L`analisi comportamentale applicata

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L’analisi
comportamentale
applicata
Seconda parte: metodi
e procedure
Paolo Moderato e Cristina Copelli
Università IULM
IESCUM
Sommario
In questo articolo, che costituisce la seconda parte di un lavoro
dedicato all’analisi comportamentale applicata — la cui prima
parte è stata pubblicata sul numero di ottobre 2010 della rivista
—, sono affrontati gli aspetti procedurali applicativi dell’analisi
comportamentale. Dopo avere analizzato brevemente i paradigmi
dell’analisi del comportamento, sono discussi i vari principi che da
queste ricerche sono stati «distillati» e che stanno alla base dei processi individuali di apprendimento: rinforzo, generalizzazione, discriminazione, estinzione, ecc. È possibile agire sul comportamento solo se
si conoscono bene i principi di base dell’analisi del comportamento,
che a sua volta si traducono in procedure applicative individualizzate
per potenziare, arricchire, modificare un comportamento. Viene
messa in evidenza una linea di sviluppo che consiste nel passaggio
da interventi più strutturati a interventi più «ecologici».
Edizioni Erickson – Trento
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010 (pp. 191-233)
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AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Per capire a fondo metodi e procedure dell’Analisi Comportamentale
Applicata (Applied Behaviour Analysis/ABA) è necessario fare riferimento
ad alcuni processi generali di base che sono il frutto della ricerca sperimentale della psicologia nel corso del Novecento, in modo particolare di
tutte le ricerche che hanno indagato il processo di apprendimento e le
molteplici variabili che lo influenzano. Ci riferiamo ai paradigmi di analisi
del comportamento rispondente, operante, per imitazione, modellamento e comportamento governato da regole o comportamento controllato
verbalmente.
Per una migliore e corretta comprensione dell’ABA è necessario analizzare in dettaglio i vari principi che da queste ricerche sono stati «distillati»
e stanno alla base dei processi individuali di apprendimento: rinforzo,
generalizzazione, discriminazione, estinzione, ecc. È possibile agire sul
comportamento solo se si conoscono bene i principi di base dell’analisi
del comportamento, che a sua volta si traducono in procedure individualizzate per potenziare, arricchire, modificare o ridurre un comportamento. Valore sociale, rigore metodologico, creatività e flessibilità sono
gli elementi essenziali che devono guidare verso la scelta dell’intervento
migliore per la persona.
Paradigmi, processi, principi e procedure
L’apprendimento è un processo unitario che consente la tesaurizzazione
dell’esperienza. Non esistono diversi tipi di apprendimento, ma vi sono
differenti modi per studiarlo. Questi modi sono chiamati paradigmi e il
loro comune denominatore è stato, e sarà, quello di produrre specifiche
modificazioni del comportamento in funzione di diverse classi di variabili.
All’interno di ogni paradigma vengono studiati alcuni fenomeni dell’apprendimento: più precisamente si studiano i processi dell’apprendimento
compiendo alcune operazioni sperimentali. La caratteristica del metodo
sperimentale è quella di formulare e testare le ipotesi. Si raggiungono,
provvisoriamente, alcune conclusioni manipolando sistematicamente le
variabili indipendenti e osservandone gli effetti sulle variabili dipendenti:
le prime, come abbiamo visto, per convenzione le chiamiamo stimoli, le
seconde risposte; si manipolano sistematicamente gli stimoli per studiarne
l’effetto sulle risposte. Le manipolazioni dello sperimentatore in laboratorio
costituiscono le operazioni, quelli che si cerca di studiare nel comportamento
dei singoli soggetti rappresentano i processi.
Questa distinzione è molto importante per comprendere il rapporto tra
il lavoro di ricerca svolto in laboratorio e la realtà della vita quotidiana, in
altre parole tra l’apprendimento provocato a fini di studio in una situazione
semplificata e controllata e l’apprendimento complesso e sfuggente della vita
naturale. Sfortunatamente questa distinzione non risulta sempre immediatamente chiara: alcuni termini sono usati per indicare contemporaneamente i
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P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
processi e le operazioni sperimentali per studiarli. Ad esempio, termini come
«estinzione» e «rinforzo» indicano sia un processo dell’apprendimento, sia
un principio, sia un’operazione condotta dallo sperimentatore. È importante
sottolineare che i processi esisterebbero in ogni caso, indipendentemente
dalle operazioni sperimentali: queste ultime servono solo per studiarli agevolmente in modo scientificamente corretto.
L’obiettivo, galileianamente parlando, è quello di dimostrare relazioni
funzionali, coerenti e sufficientemente stabili e generali tra i comportamenti
e vari classi di eventi ambientali. Attraverso centinaia di esperimenti Pavlov,
Skinner, Bandura e innumerevoli altri ricercatori hanno scoperto e verificato i principi basilari del comportamento che continuano a essere la base
empirica dell’analisi del comportamento anche ai giorni nostri.
I principi descrivono una relazione funzionale tra il comportamento e
una o più variabili che lo influenzano. Tale relazione, almeno in linea teorica,
dovrebbe essere generalizzabile a tutti gli organismi, i contesti e i comportamenti (Cooper, Heron e Heward, 2007). Nell’analisi del comportamento
sono stati enucleati diversi principi di base: i più importanti sono il rinforzo,
l’estinzione, la punizione, il transfer di funzione, l’equivalenza funzionale,
la discriminazione, la generalizzazione e l’imitazione.
L’analisi comportamentale applicata, che come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo ha la finalità dichiarata di capire e migliorare
comportamenti umani socialmente significativi, sviluppa dai principi le
procedure, intese come applicazioni che hanno l’obiettivo di modificare il
comportamento desiderato. Le procedure sono a loro volta verificate attraverso la ricerca e posseggono anch’esse la caratteristica di generalizzabilità
attraverso soggetti, contesti e comportamenti. L’importanza di ricondurre ogni
procedura utilizzata nell’analisi comportamentale applicata ai principi base
si può ritrovare nell’articolo fondativo di Baer, Wolf e Risley (1968), in cui
gli autori sostengono che l’analisi comportamentale applicata probabilmente
avanzerebbe maggiormente se le descrizioni delle procedure pubblicate non
venissero considerate solo tecnologia, ma anche aspetti fondamentali dei
principi. In entrambi i casi, la descrizione delle procedure è fondamentale
per garantire la replicabilità e mostra come procedure simili possono essere
derivate da principi di base. Questo costituisce il corpo della tecnologia di
una disciplina e non una raccolta di magie.
Cooper et al. (2007) definiscono una procedura anche come behavioral
change tactic: in generale, le procedure sono un metodo per operazionalizzare, o mettere in pratica, le conoscenze fornite da uno o più principi del
comportamento. Le procedure e la loro corretta definizione permettono
una loro applicazione sistematica in situazioni nuove e costituiscono la
dimensione tecnologica dell’analisi del comportamento. Baer, Wolf e Risley
(1968) sostengono che il modo migliore per valutare la descrizione di una
procedura sia probabilmente quello di chiedere a un lettore esperto di replicare la procedura abbastanza bene da produrre gli stessi risultati, basandosi
solo sulla lettura della descrizione.
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Paradigmi sperimentali
Condizionamento rispondente
Ivan P. Pavlov (1849-1936) ha messo a punto il paradigma sperimentale
per lo studio dell’apprendimento noto come condizionamento classico,
rispondente o pavloviano. Per un’analisi dettagliata del condizionamento
rispondente si rimanda al libro Interazioni umane (Moderato, 2010). Ridotta
all’osso, al fine di comprendere alcune procedure applicative coinvolte nel
processo di transfer funzionale dello stimolo, viene presentata la sequenza
delle operazioni che portano al condizionamento.
Quattro sono gli elementi di base che compongono il quadro dell’esperimento pavloviano (vedi figura 1):
1.uno stimolo incondizionale (SI), sempre in grado di provocare una
risposta specifica da parte dell’organismo;
2.uno stimolo condizionale (SC), in partenza stimolo neutro (SN);
3.una risposta incondizionale (RI), che è la risposta specifica prodotta da
uno stimolo incondizionale;
4.una risposta condizionale (RC), che rappresenta la risposta allo stimolo
condizionale.
Il punto 1 della figura indica la relazione per cui la presentazione di uno
SI elicita automaticamente e naturalmente la RI. Al punto 2 uno SN viene
presentato subito prima o contemporaneamente a uno SI. Dopo un certo
numero di accoppiamenti si verifica la situazione descritta al punto 3, cioè
l’emergere di una nuova relazione — indicata dalla linea tratteggiata — tra
lo SC e la RC.
Ci si può chiedere che relazione ci sia tra un cane «sbavante» di oltre
cent’anni fa e gli interventi sull’autismo. La risposta va trovata non nella
topografia dello stimolo-risposta, ma nella loro funzione. Il condizionamento può essere concettualizzato come un processo di transfer funzionale
dello stimolo in base al quale uno stimolo (psicologico) precedentemente
neutro acquisisce temporaneamente la capacità funzionale di produrre la
risposta (biologica) originariamente provocata da un altro stimolo. L’associazione stimolo-stimolo (S-S), come tutti i processi di apprendimento,
non è necessariamente positiva: possono infatti essere associati stimoli con
valenza negativa o percepita come tale, ad esempio quelli che producono
risposte di evitamento come il condizionamento al disgusto verso un cibo
dopo essere stati male. Questo tipo di esperienza negativa è molto facile
avvenga in bambini che subiscono visite mediche spesso invasive, interventi
coercitivi e così via.
Nell’analisi comportamentale applicata il processo di transfer funzionale
dello stimolo è alla base della procedura di pairing (appaiare, accoppiare).
ll «pairing» è un aspetto fondamentale in ogni intervento basato sull’analisi comportamentale applicata, in quanto è importante che il bambino
impari ad attribuire all’operatore una valenza positiva e che ampli il suo
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P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
repertorio di preferenze. Esistono due
tipologie di pairing: con operatori e
con oggetti/attività. In entrambi i casi
è necessario che il pairing sia preceduto
da una valutazione delle preferenze
(stimulus preference assessment), una
serie di procedure finalizzate a determinare: a) gli eventi stimolo che il
soggetto preferisce; b) il valore di questa
preferenza (basso, medio, alto); c) le
condizioni nelle quali il valore della
preferenza cambia.
Più nel dettaglio, la valutazione
delle preferenze può essere condotta
utilizzando tre diversi metodi: chiedendo al soggetto di identificare gli
item preferiti; osservando il soggetto
interagire con vari stimoli in una situazione naturalistica; misurando le
risposte del soggetto sottoposto a un
test di scelta in cui vengono presentati
uno, due o più stimoli contemporanea­
mente. In ogni caso vengono misurati
i seguenti comportamenti:
a) approccio: ogni movimento che
la persona fa verso l’oggetto;
b)contatto: viene misurato ogni
volta che la persona tocca l’oggetto;
c) interazione: viene misurata la per­
centuale di tempo in cui la persona
interagisce con l’oggetto.
Le tre modalità di valutazione delle
preferenze sono le seguenti:
1.un singolo stimolo: viene presentato un singolo stimolo alla
volta e viene misurato il tempo
di contatto con esso;
2.due stimoli: vengono presentati
contemporaneamente due stimo- Fig. 1 Fasi del condizionamento.
li e viene misurata la percentuale
di scelta su ogni singolo stimolo. Durante la valutazione ogni stimolo
viene accoppiato in modo randomizzato con un altro stimolo (Fischer
et al., 1992);
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AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
3.tre o più stimoli: vengono presentati più stimoli contemporaneamente
(Windsor, Piche e Locke, 1994).
