L’analisi comportamentale applicata Seconda parte: metodi e procedure Paolo Moderato e Cristina Copelli Università IULM IESCUM Sommario In questo articolo, che costituisce la seconda parte di un lavoro dedicato all’analisi comportamentale applicata — la cui prima parte è stata pubblicata sul numero di ottobre 2010 della rivista —, sono affrontati gli aspetti procedurali applicativi dell’analisi comportamentale. Dopo avere analizzato brevemente i paradigmi dell’analisi del comportamento, sono discussi i vari principi che da queste ricerche sono stati «distillati» e che stanno alla base dei processi individuali di apprendimento: rinforzo, generalizzazione, discriminazione, estinzione, ecc. È possibile agire sul comportamento solo se si conoscono bene i principi di base dell’analisi del comportamento, che a sua volta si traducono in procedure applicative individualizzate per potenziare, arricchire, modificare un comportamento. Viene messa in evidenza una linea di sviluppo che consiste nel passaggio da interventi più strutturati a interventi più «ecologici». Edizioni Erickson – Trento AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 (pp. 191-233) 191 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Per capire a fondo metodi e procedure dell’Analisi Comportamentale Applicata (Applied Behaviour Analysis/ABA) è necessario fare riferimento ad alcuni processi generali di base che sono il frutto della ricerca sperimentale della psicologia nel corso del Novecento, in modo particolare di tutte le ricerche che hanno indagato il processo di apprendimento e le molteplici variabili che lo influenzano. Ci riferiamo ai paradigmi di analisi del comportamento rispondente, operante, per imitazione, modellamento e comportamento governato da regole o comportamento controllato verbalmente. Per una migliore e corretta comprensione dell’ABA è necessario analizzare in dettaglio i vari principi che da queste ricerche sono stati «distillati» e stanno alla base dei processi individuali di apprendimento: rinforzo, generalizzazione, discriminazione, estinzione, ecc. È possibile agire sul comportamento solo se si conoscono bene i principi di base dell’analisi del comportamento, che a sua volta si traducono in procedure individualizzate per potenziare, arricchire, modificare o ridurre un comportamento. Valore sociale, rigore metodologico, creatività e flessibilità sono gli elementi essenziali che devono guidare verso la scelta dell’intervento migliore per la persona. Paradigmi, processi, principi e procedure L’apprendimento è un processo unitario che consente la tesaurizzazione dell’esperienza. Non esistono diversi tipi di apprendimento, ma vi sono differenti modi per studiarlo. Questi modi sono chiamati paradigmi e il loro comune denominatore è stato, e sarà, quello di produrre specifiche modificazioni del comportamento in funzione di diverse classi di variabili. All’interno di ogni paradigma vengono studiati alcuni fenomeni dell’apprendimento: più precisamente si studiano i processi dell’apprendimento compiendo alcune operazioni sperimentali. La caratteristica del metodo sperimentale è quella di formulare e testare le ipotesi. Si raggiungono, provvisoriamente, alcune conclusioni manipolando sistematicamente le variabili indipendenti e osservandone gli effetti sulle variabili dipendenti: le prime, come abbiamo visto, per convenzione le chiamiamo stimoli, le seconde risposte; si manipolano sistematicamente gli stimoli per studiarne l’effetto sulle risposte. Le manipolazioni dello sperimentatore in laboratorio costituiscono le operazioni, quelli che si cerca di studiare nel comportamento dei singoli soggetti rappresentano i processi. Questa distinzione è molto importante per comprendere il rapporto tra il lavoro di ricerca svolto in laboratorio e la realtà della vita quotidiana, in altre parole tra l’apprendimento provocato a fini di studio in una situazione semplificata e controllata e l’apprendimento complesso e sfuggente della vita naturale. Sfortunatamente questa distinzione non risulta sempre immediatamente chiara: alcuni termini sono usati per indicare contemporaneamente i 192 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata processi e le operazioni sperimentali per studiarli. Ad esempio, termini come «estinzione» e «rinforzo» indicano sia un processo dell’apprendimento, sia un principio, sia un’operazione condotta dallo sperimentatore. È importante sottolineare che i processi esisterebbero in ogni caso, indipendentemente dalle operazioni sperimentali: queste ultime servono solo per studiarli agevolmente in modo scientificamente corretto. L’obiettivo, galileianamente parlando, è quello di dimostrare relazioni funzionali, coerenti e sufficientemente stabili e generali tra i comportamenti e vari classi di eventi ambientali. Attraverso centinaia di esperimenti Pavlov, Skinner, Bandura e innumerevoli altri ricercatori hanno scoperto e verificato i principi basilari del comportamento che continuano a essere la base empirica dell’analisi del comportamento anche ai giorni nostri. I principi descrivono una relazione funzionale tra il comportamento e una o più variabili che lo influenzano. Tale relazione, almeno in linea teorica, dovrebbe essere generalizzabile a tutti gli organismi, i contesti e i comportamenti (Cooper, Heron e Heward, 2007). Nell’analisi del comportamento sono stati enucleati diversi principi di base: i più importanti sono il rinforzo, l’estinzione, la punizione, il transfer di funzione, l’equivalenza funzionale, la discriminazione, la generalizzazione e l’imitazione. L’analisi comportamentale applicata, che come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo ha la finalità dichiarata di capire e migliorare comportamenti umani socialmente significativi, sviluppa dai principi le procedure, intese come applicazioni che hanno l’obiettivo di modificare il comportamento desiderato. Le procedure sono a loro volta verificate attraverso la ricerca e posseggono anch’esse la caratteristica di generalizzabilità attraverso soggetti, contesti e comportamenti. L’importanza di ricondurre ogni procedura utilizzata nell’analisi comportamentale applicata ai principi base si può ritrovare nell’articolo fondativo di Baer, Wolf e Risley (1968), in cui gli autori sostengono che l’analisi comportamentale applicata probabilmente avanzerebbe maggiormente se le descrizioni delle procedure pubblicate non venissero considerate solo tecnologia, ma anche aspetti fondamentali dei principi. In entrambi i casi, la descrizione delle procedure è fondamentale per garantire la replicabilità e mostra come procedure simili possono essere derivate da principi di base. Questo costituisce il corpo della tecnologia di una disciplina e non una raccolta di magie. Cooper et al. (2007) definiscono una procedura anche come behavioral change tactic: in generale, le procedure sono un metodo per operazionalizzare, o mettere in pratica, le conoscenze fornite da uno o più principi del comportamento. Le procedure e la loro corretta definizione permettono una loro applicazione sistematica in situazioni nuove e costituiscono la dimensione tecnologica dell’analisi del comportamento. Baer, Wolf e Risley (1968) sostengono che il modo migliore per valutare la descrizione di una procedura sia probabilmente quello di chiedere a un lettore esperto di replicare la procedura abbastanza bene da produrre gli stessi risultati, basandosi solo sulla lettura della descrizione. 193 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Paradigmi sperimentali Condizionamento rispondente Ivan P. Pavlov (1849-1936) ha messo a punto il paradigma sperimentale per lo studio dell’apprendimento noto come condizionamento classico, rispondente o pavloviano. Per un’analisi dettagliata del condizionamento rispondente si rimanda al libro Interazioni umane (Moderato, 2010). Ridotta all’osso, al fine di comprendere alcune procedure applicative coinvolte nel processo di transfer funzionale dello stimolo, viene presentata la sequenza delle operazioni che portano al condizionamento. Quattro sono gli elementi di base che compongono il quadro dell’esperimento pavloviano (vedi figura 1): 1.uno stimolo incondizionale (SI), sempre in grado di provocare una risposta specifica da parte dell’organismo; 2.uno stimolo condizionale (SC), in partenza stimolo neutro (SN); 3.una risposta incondizionale (RI), che è la risposta specifica prodotta da uno stimolo incondizionale; 4.una risposta condizionale (RC), che rappresenta la risposta allo stimolo condizionale. Il punto 1 della figura indica la relazione per cui la presentazione di uno SI elicita automaticamente e naturalmente la RI. Al punto 2 uno SN viene presentato subito prima o contemporaneamente a uno SI. Dopo un certo numero di accoppiamenti si verifica la situazione descritta al punto 3, cioè l’emergere di una nuova relazione — indicata dalla linea tratteggiata — tra lo SC e la RC. Ci si può chiedere che relazione ci sia tra un cane «sbavante» di oltre cent’anni fa e gli interventi sull’autismo. La risposta va trovata non nella topografia dello stimolo-risposta, ma nella loro funzione. Il condizionamento può essere concettualizzato come un processo di transfer funzionale dello stimolo in base al quale uno stimolo (psicologico) precedentemente neutro acquisisce temporaneamente la capacità funzionale di produrre la risposta (biologica) originariamente provocata da un altro stimolo. L’associazione stimolo-stimolo (S-S), come tutti i processi di apprendimento, non è necessariamente positiva: possono infatti essere associati stimoli con valenza negativa o percepita come tale, ad esempio quelli che producono risposte di evitamento come il condizionamento al disgusto verso un cibo dopo essere stati male. Questo tipo di esperienza negativa è molto facile avvenga in bambini che subiscono visite mediche spesso invasive, interventi coercitivi e così via. Nell’analisi comportamentale applicata il processo di transfer funzionale dello stimolo è alla base della procedura di pairing (appaiare, accoppiare). ll «pairing» è un aspetto fondamentale in ogni intervento basato sull’analisi comportamentale applicata, in quanto è importante che il bambino impari ad attribuire all’operatore una valenza positiva e che ampli il suo 194 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata repertorio di preferenze. Esistono due tipologie di pairing: con operatori e con oggetti/attività. In entrambi i casi è necessario che il pairing sia preceduto da una valutazione delle preferenze (stimulus preference assessment), una serie di procedure finalizzate a determinare: a) gli eventi stimolo che il soggetto preferisce; b) il valore di questa preferenza (basso, medio, alto); c) le condizioni nelle quali il valore della preferenza cambia. Più nel dettaglio, la valutazione delle preferenze può essere condotta utilizzando tre diversi metodi: chiedendo al soggetto di identificare gli item preferiti; osservando il soggetto interagire con vari stimoli in una situazione naturalistica; misurando le risposte del soggetto sottoposto a un test di scelta in cui vengono presentati uno, due o più stimoli contemporanea­ mente. In ogni caso vengono misurati i seguenti comportamenti: a) approccio: ogni movimento che la persona fa verso l’oggetto; b)contatto: viene misurato ogni volta che la persona tocca l’oggetto; c) interazione: viene misurata la per­ centuale di tempo in cui la persona interagisce con l’oggetto. Le tre modalità di valutazione delle preferenze sono le seguenti: 1.un singolo stimolo: viene presentato un singolo stimolo alla volta e viene misurato il tempo di contatto con esso; 2.due stimoli: vengono presentati contemporaneamente due stimo- Fig. 1 Fasi del condizionamento. li e viene misurata la percentuale di scelta su ogni singolo stimolo. Durante la valutazione ogni stimolo viene accoppiato in modo randomizzato con un altro stimolo (Fischer et al., 1992); 195 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 3.tre o più stimoli: vengono presentati più stimoli contemporaneamente (Windsor, Piche e Locke, 1994). In ogni caso al soggetto viene «chiesto» di sceglierne uno (Ciccone, Graf e Ahearn, 2006). Inoltre, sono presentati stimoli che riguardano tutte le sfere sensoriali: uditiva, tattile, visiva, olfattiva, gustativa e cinestesica. Durante un intervento basato sull’analisi comportamentale applicata è fondamentale dedicare molta attenzione alla valutazione delle preferenze per poter gestire un pairing in modo veramente efficace. Come dicevamo sopra, esistono due tipologie di pairing: 1.pairing con operatore: l’operatore gradualmente viene associato a qualcosa di positivo grazie all’associazione ripetuta con uno stimolo incondizionale; 2.pairing con oggetti/attività: vengono associati gradualmente oggetti/ attività neutre ad altri che hanno la funzione di stimoli incondizionali. Condizionamento operante Burrhus Frederic Skinner (1904-1990) ha messo a punto il paradigma sperimentale per lo studio dell’apprendimento noto come condizionamento operante. Il comportamento rispondente rappresenta solo parzialmente la vastità e la complessità del comportamento degli esseri viventi: essi, infatti, non si limitano ad attendere in modo passivo l’azione dell’ambiente ma cercano di prevenirlo e — questo riguarda soprattutto gli esseri umani — di piegarlo alle loro necessità. In altre parole essi operano sull’ambiente per dominarlo, trasformarlo e adattarlo. Ogni azione svolta in tal senso ha qualche effetto sul mondo circostante, che a sua volta retroagisce sull’organismo: ossia, le conseguenze di un comportamento possono modificare la probabilità che il comportamento che le aveva prodotte si verifichi ancora. Le conseguenze possono rendere un apprendimento o un comportamento già stabilizzato più forte, cioè più probabile, o al contrario meno forte, oppure possono lasciarne inalterate la forza