Mediolanum: i fasti della capitale imperiale La storia e il nome stesso di Milano si legano da millenni a una posizione geografica molto favorevole, nel cuore di una pianura fertile e ben irrigata. Nel IV secolo avanti Cristo si stabilisce qui un insediamento di genti celtiche: a partire dal 222 avanti Cristo, quando i romani dilagano a nord del Po, il villaggio prende il nome di Mediolanum (“in mezzo alla pianura”), e progressivamente si trasforma in una cittadina di impianto urbanistico regolare e dalla sempre più positiva vita economica. L’affermazione di Milano come protagonista della storia e dell’arte occidentale avviene alle soglie del IV secolo d.C., quando l’imperatore Massimiano sceglie Mediolanum come residenza personale e sede imperiale romana (anno 286 dopo Cristo). L’infilata delle colonne corinzie davanti alla basilica di San Lorenzo è il più significativo resto della città imperiale, ma non mancano altri frammenti di sontuosi edifici. Notevole è la torre poligonale che anticamente faceva parte del Circo, e oggi inglobata nel rinnovato e gradevole percorso del Museo Archeologico. L’editto emanato a Milano dall’imperatore Costantino nell’anno 313 conferisce piena legittimità al culto cristiano. L’edificio paleocristiano più spettacolare di Milano è la basilica di San Lorenzo Maggiore. Anticamente collegata al palazzo imperiale, la splendida chiesa a pianta centrale, circondata da una raggiera di cappelle (fra cui quella di Sant’Aquilino, decorata con meravigliosi mosaici), servirà da modello per le successive basiliche di San Vitale a Ravenna e di Santa Sofia a Costantinopoli, e poi ancora per la Cappella Palatina eretta da Carlo Magno ad Aquisgrana. La produzione artistica milanese si giova della contemporanea presenza della esigente e sofisticata corte imperiale da un lato, e dall’altro di una crescente comunità di cristiani, raccolti intorno alla figura di sant’Ambrogio. Nella suggestiva area di scavi che si sviluppa sotto il sagrato del Duomo si riconosce il battistero fondato da sant’Ambrogio e da lui utilizzato nell’anno 387 per battezzare sant’Agostino. Ambrogio, proclamato Dottore della Chiesa e divenuto patrono di Milano, rimane attraverso i secoli il costante riferimento storico, morale, politico e spirituale per la città: va ricordato anche per la sua attività di animatore culturale, di poeta e musicista, di committente di opere di arte e di innovativi complessi di architettura. Le basiliche fondate nel IV secolo da sant’Ambrogio, successivamente ristrutturate e ampliate, hanno un aspetto prevalentemente romanico: tuttavia, le affascinanti chiese di San Simpliciano e San Nazaro presentano consistenti parti delle strutture paleocristiane, mentre all’interno della basilica di Sant’Ambrogio rimane incastonato un gioiello, la cappella di San Vittore in ciel d’oro, rivestita da mosaici giustamente celebri. A fronte di un contesto generale di progressiva difficoltà dell’arte classica, la produzione artistica milanese del IV secolo appare addirittura stupefacente. Nonostante la lontananza da cave di marmo statuario pregiato, la scultura tardoantica propone significativi capolavori, come il grandioso sarcofago “a porte di città”, utilizzato in età romanica come base per il pulpito della basilica di Sant’Ambrogio e il rarissimo ritratto dell’imperatrice bizantina Teodora (Museo del Castello Sforzesco). L’aspetto più importante della produzione artistica milanese resta la lavorazione di oggetti preziosi. Nel Tesoro del Duomo, nei Musei del Castello Sforzesco e nella vicina Monza sono conservati diversi esempi di “dittici” in avorio del IVV secolo, le coppie di placchette rettangolari utilizzate come legature per testi, finemente intagliate con vari temi: ritratti, scene allegoriche, cerimonie imperiali, ma anche scene della nuova religione cristiana. Il Medioevo e l’età romanica Lo spostamento della sede imperiale a Ravenna (anno 402), il definitivo crollo dell’impero romano (476) e le successive ondate delle cosiddette “invasioni barbariche” creano nuovi assetti politici, amministrativi e sociali: Milano perde importanza rispetto ad altre città vicine e la produzione artistica conosce una pausa relativamente lunga. Dal V al VII secolo anche Milano conosce la decadenza. Devastata e saccheggiata ripetutamente dai barbari, perde il rango di città principale della pianura padana: i re longobardi stabiliscono la capitale a Pavia, e altri centri vicini, come Monza e Brescia, crescono d’importanza. Persino i vescovi lasciano Milano, preferendo rimanere in esilio a Genova piuttosto che sottostare agli “eretici” Longobardi. Dell’epoca restano tuttavia interessanti oggetti preziosi in una apposita sezione del Museo Archeologico, mentre nei Musei del Castello Sforzesco sono conservati frammenti architettonici e sculture decorative. La ripresa si avvia nell’età carolingia. Un simbolo sfolgorante è l’altare maggiore della basilica di Sant’Ambrogio, realizzato intorno all’anno 835 dall’orafo Vuolvinio: rivestito sui quattro lati da lastre in lamina d’oro e di argento dorato sbalzate, con inserti di smalti e pietre dure, è uno dei capolavori assoluti dell’oreficeria medievale europea, davvero uno dei tesori artistici più straordinari della città. Milano si conferma inoltre una delle “capitali” nella lavorazione dell’avorio, con placche destinate anche alla corte imperiale, mentre la combinazione fra oro, gemme, smalti (già caratteristica delle oreficerie dell’età barbarica) raggiunge gradi di inarrivabile raffinatezza nelle coperture di evangelari, come quello dell’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, conservato nel tesoro del Duomo. Ariberto d’Intimano, committente anche di un intenso Crocifisso in lamina bronzea conservato nel Museo del Duomo, è il personaggio storico che indirizza la storia di Milano come libero Comune medievale, punto di riferimento per le città della pianura padana, sempre più indipendente rispetto al controllo dell’imperatore germanico. Milano è uno dei principali centri di sviluppo e dello stile romanico, che caratterizza l’architettura tra l’XI e il XIV secolo, determinando alcuni modelli (come la facciata “a capanna” o lo sviluppo in larghezza delle chiese) che verranno mantenuti anche negli stili successivi. A partire dall’XI secolo, utilizzando come materiale di costruzione il caratteristico mattone dal colore rosso intenso, alternato al grigio della pietra, vengono rinnovate le grandi basiliche: le già citate San Nazaro e San Simpliciano, la grande e ricca Sant’Eustorgio, legata al culto delle reliquie dei re Magi, la raffinata San Celso e soprattutto Sant’Ambrogio, preceduta da un robusto porticato che forma quasi una piazza. La basilica del patrono è il principale modello del romanico lombardo, con l’inconfondibile facciata “a capanna”, affiancata da due campanili, e l’interno a tre navate caratterizzato da forti pilastri a forma di croce che scandiscono solenni arcate sovrastate dalle logge del matroneo. Il ritmo solenne dell’architettura riprende la memoria delle costruzioni romane: frammenti architettonici antichi vengono simbolicamente reimpiegati, a cominciare dalle quattro colonne di porfido rosso che sostengono il baldacchino sull’altar maggiore. Lo stile robusto, corposo e concreto dell’età romanica si esprime soprattutto nella ricostruzione delle antiche basiliche paleocristiane