nelle sue composizioni egli restituisce quelle melodie gregoriane che una volta erano patrimonio vivo della Chiesa. La melodia gregoriana in questo caso è “ripulita” dalle note ausiliari, come le note di passaggio, le appoggiature ecc., che non appartengono alle corde principali della scala modale, e non aiutano alla conduzione del brano. Ecco per esempio la frase: diventa: oppure diventa: Il motivo gregoriano risuona per tutto il tempo nella parte dei soprani con alcuni spunti ripetuti dalle altre voci che rievocano in contrappunto, qua e là, parti della stessa melodia. Le altre voci non fanno solo armonia come in un corale, ma cantano ugualmente anch’esse. A differenza della polifonia classica, dove tutte le voci hanno la stessa importanza o quasi, in questo brano le voci devono in qualche modo dare la precedenza al soprano che propone la melodia, venendo fuori soltanto in quei momenti che fanno da eco al tema del soprano, commentandolo, proponendolo o ripetendolo. Per il resto il brano va cantato con molta semplicità, seguendo l’andamento melodico in modo tranquillo e meditativo. Come tutta la musica di Bartolucci, la grammatica della sua musica è quella modale. Il mottetto inizia e finisce con l’accordo di sol e nell’armatura in chiave è presente il fa diesis, ma il brano non è in sol maggiore (nella prima stesura STTB il mottetto era cantato in fa). La scala usata è quella modale del tritus autentico. Si potrebbe tranquillamente armonizzare la stessa melodia seguendo i canoni del linguaggio tonale: si adatta perfettamente, con accordi di tonica, dominante, tonica, sottodominante, secondo grado, dominante (forse anche la settima) e di nuovo tonica! Ma mettendo le due versioni a confronto si sentirebbe la differenza di spirito e la ricchezza della modalità (sarebbe compositorE 24 importante approfondire il discorso modale e le scali modali; altrimenti sarà difficile entrare nello spirito di queste musiche. Sarebbe come per un direttore dirigere Mozart senza sapere la differenza tra la scala maggiore e quella minore). La melodia dei soprani si sviluppa continuamente attorno a un centro nodale così apparentemente evanescente da non portare mai ad una cadenza con il fa diesis durante tutto il brano. Le cadenze al sol ivi presenti vengono trattate utilizzando sempre il quarto grado, secondo una consuetudine tutta modale che pervade l’intero intreccio polifonico. Non esiste infatti un solo fa diesis nemmeno in funzione cadenzante che abbia la possibilità di qualificarsi come una sensibile. Le parti si muovono con fluidità e sinuosità evitando qualsiasi pur minimo movimento ritmico che possa turbare la potenzialità meditativa del testo: O sacrum convivium in quo Christo sumitur: recolitur memoria passionis eius: mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur. Alleluja. Non esistono infatti crome, e nemmeno semiminime puntate che potrebbero turbare quella profonda fissità estatica di cui si nutre il brano. L’intreccio polifonico è pulitissimo ed estremamente chiaro. Inizia con le tre voci ATB che espongono una inquadratura armonica al tema iniziale proposto dai soprani. Il tutto seguendo un andamento melodico estremamente semplice e mai complicato oppure faticoso per l’intonazione. Le linee melodiche sono infatti molto sobrie e senza tranelli, ma non per questo prive di difficoltà, non fosse altro per l’accordo iniziale, dove sono presenti due terze eseguite dai tenori e dai soprani. Ogni direttore sa quanto sia difficile cogliere l’esatta altezza intonativa di una terza maggiore da parte di un gruppo di cantori; figuriamoci se a doverla intonare sono due gruppi. E poi ci sono i sei sol dei soprani a dover essere intonati senza spingere troppo, e come se non bastasse ci sono anche otto fa diesis. Come si sa il fa diesis sta nel bel mezzo del passaggio di registro, e la sua esecuzione può creare non pochi problemi. Se lo si gira bene arrotondando il suono si rischia di ottenere un suono troppo conformato e 25 pericolosamente lirico, se invece lo si lascia nella zona anfotera dei suoni, confuso tra quelli a metà tra il suono di testa e i suoni che non sono ancora passati a risuonare nelle piccole cavità facciali dei suoni acuti (in maschera) si otterranno dei suoni faticosi e male appoggiati, di solito piuttosto calanti. La soluzione è quella di cercare un equilibrio tra sostegno e leggerezza, appoggio e rilassatezza, sempre così difficile da ottenere. Anche per i tenori la situazione non è semplicissima, con la necessità di emettere cinque sol in totale scioltezza, come controllata risposta tematico-melodica alle eleganti proposte dei soprani. In particolare un lungo sol dato in assenza dei bassi, secondo la nota consuetudine della prassi vocale antica ben conosciuta dall’autore, secondo la quale sul tacet dei bassi il suono del coro andava incontro a una raffinata rarefazione dello spessore sonoro. In altre parole un lungo sol morbido e sul filo del fiato. Ovviamente in mancanza di altre possibilità si può ricorrere al falsetto, ma si tratterebbe di una soluzione di comodo che non sarebbe in questo caso la migliore. Alle parole “recolitur memoriae” le voci si accompagnano a coppie (basso-soprano e tenore-contralto) con movimento di terze e seste parallele, secondo uno stile tipico del movimento imitativo delle parti, molto ben consolidato in anni di scrittura. Possiamo notare delle preziose dissonanze dovute ai collegamenti trasversali e ai ritardi. Come nella più canonica tradizione compositiva rinascimentale, esse sono sempre date con la dovuta preparazione, per cui l’urto risulta estremamente ammorbidito. Si nota infatti con chiarezza la particolare attenzione con la quale il compositore muove le parti: in modo tale che esse vadano sempre ad anticipare con una legatura tra le battute o con una nota ribattuta (in caso di un maggior numero di sillabe) il momento in cui un’altra sezione creerà la dissonanza. Con alcune legature a cavallo di battuta il compositore ottiene un ulteriore effetto di sospensione tipico dei fraseggi a lui tanto cari, fatti di note continuamente in movimento e mai fisse e costanti: «Articolate!», come diceva sempre ai cantori piegando l’ultima falange del pollice della sua mano destra. Solo minime e semiminime, niente altro. Nonostante la brevità del brano (si tratta solo di 43 battute) il compositore trova infatti il tempo di ricavare un pur breve episodio fatto di un altro impasto sonoro, variando la tavolozza dei colori attraverso le uniche due battute di pausa dei bassi. Il mottetto è inquadrato nel tempo ternario semplice ma questo è solo una formalità convenzionale e non ha niente a che fare con la metrica ritmica del brano. Come in tutta la polifonia classica, l’accentuazione è data non dalla battuta ma dal testo che talvolta richiede una accentuazione binaria come nell’ultima frase sopra citata “et futurae gloriae” dove gli accenti si posano sulle sillabe et, tu- e glo- , delle quali solo la seconda rispetta l’andamento ritmico del tempo-battuta di tre-quarti. E così in tutto il brano. Una buona interpretazione non può prescindere da questo principio fondamentale. Il gesto del direttore deve quindi essere fluido come il tactus e deve assecondare l’andamento ritmico, che è tipicamente a carattere discorsivo, ma senza mai perdere di vista la necessità di una chiarezza di movimento per mandare insieme gli accordi verticali, che rivestono anch’essi una grande importanza architettonica. Possiamo affermare che in questo senso Bartolucci si pone nel solco dei grandi compositori del Rinascimento, le cui composizione vivevano una doppia vita: l’una, la principale, quella melodico-orizzontale, ma l’altra, quella armonico-verticale, non certo secondaria alla prima. La prima non poteva prescindere dalla seconda, e viceversa. L’autore, pur ben capace di scrivere frasi scomode e di difficile eseguibilità come dimostrato in occasioni più a largo respiro di questa breve composizione, in questo caso si distacca da molti dei compositori moderni per la cantabilità delle singole frasi melodiche. L’autore, normalmente, non dà mai indicazioni di tempo o di interpretazione. Per lui il segreto interpretativo rispecchia quello dei grandi polifonisti della scuola romana: declamare bene il testo cantando. Questa forma di declamazione-cantata non può soggiacere alla matematica metronomica, ma lascia spazio alla distinzione tra una nota accentuata come risulta nel parlare: le sillabe sono tutte uguali ma alcune “lo sono più delle altre”. L’unica indicazione è un ritardando alla fine del brano prima dell’Alleluia per poi riprendere il tempo originale fino alla conclusione. L’andamento è quello del canto gregoriano, con quella contabilità ampia con la quale una volta si cantava il gregoriano nelle nostre chiese, evitando quel modo asettico o quella spiritualità fine Ottocento, con i quali talvolta oggi si sente cantare il gregoriano. L’avvicinamento a questa musica di Bartolucci, oltre per la sua scrittura corale di alta professionalità e per la sua cantabilità mediterranea, offre al coro un linguaggio nuovo fondato sulla modalità antica, ma portato a una forma attuale in un discorso ancora pienamente logico e musicale. nova et vetera una scelta di repertorio 27 Attualmente presenti nel repertorio di tutti i più importanti cori in tutto il mondo, a quel tempo furono una creazione talmente originale che contribuì a far sì che il repertorio rivolto ai cori di bambini fosse da quel momento in poi sempre di grande livello tecnico ed espressivo; in questo senso A Ceremony of Carols rappresenta solo uno dei lavori di Britten rivolti alle voci bianche, questo per sottolineare l’importanza che ha la musica per i più piccoli in tutta la sua produzione: oltre a A Ceremony of Carols del 1942, la Missa Brevis (1959), The golden Vanity (1966), Children’s Crusade (1969), Welcome Ode (1976) o alle opere per bambini come The little sweep (1949) e Noye’s Fludde per esempio. L’opera inizia e termina con un brano processionale su un canto gregoriano, Hodie Christus natus est, probabilmente influenzato in questo dal Hymn to Jesus di Gustav Holst scritto venti anni prima. È questo del canto processionale un effetto di sicura resa in un concerto dove i piccoli sfilano ordinati nella chiesa cantando all’entrata e all’uscita. Il primo Carol è Wolcum Yole!, un gioioso brano di benvenuto al Salvatore che, con semplici accorgimenti compositivi ma estremamente efficaci, come giochi imitativi e dissonanze felicemente condotte dal compositore (vedi soprattutto il finale) si arricchisce di gioia e di luminosità, quasi fosse un sorriso accompagnante il benvenuto: “and make good cheer” (e siate allegri). Di grande dolcezza e serenità è invece permeato il brano seguente, There is no Rose, che unisce all’inglese medievale il suono antico del latino; anche in questo brano non mancano le dissonanze, ma sempre rese con grande attenzione da parte di Britten alla linea della singola voce. Il brano si dissolve in un magico e misterioso ppp sul coro che idealmente si diparte: Transeamus. That yonge child è il canto del pastorello che racconta come la canzone dell’usignolo sia nulla in confronto alla melodia cantata dalla Madre al suo bimbo. È davvero ricco di suggestione questo breve canto per voce solista con un semplice ma estremamente accorto commento da parte dell’arpa, che talora sostiene la linea principale, talora diviene ambiente sonoro a imitazione degli uccelli notturni (si veda l’ostinato re bemolle - do). Subito attacca Balulalow, che è proprio il canto della Vergine al Bambino Gesù. È questo forse il brano che viene più frequentemente proposto in concerto dai cori, anche separato dalla raccolta, per il suo carattere dolce, per il fascino della voce solista e la non troppo elevata difficoltà. As Dew in Aprille riporta un clima di gioiosa allegria con lo sfolgorante inizio accordale sulle parole “I sing of a Maiden that is makeless” (Io canto di una Vergine senza macchia) e il successivo allegro gioco imitativo a canone tra tutte e tre le voci: “As Dew in Aprille that falleth on the grass” (come rugiada che cade sull’erba). Viene quindi senz’altro il più famoso dei brani della raccolta, This little Babe, una possente linea melodica ritmicamente molto scandita che, dapprima enunciata all’unisono dalle tre voci, verrà nelle strofe successive ripresentata in forma di canone a due e poi a tre voci. Il brano si conclude con uno sfolgorante finale omoritmico dove la tecnica dell’arpista viene messa a dura prova soprattutto per il frequente cambio di pedali che rende davvero quasi impossibile l’esecuzione al tempo richiesto dall’autore, optando per un “sostenuto” che rende il finale sull’ultima frase all’unisono, particolarmente solenne e grandioso. A questo punto, poco prima della prima esecuzione del 1943, il compositore inserì un brano per arpa solista, Interlude, dove probabilmente utilizza alcune idee di un concerto per arpa che intendeva scrivere (progetto mai realizzato). Il brano successivo, In Freezing Winter Night, è senz’altro il brano più ardito per quanto riguarda l’uso delle dissonanze e che più mette alla prova il coro. Di difficile esecuzione, è capace di evocare gelide atmosfere invernali e suscitare pietà per “un piccolo tenero bambino, in una notte gelida, giace tremante in una mangiatoia, Ahimè una scena pietosa!”. Si ritorna a un clima sereno e gioioso nello Spring Carol, brano per due voci soliste che si procedono con solare leggerezza, talvolta in omoritmia, talvolta in richiami a imitazione, il tutto incorniciato da un’arpa lieve e frizzante in pp, con glissandi e fraseggi che fanno pensare allo sciogliere della neve, al canto degli uccelli e al risveglio della primavera. L’ultimo brano della serie è Adam lay i-bounden che, con i suoi I giovani cantori apprezzano molto lo studio e l'esecuzione di questa raccolta. benjamin britten per il coro di voci bianche A Ceremony of Carols di Benjamin Britten di Enrico Miaroma direttore del coro di voci bianche garda trentino e advisor di ifcm Era il 1942 e in pieno tempo di guerra il più importante compositore inglese del suo tempo, Benjamin Britten (1913-1976), compose la serie di brani A Ceremony of Carols per coro di voci bianche e arpa durante un lungo, pericoloso e lento viaggio su un cargo svedese, in un mare infestato dagli U-boat tedeschi, viaggio che durò circa un mese prima di riportare a casa dagli Stati Uniti il compositore, dopo l’assenza dall’Inghilterra di tre anni, una specie di “auto esilio”, di grande successo personale. A quel tempo aveva già iniziato il Hymn to St. Cecilia e una serie di lavori tra cui uno per Benny Goodman, ed era sua intenzione terminarli durante il viaggio, ma le autorità della nave gli confiscarono i manoscritti, temendo che nascondessero dei codici segreti; mentre riuscirà in futuro a terminare il suo Hymn to St. Cecilia, gli altri lavori andranno definitivamente perduti. In una sosta del viaggio a Halifax, Nova Scotia, il compositore venne in possesso di un libro di poesie medievali, The English Galaxy of Shorter Poems e alcune di queste furono da lui messe in musica durante il resto del viaggio in una raccolta chiamata A Ceremony of Carols. Si tratta della celeberrima raccolta di undici Carols – canti religiosi inglesi medievali di carattere popolare eseguiti per celebrare l’avvento e il Natale – composti per coro di voci bianche e arpa per compiacere a una commissione dell’arpista Edna Philips. nova et vetera 28 LA FUGA A Ceremony of Carols op. 28 (1942) Dalla terminologia all’analisi 1. Procession 2. Wolcum Yole! 3. There is no Rose 4a. That yonge child 4b. Balulalow 5. As dew in Aprille 6. This little Babe 7. Interlude (arpa solo) 8. In Freezing Winter Night 9. Spring Carol 10. Deo Gracias (Adam lay i-bounden) 11. Recession di Piero Caraba compositore e docente presso il conservatorio di perugia Incisioni discografiche Britten - A Ceremony of Carols The Choir of Trinity College, Cambridge dir. Richard Marlow Conifer Classics, 1997 B. Britten: A Ceremony of Carols etc. Choir of King’s College Cambridge dir. Sir David Willcocks, Sir Philip Ledger Emi Classics, 2004 I Piccoli Musici - Felix Mendelssohn e Benjamin Britten I Piccoli Musici di Casazza (Bg) dir. Mario Mora Edizioni Carrara, 1996 29 accordi in staccato e il suo maestoso finale, concludono in un crescendo di intensità dinamica ed espressiva l’intera serie di A Ceremony of Carols. Il fascino della lingua inglese medievale con i suoi suoni gotici e arcaici e la grande varietà espressiva di ogni brano della raccolta, ciascuno dei quali così ben caratterizzato, uniti all’estrema perizia tecnica del compositore, che gioca con la forma prediletta del canone in This little Babe e in As dew in Aprille, la ricerca della dissonanza anche molto aspra resa con sapiente cura e attenzione alla conduzione delle parti dal compositore, come in Wolcum Yole!, in There is no Rose e soprattutto In Freezing Winter Night, ben intervallati dall’utilizzo di solisti come nei bellissimi That yonge child e Balulalow o nella gioia del risveglio primaverile di Spring Carol, per terminare con il grande finale di Adam lay i - bounden, il tutto incorniciato dal fascino del canto in latino di Procession e Recession, fanno sì che i giovani cantori di un coro di voci bianche apprezzino grandemente lo studio e l’esecuzione di questa raccolta e che trovino, anche nella complessità della musica di Britten, una sfida a impadronirsi dei suoni della lingua del testo inglese medievale e a volerne risolvere le difficoltà tecniche ed espressive. Tutto ciò rende A Ceremony of Carols op. 28 di Benjamin Britten un lavoro di tale fascino, complessità e importanza, dal quale anche il direttore italiano di un complesso di voci bianche difficilmente può esimersi, condividendo così con i suoi piccoli coristi una opportunità di crescita musicale e artistica. A mio parere, l’esecuzione discografica più bella che si può prendere a riferimento, oltre a quella italiana dei Piccoli Musici di Casazza diretti da Mario Mora, è forse quella del coro di bambini del Trinity College di Cambridge (Inghilterra), diretto da Richard Marlow in una meravigliosa registrazione nel 1997. «La Fuga non è un’opera di ispirazione, benché l’immaginazione e l’invenzione possano prendervi parte grandissima; è soprattutto un’opera in cui l’arte della fattura e dello sviluppo logico è spinta al suo limite estremo».1 Con queste parole Theodore Dubois apre il discorso sulla fuga nel suo celeberrimo trattato. Poche righe più in là, egli stesso pone una citazione di Cherubini e scrive: «Cherubini ha detto che qualunque pezzo di musica ben fatto deve avere “se non il carattere e le forme, almeno lo spirito di una Fuga”».2 Le due affermazioni sembrerebbero porre il lavoro del compositore alla stregua di un creatore di strutture logiche. Se infatti una fuga “non è un’opera di ispirazione” e se “qualunque pezzo di musica deve avere almeno lo spirito della Fuga”, allora vorrebbe dire che un brano, per essere ben fatto, deve unicamente, o almeno nella sua maggiore evidenza, rispondere a criteri di logica escludendo ogni altra componente. Fortunatamente la questione non è in questi termini, e le affermazioni di Dubois sono immagine di una corrente di pensiero e di un personaggio che non solo non è mai riuscito ad andare, nelle proprie composizioni, al di fuori di un limitatissimo confine di oscuro rigore, ma non ha neppure saputo trarre dagli esempi dei grandi, che pure cita nel suo trattato, la lezione di libertà e di ampio respiro di cui ogni realtà artistica è espressione. Vedremo che, nei grandi, la logica e il rigore alla base della costruzione di una fuga, costituiscono in realtà lo strumento con il quale ottenere i più esaltanti risultati della propria libera ispirazione. Prima di analizzare una fuga è però necessario intenderci sulla denominazione e la funzione dei suoi elementi, e qui è il caso di dire che è assolutamente necessario fugare ogni dubbio! La nostra prima definizione è che la fuga, più di ogni altra forma musicale, è un gioco. Un gioco di precisa costruzione, con regole ben determinate, ma come ogni gioco importante può esprimere significati altrimenti inesprimibili, e condurre all’intuizione del pensiero che dietro quel gioco si cela. Ogni fuga si apre con un soggetto. È un errore chiamarlo tema. Il tema è un organismo articolato e sintatticamente conformato; il termine si addice propriamente alle forme del periodo romantico, prima fra tutte la forma sonata. Nella fuga siamo in presenza di un soggetto, cioè una linea di contrappunto che costituisce l’idea fondamentale su cui si basa l’intera composizione. Il soggetto sarà J.S. Bach, Messa in si minore BWV 232, nº 3, Kyrie sempre caratterizzato da brevità, intervalli e ritmi che lo rendano incisivo, ben definito e dunque facilmente riconoscibile a ogni sua entrata nel gioco delle parti. La risposta non è, come spesso si dice, la seconda entrata delle voci; non di rado, come vedremo, la seconda entrata è infatti costituita da un nuovo soggetto. Si chiama risposta il soggetto stesso, quando viene ripresentato al tono della dominante. In particolare diremo poi che la risposta è reale quando risulterà essere l’esatta trasposizione alla quinta superiore, nota per nota, di tutte le note del soggetto. Consideriamo come esempio la fuga sul Kyrie, nº 3, della Messa in si minore di Bach BWV 232 (cfr. esempio 1). Il basso espone il soggetto, nel tono di fa diesis minore, cui succede l’entrata del tenore, con la risposta che ripropone esattamente gli intervalli del soggetto, nota per nota, ma a una quinta superiore: si tratta di risposta reale. 