In ogni caso al soggetto viene «chiesto» di sceglierne uno (Ciccone, Graf e
Ahearn, 2006). Inoltre, sono presentati stimoli che riguardano tutte le sfere
sensoriali: uditiva, tattile, visiva, olfattiva, gustativa e cinestesica.
Durante un intervento basato sull’analisi comportamentale applicata è
fondamentale dedicare molta attenzione alla valutazione delle preferenze
per poter gestire un pairing in modo veramente efficace. Come dicevamo
sopra, esistono due tipologie di pairing:
1.pairing con operatore: l’operatore gradualmente viene associato a
qualcosa di positivo grazie all’associazione ripetuta con uno stimolo
incondizionale;
2.pairing con oggetti/attività: vengono associati gradualmente oggetti/
attività neutre ad altri che hanno la funzione di stimoli incondizionali.
Condizionamento operante
Burrhus Frederic Skinner (1904-1990) ha messo a punto il paradigma
sperimentale per lo studio dell’apprendimento noto come condizionamento
operante. Il comportamento rispondente rappresenta solo parzialmente la
vastità e la complessità del comportamento degli esseri viventi: essi, infatti,
non si limitano ad attendere in modo passivo l’azione dell’ambiente ma
cercano di prevenirlo e — questo riguarda soprattutto gli esseri umani —
di piegarlo alle loro necessità. In altre parole essi operano sull’ambiente per
dominarlo, trasformarlo e adattarlo.
Ogni azione svolta in tal senso ha qualche effetto sul mondo circostante, che a sua volta retroagisce sull’organismo: ossia, le conseguenze di un
comportamento possono modificare la probabilità che il comportamento
che le aveva prodotte si verifichi ancora. Le conseguenze possono rendere
un apprendimento o un comportamento già stabilizzato più forte, cioè più
probabile, o al contrario meno forte, oppure possono lasciarne inalterate la
forza e quindi la probabilità. Il comportamento rinforzato acquista maggior
forza, cioè maggiore probabilità di presentarsi in futuro: tale probabilità si
esprime in termini di aumento di frequenza del comportamento stesso.
Tre sono, quindi, gli elementi di base che compongono il quadro della
situazione sperimentale skinneriana:
1.l’operante, definito come la classe di risposte tra loro funzionalmente
simili che producono e dipendono dalle stesse conseguenze. Nella
vita reale le classi di operanti possono variare di molto in ampiezza e
complessità, in modo particolare con gli esseri umani;
2.le conseguenze, eventi che seguono tale classe di comportamento e
che ne alterano la probabilità di comparsa, aumentandone o dimi196
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
nuendone il ritmo di emissione rispetto al livello operante o linea di
base (baseline), termine che indica la frequenza con cui la classe di
comportamento si presenta normalmente in una data situazione;
3.lo stimolo discriminativo (SD), un evento (una luce, un suono, un
simbolo particolare) che segnala quando un operante sarà seguito da
determinate conseguenze. Uno stimolo di questo genere rappresenta
un aspetto importante della relazione fra la risposta e le sue conseguenze, in quanto ne indica in modo discriminativo la presenza o la
successiva comparsa.
Operante, conseguenze e stimolo discriminativo compongono quella
che tecnicamente si chiama contingenza a tre termini, espressione con cui si
indica la relazione funzionale che viene creata in modo artificiale nel corso
dell’esperimento, ma si stabilisce in modo naturale tra questi tre elementi
nella vita quotidiana.
La contingenza a tre termini è alla base di ogni intervento basato sull’analisi comportamentale applicata (vedi tabella 1).
Tabella 1
Contingenza a tre termini
A
B
C
Antecedente
Comportamento
Conseguenza
Stimolo discriminativo
(SD): segnala l’occasione
Risposta: produce il
rinforzatore
Stimolo rinforzante
(SR): rafforza una classe di risposte
«Passami l’acqua, per
favore»
Consegnare l’acqua
«Grazie, sei molto gentile»
Piatto di verdura nel
piatto
Bambino piange
Mamma toglie il piatto
Modellamento
Partendo dai primi lavori sistematici sull’imitazione che risalgono a Miller
e Dollard (1941), Albert Bandura (1969; 1971) introdusse il termine «modellamento» (modeling): secondo questo autore il modellamento costituisce
un paradigma di apprendimento a sé stante, in quanto presenta caratteristiche
esclusive non riscontrate negli altri paradigmi classici; secondo altri autori
(Gewirtz, 1969; Bijou e Baer, 1984) si tratta, invece, di un sottoinsieme
particolare delle interazioni operanti di tipo discriminativo.
Il modellamento nasce dalla considerazione che il termine «esperienza»
non comprende solo il contatto diretto con le cose, gli eventi e le conse197
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guenze che guidano il comportamento: entrano in gioco, infatti, anche
esperienze indirette e conseguenze mediate, o vicarie, la cui azione è stata
vista su altre persone. In altre parole si apprendono molti comportamenti,
soprattutto in campo sociale, «guardando» ciò che gli altri fanno, quando
lo fanno e ciò che succede loro dopo. Il presupposto del modellamento è
l’apprendimento osservativo in cui è implicata la presenza di un modello
e di un osservatore: se la frequenza del comportamento dell’osservatore si
modifica in funzione del comportamento del modello allora si può parlare
di modellamento.
Apprendere attraverso l’osservazione è importante anche per i bambini
con autismo, soprattutto se essi sono inseriti all’interno di classi scolastiche
con bambini a sviluppo tipico. In tali situazioni gran parte dell’apprendimento deriva dal processo di osservazione e imitazione del comportamento
dei pari (che fungono da modelli). È ben documentato che gli individui
con disabilità evolutive possono acquisire nuove abilità dopo avere osservato
altre persone con o senza disabilità svolgere tali attività. Partendo dai dati di
ricerca è stato sviluppato il video modeling, che consiste nell’osservazione e
nella successiva imitazione, da parte del bambino, di un video in cui viene
mostrato un modello impegnato nello svolgimento del comportamento
target.
Dowrick (1999) è stato uno dei primi a dimostrare l’efficacia del video
modeling in una varietà di setting e su una popolazione molto ampia,
inclusi bambini con spina bifida, con iperattività e con disabilità evolutive (Dowrick, 1991; Dowrick e Dove, 1980; Dowrick e Raeburn, 1977;
1995). Il video modeling è stato usato inoltre per il trattamento di un’ampia
varietà di comportamenti che includono il completamento di compiti di
categorizzazione, abilità motorie, abilità comunicative e mutismo selettivo
(Dowrick, 1986; 1999).
Data l’efficacia del video modeling in questa fascia della popolazione,
alcuni ricercatori hanno testato questa tecnica con i bambini e gli adulti
con autismo. Haring et al. (1987) hanno dimostrato che l’utilizzo del video
modeling consente l’acquisizione e la generalizzazione di diverse abilità in
soggetti con autismo. I vantaggi del video modeling rispetto al modeling
in vivo sono così riassumibili:
1.Il videotape può ricreare un’ampia varietà di setting che diventa difficile
riprodurre in vivo nella classe o a casa.
2.Con il video modeling l’operatore ha un controllo maggiore sulla
procedura del modeling rispetto a quello in vivo perché il video può
essere continuamente rivisto finché il bambino inizia a emettere il
comportamento target.
3.C’è il vantaggio di poter riosservare lo stesso video diverse volte senza
la necessità della presenza del modello.
4.Il video può essere riutilizzato con altre persone.
Anche Charlop-Christy, Le e Freeman (2000) hanno confrontato il
modeling in vivo con il video modeling. Il video modeling si è rivelato più
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efficace in termini di costi e tempi rispetto a quello in vivo. I dati dimostrano che il video modeling consente un’acquisizione più rapida di abilità
da parte di bambini con autismo rispetto al modeling in vivo. Diversi studi
hanno dimostrato come il prompting e il rinforzo non fossero necessari per
l’acquisizione delle abilità mostrate in video (Charlop-Christy et al., 2000;
D’Ateno et al., 2003; Bidwell e Rehfeldt, 2004).
Principi di base
Un principio molto importante nell’analisi del comportamento è il rinforzo, o rinforzamento (in americano reinforcement), processo per il quale e
mediante il quale le conseguenze di un’azione hanno effetto sul comportamento. Tale effetto può verificarsi in due diversi modi: il primo in positivo,
il secondo in negativo.
Quando un comportamento ottiene o produce come conseguenza la
comparsa di un evento-stimolo con funzioni di rinforzatore positivo si
parla di rinforzo positivo. L’aggettivo «positivo» non ha alcuna valenza etica
né di piacevolezza, indica solamente che l’effetto di rafforzamento deriva
dalla «posizione», cioè dal fatto che un evento-stimolo si aggiunge alla
situazione.
Quando un comportamento ottiene o produce come conseguenza la
scomparsa o l’allontanamento di uno stimolo con funzioni di rinforzatore negativo si parla di rinforzo negativo. Anche in questo caso l’aggettivo
«negativo» non ha valenza etica né di piacevolezza: indica solamente che
l’effetto di rafforzamento deriva dal fatto che uno stimolo viene sottratto
dalla situazione.
La contingenza in base a cui si verifica la presentazione di un rinforzatore negativo viene definita penalizzazione. Essa è spesso confusa con la
rimozione dello stesso stimolo, chiamata come abbiamo visto rinforzo al
negativo: nel primo caso l’effetto sul comportamento è di indebolimento,
nel secondo è di rafforzamento. Esiste poi un altro tipo di contingenza
di penalizzazione, che consiste nella perdita o nella sottrazione di un
rinforzatore positivo.
Secondo Estes (1944), che ha compiuto una serie di ricerche su questo
tema, un comportamento non viene eliminato se è seguito da una penalizzazione più velocemente di quanto non accada senza alcuna penalizzazione.
Un comportamento può essere eliminato solo quando non viene più seguito
da conseguenze rinforzanti, e addirittura la penalizzazione può avere l’effetto
paradossale di impedire che si verifichi questo processo di disapprendimento
che, come vedremo, viene definito estinzione. In ogni caso ogni intervento di
penalizzazione, nel contesto delle norme deontologiche (BACB, 2004) che
ne regolano accuratamente l’eventuale utilizzo, deve essere accompagnato da
interventi di ridirezionamento sotto forma di rinforzo dei comportamenti
alternativi.
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Ancora principi
L’apprendimento di un organismo è continuo, dura tutta la vita, ovviamente con ritmi e modalità diversi: i comportamenti appresi, tuttavia, sono
solo relativamente stabili e certamente non sono appresi in modo definitivo.
Possono essere generalizzati a situazioni nuove, oppure essere posti sotto il
controllo di eventi particolari. Queste caratteristiche, che risultano estremamente adattive per ogni organismo in termini di flessibilità ed economicità,
sono assicurate da alcuni principi fondamentali: estinzione, discriminazione,
generalizzazione, imitazione.
Estinzione
Con questo termine si intende la diminuzione della forza della risposta.
