Giobbe Salmi

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I libri poetici e sapienziali
Dio non viene solo dall’alto. La sua parola risuona anche dal basso. La parola di Dio è
presente nelle pieghe della quotidiana esperienza, nel buon senso, nelle scoperte dello
studio e della ricerca, e si fa viva quando in noi – che viviamo l’avventura quotidiana
della vita - nascono le domande sulla felicità, sul dolore, sulla morte e sull’eternità, le
domande dell’umana saggezza. Veramente il nostro mestiere di uomini è luogo dove
risuona incisiva la parola di Dio.
A partire dallo splendido regno di Salomone (970-930 a.C.), quando esistono una corte,
scuole, scrittori professionisti (scribi), appaiono dei libri che sono raccolte di tradizioni
sapienziali; e ciò fino a quando comparirà Gesù di Nazareth, la “sapienza fatta carne”.
I libri sapienziali trattano della vita e dei problemi che sono nati nella vita, quella
quotidiana. La famiglia innanzitutto è il luogo della riflessione sapienziale, quando il
padre, la madre, gli anziani, rivolgendosi alle giovani generazioni con l’appellativo
“figlio mio”, trasmettono loro istruzioni, ammonimenti, precetti su ciò che rende felice
o triste, giusta o empia la vita. La sapienza è il discernimento dei valori creaturali.
Giobbe
Il libro di Giobbe porta il nome del suo protagonista, figura probabilmente non storica,
anche se Ezechiele la ricorda quale prototipo di uomo giusto (Ez 14,14), ma piuttosto
figura convenzionale, rappresentante di tutti gli uomini che lottano con senso in
mezzo al nonsenso del male e della sofferenza. Il libro è del secolo IV a.C. Giobbe,
uomo simbolo della condizione umana viene detto “il più grande fra tutti i figli di
Oriente” (Gb 1,3). Giobbe rappresenta ciò che è tipico di ogni uomo: la ricerca della
felicità.
Il libro inizia e si conclude con un racconto in prosa; un’antica leggenda fa da prologo
e da epilogo, inquadrando il corpo del libro (Gb 1-2; 42, 7-17). In esso Giobbe appare
come un individuo che ha tutto e di tutto viene spogliato; l’avversità non lo distrugge,
anzi egli continua a benedire, e per ciò i suoi beni gli vengono resi duplicati.
Giobbe ha sperimentato il male a tutti i livelli, con la perdita dei beni, della famiglia,
della salute e perfino dell’amicizia di Dio che si è nascosto; non è un rassegnato e non
desiste nella sua lotta, fino a forzare l’udienza nell’ultima istanza. Al di sopra del Dio
della dottrina si ritrova con il Dio vivo, suo teste, sua difesa e suo redentore.
Salmi
I salmi sono una raccolta di 150 composizioni, poesia e preghiera, fatta dall’antico
Israele tra i secoli X e III a.C. Il libro è diviso in cinque parti.
I salmi sono poesia anonima; non conosciamo gli autori e la loro datazione è
problematica. Per l’interpretazione dei salmi è necessario tener presente la storia
d’Israele, cui essi continuamente fanno riferimento; ma anche la prassi etica e le basi
su cui fondava le proprie speranze per il futuro. Inoltre occorre ricordare che i salmi
sono poesia e preghiera: l’aspetto poetico e quello devozionale sono il segreto di ogni
salmo.
I salmi si possono classificare in generi letterari. Tra questi generi è da segnalare
l’inno, il ringraziamento e la supplica individuale o collettiva; variazioni della supplica
sono il salmo penitenziale e la preghiera di fiducia; oltre al genere lirico vi sono anche
salmi didattici, profetici e sapienziali.
Nei salmi l’uomo risponde al Dio che si è manifestato, e lo fa impegnandosi nella vita.
Questo è quanto porta davanti a Dio nella preghiera, spinto ora dalla povertà, e allora
implora, ora dall’esperienza della ricchezza, e allora loda e ringrazia. Il nemico, per i
salmisti, è qualsiasi manifestazione del male e la presenza della morte che minaccia la
vita. Contro questo, perciò, l’uomo lotta senza tregua, e deve farlo. I salmi sono
preghiera cristiana in quanto in essi si coopera alla causa per cui anche Gesù Cristo ha
lavorato, la causa dei beni messianici: benessere, libertà, giustizia e pace.
Proverbi
Il libro dei proverbi è il documento più rappresentativo del genere sapienziale, quasi
tutto in forma di sentenze, compendio di sapienza e di arte del comunicare. Il libro
viene attribuito a Salomone, che di sicuro non è il suo autore, ma che certamente fu il
primo a iniziare in Israele il genere sapienziale, che in Mesopotamia e in Egitto aveva
già una lunga tradizione.
Il libro dei proverbi si compone di una serie di collezioni. Il libro nel suo insieme
descrive il cammino che percorse la sapienza in Israele, dal piano naturale a quello
etico e a quello teologico, con molti campi di interesse: quello politico ed economico,
quello personale e sociale; in definitiva, tutti i campi della vita. La sapienza insegna a
discernere tra il bene e il male e a costruire la felicità, giacché il suo vero scopo è far
si che l’uomo resti a galla nel mare burrascoso in cui deve navigare.