3 Ora consideriamo la fuga su dass er meines Angesichtes nova et vetera 30 31 J.S. Bach, Mottetto BWV 225, Singet dem Herrn, soggetto e risposta della fuga conclusiva J.S. Bach, Cantata nº 21, BWV 21, Fuga su dass er meines Angesichtes Hülfe Hülfe che conclude la prima parte della Cantata di Bach BWV 21 (cfr. esempio 2). Il soggetto, di due battute, è esposto dal contralto; risponde il soprano, ma le prime quattro crome sono quattro do, cioè risponde a una quarta superiore rispetto ai quattro sol del precedente soggetto. A seguire, tutto il resto della risposta sarà di nuovo alla quinta, nota per nota, rispetto al soggetto. Questo cambio nel “rispondere” crea naturalmente differenze di intervalli nella linea melodica della risposta rispetto al soggetto: come si vede nell’esempio, nel soggetto, tra le parole meines e Angesichtes c’è un intervallo di terza maggiore, mentre nella risposta, tra le stesse parole, l’intervallo è di seconda maggiore. 4 In questi casi la risposta si chiama tonale. Perché? La tonalità, in questo esempio, è do minore; la “testa” del soggetto si apre con quattro sol, cioè con la dominante del tono, poi tutto il resto si svolge nella regione tonale della tonica. Ebbene, a questo punto la risposta, per mantenere lo stesso rapporto tonica/dominante del soggetto deve “rispondere” di conseguenza, e cioè trasportare alla tonica (do) ciò che il soggetto pone alla dominante (sol), e trasportare alla dominante tutto il resto che nel soggetto è in ambito di tonica. Questo meccanismo, come dicevamo, concorre a mantenere un equilibrio tonale tra le diverse entrate delle voci, circoscrivendo al solo contrasto tonica/dominante, e reciprocamente dominante/ tonica, il rapporto tra soggetto e risposta. Per meglio chiarire questa necessità di scambievole rispondenza tonica/dominante consideriamo un caso limite, cioè che l’intero soggetto si trovi alla tonalità della dominante. È la situazione che si presenta nella fuga a conclusione del celebre mottetto bachiano Singet dem Herrn BWV 225 (cfr. esempio 3). Siamo nella tonalità di si bemolle maggiore, e il soggetto, di otto battute, si presenta totalmente impiantato nel tono della dominante, fa maggiore. La risposta è tutta in si bemolle maggiore, né avrebbe potuto essere altrimenti: se, per assurdo, la risposta fosse stata alla dominante rispetto al soggetto, si sarebbe presentata tutta in do maggiore, un tono assolutamente incompatibile con il si bemolle di impianto e incompatibile con l’esclusivo e solido rapporto tonica/ dominante. Abbiamo detto che la seconda entrata di una fuga potrebbe non essere la risposta. È molto frequente infatti che dopo le prime note del soggetto compaia subito la seconda voce a presentare un’altra linea melodica di interesse e importanza pari al soggetto stesso: in questo caso si tratta di un secondo soggetto, e la fuga si chiamerà doppia fuga. 5 Citiamo solo qualche esempio assai noto nell’ambito della musica corale: è doppia fuga il Cum Sancto Spiritu con cui si conclude il Gloria di Vivaldi (cfr. esempio 4); l’Amen del Magnificat RV 610 sempre di Vivaldi; la chiusa del Te Deum KV 141 di Mozart; il Kyrie del Requiem KV 626 (che costituirà oggetto di particolare analisi nel prossimo numero di questa rivista [n.d.r.]). 6 Altro errore comune è dire, in questi casi, che la seconda entrata è un controsoggetto. Il controsoggetto è una linea di contrappunto con la quale una voce continua il proprio cammino dopo aver esposto completamente il soggetto (o la risposta). Ben si vede dall’esempio della Cantata BWV 21 (cfr. esempio 2): osservando il contralto, le battute 1 e 2 costituiscono il soggetto, la battuta 3 e le successive sono il controsoggetto, riconoscibile anche dalla battuta 5 in poi nel soprano che accompagna l’entrata del basso e dalla battuta 7 in poi nel basso che contrappunta l’entrata del tenore. Il controsoggetto è dunque l’elemento costantemente complementare del soggetto e della risposta, i quali conservano comunque la preminenza sul piano dell’interesse e dell’efficacia per tutta la durata della composizione. Quando viceversa parliamo di doppia fuga, e il secondo soggetto, come abbiamo detto, appare immediatamente a ridosso del primo soggetto, entrambi hanno pari importanza nell’economia funzionale ed estetica dell’intero lavoro. Chi A. Vivaldi, Gloria RV 589, nº XII, Cum Sancto Spiritu saprebbe dire, nel Kyrie del Requiem di Mozart, quale dei due soggetti è più importante o più efficace? Il primo, sulle parole Kyrie eleison, o il secondo, sul Christe eleison? Fin qui la terminologia e le definizioni degli elementi fondamentali che consentono di identificare una fuga come tale; assicurato il “lessico familiare” è ora possibile passare all’analisi, e Mozart ci mostrerà quanto le affermazioni di Theodore Dubois, almeno nel caso specifico, siano prive del benché minimo riscontro. [continua] Note 1. T. Dubois, Trattato di contrappunto e fuga, Edizione italiana, Ricordi, Milano 1905, p 109. 2. Cfr. ibid., p 109. 3. A queste due entrate fa seguito naturalmente la terza entrata, in questo caso la voce del contralto, che ripropone il soggetto, e quindi il soprano, con la riproposizione della risposta. 4. La differenza di intervallo tra la linea del soggetto e quella della risposta prende il nome di mutazione. 5. Da non confondere con la fuga a due soggetti, che è altra cosa! Si parla di fuga a due soggetti quando il secondo soggetto fa la sua comparsa in una posizione molto avanzata della composizione, come se il primo soggetto avesse in qualche modo “esaurito” le proprie possibilità combinatorie, tanto da far nascere la necessità di un elemento che introduca nuova linfa vitale per il prosieguo del “gioco”. Un esempio ci viene offerto dalla Fuga XVIII in sol diesis minore nel Vol II del Clavicembalo ben temperato di Bach, dove il secondo soggetto compare alla battuta 61 imprimendo alla composizione nuove dinamiche costruttive. 6. In altro linguaggio, nella dodecafonia, poderoso esempio di doppia fuga vocale è l’inizio della Scena quarta dell’opera Moses und Aron di A. Schönberg, con le quattro voci del coro impiegate al pari di strumenti dell’orchestra. Interattiva, Spilimbergo in collaborazione con FENIARCO Via Altan, 39 S.Vito al Tagliamento (Pn) - Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D’AOSTA Assessorato all’Istruzione e Cultura COMUNE DI AOSTA FONDAZIONE ISTITUTO MUSICALE DELLA VALLE D’AOSTA SEMINARIO COMPORRE EUROPEO P E R CORO PER GIOVANI O G GI COMPOSITORI riflessioni sulla coralità popolare di Sergio Bianchi val tinella e docente al conservatorio di como Mia Makaroff • Pierangelo Valtinoni • Thierry Lalo • Carlo Pavese • Bottega di Composizione per cori di bambini LABORATORIO DI COMPOSIZIONE CORALE ORIGINALE Bottega di Elaborazione LABORATORIO DI ELABORAZIONE E ARRANGIAMENTO SU MATERIALI DATI AOSTA 18-24 luglio 2010 Bottega di Arrangiamento e composizione vocal jazz-pop LABORATORIO DI ARRANGIAMENTO E COMPOSIZIONE VOCAL JAZZ-POP Bottega di Sperimentazione LABORATORIO COLLETTIVO DI SPERIMENTAZIONE-ESECUZIONE armonizzazioni più ricercate e che sperimentano una ricerca vocale. Per molto tempo (probabilmente da sempre) il coro maschile è stato identificato con il coro di montagna, quello degli alpini con una serie di stereotipi deleteri. Si canta nelle osterie, durante le gite, per fare festa o per sfogarsi, senza curare l’intonazione, in modo molto semplice, senza ascoltarsi vicendevolmente, seguendo l’istinto… Tutto ciò può essere divertente, ma non è questo il cantare in coro… e forse proprio per questo molti giovani snobbano il genere. Riprendendo alcune osservazioni di Efisio Blanc ne Il riscatto dei cori maschile al concorso di Arezzo (Choraliter n. 30) si può affermare che c’è una scarsa considerazione nel cantare in un coro popolare maschile. Certamente il valore di opere della tradizione colta non è messo in discussione, ma il canto popolare ha una immediatezza di comunicazione, una facilità di trasmettere emozioni che non deve essere sottovalutata. Le tematiche affrontate offrono un quadro ampio e variegato legato a luoghi particolari corali popoL direttore del coro DOCENTI Partendo dall’esperienza personale di direttore di coro e da anni di frequentazione del mondo del canto popolare mi permetto di suggerire alcune riflessioni su un genere comunemente considerato in via di estinzione. Dopo una breve disanima della realtà corale maschile, cercherò di mostrare il valore di un filone che deve essere sicuramente rivitalizzato. Qual è la situazione attuale? In genere sono riscontrabili un livello interpretativo non particolarmente elevato e un invecchiamento che incide sulla qualità interpretativa e sulle prospettive future. Mancano i giovani sia per una preminenza di altri interessi sia per una apparente lontananza dalle tematiche proposte. Inoltre il genere viene “snobbato”da coloro che hanno o che stanno studiando per avere competenze musicali. Accanto a cori tradizionali non solo nella divisa ma anche nel repertorio, nelle armonizzazioni e nel modo di cantare, vi sono realtà che si aprono a nuove composizioni con contenuti musicali originali, con canto popolare 34 (la montagna piuttosto che il mare), a necessità lavorative (il fenomeno dell’abbandono delle montagne e più in generale quello dell’emigrazione), a momenti della vita comunitaria (le feste, i riti religiosi, il servizio militare), a eventi drammatici (guerre o catastrofi naturali), a eventi naturali (l’alternarsi delle stagioni con ciò che ne deriva per la vita dei singoli), all’attenzione per l’ambiente… Si pensi inoltre alla forza dei sentimenti e delle emozioni che da sempre condizionano la nostra vita: quante ninna-nanne sono state scritte nelle varie lingue, quanti canti d’amore (gioiosi o tristi), quante denunce sulla brutalità della guerra, quanti canti natalizi… Il linguaggio è a volte retorico oppure suona eccessivamente ingenuo o pomposo. Il modo di esprimersi è legato a un contesto storico e geografico ben preciso e quindi può sembrare estraneo alla nostra mentalità o al nostro modo di vivere, ma ciò che si esprime è profondamente vero e ha un valore universale. Lo stupirsi davanti al ridestarsi della natura o allo sbocciare di un fiore, il dolore atroce per la morte avvenuta in circostanze drammatiche, la meraviglia nel contemplare un paesaggio, la rabbia per lo sfruttamento del lavoro, la gioia per un amore o per una nuova vita… Il valore di questi sentimenti va ben oltre la durata della vita di una persona; le modalità di espressione cambiano nel tempo, ma ciò che viene raccontato è profondamente vero e non solo suscita ricordi nelle persone anziane ma può stimolare emozioni anche nei giovani. Il canto popolare, oggi, cantato da chi quei momenti non li ha vissuti, ha una valenza culturale: assurge a “documento storico”, non solo di avvenimenti importanti (per esempio: Monte Nero), ma ancor più di quella moltitudine di anonimi protagonisti che hanno contribuito, con umiltà, alla costruzione del meraviglioso quotidiano. Accantoniamo quindi quell’atteggiamento di sufficienza che si è diffuso e avviciniamoci senza pregiudizi a un repertorio che comunica in modo semplice e per questo è più facilmente apprezzabile. Occorre però che il cantare non sia solo emettere suoni. Il possedere una voce non significa saperla automaticamente utilizzare per cantare e per cantare insieme ad altri. Un numero elevato di coristi non elimina automaticamente difetti e incertezze (oltre agli errori); se da un lato sembra mascherarli, dall’altro il risultato complessivo ne è condizionato. La bellezza e la tipicità di un’armonia si esprime attraverso la pulizia dell’intonazione; un breve respiro espressivo è frutto della precisione ritmica di ogni corista, così come un cambio di tempo lo si apprezza solo attraverso la coordinazione di tutti. Per ottenere tutto ciò non bastano le ripetizioni ossessive di un passaggio ma occorrono un’attenzione costante e uno spirito collaborativo. In tanti anni di vita corale mi sembra di poter affermare che un buon corista deve possedere alcune qualità fondamentali che non sono esclusivamente musicali. Tenendo presente che la stragrande maggioranza dei cori popolari annovera nelle le sue file persone con scarse o nessuna cognizione musicale, il possedere la capacità di lettura e di intonazione è un dono prezioso, ma il non possederle non deve diventare un alibi che giustifichi qualsiasi risultato. Cantare per diletto significa cantare per il piacere di farlo, significa coltivare una passione da cui voglio ricavare godimento e soddisfazione. Pensate a quanti sacrifici si sottopone una persona per la passione della pesca o della caccia oppure di uno sport. Pensate all’impegno profuso dal filatelico per 35 ottenere un certo francobollo o dal melomane per sentire una certa opera o un determinato cantante… L’esemplificazione può essere amplissima, ma capito il concetto è importante applicarlo al cantare in coro e occorre domandarsi cosa facciamo concretamente nei diversi cori per migliorare le esecuzioni. Avremo modo, in un secondo momento, di prendere in considerazione alcuni aspetti tecnici. Vorrei concludere dedicando un piccolo spazio alle qualità del corista che deve possedere una bella voce e che deve essere intelligente, umile e musicale. Avere una bella voce non significa che il coro deve essere formato da persone che potrebbero fare tutti il solista (sarebbe eccezionale!). Per cantare nel coro basta avere una voce intonata, duttile e sufficientemente sonora. Il livello di queste qualità può essere vario e ciascuno in base alla propria intelligenza e a un minimo di tecnica vocale potrà gestire tutto ciò nel modo più appropriato. Possedere intelligenza significa essere in grado di capire e di formulare giudizi. Per far questo non sono necessari né una laurea né un titolo di studio; in un coro è sufficiente essere disponibili a comprendere ciò che ci viene richiesto, ciò che facciamo e perché lo facciamo. Per alcuni coristi cantare in una sezione è motivo di orgoglio o di frustrazione. Tutto ciò è ridicolo: non si è bravi se si canta in una certa sezione, ma se si porta un contributo preciso e pulito. Ciascuno ha un suo ruolo, ha un compito importante da svolgere, anche se poco appariscente. Possiamo citare una frase di Madre Teresa di Calcutta: “…ogni cosa che facciamo non è che una goccia nell’oceano, ma se non la facciamo quella goccia mancherà per sempre…”. L’umiltà in coro è fondamentale: ciascuno porta un contributo importante. Come il mattone deve unirsi ad altri mattoni per l’edificazione di un muro, così una voce deve unirsi ad altre voci per dare vita al canto. In alcuni momenti ciò che ci viene richiesto può sembrare poco importante, ma se non lo facessimo mancherebbe qualcosa che non può essere sostituito. Se abbiamo fiducia nel direttore dovremo accettare le sue richieste anche se non fossimo Il canto popolare ha una immediatezza di comunicazione, una facilità di trasmettere emozioni che non deve essere sottovalutata. totalmente d’accordo. Si può, anzi se ne deve parlare, ma alla fine il direttore è l’unico responsabile della interpretazione e quindi deve essere messo in condizione di poter ottenere ciò che chiede. Infine la musicalità è una dote preziosa che non si acquista studiando, ma che l’esercizio può certamente affinare. È una sorta di ingrediente magico che facilita l’amalgama delle voci, rende semplice e chiara l’interpretazione, ci mette in condizione di indirizzare la voce, governata da abilità tecniche, in modo da ottenere quella particolare delicatezza o forza o di creare un breve rallentato o un rubato che la musica ci chiede. Potremmo concludere che la musicalità è la dote che rende semplice e naturale ciò che un costante esercizio ci porterà solo a sfiorare. Se queste doti fossero presenti in tutti i coristi certamente il livello si innalzerebbe notevolmente e a dimostrazione che non occorre essere tutti musicisti si potrà notare che ho anteposto alla musicalità l’intelligenza e l’umiltà. Qualità necessarie nella vita di ogni giorno se si vuol vivere correttamente in una società rispettosa del prossimo. Nel testo ho utilizzato normalmente il termine “corista” senza preoccuparmi di distinguere corista (cioè colui che svolge tale attività come professione) da cantore che invece canta per pura passione, per diletto. portraiT 36 LA PAROLA È GIÀ MUSICA Intervista a Marco Berrini a cura di Mauro Zuccante Caro maestro Marco, a te il compito di aprire il nuovo spazio che la rivista Choraliter intende riservare al mestiere del direttore di coro. Un’arte alla quale ci si appassiona per motivi diversi. Vuoi riassumere brevemente quali sono stati, nel tuo caso, i fattori stimolanti? Senza alcun dubbio, voglio anzitutto ricordare l’incredibile esperienza che è stata per me cantare in un coro. Ho iniziato molto presto come voce bianca, proseguendo senza interruzioni di sorta anche dopo la muta della voce, fino a occupare, precocemente e con una buona dose di incoscienza, il ruolo di direttore. Sono di fatto cresciuto, anagraficamente e musicalmente, in un coro, che quasi per gioco mi sono trovato un giorno a dirigere. Un’esperienza della quale soltanto a posteriori ho capito la reale portata e la fondamentale incidenza sul mio essere musicista, tanto da ritenerla oggi l’unica veramente formativa a livello musicale. Consiglierei di anteporla a qualunque studio strumentale e di coltivarla comunque parallelamente, anche dopo aver scelto di specializzarsi in un qualsiasi strumento. Sì, ogni musicista dovrebbe poter includere nel proprio percorso formativo un’approfondita esperienza corale. Tra le altre competenze, alla base della tua professionalità c’è una preparazione pianistica notevole. Posso affermare ciò perché ti ho ascoltato suonare il pianoforte con estrema disinvoltura. Quanto e in che circostanze ti facilita questa abilità nell’esercizio di dirigere il coro? Lo studio del pianoforte è stata una diretta conseguenza dell’esperienza corale: cantare provocava in me un tale piacere da chiedermi un ulteriore avvicinamento alla musica. Il pianoforte e l’organo sono stati, pertanto, i miei primi contatti con uno strumento e con una letteratura diversa da quella vocale. La pratica e l’approfondita conoscenza della tastiera mi è infatti di aiuto in molte circostanze: dalla lettura delle partiture, al momento di studio con le formazioni vocali, nelle audizioni e nel lavoro con i cantanti. Mi rende autonomo e indipendente nel mio lavoro e questo è tanto utile quanto piacevole per me. Quindi se da un lato studiare approfonditamente uno strumento ha significato in realtà tornare alla mia passione iniziale per il canto con maggiore competenza e consapevolezza, dall’altro questo mio primario contatto con la voce si è rivelato e si rivela determinante anche quando suono o dirigo un’orchestra. Cerco sempre di portare nella pratica pianistica e strumentale quel bisogno di respiro che troppo spesso manca a chi suona uno strumento. La necessità del respiro (che nel canto e nell’espressione verbale diviene irrinunciabile veicolo di intenzioni espressive) è bisogno primario della musica come lo è per l’esistenza stessa dell’esecutore. L’assenza di respiro in musica uccide la musica stessa, come l’assenza del respiro è prerogativa di un corpo morto. Non è facile, da semplici strumentisti – figli della scuola italiana – capire di primo acchito questo postulato se non si ha una solida esperienza vocale alle spalle. Nella pratica strumentale, tutto rimanda alla voce e all’atto del cantare: i primi a capirlo furono, secoli fa, i trattatisti che hanno codificato nei loro testi informazioni e indicazioni mediandole dalla coeva pratica vocale, ossia usando la voce come modello per le istanze del nuovo idioma strumentale. Molte volte mi sono trovato a chiedere ai miei studenti di conservatorio (ottimi strumentisti, ma privi per formazione di qualunque esperienza vocale) cosa significasse per loro il termine cantabile col quale spesso si trovano a confrontarsi nella loro pratica strumentale; bene, la risposta è sempre stata univoca: «Cantabile deve essere qualcosa che attiene al cantare, che avvicina il mio far musica al modo del canto». Ma la risposta non è mai arrivata quando replicavo: «Ma per te che non hai mai cantato e sei in procinto di conseguire un diploma, cosa significa cercare sul tuo strumento un suono che attenga al cantare»? Paradossale, ma vero! Nei