Come alcune conseguenze rinforzano i comportamenti, così la mancanza di
conseguenze li indebolisce progressivamente. Il fenomeno dell’estinzione si
può notare sia nel condizionamento rispondente che in quello operante.
Per quanto riguarda il condizionamento operante, quando un comportamento
non produce più conseguenze che lo rinforzino, la sua ricomparsa diventa progressivamente meno probabile e meno frequente. L’estinzione operante è definibile,
pertanto, come la diminuzione della frequenza di una risposta quando questa
non è più seguita da un rinforzo. In termini sperimentali l’estinzione si studia
azzerando l’erogazione di rinforzatori a seguito di un dato operante. La mancanza
di rinforzo a una risposta precedentemente rinforzata conduce alla lunga alla
sua estinzione ma nell’immediato produce anche reazioni che possono essere
definite di frustrazione o rabbia. Inoltre, quando una procedura di estinzione
viene attuata si presenta un aumento della frequenza del comportamento: tale
fenomeno è stato definito extinction burst, tradotto come scoppio dell’estinzione.
La velocità con cui avviene il decremento del comportamento dipende dalla
storia di apprendimento dell’organismo. Se il comportamento deriva da una
storia d’apprendimento in cui è stato prevalente un rinforzo intermittente, a
rapporto variabile, vi è alta resistenza all’estinzione: infatti quando il rinforzo è
particolarmente discontinuo la risposta tende a persistere a lungo.
Generalizzazione
Gli organismi devono possedere la capacità di reagire a situazioni stimolo simili in modo simile. Essa è un a priori, una caratteristica intrinseca
e basilare dell’apprendimento: solo grazie alla possibilità di categorizzare la
novità e di generalizzare su tale categorizzazione è possibile apprendere. Il
processo di generalizzazione degli stimoli serve a dare stabilità e coerenza al
comportamento degli individui in un ambiente altamente variabile. Infatti,
nelle interazioni organismo-ambiente è di fatto impossibile che uno stimolo
si ripresenti uguale a se stesso.
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P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Discriminazione
Un organismo deve essere in grado di reagire in modo differenziato e
specifico agli eventi-stimolo presenti nell’ambiente: quando un organismo
apprende a rispondere a uno stimolo e non a un altro che si presenti simile
al primo si è verificato un processo di discriminazione. Il processo di discriminazione conferisce specificità, varietà e flessibilità al comportamento
degli individui.
Generalizzazione e discriminazione
La funzione discriminativa è parte costituente del paradigma operante,
in quanto rappresenta il terzo termine della contingenza. Vi sono almeno
tre procedure fondamentali, che corrispondono ad altrettanti processi, per
studiare e produrre una discriminazione.
Nella discriminazione simultanea lo stimolo discriminativo (Sd) e lo stimolo alternativo (S∆) vengono presentati contemporaneamente al soggetto
che deve scegliere, in base alle conseguenze, lo stimolo «giusto». La posizione
viene variata in modo casuale affinché la scelta non sia basata sulla posizione invece che sulle caratteristiche dello stimolo. Ogni scelta tra alternative
contemporaneamente presenti, siano un bivio da imboccare o un test con
più risposte possibili, è basata su un processo di discriminazione simultanea.
Un caso particolare di discriminazione simultanea è rappresentato dalla
procedura di matching-to-sample, traducibile in confronto con un campione.
Consiste nello scegliere tra due stimoli quello che risulta simile a un terzo
stimolo, detto appunto di confronto. Nella discriminazione successiva Sd
e S∆ vengono presentati in due momenti diversi, con una sequenza casuale
per evitare un effetto seriale: in questo caso il soggetto non deve scegliere
tra due possibilità, ma decidere come comportarsi in base alle diverse conseguenze di ogni stimolo.
Generalizzare un’abilità acquisita è la capacità di utilizzare gli apprendimenti acquisiti anche in contesti differenti dal contesto specifico in cui
sono stati appresi ed è un concetto differente dal mantenimento.
Il processo di generalizzazione dei training è stato studiato sistematicamente a partire dalla metà degli anni ’70. Prima di allora vigeva il principio
train and hope (Moderato, 1979). Successivamente nei training di stampo
«Lovaas» sono stati introdotti programmi di generalizzazione che guidavano
il passaggio dalle prove strutturate a tavolino a prove in cui veniva introdotto
in modo sistematico un elemento della generalizzazione (luogo, persona,
stimolo, ambiente, ecc.). Ora gli approcci basati sul Natural Environmental
Teaching non programmano una generalizzazione sistematica, in quanto
all’interno dei training la generalizzazione è prevista fin dall’inizio per cui
non richiede un training supplementare.
Un training produce generalizzazione se:
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• il comportamento che ne è oggetto si verifica nell’ambiente naturale;
• il training porta allo sviluppo di un comportamento a cui non era
specificamente rivolto;
• il comportamento si mantiene nell’ambiente naturale per molto tempo.
Gli elementi da generalizzare sono i seguenti:
1.Stimolo: il bambino deve essere in grado di emettere il medesimo
comportamento in presenza di materiali diversi da quelli con cui ha
appreso l’abilità.
Esempio: se il bambino ha imparato il concetto di mela con una mela
rossa, deve essere in grado di riconoscere come mela anche una mela
verde, una mela di plastica, le foto di una mela, un disegno, ecc.
2.Luogo: il bambino deve essere in grado di emettere il medesimo comportamento in ambienti diversi: in altre stanze della casa, a scuola, a
casa dei nonni, al parco, ecc.
3.Persona: il bambino deve avere lo stesso livello di collaborazione e di
prestazione anche con persone diverse.
4.Linguaggio: durante i training viene inizialmente usato un linguaggio
molto semplice, lontano dal comune modo di parlare; generalizzare
significa arricchire e rendere più complicato il modo in cui ci rivolgiamo al bambino.
5.Distanza: tra il bambino e lo stimolo, il bambino deve imparare a
rivolgere l’attenzione anche a oggetti che non sono direttamente davanti a lui; tra il bambino e un’altra persona, quando comunichiamo
o ascoltiamo le persone, queste non sono sedute esattamente di fronte
a noi: l’insegnante sta in piedi o seduta di fronte a tutta la classe, la
mamma può chiedere qualcosa mentre sta cucinando, qualcuno può
salutarmi dall’altro lato della strada, ecc.
6.Risposta: il bambino deve essere in grado di cambiare topografia della
risposta mantenendo la stessa funzione.
Esempio: un bambino che ha imparato a riconoscere i colori deve
riuscire a giocare a «strega comanda colore».
Le componenti metodologiche procedurali dell’analisi
comportamentale applicata
Applicazioni di prima generazione: Discrete Trial Teaching
Il Discrete Trial Teaching (DTT), tradotto in italiano come insegnamento
per prove discrete, è probabilmente la componente procedurale dell’analisi comportamentale più conosciuta nel campo dell’autismo. Infatti il
DTT è stato a lungo, e spesso è ancora, considerato sinonimo di analisi
comportamentale applicata, soprattutto grazie alle ricerche di Ivaar Loovas
alla fine degli anni ’70 con il progetto UCLA YAP.
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P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Il DTT è una metodologia d’insegnamento che viene utilizzata per
massimizzare l’apprendimento in diverse aree di abilità: cognitive, di comunicazione, di gioco, di abilità sociali e di autonomia. I bambini con autismo
spesso dimostrano molte difficoltà d’apprendimento e il DTT può apportare
miglioramenti nelle seguenti aree:
–Attenzione: molti bambini con autismo hanno tempi d’attenzione
molto brevi. Per questo motivo nel DTT le abilità vengono suddivise
in piccole sotto-abilità (task analysis). All’inizio l’interazione può durare
solo alcuni secondi, fino ad aumentare a minuti grazie al DTT.
–Motivazione: i bambini con autismo sono meno motivati a lavorare
rispetto al resto dei bambini anche a sviluppo tipico. Il DTT prevede
l’utilizzo di rinforzatori contingenti alla prestazione migliore. I rinforzatori spesso, soprattutto all’inizio e nei casi più gravi, sono estrinseci e
tangibili (cibo, giocattoli, pause gioco, ecc.), ma sono sempre associati
a complimenti e lodi, in modo da trasferire a questi ultimi il valore
rinforzante dei primi.
–Stimulus control: la discriminazione tra stimoli rilevanti — richieste di
insegnanti/genitori, inviti dei coetanei, segnali ambientali (campanella
della scuola, allarmi, clima, ecc.) — e il resto degli stimoli è spesso
un compito difficile per i bambini con autismo. Nel DTT gli stimoli
vengono presentati in modo chiaro e coerente. Il bambino riceve un
rinforzatore solo per i comportamenti emessi in risposta a questi stimoli.
–Generalizzazione: solitamente i bambini con autismo hanno difficoltà
a generalizzare le abilità acquisite in ambienti e situazioni diverse. Di
conseguenza il DTT prevede la generalizzazione dei seguenti elementi:
persona, setting, stimolo discriminativo, modello di rinforzamento,
topografia della risposta.
–Rapporto causa-effetto e apprendimento osservazionale: i bambini con
autismo hanno difficoltà ad apprendere spontaneamente dall’ambiente.
Con il DTT si insegnano nuove abilità e comportamenti in modo
esplicito e strutturato per fare fronte a questa difficoltà.
–Comunicazione: nei bambini con autismo il linguaggio è generalmente deficitario sia a livello di chi ascolta sia a livello di chi parla. Un
insegnamento basato sul linguaggio naturale risulta spesso troppo
difficile per questi bambini. Gli stimoli discriminativi vocali dati nel
DTT, specialmente all’inizio dell’intervento, sono semplici, concreti
e chiari con le informazioni salienti. Quando migliorano le abilità di
ascolto del bambino, anche il linguaggio da parte dell’adulto diventa
più complesso.
Ci sono 5 parti che compongono una prova discreta:
1.Lo stimolo discriminativo (Sd): l’elemento che precede il comportamento. Consiste in una richiesta da parte dell’operatore o in un elemento
dell’ambiente che si mette in evidenza.
203
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
2.L’aiuto (prompt): un aiuto o un suggerimento che l’operatore fornisce
al bambino per facilitarne le risposte.
3.La risposta: il comportamento che il bambino deve emettere in seguito
a uno stimolo discriminativo.
4.Il rinforzatore (Sr): l’evento stimolo che segue il comportamento.
5.Pausa tra le prove (inter-trial interval): una breve pausa tra le prove
consecutive.
Una prova discreta è così composta:
Sd………………R……………Sr
Esempio
Operatore:«Dammi palla» alla presenza di un’immagine o di un oggetto
(Sd o antecedente).
Bambino: Consegna la palla (R o comportamento).
Operatore:«Bravissimo!!!» e consegna rinforzatore (Sr o conseguenza).
In questo esempio l’operatore fa una richiesta al bambino (Sd). Le possibilità di risposta sono tre. Se il bambino risponde correttamente, questo
comportamento viene immediatamente rinforzato. Se il bambino sbaglia,
l’operatore ricomincia la sequenza ripresentando lo stimolo: fornisce anche
un aiuto totale (presentando un full prompt che dovrebbe impedire un ulteriore errore) e ripresenta la richiesta. Se la risposta è corretta, l’operatore
rinforza anche verbalmente il bambino (Sr). A questo punto l’operatore può
decidere di fare una breve pausa per poi passare a un’altra prova discreta.