e quindi la probabilità. Il comportamento rinforzato acquista maggior forza, cioè maggiore probabilità di presentarsi in futuro: tale probabilità si esprime in termini di aumento di frequenza del comportamento stesso. Tre sono, quindi, gli elementi di base che compongono il quadro della situazione sperimentale skinneriana: 1.l’operante, definito come la classe di risposte tra loro funzionalmente simili che producono e dipendono dalle stesse conseguenze. Nella vita reale le classi di operanti possono variare di molto in ampiezza e complessità, in modo particolare con gli esseri umani; 2.le conseguenze, eventi che seguono tale classe di comportamento e che ne alterano la probabilità di comparsa, aumentandone o dimi196 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata nuendone il ritmo di emissione rispetto al livello operante o linea di base (baseline), termine che indica la frequenza con cui la classe di comportamento si presenta normalmente in una data situazione; 3.lo stimolo discriminativo (SD), un evento (una luce, un suono, un simbolo particolare) che segnala quando un operante sarà seguito da determinate conseguenze. Uno stimolo di questo genere rappresenta un aspetto importante della relazione fra la risposta e le sue conseguenze, in quanto ne indica in modo discriminativo la presenza o la successiva comparsa. Operante, conseguenze e stimolo discriminativo compongono quella che tecnicamente si chiama contingenza a tre termini, espressione con cui si indica la relazione funzionale che viene creata in modo artificiale nel corso dell’esperimento, ma si stabilisce in modo naturale tra questi tre elementi nella vita quotidiana. La contingenza a tre termini è alla base di ogni intervento basato sull’analisi comportamentale applicata (vedi tabella 1). Tabella 1 Contingenza a tre termini A B C Antecedente Comportamento Conseguenza Stimolo discriminativo (SD): segnala l’occasione Risposta: produce il rinforzatore Stimolo rinforzante (SR): rafforza una classe di risposte «Passami l’acqua, per favore» Consegnare l’acqua «Grazie, sei molto gentile» Piatto di verdura nel piatto Bambino piange Mamma toglie il piatto Modellamento Partendo dai primi lavori sistematici sull’imitazione che risalgono a Miller e Dollard (1941), Albert Bandura (1969; 1971) introdusse il termine «modellamento» (modeling): secondo questo autore il modellamento costituisce un paradigma di apprendimento a sé stante, in quanto presenta caratteristiche esclusive non riscontrate negli altri paradigmi classici; secondo altri autori (Gewirtz, 1969; Bijou e Baer, 1984) si tratta, invece, di un sottoinsieme particolare delle interazioni operanti di tipo discriminativo. Il modellamento nasce dalla considerazione che il termine «esperienza» non comprende solo il contatto diretto con le cose, gli eventi e le conse197 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 guenze che guidano il comportamento: entrano in gioco, infatti, anche esperienze indirette e conseguenze mediate, o vicarie, la cui azione è stata vista su altre persone. In altre parole si apprendono molti comportamenti, soprattutto in campo sociale, «guardando» ciò che gli altri fanno, quando lo fanno e ciò che succede loro dopo. Il presupposto del modellamento è l’apprendimento osservativo in cui è implicata la presenza di un modello e di un osservatore: se la frequenza del comportamento dell’osservatore si modifica in funzione del comportamento del modello allora si può parlare di modellamento. Apprendere attraverso l’osservazione è importante anche per i bambini con autismo, soprattutto se essi sono inseriti all’interno di classi scolastiche con bambini a sviluppo tipico. In tali situazioni gran parte dell’apprendimento deriva dal processo di osservazione e imitazione del comportamento dei pari (che fungono da modelli). È ben documentato che gli individui con disabilità evolutive possono acquisire nuove abilità dopo avere osservato altre persone con o senza disabilità svolgere tali attività. Partendo dai dati di ricerca è stato sviluppato il video modeling, che consiste nell’osservazione e nella successiva imitazione, da parte del bambino, di un video in cui viene mostrato un modello impegnato nello svolgimento del comportamento target. Dowrick (1999) è stato uno dei primi a dimostrare l’efficacia del video modeling in una varietà di setting e su una popolazione molto ampia, inclusi bambini con spina bifida, con iperattività e con disabilità evolutive (Dowrick, 1991; Dowrick e Dove, 1980; Dowrick e Raeburn, 1977; 1995). Il video modeling è stato usato inoltre per il trattamento di un’ampia varietà di comportamenti che includono il completamento di compiti di categorizzazione, abilità motorie, abilità comunicative e mutismo selettivo (Dowrick, 1986; 1999). Data l’efficacia del video modeling in questa fascia della popolazione, alcuni ricercatori hanno testato questa tecnica con i bambini e gli adulti con autismo. Haring et al. (1987) hanno dimostrato che l’utilizzo del video modeling consente l’acquisizione e la generalizzazione di diverse abilità in soggetti con autismo. I vantaggi del video modeling rispetto al modeling in vivo sono così riassumibili: 1.Il videotape può ricreare un’ampia varietà di setting che diventa difficile riprodurre in vivo nella classe o a casa. 2.Con il video modeling l’operatore ha un controllo maggiore sulla procedura del modeling rispetto a quello in vivo perché il video può essere continuamente rivisto finché il bambino inizia a emettere il comportamento target. 3.C’è il vantaggio di poter riosservare lo stesso video diverse volte senza la necessità della presenza del modello. 4.Il video può essere riutilizzato con altre persone. Anche Charlop-Christy, Le e Freeman (2000) hanno confrontato il modeling in vivo con il video modeling. Il video modeling si è rivelato più 198 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata efficace in termini di costi e tempi rispetto a quello in vivo. I dati dimostrano che il video modeling consente un’acquisizione più rapida di abilità da parte di bambini con autismo rispetto al modeling in vivo. Diversi studi hanno dimostrato come il prompting e il rinforzo non fossero necessari per l’acquisizione delle abilità mostrate in video (Charlop-Christy et al., 2000; D’Ateno et al., 2003; Bidwell e Rehfeldt, 2004). Principi di base Un principio molto importante nell’analisi del comportamento è il rinforzo, o rinforzamento (in americano reinforcement), processo per il quale e mediante il quale le conseguenze di un’azione hanno effetto sul comportamento. Tale effetto può verificarsi in due diversi modi: il primo in positivo, il secondo in negativo. Quando un comportamento ottiene o produce come conseguenza la comparsa di un evento-stimolo con funzioni di rinforzatore positivo si parla di rinforzo positivo. L’aggettivo «positivo» non ha alcuna valenza etica né di piacevolezza, indica solamente che l’effetto di rafforzamento deriva dalla «posizione», cioè dal fatto che un evento-stimolo si aggiunge alla situazione. Quando un comportamento ottiene o produce come conseguenza la scomparsa o l’allontanamento di uno stimolo con funzioni di rinforzatore negativo si parla di rinforzo negativo. Anche in questo caso l’aggettivo «negativo» non ha valenza etica né di piacevolezza: indica solamente che l’effetto di rafforzamento deriva dal fatto che uno stimolo viene sottratto dalla situazione. La contingenza in base a cui si verifica la presentazione di un rinforzatore negativo viene definita penalizzazione. Essa è spesso confusa con la rimozione dello stesso stimolo, chiamata come abbiamo visto rinforzo al negativo: nel primo caso l’effetto sul comportamento è di indebolimento, nel secondo è di rafforzamento. Esiste poi un altro tipo di contingenza di penalizzazione, che consiste nella perdita o nella sottrazione di un rinforzatore positivo. Secondo Estes (1944), che ha compiuto una serie di ricerche su questo tema, un comportamento non viene eliminato se è seguito da una penalizzazione più velocemente di quanto non accada senza alcuna penalizzazione. Un comportamento può essere eliminato solo quando non viene più seguito da conseguenze rinforzanti, e addirittura la penalizzazione può avere l’effetto paradossale di impedire che si verifichi questo processo di disapprendimento che, come vedremo, viene definito estinzione. In ogni caso ogni intervento di penalizzazione, nel contesto delle norme deontologiche (BACB, 2004) che ne regolano accuratamente l’eventuale utilizzo, deve essere accompagnato da interventi di ridirezionamento sotto forma di rinforzo dei comportamenti alternativi. 199 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Ancora principi L’apprendimento di un organismo è continuo, dura tutta la vita, ovviamente con ritmi e modalità diversi: i comportamenti appresi, tuttavia, sono solo relativamente stabili e certamente non sono appresi in modo definitivo. Possono essere generalizzati a situazioni nuove, oppure essere posti sotto il controllo di eventi particolari. Queste caratteristiche, che risultano estremamente adattive per ogni organismo in termini di flessibilità ed economicità, sono assicurate da alcuni principi fondamentali: estinzione, discriminazione, generalizzazione, imitazione. Estinzione Con questo termine si intende la diminuzione della forza della risposta. Come alcune conseguenze rinforzano i comportamenti, così la mancanza di conseguenze li indebolisce progressivamente. Il fenomeno dell’estinzione si può notare sia nel condizionamento rispondente che in quello operante. Per quanto riguarda il condizionamento operante, quando un comportamento non produce più conseguenze che lo rinforzino, la sua ricomparsa diventa progressivamente meno probabile e meno frequente. L’estinzione operante è definibile, pertanto, come la diminuzione della frequenza di una risposta quando questa non è più seguita da un rinforzo. In termini sperimentali l’estinzione si studia azzerando l’erogazione di rinforzatori a seguito di un dato operante. La mancanza di rinforzo a una risposta precedentemente rinforzata conduce alla lunga alla sua estinzione ma nell’immediato produce anche reazioni che possono essere definite di frustrazione o rabbia. Inoltre, quando una procedura di estinzione viene attuata si presenta un aumento della frequenza del comportamento: tale fenomeno è stato definito extinction burst, tradotto come scoppio dell’estinzione. La velocità con cui avviene il decremento del comportamento dipende dalla storia di apprendimento dell’organismo. Se il comportamento deriva da una storia d’apprendimento in cui è stato prevalente un rinforzo intermittente, a rapporto variabile, vi è alta resistenza all’estinzione: infatti quando il rinforzo è particolarmente discontinuo la risposta tende a persistere a lungo. Generalizzazione Gli organismi devono possedere la capacità di reagire a situazioni stimolo simili in modo simile. Essa è un a priori, una caratteristica intrinseca e basilare dell’apprendimento: solo grazie alla possibilità di categorizzare la novità e di generalizzare su tale categorizzazione è possibile apprendere. Il processo di generalizzazione degli stimoli serve a dare stabilità e coerenza al comportamento degli individui in un ambiente altamente variabile. Infatti, nelle interazioni organismo-ambiente è di fatto impossibile che uno stimolo si ripresenti uguale a se stesso. 200 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Discriminazione Un organismo deve essere in grado di reagire in modo differenziato e specifico agli eventi-stimolo presenti nell’ambiente: quando un organismo apprende a rispondere a uno stimolo e non a un altro che si presenti simile al primo si è verificato un processo di discriminazione. Il processo di discriminazione conferisce specificità, varietà e flessibilità al comportamento degli individui. Generalizzazione e discriminazione La funzione discriminativa è parte costituente del paradigma operante, in quanto rappresenta il terzo termine della contingenza. Vi sono almeno tre procedure fondamentali, che corrispondono ad altrettanti processi, per studiare e produrre una discriminazione. Nella discriminazione simultanea lo stimolo discriminativo (Sd) e lo stimolo alternativo (S∆) vengono presentati contemporaneamente al soggetto che deve scegliere, in base alle conseguenze, lo stimolo «giusto». La posizione viene variata in modo casuale affinché la scelta non sia basata sulla posizione invece che sulle caratteristiche dello stimolo. Ogni scelta tra alternative contemporaneamente presenti, siano un bivio da imboccare o un test con più risposte possibili, è basata su un processo di discriminazione simultanea. Un caso particolare di discriminazione simultanea è rappresentato dalla procedura di matching-to-sample, traducibile in confronto con un campione. Consiste nello scegliere tra due stimoli quello che risulta simile a un terzo stimolo, detto appunto di confronto. Nella discriminazione successiva Sd e S∆ vengono presentati in due momenti diversi, con una sequenza casuale per evitare un effetto seriale: in questo caso il soggetto non deve scegliere tra due possibilità, ma decidere come comportarsi in base alle diverse conseguenze di ogni stimolo. Generalizzare un’abilità acquisita è la capacità di utilizzare gli apprendimenti acquisiti anche in contesti differenti dal contesto specifico in cui sono stati appresi ed è un concetto differente dal mantenimento. Il processo di generalizzazione dei training è stato studiato sistematicamente a partire dalla metà degli anni ’70. Prima di allora vigeva il principio train and hope (Moderato, 1979). Successivamente nei training di stampo «Lovaas» sono stati introdotti programmi di generalizzazione che guidavano il passaggio dalle prove strutturate a tavolino a prove in cui veniva introdotto in modo sistematico un elemento della generalizzazione (luogo, persona, stimolo, ambiente, ecc.). Ora gli approcci basati sul Natural Environmental Teaching non programmano una generalizzazione sistematica, in quanto all’interno dei training la generalizzazione è prevista fin dall’inizio per cui non richiede un training supplementare. Un training produce generalizzazione se: 201 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 • il comportamento che ne è oggetto si verifica nell’ambiente naturale; • il training porta allo sviluppo di un comportamento a cui non era specificamente rivolto; • il comportamento si mantiene nell’ambiente naturale per molto tempo. Gli elementi da generalizzare sono i seguenti: 1.Stimolo: il bambino deve essere in grado di emettere il medesimo comportamento in presenza di materiali diversi da quelli con cui ha appreso l’abilità. Esempio: se il bambino ha imparato il concetto di mela con una mela rossa, deve essere in grado di riconoscere come mela anche una mela verde, una mela di plastica, le foto di una mela, un disegno, ecc. 2.Luogo: il bambino deve essere in grado di emettere il medesimo comportamento in ambienti diversi: in altre stanze della casa, a scuola, a casa dei nonni, al parco, ecc. 3.Persona: il bambino deve avere lo stesso livello di collaborazione e di prestazione anche con persone diverse. 