concerti da te diretti, ai quali ho avuto il piacere di assistere, mi ha sempre colpito la cura riservata all’articolazione della parola. Ho l’impressione che nelle tue interpretazioni il disegno della frase musicale scaturisca da un minuzioso lavoro di limatura fatto attorno alla singola parola. Condividi? Ti ringrazio molto per questa tua osservazione, che mi rende molto felice perché rende giustizia a quella che è la mia idea fondamentale del far musica con la voce, con il coro: chi canta, canta la parola! E anche in questo, lo scontro con i presupposti dello studio accademico, si fa ruvido. Ci hanno sempre insegnato a “leggere le note e a suonarle tutte esattamente intonate e a tempo” (presupposto sicuramente imprescindibile), quasi che la fedele e corretta riproduzione dei suoni possa esaurire in sé stessa il nostro rapporto di interpreti con l’opportunità semantica che il codice scritto ci offre. Per chi fa musica con la voce, la parola rappresenta quel che può trasformare la pagina che avviciniamo, silenziosa e ferma nella sua staticità grafica, in un veicolo di comunicazione espressiva, in un medium tra sé e gli altri. La parola è già musica: lo diceva già Cicerone parlando del cantus obscurus; in essa già convivono tutti quegli ingredienti che la rendono espressione musicale per eccellenza (altezza dell’intonazione, ritmo, opportunità timbrica, intenzione espressiva…). E la prerogativa che connota la parola, l’accento, non ha forse un’etimologia (ad cantus, verso il canto) che lo lega intimamente all’atto del cantare? L’accento è il canto della parola stessa, è la sua naturale intonazione, e questa deve mantenersi altrettanto espressiva in musica. Quando il compositore ha saputo rendere giustizia alla parola, dipingendola con un gesto grafico che Marco Berrini____ Diplomato presso il conservatorio G. Verdi di Milano in pianoforte, musica corale e direzione di coro e composizione polifonica vocale, si è dedicato fin da giovanissimo alla musica corale, studiando anche direzione d’orchestra e musicologia. È risultato vincitore del 1º Premio ai seguenti concorsi corali: 1986, Quartiano (Lo); 1987, Bresso (Mi); 1991, Bresso (Mi); 1991, Vittorio Veneto (Tv); 1995, Battipaglia (Sa); 1996, Vittorio Veneto (Tv) IV Gran Premio Corale E. Casagrande; 1999, Tortona (Al); 2003, Arezzo (Nazionale, Internazionale e Gran Prix Corale); 2004, Gorizia, 2º premio ex-aequo al 16º Gran Prix Corale Europeo. Nel 2001 è stato ammesso alle fasi finali della prima edizione del Concorso internazionale per direttori di coro M. Ventre di Bologna dove ha vinto il 3º premio ex-aequo. Ha diretto in Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Svizzera, Austria, Israele, Argentina. Ha lavorato a fianco di grandi direttori fra i quali A. Ceccato, O. Dantone, G. Noseda; ha realizzato produzioni musicali con importanti orchestre italiane e con importanti festival e stagioni concertistiche in Italia e all’estero, tra i quali, a Milano, la Società del Quartetto e Musica e poesia a S. Maurizio, I Pomeriggi Musicali, il Festival Internazionale Settimane Musicali di Stresa, il Teatro Bellini di Catania, il Teatro Due di Parma, l’Associazione Scarlatti di Napoli, il Maggio Musicale Fiorentino, il Festival di Musica Antica di 37 asseconda il suo corretto modo di pronunciarla, è compito della sensibilità dell’interprete lasciar risuonare la sua intrinseca e connaturata musicalità nel suono che emette. Perché, domando sempre ai direttori con i quali ho il piacere di confrontarmi, pur riconoscendo un valore espressivo e musicale alla parola e non potendo fare a meno di sentire la grande potenza espressiva della musica che la riveste, alla fine riusciamo a far sì che la feconda unione di parola e suono risulti sterile, monocorde? Forse il condizionamento stilistico di certe esecuzioni d’oltralpe pesa sulle nostre idee… Nella tua carriera hai avuto modo di spaziare nei diversi generi della musica corale e di eseguire musiche di autori di epoche diverse. Ma qual è il repertorio dove ti senti più a tuo agio e dove pensi di saper esprimere al meglio la tua sensibilità artistica? Agli inizi della mia attività di direttore ho indirizzato le mie scelte verso la letteratura del periodo rinascimentale e barocco, anche in ragione del fatto che il gruppo con cui lavoravo in quel periodo non mi consentiva di avvicinarmi consapevolmente e con cognizione di causa da un punto di Malaga (Spagna) e il Teatro Real di Cordoba (Argentina). Dal 1989 al 1992 è stato maestro sostituto direttore del Coro da Camera della Rai di Roma col quale ha effettuato registrazioni per Rai Radio Tre. Ha fondato e dirige il Coro da Camera del conservatorio A. Vivaldi di Alessandria con il quale svolge regolare attività concertistica e discografica. Ha diretto le prime esecuzioni assolute di composizioni di B. Bettinelli, I. Danieli, O. Dipiazza, B. Zanolini, F. Ermirio, R. Beltrami, P. Manfrin e la prima esecuzione italiana del Weihnachtsoratorium per soli, coro e pianoforte di F. Nietzsche (maggio, 1998). La sua discografia in qualità di direttore dell’Ars Cantica Choir & Consort comprende incisioni monografiche dedicate a A. Lotti, G.G. Gastoldi, G.P. da Palestrina, O. di Lasso, V. Ruffo, M.A. Grancini, F. Durante, F. Nietzsche, L. Perosi, B. Bettinelli, quasi tutte in prima registrazione assoluta, oltre a opere di autori italiani contemporanei in prima incisione assoluta. È stato inoltre invitato a tenere un atelier sulla musica polifonica veneziana del Rinascimento alla XVI edizione del Festival Europa Cantat (Mainz, 2006). Nel 2007 e nel 2008 è stato invitato in Argentina, a Buenos Aires a dirigere il Coro Nazionale Giovanile Argentino (Co.Na.Jo) per un ciclo di concerti sulla musica italiana del ’900, a Cordoba per dirigere il Coro Polifonico del Teatro della Provincia de Cordoba, e a La Plata, per un master sulla prassi esecutiva della musica rinascimentale. A partire dalla primavera 2008, è stato invitato a collaborare in qualità di direttore ospite con il Coro del Teatro dell’Opera di Malaga e con il Coro del Teatro della Maestranza di Siviglia (dal febbraio 2009). È direttore artistico e musicale del complesso vocale professionale Ars Cantica Choir & Consort e del Quartetto Vocale S. Tecla, formazione professionale del Duomo di Milano. Ha curato la pubblicazione di musica vocale per le case editrici Suvini Zerboni, Carrara, Rugginenti. È regolarmente chiamato a far parte della giuria di concorsi corali nazionali e internazionali e a tenere master di formazione e perfezionamento per cantori e direttori in Italia e all’estero. È membro della Commissione Tecnico-Artistica dell’Associazione Regionale Cori della Valle d’Aosta. È docente al P.I.A.M.S. (Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra) di Milano e docente di esercitazioni corali presso il conservatorio A. Vivaldi di Alessandria. portraiT 38 vista tecnico e musicale ad altri repertori. Ho sempre creduto, e ancor oggi lo credo fermamente, che i propri desiderata di interprete musicale vadano consapevolmente filtrati e mirati sulle reali potenzialità del gruppo di cui si dispone. In quegli anni, davvero fecondi per lo studio, il lavoro di formazione con Domenico Zingaro e di approfondimento con Giovanni Acciai, ha contribuito in maniera sostanziale a strutturare il mio pensiero di interprete. Oggi ho il piacere di poter avvicinare letterature corali di epoche diverse: la formazione che dirigo me lo consente e credo che, nel tempo, anche io sia cresciuto con loro. Resto sempre però particolarmente attratto e stimolato dalla letteratura più antica, anche perché la lunga e intensa frequentazione della stessa mi ha aiutato a leggere e interpretare meglio quel che è seguito. In ogni caso, quale che sia l’autore e il periodo da affrontare, cerco sempre di pormi in modo intellettualmente onesto di fronte alla pagina da interpretare, e solo dopo aver dedicato cura e tempo all’analisi e allo studio della partitura lascio che le istanze estetiche e stilistiche di un linguaggio musicale risuonino in me: la pagina musicale parla all’interprete che umilmente si predispone ad ascoltarla. Una performance corale prevede varie fasi di lavoro. Dico le più importanti. Lo studio della partitura, l’istruzione delle sezioni del coro, la concertazione, l’esecuzione vera e propria. In quale momento concentri l’impegno maggiore? Vien da pensare che un coro ben addestrato possa cantare senza direttore. Eppure, c’è chi considera irrinunciabile il gesto del direttore, anche (o soprattutto) in concerto. Come la pensi? Il cammino che porta dalla scelta di un brano, al suo studio individuale e corale, alla concertazione e infine alla esecuzione è una sorta di cammino di iniziazione. Il primo a dover essere “iniziato” al significato della musica da eseguire è proprio il direttore. Prediligo pertanto molto uno studio molto approfondito della pagina da eseguire; questo mi aiuterà a condurre con più facilità il gruppo che con me dovrà condividere l’esperienza musicale lungo le strade della comprensione del brano. Una comprensione che dovrà nutrirsi di cognizioni storiche, estetiche, tecniche, vocali, corali… Il coro deve conoscere, comprendere e condividere i percorsi interpretativi del direttore, che si esprimono – durante le fasi di lavoro collettive – attraverso un uso sapiente della parola parlata, un uso ancor più intenso ed efficace della parola cantata nelle esemplificazioni vocali, in un gesto che istante dopo istante diviene sempre più visualizzazione del pensiero, non mera pulsazione metronometrica avulsa da quel dire espressivo che abita il suono. Un coro tecnicamente ben addestrato può arrivare a cantare senza un gesto direttoriale accademicamente inteso, ma può ugualmente non poter fare a meno di aver di fronte quella figura che nel momento della esecuzione è solo e semplicemente promemoria visivo di un percorso di iniziazione, condiviso e compreso, al di là del gesto chironomico. Il gesto del direttore può arrivare a sganciarsi da tutti i presupposti tecnici che lo abitano per divenire, nel momento della esecuzione, “medium” di una comunicazione, unica, intima ed esclusiva, con il coro che ha di fronte. È un gesto d’amore. Il tuo palmarès è ricco di successi ottenuti in concorsi nazionali e internazionali. Credo che in primis sia doveroso ricordare la splendida affermazione del 2003 all’Internazionale di Arezzo, con il conseguimento del Gran Prix. Vuoi raccontarci le emozioni di quei giorni. 39 Il ricordo di quei giorni, e di quelli che gli sono seguiti, riporta alla mente emozioni molto forti, anche contrastanti fra loro. Ripenso senz’altro in prima istanza al lavoro condiviso con il coro e ai brillanti riconoscimenti ottenuti, ma anche a un certo malsano clima della coralità italiana, che dietro a luminescenti vetrine nasconde, a volte neanche troppo, grandi povertà… A giudicare dai tuoi impegni ti occupi molto di formazione. In forma stabile od occasionale, tieni corsi, stages e masterclass per direttori di coro in varie località italiane e straniere. Mi incuriosisce sapere se, dopo anni di questa attività, riconosci la tua impronta in qualche giovane direttore; insomma, se, come si dice, pensi di aver fatto scuola. Non è mai stato un mio obbiettivo quello di creare una “scuola di pensiero”. Sicuramente ci sono persone a me più vicine, con le quali oggi vivo lo stupore fecondo di un rapporto di discenza trasformato in vera amicizia, e che in maniera più diretta di altre hanno condiviso con me esperienze formative, didattiche e musicali forti e caratterizzanti, che oggi si riconoscono, come me, entro i confini di una determinata linea di pensiero musicale e più in generale di una idea del “far coro”. Mi preme comunque dire, che ho ricevuto moltissimo in ogni esperienza corsuale che ho avuto il privilegio di condividere con cantori e direttori: la mia crescita è passata prepotentemente anche attraverso questi incontri, nei quali il desiderio di approfondimento e conoscenza dei discenti è indiscutibilmente diventato uno stimolo per il sottoscritto. Ogni musicista dovrebbe includere nel suo percorso formativo un'approfondita esperienza corale. Una questione spinosa. Ho assistito lo scorso anno alle selezioni per il Premio Nazionale delle Arti, riservato ai cori di conservatorio. Francamente, c’è stato poco da entusiasmarsi per il livello espresso dalle compagini che si sono esibite. Approfitto pertanto della tua schiettezza e del tuo ruolo di docente di esercitazioni corali, per chiederti i motivi per cui, all’interno dei portraiT 40 conservatori italiani (cioè dei luoghi deputati all’alta istruzione musicale), stentano a formarsi gruppi corali di valore e di riferimento. Rispondo a questa domanda con la curiosità di chi verrà a contatto (in qualità di membro della commissione di ascolto) per la prima volta alla fine di questo mese di aprile con questa esperienza concorsuale nella quale vengono coinvolti i cori dei conservatori italiani. Lavoro ormai da un ventennio nei conservatori italiani e posso solo dire una cosa a questo riguardo: come per tutte le esperienze concrete della vita, quando accade (o non accade) qualcosa c’è sempre qualcuno che vuole che sia così. Nei conservatori italiani non ci sono cori? Quelli che ci sono non cantano o esprimono un livello decisamente basso? La risposta a questi interrogativi è presto data. Gli studenti dei conservatori italiani non hanno nulla da invidiare a nessuno studente di nessun altro conservatorio europeo. Dobbiamo soltanto porci con estrema franchezza alcune domande: in quale misura la gestione didattica dei conservatori italiani (e sto parlando in modo concreto, pensando ai direttori) promuove la coralità in seno al conservatorio? Obbligando gli studenti a un numero irrisorio di anni di frequenza alla classe di esercitazioni corali, in un momento della vita formativa dello studente che è magari non è neanche fisiologicamente idoneo (leggi, per le voci maschili: quello della muta della voce)? Esonerando gli studenti delle classi di canto a partecipare alle lezioni di esercitazioni corali? Ebbene sì, i cantanti vengono esonerati perché l’attività corale “danneggia il loro strumento”… Continuiamo pure a creare degli illusi! Coloro i quali dovrebbero far tesoro di una esperienza didattica che potrebbe essere – nel loro poco roseo futuro – l’unica valvola di sfogo per poter continuare a far musica dopo lo straccio di diploma che verrà loro rilasciato, vengono esonerati dalla stessa! Ma lo sanno questi cantanti che chiedono esoneri a raffica presentando false certificazioni mediche (se ci fosse lo spazio avrei una letteratura in proposito…) che alcuni fra gli attuali più grandi cantanti al mondo (facciamo solo un paio di nomi: Anne Sofie von Otter, mezzosoprano svedese, e Brin Terfel, baritono gallese) provengono da qualificatissime esperienze corali? Ma forse, in Svezia e in Scozia, la voce ai cantanti che studiano non si rovina come in Italia! Che dire poi, quand’anche non ci si imbatta in situazioni come quella sopra descritta, delle scelte di repertorio delle classi di esercitazioni corali? Gli studenti dei conservatori italiani devono cantare, devono frequentare la pratica vocale come un nutrimento formativo per la parallela pratica strumentale: la voce, il coro, deve tornare – anche qui da noi – a essere un punto centrale del progetto formativo. I giovani che frequentano i conservatori italiani vanno formati alla coralità dalla base, con le difficoltà che si incontrano solitamente lavorando con un coro di dilettanti: hanno poca esperienza nella lettura cantata (mi esimo dall’esprimere opinioni sulle competenze acquisite dagli studenti nelle classi di teoria e solfeggio), nessuna esperienza vocale e tantomeno corale; non sono abituati a pensare all’intonazione di un suono come a un fatto legato alla volontà della coscienza… Quindi, in sostanza, cosa fargli cantare? Ma, come per tutte le esperienze della vita, ci sono le “eccezioni che confermano la regola”: laddove in un conservatorio si uniscono lungimiranza e competenza didattica e c’è una volontà “che vuole”, i cori cantano… e bene! Una delle iniziative in cui sei stato di recente particolarmente attivo è quella della conduzione del Coro Regionale Valdostano e, fuori dai confini nazionali, del Coro Nazionale Giovanile Argentino. Forme analoghe di aggregazioni corali attorno a un progetto si ripetono altrove e in diversi contesti. Vuoi brevemente parlarci del senso di queste esperienze? L’esperienza del Coro Giovanile Nazionale Argentino è stata incredibile. Una formazione solidissima, formata da giovani tra i 18 e i 29 anni selezionati su scala nazionale e provenienti da tutto il territorio argentino (che conta una superficie pari a cinque volte quella italiana): il meglio del meglio dal punto di vista musicale e non soltanto per la qualità vocale! Ricordo che nei giorni immediatamente successivi alla mia produzione musicale a Buenos Aires (con un repertorio completamente dedicato alla letteratura italiana del ’900) si sarebbero svolte le selezioni nazionali per integrare l’organico che alla fine della stagione sarebbe stato privato 41 di un paio di voci per raggiunti limiti di età. Gli iscritti alla selezione per soli due posti erano più di 150! Sì, perché il Coro Giovanile Nazionale Argentino è un coro trattato professionalmente dallo Stato, che stipendia i cantanti che ne fanno parte per tutti gli anni di permanenza nella formazione. Come se non bastasse, in Argentina ci sono anche il Coro Nazionale dei Bambini, il Coro Nazionale dei Ciechi e il Coro Nazionale (degli adulti): anch’essi tutti regolarmente stipendiati. Necessità di commentare? Uno dei paesi al mondo che dopo anni di estrema congiuntura e difficoltà economica sta ora rialzando un poco la testa, ci dà una grande lezione di civiltà. Un intero popolo che canta… e come canta! Un bilancio decisamente positivo è anche quello che posso tracciare dopo la bella esperienza alla guida del primo Coro Regionale Valdostano: 17 cori su 31 hanno aderito all’iniziativa per un totale di 72 cantori abbastanza equilibrati numericamente nella distribuzione fra i registri vocali, soprattutto se si tiene conto della “fisiologica” mancanza di voci maschili. Ricordo ancora l’entusiasmo con il quale fu accolta la proposta dell’iniziativa da parte della commissione artistica e soprattutto del presidente dell’associazione dei cori valdostani, Marinella Viola, che non ha esitato a valutare concretamente la fattibilità dell’operazione. Ghiotta si rivelava poi l’opportunità di far coincidere il primo concerto di questa formazione regionale con il decennale dell’Arcova. Un progetto lungimirante, che spero venga portato avanti in futuro da questa piccola ma operosa associazione regionale; un’opportunità concreta, al di là di tante parole, per far crescere il senso di appartenenza attorno al valore del cantare insieme. Mi sento di invitare i giovani e gli appassionati a non mollare. Nel tuo lavoro, oltre alla direzione stabile del prestigioso Ars Cantica Choir & Consort, collabori in Italia e all’estero con varie istituzioni corali professionali e non. In virtù di questa privilegiata posizione di osservazione e della tua esperienza, come giudichi le opportunità che si offrono oggi a un giovane che volesse intraprendere il mestiere di direttore di coro? Quali consigli ti senti di dargli? Ho il piacere di poter collaborare stabilmente con i cori dei teatri di Siviglia e Malaga, in Spagna, e questo mi ha offerto l’opportunità di confrontarmi con realtà musicali, e di formazione musicale, molto differenti dalla nostra. Gli studenti che si preparano alla professione del direttore di coro, all’estero, godono innanzitutto di una opportunità quasi totalmente negata in Italia: quella di poter studiare, almeno in alcuni momenti della loro carriera di studenti, di fronte a una formazione corale. È risaputo che in Italia al direttore di coro sono offerte pochissime opportunità per studiare con un coro: è incredibile, ma è la realtà, ormai consolidata e confermata da anni. Inoltre il direttore di coro italiano non ha reali sbocchi occupazionali: le formazioni professionali legate agli enti lirici e alle istituzioni sinfoniche usano criteri molto “originali” per la selezione degli eventuali maestri del coro, e comunque sempre senza indire alcuna forma di concorso pubblico; sono pochissime (e piuttosto blindate anche esse) le istituzioni religiose propense a considerare in modo professionale la figura del maestro di cappella. E poi, in Italia, o sei direttore d’orchestra o non sei nessuno… Quindi le prospettive non sono rosee: una formazione “all’acqua di rose”, nessuna certezza lavorativa concreta nel campo specifico. Ma io mi sento di invitare i giovani e gli appassionati a non mollare. Soffriamo della mancanza di alcune fondamenta culturali a livello musicale (e non solo) che penalizzano pesantemente tutto il settore. A noi direttori di coro sta il compito di lavorare sul territorio, diffondendo quella cultura del far musica in prima persona che