C’è una terza possibilità, cioè che il bambino non risponda del tutto. In
questo caso, dopo una latenza di non più di 2 secondi, si presenta come
nella sequenza precedente l’aiuto totale.
Sviluppare nuovi comportamenti
Nel discrete trial teaching viene utilizzata la procedura di apprendimento
senza errori (errorless learning), una tecnica d’insegnamento in cui si usa
uno stimolo aggiuntivo con funzione d’aiuto (prompt) che serve all’inizio
a impedire al soggetto di sbagliare (Terrace, 1963a). Terrace (1963b) ha
sviluppato una procedura per discriminare tra due colori (verde e rosso)
senza commettere errori. Partendo dalla discriminazione tra una linea verticale e una orizzontale precedentemente acquisita, Terrace, attraverso una
procedura di transfert senza errori, arrivava alla discriminazione rosso-verde
attraverso una prima sovrapposizione tra la linea verticale orizzontale sul
rosso e sul verde. I risultati mettono in evidenza che una lenta transizione
da una discriminazione più facile a una più difficile permette un apprendimento senza errori.
I prompt più frequentemente utilizzati sono:
• fisici: l’operatore guida fisicamente il soggetto;
• gestuali: si indica la risposta corretta;
204
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
• visivi: stimoli visivi come il colore più accentuato aiutano nella scelta
corretta della risposta;
• imitativi: l’operatore dà dimostrazione del comportamento corretto;
• ritardati: il ritardo nel prompt favorisce risposte indipendenti;
• posizione: l’immagine o l’oggetto viene posto più vicino al soggetto.
Per minimizzare la probabilità d’errore all’inizio
viene presentato il prompt più forte. In un secondo
tempo, quando il soggetto comincia a padroneggiare
la nuova abilità, il prompt viene eliminato in modo
graduale (fading). È importante non sovrapporre o
mescolare i prompt, altrimenti diventa impossibile
fare il fading in quanto non è chiaro quale fra i tanti
prompt sia quello da sfumare.
Il fading è il cambiamento graduale di uno stimolo
(prompt) che controlla una risposta, in modo tale che,
alla fine, la risposta compaia in seguito a uno stimolo
parzialmente cambiato o completamente nuovo senza
prompt. Nell’esempio riportato nella figura 2 viene
utilizzato il fading visivo per insegnare al bambino a
denominare la lettera «b» scritta in stampato minuscolo
partendo dalla lettera «B» scritta in stampato maiuscolo
riconosciuta dal bambino. Nell’esempio raffigurato
nella figura 3 viene utilizzato il fading gestuale per
insegnare al bambino a discriminare un oggetto.
Nell’insegnamento attraverso prove discrete ven- Fig. 2 Fading visivo.
gono utilizzate anche le altre classiche procedure
comportamentali di base come shaping e chaining.
Lo shaping è una procedura che viene utilizzata per sviluppare progressivamente un comportamento che non fa parte del repertorio iniziale
dell’individuo. Se il comportamento è assente, non è possibile aumentarne
la frequenza aspettando che si manifesti per poi rinforzarlo. Quindi, si inizia
1
2
3
Operatore
Operatore
Operatore
Studente
Studente
Studente
Fig. 3 Fading gestuale.
205
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
rinforzando una risposta che compare seppur raramente e che assomiglia,
almeno lontanamente, alla risposta finale desiderata. Lo shaping può
essere definito come lo sviluppo di un nuovo comportamento attraverso
il rinforzo di piccole approssimazioni progressive e l’estinzione di quelle
precedenti (Martin e Pear, 2000). La metodologia è basata sui processi di
generalizzazione e discriminazione e sul concetto di classe operante. Ogni
risposta si presenta con una certa variabilità che fa sì che le volte successive
compaia in forme simili ma non perfettamente identiche: rinforzando
sistematicamente e progressivamente solo una fra queste forme, essa verrà
discriminata e raggiungerà una frequenza stabile.
Come si insegnano le principali autonomie quotidiane? Come si insegna
a lavarsi le mani, a lavarsi i denti, a vestirsi, ecc.? Molte abilità consistono
in catene di azioni (ad esempio, lavarsi le mani) troppo complesse per poter
essere insegnate tutte insieme: vengono quindi scomposte in subunità e
insegnate una alla volta, concatenandole tra loro all’interno di una catena
(chaining), diminuendo allo stesso tempo sistematicamente i prompt. Una
catena stimolo-risposta è una sequenza di stimoli discriminativi (Sd) e di
risposte in cui ciascuna risposta, tranne l’ultima, ha la funzione di SD per
la risposta successiva e l’ultima risposta è seguita da un rinforzatore:
Esistono tre principali metodi per insegnare una catena stimolo-risposta:
1.Compito totale: il soggetto tenta ogni volta tutti i passi dall’inizio alla
fine della catena e prosegue con i tentativi di realizzare l’intero compito
finché si è raggiunta una certa padronanza in ogni passo.
2.Concatenamento retrogrado: viene insegnato per primo l’ultimo passo,
poi il penultimo e concatenato con l’ultimo, poi il terzultimo e concatenato con gli altri due, proseguendo a ritroso fino all’inizio della
catena.
3.Concatenamento anterogrado: viene insegnato per primo il primo passo
della catena, poi vengono insegnati il primo e il secondo e concatenati
l’uno con l’altro e così via finché non viene acquisita tutta la catena.
Chaining, fading e shaping a confronto
Chaining, fading e shaping sono a volte detti procedure di cambiamento
graduale perché tutti e tre implicano il procedere gradualmente attraverso
una serie di passi per produrre un nuovo comportamento o un nuovo controllo da parte di uno stimolo. Martin e Pear (2000) riportano una tabella
esaustiva che mette in luce differenze e somiglianze tra le tre procedure
(vedi tabella 2).
L’efficacia del DTT è stata testata da numerose ricerche. Prima fra tutte
va ricordata quella di Lovaas (1987), poi replicata da McEachin, Smith e
Lovaas (1993). Tuttavia, queste ricerche non sono state esenti da critiche nel
corso degli anni. Gresham e MacMillar (1998) sottolineano la mancanza di
un vero progetto sperimentale nella ricerca di Lovaas del 1987, in quanto
206
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Altre considerazioni
procedurali
Procedura generale del
training
Comportamento finale
Tabella 2
Confronto tra shaping, fading e chaining
SHAPING
FADING
CHAINING
1.Un nuovo comportamento ottenuto modificando qualche dimensione fisica come
la topografia, la quantità o l’intensità.
1.Un dato comportamento è controllato
da un nuovo stimolo.
1.Una nuova sequenza
di risposte, nella quale
uno stimolo preciso
segnala la fine di ciascuna risposta e dà il
via a quella successiva.
2.Il comportamento finale consiste esclusivamente nell’ultimo
passo dello shaping.
1.Spesso viene effettuato in ambiente non
strutturato in cui il
soggetto ha la possibilità di emettere un
gran numero di comportamenti diversi.
2.Segue l’ordine naturale
del comportamento.
1.Può implicare prompt
fisico e includere anche l’utilizzo del fading
nei passi successivi.
2.Implica l’utilizzo del
rinforzo e dell’estinzione.
2.Il controllo finale dello
stimolo consiste esclusivamente nell’ultimo
passo del fading.
2.Il comportamento finale consiste in tutti i
passi della catena.
1.In genere avviene in
ambiente strutturato
in quanto gli stimoli
presenti devono essere accuratamente
controllati.
2.Segue l’ordine naturale
del comportamento.
1.In genere avviene in
un ambiente strutturato o semistrutturato.
2.Procede in una direzione anterograda o
retrograda.
1.In rari casi può includere l’utilizzo dello
shaping.
1.Spesso include prompt
fisici, fading e shaping
nei diversi passi.
2.Implica l’utilizzo del
rinforzo e, se si deve
usare l’estinzione, significa che il fading
non si è svolto in modo
ottimale.
2.I m p l i c a u n m i n o r
numero di prove di
estinzione rispetto allo
shaping per il forte stimulus control stabilito
dal prompt e dal fading
nei diversi passi.
non c’è stato sufficiente controllo nella distribuzione dei soggetti ai gruppi
sperimentali e al gruppo di controllo. La validità interna dello studio è stata
anche messa in dubbio da minacce influenti tra cui modifiche o variazioni
nelle procedure di misurazione nel corso del tempo. Boyd (1998) ha sottolineato anche la sproporzione tra la media del quoziente intellettivo (QI)
delle femmine rispetto ai maschi nel gruppo di controllo. Inoltre, Eikeseth
(2001) ha messo in evidenza la regressione statistica del QI dei bambini
durante il follow-up nel corso del tempo.
207
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Approcci di seconda generazione
Nel corso degli anni l’analisi comportamentale applicata, pur rimanendo
fedele ai principi di base sostenuti da una gran mole di ricerche, ha sviluppato
interventi più orientati in senso ecologico, affiancando agli approcci più
strutturati come il DTT approcci più naturalistici come il Verbal Behavior
Teaching (VBT), il Natural Language Paradigm (NLP), il Natural Environmental Teaching (NET) e l’Incidental Teaching (IT).
Nello sviluppo dell’analisi comportamentale applicata tra gli approcci
strutturati e gli approcci ecologici si possono evidenziare elementi di continuità e discontinuità. Gli approcci strutturati di prima generazione sono
basati prevalentemente sul controllo delle conseguenze del comportamento,
per cui viene posta maggiore attenzione alla programmazione di interventi
reattivi (ad esempio, modelli di rinforzamento, processi di estinzione, ecc.).
Gli approcci di seconda generazione sono basati maggiormente sul controllo
degli antecedenti del comportamento, per cui maggiore attenzione viene
posta alla programmazione di interventi proattivi (motivazione, gestione
dell’ambiente, ecc.).
Negli approcci strutturati l’insegnamento iniziale avviene essenzialmente
a tavolino, con una programmazione sistematica della generalizzazione degli
apprendimenti solo dopo l’acquisizione a tavolino. Negli approcci ecologici
l’insegnamento iniziale si basa essenzialmente sui training di comunicazione, sul
pairing e sul controllo educativo, e la generalizzazione è già insita fin dall’inizio
nella programmazione dell’intervento. Tuttavia, sia negli approcci strutturati sia
negli approcci ecologici vengono utilizzati gli stessi principi di base dell’analisi
del comportamento: intensività e precocità degli interventi sono sempre le
colonne portanti, la loro diversa modulazione e collocazione nella sequenza
educativa. Per tale motivo deve essere chiaro che tutti questi interventi devono
essere sempre classificati come analisi comportamentale applicata.
Verbal Behavior Teaching
Nel 1957 Skinner pubblica il libro Verbal Behavior, che presenta un’analisi in termini funzionali del linguaggio definito come «comportamento
operante rinforzato attraverso la mediazione di un’altra persona o persone,
indipendente dal modo o forma».