4.Linguaggio: durante i training viene inizialmente usato un linguaggio molto semplice, lontano dal comune modo di parlare; generalizzare significa arricchire e rendere più complicato il modo in cui ci rivolgiamo al bambino. 5.Distanza: tra il bambino e lo stimolo, il bambino deve imparare a rivolgere l’attenzione anche a oggetti che non sono direttamente davanti a lui; tra il bambino e un’altra persona, quando comunichiamo o ascoltiamo le persone, queste non sono sedute esattamente di fronte a noi: l’insegnante sta in piedi o seduta di fronte a tutta la classe, la mamma può chiedere qualcosa mentre sta cucinando, qualcuno può salutarmi dall’altro lato della strada, ecc. 6.Risposta: il bambino deve essere in grado di cambiare topografia della risposta mantenendo la stessa funzione. Esempio: un bambino che ha imparato a riconoscere i colori deve riuscire a giocare a «strega comanda colore». Le componenti metodologiche procedurali dell’analisi comportamentale applicata Applicazioni di prima generazione: Discrete Trial Teaching Il Discrete Trial Teaching (DTT), tradotto in italiano come insegnamento per prove discrete, è probabilmente la componente procedurale dell’analisi comportamentale più conosciuta nel campo dell’autismo. Infatti il DTT è stato a lungo, e spesso è ancora, considerato sinonimo di analisi comportamentale applicata, soprattutto grazie alle ricerche di Ivaar Loovas alla fine degli anni ’70 con il progetto UCLA YAP. 202 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Il DTT è una metodologia d’insegnamento che viene utilizzata per massimizzare l’apprendimento in diverse aree di abilità: cognitive, di comunicazione, di gioco, di abilità sociali e di autonomia. I bambini con autismo spesso dimostrano molte difficoltà d’apprendimento e il DTT può apportare miglioramenti nelle seguenti aree: –Attenzione: molti bambini con autismo hanno tempi d’attenzione molto brevi. Per questo motivo nel DTT le abilità vengono suddivise in piccole sotto-abilità (task analysis). All’inizio l’interazione può durare solo alcuni secondi, fino ad aumentare a minuti grazie al DTT. –Motivazione: i bambini con autismo sono meno motivati a lavorare rispetto al resto dei bambini anche a sviluppo tipico. Il DTT prevede l’utilizzo di rinforzatori contingenti alla prestazione migliore. I rinforzatori spesso, soprattutto all’inizio e nei casi più gravi, sono estrinseci e tangibili (cibo, giocattoli, pause gioco, ecc.), ma sono sempre associati a complimenti e lodi, in modo da trasferire a questi ultimi il valore rinforzante dei primi. –Stimulus control: la discriminazione tra stimoli rilevanti — richieste di insegnanti/genitori, inviti dei coetanei, segnali ambientali (campanella della scuola, allarmi, clima, ecc.) — e il resto degli stimoli è spesso un compito difficile per i bambini con autismo. Nel DTT gli stimoli vengono presentati in modo chiaro e coerente. Il bambino riceve un rinforzatore solo per i comportamenti emessi in risposta a questi stimoli. –Generalizzazione: solitamente i bambini con autismo hanno difficoltà a generalizzare le abilità acquisite in ambienti e situazioni diverse. Di conseguenza il DTT prevede la generalizzazione dei seguenti elementi: persona, setting, stimolo discriminativo, modello di rinforzamento, topografia della risposta. –Rapporto causa-effetto e apprendimento osservazionale: i bambini con autismo hanno difficoltà ad apprendere spontaneamente dall’ambiente. Con il DTT si insegnano nuove abilità e comportamenti in modo esplicito e strutturato per fare fronte a questa difficoltà. –Comunicazione: nei bambini con autismo il linguaggio è generalmente deficitario sia a livello di chi ascolta sia a livello di chi parla. Un insegnamento basato sul linguaggio naturale risulta spesso troppo difficile per questi bambini. Gli stimoli discriminativi vocali dati nel DTT, specialmente all’inizio dell’intervento, sono semplici, concreti e chiari con le informazioni salienti. Quando migliorano le abilità di ascolto del bambino, anche il linguaggio da parte dell’adulto diventa più complesso. Ci sono 5 parti che compongono una prova discreta: 1.Lo stimolo discriminativo (Sd): l’elemento che precede il comportamento. Consiste in una richiesta da parte dell’operatore o in un elemento dell’ambiente che si mette in evidenza. 203 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 2.L’aiuto (prompt): un aiuto o un suggerimento che l’operatore fornisce al bambino per facilitarne le risposte. 3.La risposta: il comportamento che il bambino deve emettere in seguito a uno stimolo discriminativo. 4.Il rinforzatore (Sr): l’evento stimolo che segue il comportamento. 5.Pausa tra le prove (inter-trial interval): una breve pausa tra le prove consecutive. Una prova discreta è così composta: Sd………………R……………Sr Esempio Operatore:«Dammi palla» alla presenza di un’immagine o di un oggetto (Sd o antecedente). Bambino: Consegna la palla (R o comportamento). Operatore:«Bravissimo!!!» e consegna rinforzatore (Sr o conseguenza). In questo esempio l’operatore fa una richiesta al bambino (Sd). Le possibilità di risposta sono tre. Se il bambino risponde correttamente, questo comportamento viene immediatamente rinforzato. Se il bambino sbaglia, l’operatore ricomincia la sequenza ripresentando lo stimolo: fornisce anche un aiuto totale (presentando un full prompt che dovrebbe impedire un ulteriore errore) e ripresenta la richiesta. Se la risposta è corretta, l’operatore rinforza anche verbalmente il bambino (Sr). A questo punto l’operatore può decidere di fare una breve pausa per poi passare a un’altra prova discreta. C’è una terza possibilità, cioè che il bambino non risponda del tutto. In questo caso, dopo una latenza di non più di 2 secondi, si presenta come nella sequenza precedente l’aiuto totale. Sviluppare nuovi comportamenti Nel discrete trial teaching viene utilizzata la procedura di apprendimento senza errori (errorless learning), una tecnica d’insegnamento in cui si usa uno stimolo aggiuntivo con funzione d’aiuto (prompt) che serve all’inizio a impedire al soggetto di sbagliare (Terrace, 1963a). Terrace (1963b) ha sviluppato una procedura per discriminare tra due colori (verde e rosso) senza commettere errori. Partendo dalla discriminazione tra una linea verticale e una orizzontale precedentemente acquisita, Terrace, attraverso una procedura di transfert senza errori, arrivava alla discriminazione rosso-verde attraverso una prima sovrapposizione tra la linea verticale orizzontale sul rosso e sul verde. I risultati mettono in evidenza che una lenta transizione da una discriminazione più facile a una più difficile permette un apprendimento senza errori. I prompt più frequentemente utilizzati sono: • fisici: l’operatore guida fisicamente il soggetto; • gestuali: si indica la risposta corretta; 204 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata • visivi: stimoli visivi come il colore più accentuato aiutano nella scelta corretta della risposta; • imitativi: l’operatore dà dimostrazione del comportamento corretto; • ritardati: il ritardo nel prompt favorisce risposte indipendenti; • posizione: l’immagine o l’oggetto viene posto più vicino al soggetto. Per minimizzare la probabilità d’errore all’inizio viene presentato il prompt più forte. In un secondo tempo, quando il soggetto comincia a padroneggiare la nuova abilità, il prompt viene eliminato in modo graduale (fading). È importante non sovrapporre o mescolare i prompt, altrimenti diventa impossibile fare il fading in quanto non è chiaro quale fra i tanti prompt sia quello da sfumare. Il fading è il cambiamento graduale di uno stimolo (prompt) che controlla una risposta, in modo tale che, alla fine, la risposta compaia in seguito a uno stimolo parzialmente cambiato o completamente nuovo senza prompt. Nell’esempio riportato nella figura 2 viene utilizzato il fading visivo per insegnare al bambino a denominare la lettera «b» scritta in stampato minuscolo partendo dalla lettera «B» scritta in stampato maiuscolo riconosciuta dal bambino. Nell’esempio raffigurato nella figura 3 viene utilizzato il fading gestuale per insegnare al bambino a discriminare un oggetto. Nell’insegnamento attraverso prove discrete ven- Fig. 2 Fading visivo. gono utilizzate anche le altre classiche procedure comportamentali di base come shaping e chaining. Lo shaping è una procedura che viene utilizzata per sviluppare progressivamente un comportamento che non fa parte del repertorio iniziale dell’individuo. Se il comportamento è assente, non è possibile aumentarne la frequenza aspettando che si manifesti per poi rinforzarlo. Quindi, si inizia 1 2 3 Operatore Operatore Operatore Studente Studente Studente Fig. 3 Fading gestuale. 205 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 rinforzando una risposta che compare seppur raramente e che assomiglia, almeno lontanamente, alla risposta finale desiderata. Lo shaping può essere definito come lo sviluppo di un nuovo comportamento attraverso il rinforzo di piccole approssimazioni progressive e l’estinzione di quelle precedenti (Martin e Pear, 2000). La metodologia è basata sui processi di generalizzazione e discriminazione e sul concetto di classe operante. Ogni risposta si presenta con una certa variabilità che fa sì che le volte successive compaia in forme simili ma non perfettamente identiche: rinforzando sistematicamente e progressivamente solo una fra queste forme, essa verrà discriminata e raggiungerà una frequenza stabile. Come si insegnano le principali autonomie quotidiane? Come si insegna a lavarsi le mani, a lavarsi i denti, a vestirsi, ecc.? Molte abilità consistono in catene di azioni (ad esempio, lavarsi le mani) troppo complesse per poter essere insegnate tutte insieme: vengono quindi scomposte in subunità e insegnate una alla volta, concatenandole tra loro all’interno di una catena (chaining), diminuendo allo stesso tempo sistematicamente i prompt. Una catena stimolo-risposta è una sequenza di stimoli discriminativi (Sd) e di risposte in cui ciascuna risposta, tranne l’ultima, ha la funzione di SD per la risposta successiva e l’ultima risposta è seguita da un rinforzatore: Esistono tre principali metodi per insegnare una catena stimolo-risposta: 1.Compito totale: il soggetto tenta ogni volta tutti i passi dall’inizio alla fine della catena e prosegue con i tentativi di realizzare l’intero compito finché si è raggiunta una certa padronanza in ogni passo. 2.Concatenamento retrogrado: viene insegnato per primo l’ultimo passo, poi il penultimo e concatenato con l’ultimo, poi il terzultimo e concatenato con gli altri due, proseguendo a ritroso fino all’inizio della catena. 3.Concatenamento anterogrado: viene insegnato per primo il primo passo della catena, poi vengono insegnati il primo e il secondo e concatenati l’uno con l’altro e così via finché non viene acquisita tutta la catena. Chaining, fading e shaping a confronto Chaining, fading e shaping sono a volte detti procedure di cambiamento graduale perché tutti e tre implicano il procedere gradualmente attraverso una serie di passi per produrre un nuovo comportamento o un nuovo controllo da parte di uno stimolo. Martin e Pear (2000) riportano una tabella esaustiva che mette in luce differenze e somiglianze tra le tre procedure (vedi tabella 2). L’efficacia del DTT è stata testata da numerose ricerche. Prima fra tutte va ricordata quella di Lovaas (1987), poi replicata da McEachin, Smith e Lovaas (1993). Tuttavia, queste ricerche non sono state esenti da critiche nel corso degli anni. Gresham e MacMillar (1998) sottolineano la mancanza di un vero progetto sperimentale nella ricerca di Lovaas del 1987, in quanto 206 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Altre considerazioni procedurali Procedura generale del training Comportamento finale Tabella 2 Confronto tra shaping, fading e chaining SHAPING FADING CHAINING 1.Un nuovo comportamento ottenuto modificando qualche dimensione fisica come la topografia, la quantità o l’intensità. 1.Un dato comportamento è controllato da un nuovo stimolo. 1.Una nuova sequenza di risposte, nella quale uno stimolo preciso segnala la fine di ciascuna risposta e dà il via a quella successiva. 2.Il comportamento finale consiste esclusivamente nell’ultimo passo dello shaping. 1.Spesso viene effettuato in ambiente non strutturato in cui il soggetto ha la possibilità di emettere un gran numero di comportamenti diversi. 2.Segue l’ordine naturale del comportamento. 1.Può implicare prompt fisico e includere anche l’utilizzo del fading nei passi successivi. 