fondate da sant’Ambrogio, alle quali si aggiungono altre importanti chiese e più in generale in una rinnovata energia nelle più diverse creazioni artistiche, dai grandi cicli di affreschi fino alle pagine miniate dei codici. La forza espressiva e la capacità di proporre intense sintesi figurative dello stile romanico si manifesta inoltre efficacemente nella scultura in pietra. Il libero Comune Nel corso del XII secolo Milano, ormai tornata a essere una delle città più popolose e attive d’Europa e si propone come punto di riferimento socioeconomico per buona parte dell’Italia settentrionale. Fulcro architettonico della vita civile della città era il Broletto, il Palazzo della Ragione, eretto al centro di Piazza Mercanti: uno scenario che forma tuttora l’ultimo angolo urbanistico medievale nel cuore della città. Il Comune rivendica una sempre maggiore autonomia rispetto all’impero germanico: ne nasce un periodo di guerre, che vede in un primo tempo Milano assediata e sconfitta dall’imperatore Federico Barbarossa, ma in seguito vittoriosa in campo aperto, alla testa delle città lombarde, nella epica battaglia di Legnano (1176). Le lotte contro il Barbarossa sono evocate dai bassorilievi romanici che un tempo ornavano Porta Romana e oggi si ammirano nei Musei del castello Sforzesco Da questo momento, prima come “libero comune”, e poi come capitale di un ambizioso ducato, Milano conoscerà più di tre secoli di autonomia politica e di fioritura architettonica e artistica. Una importante testimonianza letteraria sull’aspetto, le caratteristiche sociali e l’economia della città medievale è lo scritto di Bonvesin de la Riva, un frate vissuto nel XIII secolo, che ha lasciato un’ampia e vivace descrizione delle “Meraviglie di Milano”. Nella fertile campagna circostante la città, tra il XII e il XIV secolo prende corpo una corona di abbazie, create da diversi ordini monastici: le più vicine alla città sono la splendida Chiaravalle, esemplare e ben conservato complesso cistercense, sormontata dalla inconfondibile torre a più piano; non lontano è Viboldone, la cui chiesa conserva importantissimi affreschi trecenteschi. Un tempo fattoria –modello dell’ordine degli Umiliati è la poetica Mirasole, mentre la certosa di Garegnano, a nord dellla città, è stata quasi interamente ristrutturata e decorata nel tardo Rinascimento. Un po’ più lontano, nella campagna, è l’intatta abbazia di Morimondo, sempre legata all’ordine cistercense. La signoria dei Visconti: nasce il Duomo Nell’anno 1277, sconfiggendo in una battaglia la famiglia rivale dei Torriani, i Visconti si affermano come signori di Milano. Grazie alle abili mosse politicomilitari e alla rete di alleanze stretta grazie a ben studiati legami matrimoniali con altre casate italiane ed europee, i Visconti fanno di Milano la capitale di uno Stato ricco e invidiato. Trionfa lo stile gotico, che era stato introdotto a Milano dai cistercensi. I Visconti stabiliscono la loro residenza in pieno centro della città, nel grande palazzo chiamato “Corte Vecchia”: più volte trasformato nel corso dei secoli, è l’attuale Palazzo Reale. Qualche resto della costruzione gotica si riconosce tuttora all’esterno, sul retro, dove spicca il bellissimo campanile ottagonale della cappella di San Gottardo in Corte. Azzone Visconti, intorno al 1330, promuove il dialogo tra la cultura artistica milanese e quella toscana. La pittura milanese del Trecento mostra la ripresa dei modelli giotteschi in vari cicli affreschi religiosi (Crocifissione nella chiesa di San Gottardo, affreschi nell’abbazia di Viboldone), la scultura registra l’interessantissimo incontro fra il pisano Giovanni di Balduccio e la vivace scuola locale dei lapicidi originari dei laghi di Lugano e di Como, tra i quali emergono i Maestri Campionesi. Dalla collaborazione tra lo scultore toscano e la tradizione lombarda scaturisce un capolavoro emozionante come l’Arca di San Pietro Martire, grandioso sarcofago marmoreo conservato nella Cappella Portinari, dietro la basilica di Sant’Eustorgio. Sempre alla stessa équipe risale un significativo intervento di arredo urbano, la realizzazione dei tabernacoli gotici con gruppi di statue anticamente sulle porte della città. Ritorna il tema antico, risalente ai tempi di Ambrogio, di Milano come città “santa”: ogni ingresso veniva “consacrato” dalla presenza della Madonna col Bambino, affiancata sempre da sant’Ambrogio, in atto di donarle simbolicamente la città di Milano, e da una piccola corte formata da angeli e da altri santi. Il più importante tra i Maestri Campionesi, Bonino da Campione è l’autore dell’imponente Mausoleo di Bernabò Visconti, oggi nel Castello Sforzesco. La presenza a Milano del grande poeta e bibliofilo Francesco Petrarca stimola presso la corte viscontea il gusto per la collezione e la commissione di libri, spesso preziosamente decorati con miniature. L’illustrazione dei codici più diversi, dai libri sacri ai registri sociali, dai romanzi cavallereschi agli statuti di enti e associazioni, diventa una precisa gloria dell’arte milanese, che nonostante la dispersione dell’eccezionale biblioteca ducale è tuttora ben documentata in diverse raccolte storiche della città, fra le quali spicca per importanza la Biblioteca Trivulziana, all’interno del castello Sforzesco. Il vero grande segno lasciato dai Visconti a Milano resta tuttavia la fondazione del Duomo. Monumento davvero unico nel panorama del gotico europeo, la nuova cattedrale nasce per volere del duca Gian Galeazzo Visconti, ed è la diretta espressione del respiro internazionale assunto dallo Stato milanese. Il cantiere del Duomo, aperto nel 1386, comprende architetti e maestranze di diverse nazioni, impegnati nella realizzazione di una “regia” unificante per un edificio impostato per diventare una delle più grandi chiese della cristianità. Chiaramente distinto dal contesto cittadino grazie all’uso esclusivo di un prezioso marmo grigio-rosa proveniente dal Lago Maggiore e trasportato fino a Milano lungo la rete di fiumi e navigli, il Duomo prende avvio dalla parte absidale, e a poco a poco “assorbe” precedenti chiese più antiche: durante l’epoca ducale viene completata la parte principale, con il coro, il deambulatorio, l’altissimo tiburio ottagonale, le due sacrestie e i transetti. Nei secoli successivi verranno via via realizzate le navate e, all’esterno, la foresta di guglie che è oggi l’aspetto più caratteristico. L’immensa “fabbrica” troverà conclusione solo nel XIX secolo, con il completamento della facciata, pur mantenendo sempre fedelmente le linee gotiche. Gli Sforza e il primo Rinascimento Dopo l’apogeo toccato con Gian Galeazzo Visconti (morto nel 1402) la signoria dei Visconti decade: la Serenissima Repubblica di Venezia strappa al ducato di Milano i territori di Bergamo e di Brescia. L’ultimo duca Visconti, Filippo Maria, muore nel 1447, senza eredi maschi. Dopo un periodo di controversie, la dinastia ducale riprende con Francesco Sforza, il condottiero che aveva sposato Bianca Maria Visconti. Sotto la guida degli Sforza, il ducato di Milano si afferma come uno Stato ricco e in piena espansione, forte di una rete commerciale estesa in tutta Europa, e anche come un esuberante laboratorio di idee nuove di urbanistica, architettura e arte. Francesco Sforza, capostipite della nuova dinastia, entra a Milano nell’anno 1450. Partendo dal gusto ricco e