Che cosa distingue una relazione verbale da una non verbale? Skinner
(1957), ricorrendo al modello della contingenza a tre termini (antecedenterisposta-conseguenza), identifica tale caratteristica nella topografia con la
quale le conseguenze si presentano all’interno di un operante verbale: tali
conseguenze sono mediate da un ascoltatore. Skinner (1957) definisce la relazione verbale come una classe di eventi definibile sulla base di tre criteri:
a) una risposta emessa da un individuo (parlante);
b)la conseguenza mediata dal comportamento di un altro individuo
(ascoltatore);
208
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
c) la comunità verbale cui appartengono parlante e ascoltatore, che ha
modellato il comportamento verbale e non verbale di quest’ultimo
perché possa rispondere adeguatamente, cioè fornire le opportune
conseguenze, agli stimoli prodotti da colui che parla. Non solo, ma
in qualche modo gli stimoli verbali arrivano a sostituire quelli non
verbali e viceversa: basta, ad esempio, pensare all’intercambiabilità fra
il semaforo rosso, il gesto di alt e la parola ALT. Tutto ciò implica che
lo stimolo verbale possa entrare a far parte anche di relazioni arbitrarie
complesse del tipo — stimolo verbale ↔ stimolo non verbale ↔ risposta
↔ conseguenza — che vengono mantenute dalla comunità verbale
cui chi ascolta e chi parla appartengono. Chase e Danforth (1991)
hanno, per questo, aggiunto una quarta caratteristica alla definizione
di Skinner (1957): l’apprendimento del comportamento di ascoltatore
implica l’apprendimento di relazioni arbitrarie fra stimoli.1
L’analisi funzionale di una relazione verbale è centrata sull’insieme di
elementi che costituiscono l’operante verbale e, sulla base degli eventi ambientali che fungono da antecedenti e da conseguenti, è possibile costruirne
una tassonomia (vedi figura 4) (Presti et al., 2002).
Gli operanti verbali identificati da Skinner sono: ecoico, mand, tact,
intraverbale e autoclitico. Tutti gli operanti verbali richiedono un training
specifico in quanto hanno funzioni indipendenti.
Ecoico
Skinner (1957) definisce l’operante ecoico come «un comportamento
verbale e vocale che ha corrispondenza punto a punto con un modello verbale
e vocale». Se un genitore dice, «biscotto», ad esempio, e un bambino ripete
«biscotto» si verifica un comportamento ecoico (vedi tabella 3).
Mand
«Un mand è l’operante verbale la cui risposta è rinforzata da una conseguenza insita nella richiesta ed è sotto il controllo funzionale delle condizioni
di privazione o stimolazione aversiva» (Skinner, 1957). La necessità, il desiderio di qualcosa e un ascoltatore sono l’essenziale condizione antecedente,
mentre ciò che è richiesto può non essere presente (vedi tabella 4). Se è
presente una situazione in cui si desidera qualcosa, se vi è un antecedente
non-vocale, se viene specificato un particolare rinforzatore, si tratta di un
mand puro.
1
Le relazioni arbitrarie tra stimoli sono un operante in cui lo stimulus control per la risposta è
rappresentato da relazioni arbitrarie fra una classe di stimoli; tali relazioni sono mantenute dalla
comunità verbale. Inoltre, le relazioni arbitrarie tra stimoli sono stimoli antecedenti che evocano
la stessa risposta ma non assomigliano nella forma, ad esempio, pane, formaggio, pasta sono
elementi della stessa classe arbitraria di stimoli se evocano la risposta «cibo». Per un maggior
approfondimento si veda Moderato, Presti e Chase (2001) e Moderato (2010).
209
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Relazione
verbale
controllata da
Operazione
motivazionale
Evento
antecedente
non verbale
Mand
Tact
Evento
antecedente
verbale
Senza
corrispondenza
tra A e R
Con
corrispondenza
tra A e R
Formalmente
simili
Intraverbale
Ecoico
(A orale;
R orale)
Copiato
(A scritto;
R scritto)
Formalmente
differenti
Testuale
(A scritto;
R orale)
Fig. 4 Tassonomia degli operanti verbali.
Tabella 3
Ecoico
ANTECEDENTI
Comportamento verbale di altri
COMPORTAMENTO
Ecoico
CONSEGUENZA
Rinforzatore sociale/simbolico
Esempio
A: «Palla»
B: Dice: «palla»
C: «È giusto, bravo!»
Tabella 4
Mand
210
ANTECEDENTI
Mancanza, desiderio, necessità
COMPORTAMENTO
Mand
CONSEGUENZA
Ciò che è stato richiesto con il mand
Esempio
A: Viene trattenuta la palla
B: Dice: «Palla»
C: Riceve la palla
Dettato
(A orale;
R scritto)
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Ad esempio, se un bambino dice «succo» quando ha sete e la conseguenza
del comportamento verbale «succo» è la consegna del succo, questo è un
mand.
Per evitare facili fraintendimenti in cui altri sono già caduti (Chomsky,
1959), va chiarito che, quando Skinner parla di situazione di privazione,
descrive una situazione «naturale» dell’organismo, non un’operazione:
in altre parole non si «asseta» un bambino per metterlo in condizione di
privazione ma si approfitta della condizione in cui ha «naturalmente» sete
per insegnargli in modo incidentale a esprimere verbalmente la sua richiesta. Inoltre, quando si parla di mand training è fondamentale introdurre
il concetto di operazioni motivazionali in quanto il mand è evocato da
variabili motivazionali: establishing operations (EO), recentemente ridefinite motivative operations (MO), tradotte come operazioni motivazionali
(Laraway et al., 2003).
Keller e Schoenfeld (1950) sono stati i primi ad affrontare il ruolo della
motivazione inteso come principio del comportamento e a precisare la
differenza con lo stimolo discriminativo in termini di relazioni funzionali
al comportamento. Essi descrivono la motivazione come una variabile indipendente da studiare separatamente dalle altre variabili comportamentali
e parlano di motivazione in termini di establishing operation (EO): ogni
stimolo o condizione che alteri il valore dello stimolo conseguente e, inoltre,
evochi la risposta che in passato ha prodotto questa conseguenza. L’establishing operation è la nostra variabile indipendente, il comportamento la
nostra variabile dipendente, la prima può essere descritta per tipo e grado
e della seconda viene misurato il cambiamento.2
Il termine EO è stato introdotto per definire la funzione motivazionale
degli stimoli ambientali o delle condizioni che non sono sotto il controllo
della deprivazione, sazietà e aversione (Michael, 1982). Fin dai primi articoli
di Michael sull’argomento, gli analisti comportamentali hanno riconosciuto
l’importanza dell’EO e hanno progressivamente adottato la terminologia di
Michael. Dal 1990 al 1999 gli articoli del «JABA» che usano il termine EO
sono passati da 3 a più di 60. Inoltre, le citazioni degli articoli di Michael
del 1982 e del 1993 sull’EO sono aumentate di numero ogni anno, al punto
che l’articolo di Michael del 1982, pubblicato nel «JEAB», è ora l’articolo
più citato nel «JABA».
Differenze tra stimolo discriminativo ed EO
Nell’articolo del 1982 in cui introduce l’espressione establishing operations
Jack Michael mette in luce le differenze tra stimolo discriminativo (SD) e
EO. L’SD è un cambiamento ambientale che, data la momentanea efficacia
di alcuni particolari tipi di rinforzo, incrementa la frequenza di un parti2
«The establishing operation is our independent variable, the behavior our dependent variable, the
former is specifiable as to kind and degree and the latter is measured for extent of change» (Keller
e Schoenfeld, 1950, p. 273).
211
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
colare tipo di risposta, poiché tale cambiamento ambientale è stato seguito
da quel tipo di rinforzo.
Il processo secondo cui un comportamento si manifesta maggiormente
in presenza di alcune condizioni antecedenti è chiamato discriminazione
operante e il risultato sul comportamento è chiamato stimulus control,
cioè il «controllo» sul comportamento da parte di uno stimolo. L’operante
discriminato ha le sue origini nei tre termini della contingenza: antecedentecomportamento-conseguenza; i tre termini della contingenza vengono
definiti dall’acronimo ABC, cui si aggiunge una «s» per indicare i fattori
contestuali. Uno stimolo discriminativo antecedente «controlla» un operante
solo perché segnala un tempo o un luogo in cui il comportamento produrrà probabilmente qualche tipo di conseguenza. Bisogna fare attenzione a
non confondere la funzione discriminativa con quella elicitante, che è una
proprietà degli stimoli solo nelle interazioni rispondenti. Uno stimolo con
funzione di rinforzatore positivo rafforza la classe di comportamenti che lo
precede, ma solo in presenza di uno stimolo con funzione discriminativa e
in un certo contesto. Per questo motivo, è stato necessario aggiungere un
quarto elemento (vedi figura 5):
1.stimolo antecedente con funzione discriminativa;
2.risposta con funzione effettuale;
3.stimolo conseguente con funzione rinforzante;
4.fattore situazionale e EO.
L’espressione establishing operation definisce solo un aumento nell’efficacia
delle conseguenze (rinforzatore o punizione). Molte variabili motivazionali
decrementano l’efficacia delle conseguenze, mentre Michael (1982), riconoscendo il problema dell’utilizzo di EO come un termine onnicomprensivo,
ha poi introdotto il termine complementare di abolishing operation (AO)
per riferirsi a eventi che diminuiscono l’efficacia di una conseguenza data.
Nel 2003 Laraway, Snycerski, Michael e Poling hanno introdotto l’espressione motivational operations (MO) come un termine omnicomprensivo che
comprende sia EO che AO.
Storia di
apprendimento
Fattore
situazionale
EO
Fig. 5 Contingenza a 4 termini.
212
SD
Risposta
Rinforzatore
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
La più completa definizione di MO è la seguente: «ogni operazione,
evento o condizione stimolo che altera il valore rinforzante di qualche stimolo, oggetto o evento e inoltre altera la frequenza o qualche dimensione
del comportamento che è stato rinforzato dallo stesso stimolo, oggetto o
evento» (Michael, 1988).
Nei tentativi di identificare le variabili che controllano un comportamento, ogni analista del comportamento dovrebbe essere consapevole che
una data MO probabilmente incide su molti comportamenti e un dato
comportamento probabilmente è provocato da molte MO. Ad esempio in
alcuni studi è stato rilevato che ritardare l’inizio di un’attività programmata
o la privazione di sonno può avere molteplici funzioni motivazionali. In
un partecipante, la privazione del sonno riduceva il valore della lode come
rinforzatore (essa funzionava come un AO per l’approvazione) e aumentava
il valore dell’immediato accesso a stimoli consumabili come rinforzatori (essa
funzionava come EO per stimoli commestibili) (Laraway et al., 2003).
Northup et al. (1997) hanno dimostrato che le MO possono avere molteplici, e qualche volta simultanei, effetti motivazionali. Così, il trattamento
che coinvolge la manipolazione delle MO può insegnare comportamenti
alternativi ai comportamenti target eliminando i rinforzatori che mantengono il comportamento autolesivo (Laraway et al., 2003).
Deficit di comunicazione
La maggior parte dei bambini con autismo non riesce a interagire in modo
socialmente adeguato; ad esempio molti non sono in grado di fare domande
spontaneamente (Charlop-Christy e Milstein, 1989) per cui è necessario
insegnare loro in modo esplicito a formulare domande. Molte ricerche
hanno dimostrato l’efficacia delle tecniche comportamentali nell’insegnare
ai bambini con autismo a fare domande in vari modi e situazioni (Taylor e
Harris, 1995; Koegel et al., 1998; Donley e Keller, 2000).