2.Implica l’utilizzo del rinforzo e dell’estinzione. 2.Il controllo finale dello stimolo consiste esclusivamente nell’ultimo passo del fading. 2.Il comportamento finale consiste in tutti i passi della catena. 1.In genere avviene in ambiente strutturato in quanto gli stimoli presenti devono essere accuratamente controllati. 2.Segue l’ordine naturale del comportamento. 1.In genere avviene in un ambiente strutturato o semistrutturato. 2.Procede in una direzione anterograda o retrograda. 1.In rari casi può includere l’utilizzo dello shaping. 1.Spesso include prompt fisici, fading e shaping nei diversi passi. 2.Implica l’utilizzo del rinforzo e, se si deve usare l’estinzione, significa che il fading non si è svolto in modo ottimale. 2.I m p l i c a u n m i n o r numero di prove di estinzione rispetto allo shaping per il forte stimulus control stabilito dal prompt e dal fading nei diversi passi. non c’è stato sufficiente controllo nella distribuzione dei soggetti ai gruppi sperimentali e al gruppo di controllo. La validità interna dello studio è stata anche messa in dubbio da minacce influenti tra cui modifiche o variazioni nelle procedure di misurazione nel corso del tempo. Boyd (1998) ha sottolineato anche la sproporzione tra la media del quoziente intellettivo (QI) delle femmine rispetto ai maschi nel gruppo di controllo. Inoltre, Eikeseth (2001) ha messo in evidenza la regressione statistica del QI dei bambini durante il follow-up nel corso del tempo. 207 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Approcci di seconda generazione Nel corso degli anni l’analisi comportamentale applicata, pur rimanendo fedele ai principi di base sostenuti da una gran mole di ricerche, ha sviluppato interventi più orientati in senso ecologico, affiancando agli approcci più strutturati come il DTT approcci più naturalistici come il Verbal Behavior Teaching (VBT), il Natural Language Paradigm (NLP), il Natural Environmental Teaching (NET) e l’Incidental Teaching (IT). Nello sviluppo dell’analisi comportamentale applicata tra gli approcci strutturati e gli approcci ecologici si possono evidenziare elementi di continuità e discontinuità. Gli approcci strutturati di prima generazione sono basati prevalentemente sul controllo delle conseguenze del comportamento, per cui viene posta maggiore attenzione alla programmazione di interventi reattivi (ad esempio, modelli di rinforzamento, processi di estinzione, ecc.). Gli approcci di seconda generazione sono basati maggiormente sul controllo degli antecedenti del comportamento, per cui maggiore attenzione viene posta alla programmazione di interventi proattivi (motivazione, gestione dell’ambiente, ecc.). Negli approcci strutturati l’insegnamento iniziale avviene essenzialmente a tavolino, con una programmazione sistematica della generalizzazione degli apprendimenti solo dopo l’acquisizione a tavolino. Negli approcci ecologici l’insegnamento iniziale si basa essenzialmente sui training di comunicazione, sul pairing e sul controllo educativo, e la generalizzazione è già insita fin dall’inizio nella programmazione dell’intervento. Tuttavia, sia negli approcci strutturati sia negli approcci ecologici vengono utilizzati gli stessi principi di base dell’analisi del comportamento: intensività e precocità degli interventi sono sempre le colonne portanti, la loro diversa modulazione e collocazione nella sequenza educativa. Per tale motivo deve essere chiaro che tutti questi interventi devono essere sempre classificati come analisi comportamentale applicata. Verbal Behavior Teaching Nel 1957 Skinner pubblica il libro Verbal Behavior, che presenta un’analisi in termini funzionali del linguaggio definito come «comportamento operante rinforzato attraverso la mediazione di un’altra persona o persone, indipendente dal modo o forma». Che cosa distingue una relazione verbale da una non verbale? Skinner (1957), ricorrendo al modello della contingenza a tre termini (antecedenterisposta-conseguenza), identifica tale caratteristica nella topografia con la quale le conseguenze si presentano all’interno di un operante verbale: tali conseguenze sono mediate da un ascoltatore. Skinner (1957) definisce la relazione verbale come una classe di eventi definibile sulla base di tre criteri: a) una risposta emessa da un individuo (parlante); b)la conseguenza mediata dal comportamento di un altro individuo (ascoltatore); 208 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata c) la comunità verbale cui appartengono parlante e ascoltatore, che ha modellato il comportamento verbale e non verbale di quest’ultimo perché possa rispondere adeguatamente, cioè fornire le opportune conseguenze, agli stimoli prodotti da colui che parla. Non solo, ma in qualche modo gli stimoli verbali arrivano a sostituire quelli non verbali e viceversa: basta, ad esempio, pensare all’intercambiabilità fra il semaforo rosso, il gesto di alt e la parola ALT. Tutto ciò implica che lo stimolo verbale possa entrare a far parte anche di relazioni arbitrarie complesse del tipo — stimolo verbale ↔ stimolo non verbale ↔ risposta ↔ conseguenza — che vengono mantenute dalla comunità verbale cui chi ascolta e chi parla appartengono. Chase e Danforth (1991) hanno, per questo, aggiunto una quarta caratteristica alla definizione di Skinner (1957): l’apprendimento del comportamento di ascoltatore implica l’apprendimento di relazioni arbitrarie fra stimoli.1 L’analisi funzionale di una relazione verbale è centrata sull’insieme di elementi che costituiscono l’operante verbale e, sulla base degli eventi ambientali che fungono da antecedenti e da conseguenti, è possibile costruirne una tassonomia (vedi figura 4) (Presti et al., 2002). Gli operanti verbali identificati da Skinner sono: ecoico, mand, tact, intraverbale e autoclitico. Tutti gli operanti verbali richiedono un training specifico in quanto hanno funzioni indipendenti. Ecoico Skinner (1957) definisce l’operante ecoico come «un comportamento verbale e vocale che ha corrispondenza punto a punto con un modello verbale e vocale». Se un genitore dice, «biscotto», ad esempio, e un bambino ripete «biscotto» si verifica un comportamento ecoico (vedi tabella 3). Mand «Un mand è l’operante verbale la cui risposta è rinforzata da una conseguenza insita nella richiesta ed è sotto il controllo funzionale delle condizioni di privazione o stimolazione aversiva» (Skinner, 1957). La necessità, il desiderio di qualcosa e un ascoltatore sono l’essenziale condizione antecedente, mentre ciò che è richiesto può non essere presente (vedi tabella 4). Se è presente una situazione in cui si desidera qualcosa, se vi è un antecedente non-vocale, se viene specificato un particolare rinforzatore, si tratta di un mand puro. 1 Le relazioni arbitrarie tra stimoli sono un operante in cui lo stimulus control per la risposta è rappresentato da relazioni arbitrarie fra una classe di stimoli; tali relazioni sono mantenute dalla comunità verbale. Inoltre, le relazioni arbitrarie tra stimoli sono stimoli antecedenti che evocano la stessa risposta ma non assomigliano nella forma, ad esempio, pane, formaggio, pasta sono elementi della stessa classe arbitraria di stimoli se evocano la risposta «cibo». Per un maggior approfondimento si veda Moderato, Presti e Chase (2001) e Moderato (2010). 209 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Relazione verbale controllata da Operazione motivazionale Evento antecedente non verbale Mand Tact Evento antecedente verbale Senza corrispondenza tra A e R Con corrispondenza tra A e R Formalmente simili Intraverbale Ecoico (A orale; R orale) Copiato (A scritto; R scritto) Formalmente differenti Testuale (A scritto; R orale) Fig. 4 Tassonomia degli operanti verbali. Tabella 3 Ecoico ANTECEDENTI Comportamento verbale di altri COMPORTAMENTO Ecoico CONSEGUENZA Rinforzatore sociale/simbolico Esempio A: «Palla» B: Dice: «palla» C: «È giusto, bravo!» Tabella 4 Mand 210 ANTECEDENTI Mancanza, desiderio, necessità COMPORTAMENTO Mand CONSEGUENZA Ciò che è stato richiesto con il mand Esempio A: Viene trattenuta la palla B: Dice: «Palla» C: Riceve la palla Dettato (A orale; R scritto) P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Ad esempio, se un bambino dice «succo» quando ha sete e la conseguenza del comportamento verbale «succo» è la consegna del succo, questo è un mand. Per evitare facili fraintendimenti in cui altri sono già caduti (Chomsky, 1959), va chiarito che, quando Skinner parla di situazione di privazione, descrive una situazione «naturale» dell’organismo, non un’operazione: in altre parole non si «asseta» un bambino per metterlo in condizione di privazione ma si approfitta della condizione in cui ha «naturalmente» sete per insegnargli in modo incidentale a esprimere verbalmente la sua richiesta. Inoltre, quando si parla di mand training è fondamentale introdurre il concetto di operazioni motivazionali in quanto il mand è evocato da variabili motivazionali: establishing operations (EO), recentemente ridefinite motivative operations (MO), tradotte come operazioni motivazionali (Laraway et al., 2003). Keller e Schoenfeld (1950) sono stati i primi ad affrontare il ruolo della motivazione inteso come principio del comportamento e a precisare la differenza con lo stimolo discriminativo in termini di relazioni funzionali al comportamento. Essi descrivono la motivazione come una variabile indipendente da studiare separatamente dalle altre variabili comportamentali e parlano di motivazione in termini di establishing operation (EO): ogni stimolo o condizione che alteri il valore dello stimolo conseguente e, inoltre, evochi la risposta che in passato ha prodotto questa conseguenza. L’establishing operation è la nostra variabile indipendente, il comportamento la nostra variabile dipendente, la prima può essere descritta per tipo e grado e della seconda viene misurato il cambiamento.2 Il termine EO è stato introdotto per definire la funzione motivazionale degli stimoli ambientali o delle condizioni che non sono sotto il controllo della deprivazione, sazietà e aversione (Michael, 1982). Fin dai primi articoli di Michael sull’argomento, gli analisti comportamentali hanno riconosciuto l’importanza dell’EO e hanno progressivamente adottato la terminologia di Michael. Dal 1990 al 1999 gli articoli del «JABA» che usano il termine EO sono passati da 3 a più di 60. Inoltre, le citazioni degli articoli di Michael del 1982 e del 1993 sull’EO sono aumentate di numero ogni anno, al punto che l’articolo di Michael del 1982, pubblicato nel «JEAB», è ora l’articolo più citato nel «JABA». Differenze tra stimolo discriminativo ed EO Nell’articolo del 1982 in cui introduce l’espressione establishing operations Jack Michael mette in luce le differenze tra stimolo discriminativo (SD) e EO. L’SD è un cambiamento ambientale che, data la momentanea efficacia di alcuni particolari tipi di rinforzo, incrementa la frequenza di un parti2 «The establishing operation is our independent variable, the behavior our dependent variable, the former is specifiable as to kind and degree and the latter is measured for extent of change» (Keller e Schoenfeld, 1950, p. 273). 211 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 colare tipo di risposta, poiché tale cambiamento ambientale è stato seguito da quel tipo di rinforzo. Il processo secondo cui un comportamento si manifesta maggiormente in presenza di alcune condizioni antecedenti è chiamato discriminazione operante e il risultato sul comportamento è chiamato stimulus control, cioè il «controllo» sul comportamento da parte di uno stimolo. L’operante discriminato ha le sue origini nei tre termini della contingenza: antecedentecomportamento-conseguenza; i tre termini della contingenza vengono definiti dall’acronimo ABC, cui si aggiunge una «s» per indicare i fattori contestuali. Uno stimolo discriminativo antecedente «controlla» un operante solo perché segnala un tempo o un luogo in cui il comportamento produrrà probabilmente qualche tipo di conseguenza. Bisogna fare attenzione a non confondere la funzione discriminativa con quella elicitante, che è una proprietà degli stimoli solo nelle interazioni rispondenti. Uno stimolo con funzione di rinforzatore positivo rafforza la classe di comportamenti che lo precede, ma solo in presenza di uno stimolo con funzione discriminativa e in un certo contesto. Per questo motivo, è stato necessario aggiungere un quarto elemento (vedi figura 5): 1.stimolo antecedente con funzione discriminativa; 2.risposta con funzione effettuale; 3.stimolo conseguente con funzione rinforzante; 4.fattore situazionale e EO. L’espressione establishing operation definisce solo un aumento nell’efficacia delle conseguenze (rinforzatore o punizione). Molte variabili motivazionali decrementano l’efficacia delle conseguenze, mentre Michael (1982), riconoscendo il problema dell’utilizzo di EO come un termine onnicomprensivo, ha poi introdotto il termine complementare di abolishing operation (AO) per riferirsi a eventi che diminuiscono l’efficacia di una conseguenza data. Nel 2003 Laraway, Snycerski, Michael e Poling hanno introdotto l’espressione motivational operations (MO) come un termine omnicomprensivo che comprende sia EO che AO. Storia di apprendimento Fattore situazionale EO Fig. 5 Contingenza a 4 termini. 