sontuoso della tradizione tardo-gotica, la cultura artistica della corte milanese avvia una rapida e impressionante politica di rinnovamento della città, coinvolgendo architetti e artisti di varie parti d’Italia. Il volto di Milano cambia velocemente, grazie a una serie di edifici monumentali, fra i quali spicca il meraviglioso Ospedale (“Cà Granda”) espressamente voluto dal duca e realizzato da Filarete, e allo sviluppo di piani urbanistici innovativi. Fra le chiese della prima età sforzesco vanno ricordate San Pietro in Gessate, ricca di notevoli affreschi quattrocenteschi, Santa Maria del Carmine nei pressi del Castello e la singolare Santa Maria Incoronata, composta da due corpi di fabbrica, nel cui complesso conventuale si conserva un autentico gioiello umanistico, la biblioteca degli Agostiniani. Il massimo simbolo della potenza milanese è senza dubbio il Castello Sforzesco, baluardo difensivo e insieme raffinata reggia rinascimentale. Sorto come edificio militare e sede di uffici amministrativi, viene trasformato da Galeazzo Maria Sforza (figlio di Francesco Sforza, duca dal 1466 al 1476) in una residenza sontuosa. Lasciata la Corte Vecchia, il duca si stabilisce nel Castello, di cui un’intera ala assume forme eleganti e riccamente decorate con sculture e affreschi. Vanitoso e impopolare, amante più della musica che delle arti figurative, il duca Galeazzo Maria Sforza cade vittima di un attentato, organizzato da un gruppo di nobili: suo figlio Gian Galeazzo è ancora un bambino, e il potere viene di fatto conquistato da Ludovico il Moro, fratello minore di Galeazzo Maria. In questo periodo l’arte lombarda propone uno dei più importanti protagonisti: Vincenzo Foppa, il primo pittore capace di introdurre coerentemente nell’ambiente milanese i concetti della prospettiva, della cultura umanistica, del recupero dei modelli classici. Pur senza mai perdere il contatto con la realtà, testimoniato con sommessa e toccante poesia da opere come la Madonna col Bambino del castello Sforzesco, Foppa concepisce anche grandiosi cicli di affreschi, in cui dimostra un pieno aggiornamento culturale. ne è un eccellente esempio l’arco trionfale classico in cui viene inserita la Madonna della Pinacoteca di Brera. Il capolavoro di Foppa sono gli affreschi che ornano la Cappella Portinari (1468). Il Cenacolo e le altre opere di Leonardo a Milano L’episodio che caratterizza l’arte del Rinascimento a Milano è l’arrivo di Leonardo da Vinci alla corte del duca Ludovico Maria Sforza, soprannominato “il Moro”. Gli ultimi vent’anni del Quattriocenti, caratterizzati dalle inizative di Ludovico il Moro, segnano l’apogeo della signoria sforzesca. Per offrire una immagine architettonica nuova della città Ludovico il Moro immagina progetti grandiosi e si affidasoprattutto a Bramante, che realizza capolavori assoluti come la grandiosa tribuna di Santa Maria delle Grazie e il prodigioso interno di San Satiro, la chiesetta a due passi dal Duomo che assume proporzioni monumentali grazie all’illusionismo prospettico qui sperimentato dall’architetto urbinate. Bramante è anche l’autore della “ponticella”, il loggiato sul fossato del Castello in cui erano ricavate le sale private del duca. Nonostante le numerose iniziative architettoniche e artistiche “moderne”, lo suo stile della élite politica era ancora legato al gusto e allo sfarzo di una festosa corte gotica, imperniata sulla celebrazione della figura del duca. Parte integrante della vita di corte era la presenza di un artista attivo a tempo pieno per fornire al duca, alla sua famiglia e alla ristretta cerchia dei cortigiani una cornice di feste, decorazioni, costumi, arredi, affreschi, ritratti, e oggetti destinati ad allietare i più diversi momenti della vita aristocratica. Nel 1482, quando lascia la Firenze di Lorenzo il Magnifico per la corte milanese Leonardo è un giovane artista di trent’anni . Si presenta al duca con una lettera in cui elenca le proprie doti di inventore, ingegnere, tecnico militare e, “in tempo di pace”, grande artista. Milano e la Lombardia diventano la seconda patria del genio toscano, che qui trascorre due lunghi periodi di permanenza (1492-99; 1506-13), per un totale di venticinque anni. Leonardo trova un ambiente culturale vivace, un territorio e una meteorologia mutevoli e interessanti, libri e mezzi più avanzati per allargare la propria dimensione di uomo “universale”, capace di interpretare i segreti della natura nell’unione armonica tra scienza e pittura. Milano ha avuto il privilegio di accogliere Leonardo, ma anche la prontezza di comprenderne la grandezza e di sostenerne l’attività. Collegato al Castello Sforzesco da un passaggio sotterraneo, il convento domenicano di Santa Maria delle Grazie è uno dei più importanti complessi quattrocenteschi a Milano. Iniziato nel 1460, è stato ampliato e rinnovato a partire dal 1490, per volere di Ludovico il Moro. Il duca voleva trasformare la chiesa nel proprio mausoleo, e ha affidato al celebre architetto Donato Bramante la costruzione del corpo absidale, sontuosamente decorato all’esterno e incentrato su un’ampia cupola. Bramante è probabilmente anche l’autore della Sagrestia, un ambiente di profonda suggestione, oggi utilizzato per l’esposizione di disegni di Leonardo pertinenti all’Ambrosiana. Intanto, importanti pittori della scuola lombarda decorano vari ambienti della chiesa e del convento. L’Ultima Cena di Leonardo, sulla parete di fondo del refettorio, si inserisce dunque nel vivo di un cantiere artistico di eccezionale qualità. L’esecuzione dell’Ultima Cena prende avvio intorno al 1494 e si conclude nel 1497. Un tempo decisamente lungo, ma che riflette la meticolosa attenzione che Leonardo poneva in ogni sua opera. Per lungo tempo, Leonardo ha studiato la composizione generale e, una per una, le singole figure. Al momento della stesura, ha sperimentato una tecnica innovativa per dipingere sul muro, evitando i tempi ristretti imposti dalla tradizionale e sicura tecnica dell’affresco, che richiede un’esecuzione rapida. Nel lavoro sulla parete, Leonardo voleva essere del tutto libero di scegliere il ritmo: poteva passare giornate intere senza toccare i pennelli oppure trascorrere ininterrottamente ore e ore sulle impalcature. Leonardo ha portato significative innovazioni nell’impostazione della scena. Per la prima volta nella storia dell’arte, tutti i tredici personaggi si trovano lungo lo stesso lato di una tavolata rettangolare. Cristo occupa il centro della composizione, e gli Apostoli sono divisi simmetricamente, in quattro gruppi di tre personaggi. L’assoluta regolarità geometrica della struttura rende ancora più animata e drammatica la violenza espressiva dei personaggi. Oltre al Cenacolo, Milano propone numerose tracce dell’attività di Leonardo. Nel Castello Sforzesco si visita la Sala delle Asse, recentemente restaurata, affrescata da Leonardo in modo da simulare un pergolato di rami e foglie. Nella storica Pinacoteca e Biblioteca Ambrosiana si trovano l’unico dipinto su tavola di Leonardo rimasto a Milano (il Ritratto di Musico) e una straordinaria serie di disegni e di scritti, in buona parte raccolti nel Codice Atlantico. Modellini e riproduzioni delle invenzioni leonardesche sono raccolti nel Museo della Scienza e della Tecnica, nella sala chiamata “galleria di Leonardo”. Nella zona dell’ippodromo è stato collocato l’enorme cavallo