Molti bambini con autismo, pur avendo un repertorio vocale, presentano
deficit nelle interazioni spontanee. Questo accade quando l’attenzione nella
fase di insegnamento è rivolta alle topografie linguistiche piuttosto che alla
funzione (Williams e Greer, 1993): ad esempio, spesso quando si insegna
a una persona a richiedere ciò di cui ha bisogno, si insegna erroneamente a
rispondere alla domanda «Che cosa vuoi?».
Frequentemente il linguaggio identificato come «non-spontaneo» consiste
in emissioni verbali che sono emesse sotto il controllo di aiuti verbali antecedenti (ad esempio, dire «grazie», «cosa vuole»?) piuttosto che di establishing
operation senza antecedenti verbali.
L’assenza di mand vocali è considerata un deficit comune nel repertorio
verbale di individui con autismo (Bourret, Vollmer e Rapp, 2004). I loro
repertori di mand vocali possono avere le seguenti caratteristiche: a) non
ci sono mand, b) i mand non hanno una topografia adattiva (ad esempio,
piangere, urlare, ecc.), c) i mand hanno solo parzialmente una topografia
adattiva, e d) i mand non sono spontanei ma vengono indotti. Ogni defi213
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
cit sopracitato richiede soluzioni differenti: ad esempio, il modeling non
sarebbe la strategia migliore per incentivare la produzione dei mand se la
risposta fosse sotto il controllo dei prompt ambientali (Bourret, Vollmer e
Rapp, 2004).
Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) ritengono che sia
possibile aumentare le richieste dei bambini con autismo attraverso la discriminazione condizionale e un adeguato training.
È molto importante sviluppare il repertorio mand nei bambini con
deficit del linguaggio (Sundberg e Michael, 2001), creando condizioni che
non sono già presenti, perché i bambini con autismo hanno difficoltà ad
apprendere abilità di richiesta e a generalizzarle (Wahlberg e Jordan, 2001).
Ad esempio, un bambino magari è capace di denominare certi oggetti ma è
incapace di produrre un mand per gli stessi oggetti, e viceversa (Sundberg
e Michael, 2001).
Comprendere i processi comportamentali coinvolti nel generare un
repertorio flessibile di mand è importante per ridurre i comportamenti
non adattivi dovuti alla mancanza di strumenti di comunicazione (Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes, 2005). Ad esempio, se il bambino
si butta per terra quando la mamma parla con il fratello, si può insegnare
al bambino un comportamento alternativo: attirare l’attenzione in modo
adattivo facendogli chiedere «mamma, guardami» nel caso fosse un bambino
verbale e vocale.
Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) suggeriscono di insegnare mand multipli per lo stesso rinforzatore. In alternativa, secondo
Barnes-Holmes, Barnes-Holmes e Cullinan (2000), è possibile stabilire
un repertorio di mand multipli attraverso relazioni d’equivalenza, evitando di dover fare un training per ogni mand. In altre parole, dopo
avere stabilito un solo mand per un particolare rinforzatore, è possibile
trasferire quella funzione a diverse risposte attraverso la discriminazione
condizionale. Di conseguenza, un bambino può imparare mand senza un
training diretto.
Lo studio di Murphy, Barnes-Holmes e Barnes-Holmes (2005) adotta
una strategia di ricerca che si pone come obiettivo quello di fondere l’approccio di Skinner (1957) al linguaggio umano con quello della RFT (si
veda Barnes-Holmes, Barnes-Holmes e Cullinan, 2000 per una discussione
particolareggiata).
Esempio di training mand
Nella figura 6 viene illustrata una possibile procedura per insegnare
al bambino a formulare richieste utilizzando il trasferimento di funzione
dall’operante ecoico all’operante mand.
L’operatore presenta il prompt ecoico per 3 volte e ogni volta che il
bambino ripete gli consegna ciò che aveva chiesto. Dopo 3 volte, in cui il
bambino ripete e riceve ciò che ha chiesto, l’operatore aspetta 5 secondi
prima di fornirgli ancora il prompt ecoico. Se il bambino formula la richiesta
214
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Prompt
ecoico
SR
Prompt
ecoico
SR
Prompt
ecoico
SR
L’operatore aspetta 5 secondi
Se il bambino
richiede
Se il bambino
non richiede
Consegna
rinforzatore
ecoico
Prompt
ecoico
NO SR
L’operatore aspetta 5 secondi
Fig. 6 Transfer ecoico-mand.
anche senza prompt, l’operatore gli consegna ciò che ha chiesto, in caso
contrario si presenta un prompt ecoico al bambino (senza consegnargli ciò
che ha chiesto). Dopo un’attesa di 5 secondi, se il bambino non risponde o
commette un errore si ripete ancora la procedura dall’inizio.
Attraverso questa procedura è possibile insegnare qualsiasi mand a
condizione che si creino le giuste operazioni motivazionali (vedi figura 7)
attraverso un insegnamento in ambiente naturale (Natural Environmental
Teaching/NET).
Ad esempio: vogliamo insegnare al bambino a richiedere l’attenzione
dell’adulto vocalmente dicendo «mamma, vieni qui». È quindi necessario
creare delle condizioni tali per cui il bambino sia motivato a fare la richiesta:
un esempio di tale condizione può essere quello della mamma che parla con
un’amica senza prestare attenzione al bambino. In questo caso, se il bambino
desidera l’attenzione della mamma, può essere aiutato a dire «mamma, vieni
qui» seguendo la procedura sopra presentata.
Tact
I tact sono operanti verbali che comportano un antecedente non verbale,
l’oggetto o una sua rappresentazione, e un rinforzatore generalizzato, come
215
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Comportamento:
«Mamma, vieni qui!»
Operazioni
motivazionali:
–La mamma sta
parlando con
un’amica.
–Il bambino ha
finito di fare un
disegno.
–Non funziona
più il DVD, ecc.
Antecedente:
Sd
Ambiente
Materiale
Persona
Conseguenza:
La mamma va
dal bambino
Fig. 7 Contingenza a 4 termini: operazioni motivazionali, stimolo discriminativo,
risposta, conseguenza.
l’elogio di un adulto (vedi tabella 5). Così, se un bambino dice «palla» in
presenza dell’immagine della palla o di una palla reale, il rinforzatore consiste nella risposta del genitore: «Sì, bravo questa è una palla!». I mand e i
tact sono puri quando non ci sono antecedenti verbali (Williams e Greer,
1993). Nel caso del mand il bambino dice «palla» anche se non gli è stato
chiesto «cosa vuoi?» e nel caso del tact il bambino dice «palla» anche se non
gli viene chiesto «che cos’è?».
Lo studio di Wallace, Iwata e Hanley (2006) esamina la relazione tra
tact e mand. Anche se le proprietà funzionali del tact e del mand differiscono, la loro forma (topografia) può essere identica. Un bambino dice
«succo», ad esempio, quando l’operatore indicando l’immagine di un
succo di frutta prima chiede «Che cos’è?», poi conferma «È giusto!» se
il bambino dà la risposta corretta. In questo esempio, «succo» è un tact.
Invece, se un bambino (che ha sete) chiede «succo» e ottiene il succo di
frutta ha emesso un mand.
Tabella 5
Tact
216
ANTECEDENTI
Aspetto stimolante dell’ambiente/SD
COMPORTAMENTO
Tact
CONSEGUENZA
Rinforzatore sociale/simbolico
Esempio
A: Vede qualcuno correre
B: Dice: «corre»
C: «È giusto, bravo!»
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Skinner (1957) afferma che tact e mand hanno funzioni indipendenti,
così che lo stabilirsi di una classe non genera automaticamente l’altra classe. Tale indipendenza funzionale ha implicazioni sia a livello teorico sia a
livello applicativo. Da una prospettiva teoretica, la distinzione tra tact e
mand evidenzia l’importanza di considerare la funzione di ogni operante.
Da una prospettiva applicativa, implica la progettazione di procedure per
stabilire una relazione tra tact e mand che faciliti la comparsa dell’operante
che non è stato insegnato.
In una classica ricerca Lamarre e Holand (1985) hanno insegnato a 5
partecipanti dei tact e hanno esaminato le loro conseguenti capacità di mand.
Inoltre, hanno insegnato ad altri 4 partecipanti dei mand e poi hanno esaminato la loro abilità di tact. I risultati di questo studio indicano che tutti i
partecipanti avevano acquisito l’operante verbale che gli era stato insegnato
ma non avevano appreso l’operante verbale che non gli era stato insegnato. In
uno studio simile, Hall e Sundberg (1987) hanno insegnato a due partecipanti
il tact di item che completavano una catena di risposta (ad esempio fare una
zuppa istantanea: zuppa istantanea, acqua calda, una fondina e un cucchiaio),
poi hanno esaminato la loro capacità di richiedere (mand) l’oggetto eliminando
un item che serviva per fare la zuppa. I risultati indicano che i partecipanti
avevano imparato il tact degli item ma non apprendevano il mand per l’oggetto
mancante fino a che questo non gli era stato insegnato esplicitamente.
Un limite di questo studio è che non sono chiare le operazioni motivazionali: ad esempio, nello studio di Lamarre e Holland (1985) l’EO non è
mai stata identificata. Così anche nello studio di Hall e Sundberg (1987):
un item che completava la catena era stato rimosso ma non è chiaro se il
completare la catena funzionasse come rinforzatore.
Solo negli studi più recenti viene presa in considerazione l’operazione
motivazionale. Ad esempio, Wallace, Iwata e Hanley (2006), nella loro ricerca, hanno insegnato ai partecipanti tact di oggetti preferiti, la cui scelta
preferenziale era stata precedentemente stabilita attraverso un assessment
formale. Sundberg, San Juan, Dawdy e Arguelles (1990) hanno sottolineato
l’efficacia del transfer di funzione da mand a tact. Similmente, Sigafoos,
Reichle e Doss (1990) hanno dimostrato che 2 adulti con disabilità, a cui
era stato insegnato a richiedere un cibo, potevano di conseguenza richiedere
l’utensile (cucchiaio) corrispondente al cibo che consumavano dopo che era
stato loro insegnato con successo il tact dell’utensile. L’argomento è ancora
controverso ed è oggetto di continue ricerche.
Intraverbale
L’ intraverbale è «un comportamento verbale che non mostra corrispondenza punto a punto con gli stimoli verbali che lo evocano» (Skinner, 1957,
p. 71). Un esempio di operante intraverbale può essere quello di classificare
verbalmente o categorizzare oggetti nell’ambiente (ad esempio una sequenza
di risposte tematicamente collegate come «cane, gatto, cavallo» quando viene
chiesto di elencare alcuni animali).
217
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Il contenuto della domanda non corrisponde topograficamente al contenuto della risposta e la conseguenza consiste in un rinforzatore di tipo
sociale (vedi tabella 6).
Tabella 6
Intraverbale
ANTECEDENTI
Comportamento verbale
COMPORTAMENTO
Intraverbale
CONSEGUENZA
Rinforzatore sociale/simbolico
Esempio
A: 1, 2, 3…
B: Dice: «4»
C: «È giusto, bravo!»
Il comportamento intraverbale è considerato un requisito indispensabile
per la comunicazione più avanzata e rappresenta una parte essenziale dei
programmi curricolari (Sundberg e Partington, 1998). I bambini con sviluppo
tipico imparano continuamente a categorizzare nuovi oggetti, interagendo
con il loro ambiente naturale, mentre quelli con autismo necessitano di un
training esplicito.