sola può recuperare alla musica (quella con la M maiuscola!) il posto che le spetta nella prospettiva culturale del nostro paese; lavorare all’interno di quel fecondo terreno di coltura che sono i cori amatoriali, con dedizione, pazienza, umiltà, facendo crescere una consapevolezza musicale individuale che possa poi esprimersi a livelli sempre più qualificati. Quella della bellezza è la migliore voce per rendere giustizia a chi fa sempre più fatica a farsi ascoltare. www.ectorino2012.it fragmentA 43 LE TESTIMONIANZE MUSICALI DEL MEDIOEVO Spunti di riflessione sulla prassi esecutiva di Franco Radicchia direttore del gruppo vocale armonioso incanto readyTOsing Great and joyful vocal festival torino Singers and choirs from all over the world Ateliers of all vocal genres Open Singing Famous international conductors ready sing More than 100 concerts Italian music, art, culture and… food! Meetings & friendships È sempre difficile e, direi, soggettivo parlare di prassi esecutiva quando trattiamo forme musicali così lontane nel tempo. Le fonti ci riportano una codificazione piuttosto schematica e certamente non esaustiva di una pratica sempre in evoluzione nel tempo e negli spazi. Solo valutando vari parametri storici, etnici, religiosi, scientifici e perché no, anche musicali, potremmo tentare una nostra interpretazione del contenuto delle fonti a noi giunte e dell’iconografia. A mio parere chi si illude di recuperare il passato, e non la musica del passato, commette un errore grossolano. Colui che si occupa onestamente del passato, prossimo o remoto che sia, non si colloca in simbiosi con esso, ma lo analizza, lo studia, lo giudica e, così facendo, in buona misura se ne allontana. Se si considera dunque una proposta esecutiva di musiche medioevali come una vera e propria “interpretazione” si deve ammettere che essa rappresenta un’operazione decisamente moderna. La ricerca di un colore e di un paesaggio sonoro di quest’epoca è fortemente condizionata da passioni religiose di carattere monastico e popolare e inoltre, affascina oggi la nostra mente stimolando situazioni utili a ritrovare una dimensione pura, più acustica e meno tecnologica. Le problematiche esecutive della musica medioevale devono tener conto della situazione reale ed emozionale in cui l’evento si proietta; vi è un preciso connubio tra momento musicale e momento sociale, sia esso sacro o profano. Nelle musiche dell’epoca è presente una forte componente di improvvisazione legata a fattori di caratterizzazione etnica che perdono una precisa identità interpretativa e spontanea quando vengono “ingabbiati” in formule di trascrizione e di codificazione. Sono in perfetta sintonia con chi afferma che queste testimonianze musicali non possono essere presentate in un semplice concerto, bisogna quanto meno provare a ricostruire l’aspetto storico ed emozionale generatore. Ne è un classico esempio l’esecuzione del canto gregoriano al di fuori della liturgia. Se vogliamo comunque affrontare problematiche di prassi esecutiva, occorre sottolineare l’importanza della simbiosi tra suono e parola. Questo rapporto ha radici profonde: risale all’antica Grecia e, fin dai tempi di Platone, non ha mai mancato di accendere il dibattito fra teorici e musici. Tale rapporto è divenuto l’elemento sostanziale del canto gregoriano, nesso imprescindibile per una sua autentica interpretazione. Con l’avvento della polifonia a partire dal IX secolo, il legame non si spezzò, ma al contrario, si irrobustì ancor più, fino a toccare il culmine nel corso del sec. XVI. L’ars dicendi, ovvero l’arte del parlare, il potere incontrastato dell’eloquenza nel muovere gli affetti, che informa l’espressione musicale, contribuisce non poco ad accelerare quel processo di verbalizzazione della musica sacra e profana, che conoscerà il suo culmine nelle esperte mani di Monteverdi. Importanti sono le testimonianze su questo tema dei teorici Guido d’Arezzo e Johannes Cotto. Nel suo Micrologus Guido afferma che, come nella metrica ci sono lettere e sillabe, parti e piedi e versi, così nella musica ci sono suoni dei quali uno, due o tre si raggruppano in sillabe; e una o due di quest’ultime in un neuma, cioè costituiscono la parte di una cantilena; una o più parti, poi, formano una distinctione ovvero un luogo opportuno per respirare. Nella declamazione dei salmi, il rapporto suono-parola è ancora più eloquente; nella pratica liturgica si raccomanda di “pronunciare distintamente ogni singola parola rispettandone gli accenti ed evitando di sovrapporle o dividerle in due; di mantenere il medesimo criterio di articolazione del testo, affinché non risulti più veloce l’inizio rispetto alla metà o alla fine del versetto”. fragmentA 44 Dobbiamo ora mettere in evidenza l’affascinante figura della Madonna che, con il suo umile e semplice prestigio, ha notevolmente influenzato la pratica musicale nel Medioevo anche nelle sue contaminazioni tra sacro e profano. La purezza e la dolcezza di Maria condizionano la pratica vocale con la quale il suono cercato deve essere limpido e intimamente connesso alla parola, mediante gli accenti e le inflessioni ritmiche del linguaggio parlato e declamato. L’ottica con cui si possono affrontare brani sacri del periodo medioevale, è contrassegnata dalla raffinatezza vocale che riflette la filosofia e la retorica del canto cristiano romano. È proprio nel Medioevo che la figura della Madonna acquista grande prestigio anche come mediatio e intercessione tra l’uomo e Dio, rifugio delle aspirazioni umane alla ricerca di un sollievo spirituale che allontani le nefandezze terrene. Ne è una tangibile testimonianza il fenomeno della lauda dove è maggiormente in evidenza l’incontro tra sacro e profano e dove l’uomo comune cerca, con un suo linguaggio ancora rozzo e poco raffinato, di appropriarsi dei misteri spirituali e di una dimensione religiosa più comprensibile. Ritornando all’interpretazione musicale dei testi, dobbiamo centrare la nostra attenzione alle forme retoriche presenti nei brani dell’epoca medievale come nel caso dell’incipit dell’antifona gregoriana Alma redemptoris mater. È innegabile l’importanza di esecuzione di questo spunto melodico che prepara alla regalità e alla bellezza della figura mariana, la melodia parte dal basso e si staglia verso l’alto allo stesso tempo con forza e devozione. C’è un importante segno di paleografia gregoriana, il quilisma, che accentua questo movimento melodico tra la seconda e quarta nota. È importante considerare come la vocalità deve essere rispettosa di questi segni che esprimono indicazioni esecutive dove non può essere eclatante la forza sonora ma l’intenzione del cuore. Perciò rispettare un fraseggio dedicato al significato profondo del testo con una precisa intimità sonora che cerchi di cogliere la vera essenza della figura mariana. La testimonianza del canto gregoriano condiziona anche la polifonia medioevale a cominciare dall’epoca carolingia stessa (ca. 750 in poi). Il cantare a più voci rappresenta un’azione sul canto piano, ma non come fatto tecnico, semplicemente come amplificazione e ornamentazione dello stesso. Si cantava a più voci soprattutto nella pratica cristiana legata alla Chiesa di oriente. Il rapporto tra suono e parola è divenuto l’elemento sostanziale del canto gregoriano. Questa ornamentazione polifonica veniva fatta nel rispetto della sacralità degli intervalli sinfonici di 4-5-8; l’introduzione in Europa del primo organo idraulos potrebbe aver incoraggiato questa pratica. Lo studio interpretativo che viene portato avanti è basato fortemente su questa amplificazione polifonica del testo sacro; le voci sono continuamente alla ricerca dello sviluppo armonico naturale assecondando naturalmente la sovrapposizione acustica insita nel suono base generatore. Le fonti ci riportano una testimonianza di prassi esecutiva attraverso una codificazione piuttosto scarna e per nulla esaustiva sul rivestimento musicale del testo. È ormai assodato che insieme alle melodie tramandate nei codici, venissero usate forme di polifonia orale che scaturivano dalle varie tipologie di canto. Vi sono diverse tecniche di amplificazione orale: tenendo presente che cantare per 5ª o per 4ª o per 8ª non è una vera polifonia in quanto questi suoni sono armonici del suono generatore, la prima vera polifonia è rappresentata dal discanto, cioè far cantare una voce in contrapposizione melodica con la principale. Finché l’amplificazione polifonica segue lo sviluppo e l’articolazione testuale non vi sono problematiche legate all’andamento ritmico. L’invenzione ritmica rappresenta invece la vera novità dell’Ars Nova dove, soprattutto presso la Schola di Notre Dame, c’è l’esigenza di creare delle strutture ritmiche che potevano gestire la proliferazione degli organa melismatici sopra il canto fermo. L’arricchimento ritmico non deve comunque scombinare una certa purezza e trasparenza vocale che permette una corretta e comprensibile interpretazione del testo. Abbiamo precedentemente accennato al fenomeno popolare della lauda come genuina trasparenza della religiosità comune; a ciò possiamo affiancare le melodie tratte dal famoso Livre Vermeil che raccoglie le testimonianze musicali del pellegrinaggio medioevale alla Madonna Nera del monastero di Montserrat. Andare in pellegrinaggio era allora come oggi un’esperienza di forte rinnovamento spirituale. Il codice ci documenta sui miracoli della Vergine e sul pellegrinaggio presso il sacro sito. Era grande la sua fama pietosa e riconoscente che sempre un maggior numero di pellegrini salivano fino a Lei per lodarla e per chiederle perdono. Pare che l’esplosione delle emozioni accumulate dai pellegrini durante il viaggio fosse tale che, oltre a pregare la Vergine e a pentirsi fortemente, essi cantassero e danzassero. Come ci documenta questo codice, era data la possibilità ai fedeli di cantare e danzare con fervore popolare; ciò dimostra ancora come sia forte la contaminazione tra sacro e profano nel Medioevo. Anche 45 nell’interpretazione di queste musiche va rispettato il significato testuale e, come già precedentemente detto, tener conto dell’aspetto emozionale dell’evento dovuto dal luogo dove veniva perpetuato. A conclusione di questi spunti di riflessione sulla prassi esecutiva delle testimonianze musicali del Medioevo, possiamo ribadire lo spirito storico con cui avvicinarsi a questo repertorio, ma soprattutto la giusta coscienza nel calarsi a fondo negli stimoli sacri e profani che hanno generato questa cultura. Non è possibile interpretare qualche cosa che non fa parte della nostra spiritualità, lo studio di una corretta Nel Medioevo era forte la contaminazione tra sacro e profano. interpretazione delle fonti medioevali deve passare attraverso la parola e al suo significato più ampio che condiziona tradizioni e usanze sia colte che popolari. La parola e la musica narrano esperienze e testimonianze che vanno ben oltre una pura e semplice accezione estetica. ASSOCIAZIONE feniarco caput mundi anno di straordinario lavoro Feniarco. Anno che poi, come sappiamo, ha portato il presidente Fornasier a essere eletto alla guida dell’organismo internazione di Europa Cantat. Le proposte sempre discusse in toni sereni e collaborativi hanno riguardato le iniziative formative, culturali e di prospettiva che sono ormai elemento di operatività costante della federazione. Significativa la presenza ai lavori del Consigliere Provinciale Battaglia e dello stesso Assessore Regionale alla Cultura, l’On. Giulia Rodano, a testimonianza dell’apprezzamento delle locali istituzioni verso le iniziative culturali promosse dall’associazione che riunisce e coordina le attività dei cori laziali. Dopo un pausa che ha visto anche un piccolo momento di convivialità musicale con l’esibizione della 47 ha trovato nelle parole del presidente Fornasier una chiara illustrazione e il consenso unanime dei delegati. Il momento celebrativo del ventennale Arcl ha trovato sede naturale nel corso della cena di gala. Il presidente Vatri ha presentato i componenti del Consiglio Direttivo e della Commissione Artistica che annovera illustri maestri quali Ermanno Testi, Marina Mungai, Bruna Liguori Valenti, Tullio Visioli, Amedeo Scutiero, Piero Caraba, Remo Guerrini e Walter Marzilli e ha ricordato quale grande difficoltà di percorso trova un’associazione che si occupa di una nicchia musicale scarsamente seguita dai media e per di più che opera in una Roma dove si concentra non soltanto l’attività politica, bensì anche quella culturale e sociale di tutta la nazione. assemblea nazionale Cronache dall’assemblea nazionale Roma, 20-21 marzo 2010 di Puccio Pucci I delegati regionali che da tempo vivono l’esperienza Feniarco hanno avuto modo, nel recente passato, di essere ospiti di località e regioni diverse, quali sedi delle annuali assemblee, tutte fascinose e interessanti. Dalla Sicilia alla Val d’Aosta, le associazione regionali della federazione hanno offerto ai colleghi occasioni di ospitalità, sempre contrassegnate da quel tocco di regionalità che le distingueva le une dalle altre, grazie anche alle accorte regie di chi le organizzava. I lavori assembleari, che spesso hanno impegnato i delegati sin dal venerdì e per tutto il weekend, sono stati stemperati, nelle pause, dagli incontri informali, punteggiati sovente da intrattenimenti musicali che hanno dato anche ai momenti conviviali un particolare sapore di festa e di relax. La conoscenza reciproca si è venuta a cementare e approfondire per l’apporto di un gruppo di consorti che, condividendo l’esperienza della coralità dei loro mariti, hanno contribuito a fare della Feniarco una vera affiatata famiglia con la loro presenza costante, collaterale a queste riunioni. Certo per l’Assemblea di primavera 2010, essere ospiti della Arcl, l’Associazione Regionale Cori del Lazio, e della grande capitale ha creato davvero una pressante attesa perché il fascino di Roma, con quanto questa città si porta alle spalle da tremila anni, donava all’evento un sapore di scoperta e rivisitazione, unitamente al fatto che si celebrava anche la festa ventennale dell’associazione che ci ospitava. Quindi attraversare a piedi vie famose, per averle viste spesso alla ribalta della cronaca, con monumenti straordinari che ti scivolano accanto come la Chiesa di Santa Maria Maggiore, il Foro e la svettante colonna di Traiano, la superba Torre delle Milizie, mentre ti apprestavi a essere ospitato nella sala di Palazzo Valentini, sede della Provincia, ti dava un senso quasi di timidezza; non c’è che dire, ci siamo resi subito conto che il gruppo degli amici, guidati dal presidente Vatri e dal suo collaboratore vicepresidente Silvetti, aveva fatto le cose in modo davvero esemplare. I lavori dell’assemblea hanno così avuto inizio il sabato 20 e l’atmosfera è stata subito distesa e partecipativa nell’esaminare argomenti impegnativi e delicati quali i bilanci, che rappresentano il consuntivo economico di un feniarco fresca vocalità del Coro Vivaldi, ci è stato presentato, attraverso un video magnificamente montato, lo spaccato della festa corale di Europa Cantat a Utrecht, una premessa convincente di quanto potrà e dovrà essere quella che Feniarco sta preparando per Torino 2012. L’andamento delle iniziative e degli incontri già fatti e di quelli programmati per questo grande evento Discorso ben noto a tutti i delegati che trova rare eccezioni; del resto il fermento visto in giro a sera con tre megariunioni sociopolitiche contemporanee nel pomeriggio e una maratona da ventimila partecipanti programmata per la domenica, ci aveva stordito non poco. Per onor di cronaca, a fine cena un imprevisto incidente occorso a un delegato e che si è ASSOCIAZIONE 48 LA PROFESSIONALITÀ DEGLI AMATORI Considerazioni a margine dell’assemblea di Roma di Sandro Bergamo La musica corale non è più marginale nella cultura italiana. Sono molti i segnali in questo senso. Il crescere della coralità giovanile, e scolastica in particolare; il successo crescente, smentendo ogni timore e previsione della vigilia, del Festival di Primavera, che quest’anno supera le 1200 presenze; l’interesse di importanti riviste musicali nazionali, dove la produzione corale trova e troverà, negli articoli e nei cd allegati, sempre più spazio. Un sogno a lungo coltivato si va facendo realtà. Di semestre in semestre, questo registrano le assemblee nazionali di Feniarco: e i bilanci, non solo quelli economici, sono positivi. Anche le iniziative promosse in sede ministeriale, pur non essendo ancora approdate a nessun provvedimento legislativo, testimoniano comunque che le istituzioni si sono accorte del mondo amatoriale e dell’importanza che riveste nella formazione culturale del paese. È stata anche l’occasione per un dialogo tra le organizzazioni corali, bandistiche e folkloristiche, che non mancherà di dare i suoi frutti nei prossimi anni. Questa crescita della coralità italiana e della sua capacità operativa, di fare sistema, viene percepita e apprezzata anche all’esterno. Come è stato sintetizzato dal vicepresidente Alvaro Vatri, poco più di un anno fa vivevamo come un sogno la possibilità che Torino vincesse la candidatura a Europa Cantat 2012: oggi festeggiamo un italiano alla presidenza di Europa Cantat. Una vicenda, quella della sua elezione, rievocata da Sante Fornasier in apertura dei lavori dell’assemblea nazionale di Roma. Un bisogno di cambiamento che si è espresso in maniera inattesa riversando i voti su un italiano, ben inserito nel board dell’associazione europea, ma con un profilo diverso da quello tipico del presidente di EC. Si può dire che in qualche modo Feniarco è diventata un modello per l’Europa corale. Naturalmente è un impegno, che finisce per assorbire tempo e risorse e oggi sottopone a notevoli sforzi la struttura della nostra associazione. Questo avviene in un momento non facile dal punto di vista economico: si riducono i finanziamenti pubblici, diminuiscono le disponibilità delle fondazioni e degli sponsor privati; in sostanza, mentre cresce il ruolo di Feniarco e si ampliano le competenze, non altrettanto si può dire delle risorse. L’oculata gestione degli anni passati ha consentito di superare il 2009 e aiuterà senz’altro a gestire il 2010. Tre elementi, quali che siano le risorse, emergono comunque irrinunciabili dall’assemblea di Roma: – la qualità, che deve essere caratteristica di ogni momento del nostro agire: dalla grafica all’accoglienza, dalla collocazione in contesti adeguati all’organizzazione. È un aspetto emerso in particolare nella discussione relativa alle linee guida per festival e concorsi patrocinati da Feniarco, un settore nel quale andava messo un po’ d’ordine, come emerso già dall’assemblea di Castel San Pietro lo scorso anno. Ma la qualità che pretendiamo per dare il patrocinio la dobbiamo anzitutto offrire: è la forma prima di comunicazione, ma è soprattutto un costume, un abito mentale indispensabile per approdare all’obbiettivo finale, alla qualità della musica e della sua esecuzione; – la rete delle competenze, frutto di una azione comune e del senso di appartenenza: l’incontro tra le capacità individuali e un sistema in grado di valorizzarle, va a beneficio di entrambe; il sistema realizza efficienza, il singolo trova risonanza alla sua qualità. È il caso, per esempio, del Coro Accademia Feniarco, costituito e preparato con grande rapidità dal maestro Alessandro Cadario, dimostratosi compagine di notevole qualità che si riproporrà in altre occasioni, a partire dal Festival di Primavera; – la comunicazione, che rimane una delle preoccupazioni primarie della nostra associazione e sulla quale riusciamo un po’ alla volta a ottenere qualche risultato. La qualità delle proposte, l’utilizzo della rete di competenze che la nostra associazione è in grado di reperire al suo interno ottengono un po’ alla volta il risultato di far passare il nostro messaggio. Sempre più spesso anche gli organi di informazione si accorgono dell’esistenza della musica corale e identificano nella nostra associazione il punto di riferimento. La stampa dell’associazione, Choraliter e Italiacori.it, assieme al lavoro che si sta compiendo per armonizzare i siti internet delle associazioni regionali, sono gli strumenti principali di questo lavoro. Forse è necessario far crescere ancora nella base, tra i coristi, un maggior senso di appartenenza e la consapevolezza di far parte di un importante movimento. In sintesi, lo slogan potrebbe essere “con professionalità, al servizio della coralità amatoriale”: questa la linea tracciata dall’assemblea nazionale di Roma, linea che accompagnerà la federazione agli impegni dei prossimi anni, in testa ai quali c’è il grande appuntamento di Torino 2012, in cui la coralità italiana, con queste premesse, può e deve dare il meglio di sé. felicemente risolto con una volata al pronto soccorso, conclusasi a notte fonda, ha costretto gli organizzatori a rimandare la prevista gita Roma by night, cosicché la visita ai tanti monumenti illuminati è rimasta solo dei nostri sogni. Non meno interessante anche la sezione domenicale dell’assemblea che, iniziata puntualmente alle 9, ha trattato e definito i progetti e le numerose iniziative da realizzare, tra cui il Festival di Salerno, che l’Associazione dei Cori della Campania è riuscita a organizzare sin da quest’anno, e quelli in fieri di Bolzano e Stresa. Iniziative a cui sono state date precise linee guida, che cercheranno soprattutto di valorizzare le qualità dei cori partecipanti, differenziandosi così dalle tante organizzazioni che invece fanno unicamente leva sulla valorizzazione turistica dei luoghi in cui sono organizzate. Sono stati anche discussi e approvati i nuovi progetti APS, che Feniarco riesce con tenacia a programmare ogni anno, grazie alla grande operatività del gruppo dei collaboratori della segreteria, preziosi in ogni frangente; iniziative dalla struttura di rendicontazione complicatissima, ma che hanno già dato risultati di straordinario valore culturale: citiamo quello recentemente concluso inDirection, che ha interessato ottanta direttori di coro e quelli in avvio Archivicorali. net e Armonia di voci, riservato a esperienze musicali delle nume-rose minoranze etniche presenti in Italia. Così facendo, l’assemblea ha dipanato il complesso ordine del giorno che si era data e poco prima di pranzo ha concluso felicemente i lavori, partecipando anche alla gioiosa festa musicale organizzata dall’Associazione Cori del Lazio, che ha visto la presenza di tantissimi direttori ai quali il presidente Vatri ha consegnato il diploma del ventennale: un’artistica composizione che si rifà alla michelangiolesca nascita dell’uomo come espressione del dono dello spirito vitale che è intelligenza, cultura, espressività e quindi musica. Graditissima la presenza di un gruppo giovanile romano, il Cantering, che, con alcuni brani formalmente perfetti e cantati con la spontaneità propria dei giovani, ci ha ricordato, con un delizioso canto popolare laziale, che “la vita nun è vita, quando manca la munita!” Al brindisi finale il presidente Vatri, citando Seneca, ci ha ricordato che il tempo è cosa da non far trascorrere con leggerezza, perché se è vero che noi “moriamo un po’ ogni giorno”, dobbiamo comunque tener ben stretto il nostro tempo. È un augurio di buon lavoro per il tempo, tantissimo, che ancora si presenterà avanti a noi. Per completare il quadro straordinario di queste giornate romane, non possiamo non esprimere i complimenti più sinceri a tutto lo staff organizzativo che ci ha permesso una permanenza deliziosa: un grazie particolare al gruppo delle numerose signore che hanno sovrainteso, con competenza e gentilezza, all’intrattenimento degli accompagnatori, contribuendo a quel clima di serena amicizia cui abbiamo già accennato. E un grazie a Roma, che abbiamo sentito davvero come nostra grande e splendida capitale. 