bronzeo, realizzato seguendo scrupolosamente i disegni di Leonardo per il monumento equestre di Francesco Sforza, rimasto incompiuto al tempo della rovinosa caduta del ducato di Ludovico il Moro con la conquista francese di Milano (1499). Trasferendosi in Francia negli ultimi anni di vita, Leonardo ha portato con sé molte opere di pittura e migliaia di fogli scritti e disegnati: hanno così lasciato Milano capolavori come la Gioconda, la Vergine delle Rocce, la Madonna con Sant’Anna, tutti al Louvre. Altri dipinti “milanesi” si sono successivamente dispersi in vari musei del mondo. Opere di pittori che si ispirano a Leonardo sono esposte in tutti i musei d’arte antica della città, ed è appunto importante soffermarsi sul ruolo di guida e di modello che Leonardo ha svolto per la scuola artistica milanese alle soglie del XVI secolo. La Milano “spagnola” e le riforme di san Carlo Borromeo Dopo i fasti della lunga e luminosa età ducale, drammaticamente conclusa con la conquista di Milano nell’anno 1500 da parte dei Francesi e l’imprigionamento di Ludovico il Moro, il Cinquecento si apre su uno scenario politico e militare molto incerto, ma anche su un’ininterrotta serie di prestigiose opere d’arte e di architettura. Il più caratteristico artista milanese del primo Cinquecento è Branmantino, autore della cappella funeraria dei Trivulzio davanti alla basilica di San Nazaro e dei cartoni per il ciclo dei dodici arazzi dei Mesi, conservati al Castello Sforzesco. Spettacolare è inoltre la chiesa di San Maurizio, già chiesa conventuale, divisa in due aule, interamente rivestita di affreschi a partire dall’inizio del XVI secolo, con ampia partecipazione di Bernardino Luini. Sullo sfondo, grandeggia sempre e comunque l’esempio di Leonardo, estremamente stimolante e dialettico per i maggiori artisti dell’area padana più allargata. Lorenzo Lotto a Bergamo, Gaudenzio Ferrari a Varallo, Correggio a Parma, il gruppo dei maestri bresciani propongono, nel giro di un paio di generazioni, il più prezioso materiale per il rinnovamento profondo delle arti figurative alla fine del Cinquecento. Di tutti questi artisti si conservano a Milano numerose importanti opere. Ritratti di Lotto sono a Brera e al Castello, due pinacoteche che ospitano anche belle tele di Correggio; Gaudenzio, oltre che a Brera, è presente in numerose chiese con affreschi e tavole. Con la definitiva vittoria dell’imperatore Carlo V, la città e lo Stato di Milano diventano una prestigiosa colonia spagnola. Il Cinquecento è stato senza dubbio un “secolo d’oro” per l’arte e l’architettura a Milano. Come avviene anche oggi, gli artefici milanesi mantengono un primato internazionale nella realizzazione di splendidi prodotti di “moda” e di “design”: la storica capacità di lavorare i metalli, la cura dei dettagli, l’abilità nel combinare soluzioni tecniche e risultati estetici fa sì che la Milano “spagnola” sia celebre in Europa per la realizzazione di armature da parata, armi raffinate, oggetti preziosi. Milano si arricchisce di un numero eccezionale di importanti edifici sacri, a cominciare da Santa Maria presso San Celso, autentico scrigno di tesori, e Santa Maria della Passione, la più grande chiesa di Milano dopo il Duomo. Il monastero degli Olivetani, con due grandi chiostri, è oggi sede del Museo della Scienza e della Tecnologia. Altri due grandi chiostri cinquecenteschi, realizzati dietro alla basilica di Sant’Ambrogio, ospitano l’Università Cattolica. La fioritura degli edifici sacri è legata all’importanza crescente della Diocesi di Milano. Sotto la guida di san Carlo, nominato arcivescovo nel maggio del 1564, Milano è l’avanguardia e il laboratorio per i nuovi modelli di arte e di devozione. Innumerevoli sono gli edifici sacri e profani sorti o radicalmente rinnovati per impulso di san Carlo: il presbiterio e il coro del Duomo trovano una nuova sistemazione, e il patrimonio architettonico della città si arricchisce di nuove chiese di grande interesse, spesso progettate da architetti celebri come Galeazzo Alessi e Pellegrino Tibaldi. La cilindrica San Sebastiano è stata eretta come ex voto civico in occasione della cessazione dela peste del 1576; San Paolo Converso è rivestita di affreschi prospettici dei fratelli Campi; San Fedele è la sontuosa e insieme severa sede dei Gesuiti; San Barnaba e Sant’Angelo sono concepite in base a nuove esigenze conventuali; Sant’Antonio Abate, edificata alla fine del Cinquecento, è stata decorata successivamente con affreschi, tele, sculture, altari. Lo stile caro a san Carlo Borromeo è riconoscibile negli edifici civili, caratterizzati da cortili interni semplici e austeri, quasi in contrapposizione all’esuberanza decorativa dei palazzi privati, come palazzo Marino, di fronte alla Scala, oggi sede del Municipio. Risale all’epoca di san Carlo anche la realizzazione del Lazzaretto fuori porta Venezia: ne resta oggi un frammento significativo, a ridosso dell’importante arteria commerciale di corso Buenos Aires. Nella pittura del secondo Cinquecento, si sviluppa il gusto per la ricerca di una verità naturale, una concreta e insieme poetica immagine della vita di tutti i giorni. Quella che è stata definita la “pittura della realtà” che trova il suo vertice nel più grande pittore nato a Milano, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Nella sua città natale restano due capolavori assoluti: il Canestro di frutta della Pinacoteca Ambrosiana e la Cena in Emmaus della Pinacoteca di Brera. Luci e ombre dell'età barocca Dopo la morte di San Carlo (1584) e il decennio di episcopato di Gaspare Visconti, alla guida della diocesi milanese si insedia nel 1595 Federico Borromeo, cugino di San Carlo e suo ideale continuatore. Tuttavia, mentre l’azione di san Carlo è riconoscibile soprattutto nella serie di edifici sacri costruiti o rimaneggiati alla fine del Cinquecento secondo lo spirito della Controriforma, l'impulso dato dal nuovo arcivescovo alle arti figurative fu fondamentale soprattutto per lo sviluppo di una autonoma scuola pittorica milanese del primo Seicento. La forma architettonica di rigorosa sobrietà ma anche di ampio respiro verrà confermata durante il XVII secolo, come dimostrano il cortile a portico e loggia che accoglie chi viene a visitare la Pinacoteca di Brera e la grandiosa corte centrale dell’Università Statale, già Ospedale Maggiore. Collezionista, cultore delle arti e trattatista, Federico divenne cardinale a soli ventitré anni (1587), occupandosi già da subito di questioni inerenti la disciplina dell'arte sacra. Decisiva fu la richiesta di un cospicuo ciclo di grandi quadri per il Duomo (1602-1604) con le Vicende della vita di san Carlo, appena beatificato, seguito poco dopo da un’analoga serie di dipinti con i miracoli del santo (1610). Questi “quadroni” vengono esposti in Duomo ogni anno in coincidenza con la festa di san Carlo, e per altre celebrazioni solenni. Per eseguire rapidamente le imponenti serie di tele, Federico Borromeo coordina un articolato gruppo di artisti, fra i quali non tardano a mettersi in luce i tre principali protagonisti di questa stagione: Giovan Battista Crespi, detto il Cerano; Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, e Giulio Cesare Procaccini. L’attività culturale del cardinale Federico Borromeo non conosceva soste. Nel 1609 apriva al pubblico la propria straordinaria biblioteca, nota come Biblioteca