Molti ricercatori hanno studiato procedure per insegnare l’intraverbale a
bambini neurotipici e con difficoltà dello sviluppo. Braam e Poling (1983) e
Partington e Bailey (1993) hanno valutato una procedura di trasferimento
di funzione per insegnare risposte legate da un tema comune (ad esempio,
«dimmi tutte le cose che si mangiano») a soggetti diagnosticati con ritardo
mentale. Durante il training, ai partecipanti era chiesto di individuare tutti
gli elementi di una categoria: in caso di risposta errata, lo sperimentatore
utilizzava prompt (tact o testuale) per produrre la risposta corretta. I prompt
venivano progressivamente sfumati (fading), in modo di portare le risposte
sotto controllo dello stimolo verbale antecedente iniziale. I risultati di questo
studio suggeriscono che la procedura di trasferimento di funzione è efficace
nell’insegnamento dell’operante verbale relativo alle categorie.
Watkins, Neath e Sechler (1989) hanno insegnato singole risposte intraverbali relative ad attributi e sostantivi (ad esempio, la risposta «orso»
allo stimolo «dimmi un animale»), e risposte intraverbali multiple (ad
esempio, la risposta «margherita bianca» allo stimolo «dimmi un fiore»).
Lo sperimentatore forniva prompt ecoici se i partecipanti rispondevano
erroneamente o non rispondevano entro 2 secondi. I prompt ecoici erano
molto utili nell’insegnamento di risposte intraverbali, specialmente quelle
che coinvolgevano aggettivi astratti difficili da rappresentare con immagini
(ad esempio, soffice).
Partington e Bailey (1993) sono stati tra i primi ricercatori a valutare
in modo sistematico l’indipendenza funzionale di tact e intraverbali. Gli
218
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
autori hanno valutato l’efficacia di una procedura di trasferimento di funzione per insegnare risposte intraverbali relative alle categorie a bambini
prescolari con sviluppo tipico. I partecipanti seguivano un training tact
in cui era chiesto loro di denominare 5 immagini che si riferivano alle
seguenti categorie: frutti, giocattoli, cose che si usano per pulire la casa e
mobili. I risultati hanno evidenziato che il tact training non migliorava il
comportamento intraverbale dei partecipanti. Anche questo studio sostiene
quindi fortemente l’indipendenza funzionale dei due operanti verbali (tact
e intraverbale). I risultati degli studi sopra citati possono suggerire utili
indicazioni nell’insegnamento del comportamento verbale. Il training che
coinvolge tact multipli (ad esempio, denominare la categoria e denominare
gli elementi della categoria) producono deboli cambiamenti nel repertorio
intraverbale in bambini prescolari a sviluppo tipico. Invece, la procedura
di trasferimento di funzione da tact a intraverbale produce un notevole
miglioramento nel comportamento intraverbale.
Il ruolo del rinforzo automatico nell’acquisizione precoce del
linguaggio
Le vocalizzazioni prodotte dai bambini piccoli non hanno sempre come
conseguenze un rinforzo diretto: è questo il motivo per cui alcuni autori
hanno mosso critiche a Skinner relativamente alla definizione del comportamento verbale inteso come comportamento operante rinforzato attraverso
la mediazione di un’altra persona (Brown e Hanlon, 1970).
Questa critica deriva da un generale fraintendimento del concetto di
rinforzo. Skinner (1957) sostiene infatti che la conseguenza rinforzante può
essere anche automatica, nel senso che non ci sono immediate conseguenze
esterne. Ciò che rende automatico questa forma di rinforzo risiede nel fatto
che esso non dipende dalla mediazione di altre persone.
In relazione allo sviluppo delle risposte vocali, Skinner (1957, p. 58)
afferma che: «se qualcuno rinforza ripetutamente qualcun altro dicendo
“Bravo!”, non dobbiamo escludere la possibilità che colui che parla rinforzi
anche se stesso nello stesso modo. Il bambino solo nella stanza può automaticamente rinforzare il proprio comportamento esplorativo vocale quando
riproduce suoni che ha sentito ripetere da altri».
Molti bambini sembrano acquisire alcuni aspetti del linguaggio dai loro
genitori senza un insegnamento diretto o un particolare rinforzamento (Bijou
e Baer, 1965; Moerk, 1990; Mowrer, 1954; Schlinger, 1995). Tuttavia, poiché
i bambini con autismo presentano difficoltà ad apprendere spontaneamente
dall’ambiente è importante analizzare e potenziare il concetto di processo di
rinforzamento automatico. (Skinner, 1957; Vaughan e Michael, 1982)
Il primo passo è l’appaiamento (pairing) di un suono (ad esempio, il
prodotto sensoriale della risposta) con una forma stabilita di rinforzamento.
Bijou e Baer (1965) suggeriscono che il suono prodotto da una risposta
219
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
vocale di un bambino potrebbe funzionare come una forma già ben stabilita
di rinforzamento condizionato. Schlinger (1995) suggerisce che numerosi
accoppiamenti tra i suoni vocalici da parte dell’adulto e lo stimolo rinforzante aumentano la probabilità di condizionare questi suoni a forme di
rinforzamento. Il secondo passo risiede nella produzione di vocalizzazioni;
questi comportamenti sono rafforzati o indeboliti sulla base della natura
della risposta. Si ipotizza che, attraverso questo processo, il suono prodotto
dal bambino sia plasmato come i suoni prodotti dalla comunità verbale in
cui vive (Bijou e Baer, 1965).
Sundberg, Michael, Partington e Sundberg (1996) hanno valutato l’effetto di accoppiamento stimolo-stimolo (pairing) con 5 bambini tra i 2 e
i 4 anni per valutare l’efficacia del rinforzamento automatico per stabilire
nuovi comportamenti vocali. I partecipanti sono stati inseriti in 3 diverse
condizioni in ogni sessione: pre-pairing, pairing e post-pairing. Durante le
fasi di pairing lo sperimentatore registrava tutte le vocalizzazioni prodotte
dai partecipanti e un familiare produceva un suono target con immediato
accesso all’attività preferita. Gli autori hanno dimostrato un aumento della
frequenza del suono target durante tutte le osservazioni post-pairing.
Recentemente, Yoon e Bennett (2000) hanno valutato gli effetti di un
accoppiamento stimolo-stimolo (pairing) in 4 bambini prescolari con un
grave ritardo del linguaggio. I partecipanti non avevano abilità oro-motorie
e di imitazione vocale. Nel loro esperimento, gli autori hanno associato il
suono target con un rinforzatore circa 36 volte durante una sessione di 3
minuti. Tutti i partecipanti hanno manifestato un aumento nella frequenza
del suono target dopo il pairing. Anche lo studio di Miguel, Carr e Michael
(2002) conferma che un rinforzatore automatico può essere utilizzato per
aumentare il comportamento vocale dei bambini.
Nella pratica quotidiana, l’operatore dovrebbe cogliere ogni opportunità
per associare vocalizzazioni con lo stimolo preferito. Se la conseguenza di
queste vocalizzazioni consiste nell’ottenere un oggetto, un’attività rinforzante,
ci si aspetta che le vocalizzazioni aumentino (Sundberg e Partington, 1998).
Tale procedura è indicata per bambini che non possiedono un repertorio
ecoico.
Paradigma del linguaggio naturale
Il Natural Language Paradigm (NLP) è stato sviluppato da Koegel, Koegel
e Surrat (1992). Nel NLP si parte dall’assunto che la componente più importante dell’insegnamento naturalistico sia la motivazione di chi apprende:
è lo studente a scegliere il rinforzatore e l’attività in cui verrà effettuato il
training sul linguaggio. Durante il training le contingenze di rinforzo sono
ritrovate nell’ambiente naturale e le risposte verbali sono rinforzate dall’accesso a uno stimolo pertinente all’attività. L’insegnamento naturalistico è
incorporato nelle attività quotidiane piacevoli per il bambino. L’insegnamento
220
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
inizia spesso con una valutazione delle preferenze in modo che l’operatore
verifichi che gli item utilizzati per raggiungere la risposta corretta abbiano
veramente valore di rinforzatori. Di seguito viene presentata una task analysis
per una corretta valutazione delle preferenze:
1.l’operatore siede di fronte al bambino con un set di item preferiti dal
bambino ma irraggiungibili;
2.mettere 3 item di fronte al bambino;
3.chiedere al bambino di sceglierne uno;
4.il bambino può prenderlo, indicarlo o nominarlo;
5.rimuovere gli item che non ha scelto;
6.ripetere i punti 1-5 per stabilire una serie di potenziali rinforzatori da
usare durante la sessione;
7.effettuare una sessione di insegnamento con gli item scelti.
Una volta che il rinforzatore è stato identificato, l’item viene messo davanti
al bambino e si inizia l’insegnamento dei vari obiettivi nel momento in cui
il bambino si avvicina all’item. L’operatore crea attività divertenti con l’item
scelto e nel frattempo modella risposte vocali legate all’attività appropriate
al contesto. Ad esempio, se durante la valutazione delle preferenze è stata
scelta una bambola e la bambina si avvicina ad essa per giocarci, l’operatore
può avvicinarsi alla bambola e far in modo che la bambina dia da mangiare
alla bambola dicendo «la bambola mangia».
Charlop-Christy, LeBlanc e Carpenter (1999) raccomandano che ogni
risposta vocale che segue la consegna dell’item preferito sia rinforzata con
un elogio verbale e l’accesso all’item. Nell’esempio precedente, se la bambina
non risponde vocalmente, l’operatore potrebbe aiutarla fisicamente a giocare
con la bambola per aumentare la sua motivazione a rispondere. L’operatore
funge da modello per insegnare nuove risposte vocali adeguate al contesto
(ad esempio «la bambola dorme»). È importante prevenire la saturazione
di un particolare item perché il bambino deve essere sempre motivato a
rispondere. Per questo motivo la valutazione dei rinforzatori deve essere
riproposta frequentemente durante una sessione di insegnamento (CharlopChristy, LeBlanc e Carpenter, 1999).
I vantaggi di un insegnamento naturalistico sono vari:
1.L’apprendimento è più divertente rispetto all’insegnamento del linguaggio con il discrete trial teaching, che spesso è condotto in setting
asettici con l’utilizzo di rinforzatori non attinenti al contesto.
2.Generalizzazione e mantenimento sono insiti nell’insegnamento
naturalistico, in quanto l’insegnamento avviene durante le attività
quotidiane e il rinforzo viene trovato nell’ambiente naturale (Koegel,
Camarata, Valdez-Menchaca e Koegel, 1998).
3.Quando le condizioni di insegnamento sono più «rilassate» e le
contingenze di rinforzo sono nell’ambiente naturale il bambino non
sperimenta fallimento ma è motivato ad apprendere (Koegel e Mentis,
1985).
221
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Incidental Teaching o Natural Environmental Teaching
Come il NLP, l’Incidental Teaching o Natural Environmental Teaching
si basa sull’insegnamento in contesti naturali, preparando il setting in
cui avviene l’insegnamento in modo che contenga un certo numero di
stimoli che interessino chi apprende. L’operatore prima prepara gli oggetti per i quali il bambino inizia un’interazione verbale, poi aspetta che
il bambino cominci a interagire con gli oggetti nell’ambiente e modella
un linguaggio più elaborato (Fenske, Krantz e McClannahan, 2001).