212 SD Risposta Rinforzatore P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata La più completa definizione di MO è la seguente: «ogni operazione, evento o condizione stimolo che altera il valore rinforzante di qualche stimolo, oggetto o evento e inoltre altera la frequenza o qualche dimensione del comportamento che è stato rinforzato dallo stesso stimolo, oggetto o evento» (Michael, 1988). Nei tentativi di identificare le variabili che controllano un comportamento, ogni analista del comportamento dovrebbe essere consapevole che una data MO probabilmente incide su molti comportamenti e un dato comportamento probabilmente è provocato da molte MO. Ad esempio in alcuni studi è stato rilevato che ritardare l’inizio di un’attività programmata o la privazione di sonno può avere molteplici funzioni motivazionali. In un partecipante, la privazione del sonno riduceva il valore della lode come rinforzatore (essa funzionava come un AO per l’approvazione) e aumentava il valore dell’immediato accesso a stimoli consumabili come rinforzatori (essa funzionava come EO per stimoli commestibili) (Laraway et al., 2003). Northup et al. (1997) hanno dimostrato che le MO possono avere molteplici, e qualche volta simultanei, effetti motivazionali. Così, il trattamento che coinvolge la manipolazione delle MO può insegnare comportamenti alternativi ai comportamenti target eliminando i rinforzatori che mantengono il comportamento autolesivo (Laraway et al., 2003). Deficit di comunicazione La maggior parte dei bambini con autismo non riesce a interagire in modo socialmente adeguato; ad esempio molti non sono in grado di fare domande spontaneamente (Charlop-Christy e Milstein, 1989) per cui è necessario insegnare loro in modo esplicito a formulare domande. Molte ricerche hanno dimostrato l’efficacia delle tecniche comportamentali nell’insegnare ai bambini con autismo a fare domande in vari modi e situazioni (Taylor e Harris, 1995; Koegel et al., 1998; Donley e Keller, 2000). Molti bambini con autismo, pur avendo un repertorio vocale, presentano deficit nelle interazioni spontanee. Questo accade quando l’attenzione nella fase di insegnamento è rivolta alle topografie linguistiche piuttosto che alla funzione (Williams e Greer, 1993): ad esempio, spesso quando si insegna a una persona a richiedere ciò di cui ha bisogno, si insegna erroneamente a rispondere alla domanda «Che cosa vuoi?». Frequentemente il linguaggio identificato come «non-spontaneo» consiste in emissioni verbali che sono emesse sotto il controllo di aiuti verbali antecedenti (ad esempio, dire «grazie», «cosa vuole»?) piuttosto che di establishing operation senza antecedenti verbali. L’assenza di mand vocali è considerata un deficit comune nel repertorio verbale di individui con autismo (Bourret, Vollmer e Rapp, 2004). I loro repertori di mand vocali possono avere le seguenti caratteristiche: a) non ci sono mand, b) i mand non hanno una topografia adattiva (ad esempio, piangere, urlare, ecc.), c) i mand hanno solo parzialmente una topografia adattiva, e d) i mand non sono spontanei ma vengono indotti. Ogni defi213 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 cit sopracitato richiede soluzioni differenti: ad esempio, il modeling non sarebbe la strategia migliore per incentivare la produzione dei mand se la risposta fosse sotto il controllo dei prompt ambientali (Bourret, Vollmer e Rapp, 2004). Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) ritengono che sia possibile aumentare le richieste dei bambini con autismo attraverso la discriminazione condizionale e un adeguato training. È molto importante sviluppare il repertorio mand nei bambini con deficit del linguaggio (Sundberg e Michael, 2001), creando condizioni che non sono già presenti, perché i bambini con autismo hanno difficoltà ad apprendere abilità di richiesta e a generalizzarle (Wahlberg e Jordan, 2001). Ad esempio, un bambino magari è capace di denominare certi oggetti ma è incapace di produrre un mand per gli stessi oggetti, e viceversa (Sundberg e Michael, 2001). Comprendere i processi comportamentali coinvolti nel generare un repertorio flessibile di mand è importante per ridurre i comportamenti non adattivi dovuti alla mancanza di strumenti di comunicazione (Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes, 2005). Ad esempio, se il bambino si butta per terra quando la mamma parla con il fratello, si può insegnare al bambino un comportamento alternativo: attirare l’attenzione in modo adattivo facendogli chiedere «mamma, guardami» nel caso fosse un bambino verbale e vocale. Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) suggeriscono di insegnare mand multipli per lo stesso rinforzatore. In alternativa, secondo Barnes-Holmes, Barnes-Holmes e Cullinan (2000), è possibile stabilire un repertorio di mand multipli attraverso relazioni d’equivalenza, evitando di dover fare un training per ogni mand. In altre parole, dopo avere stabilito un solo mand per un particolare rinforzatore, è possibile trasferire quella funzione a diverse risposte attraverso la discriminazione condizionale. Di conseguenza, un bambino può imparare mand senza un training diretto. Lo studio di Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) adotta una strategia di ricerca che si pone come obiettivo quello di fondere l’approccio di Skinner (1957) al linguaggio umano con quello della RFT (si veda Barnes-Holmes, Barnes-Holmes e Cullinan, 2000 per una discussione particolareggiata). Esempio di training mand Nella figura 6 viene illustrata una possibile procedura per insegnare al bambino a formulare richieste utilizzando il trasferimento di funzione dall’operante ecoico all’operante mand. L’operatore presenta il prompt ecoico per 3 volte e ogni volta che il bambino ripete gli consegna ciò che aveva chiesto. Dopo 3 volte, in cui il bambino ripete e riceve ciò che ha chiesto, l’operatore aspetta 5 secondi prima di fornirgli ancora il prompt ecoico. Se il bambino formula la richiesta 214 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Prompt ecoico SR Prompt ecoico SR Prompt ecoico SR L’operatore aspetta 5 secondi Se il bambino richiede Se il bambino non richiede Consegna rinforzatore ecoico Prompt ecoico NO SR L’operatore aspetta 5 secondi Fig. 6 Transfer ecoico-mand. anche senza prompt, l’operatore gli consegna ciò che ha chiesto, in caso contrario si presenta un prompt ecoico al bambino (senza consegnargli ciò che ha chiesto). Dopo un’attesa di 5 secondi, se il bambino non risponde o commette un errore si ripete ancora la procedura dall’inizio. Attraverso questa procedura è possibile insegnare qualsiasi mand a condizione che si creino le giuste operazioni motivazionali (vedi figura 7) attraverso un insegnamento in ambiente naturale (Natural Environmental Teaching/NET). Ad esempio: vogliamo insegnare al bambino a richiedere l’attenzione dell’adulto vocalmente dicendo «mamma, vieni qui». È quindi necessario creare delle condizioni tali per cui il bambino sia motivato a fare la richiesta: un esempio di tale condizione può essere quello della mamma che parla con un’amica senza prestare attenzione al bambino. In questo caso, se il bambino desidera l’attenzione della mamma, può essere aiutato a dire «mamma, vieni qui» seguendo la procedura sopra presentata. Tact I tact sono operanti verbali che comportano un antecedente non verbale, l’oggetto o una sua rappresentazione, e un rinforzatore generalizzato, come 215 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Comportamento: «Mamma, vieni qui!» Operazioni motivazionali: –La mamma sta parlando con un’amica. –Il bambino ha finito di fare un disegno. –Non funziona più il DVD, ecc. Antecedente: Sd Ambiente Materiale Persona Conseguenza: La mamma va dal bambino Fig. 7 Contingenza a 4 termini: operazioni motivazionali, stimolo discriminativo, risposta, conseguenza. l’elogio di un adulto (vedi tabella 5). Così, se un bambino dice «palla» in presenza dell’immagine della palla o di una palla reale, il rinforzatore consiste nella risposta del genitore: «Sì, bravo questa è una palla!». I mand e i tact sono puri quando non ci sono antecedenti verbali (Williams e Greer, 1993). Nel caso del mand il bambino dice «palla» anche se non gli è stato chiesto «cosa vuoi?» e nel caso del tact il bambino dice «palla» anche se non gli viene chiesto «che cos’è?». Lo studio di Wallace, Iwata e Hanley (2006) esamina la relazione tra tact e mand. Anche se le proprietà funzionali del tact e del mand differiscono, la loro forma (topografia) può essere identica. Un bambino dice «succo», ad esempio, quando l’operatore indicando l’immagine di un succo di frutta prima chiede «Che cos’è?», poi conferma «È giusto!» se il bambino dà la risposta corretta. In questo esempio, «succo» è un tact. Invece, se un bambino (che ha sete) chiede «succo» e ottiene il succo di frutta ha emesso un mand. Tabella 5 Tact 216 ANTECEDENTI Aspetto stimolante dell’ambiente/SD COMPORTAMENTO Tact CONSEGUENZA Rinforzatore sociale/simbolico Esempio A: Vede qualcuno correre B: Dice: «corre» C: «È giusto, bravo!» P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Skinner (1957) afferma che tact e mand hanno funzioni indipendenti, così che lo stabilirsi di una classe non genera automaticamente l’altra classe. Tale indipendenza funzionale ha implicazioni sia a livello teorico sia a livello applicativo. Da una prospettiva teoretica, la distinzione tra tact e mand evidenzia l’importanza di considerare la funzione di ogni operante. Da una prospettiva applicativa, implica la progettazione di procedure per stabilire una relazione tra tact e mand che faciliti la comparsa dell’operante che non è stato insegnato. In una classica ricerca Lamarre e Holand (1985) hanno insegnato a 5 partecipanti dei tact e hanno esaminato le loro conseguenti capacità di mand. Inoltre, hanno insegnato ad altri 4 partecipanti dei mand e poi hanno esaminato la loro abilità di tact. I risultati di questo studio indicano che tutti i partecipanti avevano acquisito l’operante verbale che gli era stato insegnato ma non avevano appreso l’operante verbale che non gli era stato insegnato. In uno studio simile, Hall e Sundberg (1987) hanno insegnato a due partecipanti il tact di item che completavano una catena di risposta (ad esempio fare una zuppa istantanea: zuppa istantanea, acqua calda, una fondina e un cucchiaio), poi hanno esaminato la loro capacità di richiedere (mand) l’oggetto eliminando un item che serviva per fare la zuppa. I risultati indicano che i partecipanti avevano imparato il tact degli item ma non apprendevano il mand per l’oggetto mancante fino a che questo non gli era stato insegnato esplicitamente. Un limite di questo studio è che non sono chiare le operazioni motivazionali: ad esempio, nello studio di Lamarre e Holland (1985) l’EO non è mai stata identificata. Così anche nello studio di Hall e Sundberg (1987): un item che completava la catena era stato rimosso ma non è chiaro se il completare la catena funzionasse come rinforzatore. Solo negli studi più recenti viene presa in considerazione l’operazione motivazionale. Ad esempio, Wallace, Iwata e Hanley (2006), nella loro ricerca, hanno insegnato ai partecipanti tact di oggetti preferiti, la cui scelta preferenziale era stata precedentemente stabilita attraverso un assessment formale. Sundberg, San Juan, Dawdy e Arguelles (1990) hanno sottolineato l’efficacia del transfer di funzione da mand a tact. Similmente, Sigafoos, Reichle e Doss (1990) hanno dimostrato che 2 adulti con disabilità, a cui era stato insegnato a richiedere un cibo, potevano di conseguenza richiedere l’utensile (cucchiaio) corrispondente al cibo che consumavano dopo che era stato loro insegnato con successo il tact dell’utensile. L’argomento è ancora controverso ed è oggetto di continue ricerche. Intraverbale L’ intraverbale è «un comportamento verbale che non mostra corrispondenza punto a punto con gli stimoli verbali che lo evocano» (Skinner, 1957, p. 71). Un esempio di operante intraverbale può essere quello di classificare verbalmente o categorizzare oggetti nell’ambiente (ad esempio una sequenza di risposte tematicamente collegate come «cane, gatto, cavallo» quando viene chiesto di elencare alcuni animali). 217 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Il contenuto della domanda non corrisponde topograficamente al contenuto della risposta e la conseguenza consiste in un rinforzatore di tipo sociale (vedi tabella 6). Tabella 6 Intraverbale ANTECEDENTI Comportamento verbale COMPORTAMENTO Intraverbale CONSEGUENZA Rinforzatore sociale/simbolico Esempio A: 1, 2, 3… B: Dice: «4» C: «È giusto, bravo!» Il comportamento intraverbale è considerato un requisito indispensabile per la comunicazione più avanzata e rappresenta una parte essenziale dei programmi curricolari (Sundberg e Partington, 1998). I bambini con sviluppo tipico imparano continuamente a categorizzare nuovi oggetti, interagendo con il loro ambiente naturale, mentre quelli con autismo necessitano di un training esplicito. Molti ricercatori hanno studiato procedure per insegnare l’intraverbale a bambini neurotipici e con difficoltà dello sviluppo. Braam e Poling (1983) e Partington e Bailey (1993) hanno valutato una procedura di trasferimento di funzione per insegnare risposte legate da un tema comune (ad esempio, «dimmi tutte le cose che si mangiano») a soggetti diagnosticati con ritardo mentale. Durante il training, ai partecipanti era chiesto di individuare tutti gli elementi di una categoria: in caso di risposta errata, lo sperimentatore utilizzava prompt (tact o testuale) per produrre la risposta corretta. I prompt venivano progressivamente sfumati (fading), in modo di portare le risposte sotto controllo dello stimolo verbale antecedente iniziale. I risultati di questo studio suggeriscono che la procedura di trasferimento di funzione è efficace nell’insegnamento dell’operante verbale relativo alle categorie. Watkins, Neath e Sechler (1989) hanno insegnato singole risposte intraverbali relative ad attributi e sostantivi (ad esempio, la risposta «orso» allo stimolo «dimmi un animale»), e risposte intraverbali multiple (ad esempio, la risposta «margherita bianca» allo stimolo «dimmi un fiore»). Lo sperimentatore forniva prompt ecoici se i partecipanti rispondevano erroneamente o non rispondevano entro 2 secondi. I prompt ecoici erano molto utili nell’insegnamento di risposte intraverbali, specialmente quelle che coinvolgevano aggettivi