Ambrosiana, ancora oggi una delle più celebri raccolte di volumi e di disegni del mondo; nel 1618 era la volta della Pinacoteca Ambrosiana, il più antico museo di Milano (e certamente uno dei più antichi del mondo, ininterrottamente aperto al pubblico da quasi quattro secoli) con capolavori di Leonardo, Caravaggio, Raffaello, Tiziano e Botticelli, sistemata nello stesso edificio, e dotata di una “guida” scritta dal Borromeo in persona. L’epidemia di peste del 1630, il cui terribile svolgimento è stato reso celebre dalla descrizione offerta da Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”, segna simbolicamente la fine di un’epoca, e la chiave di una drammatica decadenza per Milano. Per Milano la peste è un colpo durissimo: la popolazione cala da 130.000 a 70.000 abitanti, e anche la vita culturale faticherà a risollevarsi. Fra le non numerose opere architettoniche del periodo va ricordata la ricca chiesa di Sant’Alessandro, movimentato edificio barocco, interamente ricoperto all’interno di affreschi. Nel 1706 Milano passa sotto l’impero austriaco. Rispetto all’epoca spagnola, la prima età austriaca è un periodo di decisa ripresa delle arti e della cultura. Al contrario dell’autoritaria e lontana burocrazia spagnola, l’amministrazione pubblica coinvolge i ceti dirigenti locali e le maggiori famiglie aristocratiche milanesi rinnovano i propri palazzi cittadini, e l’urbanistica cittadina si arricchisce di vie eleganti, costeggiate da nobili edifici e da giardini. I nomi dei fratelli Verri, di Cesare Beccaria, di Giuseppe Parini sono la punta di diamante di un movimento culturale vasto e attento ai problemi sociali, morali e umani che si riflette non solo nell’attività di rinnovamento delle leggi, ma anche nei temi affrontati dalla letteratura e dalle arti. Il processo di aggiornamento del linguaggio figurativo lombardo nel corso del Settecento porta a svincolarsi dalla solida tradizione seicentesca è innescato dalla decisiva presenza di alcuni pittori forestieri, chiamati a soddisfare le richieste della committenza locale. Si intensificano le presenze di artisti provenienti dal Veneto, fra cui il maggior protagonista della stagione rococò non solo italiana ma europea: Giambattista Tiepolo. Il periodo lombardo di Tiepolo, dal 1730 al 1740, si inserisce in un momento di maturazione stilistica dell’artista, che supera lo stile chiaroscurato della sua prima attività aprendosi a un colorismo vivace e luminoso, sorretto da un magistrale equilibrio compositivo. Capolavori del pittore veneziano sono gli affreschi del salone da ballo del palazzo Casati-Dugnani affacciato sui Giardini Pubblici in via Manin, e soprattutto la galleria di palazzo Clerici. La predilezione dei committenti e dei collezionisti milanesi verso gli artisti veneziani verrà confermata anche nei secoli successivi, come è confermato dalle belle raccolte di pittura veneta che si ammirano in vari musei cittadini, dove sono pervenuti in larga parte dopo essere state in precedenza presso privati. Tra Maria Teresa e Napoleone: l’epoca della Scala e di Brera Inaugurato nell’anno 1778, nel vivo di una splendida stagione architettonica della città, il Teatro alla Scala diventa il simbolo della cultura milanese, e lo scenario ideale per le vicende della storia. La Scala è l’edificio più celebre nell’ambito della notevole stagione architettonica e decorativa vissuta da Milano tra la seconda metà del Settecento e l’epoca di Napoleone. La Milano illuminista viene descritta con toni di ammirazione e di piacere dai viaggiatori d’Oltralpe per le continue innovazioni nei comfort domestici e cittadini, e per la vivacità della cultura nelle forme più diverse: dalle arti all’arredo, dalla moda alla scienza, dai giardini alla vita musicale (Mozart verrà a Milano per tre volte,). Milano sta mutando il proprio volto e l’aspetto urbano, proponendosi come una città moderna, in rapida evoluzione. Il rapporto tra tradizione e voglia di rinnovamento viene simboleggiato dalla realizzazione della guglia maggiore del Duomo, in cima alla quale, a oltre 110 metri di altezza, viene collocata nel 1774 la popolare statua della “Madonnina”. La politica di riformismo e di rinnovamento amministrativo di impronta illuministica adottata durante il regno dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa d’Asburgo (1740-1780) e di suo figlio Giuseppe II (1780-1790) si riflette anche nelle vicende culturali ed artistiche dello Stato di Milano: negli ultimi trent’anni del Settecento gli austriaci si avviano infatti a rimodellare il volto del capoluogo, trasformandolo in una città moderna, che riflette nelle sue forme architettoniche i mutamenti sociali ed istituzionali attuati dal governo. Regista della ridefinizione dell’antico tessuto urbanistico di Milano è Giuseppe Piermarini: nominato nel 1769 Imperial Regio Architetto, fin dalle sue prime opere imprime agli edifici milanesi e alla scenario urbano una svolta in senso neoclassico, proponendo forme pure, lineari e razionali. La Scala è appunto uno dei capolavori lasciati da Piermarini a Milano. La diffusione di un omogeneo gusto neoclassico in Lombardia è favorita dall’istituzione nel 1776 dell’Accademia di Brera, che si propone come polo formativo e di riferimento culturale per la nuova generazione di pittori, scultori e decoratori aperti ad un deciso rinnovamento di linguaggio. Nello stesso palazzo dell’Accademia trovano posto la Biblioteca, l’Osservatorio astronomico e la Società Patriottica, mentre nel giardino accanto viene costituito l’Orto Botanico: tutto ciò rientra infatti nel più ampio progetto illuminista di una formazione globale, in cui ciascuno può ricevere la preparazione adatta alla propria attività volta alla pubblica utilità. Della prestigiosa ed omogenea équipe che si raccoglie intorno al Piermarini, attiva in particolare nei due principali cantieri lombardi, il Palazzo Arciducale (poi Reale) di Milano e la Villa Reale di Monza. La recente ricomposizione degli stucchi, delle pitture, degli arredi e dei mobili di alcune sale di rappresentanza di Palazzo Reale restituisce l’immagine di un grande cantiere decorativo, autentico laboratorio di gusto neoclassico, come conferma la successiva fase napoleonica. Con l’arrivo dei francesi nel 1796, per adeguarsi al suo ruolo di capitale della Repubblica Cisalpina, poi italiana e infine del Regno d’Italia, Milano è di nuovo coinvolta in un programma di rinnovamento urbanistico. Emblematico è il progetto per il Foro Bonaparte, la vastissima piazza circolare che avrebbe dovuto aprirsi intorno al Castello Sforzesco, opportunamente rinnovato in forme neoclassiche. L’elemento più vistoso di questo progetto, realizzato solo in piccola parte, è oggi l’elegante e maestoso Arco della Pace, ricco di sculture, che fa da ingresso solenne alla città per chi proviene da nord. Nel campo della cultura pittorica la fortunata stagione del Neoclassicismo napoleonico continua il suo sviluppo, aprendosi però alle nuove tematiche legate agli eventi storici recenti che irrompono nella pittura italiana. Personalità cardine in questo processo è Andrea Appiani. Favorito da Napoleone, di cui diviene Primo pittore dal 1805, Appiani dedica gran parte della sua attività alla celebrazione delle glorie del Bonaparte, sia attraverso una serie di splendidi ritratti, sia in cicli di affreschi e di opere allegoriche. Un esempio integro