49 Il presidente Fornasier con il Coro Vivaldi di Roma Feniarco è diventata un modello per l’Europa corale. 50 Sperimentazione e valorizzazione Nuovi progetti Feniarco di Annarita Rigo Parlare di Feniarco significa porre l’attenzione sulla coralità italiana e sugli oltre 2.400 cori che, tramite le rispettive associazioni regionali, fanno riferimento a essa. Tra i compiti della federazione nazionale primeggia quello di sviluppare un associazionismo capace di promuovere con successo gli obiettivi della coralità fra testimonianza del passato e ricerca di nuove forme di espressione culturale e artistica in un quadro nazionale e internazionale in continua trasformazione. In questa prospettiva Feniarco da diversi anni promuove rilevanti progetti e iniziative che, grazie anche al riconoscimento ottenuto come Associazione di Promozione Sociale (Aps), vengono approvati e sostenuti dalle istituzioni. Su questa linea si è appena concluso positivamente inDirection, un innovativo progetto di ricerca dedicato totalmente al complesso ruolo del direttore di coro e i cui risultati, raccolti in un volume, saranno oggetto di discussione durante il VI Convegno Nazionale delle Commissioni Artistiche Regionali che si terrà il 22 e 23 maggio a Villa Manin di Passariano, Udine. Gli ingranaggi sono ben oliati e la macchina corre verso nuovi orizzonti da conquistare. Infatti, mentre si valorizzano i risultati dell’iniziativa appena conclusa, per il 2010 hanno già preso avvio due nuovi progetti che coinvolgeranno la coralità italiana, Armonia di voci e Archivicorali.net, entrambi sostenuti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il progetto Armonia di Voci volge lo sguardo al variegato e ampio mondo cultural-musicale dei gruppi linguistici minoritari presenti in Italia e prevede la realizzazione, in sinergia con le associazioni regionali corali, di un Festival nazionale delle minoranze linguistiche, un importante momento di incontro e confronto con queste realtà e le loro ricche tradizioni. La Repubblica Italiana è uno dei pochi paesi europei che esplicitamente tutela, nella sua Costituzione, le minoranze linguistiche. La legge n. 482 del 15 dicembre 1999, in attuazione dell’art.6 della carta costituzionale, disciplina in forma organica la tutela della lingua e della cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Il principio cardine su cui poggia la normativa è che le diversità linguistiche costituiscono per l’Italia e per l’Europa una preziosissima risorsa: “la tutela e la promozione delle lingue minoritarie rappresentano un contributo importante per l’edificazione di una Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale” (Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie - Strasburgo, 5 novembre 1992). Tali realtà sono molto vive in ambito sociale, civile e artistico-culturale. Non si tratta di folclore o di mera tradizione, ma di gruppi dalla forte connotazione identitaria, come dimostrato dalla ricchezza e dalla vivacità intellettuale delle loro manifestazioni, delle documentazioni prodotte, degli studi antropologici ed etno-musicologici effettuati. Feniarco, con l’attuazione di questo progetto, intende dare un significativo contributo alla valorizzazione e alla conoscenza di questo ricco patrimonio in ambito musicale e segnatamente corale attraverso l’organizzazione di un festival di rilievo nazionale che possa rappresentare un ulteriore apprezzabile ponte comunicativo fra diverse culture, usi e tradizioni, costituendo un evento di prestigio nell’intero scenario corale e culturale del Paese. Grazie all’attiva collaborazione delle associazioni regionali verranno individuate sia le formazioni corali che più propriamente si identificano nell’ambito delle minoranze linguistiche dislocate sul territorio nazionale, sia i luoghi che ospiteranno i diversi concerti. Il festival, che non ha finalità competitive, si terrà nel corso del 2010 e vedrà ASSOCIAZIONE l’organizzazione di una dozzina di concerti dislocati sul territorio nazionale, nelle rispettive aree di interesse, con un epilogo che raggrupperà i cori e i gruppi che si saranno particolarmente distinti in occasione degli appuntamenti territoriali. Sarà un excursus su repertori di particolare interesse, sconosciuti ai più, nonché un confronto interculturale di portata nazionale. Parallelamente ad Armonia di voci troverà attuazione, sempre nel 2010, Archivicorali.net. Un’iniziativa ambiziosa e innovativa che ha l’obiettivo di creare un grande archivio della coralità italiana per documentarne la ricchezza, favorirne la valorizzazione e diffonderne gli esiti. Presso le sedi delle associazioni regionali e dei cori si trova un inestimabile patrimonio biblio-discografico e la federazione nazionale ritiene opportuna la predisposizione di uno strumento in grado di raccogliere, in un unico luogo, questo “capitale” e di metterlo a disposizione degli associati. Tutto ciò sarà possibile grazie alla progettazione e strutturazione di una vera e propria biblioteca virtuale della coralità italiana che sia facilmente fruibile e consultabile da tutti. Dopo aver censito le realtà corali dislocate sul territorio nazionale con la realizzazione di un’apposito database online, di facile utilizzo, in cui sono contenute le informazioni di tutti i cori aderenti, le loro manifestazioni, i repertori e le notizie relative alle loro attività (progetti Coralmente e Feniarco: solo coralità…), la federazione nazionale ha pensato di proseguire nell’ottica dell’informatizzazione proponendo la creazione di un database degli archivi (raccolte di materiali musicali editoriali e sonori) della coralità amatoriale, organizzato secondo criteri omogenei e funzionali, da mettere a disposizione di tutti gli operatori del settore e non solo, consentendo loro di attingere, comodamente e velocemente, a informazioni e in grado di offrire spunti progettuali utili alla messa in cantiere di nuove iniziative. Nello specifico verranno raccolti i cataloghi delle biblioteche già esistenti presso alcune associazioni regionali e i libri, le musiche, i video e anche le incisioni edite dai singoli cori e dalle stesse associazioni regionali corali (in riferimento alle modalità di raccolta del materiale editoriale e discografico da parte dei cori si rimanda alla comunicazione in allegato a questo numero di Choraliter). Successivamente, tutto il materiale giunto a Feniarco dalle realtà territoriali verrà fisicamente inserito nella biblioteca della federazione e, dopo un preziosissimo e impegnativo lavoro di catalogazione informatica, andrà a formare la biblioteca virtuale della produzione corale italiana. Il catalogo digitalizzato verrà messo in rete e sarà consultabile online, da chiunque ne fosse interessato, tramite i siti di Feniarco e delle rispettive associazioni regionali. In linea con lo spirito che anima l’intera proposta progettuale, e cioè di un proficuo sperimentalismo, ci si attende che, dopo la messa in rete dell’archivio, lo stesso diventi strumento di lavoro per tutta l’associazione e possa quanto prima trovare adeguato spazio anche tra i riconosciuti sistemi bibliografici nazionali. Inoltre, grazie a questo strumento innovativo, anche le generazioni più giovani potranno facilmente approcciarsi a un’esperienza longeva come quella della coralità in Italia. Armonia di voci e Archivicorali.net: non semplici progetti, piuttosto due nuove sfide per Feniarco che troveranno piena realizzazione grazie alla partecipazione attiva e consolidata della base associativa, “linfa vitale” della federazione stessa. 51 6° Convegno nazionale delle commissioni artistiche regionali Villa Manin di Passariano, Codroipo (Ud) 22-23 maggio 2010 Si terrà il 22 e 23 maggio nella prestigiosa cornice di Villa Manin a Passariano (Ud), grande contenitore artistico e culturale della regione Friuli Venezia Giulia, il 6° Convegno Nazionale delle Commissioni Artistiche Regionali. Durante l’incontro verrà presentato ai presidenti delle commissioni artistiche regionali e ai loro delegati il report finale del progetto InDirection. inDirection La gestione delle dinamiche interpersonali di un coro Relatori: prof. Fabiana Gatti Psicologa e docente della facoltà di psicologia e dell’interfacoltà lettere / filosofia / economia / sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dott. Simone Scerri Psicologo e collaboratore del Centro studi e ricerche di psicologia della comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Il programma sarà così articolato: sabato 22 maggio 2010 ore 15.00-19.00 convegno ore 20.30 cena domenica 23 maggio 2010 ore 9.00-13.00 relazioni delle commissioni artistiche regionali ore 13.30 pranzo Ulteriori informazioni sul sito www.feniarco.it CRONACA 52 UNA BIBLIOTECA CORALE VIRTUALE Musica International Workshop di Jean Sturm e Giorgio Morandi Musica International è l’associazione che produce, gestisce e diffonde il progetto di banca dati denominato Musica; un progetto che attualmente propone al mondo corale mondiale la reperibilità immediata – sotto ogni aspetto – di oltre 150.000 partiture corali di tutto il mondo. Un progetto che prossimamente coinvolgerà direttamente il nostro territorio con l’organizzazione, in Lombardia, di un workshop di rilievo internazionale. Cerchi un mottetto in tedesco per 6-8 voci del XVII secolo? O vuoi un brano per coro femminile e orchestra d’archi in inglese e che duri meno di 10 minuti, preferibilmente del XVIII secolo? Musica, la banca dati internazionale del repertorio corale mondiale (www.musicanet.org) in pochi istanti può darti un’indicazione completa e corretta: uno spezzone di partitura per darti un’idea del pezzo, una buona esecuzione dello stesso, la dizione e la traduzione del testo in più lingue, la biografia dei musicisti coinvolti (compositori, arrangiatori) e altro ancora. La banca dati – progetto ufficiale di Ifcm, la Federazione Mondiale per la Musica Corale – è in continua evoluzione. Al momento può rispondere alle vostre domande su oltre 150.000 composizioni corali di tutto il mondo nelle lingue francese, inglese, tedesco e spagnolo. Musica opera sulla base di “parole chiave”, livello di difficoltà per il coro, livello di difficoltà per il direttore di coro, voci, strumentazione, paese del compositore, secolo della composizione e altro ancora, tutto in aggiunta ai campi bibliografici standard (compositore, titolo, autore del testo, editore, ecc.). Tutti questi campi permettono una ricerca molto ampia e dettagliata. La creazione di questo fantastico strumento si realizza grazie alla collaborazione fra direttori di coro, documentalisti musicali, editori, compositori… che per una settimana si incontrano arricchendosi reciprocamente delle conoscenze individuali e trovandosi tra le mani musiche poco o per nulla note. Docenti dell’associazione Musica sono presenti tutta la settimana per garantire il buon funzionamento del programma informatico, per far apprendere ai partecipanti la tecnica per il MUSICA INTERNATIONAL Assemblea 20.03.2010 di Giorgio Morandi In concomitanza con l’assemblea della Feniarco svoltasi a Roma il 19 e 20 marzo, a Stoccarda, presso la sede dell’importante editore corale Carus Verlag, ha avuto luogo l’assemblea annuale di Musica International. Esplicate tutte le formalità e assolti i compiti istituzionali dell’assemblea (presentazione, discussione e approvazione della relazione del presidente Dolf Rabus; presentazione, discussione e approvazione dei bilanci consuntivo 2009 e preventivo 2010), l’assemblea ha continuato con l’elezione/ integrazione di alcuni membri del Consiglio Direttivo (proponendo esplicitamente un consigliere italiano) e con la conferma in blocco dei revisori dei conti in scadenza di mandato. In questa occasione il presidente ha annunciato la sua intenzione di portare a termine il suo mandato tra un anno, ma di non avere intenzione di ripresentare la sua candidatura. Esaminati in modo specifico altri tre punti all’ordine del giorno: Strategie, progetti e sviluppo futuro dell’associazione Alcuni membri dell’assemblea chiedono di poter avere un piano d’azione annuale e un piano d’azione quinquennale specifici, con indicazione di dati programmatici completi sia dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista della tempistica. Il Direttore Esecutivo Jan Sturm propone la redazione del documento “Musica come era; Musica come è; Musica come sarà sulla base delle prospettive possibili oggi.”. Nell’ambito di questo argomento la presidenza chiede all’assemblea di esprimere il proprio parere circa l’opportunità (già discussa a livello di Consiglio Direttivo) di creare delle sezioni nazionali o regionali (continentali) di Musica 53 recupero e l’inserimento dei dati e l’esecuzione delle ricerche in modo ottimale. Il successo di una Musica Session dipende da molteplici fattori: – lavorare per una settimana è efficace al fine di inserire nuovi dati in grande quantità in un breve lasso di tempo; – lavorare in équipe significa apprendere molto dagli altri; – lavorare in équipe è anche il piacere di scoprire nuovi brani corali, per caso (con una lettura a prima vista), mentre si scambiano battute amichevoli e divertendosi, insomma vivendo buoni momenti e conoscendo nuovi amici/ colleghi; – lavorare nella banca dati con l’équipe di Musica, che è disponibile ad aiutarvi nelle ricerche più complesse, regala l’occasione eccezionale di ottimizzare il vostro lavoro mettendovi in grado, in futuro, di poter inserire autonomamente le vostre musiche (“vostre” perché da voi o per voi composte, “vostre” perché da voi scelte e amate) e vi aiuta a trovare delle idee per compilare programmi tematici di concerti futuri sempre più interessanti e originali. Come si svolge una sessione di Musica? La compilazione di una fiche documentaria si fa… partitura alla mano e consiste nell’inserire i dati bibliografici classici, ma anche informazioni musicali, dati tecnici, livello di difficoltà (per il coro e per il direttore di coro), la registrazione della corretta pronuncia del testo, la traduzione, ecc… La prima mattina è dedicata alla presentazione dettagliata della banca dati e all’apprendimento delle regole che governano il progetto Musica. Successivamente e gradualmente i partecipanti vengono lasciati a se stessi, ma sotto il controllo degli esperti che li aiutano a essere presto autonomi ed efficaci sia nell’inserimento dei dati, sia nella ricerca, e in genere nell’utilizzo concreto e completo (sfruttando la massima potenzialità) dello strumento Musica. International Association, aventi lo scopo principale di promuovere localmente, con maggiore efficacia, la conoscenza e la diffusione del progetto Musica, soprattutto presso università, conservatori, biblioteche, grandi editori, ecc. Musica Sessions, Festivals, Symposia del 2010-2011 Su proposta del presidente Dolf Rabus l’assemblea delibera per il 2010 l’opportunità di organizzare non più di due edizioni del laboratorio Musica, evidenziando quella ormai certa che avrà luogo a Strasburgo a metà giugno e una edizione in Italia che è in fase di studio e organizzazione. Tra i festival in cui Musica International Association sarà presente vengono elencati il festival Sing - Day of Song a Dortmund (Germania, 4-5 giugno); il festival Choral International di Neuchatel (Svizzera, 7-10 luglio); il festival Pécs Cantat 2010 (Ungheria, 15-22 agosto), il 20e Choralies di Vaison la Romaine (Francia, 2-10 agosto). Musica International Association parteciperà al IX World Choral Symposium a Puerto Madryn (Argentina, 3-10 agosto 20011). Data e luogo per l’assemblea generale del 2010 Sull’ipotesi di Lyon proposta all’assemblea da un membro del Consiglio Direttivo, il rappresentante dell’associazione corale francese A Coeur Joie France dà la disponibilità e accetta la proposta. Come data di svolgimento l’assemblea indica il periodo di metà marzo 2011. Per alcuni eventi facenti riferimento a situazioni non ben definite e in via di sviluppo, l’assemblea accetta che la discussione e/o definizione alla luce dell’evoluzione delle situazioni venga ripresa in occasione della prima riunione del Consiglio Direttivo di Musica International già programmata per il prossimo mese di agosto a Vaison la Romaine. Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39 tel. 0434 876724 - [email protected] - www.feniarco.it 54 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 In generale gli orari sono stabiliti di comune accordo all’inizio della “sessione”, ma siete liberi di stabilire l’utilizzo del vostro tempo anche in relazione alla disponibilità dell’aula informatica. Quale musica si inserirà? I partecipanti potranno portare le loro musiche preferite, oppure censiranno quelle fornite dall’organizzazione o da Musica International stessa. Ma tutto ciò ha l’aria di essere un lavoro! Sì, in un certo senso lo è, ma è pure molto arricchente e formativo, tanto che molti partecipanti di workshop precedenti tornano a ripeterli più volte e in paesi diversi. Del resto Jean Sturm (Direttore Esecutivo e creatore di Musica) che solitamente gestisce personalmente la “sessione”, sa come creare rapidamente un’atmosfera piacevole e amichevole grazie al suo senso innato dell’ospitalità e sa far sì che tutti i partecipanti siano animati dallo stesso obiettivo di contribuire a un progetto universale collettivo. E così anche il lavoro diventa parte del piacere. I partecipanti sono invitati a frequentare tutta la sessione. Eccezionalmente, se qualcuno può essere presente soltanto alcuni giorni, faccia in modo di essere presente nei primi giorni quando viene fornita l’istruzione di base (che nella settimana non potrà poi essere ripetuta). A chiunque lo richieda sarà rilasciato un certificato di partecipazione. Cosa bisogna portare? 1. Le vostre partiture preferite che non siano già nella banca dati; un editore può portare tutte le sue partiture pubblicate, un compositore può portare tutte le sue composizioni… 2. I vostri cd di canto corale preferiti, per illustrare e documentare meglio e più chiaramente le caratteristiche multimediali di Musica. 