astratti difficili da rappresentare con immagini (ad esempio, soffice). Partington e Bailey (1993) sono stati tra i primi ricercatori a valutare in modo sistematico l’indipendenza funzionale di tact e intraverbali. Gli 218 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata autori hanno valutato l’efficacia di una procedura di trasferimento di funzione per insegnare risposte intraverbali relative alle categorie a bambini prescolari con sviluppo tipico. I partecipanti seguivano un training tact in cui era chiesto loro di denominare 5 immagini che si riferivano alle seguenti categorie: frutti, giocattoli, cose che si usano per pulire la casa e mobili. I risultati hanno evidenziato che il tact training non migliorava il comportamento intraverbale dei partecipanti. Anche questo studio sostiene quindi fortemente l’indipendenza funzionale dei due operanti verbali (tact e intraverbale). I risultati degli studi sopra citati possono suggerire utili indicazioni nell’insegnamento del comportamento verbale. Il training che coinvolge tact multipli (ad esempio, denominare la categoria e denominare gli elementi della categoria) producono deboli cambiamenti nel repertorio intraverbale in bambini prescolari a sviluppo tipico. Invece, la procedura di trasferimento di funzione da tact a intraverbale produce un notevole miglioramento nel comportamento intraverbale. Il ruolo del rinforzo automatico nell’acquisizione precoce del linguaggio Le vocalizzazioni prodotte dai bambini piccoli non hanno sempre come conseguenze un rinforzo diretto: è questo il motivo per cui alcuni autori hanno mosso critiche a Skinner relativamente alla definizione del comportamento verbale inteso come comportamento operante rinforzato attraverso la mediazione di un’altra persona (Brown e Hanlon, 1970). Questa critica deriva da un generale fraintendimento del concetto di rinforzo. Skinner (1957) sostiene infatti che la conseguenza rinforzante può essere anche automatica, nel senso che non ci sono immediate conseguenze esterne. Ciò che rende automatico questa forma di rinforzo risiede nel fatto che esso non dipende dalla mediazione di altre persone. In relazione allo sviluppo delle risposte vocali, Skinner (1957, p. 58) afferma che: «se qualcuno rinforza ripetutamente qualcun altro dicendo “Bravo!”, non dobbiamo escludere la possibilità che colui che parla rinforzi anche se stesso nello stesso modo. Il bambino solo nella stanza può automaticamente rinforzare il proprio comportamento esplorativo vocale quando riproduce suoni che ha sentito ripetere da altri». Molti bambini sembrano acquisire alcuni aspetti del linguaggio dai loro genitori senza un insegnamento diretto o un particolare rinforzamento (Bijou e Baer, 1965; Moerk, 1990; Mowrer, 1954; Schlinger, 1995). Tuttavia, poiché i bambini con autismo presentano difficoltà ad apprendere spontaneamente dall’ambiente è importante analizzare e potenziare il concetto di processo di rinforzamento automatico. (Skinner, 1957; Vaughan e Michael, 1982) Il primo passo è l’appaiamento (pairing) di un suono (ad esempio, il prodotto sensoriale della risposta) con una forma stabilita di rinforzamento. Bijou e Baer (1965) suggeriscono che il suono prodotto da una risposta 219 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 vocale di un bambino potrebbe funzionare come una forma già ben stabilita di rinforzamento condizionato. Schlinger (1995) suggerisce che numerosi accoppiamenti tra i suoni vocalici da parte dell’adulto e lo stimolo rinforzante aumentano la probabilità di condizionare questi suoni a forme di rinforzamento. Il secondo passo risiede nella produzione di vocalizzazioni; questi comportamenti sono rafforzati o indeboliti sulla base della natura della risposta. Si ipotizza che, attraverso questo processo, il suono prodotto dal bambino sia plasmato come i suoni prodotti dalla comunità verbale in cui vive (Bijou e Baer, 1965). Sundberg, Michael, Partington e Sundberg (1996) hanno valutato l’effetto di accoppiamento stimolo-stimolo (pairing) con 5 bambini tra i 2 e i 4 anni per valutare l’efficacia del rinforzamento automatico per stabilire nuovi comportamenti vocali. I partecipanti sono stati inseriti in 3 diverse condizioni in ogni sessione: pre-pairing, pairing e post-pairing. Durante le fasi di pairing lo sperimentatore registrava tutte le vocalizzazioni prodotte dai partecipanti e un familiare produceva un suono target con immediato accesso all’attività preferita. Gli autori hanno dimostrato un aumento della frequenza del suono target durante tutte le osservazioni post-pairing. Recentemente, Yoon e Bennett (2000) hanno valutato gli effetti di un accoppiamento stimolo-stimolo (pairing) in 4 bambini prescolari con un grave ritardo del linguaggio. I partecipanti non avevano abilità oro-motorie e di imitazione vocale. Nel loro esperimento, gli autori hanno associato il suono target con un rinforzatore circa 36 volte durante una sessione di 3 minuti. Tutti i partecipanti hanno manifestato un aumento nella frequenza del suono target dopo il pairing. Anche lo studio di Miguel, Carr e Michael (2002) conferma che un rinforzatore automatico può essere utilizzato per aumentare il comportamento vocale dei bambini. Nella pratica quotidiana, l’operatore dovrebbe cogliere ogni opportunità per associare vocalizzazioni con lo stimolo preferito. Se la conseguenza di queste vocalizzazioni consiste nell’ottenere un oggetto, un’attività rinforzante, ci si aspetta che le vocalizzazioni aumentino (Sundberg e Partington, 1998). Tale procedura è indicata per bambini che non possiedono un repertorio ecoico. Paradigma del linguaggio naturale Il Natural Language Paradigm (NLP) è stato sviluppato da Koegel, Koegel e Surrat (1992). Nel NLP si parte dall’assunto che la componente più importante dell’insegnamento naturalistico sia la motivazione di chi apprende: è lo studente a scegliere il rinforzatore e l’attività in cui verrà effettuato il training sul linguaggio. Durante il training le contingenze di rinforzo sono ritrovate nell’ambiente naturale e le risposte verbali sono rinforzate dall’accesso a uno stimolo pertinente all’attività. L’insegnamento naturalistico è incorporato nelle attività quotidiane piacevoli per il bambino. L’insegnamento 220 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata inizia spesso con una valutazione delle preferenze in modo che l’operatore verifichi che gli item utilizzati per raggiungere la risposta corretta abbiano veramente valore di rinforzatori. Di seguito viene presentata una task analysis per una corretta valutazione delle preferenze: 1.l’operatore siede di fronte al bambino con un set di item preferiti dal bambino ma irraggiungibili; 2.mettere 3 item di fronte al bambino; 3.chiedere al bambino di sceglierne uno; 4.il bambino può prenderlo, indicarlo o nominarlo; 5.rimuovere gli item che non ha scelto; 6.ripetere i punti 1-5 per stabilire una serie di potenziali rinforzatori da usare durante la sessione; 7.effettuare una sessione di insegnamento con gli item scelti. Una volta che il rinforzatore è stato identificato, l’item viene messo davanti al bambino e si inizia l’insegnamento dei vari obiettivi nel momento in cui il bambino si avvicina all’item. L’operatore crea attività divertenti con l’item scelto e nel frattempo modella risposte vocali legate all’attività appropriate al contesto. Ad esempio, se durante la valutazione delle preferenze è stata scelta una bambola e la bambina si avvicina ad essa per giocarci, l’operatore può avvicinarsi alla bambola e far in modo che la bambina dia da mangiare alla bambola dicendo «la bambola mangia». Charlop-Christy, LeBlanc e Carpenter (1999) raccomandano che ogni risposta vocale che segue la consegna dell’item preferito sia rinforzata con un elogio verbale e l’accesso all’item. Nell’esempio precedente, se la bambina non risponde vocalmente, l’operatore potrebbe aiutarla fisicamente a giocare con la bambola per aumentare la sua motivazione a rispondere. L’operatore funge da modello per insegnare nuove risposte vocali adeguate al contesto (ad esempio «la bambola dorme»). È importante prevenire la saturazione di un particolare item perché il bambino deve essere sempre motivato a rispondere. Per questo motivo la valutazione dei rinforzatori deve essere riproposta frequentemente durante una sessione di insegnamento (CharlopChristy, LeBlanc e Carpenter, 1999). I vantaggi di un insegnamento naturalistico sono vari: 1.L’apprendimento è più divertente rispetto all’insegnamento del linguaggio con il discrete trial teaching, che spesso è condotto in setting asettici con l’utilizzo di rinforzatori non attinenti al contesto. 2.Generalizzazione e mantenimento sono insiti nell’insegnamento naturalistico, in quanto l’insegnamento avviene durante le attività quotidiane e il rinforzo viene trovato nell’ambiente naturale (Koegel, Camarata, Valdez-Menchaca e Koegel, 1998). 3.Quando le condizioni di insegnamento sono più «rilassate» e le contingenze di rinforzo sono nell’ambiente naturale il bambino non sperimenta fallimento ma è motivato ad apprendere (Koegel e Mentis, 1985). 221 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Incidental Teaching o Natural Environmental Teaching Come il NLP, l’Incidental Teaching o Natural Environmental Teaching si basa sull’insegnamento in contesti naturali, preparando il setting in cui avviene l’insegnamento in modo che contenga un certo numero di stimoli che interessino chi apprende. L’operatore prima prepara gli oggetti per i quali il bambino inizia un’interazione verbale, poi aspetta che il bambino cominci a interagire con gli oggetti nell’ambiente e modella un linguaggio più elaborato (Fenske, Krantz e McClannahan, 2001). Il rinforzatore non solo è scelto dal bambino, ma è anche l’oggetto su cui viene costruito l’insegnamento (McGee, Krantz e McClannahan, 1985). In questo modo le interazioni vocali hanno luogo naturalmente, il bambino è contento di ricevere l’oggetto di cui ha appena fatto richiesta piuttosto che ricevere un oggetto non correlato al contesto (MirandaLinné e Melin, 1992). L’insegnamento incidentale inizia quando il bambino comincia a richiedere verbalmente o testualmente un oggetto nell’ambiente oppure l’attenzione dell’operatore. L’operatore utilizza il prompting per aiutare il bambino ad approssimare una più elaborata risposta vocale. Ad esempio, il bambino sta guardando la palla e l’operatore cerca di fargli dire attraverso un prompt ecoico: «Palla». Dopo che il bambino ha imparato a rispondere correttamente, l’operatore aiuta il bambino a modellare una risposta più elaborata come «Io voglio la palla». L’elogio verbale e l’accesso all’item richiesto sono contingenti alla risposta più accurata. Se nell’ambiente ci sono molti oggetti interessanti per il bambino, quest’ultimo è motivato a fare richieste: in questo modo si creano molte opportunità di apprendimento. Di seguito vengono riportati esempi di Incidental Teaching: 1.Mentre si trova in cucina, il bambino può avere un bicchiere del suo succo di frutta preferito: • dare al bambino un bicchiere vuoto e mettere una bottiglia di succo davanti al bambino in modo che non possa prenderlo; • aspettare che il bambino faccia una richiesta anche indicando il succo; • fornire prompt affinché il bambino richieda il succo secondo le sue abilità (ad esempio, l’operatore fornisce il suo prompt ecoico: «Su»); • appena emette il suono consegnare il succo e rinforzare verbalmente. 2. Mentre si trova in salotto con la TV spenta: • aspettare che il bambino richieda di accendere la TV (ad esempio: «Voglio la TV»); • modellare una risposta progressivamente più elaborata fino ad arrivare, ad esempio, a «Voglio vedere la tv, per favore»; • appena risponde correttamente accendere la TV sul suo canale preferito ed elogiare. 222 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata 3. Mentre il bambino sta giocando a palla con l’operatore: • aspettare che il bambino richieda la palla (ad esempio: «Palla»); • modellare una risposta progressivamente più elaborata fino ad arrivare, ad esempio, a: «Sì, lanciami la palla, per favore»; • appena richiede nel modo corretto lanciare subito la palla ed elogiare. Miranda-Linné e Melin (1992) hanno replicato l’esperimento effettuato da McGee nel 1985 in cui si confrontavano il DTT e l’Incidental Teaching nell’insegnamento dei colori. La generalizzazione di nuovi colori è stata valutata dai genitori a casa durante il gioco libero. Sia il DTT sia l’Incidental Teaching hanno prodotto un sostanziale aumento nell’utilizzo dei colori nel linguaggio. Nel DTT l’apprendimento è stato più rapido, ma nel follow-up le risposte corrette sono diminuite e il mantenimento è stato più alto per gli aggettivi insegnati con l’Incidental Teaching. Recentemente, Charlop-Christy e Carpenter (2000) hanno comparato gli effetti di una procedura di insegnamento incidentale modificata, l’insegnamento incidentale tradizionale e il DTT. Non solo la procedura modificata di Incidental Teaching ha prodotto un più rapido apprendimento ma la generalizzazione in setting diversi ha mostrato risultati migliori. L’Incidental Teaching può essere facilmente modificato in modo che l’operatore crei più opportunità possibili di apprendimento. Comunicazione aumentativa alternativa Insieme al mand training vocale, sono stati sviluppati approcci per insegnare una comunicazione aumentativa alternativa per fornire un sistema di comunicazione anche a coloro che non hanno ancora sviluppato il linguaggio vocale. Le due forme di comunicazione aumentativa alternativa più utilizzate sono il Picture Exchange Communication System (PECS) e il linguaggio dei segni. Picture Exchange Communication System (PECS) Nel PECS (Bondy e Frost, 1994; Frost e Bondy, 2002) si insegna a comunicare consegnando un’immagine di ciò che si desidera al partner comunicativo in cambio dell’item che si richiede con