Qohèlet (Ecclesiaste)
Lo strano titolo che porta questo libro traduce il termine ebraico Qohèlet: colui che ha
un incarico nell’assemblea, forse quello di predicatore; ma nel libro è un nome proprio
di persona, un figlio di Davide, re di Gerusalemme. Il libro è del III secolo a.C. la
forma del libro è incerta, tra la poesia e la prosa. Il genere è chiaramente quello
sapienziale per l’indagine che fa e la ricerca che porta avanti.
Il Qohèlet è una ricerca sapienziale su quale vantaggio ricava l’uomo dal quotidiano
affanno sotto il sole, vantaggio di solito considerato di valore. La risposta è
categoricamente negativa ed è posta all’inizio del libro: “vanità di vanità, tutto è
vanità”. Il che significa che tutto è sfuggente, insicuro, destinato alla morte. Ossia,
nessun vantaggio.
Il libro invita a vivere senza grandi sicurezze e insegna a saper sopravvivere nel
piccolo.
Cantico dei cantici
Un libro di poesia lirica tra le più nobili. Il libro è una raccolta di canti d’amore, di per
sé indipendenti, ma tutti sullo stesso tema. La giovane coppia umana appare sempre
rincorrendosi e in ansia struggente, fino a quando non avviene l’incontro. I canti
celebrano la bellezza della coppia che si cerca in paesaggi idealizzati, e il piacere degli
incontri.
Lo scenario della natura nel momento più rigoglioso del suo ritmo annuale, le colline
con i greggi, le valli in fiore, i giardini pieni di frutta offrono un linguaggio in cui la
natura tutta sintonizza con il sentire della coppia umana che si apre all’esperienza
dell’amore. Il libro parla dell’amore divino-umano. L’amore della coppia raffigurerebbe
tale amore. L’amore umano è sempre stato quello che ha dato agli uomini le parole
per parlare dell’amore di Dio. Non c’è linguaggio più appropriato, anche perché non
c’è esperienza che più gli si avvicini.
Siracide (Ecclesiastico)
Il Siracide è presente nel canone della chiesa ma non in quello ebraico. L’autore è
Gesù ben Sira, un saggio che visse all’inizio del II secolo e che ci lasciò il suo
autoritratto nel libro. L’opera che scrisse in ebraico ci giunse solo in greco; tuttavia,
verso la fine del secolo XIX, sono stati trovati frammenti del testo in ebraico.
Il libro è strutturato in due parti: la prima è un’ampia collezione di insegnamenti sui
principali aspetti della vita, relazioni, attività, attitudini e comportamenti, destinati ad
assicurare il successo a chi li osserva (Sir 1, 1-42, 14); la seconda celebra la presenza e la
manifestazione della sapienza nella natura e nella storia (Sir 42, 15-50,29). Termina con
una preghiera e una confessione dell’autore (Sir 51).
Il Siracide, principalmente poemetti, sono bozzetti di virtù e di vizi, insegnamenti sulle
relazioni, sui giudizi e sui doveri; presenta la sapienza in cantici e in definizioni; nella
definizione più impegnata tenta di spiegarla identificandola con la stessa legge (Sir 24).
Sapienza
Cronologicamente, la Sapienza è l’ultimo dei sapienziali; della metà del I secolo a.C.,
è quello che chiude l’arco del processo sapienziale nell’Antico Testamento.
Convenzionalmente viene attribuito a Salomone. La forma è in parte prosa e in parte
poema didattico. L’autore accarezza l’idea che il pensiero ebraico venga conosciuto
anche nell’ambito della cultura ellenistica e che vi occupi un buon posto.
Il libro si compone di tre parti. La prima (Sap 1-5) mette a confronto due modi di vivere,
uno guidato dalla giustizia e dalla sapienza e l’altro dall’ingiustizia e dall’errore. La
seconda parte (Sap 6-9) presenta la Sapienza nella sua grandiosa personificazione al
cap. 7, simile a quella dei Pro 8 e del Sir 24. La terza parte (Sap 10-19) evoca le opere
della Sapienza nella storia, proponendo i suoi personaggi come guidati dalla sua luce.
Questa parte consiste soprattutto in una grande rievocazione dell’esodo, ponendo in
rilievo la sapienza degli ebrei e la mancanza della stessa negli egiziani, raffrontandole
l’una all’altra.
La dottrina del libro è quella tradizionale. Tuttavia l’autore si colloca sulla linea della
prospettiva escatologica, dando ospitalità al termine immortalità che proviene dalla
Grecia. Con il vocabolo greco l’autore presenta un concetto che viene dalla Bibbia.
Cosicché, se per colui che vive dicendo che la morte è l’unico destino, l’immortalità lo
rituffa in pieno nella vita, per colui invece che vive sotto il segno e nella speranza
dell’immortalità, questa è già qualcosa di reale dentro la sua esistenza.
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