3. Se il peso lo permette, tutto il materiale che potrebbe risultare utile per il lavoro con Musica: dizionari linguistici e musicali, un cronometro… senza dimenticare ciò che può dare “dolcezza” all’esperienza del vivere insieme il progetto Musica: del buon vino, del cioccolato, delle caramelle, qualche dolce locale che i vostri colleghi apprezzeranno molto. 0 0 0 1 5 O C R A I N FE E P Risultato concreto finale raggiunto: l’inserimento nella banca dati corale mondiale Musica di qualche migliaio di partiture della “nostra” (in tutti i sensi) musica che viene così messa a disposizione della coralità mondiale, promuovendo l’estro artistico dei nostri musicisti e l’opera dei nostri editori. Maggiori dettagli sui workshop di Musica sono disponibili in: www.musicanet.org/en/workshops.php. Briciole Musica-li Non si può dimenticare che Musica diventa anche potente strumento pubblicitario e di immagine (a costo zero!) essendo gli editori e le associazioni proprietari delle musiche ampiamente (e giustamente) evidenziati nelle pagine di Musica ogni volta che viene evidenziata una “loro” partitura. Solitamente chi è interessato a partecipare a un workshop di Musica può farlo in qualsiasi paese la “sessione” venga organizzata e ogni volta che questa esperienza lo interessa. Nel corso del 2010 Musica International organizzerà due edizioni di Musica, uno in Francia a Strasburgo, nei giorni dal 8 al 14 giugno, mentre il secondo è allo studio per la realizzazione in Italia, in una città della Lombardia. Notizie saranno fornite al più presto. Musica International Association durante il Festival “20e Choralies” di Vaison La Romaine (2-10 agosto 2010) e durante il 9º Symposium Corale Mondiale di Puerto Madryn (Argentina, 3-10 ottobre 2011) intende proporre un workshop speciale denominato Come, input and go (Vieni, inserisci e vai) per offrire a direttori di coro, compositori ed editori presenti la possibilità di inserire partiture o di fare ricerche con l’assistenza costante ed esperta dei tecnici di Musica. La banca dati Musica (al momento: 150.000 partiture corali, 25 mila biografie di musicisti di tutto il mondo) è acquisibile da chiunque nei seguenti modi: – utilizzo privato: acquisto Dvd-rom o accesso a banca dati Musica via internet mediante password personale; – utilizzo professionale: associazioni corali, biblioteche (musicali o non solo), università e conservatori attraverso il loro sito dedicato possono ottenere senza password l’accesso privilegiato alla banca dati. È possibile sostenere Musica e la sua associazione diventando fan in facebook: www.facebook.com/pages/ Musica-international/117584693914. 5x1000 5x1000 5x R 10005 10005x ia l a t i n i e l a i r lità amato la cora x10005 x10 005x1 005x10 0005x1 00 05x10 05x100 005x10 Sostieni FENIARCO e firma nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi riservato al sostegno delle Associazioni di Promozione Sociale (A.P.S.) che trovi nei modelli 730, UNICO e CUD, indicando a fianco il nostro codice fiscale: 92004340516 www.feniarco.it 00 REGIONI 56 57 Notizie dalle regioni A.R.C.C. Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe Un nuovo periodico per i cori campani Il 30 gennaio 2010, presso il Grand Hotel Salerno, si è riunita l’Assemblea dell’Arcc: un’assemblea ricca e serena, con la presenza di 28 corali. Si è discusso del Festival Nazionale Corale di Salerno e del Concorso Nazionale di Composizione. Si è preso atto con piacere che il numero degli associati aumenta di anno in anno grazie anche all’ottimo lavoro d’insieme che il presidente Pepe ha saputo stimolare nei cori associati; allo stato attuale, infatti, sono 37 le formazioni iscritte e si prevede di superare agevolmente il numero di 40 associati entro la fine dell’anno 2010. Stabilita anche la pubblicazione di un trimestrale dal titolo InformARCC il cui direttore responsabile sarà il giornalista Amedeo Finizio già addetto stampa dell’Arcc. Il periodico sarà stampato in 2000 copie che saranno inviate a tutti i cori regionali iscritti e alle associazioni che ne faranno richiesta; a ogni formazione corale saranno inviate circa 20 copie, in modo da poter consentire anche ai cantori di prenderne visione. A.R.C.L. Associazione Regionale Cori del Lazio Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma Presidente: Alvaro Vatri Buon compleanno, Arcl! Il 20 e 21 marzo, presso Palazzo Valentini (sede della Provincia di Roma) e il Centro Congresso Cavour, l’Assemblea Nazionale di Feniarco si è riunita per la prima volta a Roma, nell’anno del ventennale dell’Arcl. La presenza delle autorità istituzionali provinciali e regionali ha dimostrato la crescente attenzione verso il ruolo che l’associazione svolge nel tessuto culturale e sociale della regione, ruolo che è ancora in attesa di un riconoscimento legislativo. A conclusione dei lavori, i presidenti dei cori aderenti all’Arcl hanno ricevuto dal presidente Fornasier un diploma a ricordo dell’evento. Ben nutrita la presenza, con oltre 100 partecipanti, al secondo incontro de “Il coro bene intonato” sul tema Problemi di intonazione e vocalità del coro: come riconoscerli, come affrontarli, tenutosi il 20 e 21 febbraio presso l’Università La Sapienza. Il seminario, tenuto dal docente Dario Tabbia, è stato occasione di approfondimento del lavoro avviato l’anno scorso, ripartendo dalle basi teoriche già premesse, nonché di un’accurata riflessione sui fondamenti dell’intonazione. Il repertorio di studio, a voci miste, è stato proposto dal maestro Tabbia scelto tra brani di larga diffusione, di epoche e ambiti diversi. Per due formazioni corali al completo è stato possibile dedicare una sessione del seminario al confronto sulle tematiche in via di svolgimento, tramite l’esecuzione di un brano del proprio repertorio. Prodotto dall’Anonima Armonisti e patrocinato dall’Arcl, si è svolto il 17 gennaio VokalFest, “raduno” di musica vocale a Roma che ha visto la partecipazione di dieci formazioni corali. Il progetto nasce con il proposito di radunare i giovani appassionati del canto d’assieme, dando loro un’occasione di visibilità e di reciproca conoscenza, in un contenitore “dedicato” (la Stazione Birra) ben conosciuto dagli appassionati di pop e jazz, particolarmente attrezzato dal punto di vista tecnico. L’Arcl annovera tra i propri cori associati ben sei compagini istituzionalmente “di montagna”, in quanto emanazioni delle due istituzioni (il C.A.I. - Club Alpino Italiano, e l’A.N.A. - Associazione Nazionale Alpini) che salvaguardano e promuovono la cultura e la tradizione alpina italiana. Grazie alla disponibilità del Coro “Saraceni” degli universitari di Roma, abbiamo avuto l’occasione di offrire loro una prestigiosa cornice per manifestazione “Lassù sui monti”, che il 5 febbraio presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza ha permesso di approfondire la conoscenza reciproca, di consolidare lo spirito di appartenenza associativo, ma soprattutto di assaporare le atmosfere evocate dai vari brani in repertorio in quel clima di vicinanza e cameratismo peculiare del “mondo montano”. A.R.CO.M. Associazione Regionale Cori Marchigiani Via Panoramica Ardizio, 95 - 61100 PESARO Presidente: Aldo Cicconofri Due x due: formazione e concerti nelle Marche Due proposte formative interessanti hanno impegnato l’Arcom in questo inizio d’anno. Nel mese di febbraio, a Loreto, si è tenuto un corso di formazione sull’apprendimento del sofware “Finale”: il corso, tenuto dal docente Giuliano Viabile, è valso come primo approccio per alcuni e approfondimento per altri circa la conoscenza di tale programma di scrittura musicale, molto utile per la trascrizione di brani musicali in genere e specificatamente per coro. Tutt’altro tema è stato invece affrontato nell’ambito del corso di formazione “Il coro nella liturgia”, rivolto a direttori di coro e animatori liturgici, che il 6 e 7 marzo a Macerata ha coinvolto 18 partecipanti sotto la guida del docente don Valentino Donelli, il quale ha affrontato i principi generali riguardanti l’attività corale in chiesa, per poi condurre un laboratorio di analisi di una quindicina di brani sacri, puntualizzando il loro valore artistico e rituale e la loro concreta inseribilità nel contesto celebrativo. Il corso è stato seguito dai presenti con interesse e profitto. Due anche le rassegne che hanno recentemente coinvolto i cori associati delle Marche: Puer natus est, manifestazione corale regionale, ha visto tra il 12 dicembre e il 6 gennaio la realizzazione di 13 concerti corali incentrati su canti e tradizioni natalizie della regione, con la partecipazioni di quasi quaranta gruppi corali, tra cui un coro ospite da L’Aquila, invitato appositamente nell’ambito del “progetto per l’Abruzzo”, dopo i luttuosi eventi sismici; Picenincoro, manifestazione giunta alla sua XIV edizione, ha invece coinvolto 33 cori del territorio piceno in una rete di 14 concerti articolatisi tra agosto 2009 e gennaio 2010. U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 39 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Sante Fornasier Grazie Sante; buon lavoro, Franco! A seguito della recente e importante elezione alla presidenza di Europa Cantat, il Presidente Sante Fornasier – dopo sedici anni trascorsi alla guida dell’Usci Friuli Venezia Giulia – passa il testimone. È questa una scelta che nasce dall’impegno sempre maggiore richiesto a livello nazionale ed europeo, anche in vista dell’importante appuntamento con il Festival Europa Cantat a Torino nel 2012. Un impegno che va di pari passo con la competenza, la lungimiranza e i meriti che in questi anni il presidente Fornasier ha saputo dimostrare prima di tutto alla coralità regionale, estendendo poi la sua strategia, il suo orizzonte di pensiero e il suo metodo di lavoro all’Italia e ora anche all’Europa. In occasione dell’Assemblea annuale svoltasi a Gorizia il 28 febbraio scorso, il Consiglio Direttivo ha dunque accolto la richiesta di Sante di essere sollevato dall’incarico e ha eletto quale nuovo presidente il prof. Franco Colussi, docente e musicologo e già coordinatore della Commissione Artistica regionale. La coralità regionale esprime quindi i più sentiti ringraziamenti a Sante per l’impegno sostenuto in tutti questi anni e a Franco un vivo augurio di buon lavoro! U.S.C.I. Lombardia Unione Società Corali della Lombardia Via Santa Marta, 5 - 23807 Merate (Lc) Presidente: Franco Monego Novità istituzionali nell’assetto lombardo Tutte le Delegazioni Provinciali dell’Usci Lombardia hanno tenuto nei primi mesi dell’anno le rispettive assemblee sociali; il Consiglio Direttivo regionale è dunque attualmente composto da: Franco Monego, presidente; Tonino Chiodo, vicepresidente; Diego Fracasso, presidente del Collegio Sindacale; Guerino Comi, consigliere presidente Usci Bergamo; Ernesto Marini, consigliere presidente Usci Brescia (neo-eletto); Silvia Galli, consigliere delegato Usci Como (da confermare); Ingrid Pustijanac, consigliere presidente Usci Cremona (neo-costituita); Giorgio Morandi, consigliere presidente Usci Lecco; Davide Nigrelli, consigliere presidente Usci Mantova (neo-eletto); Gaudenzio Zebro, consigliere presidente Usci Milano; Gilberto Massarotti, consigliere presidente Usci Pavia (neo-eletto); Gianpietro Mariconti, consigliere delegato Usci Sondrio; Maurizio Biscotti, consigliere delegato Usci Varese. Si costituirà inoltre ufficialmente nei prossimi mesi la nuova delegazione Usci di Monza e Brianza. 58 + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + Segnaliamo inoltre che, organizzata dall’Usci Milano, la III rassegna corale “La Fiera del Firun” ha coinvolto nel mese di gennaio, nell’ambito della tradizionale omonima fiera a Pessano con Bornago (Mi), alcuni cori con repertorio popolare e spiritual/gospel delle provincie di Milano, Lodi e Monza e Brianza. Federazione Cori del Trentino rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali Passaggio Zippel, 2 - 38122 Trento Presidente: Sergio Franceschinelli Quattro stages formativi per direttori di coro Il 23 e 24 gennaio a Trento, i docenti Mario Mora e Mauro Zuccante sono stati impegnato in uno stage di perfezionamento per direttori di cori di voci bianche e cori giovanili. La proposta formativa, che ha visto la positiva presenza di 21 direttori partecipanti, si inserisce nell’ambito di un ciclo di quattro stages proposto dalla Federazione Cori del Trentino per il 2009/2010 quale approfondimento sulla direzione delle diverse tipologie corali (cori polifonici, cori di voci bianche e giovanili, cori popolari, tutte le tipologie di coro). Ricordiamo inoltre che si è riunita il 27 marzo a Nogaredo, presso la sala riunioni della Distilleria Marzadro, l’Assemblea della federazione. Con una folta presenza dei cori associati, sono stati discussi all’ordine del giorno la relazione del Presidente e del Collegio dei Revisori dei Conti e l’approvazione dei bilanci. All’assemblea era presente anche il presidente di Feniarco Sante Fornasier. LA RIVISTA DEL CORISTA A.R.Co.V.A. Associazione Regionale Cori della Valle d’Aosta Via San Giocondo, 8 - 11100 Aosta Presidente: Marinella Viola La coralità giovanile in Valle Il 23 ottobre scorso, l’Arcova ha proposto uno stage di formazione rivolto ai docenti e agli operatori musicali delle istituzioni iscritti con i propri cori alla prima rassegna di cori scolastici La scuola canta. Lo stage, tenuto dalla docente Roberta Paraninfo, ha dato l’impostazione didattica corale e ha proposto alcuni percorsi di lavoro in classe. All’aggiornamento sono intervenuti anche i compositori dei canti d’obbligo Efisio Blanc, Davide Benetti e Davide Sanson che hanno proposto i loro brani e si sono confrontati sui possibili approcci per il loro apprendimento. Il concerto finale, svoltosi il 15 aprile ad Aosta, ha coinvolto sette cori della scuola primaria e otto della scuola secondaria di primo grado. Il 3 gennaio di quest’anno, nell’ambito del progetto Noel en Choeur 2010, è stato proposto, in Cattedrale ad Aosta, lo speciale progetto didattico e formativo per il Choeur des Jeunes dell’associazione. Nato in occasione del decennale di fondazione dell’associazione, il Choeur des Jeunes, di cui è coordinatore artistico il maestro Efisio Blanc, è stato diretto da un maestro di eccellenza: Marco Berrini, che ha scelto di preparare una energica e suggestiva Little Missa Jazz e Be thou my vision di Bob Chilcott. L’entusiasmo, la partecipazione dei giovani coristi e la grande disponibilità dei loro direttori, ma soprattutto la grande professionalità del Maestro Berrini, hanno permesso di ottenere uno splendido risultato, consensi da parte del pubblico e una reale ricaduta sui soggetti coinvolti. I migliori stimoli per la prosecuzione di un tale progetto! abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] RUBRICHE 60 61 SCAFFALE Luigi Agustoni - Johannes Berchmans Göschl Introduzione all’interpretazione del canto gregoriano - volume II Tomo I e II - Estetica Roma, Torre d’Orfeo Editrice, 2009 Il Tomo I si apre con una premessa di Giovanni Conti, presidente di Cantus Gregoriani Helvetici Cultores (Società svizzera studi di canto gregoriano) che vuole essere un dovuto tributo alla grandezza e all’instancabile contributo dei due autori, Luigi Agustoni e Johannes Berchmans Göschl, che hanno dedicato l’intera vita allo studio e alla divulgazione del canto gregoriano, oltre che un invito alla scoperta di una pubblicazione di inestimabile valore rivolta soprattutto agli iniziati della materia (tomo I, pag. 3-4). La presentazione di pag. 5 dice che il volume II qui presentato è la continuazione organica del volume I (pubblicato sei anni prima), che presentava i neumi monosonici e le loro varie forme di pulsazione. Struttura dell’opera: Tomo I, capitoli 1-5; Tomo II, capitoli 6-9. 1. Elementare movimento ritmico-melodico d’ascesa: il pes 2. Movimento elementare ritmico-melodico discendente: la clivis 3. Elementare movimento ritmico-melodico ad arco superiore: il torculus 4. Elementare movimento ritmico-melodico ad arco inferiore: il porrectus 5. Movimento ascendente sviluppato con tre o più suoni: scandicus, salicus, quilisma-scandicus 6. Movimento discendente ampliato di tre o più suoni: il climacus 7. Movimenti sonori più sviluppati: neumi resupini, neumi di flessione e neumi suppuntati 8. La liquescenza nel canto gregoriano, un fenomeno dell’estetica del rapporto parola-suono 9. Interpretazione e musicalità Nell’opera viene affrontata specificamente la trattazione di tutti i neumi gruppo non unisonici e delle loro pulsazioni. La prospettiva del discorso è orientata a evidenziare gli apporti estetici che vengono offerti dai dati semiologici. Si intendono mettere in risalto due aspetti: il primo concerne l’analisi del rapporto parola-suono, quale emerge dai dati semiologici; si evidenzia come le configurazioni neumatiche fungano da mediazione tra l’elemento verbale e quello musicale, e si pongono in rilievo gli apporti che vengono offerti dalle varie condizioni della struttura modale; il secondo si occupa dei problemi interpretativi: prende in esame le questioni teoriche per dedurne suggerimenti circa il tipo di musicalità richiesta, per trasmettere nel modo più pertinente il messaggio spirituale e i connotati artistici della composizione che la tradizione gregoriana ci ha trasmesso (tomo I, pag. 5). Ogni capitolo si apre con la presentazione storico-grafica del neuma. Una tabella dettagliata ne esplicita il segno, nei diversi significati ritmici, e la sua evoluzione nel tempo. Le grafie sono quelle di “Laon (L) e San Gallo (SG)” per le grafie adiastematiche (in campo aperto) e quelle di “Vaticana (Vat) e Neografie (Ng)” per quelle diastematiche (su rigo). Ogni singolo caso grafico presente in tabella viene preso in esame ed esplicitato per: funzione melodica in relazione al segno grafico (movimento ascendente, discendente ecc.); diversificazione delle modalità grafiche (forma congiunta o disgiunta); aggiunte di segni ritmici (episema, ecc.); utilizzo di lettere significative (di carattere melodico e ritmico). Dopo la presentazione del neuma seguono le grafie speciali, modificate con utilizzo di segni come “oriscus, quilisma, liquescenza,” che influiscono sul senso agogico-ritmico e melodico del movimento neumatico. Ricca la scelta degli esempi presi dal Graduale, ben presentati e muniti di traduzione testuale per una comprensione più profonda ed esegetica delle scelte neumatiche. Molto dettagliata l’esemplificazione della funzione del segno in relazione al tipo di sillaba sul quale si trova. I capitoli si chiudono con tabelle riepilogative nelle quali vengono comparati passaggi uguali su testi diversi (funzione neumatica messa in relazione alla funzione sillabica) con particolare risalto alla formula, elemento portante della composizione gregoriana. Il concetto di interpretazione non è quasi mai inteso in senso astratto ma compreso, caso per caso, mediante specifica analisi di ciascun contesto, condotta con attenzione e in tutta la sua ampiezza. Al capitolo 8 del secondo tomo, dopo aver trattato in quello precedente i movimenti sonori più sviluppati (neumi resupini, neumi di flessione e neumi suppuntati), trova ampio spazio l’annoso problema del fenomeno della liquescenza gregoriana, fenomeno dell’estetica del rapporto parola-suono. Questo capitolo viene presentato come completamento necessario sia di natura storica in relazione alle diverse recenti interpretazioni della liquescenza, sia di natura fonetica in rapporto ad alcune particolari forme grafiche e ulteriori particolarità relative al fenomeno stesso. L’esposizione porta un importante contributo, favorendo un’apertura sulle dimensioni che rivelano l’intimo rapporto tra liquescenza e testo, la cui espressività viene, a livello esecutivo, incrementata e raffinata. Il secondo tomo si chiude con un lungo e approfondito trattato sull’interpretazione e musicalità nel quale lo sforzo primario si concentra nell’impegno di operare un confronto tra analisi dettagliate e modalità per una loro trasformazione in entità musicale, nell’ottica delle esigenze di un’interpretazione artisticomusicale ispirata dal testo. L’interprete è qui chiamato a una maturità globale acquisita attraverso una visione d’insieme profonda, grazie a un intenso cammino nel quale far crescere e coesistere conoscenze analitiche, musicalità, intuizione artistica e impegno personale di spiritualità. Roberto Spremulli Coro Monte Cauriol Canzoniere Genova, KC edizioni, 2009 È uscito lo scorso anno, per le edizioni KC e a cura di Piero Mendula, il nuovo Canzoniere del Coro Monte Cauriol. Opera pregevole e interessante che, proponendo una serie di nuovi brani, arricchisce il già vasto repertorio del coro fornendo un valido sussidio a coloro che hanno a cuore il canto po­polare. Una scelta, quella del Monte Cauriol, che diventa stile; una scelta dovuta soprattutto al maestro Armando Corso che, conosciuto presso il grande pubblico come “direttore dotato di personalità coinvolgente, trascinante, a volte quasi travolgente”, è in realtà un grande armonizzatore. La sua innata modestia lo ha portato in tutti questi anni a celarsi dietro lo pseudonimo “armonizzazione Cauriol”, ma in realtà «Armando Corso è uno dei pochi musicisti