e convincente dell’architettura e dell’arte neoclassica è la Villa Reale, oggi prestigiosa sede della Galleria d’Arte Moderna, delizioso edificio aperto su un giardino “all’inglese”. Legato alla figura di Appiani è anche uno degli eventi culturali più importanti dell’età napoleonica in Lombardia: la nascita della Pinacoteca di Brera, inaugurata ufficialmente il 15 agosto 1809, uno dei musei più importanti d’Europa. Dal Risorgimento alla “capitale industriale” Il rientro degli austriaci nel 1815 segna la fine di un’epoca: nel giro di pochi anni la stessa Milano che con l’Accademia di Brera aveva favorito la diffusione del gusto neoclassico si pone come fulcro del Romanticismo nazionale. Ben presto, Milano è alla testa del movimento di autonomia nazionale, che dopo decenni di battaglie si concluderà con la sospirata indipendenza e infine con l’unità d’Italia. La figura e le melodie di Giuseppe Verdi si legheranno così strettamente al contesto sociale, artistico, teatrale e politico milanese da diventare quasi la “colonna sonora” della Milano ottocentesca. Veneziano d’origine e di formazione, approdato nell’ambiente milanese nel 1820, Hayez si impone sulla scena artistica locale con la penetrante limpidezza dei suoi ritratti e con una nuova concezione della pittura di storia, già pienamente romantica, in tele che raffigurano scene e personaggi del Medioevo e del Rinascimento. Grazie al dialogo e alla reciproca influenza tra Hayez, Manzoni e Verdi, Milano è senza dubbio la capitale della cultura artistica, letteraria e musicale del tardo romanticismo italiano. Il recupero di temi tratti dalla storia non si limita alle arti figurative: il teatro, il romanzo e l’opera lirica dell’Ottocento si ispirano costantemente alle figure, agli scenari, agli episodi del passato. E’ un modo per evitare almeno in parte i rigori della censura, fattasi rigidissima sotto la dominazione austriaca, e rivela l’esigenza di recuperare motivi e stimoli di identità e di orgoglio nazionale, specie in un periodo di mortificazione. Anche la pittura di soggetto storico gioca dunque un ruolo nella lunga fase del Risorgimento, il processo politico e sociale che attraverso una travagliata serie di rivolte e di conflitti porta alla indipendenza dell’Italia dagli stranieri e alla riunificazione della nazione sotto il regno dei piemontesi Savoia. Verso la metà del secolo nell’arte entra finalmente in scena l’attualità: alcuni pittori, soprattutto lombardi e toscani, partecipano direttamente alle guerre d’indipendenza o alle imprese, presto divenute leggendarie, di Garibaldi, e l’illustrazione dei fatti contemporanei sostituisce la rievocazione di episodi remoti. Un mix di reperti e di opere d’arte è offerto dal Museo del Risorgimento, una delle più importanti raccolte di questo genere in Italia, mentre importanti opere di pittura del periodo risorgimentale si ammirano nel nuovo percorso delle Gallerie d’Italia, il museo di arte del XIX e XX secolo costituito dalle raccolte d’arte di Banca Intesa, aperto su piazza della Scala. Milano sta cambiando: con la sospirata unità d’Italia (1861) il suo ruolo, nella nuova Italia unita, non sarà di capitale politica, ma di centro dell’economia, della produzione industriale, della finanza. Naturalmente, i personaggi e i fatti del Risorgimento vengono adeguatamente celebrati: l’obelisco che ricorda le Cinque Giornate del marzo 1848 è un omaggio spettacolare all’episodio più celebre della ribellione dei milanesi contro gli austriaci, mentre la Casa di Manzoni, dopo la morte del romanziere, viene scrupolosamente mantenuta intatta e trasformata in un museo. Nuovi edifici sorgono nel centro della città, ampi quartieri popolari cominciano a estendersi fuori dalle vecchie mura; monumenti “civili”, come la splendente Galleria Vittorio Emanuele (uno dei massimi capolavori europei nelle realizzazioni in vetro e acciaio) e il vasto e sontuoso Cimitero Monumentale segnano l’evoluzione dello stile e dei materiali nel secondo Ottocento. Tra memoria e innovazione: la città dei musei L’immagine antica, vista con un tocco di nostalgia, viene affettuosamente fissata da pittori di vedute, che offrono così anche a noi la testimonianza visiva di angoli, vie e monumenti che oggi appaiono del tutto modificati. Numerose vedute della “vecchia Milano”, caratterizzata dalle presenza dei Navigli nel centro della città, sono esposte in vari musei della città, come le Gallerie d’Italia, Galleria d’Arte Moderna e il Museo di Milano La seconda metà dell’Ottocento è anche il periodo della formazione di importanti raccolte: nasce il concetto di casa-museo, un’ampia e confortevole abitazione trasformata in raffinata collezione artistica, come mostrano in modo incantevole il Poldi Pezzoli e il Bagatti Valsecchi; il Comune di Milano avvia la sistematica organizzazione di un vastissimo patrimonio artistico (dalle sculture ai dipinti alle arti applicate). L’avvio dei restauri del Castello Sforzesco, condotti brillantemente da un architetto giovane e coraggioso come Luca Beltrami, darà alle Civiche Raccolte una sede ampia e prestigiosa. Formidabile è il programma di restauro (ma forse bisognerebbe piuttosto parlare di vero e proprio rifacimento “in stile”) di numerose chiese, alla ricerca di una identità architettonica antica che successive vicende architettoniche avevano compromesso. Esempi tipici sono le chiesa di San Babila e di Sant’Eufemia, il cui aspetto barocco viene sacrificato per cercare di riscoprire una “immagine” medievale. Ancora più importanti sono gli interventi di rinnovamento urbanistico, con l’abbattimento della cerchia dei bastioni per ricavare viali di crconvallazione, con l’apertura di importanti arterie verso i nuovi quartieri industriali, e anche con notevoli soluzioni in centro, come l’armonioso complesso formato da piazza Cordusio e via Dante. Milano vanta il primato europeo nella illuminazione elettrica, e la sospirata conclusione del plurisecolare cantiere del Duomo permette finalmente di dare un nuovo assetto alla piazza principale della città, concepita come sagrato della cattedrale ma anche come platea urbana per gli avvenimenti principali della società. Il movimento artistico e letterario della “Scapigliatura” prende avvio a Milano durante gli anni ‘60 dell’Ottocento grazie al musicista e scrittore Arrigo Boito, polemico e vivace animatore della scena culturale. Grazie ai pittori “scapigliati” (Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, Federico Faruffini) la pittura lombarda del secondo Ottocento si indirizza verso quei temi della realtà quotidiana e sociale che caratterizzano il successivo movimento del Divisionismo. La necessità di una rapida riconversione dell’economia verso l’industria, il formarsi di un nuovo ceto operaio, il dualismo fra le conquiste tecnologiche e il disagio dei quartieri periferici offrono agli artisti più sensibili l’occasione per una pittura nuova, non priva di un senso di denuncia. Con artisti come Pellizza da Volpedo (autore del celebre “Quarto Stato”), Previati e Segantini, ancora una volta, Milano è il luogo dell’avanguardia, della ricerca artistica innovativa. Si diffonde l’antiaccademica tecnica del “divisionismo”, che prevede una stesura minuziosa a singole pennellate di colore, staccate una dall’altra. Il Novecento: il trionfo della borghesia milanese Rimasta fuori dalle controversie sulla scelta della