Sbobino lezione di farmacologia del 14 Marzo 2003

Sbobino lezione di farmacologia del 14 Marzo 2003. By Alex “Miele”Ambrosoli
In questa prima parte di corso parleremo di farmaco intendendo il principio attivo.
Parleremo di farmacodinamica e farmacocinetica riferite ai meccanismi della
molecola, alle proprietà farmacologiche e al movimento della molecola stessa
all’interno dell’organismo, tenendo presente il rapporto tra farmacodinamica e
farmacocinetica: la prima consegue alla seconda.
La farmacodinamica indica i meccanismi attraverso i quali una molecola esercita i
suoi effetti; ma per esercitare i suoi effetti deve, cosa fondamentale, entrare in
contatto con il sistema bersaglio, ovvero il sistema che è sensibile all’azione del
farmaco.
Vi sono tessuti biologici che hanno affinità per un determinato farmaco, che si lega al
tessuto e attraverso questo legame è in grado di esercitare la sua azione. Esistono
quindi dei recettori farmacologica; il farmaco è il ligando del recettore e questo
legame farmaco-recettore determina la formazione di un nuovo complesso il quale ha
alcune proprietà in funzione della cellula, del tessuto e dell’organo e che determinerà
quelle modificazioni che noi indichiamo come “effetto del farmaco”.
Nel nostro organismo determinati recettori sono collocati in precisi punti di tessuti o
organi dove svolgono specifiche funzioni. Se l’effetto del farmaco dipenderà dalla
maniera in cui il complesso modificherà queste funzioni, la possibilità che un
farmaco faccia effetto dipenderà dal fatto che il farmaco stesso, una volta assorbito,
raggiunga i tessuti bersaglio.
Più precisamente ci interessa :
1. che il farmaco sia in grado di raggiungere i tessuti bersaglio;
2. quanto tempo ci mette a raggiungerli;
3. quanto tempo resta in quella zona;
4. quanto tempo ci mette ad andarsene;
Quindi se l’effetto dipende dall’interazione farmaco-recettore, il tempo di insorgenza,
la durata e il tempo di cessazione dipendono dalla cinetica propria del farmaco. Il
farmaco ideale quindi dovrebbe sapere perfettamente dove andare, rimanerci solo il
tempo utile per l’azione e poi andarsene ma vedremo che in realtà il farmaco
raggiunge l’organo bersaglio perché si distribuisce più o meno omogeneamente in
tutto l’organismo.
Esempio : l’effetto antipiretico dell’Aspirina® è dovuto al fatto che l’acido acetilsalicilico si lega all’enzima Ciclossigenasi, legame che esita nell’inibizione
dell’enzima e quindi nell’inibizione di determinati mediatori (prostaglandine) che
sono coinvolti nell’azione termogenica. Per il motivo di cui parlavamo prima
(diffusione del farmaco in tutto il corpo), la stessa concentrazione di acido acetilsalicilico che svolge azione antipiretica a livello ipotalamico, agisce anche sul
parenchima gastrico con effetti gastrolesivi.
Questo per spiegare come il farmaco si distribuisca in tutto il corpo; poi in
determinati tessuti trova dei recettori che lo riconoscono, ma che non
necessariamente sono quelli per cui il farmaco era stato pensato, e che tuttavia
possono anch’essi essere espressione dell’azione del farmaco stesso.
Il processo farmacocinetico è preliminare all’azione farmacodinamica.
FARMACO DINAMICA
Interazione Farmaco-Recettore: un farmaco modifica i processi biologici nel
momento in cui è in grado di interagire con delle strutture che svolgono una funzione
in determinati processi legandosi a determinati recettori chiamati recettori
farmacologici.
Quando un ligando riconosce uno di questi recettori vi si lega provocando delle
modificazioni conformazionali nel recettore stesso che si riflettono all’interno
legando il recettore a una cellula provocando modificazioni conformazionali in una
proteina, che attraverso la membrana cellulare si riflettono all’interno della cellula
dove la proteina a sua volta prende contatto con una serie di altre proteine nucleocellulari che con un meccanismo a cascata vanno a provocare modificazioni a livello
metabolico.
Il risultato è una modificazione dell’attività cellulare, che si riflette in una
modificazione del tessuto di cui fanno parte quelle cellule e quei recettori, che a sua
volta si riflette in una modificazione dell’organo di cui fa parte il tessuto.
Un problema fondamentale nella caratterizzazione di un farmaco è definirne l’attività.
La caratterizzazione dell’attività di un farmaco può essere fatta a due livelli: uno
macroscopico, per esempio prendo un organo o un tessuto per il quale mi interessa
sapere se il farmaco ne modifica la funzionalità. Si utilizza a questo proposito la
sperimentazione in vitro.
Un sistema di sperimentazione in vitro è quello rappresentato nella figura: è un
apparato in grado di tenere in vita un tessuto isolato. Il tessuto è a bagno in soluzione
fisiologica riscaldata contenente nutrienti e ossigeno a pH fisiologico. Le contrazioni
e i rilassamenti del tessuto sono registrati da un chirografo. La sperimentazione in
vivo è contrapposta a quella in vitro e in questo caso si prende in considerazione
l’essere vivente nella sua completezza. La sperimentazione di farmaci sull’uomo può
essere considerata sperimentazione in vivo, e solitamente si basa sulle conoscenze
acquisite mediante la sperimentazione in vitro. Normalmente la sperimentazione
farmacologica è condotta aggiungendo il farmaco in una determinata concentrazione
al bagno di soluzione fisiologica in cui è immerso il tessuto.