italiani che, operando nel campo del cosiddetto canto di montagna o più genericamente popolare, hanno saputo valorizzare tante melodie incastonandole in compiute e coerenti strutture armoniche senza stravolgere né intaccare il materiale musicale di base ma utilizzandolo nel pieno rispetto del contenuto emotivo che viene evidenziato e posto al centro del messaggio da esprimere. Nel suo lavoro si riconoscono gusto raffinato, grande fantasia, perfetta conoscenza e assoluta padro­nanza dell’armonia». Più recentemente il figlio Massimo e il vice maestro Oreste Durand, oltre a musicisti esterni al coro, hanno continuato il lavoro di armonizzazione nel solco del grande maestro. Questo nuovo canzoniere è importante perché in una società che vive sull’effimero, sull’apparenza, che consuma rapidamente e che tende a dimenticare velocemente, il ricordare le proprie origini, il mostrare modi di sentire ormai desueti, paure, gioie, preoccupazioni e incertezze che hanno segnato la nostra lunga storia, non è solo opera meritoria, ma è opera culturale. Siamo stati un popolo spesso in balia di forze straniere, abbiamo conosciuto il dolore dell’emigrazione; il ricordarlo, non solo in un testo letterario, ma anche nella musica e nel canto, assume un valore inestimabile. Per questo dispiace che per “esigenze editoriali” siano state tolte quelle note che ci permettevano di scoprire le origini di un canto, le sue modificazioni, le sue affinità con altri canti. Informazioni che rendevano più vivo e palpitante il nostro approccio di uomini del duemila… (forse si potevano eliminare i canti già presenti nei volumi precedenti in modo da fornire annotazioni utili per entrare nella storia del brano proposto). RUBRICHE 62 63 lettera al direttore a cura di Sandro Bergamo Meritevole lo sforzo di introdurre una «più corretta grafia, secondo la prassi e le regole ortografiche delle varie lingue e dialetti» e di proseguire un cammino coerente con «l’atteggiamento disinibito con cui il coro ha vissuto la propria avventura e costruito il suo repertorio riproponendo l’approccio più autentico con il suo patrimonio musicale, utilizzandolo a proprio piacimento e gusto, senza alcuna remora e condizionamento, per esprimere i propri sentimenti e stati d’animo». Ci siano consentite solo alcune annotazioni su indicazioni che possono creare qualche problema a chi si avvicina per la prima volta a tale repertorio: la scrittura talora non è chiarissima a causa della disposizione dei valori (pagina 52, battute 14-16; pagina 368,battute 13 e seguenti per la disposizione delle pause e battuta 64); le indicazioni metronomiche lasciano qualche volta perplessi (Vegnin jù i Cjargnei in cui il quarto viene quantificato a 152 con l’indicazione Largo(accel.) Allegretto; La ligrìe, nelle prime otto battute vi sono sette cambi di metronomo, non era più semplice indicare accelerando?); si lascia in alcuni casi eccessiva libertà al direttore non indicando cosa si vuole che si canti (Chevaliers, battute 1-8; Ciao amore; The end of my journey, cosa canta il solo da battuta 33?); o al contrario può essere pericolosa una sillabazione troppo marcata (Fratelli d’Italia,battute 13-16; Sul ponte di Perati, battuta 1); infine qual è l’organico dei canti Inno di Garibaldi e Inno popolare (pagine 330 e 332)? Sarebbe infine utile avere un elenco dei brani registrati sul compact disc. Si tratta di “peccati veniali” dovuti probabilmente ai tempi stretti della revisione e alla mole veramente notevole del lavoro. Ci è sembrato utile suggerire questi piccoli appunti per non sminuire il valore indiscusso del lavoro che evidenzia in più brani un gusto e una sensibilità notevoli. Non c’è ostentazione o ricerca di effetti roboanti, ma il mettersi al servizio della melodia e del testo per cogliere sfumature e significati non appariscenti. Si veda l’accordo in minore che apre il canto e il “sapore” armonico generale di Che felice incontro; lo spirito sbarazzino, pieno di “verve” e di buon gusto, di Belli come noi; la semplicità (che non è banalità) di Addormete povero fiju; il gusto armonico nel creare il clima di Ciao amore (certamente un omaggio all’illustre cantautore genovese e alla tematica proposta); le sapienti scelte armoniche di E Cadorna manda a dire e E dammi quella chiave; il rispetto dello spirito del testo, ma nello stesso tempo le sottolineature di alcuni momenti e della semplicità della melodia di E tutti va in Francia (battute 33-34 e conclusione)… L’elenco potrebbe allungarsi notevolmente, ma credo sia sufficiente per evidenziare la perizia, il rispetto, ma direi soprattutto l’amore per questi canti. Un lavoro consigliato a tutti coloro che hanno a cuore non solo la sopravvivenza ma soprattutto la testimonianza dei valori contenuti nel repertorio popolare. Sergio Bianchi «Ho seguito il 18 febbraio su Rai 3 l’intervista, se pur breve, al maestro Bergamo e a due direttori di coro. Credo che sia passato un messaggio falso e cioè quello in cui si dice che “cantare in coro è cosa facile e tutti possono farlo”. Penso anche di aver captato nel messaggio, quell’incoraggiamento a intraprendere questo percorso con leggerezza d’animo in modo tale che i nostri cori italiani non rischino l’estinzione! Ma non è così, secondo me, che riusciremo ad allargare le file delle sezioni con cantori appassionati. Sappiamo tutti che il boom dei cori è passato: oggi un giovane va a Sanremo (gratificato) cantando su una base musicale che copre le magagne, ma “che importa… c’è il televoto, il ripescaggio ecc.” e si va in testa alle classifiche. Dovremmo invece raccontare un’altra storia: in una società dell’edonismo, della morte del dialogo (ci mandiamo sms anche in famiglia, per comunicarci semplici cose) dove di musica se ne fa tanta veramente (e ripeto in che modo?) cantare in coro è difficilissimo. Condivisione di spazi, di regole (e chi le rispetta più), di scelte… oltre al problema dell’intonazione, c’è ben altro. Poi ovviamente si passa alla musica. Chi canta in coro, sceglie il difficile: mette il suo strumento al servizio degli altri e cerca di fare del suo meglio, non del suo “all’incirca”. Siamo strumenti di cultura o no? Serviamo a mantenere vive le tradizioni (e non mi riferisco solo al canto popolare)? Proviamo un po’ a stringere la cinghia, a selezionare non solo le voci ma i modi di “raccontare il coro”». Rossella Agnolucci direttrice del Coro polifonico Santa Cecilia di Castiglion della Pescaia (Gr) Forse, nel ricordo della direttrice Agnolucci, si sovrappongono le mie parole con quelle di altri ospiti della trasmissione. Io ricordo piuttosto di aver sottolineato proprio come il coro sia luogo di formazione alla responsabilità verso se stessi e verso gli altri e il tutto attraverso la musica, non a un banale “stare insieme”: alla scontata domanda sul coro come luogo di socialità, ho replicato che «è il cantare a far bene all’amicizia, non l’amicizia al cantare», tanto per rimettere la musica al centro della nostra ragion d’essere. Dopo di che, incoraggiare i nostri concittadini a cantare, nella consapevolezza che sia una pratica alla portata di tutti quelli che si vogliano impegnare a farlo, non credo sia raccontar qualcosa di falso. Su una cosa sola dissento dalla collega, se capisco bene il suo pensiero: la coralità italiana non rischia l’estinzione né io lo penso. Con oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero dell’Istruzione), con millecento ragazzi che hanno frequentato gli ateliers del Festival di Primavera, con un fiorire di nuovi maestri che portano vitalità e freschezza, la nostra non è una coralità in declino. Raccontarla con un po’ di entusiasmo, sottolineando anche i successi accanto alle difficoltà, dismettendo l’espressione da crisantemo che qualche volta aleggia sulle nostre facce può forse trascinare gli italiani più di una reprimenda. (sb) RUBRICHE 64 65 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Il nostro tradizionale incontro nasce sotto gli auspici che la primavera in corso sia ricca di musica e di colori; le “sette note d’oro” che vi proponiamo rappresentino per voi facile ma, soprattutto, piacevole accesso al successo di tutte le vostre attività corali. Sette note d’oro DOng! Verso gli ultimi colpi delle ore 20.30 tutti i coristi si radunano per la prova. Entro le 20.45 tutto deve poter cominciare. Un’ora e mezza è già così breve! REgolarità È una virtù che manca purtroppo a molti cantori in generale! Ma, poiché si apprende qualcosa (canto, esecuzione, interpretazione) a ogni incontro, è a ogni incontro (prova) che bisogna essere presenti. MInimo: rispetto e fiducia degli altri e di se stessi. Fin dall’inizio della preparazione del canto, come della preparazione del concerto, ogni cantore è indispensabile. FAldone delle partiture Come dice il termine stesso, il faldone deve contenere le partiture, non il naso del loro proprietario che deve – il proprietario – seguire il direttore! Un faldone in ordine permette di trovare entro il terzo tentativo la partitura da cantare. SOLitudine Questa non esiste, cantava Gilbert Bécaud. Di fatto è la situazione del cantore sotto la doccia che si preoccupa poco o nulla del suo vicino. In un coro la precisione richiede che si ascolti assolutamente ciò che avviene intorno a sé. “Il canto è tre quarti di orecchie e un quarto di voce!”. LA memoria è una facoltà da esercitare Essendo le partiture e soprattutto le fotocopie proibite durante il concerto, bisogna conoscere i canti a memoria. Questo richiede un lavoro personale da svolgere a casa. SIlenzio Quando il direttore precisa l’interpretazione di un canto o quando corregge un errore, è meglio ascoltare lui che parlare col vicino. Conclusione: UTilizzare tutte queste regole concorre a garantire il successo del concerto. Costanza di presenza + memoria + partecipazione + rispetto = successo! (C. de Blommaert) Cantare La chiave della felicità… per un cantore Non avete mai pensato di cantare in un coro da chiesa? Potrebbe essere qualcosa che vale la pena di prendere in considerazione, anche se non siete praticanti. Ecco alcune ragioni: 1. Molti dei cori migliori sono cori da chiesa. Frequentarli per credere! 2. Non è necessario essere religiosi praticanti per cantare in una chiesa o cattedrale. Nel limite in cui sei entusiasta di compiere i tuoi doveri corali, nessuno ti disturberà facendo domande sulla tua fede. 3. Per cantare nelle chiese e cattedrali non c’è da pagare, anzi! Talvolta i cantori sono pagati. Cantare bella musica, in grandi cori, in luoghi stupendi ed essere pagati è veramente una situazione eccezionale. 4. In molte chiese e cattedrali l’acustica è semplicemente strepitosa. Perfino una voce mediocre come la mia può risultare piacevole. 5. Alcuni degli edifici più belli del’umanità sono chiese e cattedrali. Cantare in esse costituisce una delle esperienze più interessanti: si canta e si godono capolavori di scultura e grandi vetrate. 6. Chiese e cattedrali spesso hanno ottime risorse, con eccellente staff musicale, grandi biblioteche ricche di splendida musica e tutto ciò che necessita per una strepitosa esperienza corale. 7. Alcuni dei più grandi cantanti pop di tutto il mondo hanno cominciato come cantori di chiesa o di cattedrale: Freddie Mercury, Mariah Carey, George Michael, John Lennon, Whitney Houston, Robbie Williams. Evidentemente chiese e cattedrali sono un’ottima scuola per sviluppare le proprie capacità musicali. 8. Chiese e cattedrali possono talvolta essere favolosi luoghi di sostegno amichevole e sociale. Mentre qualcuno canta e se ne va subito a casa, altri, dopo il servizio liturgico domenicale, si trovano insieme al ristorante, mentre in altri momenti organizzano attività sociali, karaoke, ecc. 9. Lo standard dei cori di chiesa o di cattedrale è molto variabile, ma alcuni sono davvero di levatura mondiale. Alcuni musicisti cercano nelle migliori chiese i cori migliori. 10. Se eviti un coro di chiesa solo perché non sei uno stretto praticante ricorda che forse stai rinunciando a un coro che sarebbe perfetto per te. Infatti un grande coro è un grande coro, che sia un coro di chiesa oppure no. La chiave della felicità per un cantore è quella di trovarsi nel coro giusto per le sue esigenze. Saper cantare… è molto utile. Le vie del Signore sono infinite. Il canto apre tutte le porte. Quando un pensionato che cantava da tenore si trovò bloccato nella toilette dell’ospedale in cui era ricoverato, per attirare l’attenzione dell’infermiera egli usò un’arma insolita: il coro dell’Alleluja di Händel. Può sembrare la battuta di uno sketch comico ma è esattamente ciò che è successo all’ottantenne Gorge Hudson nell’ospedale Kent & Sussex. Dopo aver azionato l’allarme per ben tre volte senza risultato, decise di affidarsi alle sue fedeli corde vocali e – egli dice – «Ho pensato: ‘sta arrivando Natale’ e quindi intonai il primo verso del coro dell’Alleluja di Händel. La porta si aprì velocemente. Mi piace pensare che ciò avvenne più perché non volevano disturbare gli altri pazienti che non per il mio cantare». Anche se l’incidente avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori, il tenace tenore non fu redarguito né dal personal né dall’Ospedale. «Mi spiace tantissimo per loro» disse. «Stanno facendo le loro cose. Io mi trovavo in una sala con alcuni caratterini davvero difficili. Voglio dire che si comportavano così male con le infermiere! Credo che se non avessi avuto la gamba spezzata l’avrei sicuramente usata per prenderli a calci». Il signor Hudson, che aveva cantato per ventisette anni con la Cranbrook and District Choral Society, afferma che questa non è stata l’unica volta che egli ha usato la voce per avere ciò che voleva. «Mia moglie è terrorizzata quando in treno ci troviamo seduti vicino a giovani signore che al cellulare passano in rassegna tutti i loro affari domestici», ha detto Mr Hudson. «Io le dico che se non la piantano immediatamente io comincio a cantare. Lei mi prega di non farlo!». Purtroppo a causa dell’infortunio Mr Hudson non sarà presente nella chiesa di St. Dunstan quando il prossimo 12 dicembre il coro dell’Alleluja sarà cantato tutto intero. Il portavoce dell’ospedale Darren Yates ha rilasciato la seguente RUBRICHE 66 affermazione: «Noi auguriamo a Gorge il meglio per il suo futuro e ci scusiamo per non aver risposto prima alla sua chiamata fatta con mezzi più tradizionali». L’altra faccia dei sessanta. Il coro e il direttore. «Andare in pensione significa ritirarsi dalle proprie occupazioni, affari, uffici, avendo esaurita la propria vita di lavoro attivo». Questa, più o meno, è la definizione del famoso The American Heritage Dictionary of the English Language. «Anch’io la pensavo così» dice Sharon Hansen, editrice. «Mi sono recata in una comunità di pensionati, ma lì avevo inciampato in un gruppo chiamato Le voci del Villaggio. Ero stata informata che avevano bisogno di un nuovo direttore di coro e – senza perdere un attimo di tempo – mi hanno chiesto quanto mi aspettavo di essere pagata. Ora sono 5 anni che sto con questo gruppo di 140 persone di cui la più giovane ha 51 anni mentre la più anziana ne ha 86. Insomma, età media 71 anni». E su questo argomento degli aspetti e dei problemi di cori di pensionati e di rapporti tra direttori di coro e cantori anziani, Sharon Hauser va avanti per ben 9 fitte pagine finendo con l’esemplificazione di quattro programmi di concerto realizzati negli ultimi anni coi suoi… vecchietti. (Choral Journal, dicembre 2009, pag. 31). Siamo poco meno che fossili! Davvero abbiamo bisogno di un altro Messia? Da cantore, una delle mie principali lamentele è che cantiamo sempre le stesse cose, decine e decine e decine di volte. I compositori sono gli stessi. Ho cantato Carmina Burana in ogni stato dell’Australia; nella mia carriera ho incontrato più volte la cura anti-insonnia Fauré, e il Requiem di Mozart è un amico molto, molto vecchio; l’ho cantato da soprano, da contralto e da tenore. Fino allo scorso anno non ho mai cantato Il Messia, ma amici miei lo cantano un anno sì e un anno no da decine d’anni. Nessuna di queste opere è terribile. Alcune sono davvero grandi. Tutte meritano di essere cantate. Qualche volta! Ripetizioni corali “ad nauseam”! A me dà l’impressione che noi coristi finiamo per cantare questi pezzi anziché eseguire la bellissima musica che qua e là è stata scritta da compositori viventi. Molte persone amano Bach, ma dobbiamo proprio cantare le sue cose tutti gli anni? Tutte le volte che cantiamo Bach perdiamo l’occasione di cantare cose nuove e sostenere compositori viventi. Recentemente qualcuno ha scritto: «Un pezzo che ho scritto e che ha avuto la sua prima esecuzione nel 2004 per quanto ne so non è più stato eseguito, dato che nessuno mi ha contattato per avere le parti strumentali». Il brano a cui fa riferimento è eccellente. Lo so perché l’ho cantato alla sua “prima”. Eppure da allora non si è più sentito perché i cori non vogliono cogliere l’opportunità della nuova musica. E così il lavoro di questo giovane musicista è lì a prendere polvere. Allora non è una sorpresa che chi scrive musica si annoi e si scocci con i cori e con i comitati che li dirigono. I discorsi che sempre si ripetono contro l’esecuzione di opere nuove sono che i compositori sconosciuti non portano pubblico e quindi il danaro scarseggia. Ne consegue che Bach e Mozart sono l’unico modo per riempire le sale. Questo può anche essere vero, ma perché non fare come la Società Corale dell’Università di Melbourne in uno dei concerti che hanno avuto grande successo? Quel coro combinò i Carmina Burana – opera di sicuro richiamo – con la praticamente sconosciuta Sinfonia Corale di Carl Vine. Quello che successe fu che il pubblico venne a sentire i Carmina Burana e se ne andò entusiasta per la Sinfonia Corale di Carl Vine. L’espediente tecnico di combinare opere poco o per nulla conosciute con opere di grande richiamo è un ottimo modo di presentare brani nuovi di compositori sconosciuti. Il movimento australiano Intervarsity ha utilizzato questo espediente per sostenere il giovane compositore Matthew Olovich le cui opere sono state presentate in diversi festival di Intervarsity. Egli è un grande talento le cui opere meritano di essere eseguite. Musica corale vecchia e nuova: la musica corale non è semplicemente roba composta da compositori che sono morti. C’è una gran quantità di musica che viene scritta al giorno d’oggi da compositori che sono vivi ora, e in qualità di cori moderni noi dobbiamo darle una possibilità di essere eseguita. Se non lo facciamo, noi siamo poco più che una piccola parte di fossile, una forma artistica che è davvero morta stecchita, in ogni senso. La musica cresce e cambia e naturalmente una gran parte andrà persa. Ovvio che molto di ciò che viene scritto oggi non è neppure molto buono. Oggi come oggi è nostro dovere dare a tutta la musica prodotta la possibilità di essere almeno ascoltata una volta. Diamo una possibilità alla musica! Se sei un direttore di coro o un membro del direttivo di un coro, trova il tempo di andare a guardare dentro Cpdl e di dare la caccia a compositori locali. Ascolta i loro brani, leggi le loro partiture e programma le loro musiche per i tuoi concerti. Nel mondo c’è tempo a sufficienza per Mozart, Bach, Beethoven e Händel, e tra due anni la gente starà ancora ascoltando Il Messia. Se non diamo alla musica scritta oggi una possibilità mentre il suo compositore è vivo e respira, forse tutto sarà perduto. Credo che sarebbe un peccato davvero. (The Chorister, [email protected]). 