capitale del nuovo Stato unitario e indipendente, Milano viene invece riconosciuta come la “capitale” dell’economia, della tecnologia e della ricerca. Il XX secolo si apre con le importanti novità nella struttura urbana, dei servizi pubblici, sociali e produttivi di una città ormai decisamente industriale e finanziaria, ma d’altra parte anche con la conferma di una sostanziale continuità di gusto e di stile con il tardo Ottocento. In pittura si afferma la stesura del colore avviata dai maestri del Divisionismo, applicata al ritratto, al paesaggio e ai temi simbolisti. Nell’architettura civile si osserva l’apertura verso la decorazione del liberty, che recupera tradizionali attività come l’uso del ferro battuto e delle ceramiche. Lo stile liberty caratterizza interi quartieri della città (la zona Magenta, le vie intorno a corso Venezia), con autentici capolavori nel campo dell’architettura civile e anche di quella religiosa, come dimostra la chiesa del Sacro Cuore (dei frati Cappuccini) in viale Piave. L’eclettismo dei rimandi culturali, dopo la sospirata conclusione “gotica” della facciata del Duomo, si riflette in ampie campagne di restauro, che coinvolgono molti dei principali monumenti della città. La solida borghesia milanese resta insomma legata all’estetica tardo-romantica: resta memorabile l’emozione suscitata nel 1901 dalla morte di Giuseppe Verdi, ritenuto pur sempre il musicista di riferimento. La grande Esposizione Universale del 1906, in coincidenza con l’apertura del traforo ferroviario del Sempione, è la vetrina di una città che si apre al secolo nuovo, e segna anche l’inizio della tradizione fieristica e di scambi commerciali per Milano. Alla fine del primo decennio del Novecento, però, questa continuità si spezza. La corrosiva libertà del letterato Filippo Tommaso Marinetti getta a Milano le basi per un movimento rivoluzionario, il Futurismo, una delle più interessanti e vivaci avanguardie artistiche e letterarie d’Europa, aperta a molti campi espressivi, fino all’utopia di una “ricostruzione futurista dell’universo”. Grazie a un artista di grandissime doti come Umberto Boccioni, la pittura futurista propone innovazioni radicali: la ricerca di un’espressione dinamica e non statica, la moltiplicazione simultanea dei punti di vista, la celebrazione della “città che sale” (ovviamente, la Milano dei nuovi quartieri e dell’impetuosa crescita urbana), l’uso spregiudicato di materiali imprevedibili, l’accostamento di stati d’animo, oggetti e figure. Pur mantenendo un dialogo a distanza con il cubismo parigino e con alcune tendenze dell’astrattismo internazionale, il Futurismo rimane un movimento spiccatamente italiano e figurativo: per periodi più o meno lunghi vi aderiscono molti dei principali pittori di inizio secolo, fra cui Carrà, Funi, Sironi e Morandi. La Prima Guerra Mondiale, grande tragedia collettiva e terribile choc per l’Europa, segna la fine del Futurismo, e anche il destino personale di alcuni dei suoi protagonisti: Boccioni, partito volontario, muore nel 1916; il geniale architetto Sant’Elia cade in trincea. Il ventennio fascista L’Italia è fra le nazioni vincitrici della prima guerra mondiale: i confini nazionali, rimodellati ai danni dell’Austria sconfitta, includono finalmente le città di Trento e Trieste, oltre a porzioni importanti dei rilievi alpini e della costa adriatica. Tuttavia, le aspirazioni nazionali restano parzialmente deluse dal trattato di pace, e il difficile ritorno a un’economia di pace provoca un grave malcontento sociale. Milano, con le sue industrie, i centri produttivi e l’attività dei giornali, è l’epicentro del disagio. Le tetri paesaggi urbani di Sironi forniscono un’immagine amara e quasi disumana di quelle stesse periferie industriali milanesi che solo pochi anni prima erano state esaltate da Boccioni come luogo del progresso e del futuro. Tra il 1919 Benito Mussolini, all’epoca direttore del giornale “Il popolo”, avvia proprio a Milano l’aggressiva politica dei “fasci”, che culminerà con la conquista del potere nel 1922 e con l’avvio di una ventennale dittatura. Fra la fine degli anni Venti e il decennio successivo il regime fascista, inizialmente poco interessato al campo artistico, rivolge la propria attenzione alla architettura, all’urbanistica, alla pittura monumentale e anche alla produzione manifatturiera basata sulla progettualità creativa, insomma al moderno design industriale. L’attenzione è concentrata su Roma, al tempo stesso capitale dello Stato e simbolo millenario di un ineguagliabile impero. Milano, d’altra parte, è incontestabilmente la città italiana più moderna e internazionale, al centro dell’area più ricca e avanzata dell’Italia, e il suo centro storico accoglie alcuni degli edifici più significativi dell’estetica monumentale fascista. L’apertura agli esiti più innovativi del razionalismo favorisce la nascita di un linguaggio aggiornato sui grandi modelli d’avanguardia ma al tempo stesso memore delle tradizioni nazionali. Promotore di un’architettura moderna, di sintesi fra essenzialità e funzionalismo, è il Gruppo 7, fondato nel 1926 da un alcuni giovani architetti, fra cui spiccano Luigi Figini, Gino Pollini e Giuseppe Terragni. Grazie alle committenze della benestante borghesia milanese, molte gradevoli abitazioni della città risalgono a questo periodo. Gli interventi più vistosi riguardano tuttavia gli edifici pubblici, spesso decorate da importanti sculture come il monumentale Arengario in piazza del Duomo (futura e adeguatissima sede per il Museo del Novecento), il gigantesco Palazzo di Giustizia e il Palazzo dei Giornali, che reca sulla facciata un vasto bassorilievo di Sironi. Un altro edificio di questo periodo, tornato di recente a svolgere un’importantissima funzione espositiva nei settori della architettura contemporanea e del design, è i palazzo della Triennale, affacciato sul verde del Parco Sempione e affiancato dalla agile struttura in acciaio della Torre Branca, opera di Giò Ponti. La pittura ufficiale rimaneva per lo più legata a modelli tradizionali e figurativi, sempre più estranei alle dinamiche internazionali. I milanesi mostravano però di apprezzare le espressione di avanguardia: nel 1934 un collezionista dona al Comune di Milano la propria eccezionale raccolta di dipinti di Boccioni e di altri futuristi, oggi nucleo fondamentale per il Museo del Novecento, aperto nel 2010 nell’edificio razionalista dell’Arengario, prospiciente piazza del Duomo. La consistente presenza di opere del XX secolo nei musei di Milano è largamente dal passaggio dal privato al pubblico di grandi collezioni (Grassi, Boschi, Jucker, Jesi, Vismara, Vitali, Gianferrari). La recente apertura del Museo del Novecento è il perno intorno al quale ruota il panorama dei musei dedicati all’arte moderna, particolarmente articolato e in costante arricchimento, tanto da configurare un vero e proprio “sistema”: comprende la ragguardevole sezione dedicata al XX secolo nella Pinacoteca di Brera, l’elegante Villa Necchi Campiglio, Casa Boschi-Di Stefano e le porzioni specializzate della galleria d’Arte Moderna (affiancate dall’attività espositiva del padiglione di Arte Contemporanea). Un capitolo a parte merita il Museo della Triennale, attivato nel 2007 all’interno dell’importante edificio realizzato nel 1931 all’interno del Parco Sempione, e dedicato soprattutto all’architettura e al