La figura sottostante mostra il grafico che si ottiene sperimentando gli effetti della
clonidina
sulle contrazioni isometriche di un muscolo di ratto stimolato
elettricamente. Concentrazioni tra 0,7 e 10 nM deprimono la contrazione attraverso
l’inibizione dei recettori α2 adrenergici. Ad una concentrazione di 30 nM, la
clonidina produce una contrazione prolungata (spasmo della muscolatura) attraverso
la attivazione dei recettori α1 adrenergici.
Questa figura ci introduce al concetto di relazione dose-effetto. Quando noi parliamo
di farmaco intendiamo una quantità di molecole; l’intensità dell’effetto farmacologico
dipende da quante molecole occupano quanti recettori. Più recettori sono occupati più
intenso è l’effetto farmacologico.
Un farmaco è detto ad azione selettiva se, quando la concentrazione di molecole è
bassa, esse si vanno a legare prima ai recettori verso i quali mostrano la maggiore
affinità. Il termine affinità ha qui un significato particolare in quanto per affinità
farmacologica si intende la tenacia con cui un ligando si lega al suo determinato
recettore. Maggiore affinità consente una maggiore attività anche in caso di basso
numero di ligandi. Quindi l’azione su quel recettore si avrà per concentrazioni
minori, che dovranno comunque essere sufficienti per agire; se sono troppo basse non
occuperanno una sufficiente quantità di recettori e non daranno alcun effetto, si è
“sotto soglia”, ovvero si è al di sotto della Concentrazione Minima Efficace; al di
sopra della soglia l’azione farmacologica si manifesta e aumenterà in relazione alla
concentrazione del farmaco. Aumentando la concentrazione aumenta anche la
possibilità che il farmaco vada ad interagire con strutture che non necessitano
dell’azione farmacologica.
Se vogliamo esprimere la relazione dose-effetto in maniera quantitativa possiamo ad
esempio utilizzare un sistema di assi cartesiani, ponendo in ordinata l’intensità della
risposta e in ascissa la concentrazione del farmaco. In questo caso la relazione è
espressa in forma iperbolica.
La curva è caratterizzata da tre aspetti fondamentali:
§ la soglia (threshold), ovvero la CME, oltre la quale il farmaco inizia a
manifestare il suo effetto;
§ l’inclinazione della curva (slope) che indica la velocità con cui aumenta
l’effetto a seconda della concentrazione del farmaco;
§ l’effetto massimo (maximal asymptote), ovvero l’asintoto al quale tende
l’iperbole;
Solitamente si tende a trasformare le curve in scala logaritmica. Tale trasformazione
consiste nell’esprimere la concentrazione del farmaco non più in forma lineare ma in
scala logaritmica. In questo modo sullo stesso asse possono essere rappresentati
intervalli di concentrazioni molto più ampi. L’iperbole diventa in questo modo una
curva “a S italica” , che tende ad essere nella parte centrale simile a una retta.
EFFICACIA
In senso generale indica la capacità di produrre un determinato risultato/effetto.
Efficacia farmacologica: è una particolare misura della capacità di un farmaco di
indurre una risposta in un tessuto.
Efficacia terapeutica: la capacità (rispetto ad altri farmaci) di produrre un effetto
desiderato; l’effetto massimo ottenibile. E’ un concetto relativo, che si riferisce alla
capacità di un farmaco di determinare un effetto clinico benefico, il quale può essere
valutato in termini più o meno oggettivi.
La parte di efficacia connessa con l’attività del farmaco è detta efficacia intrinseca,
la quale è un fattore che va a costituire l’efficacia totale del farmaco stesso.
L’efficacia, a livello molecolare, quindi a livello dell’interazione del ligando con il
recettore, quantifica la capacità di un ligando di modificare l’attività del recettore
stesso. Non è sufficiente che un ligando si leghi al complesso recettoriale, per avere
un effetto, deve evidentemente essere in grado di indurre quelle modificazioni
strutturali e funzionali che producono l’effetto. Ligandi diversi per lo stesso recettore
possono differire proprio in questa capacità. Quando un ligando ha la capacità di
modificare la funzionalità del recettore/bersaglio su cui agisce in maniera tale da
determinare un effetto, si dice che ha un’ efficacia non nulla, il che significa che non
è zero, ma può essere positiva o negativa. Positiva quando determina un aumento
della funzionalità, negativa quando invece la deprime. Alcune sostanze endogene
sono dei ligandi con efficacia positiva; molti farmaci possono invece agire in senso
opposto riducendo la funzionalità del recettore su cui agiscono, e in questo caso si
parla di efficacia negativa; efficacia nulla si ha quando non si produce effetto.
Ligandi con un diverso tipo di efficacia possono legarsi allo stesso recettore. Ligando
che si lega ad un recettore con efficacia positiva è definito agonista, se invece ne
modifica l’attività con efficacia negativa si definisce agonista inverso.
Lo stesso farmaco selettivo ma non specifico può comportarsi da agonista con
determinati recettori e da agonista inverso con altri recettori.
Quando non c’è una risposta diretta alla somministrazione del farmaco, quindi il
ligando ha efficacia, meglio ha efficacia zero, in tal caso si chiama antagonista. Gli
antagonisti bloccano i siti di attacco interferendo con gli agonisti endogeni. Gran
parte dei farmaci che si usano in clinica sono degli antagonisti.