67 Partiture Animal Crackers, vol I, Eric Whitacre, Shadow Water Music HL08746973 www.shadowwater.com – www. ericwhitacre.com Si tratta di una serie di tre brevi lavori per coro a 4 voci miste e pianoforte, intitolati La pantera, La mucca e La lucciola. Scritti con molta intelligenza, evocano memorie di altri lavori corali umoristici scritti da Norman Luboff (Le contraddizioni proverbiali) e da Paul Sjolund (Amore perduto). In queste miniature Whitacre pone ciò che egli definisce “Poemi ridicoli sugli animali” di Ogden Nash. Whitacre informa che in futuro musicherà altri di questi testi di O. Nash. Mentre i tre brani attuali possono benissimo essere presentati in concerto insieme, il compositore americano invita il direttore di coro a mischiare a suo piacere questi brani con quelli che stanno per essere scritti, così da costruirsi uno zoo musicale personale. Benché accessibili per estensione vocale e ritmo alla maggior parte dei cori di scuola e di college, i tre lavori presentano alcune sfide armoniche e alcuni intervalli difficili in ciascuna voce. Ogni nuovo lavoro di Whitacre merita un attento esame da parte del direttore di coro. Anche in questi brani Whitacre conserva il suo tipico linguaggio armonico e un alto livello di creatività. In queste miniature egli ha trovato un nuovo tipo di dialogo; aspettiamo di vedere le prossime. (Choral Journal, dicembre 2009, pag. 66) O Vos Omnes, Giovanni Croce, arr. di Endry Snyder, 3 voci miste, Hal Leonard #08551958 www.halleonard.com Ecco un altro bell’esempio di Rinascimento classico portato a livello di coro di scuola essendo stato arrangiato a tre voci miste. È un esempio particolarmente accessibile essendo la voce del baritono contenuta fra un do’ e un sol sotto, con l’eccezione di un fa. Le linee vocali originali in RUBRICHE 68 gran parte sono state mantenute e l’interesse melodico in tutta la partitura è sostenuto. Benché presentato come arrangiamento senza accompagnamento, la parte opzionale del pianoforte riempie alcuni accordi mancanti e aggiunge la desiderata presenza di un basso. L’adattamento è stato fatto con molta attenzione e rispetto dei modelli armonici e melodici del Croce. Potrebbe efficacemente essere cantato in tandem con l’originale versione per SATB, forse mettendo insieme voci vecchie e voci giovani (F R. DeWald / Michigan). (Choral Journal, dicembre 2009, pag. 71) unitamente a una copia dell’eccellente guida Come cantare in finnico della Sulasol. Il terzo volume, per esempio, contiene 78 brani, metà di compositori locali storici o viventi: Chydenius, Johansson, Kekkonen, Kokrekangas, KostÍainen, Kuula, Makaroff, Mäntyjärvi, Rautavara, Sibelius. Fra i compositori internazionali sono presenti Bardos, Copi, Erb, Kreeb, Sisask e così pure mottetti latini del XVI e XVII secolo. Raccolte di partiture corali Le raccolte di partiture sono un buon investimento. Che il tuo coro sia in Argentina, in Romania, in Indonesia o Canada, comprare partiture è un vero investimento nell’odierna società di stretta economia globale. Molti direttori di coro guardano alle collezioni di partiture come occasione stupenda per comprare volumi di partiture a un costo molto inferiore a quello necessario per le stesse singole partiture. Eccone alcune: È primavera in Finlandia? (Is it Spring in Finland?) è il titolo di una collezione Sulasol di 14 partiture romantiche nazionali brillantemente edite dal compositore Jakko Mäntyjärvi. Tutte le partiture sono a cappella, per cori misti, a varie voci. Le annotazioni contestuali, culturali e biografiche in inglese spalancano a cori non finnici le porte della comprensione di questa importante e bella stagione della musica corale finlandese. Jakko Mäntyjärvi fornisce una guida molto chiara alla pronuncia, sia dei testi finnici, sia di quelli svedesi. Fra i compositori ci sono Sibelius, Palmgren, Kuula, Madetoja e Sallinen. Da ottimo traduttore professionale, J. Mäntyjärvi accompagna la partitura originale con un’ottima traduzione in inglese, cantabile. Per chi vuole cominciare a scoprire con il proprio coro la coralità finnica questo è un ottimo punto di partenza. Cominciamo a cantare (Let’s get singing, ISBN 9783-7649-24393; Gustav Bosse Verlag, Bärenreiter). È una collezione globale di 100 partiture SATB di 35 paesi diversi e in altrettante lingue. È pubblicato da quattro educatori musicali tedeschi. Circa 50 partiture sono folksongs per metà europei e per metà di altri paesi come Haiti, Bolivia, Kenya, Congo, Madagascar, Macedonia, Mexico, Samoa, Serbia, Slovenia, Sudafrica, Tanzania, Jamaica e Ucraina. Le altre 50 partiture sono equamente suddivise fra musiche profane, sacre e natalizie. Alcune partiture sono arrangiamenti originali delle culture di provenienza. Molti lavori sono a cappella, di durata molto breve e musicalmente accessibili a un coro di un’altra cultura o di diverso gruppo linguistico. Traduzioni e testi sono di solito sia in tedesco, sia in inglese. Non esistono registrazioni dei pezzi, ma tuttavia un audio cd con 99 tracce e testo dei brani non inglese è disponibile. La pronuncia dei testi è disponibile online in http://bit. ly/4J6aLV. Questa è una delle collezioni più globali pubblicate a tutt’oggi. Esistono poi collezioni di partiture di una stessa regione o di un paese specifico pubblicato o per un uso locale o per quei cori che desiderano esplorare il repertorio di quella regione. Dalla Finlandia e dall’editore Sulasol ci vengono due collezioni, una destinata principalmente ai cori finnici e una destinata alla coralità internazionale. Sekakuorolauluja (che significa “Canti per cori misti”): sono tre volumi di partiture per coro misto, dedicate particolarmente ai cori finlandesi. Tutte le informazioni sono esclusivamente in finnico, ma tutte le partiture hanno respiro, profondità e accessibilità notevole. Sarebbe interessante poter avere le annotazioni in inglese 69 Per chi fosse interessato, la statunitense Marian Dolan (direttore di coro) su ICB (International Choral Bulletin, 1st Quarter 2010, pagg. 45-46) fornisce chiare notizie anche sulle seguenti raccolte: - Musica corale norvegese 1905-2005 (ISBN 82-7093-532-8, New York Musicforlag), 45 partiture corali raccolte in tre parti da Käre Hanken. Qui in http://bit.ly/5J128F, un elenco completo delle partiture e dei compositori. - Polifonie latino americane (Polyphonies Latino-americaines) del direttore, compositore e musicologo Néstor Zadoff per voci miste a cappella, edizione A Coeur Joie. - Canti per voci acute (5 Songs for Upper Voices, ISBN 9780-19-335920-8) pubblicata da Bob Chilcott presos la Oxford. - Song Stream, sempre di Bob Chilcott, ma con Peter Hunt, sempre presso Oxford, utile per chiunque cerchi partiture SAB per cori giovanili. Informazioni e partiture in pdf nei siti http://bit.ly/8Zzqxf e http://bit.ly/5nMacu. - Praizing, raccolta corale sacra della Bärenreiter (www.bärenreiter.com) che comprende al momento 4 volumi dedicati rispettivamente alla Bulgaria, a Israele, alla Russia e alla Svezia. E per ultimo, ma non meno interessante: Makumbebé: Repertorio corale latino americano (Makumbebé Latin american Choral Repertoire, Carus Verlag 2.302). È il primo volume della serie Carmina Mundi di Maria Guinand che potrebbe essere la vostra guida perfetta se, con il vostro coro misto, siete interessati a esplorare il repertorio latino americano dai ritmi così eccitanti e diversi. È una collezione di 12 folksongs per voci miste a cappella, originari dell’Argentina, Brasile, Chile, Colombia, Ecuador, Perù, Uruguay e Venezuela. L’elenco completo delle partiture e dei compositori è reperibile sul sito della Carus Verlag (http://bit. ly/5j603d). La raccolta è completa di informazioni e commenti che rendono giustizia all’esperienza editoriale di Maria Guinand. I testi tradotti in inglese, una eccellente guida per le percussioni e l’accompagnamento di chitarre, una biografia dei compositori e una breve guida alla pronuncia completano questo ottimo strumento di canto corale. Partiture da scaricare Breitkopf and Hartel offre partiture per più di 200 opere corali che possono essere gratuitamente scaricate come pdf files dal sito dell’editore: www.breitkopf.com. Maggiori dettagli sono reperibili in www.musicanet.org/pdf/freedownload.choralmusic.pdf (newsletter di Musica International Association, febbraio 2010). Compact disc Claudio Monteverdi, Madrigals I Fagiolini – Direttore: Robert Hollingsworth Flaming heart - Chandos CHAN0730 (2006, 76’01”) Fire and Ashes - Chandos CHAN 0749 (2008, 78’55”). I Madrigali di Monteverdi segnano un preciso punto di svolta nella storia della musica occidentale, una svolta innovativa e controversa che ha ispirato il lavoro dei compositori per lungo tempo. Fondamentale fu il desiderio di Monteverdi di sbloccare le passioni intrappolate nelle parole e permettere al loro dramma di emergere nella musica che le accompagna. RUBRICHE 70 Questi appassionati madrigali scioccarono già il pubblico dell’epoca sorprendendolo con una musica che era fortemente diversa da quella del suo stile precedente che era stato relativamente con­servatore. Robert Hollingsworth e I Fagiolini affrontano molti di questi lavori con nuovo fervore e li presentano sotto una dirompente nuova luce. E ciò senza staccarsi mai completamente da una esecuzione stilisticamente appropriata. I Fagiolini riescono a infondere su questa opera fuoco, passione e dramma raramente udito nelle esecuzioni contemporanee. Essi portano l’opera a nuovi estremi di tempo, di gamma vocale, e di dinamica che portano via l’ascoltatore in un’onda di passioni senza precedenti. I due cd qui recensiti presentano il lavoro de I Fagiolini al tempo di The full Monteverdi, il loro dvd che ri-immagina il Quarto libro dei Madrigali come un moderno dramma teatrale. Allo stesso modo questi due cd presentano un concerto – forse un’opera – tratto dai lavori di Monteverdi, cominciando con una ouverture per muoversi attraverso una selezione di madrigali che sviluppano una vaga linea storica piuttosto che un romantico ciclo di canti. Ognuna delle due incisioni sembra concepita in due atti, con un semplice entr’acte strumentale che li separa. La selezione di Hollingsworth comprende una varietà di brani per una o due voci. Ci sono sezioni dell’opera Orfeo e le sue drammatiche scene di Tirsi e Clori (Ottavo libro dei Madrigali). Ogni esecuzione usa un solo cantore per ogni parte; il tempo è flessibile, scatta in avanti nei momenti d’ardore per rientrare nei momenti di tristezza; le voci sono chiare e sonore. Attraverso le sue opere Monteverdi fa esperimenti con frasi sempre più cromatiche e armonie che sarebbero una sfida per qualsiasi gruppo corale. I Fagiolini sanno gestire meravigliosamente la sfida e cantare ogni accordo e ogni cromatismo perfettamente in tono. L’ampia varietà di strumenti dell’epoca usati in tutta l’esecuzione la mantengono fresca e interessante. Il punto più alto di entrambe le esecuzioni è la presentazione senza accompagnamento di Lagrima d’amante al sepolcro dell’amato (dal Settimo libro dei Madrigali), che si trova sul cd Fire and Ashes. Questo brano presenta le parole di doglianza di un giovane sulla tomba del suo amante. In questi sei brevi madrigali è evidenziata tutta la gamma delle emozioni, dai grandi singhiozzi e dalle stridenti dissonanze fino alla rassegnazione alla realtà da parte dell’amante mentre discende emozionalmente e musicalmente nella sua tomba vivente. Questo è un esempio che vale per entrambe le incisioni, ma ogni momento è perfetto. Difficilmente l’ascoltatore potrà distrarsi. Robert Hollingsworth e I Fagiolini sono stati capaci di presentare quest’opera in una nuova luce. (Choral Journal, dicembre 2009) Libri Migliaia di direttori di coro di scuole pubbliche o college in America sono anche direttori di cori da chiesa e costantemente devono lottare contro la mancanza di educazione musicale della maggior parte dei loro coristi. Paul G. Hill è pastore aggiunto e ministro per la musica e la liturgia della Prima Chiesa Battista di Marietta in Georgia (Usa) e si definisce educatore di musica da chiesa. Egli ha portato avanti un approfondito studio sul campo e ha scoperto che i componenti dei cori da chiesa mancano di quell’educazione musicale di base che è necessaria per dare un contributo da cantori seri e impegnati. Conseguentemente il risultato del suo studio lo ha portato a sviluppare un corso disegnato e testato per incrementare la lettura musicale di questi cantori da chiesa. Il corso è così definito: Corso di base per l’apprendimento della lettura musicale (Basic MusicReading Skills Course. Il capitolo “Preparazione musicale degli adulti nei cori da chiesa” pubblicato da Choral Journal (dicembre 2009, pagg. 12-21) presenta il corso e il percorso curriculare usato per il miglioramento della capacità di lettura da parte degli adulti nei cori da chiesa. Grani di senape Efah - European Forum for the Arts and Heritage L’Efah è stato fondato nel 1992 per dare voce in capitolo agli artisti, alle associazioni e agli operatori culturali nell’ambito dell’unione europea. Il suo compito è quello di monitorare la politica e la legislazione che regolano il mondo della cultura, nonché di riferire informazioni su finanziamenti o altre opportunità economiche a coloro che si occupano di cultura. La scena corale cinese La recente rapida crescita della Cina attira in diversi modi l’attenzione di tutto il mondo in tutti i settori, anche in campo corale. Per una succinta ma comprensibile presentazione dell’immenso mondo corale cinese, sono stati interpellati tre esperti di coralità di fama e rispettabilità mondiale, come il prof. Wu Lingfen, il prof. Tian Xiabao e il signor Mng Dpeng i quali analizzano il fenomeno da e con 71 prospettive diverse. L’articolo The Current Choiral Scene in Cina è pubblicato da ICB International Choral Bulletin, Vol. XIX, n. 1, 1st Quarter 2010, pag. 7 (disponibile su richiesta al redattore [email protected]). Cori di ragazzi e cori giovanili Parliamo di metodo… …nel mondo dei cori giovanili o di ragazzi. Articolo di Christian Grases, giovane musicista corale emergente, membro del Consiglio Direttivo di IFCM International Federation of Choral Music. L’articolo offre ai lettori informazioni su aspetti tecnici della direzione di coro e pensieri di veri leader artistici. Idea sulla direzione, sulla conduzione delle prove per cori di ragazzi o di giovani e strategie per lo sviluppo delle istituzioni che li sostengono. «In questo articolo – dice Grases – vorrei esplorare le idee riguardanti ciò che considero essere l’aspetto fondamentale nel mondo corale: la leadership, termine che, spesso abusato, parlando di direttore di coro copre molti aspetti diversi» (ICB, 1st Quarter 2010, pag. 39). Parliamo di arrangiamento musicale… Articolo di Clara Levi, con due pagine di referenze bibliografiche. Esso fornisce le linee guida per l’arrangiamento di musiche per cori di bambini. Quando si arrangia per cori di bambini la musica deve rifarsi a un’ampia serie di emozioni e di idee che portano i cantori a trovare, a dar valore e a esprimere la loro vita emotiva. Il testo deve avere un tema accattivante e un linguaggio appropriato; la melodia deve essere cantabile, deve avere senso musicalmente e avere una forma strutturale con frasi ripetute, sezioni o ritornelli e il tema deve mantenersi consistente per l’intera composizione. Parole e melodia devono essere compatibili e contribuire a formare la stessa atmosfera. L’accompagnamento deve essere leggero nella tessitura e raddoppiare le linee vocali (Choral Journal, dicembre 2009, pag. 6). Tecnologia per i cori del 21° secolo Philip Copeland dice ai lettori di Choral Journal (dicembre 2009, pagg. 22-30) che la tecnologia sta rimodellando ogni parte della nostra vita. Con ogni nuovo cellulare venduto e con ogni pagina web creata diventiamo sempre più legati e dipendenti da apparecchi elettronici e connessioni internet. «Solitamente quando abbiniamo musica e tecnologia – dice Copeland – noi pensiamo e programmi di notazione, sequenziatori e sintetizzatori». Nel suo articolo Copeland esamina come i nuovi strumenti e le nuove idee ci rendono capaci di raggiungere una nuova generazione di studenti, rendendo il nostro lavoro più efficace e 72 creano impatto con altri musicisti corali. Verso la fine di questo articolo densamente informativo sul mondo della tecnologia veniamo gentilmente ammoniti circa il fatto che non possiamo assolutamente evitare il cambiamento che la tecnologia porta alla nostra professione corale. Per rafforzare il suo punto di vista Copeland cita il politico inglese Harold Wilson che ebbe a dire: «Colui che rifiuta i cambiamenti è costruttore di decadenza. L’unica istituzione umana che rifiuta il progresso è il cimitero». Ricetta… corale “Riposino gli occhi, ma le orecchie ascoltino!”. C’è da essere veramente sorpresi di quanto leggiamo in campo corale, sia durante la preparazione accademica, sia dopo: libri, pagine web, twitters, facebook, e-mail, programmi, recensioni di giornali, opinioni, dissertazioni, tesi, note, materiale promozionale, articoli di giornali, di riviste (pubblicazioni delle associazioni corali locali, regionali, nazionali, mondiali; pubblicazioni statali e regionali di educazione musicale; pubblicazioni relative alla musica da chiesa, ecc.). Eppure la nostra prima attività è quella di far musica. Non si vuole certo sminuire il valore della parola scritta nella nostra vita musicale, ma bisogna incrementare l’ascolto. Facciamo riposare gli occhi e lasciamo che le orecchie facciano il lavoro. Quando è stato l’ultima volta che abbiamo ascoltato una registrazione corale semplicemente per la gioia di farlo? Voglio dire, abbiamo effettivamente ascoltato senza la distrazione del guidare, del lavorare o dello studiare? Quando è stato l’ultima volta che abbiamo frequentato un concerto per ragioni che non fossero dovere o amicizia? È difficile trovare tempo per fare ciò. È difficile trovare spazio nelle nostre super impegnate vite semplicemente per sederci, per chiudere gli occhi e ascoltare. Bene, occasioni per ascoltare musica meravigliosa ce ne sono. Esse spesso vengono fornite dai nostri cori, dalle nostre organizzazioni corali. Frequentiamoli questi concerti e saremo trasportati, ispirati, intellettualmente ed emozionalmente impegnati, spiritualmente rinvigoriti. (Jerry McCoy, Presidente di ACDA, Associazione Americana dei Direttori di Coro). Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Giovanni La Porta, Dario De Cicco, Luca Ricci, Andrea Basevi, Luca Marcossi, Alessandro Kirschner, Piero Caraba, Domenico Innominato, Gianni Vecchiati, Alessandro Vatri, Paola De Maio, Annarita Rigo Redazione: via Altan 39, 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: cupola della basilica di San Marco in Venezia (foto DreamsTime) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco, hanno contribuito a dare più informazione, a far conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il nostro senso di appartenenza a un movimento culturale importante? Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli apprezzamenti che ci giungono da più parti, dall’interno della nostra associazione ma anche dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo corale. L’attività editoriale e pubblicistica di Feniarco dimostra che l’amatorialità è una dimensione giuridico-economica, non un livello qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse economiche disponibili. Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti, talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd. Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno: l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sostenere costi che, è facile intuirlo, sono più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e inferendo così un duro colpo alle associazioni. I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco di musica che c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre. C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica. Sandro Bergamo direttore responsabile ISSN 2035-4851 Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c legge 662/96 dci Pordenone Autorizzazione Tribunale di Pordenone del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn La Feniarco ha avviato, col n. 30 di CHORALITER, il previsto programma di pubblicazione di un CD allegato alla rivista una volta all’anno. Per continuare nel progetto, Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate ai prossimi numeri della rivista. Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri: • avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter essere oggetto di un dossier della rivista; • essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto; • avere una durata non inferiore ai 50 minuti. Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 agosto 2010 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri. I costi di realizzazione del master sono a carico dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa del booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ad avanzare diritti. Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 100 copie omaggio del CD con rivista. Bando di partecipazione Editoriale Anno X n. 31 - gennaio-aprile 2010 CD CD CHORALITER REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d t S y d n. 31 - gennaio-aprile 2010 Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali u t s nal o i t a n r e nt ori dirett r e p corso ini e (IT) b m a i di b info r cor a Paran e p a t ic er 1 Mus ente: Rob iana ) R E I L enez E c V T IT o A a l d • uo olo ( c n S g a a l Sp del usica tonio n M A 2 : LIER docente SA) • ATE spel tman (U o g e tual Whi Spiri e: Walt 3 R t E n LI E) doce • ATE er (D ica t h n c a a rom hum usica n Sc a M J 4 : e LIER docent E) • ATE on (S s z s z n a j a pop / ders Gör ocal n V A 5 : LIER docente EN) na • ATE erica ga (V a m a R d aría ca su Musi e: Ana M 6 R nt LIE T) doce • ATE R tti (I U u O g r T DY Ma AL STU : Corrado N O I T ERNA docente • INT LIGNANO (UD) 29 AGOSTO»5 SETTEMBRE Feniarco I Rivista quadrimestrale della FENIARCO DOMENICO BARTOLUCCI Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi Via Altan S.Vito al Tagliamento (Pn) Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] ASAC VENETO n. 31 - gennaio-aprile 2010 USCI FRIULI VENEZIA GIULIA MUSICA MODERNA CON ANTICHE RADICI CANTARE IL QUOTIDIANO RIFLESSIONI SULLA CORALITÀ POPOLARE LA PAROLA È GIÀ MUSICA INTERVISTA A MARCO BERRINI FENIARCO CAPUT MUNDI LA PROFESSIONALITÀ DEGLI AMATORI due mondi a confronto concertare con gli strumenti