design. Tra i più significativi edifici degli anni Trenta (epoca di profondi cambiamenti urbanistici nel centro di Milano, a cominciare dalla chiusura della cerchia dei Navigli, trasformata da “via d’acqua” a percorso interno di scorrimento del traffico stradale) vanno ricordati soprattutto il grandioso Palazzo di Giustizia, opera di Marcello Piacentini, e il cosiddetto Palazzo dei Giornali, in piazza Cavour, decorato da bassorilievi di Mario Sironi. In parallelo con lo sviluppo dell’architettura razionalista, semplice ed essenziale, nasce in Lombardia un movimento di pittura e scultura astratte. I lucidi metalli, materiali “industriali” utilizzati da Fausto Melotti, sono una delle più interessanti e innovative espressioni di questo periodo. Gli anni della ricostruzione e del “boom economico” L’esperienza della guerra è stata per Milano molto dura. Con la distruzione del 25% degli edifici, il centro storico è stato sconvolto dai bombardamenti: molti dei più importanti monumenti e dei maggiori musei subiscono danni ingenti, anche se il patrimonio artistico è restato praticamente intatto, essendo state prudentemente portate in ricoveri e rifugi le opere. Oltre ai casi celebri dei danni alla Scala, al Cenacolo, a Brera, alla Cà Granda e a Palazzo Reale (dove la Sala delle Cariatidi è stata lasciata allo stato di rudere, come monito degli “orrori della guerra”), una delle “vittime” è il Museo Poldi Pezzoli, che per la distruzione degli arredi ha perso quasi completamente il carattere di “casamuseo”. Proprio l’arte e la cultura sono stati comunque il simbolo della rinascita della città: ne sono esempio il memorabile concerto diretto da Arturo Toscanini nella Scala perfettamente ricostruite, la ricomposizione della Cà Granda come splendida sede dell’Univeristà Statale e l’avvio (con le due esposizioni monografiche di Caravaggio e Picasso) delle grandi mostre a Palazzo Reale, ridisegnato come prestigioso contenitore espositivo. Una sezione importante del Museo del Novecento è dedicata a Lucio Fontana, uno dei più geniali e spregiudicati protagonisti del rinnovamento del concetto stesso di “arte” dopo la Seconda Guerra Mondiale. I “tagli”, quasi delle ferite inferte da Fontana sulla superficie della tela, sono il simbolo dello sviluppo culturale, non privo di drammaticità, nel segno del movimento chiamato “informale” , tra gli anni ‘40 e ‘50. La ricostruzione della città, spinta dal desiderio di avviare a pieno ritmo la vita produttiva e finanziaria, è stata forse un po’ frettolosa: molti quartieri, anche in pieno centro, hanno perso il carattere del tempo. D’altro canto, accanto a memorabili esperimenti nell’allestimento museale, negli anni Cinquanta sono sorti i notevolissimi grattacieli che caratterizzano lo skyline milanese, come la Torre Velasca (opera dello studio BBPR: Banfi, Barbiano, Peresutti e Rogers) o il Grattacielo Pirelli, eretto accanto alla Stazione Centrale su progetto di un team di architetti sotto la direzione di Giò Ponti, di linea innovativa e di spregiudicato sperimentalismo nei materiali, insuperabile simbolo della Milano industriale. Gli anni del cosiddetto “boom” coincidono con l’apertura della metropolitana (1961), indispensabile protagonista della mobilità urbana ma anche importante campo di sperimentazione di grafica e design. Milano resta uno dei punti fondamentali del dibattito artistico: insieme alla geniale attività teatrale simboleggiata dal Piccolo teatro e dalle regie di Giorgio Strehler, va ricordata la dirompente figura di Piero Manzoni, le cui provocazioni ironiche e amare segnano il momento più polemico e libero del movimento “informale”. Progetti e soluzioni del presente Nel corso degli ultimi anni, con la definitiva dismissione dei grandi complessi industriali nei comuni dell’hinterland, Milano ha conosciuto importanti cambiamenti nei flussi quotidiani del lavoro e nella propria identità. Perfino il clima è cambiato: l’immagine tradizionale di una Milano nebbiosa e umida, legata alla presenza di campi irrigati e di concentrazioni industriali nelle immediate vicinanze, appare sempre più un ricordo del passato. E’ venuta a cadere la storica funzione di centro produttivo (in tempi recenti, il controverso e ironico monumento di una mano con il dito medio alzato proprio davanti al palazzo della Borsa, opera di Mario Cattelan, segna anche le difficoltà del mondo finanziario), sostituita dalla centralità dell’informazione, degli scambi internazionali, della creatività applicata. Un punto di partenza di questo processo può essere individuato, nell’anno 2000, nella ridefinizione della stazione Cadorna da parte di Gae Aulenti, con la grande scultura dell’”Ago e filo” di Claes Oldenburg nella piazza antistante. Negli ultimi anni, Milano ha avviato una radicale modifica nei quartieri periferici ex-industriali, ridefiniti come aree abitative, strutture didattiche, sedi culturali. Il progetto di allestimento di raccolte museali dedicate alle culture extraeuropee -nell’area della ex Ansaldo-, e alla moda e al design -nel quartiere sorto negli spazi urbani dell’ex Fiera Campionaria- segna importanti orizzonti nella mappa ideale di una “rete dei musei” stesa su una città che vive ogni giorno il gusto del nuovo, senza mai dimenticare una salda radice affettuosamente fissata nel proprio passato. L’apertura dei vasti complessi universitari della Bicocca (con il polo culturale costituito dal Teatro degli Arcimboldi) e della Bovisa (con una sezione del Museo della Triennale) ha caratterizzato una radicale trasformazione di ampi settori della periferia. Alcuni storici limiti sono stati superati: il nuovo grattacielo della Regione Lombardia, completato nel 2010 e alto 160 metri, ha per la prima volta superato in altezza la “Madonnina” sulla guglia centrale del Duomo. Molti progetti per singoli edifici o interi quartieri recano la firma di importanti architetti internazionali, mentre il tema delicato della “sostenibilità” dei trasporti urbani si arricchisce di nuovi progetti che riguardano le piste ciclabili, il verde, i collegamenti sotterranei, la possibilità di riattivare persino alcuni tratti dei canali navigabili che per millenni hanno caratterizzato il volto di Milano e dei suoi dintorni, e che ormai da un secolo erano stati sostanzialmente “cancellati” dalla viabilità, salvo i due rami del Naviglio Grande e del Naviglio Pavese: recuperati e restaurati, sono stabilmente diventati luoghi privilegiati della vita serale. L’attività architettonica, oltre che su quartieri “firmati” come Santa Giulia (alla cui definizione ha contribuito Norman Foster), si concentra soprattutto nell’area circostante la stazione Garibaldi: la “guglia” di Cesar Pelli, riprendendo esplicitamente la sagoma del coronamento del Duomo, è ormai entrata nello skyline della città. L’appuntamento ormai imminente resta la grande Esposizione Universale che si svolgerà nei mesi centrali del 2015, che avrà come sede principale il vasto e spettacolare complesso espositivo della nuova Fiera Milano, con la caratteristica copertura ondulata disegnata da Massimiliano Fuksas. L’area fieristica a ridosso del centro cittadino ha conservato una parte espositiva, ridefinita da Mario Bellini, mentre la parte maggiore della zona è stata riconvertita in un quartiere residenziale (City Life), che insieme all’adiacente Portello formerà una delle aree pedonali più vaste d’Europa.