l’immagine. La topografia della risposta nel PECS consiste nel consegnare l’immagine per ottenere ciò che si desidera ma la funzione è la stessa della comunicazione vocale. Il protocollo del PECS si basa su principi comportamentali come il prompting, il fading, il transfer dello stimulus control, il rinforzamento e la generalizzazione (Frost e Bondy, 2002). Tra il 2000 e il 2006, sono stati pubblicati 7 studi con un totale di 50 partecipanti (Chambers e Rehfeldt, 2003; Charlop-Christy, Carpenter, LeBlanc e Kellet, 2002; Ganz e Simpson, 2004; Kravits, Kamps, Kemmerer e 223 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Potucek, 2002; Magiati e Howlin, 2003; Tincani, 2004; Tincani, Crozier e Alazetta, 2006) che hanno evidenziato l’efficacia del PECS nell’insegnamento dei mand in bambini con autismo. In ognuno di questi studi il PECS ha aumentato il livello dei mand indipendenti dei partecipanti allo studio. Linguaggio dei segni Il linguaggio dei segni ha la stessa funzione del PECS ai fini aumentativi, ma ha una topografia diversa in quanto si basa sull’utilizzo dei gesti con le mani. Alcuni studi mostrano che i segni sono una modalità efficace per insegnare agli individui non vocali a comunicare (Barrera, Lobato-Barrera e Sulzer-Azaroff, 1980, Sundberg e Sundberg, 1990). Più recentemente studi comparativi delle due modalità hanno evidenziato risultati misti (Tincani, 2004): tali risultati suggeriscono che la decisione di insegnare una delle due modalità dipende dalle caratteristiche individuali e dai prerequisiti per l’apprendimento. Ad esempio, è consigliabile la presenza delle abilità di imitazione motoria per facilitare una più rapida acquisizione dei segni (Tincani, 2004). Qualche conclusione (provvisoria) Nella tabella 7 vengono messe in evidenza le differenze tra l’insegnamento strutturato e l’insegnamento in ambiente naturale. È difficile dare una visione esaustiva dell’insieme di interventi, tecniche, metodologie, ecc., che sono generalmente raggruppati sotto il termine ABA. Il rischio è quello di fare un «libro di ricette», il che l’ABA non è, sebbene venga spesso misrappresentata in questo modo.3 Una linea di sviluppo emerge in ogni caso in modo netto, e consiste nel passaggio da interventi più strutturati a interventi più «ecologici», cioè basati su processi naturali e applicati in contesti naturali. Questo anche a costo di rinunciare a un po’ di efficacia immediata in cambio di un mantenimento e di una generalizzazione più ampi e duraturi. Del resto è proprio questo lo spirito dell’analisi del comportamento, intesa come analisi naturalistica delle interazioni umane, non come mera applicazione di una tecnica, per quanto efficace essa risulti. A questo proposito ci permettiamo un ultimo commento, forti della ultratrentennale esperienza e presenza nel campo di uno degli autori di questo articolo. Dopo anni di forte ostilità nei confronti dell’analisi comportamentale, si assiste ora a un fenomeno opposto (tipico del trasformismo italiano): persone che l’hanno sempre osteggiata che improvvisamente Vi sono molte misrappresentazioni dell’analisi del comportamento. Trattarle in questo articolo ci avrebbe portato troppo fuori dal core business dell’argomento. Ci ripromettiamo di affrontarle e discuterle in un articolo successivo. 3 224 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Tabella 7 Comparazione tra l’insegnamento strutturato e l’insegnamento in ambiente naturale Insegnamento intensivo strutturato Insegnamento in ambiente naturale Stimolo Scelto dall’operatore. Le prove vengono ripetute fino al raggiungimento del criterio di correttezza. Indipendente dalla funzionalità in ambiente naturale. Scelto dal bambino. Le prove vengono ripetute finché permane la motivazione del bambino. È funzionale al contesto. Interazione L’operatore mostra lo stimolo ma non è funzionale all’interazione. Operatore e bambino interagi­scono con lo stesso stimolo. Risposta Viene rinforzata la risposta corretta o una sua approssimazione. Anche i tentativi di in­ter­ azio­­ne vocale ricevono il rinforzo. Conseguenza Non è specifica all’interazione. Per lo più sono commestibili e sociali. Contingenze naturali del rinforzo associati (poter giocare con l’attività) al rinforzo sociale. si autoproclamano esperti, talvolta (ma anche no) dopo aver partecipato a due giornate di informazione superficiale, dichiarando «ma io l’ho sempre fatta l’ABA». Evidentemente questi personaggi non hanno capito nulla della complessità della materia: ma il problema principale è un altro, i gravi danni che possono derivare ai bambini da un’applicazione sconsiderata e incolta. Una metafora finale può aiutare a capire meglio. In un’autofficina, insegnare a un giovane apprendista a cambiare le candele di una macchina non è molto difficile, basta un po’ di forza unita a un po’ di delicatezza. Va tutto bene se il tecnico dà all’apprendista il tipo giusto di candele per quel motore, perché se invece il giovane, credendo di avere già imparato, fa di testa sua mettendo quelle sbagliate, 5 euro di candele possono provocare 5000 euro di danni al motore. Bisogna infine ricordare che, essendo questi interventi direttamente derivati dalla ricerca di base, sono soggetti a continui progressi ed evoluzione. L’analisi del comportamento, in quanto sistema teorico che aderisce al metodo delle scienze naturali, è un sistema aperto, cioè sottoposto alla prassi scientifica della ricerca e del protocollo. La ricerca scientifica ha un grande pregio: è autocorreggente. Si può cercare di imbrogliare (gli esempi sarebbero molti, ma limitiamoci all’ultimo caso: quello della ricerca truccata 225 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 sulla tossicità dei vaccini) ma alla fine l’imbroglio si scopre e, almeno in questo campo, la verità emerge. Summary This article is the second part of a review dedicated to applied behaviour analysis and addresses the procedural applications of behaviour analysis. Firstly, for this purpose, the important distinction among experimental procedures (paradigms), natural processes, principles (or general laws) and application procedures needs to be traced, since this distinction is frequently a cause of conceptual confusion. After briefly analysing the behaviour analysis paradigms, the various principles which have been «distilled» from this research work and that form the basis of the individual learning processes are discussed: reinforcement, generalisation, discrimination, extinction, etc. Behaviour can only be influenced if the basic behaviour analysis principles are well-known, these, in turn, translate into individualised application procedures to strengthen and change given behaviour. A line of development is highlighted that consists in switching from more structured approaches to more «ecologic» approaches, namely. Bibliografia Agnew J.L. (1998), The establishing operation in organizational behavior management, «Journal of Organizational Behavior Management», vol. 18, pp. 7-19. Ayllon T. e Azrin N.H. (1965), The measurement and reinforcement of behavior of psychotics, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 8, pp. 357-383. Baer D., Wolf M. e Risley R. (1968), Some current dimensions of applied behavior analysis, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 1, pp. 91-97. Baer D., Wolf M. e Risley R. (1987), Some still-current dimensions of applied behavior analysis, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 20, pp. 313-327. BACB (2004), Guidelines for responsible conduct for behavior analysts, Behavior Analyst Certification Board. Bandura A. (1969), Principles of behavior modification, New York, Holt, Rinehart & Winston. Bandura A. (1971), Vicarious and self reinforcement processes. In R. Glaser (a cura di), The nature of reinforcement, New York, Academic Press. Barnes-Holmes Y., Barnes-Holmes D. e Cullinan V. (2000), Education. In S.C. Hayes, D. Barnes-Holmes e B.T. Roche (a cura di), Relational frame theory: A post-Skinnerian account of human language and cognition, New York, Kluwer Academic/Plenum, pp. 181-196. Barrera R., Lobato-Barrera D. e Sulzer-Azaroff B. (1980), A simultaneous treatment comparison of three expressive language training programs with a mute autistic child, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 10, n. 2, pp. 1-37. 226 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Bidwell M.A. e Rehfeldt R.A. (2004), Using video modeling to teach a domestic skill with an embedded social skill to adults with severe mental retardation, «Behavioral Interventions», vol. 19, pp. 263-274. Bijou S.W. e Baer D.M. (1961), Child development, Vol. 1: A systematic and empirical theory, New York, Appleton-Century-Crofts. Bijou S.W. e Baer D.M. (1965), Child Development: Universal State of Infancy, Vol. 2, New York, Appleton-Century-Crofts. Bijou S.W. e Baer D.M. (1984), Lo sviluppo infantile. Un’analisi comportamentale, Roma, Armando. Bijou S.W. (1979), Some clarifications on the meaning of a behavior analysis of child develop, «Psychological Record», vol. 29, n. 1, pp. 3-13. Bijou S.W. e Dunitz-Johnson E. (1981), Interbehavior analysis of developmental retardation, «Psychological Record», vol. 31, pp. 305-329. Blackledge J.T. e Hayes S.C. (2006), Using Acceptance and Commitment Training in the Support of Parents of Children Diagnosed with Autism, «Child & Family Behavior Therapy», vol. 28, n. 1, pp. 1-18. Boyd R.D. (1998), Sex as possible source of group inequivalence, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 28, pp. 211-215. Bondy A.S. e Frost L.A. (1994), The Picture Exchange Communication System, «Focus on Autistic Behavior», vol. 9, pp. 1-19. Bourret J., Vollmer T.R. e Rapp J.T. (2004), Evaluation of a vocal mand assessment and vocal mand training procedures, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 37, pp. 129-144. Braam S.J. e Poling A. (1983), Development of intraverbal behavior in mentally retarded individuals through transfer of stimulus control procedures: Classification of verbal responses, «Applied Research in Mental Retardation», vol. 4, pp. 279-302. Breslau N. e Davis G. (1986), Chronic stress and major depression, «Archives of General Psychiatry», vol. 43, n. 4, pp. 309-314. Brown R. e Hanlon C. (1970), Derivational complexity and order of acquisition in child speech. In J.R. Hayes (a cura di), Cognition and the development of language, New York, Wiley. Caracciolo E., Moderato P. e Perini S. (1988), Analysis of some concrete operational task from interbehavioral standpoint, «Journal of Experimental Child Psychology», vol. 46, pp. 391-405. Chambers M. e Rehfeldt R.A. (2003), Assessing the acquisition and generalization of two mand forms with adults with severe developmental disabilities, «Research in Developmental Disabilities», vol. 24, pp. 265-280. Charlop-Christy M.H. e Carpenter M.H. (2000), Modified incidental teaching sessions: a procedure for parents to increase spontaneous speech in their children with autism, «Journal of Positive Behavioral Intervention», vol. 2, pp. 98-112. Charlop-Christy M.H. e Freeman K.A. (2000), A Comparison of Video Modeling with In Vivo Modeling for Teaching Children with Autism, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 30, pp. 537-552. Charlop-Christy M.H. e Milstein J.P. (1989), Teaching autistic children conversational speech using video modelling, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 22, pp. 275-285. 227 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Charlop-Christy M.H., LeBlanc L.A. e Carpenter M.H. (1999), Naturalistic teaching strategies to teach speech to children with autism: Historical perspective, development, and current practice, «California School Psychologist», vol. 4, pp. 30-46. Charlop-Christy M., Carpenter M., LeBlanc L. e Kellet K. (2000), Using the Picture Exchange Communication System with children with autism: assessment of PECS acquisition, speech, social-communicative behavior and problem behaviour, «Journal of Applied Behavioral Analysis», vol. 35, pp. 213-231. Chase P.N. e Danforth J.S. (1991), The role of rules in concept learning. In L.J. Hayes e P.N. Chase (a cura di), Dialogues on verbal behaviour, Reno NV, Context Press, pp. 205-222. Chomsky N. (1959), Review of B.F. Skinner’s Verbal Behavior, «Language», vol. 35, pp. 26-58. Ciccone F.J., Graff R.B. e Ahearn W.H. (2006), Stimulus preference assessment and the utility of a moderate category, «Behavioral Intervention», vol. 21, pp. 59-63. Cooper J., Heron W. e Heward W. (2007), Applied Behavior Analysis, Englewood Cliffs, Prentice-Hall. D’Ateno P., Mangiapanello K. e Taylor B.A. (2003), Using Video Modeling to Teach Complex Play Sequences to a Preschooler with Autism, «Journal of Positive Behavior Interventions», vol. 5, pp. 5-11. DeMyer M.K. (1979), Parents and children in autism, New York, Wiley. Donley W.G. e Keller J.W. (2000), Teaching children with autism to ask questions about hidden objects, «JABA», vol. 33, pp. 627-630. Dowrick P.W. (1986), Social survival for children: A trainer’s resource book, New York, Brunner & Mazel. Dowrick P.W. (1991), Practical guide to using video in the behavioral sciences, New York, Wiley. Dowrick P.W. (1999), A review of self modeling and related interventions, «Applied & Preventive Psychology», vol. 8, pp. 23-39. Dowrick P.W. e Dove C. (1980), The use of self-modeling to improve the swimming performance of spina bifida children, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 13, pp. 51-56. Dowrick P.W. e Raeburn J.M. (1977), Video editing and medication to produce a therapeutic self model, «Journal of Consulting and Clinical Psychology», vol. 45, pp. 1156-1158. Dowrick P.W. e Raeburn J.M. (1995), Self-modeling: Rapid skill training for children with physical disabilities, «Journal of Developmental and Physical Disabilities», vol. 7, pp. 25-37. Eikeseth S. (2001), Recent critiques of the UCLA young autism project, «Behavioral Interventions», vol. 16, pp. 249-264. Estes K.W. (1994), An experimental study of punishment, «Psychological Monographs», vol. 57. Fenske E.C., Krantz P.J. e McClannahan L.E. (2001), Incidental Teaching: A Non-Discrete-Trial Teaching Procedure. In C. Maurice, G. Grenn e R.M. Foxx (a cura di), Making a Difference – Behavioral Intervention for Autism, Chapter 6, Austin, TX, Pro-Ed, pp. 75-82. 