Il rinforzatore non solo è scelto dal bambino, ma è anche l’oggetto su
cui viene costruito l’insegnamento (McGee, Krantz e McClannahan,
1985). In questo modo le interazioni vocali hanno luogo naturalmente, il
bambino è contento di ricevere l’oggetto di cui ha appena fatto richiesta
piuttosto che ricevere un oggetto non correlato al contesto (MirandaLinné e Melin, 1992).
L’insegnamento incidentale inizia quando il bambino comincia a richiedere
verbalmente o testualmente un oggetto nell’ambiente oppure l’attenzione
dell’operatore. L’operatore utilizza il prompting per aiutare il bambino ad
approssimare una più elaborata risposta vocale. Ad esempio, il bambino sta
guardando la palla e l’operatore cerca di fargli dire attraverso un prompt
ecoico: «Palla». Dopo che il bambino ha imparato a rispondere correttamente, l’operatore aiuta il bambino a modellare una risposta più elaborata
come «Io voglio la palla». L’elogio verbale e l’accesso all’item richiesto sono
contingenti alla risposta più accurata. Se nell’ambiente ci sono molti oggetti
interessanti per il bambino, quest’ultimo è motivato a fare richieste: in questo
modo si creano molte opportunità di apprendimento.
Di seguito vengono riportati esempi di Incidental Teaching:
1.Mentre si trova in cucina, il bambino può avere un bicchiere del suo
succo di frutta preferito:
• dare al bambino un bicchiere vuoto e mettere una bottiglia di succo
davanti al bambino in modo che non possa prenderlo;
• aspettare che il bambino faccia una richiesta anche indicando il
succo;
• fornire prompt affinché il bambino richieda il succo secondo le
sue abilità (ad esempio, l’operatore fornisce il suo prompt ecoico:
«Su»);
• appena emette il suono consegnare il succo e rinforzare verbalmente.
2. Mentre si trova in salotto con la TV spenta:
• aspettare che il bambino richieda di accendere la TV (ad esempio:
«Voglio la TV»);
• modellare una risposta progressivamente più elaborata fino ad
arrivare, ad esempio, a «Voglio vedere la tv, per favore»;
• appena risponde correttamente accendere la TV sul suo canale
preferito ed elogiare.
222
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
3. Mentre il bambino sta giocando a palla con l’operatore:
• aspettare che il bambino richieda la palla (ad esempio: «Palla»);
• modellare una risposta progressivamente più elaborata fino ad
arrivare, ad esempio, a: «Sì, lanciami la palla, per favore»;
• appena richiede nel modo corretto lanciare subito la palla ed elogiare.
Miranda-Linné e Melin (1992) hanno replicato l’esperimento effettuato
da McGee nel 1985 in cui si confrontavano il DTT e l’Incidental Teaching
nell’insegnamento dei colori. La generalizzazione di nuovi colori è stata valutata dai genitori a casa durante il gioco libero. Sia il DTT sia l’Incidental
Teaching hanno prodotto un sostanziale aumento nell’utilizzo dei colori nel
linguaggio. Nel DTT l’apprendimento è stato più rapido, ma nel follow-up
le risposte corrette sono diminuite e il mantenimento è stato più alto per
gli aggettivi insegnati con l’Incidental Teaching.
Recentemente, Charlop-Christy e Carpenter (2000) hanno comparato gli
effetti di una procedura di insegnamento incidentale modificata, l’insegnamento incidentale tradizionale e il DTT. Non solo la procedura modificata
di Incidental Teaching ha prodotto un più rapido apprendimento ma la
generalizzazione in setting diversi ha mostrato risultati migliori. L’Incidental
Teaching può essere facilmente modificato in modo che l’operatore crei più
opportunità possibili di apprendimento.
Comunicazione aumentativa alternativa
Insieme al mand training vocale, sono stati sviluppati approcci per
insegnare una comunicazione aumentativa alternativa per fornire un sistema di comunicazione anche a coloro che non hanno ancora sviluppato il
linguaggio vocale. Le due forme di comunicazione aumentativa alternativa
più utilizzate sono il Picture Exchange Communication System (PECS) e il
linguaggio dei segni.
Picture Exchange Communication System (PECS)
Nel PECS (Bondy e Frost, 1994; Frost e Bondy, 2002) si insegna a
comunicare consegnando un’immagine di ciò che si desidera al partner
comunicativo in cambio dell’item che si richiede con l’immagine. La topografia della risposta nel PECS consiste nel consegnare l’immagine per
ottenere ciò che si desidera ma la funzione è la stessa della comunicazione
vocale. Il protocollo del PECS si basa su principi comportamentali come il
prompting, il fading, il transfer dello stimulus control, il rinforzamento e
la generalizzazione (Frost e Bondy, 2002).
Tra il 2000 e il 2006, sono stati pubblicati 7 studi con un totale di 50
partecipanti (Chambers e Rehfeldt, 2003; Charlop-Christy, Carpenter, LeBlanc e Kellet, 2002; Ganz e Simpson, 2004; Kravits, Kamps, Kemmerer e
223
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
Potucek, 2002; Magiati e Howlin, 2003; Tincani, 2004; Tincani, Crozier e
Alazetta, 2006) che hanno evidenziato l’efficacia del PECS nell’insegnamento
dei mand in bambini con autismo. In ognuno di questi studi il PECS ha
aumentato il livello dei mand indipendenti dei partecipanti allo studio.
Linguaggio dei segni
Il linguaggio dei segni ha la stessa funzione del PECS ai fini aumentativi,
ma ha una topografia diversa in quanto si basa sull’utilizzo dei gesti con
le mani. Alcuni studi mostrano che i segni sono una modalità efficace per
insegnare agli individui non vocali a comunicare (Barrera, Lobato-Barrera e
Sulzer-Azaroff, 1980, Sundberg e Sundberg, 1990). Più recentemente studi
comparativi delle due modalità hanno evidenziato risultati misti (Tincani,
2004): tali risultati suggeriscono che la decisione di insegnare una delle
due modalità dipende dalle caratteristiche individuali e dai prerequisiti
per l’apprendimento. Ad esempio, è consigliabile la presenza delle abilità
di imitazione motoria per facilitare una più rapida acquisizione dei segni
(Tincani, 2004).
Qualche conclusione (provvisoria)
Nella tabella 7 vengono messe in evidenza le differenze tra l’insegnamento
strutturato e l’insegnamento in ambiente naturale.
È difficile dare una visione esaustiva dell’insieme di interventi, tecniche,
metodologie, ecc., che sono generalmente raggruppati sotto il termine ABA.
Il rischio è quello di fare un «libro di ricette», il che l’ABA non è, sebbene
venga spesso misrappresentata in questo modo.3 Una linea di sviluppo emerge
in ogni caso in modo netto, e consiste nel passaggio da interventi più strutturati a interventi più «ecologici», cioè basati su processi naturali e applicati
in contesti naturali. Questo anche a costo di rinunciare a un po’ di efficacia
immediata in cambio di un mantenimento e di una generalizzazione più
ampi e duraturi. Del resto è proprio questo lo spirito dell’analisi del comportamento, intesa come analisi naturalistica delle interazioni umane, non
come mera applicazione di una tecnica, per quanto efficace essa risulti.
A questo proposito ci permettiamo un ultimo commento, forti della ultratrentennale esperienza e presenza nel campo di uno degli autori
di questo articolo. Dopo anni di forte ostilità nei confronti dell’analisi
comportamentale, si assiste ora a un fenomeno opposto (tipico del trasformismo italiano): persone che l’hanno sempre osteggiata che improvvisamente
Vi sono molte misrappresentazioni dell’analisi del comportamento. Trattarle in questo articolo ci
avrebbe portato troppo fuori dal core business dell’argomento. Ci ripromettiamo di affrontarle e
discuterle in un articolo successivo.
3
224
P. Moderato e C. Copelli – L’analisi comportamentale applicata
Tabella 7
Comparazione tra l’insegnamento strutturato e l’insegnamento
in ambiente naturale
Insegnamento intensivo
strutturato
Insegnamento in
ambiente naturale
Stimolo
Scelto dall’operatore.
Le prove vengono ripetute
fino al raggiungimento del
criterio di correttezza.
Indipendente dalla funzionalità in ambiente naturale.
Scelto dal bambino.
Le prove vengono ripetute
finché permane la motivazione del bambino.
È funzionale al contesto.
Interazione
L’operatore mostra lo stimolo ma non è funzionale
all’interazione.
Operatore e bambino
interagi­scono con lo stesso
stimolo.
Risposta
Viene rinforzata la risposta
corretta o una sua approssimazione.
Anche i tentativi di in­ter­
azio­­ne vocale ricevono il
rinforzo.
Conseguenza
Non è specifica all’interazione. Per lo più sono
commestibili e sociali.
Contingenze naturali del
rinforzo associati (poter
giocare con l’attività) al
rinforzo sociale.
si autoproclamano esperti, talvolta (ma anche no) dopo aver partecipato a
due giornate di informazione superficiale, dichiarando «ma io l’ho sempre
fatta l’ABA». Evidentemente questi personaggi non hanno capito nulla
della complessità della materia: ma il problema principale è un altro, i gravi
danni che possono derivare ai bambini da un’applicazione sconsiderata e
incolta. Una metafora finale può aiutare a capire meglio. In un’autofficina,
insegnare a un giovane apprendista a cambiare le candele di una macchina
non è molto difficile, basta un po’ di forza unita a un po’ di delicatezza. Va
tutto bene se il tecnico dà all’apprendista il tipo giusto di candele per quel
motore, perché se invece il giovane, credendo di avere già imparato, fa di
testa sua mettendo quelle sbagliate, 5 euro di candele possono provocare
5000 euro di danni al motore.
Bisogna infine ricordare che, essendo questi interventi direttamente
derivati dalla ricerca di base, sono soggetti a continui progressi ed evoluzione. L’analisi del comportamento, in quanto sistema teorico che aderisce
al metodo delle scienze naturali, è un sistema aperto, cioè sottoposto alla
prassi scientifica della ricerca e del protocollo. La ricerca scientifica ha un
grande pregio: è autocorreggente. Si può cercare di imbrogliare (gli esempi
sarebbero molti, ma limitiamoci all’ultimo caso: quello della ricerca truccata
225
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Vol. 8, n. 2, maggio 2010
sulla tossicità dei vaccini) ma alla fine l’imbroglio si scopre e, almeno in
questo campo, la verità emerge.
Summary
This article is the second part of a review dedicated to applied behaviour analysis
and addresses the procedural applications of behaviour analysis. Firstly, for this
purpose, the important distinction among experimental procedures (paradigms),
natural processes, principles (or general laws) and application procedures needs
to be traced, since this distinction is frequently a cause of conceptual confusion.
After briefly analysing the behaviour analysis paradigms, the various principles
which have been «distilled» from this research work and that form the basis of
the individual learning processes are discussed: reinforcement, generalisation,
discrimination, extinction, etc. Behaviour can only be influenced if the basic
behaviour analysis principles are well-known, these, in turn, translate into
individualised application procedures to strengthen and change given behaviour. A line of development is highlighted that consists in switching from more
structured approaches to more «ecologic» approaches, namely.
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