228 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Fisher W.W., Piazza C.C., Bowman L.G., Hagopian L.P., Owens J.C. e Slevin I. (1992), A comparison of two approaches for identifying reinforcers for persons with severe and profound disabilities, «JABA», vol. 25, pp. 491-498. Foxx R.M. e Shapiro S.T. (1978), The time out ribbon: a non exclusionary time out procedure, «JABA», vol. 11, pp. 125-143. Frost L. e Bondy A. (2002), PECS: The Picture Exchange Communication System Training Manual, 2nd ed., Cherry Hill, NJ, Pyramid Educational Consultants. Ganz J.B. e Simpson R.L. (2004), Effects on communicative requesting and speech development of the Picture Exchange Communication System in children with characteristics of autism, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 34, n. 4, pp. 395-409. Gewirtz J.L. (1969), Mechanism of Social Learning: some roles of stimulation and behavior in early human developmental. In D.A. Goslin (a cura di), Handbook of Socialization Theory and Research, Chiacago, Rand McNally. Gresham F.M. e MacMillan D.L. (1998), Early Intervention Project: Can its Claims be Substantiated and its Effects Replicated?, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 28, pp. 5-13. Hayes S.C. e Brownstein A.J. (1986), Mentalism, behavior-behavior relations, and a behavior-analytic view of the purposes of science, «The Behavior Analyst», vol. 9, pp. 175-190. Hall G. e Sundberg, M. (1987), Teaching mands by manipulating conditioned establishing operations, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 5, pp. 41-53. Haring T.G., Kennedy C.H., Adams M.J. e Pitts-Conway V. (1987), Teaching generalization of purchasing skills across community settings to autistic youth using videotape modelling, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 20, pp. 89-96. Harzem P. (1995), Jon B. Watson: un’implacabile operazione di discredito. In P. Moderato e S. Sirigatti (a cura di), L’uomo che cambia, Milano, FrancoAngeli. Hineline P.N. (1990), The origins of environment-based psychological theory, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 53, pp. 305-320. Holroyd J., Brown N., Wikler L. e Simmons J.Q. (1975), Stress in families of institutionalized autistic children, «Journal of Community Psychology», vol. 3, pp. 26-31. Keller F.S. e Schoenfeld W.N. (1950), Principles of psychology, «Netherlands Journal of Zoology», vol. 36, pp. 344-380. Koegel R.L., Bimbela A. e Schreibman L. (1996), Collateral effects of parent training on family interactions, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 22, pp. 141-152. Koegel L.K., Camarata S., Valdez-Menchaca M. e Koegel R.L. (1998), Generalization of question asking in children with autism, «American Journal on Mental Retardation», vol. 102, n. 4, pp. 346-357. Koegel R.L. e Johnson J. (1989), Motivating language use in autistic children. In G. Dawson (a cura di), Autism: Nature, diagnosis, and treatment, New York, Guilford. Koegel R.L., Koegel L.K. e Surratt A.V. (1992), Language intervention and disruptive behavior in preschool children with autism, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 22, pp. 141-153. 229 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Koegel R.L. e Mentis M. (1985), Motivation in childhood autism: Can they or won’t they?, «Journal of Child Psychology and Psychiatry», vol. 26, pp. 185-191. Kravits T.R., Kamps D.M., Kemmerer K. e Potucek J. (2002), Brief report: Increasing communication skills for an elementary-aged student with autism using the Picture Exchange Communication System, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 32, n. 3, pp. 225-230. Lamarre J. e Holland J.G. (1985), The functional independence of mands and tacts, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 43, pp. 5-19. Laraway S., Snycerski S., Michael J. e Poling A. (2001), The abative effect: A new term to describe the action of antecedents that reduce operant responding, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 18, pp. 101-104. Laraway S., Snycerski S., Michael J. e Poling A. (2003), Motivating operations and terms to describe them: Some further refinements, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 36, pp. 407-414. Lovaas O.I. (1987), Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children, «J Consult Clin Psychol», vol. 55, pp. 3-9. Magiati I. e Howlin P. (2003), A pilot evaluation study of the Picture Exchange Communication System (PECS) for children with autistic spectrum disorders, «Autism: The International Journal of Research and Practice», vol. 7, n. 3, pp. 297-320. Martin G. e Pear J. (2000), Strategie e tecniche per il cambiamento, Milano, McGraw-Hill. McEachin J.J., Smith T. e Lovaas O.I. (1993), Long-term outcome for children with autism who received early intensive behavioral treatment, «American Journal on Mental Retardation», vol. 97, n. 4, pp. 359-372. McGee G.G., Krantz P.J. e McClannahan L.E. (1985), The facilitative effects of incidental teaching on preposition use by autistic children, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 18, n. 1, pp. 17-31. Michael J. (1982), Distinguishing between discriminative and motivational functions of stimuli, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 37, pp. 149-155. Michael J. (1988), Establishing operations at the mand, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 6, pp. 3-9. Michael J. (1998), The Current Status and Future Directions of the Analysis of Verbal Behavior: Comments on the Comments, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 15, pp. 157-161. Michael J. (2000), Implications and refinements of the establishing operation concept, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 33, pp. 401-410. Miguel C.F., Carr J.E. e Michael J. (2002), The effects of a stimulus-stimulus pairing procedure on the vocal behavior of children diagnosed with autism, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 18, pp. 3-13. Miguel C.F., Petursdottir A.I. e Carr J.E. (2005), The effects of multiple-tact and receptive-discrimination training on the acquisition of intraverbal behaviour, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 21, pp. 27-41. 230 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Miller N. e Dollard J. (1941), Social learning and imitation, New Haven, CT, Yale University Press. Miranda-Linné R. e Melin L. (1992), Acquisition, generalization, and spontaneous use of color adjectives: A comparison of incidental teaching and traditional discrete-trial procedures for children with autism, «Research in Developmental Disabilities», vol. 13, pp. 191-210. Miranda-Linné F. e Melin L. (1997), A comparison of speaking and mute individuals with autism and autistic-like conditions on the Autism Behavior Checklist, «Journal of Autism and Developmental Disorders», vol. 27, pp. 245-264. Moderato P. (1979), Metodologie e tecniche per lo sviluppo di generalizzazione in behavior modification, Messina, Carbone Editore. Moderato P. (2010), Interazioni umane, Milano, FrancoAngeli. Moderato P., Presti G. e Chase P.N. (2002), Pensieri, parole, comportamento. Un’analisi funzionale delle relazioni linguistiche, Milano, The McGraw-Hill Companies. Moerk E.L. (1990), Three-term contingency patterns in mother-child verbal interaction during first language acquisition, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 54, pp. 293-305. Mowrer O.H. (1954), Ego psychology, cybernetics and learning theory. In Kentucky Symposium, Learning Theory, Personality Theory, and Clinical Research, pp. 81-90. Murphy C., Barnes-Holmes D. e Barnes-Holmes Y. (2005), Derived manding in children with autism: Synthesizing Skinner’s Verbal Behavior with relational frame theory, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 38, pp. 445-462. Northup J., Fusilier I., Swanson V., Roane H. e Borrero J. (1997), An evaluation of methylphenidate as a potential establishing operation for some common classroom reinforcers, «JABA», vol. 30, pp. 615-625. Novak G. (1999), Psicologia dello sviluppo. Sistemi dinamici e analisi comportamentale, Milano, McGraw-Hill. Partington J.W. e Bailey J.S. (1993), Teaching intraverbal behavior to preschool children, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 11, pp. 9-18. Presti G., Moderato P., Gentile R. e Chase P.N. (2002), Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali. In P. Moderato, G. Presti e P.N. Chase (a cura di), Pensieri, parole, comportamento. Un’analisi funzionale delle relazioni linguistiche, Milano, McGraw-Hill. Sigafoos J., Reichle J. e Doss S. (1990), «Spontaneous» transfer of stimulus control from tact to mand contingencies, «Research in Developmental Disabilities», vol. 11, pp. 165-176. Schlinger H.D. (1995), A behavior analytic view of child development, New York, Plenum. Skinner B.F. (1938), The Behavior of Organisms: An Experimental Analysis, New York, Appleton-Century-Crofts. Skinner B.F. (1957), Verbal behaviour, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall. Sulzer-Azaroff B. e Mayer R. (1991), Behavior analysis for lasting change, Fort Worth, TX, Holt, Reinhart & Winston, Inc. Sundberg M.L. e Michael J. (2001), The value of Skinner’s analysis of verbal behavior for teaching children with autism, «Behavior Modification», vol. 25, pp. 698-724. 231 AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 Sundberg M.L. e Partington J.W. (1998), Teaching language to children with autism or other developmental disabilities, Danville, CA, Behavior Analysts, Inc. Sundberg C.T. e Sundberg M.L. (1990), Comparing topography-based verbal behavior with stimulus selection-based verbal behaviour, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 8, pp. 83-99. Sundberg M.L., Michael J., Partington J.W. e Sundberg C.A. (1996), The role of automatic reinforcement in early language acquisition, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 13, pp. 21-37. Sundberg M.L., San Juan B., Dawdy M. e Arguelles M. (1990), The acquisition of tacts, mands, and intraverbals by individuals with traumatic brain injury, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 8, pp. 83-99. Taylor B.A. e Harris S.L. (1995), Teaching children with autism to seek information acquisition of novel information and generalization of responding, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 28, pp. 3-14. Terrace H.S. (1963a), Discrimination learning with and without «errors», «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 6, pp. 1-27. Terrace H.S. (1963b), Errorless transfer of a discrimination across two continua, «Journal of the Experimental Analysis of Behavior», vol. 6, pp. 223-232. Thelen M.H., Fry R.A., Fehrenbach P.A. e Frautschi N.M. (1979), Therapeutic videotape and film modeling: A review, «Psychological Bulletin», vol. 86, pp. 701-720. Thelen E. e Ulrich B.D. (1991), Hidden skills: A dynamic systems analysis of treadmillelicited stepping during the first year, «Monographs of the Society for Research in Child Development», vol. 56, n. 223. Tincani M. (2004), Comparing the Picture Exchange Communication System and sign language train for children with autism, «Focus on Autism and Other Developmental Disabilities», vol. 19, n. 3, pp. 152-163. Tincani M.J., Crozier S. e Alazetta L. (2006),The Picture Exchange Communication System: Effects on manding and speech development for school-aged children with autism, «Education and Training in Developmental Disabilities», vol. 41, n. 2, pp. 117-184. Touchette P. e Howard J. (1984), Errorless learning: Reinforcement contingencies and stimulus control transfer in delayed prompting, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 17, pp. 175-188. Twyman J.S. (1995), The functional independence of impure mands and tacts of abstract stimulus properties, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 13, pp. 1-19. Vaughan M.E. e Michael J.L. (1982), Automatic reinforcement: an important but ignored concept, «Behaviorism», vol. 10, pp. 217-227. Walberg T. e Jordan S. (2001), A case study in the dynamics of autism. In T. Wahlberg, F. Obiakor, S. Burkhardt e A.F. Rotatari (a cura di), Autistic spectrum disorders, New York, JAI Press. Wallace M.D., Iwata B.A. e Hanley G.P. (2006), Establishment of mands following tact training as a function of reinforcer strength, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 39, pp. 17-24. Watkins M.J., Neath I. e Sechler E.S. (1989), Recency effect in recall of a word list when an immediate memory task is performed after each presentation, «American Journal of Psychology», vol. 102, pp. 265-270. 232 P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata Williams G. e Greer R.D. (1993), A comparison of verbal-behavior and linguistic communication curricula for training developmentally delayed adolescents to acquire and maintain vocal speech, «Behaviorology», vol. 1, pp. 31-46. Williams G., Donley C.R. e Keller J.W. (2000), Teaching children with autism to ask questions about hidden objects, «Journal of Applied Behavior Analysis», vol. 33, pp. 627-630. Windors J., Piche L.M. e Locke P.A. (1994), Preference testing: a comparison of two presentations methods, «Research in Developmental Disabilities», vol. 15, pp. 439-455. Yoon S. e Bennett G.M. (2000), Effects of a stimulus stimulus pairing procedure on conditioning vocal sounds as reinforcers, «The Analysis of Verbal Behavior», vol. 17, pp. 75-88. 233