UNITÀ DIDATTICA: BREVE CORSO DI COSMOLOGIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Introduzione Obiettivi Requisiti iniziali Contenuti Tempi di realizzazione Strategia didattica Materiali Valutazione 1. Introduzione La presente Unità didattica deriva dalla rielaborazione di un'Unità già presentata nel corso dell'a. s. 1998-99 da me in collaborazione con il collega di Scienze in una classe quinta Liceo Scientifico (con sperimentazione di Scienze; la sezione svolge il programma tradizionale di Matematica e Fisica). Dal momento che lo svolgimento non richiede particolari requisiti di tipo matematico o fisico il suo inserimento è in linea di principio possibile in qualsiasi momento dell'anno; ma è opportuno che nel programma di Scienze della Terra si sia ultimato lo sviluppo degli argomenti di Astronomia; quindi il periodo adatto è senza dubbio la seconda parte dell'anno; secondo l'esperienza già svolta presso il Liceo Magrini di Gemona d. F. Marzo o Aprile sono il momento più opportuno. 2. Obiettivi Alcune riflessioni sulla Cosmologia si inseriscono molto opportunamente all'interno degli obiettivi generali per l'insegnamento della Fisica nella classe quinta: - Abitudine al ragionamento induttivo e deduttivo e alla riflessione - Uso del rigore logico nel ragionamento e nei procedimenti risolutivi - Comprensione della stretta interconnessione fra sviluppo teorico e conferma sperimentale nella Fisica - Acquisizione di un corpo di conoscenze organiche per l'interpretazione del mondo - Uso del linguaggio e dei simboli propri della disciplina - Inquadramento storico dello sviluppo della Fisica - Conoscenza dei metodi dell'indagine scientifica Per quanto riguarda l'Unità nel suo specifico gli obiettivi saranno: - Conoscenza delle principali teorie sull'Universo nel suo complesso e del loro sviluppo storico - Conoscenza e capacità di analizzare le principali scoperte scientifiche che hanno avuto ricadute sulla Cosmologia - Capacità di svolgere alcuni semplici esercizi connessi con fenomeni di ordine cosmologico - Acquisizione dell'importanza del principio cosmologico e del processo storico che ha condotto alla sua formulazione 3. Requisiti iniziali 1. Introduzione Dalla semplice osservazione del cielo notturno sorgono spontanee alcune domande: l'Universo è sempre stato com'è adesso? Se è cambiato, com'è cambiato? Ha avuto un inizio? E se lo avuto, quando e dove? La sua esistenza futura sarà infinita o avrà termine? Il ramo della Fisica che si occupa di tentare di dare una risposta scientifica a tali domande è la cosmologia; questo termine deriva dalla parola greca , che significa ordine. Ciò perché nell'antica Grecia il cielo era considerato come sede delle divinità, e quindi per definizione ordinato e perfetto. Successivamente la parola cosmo è passata a designare l'Universo nel suo complesso, da cui cosmologia nell'accezione di "scienza che studia l'Universo". 1 Punto di partenza per ogni speculazione sull'Universo è il principio cosmologico: esso è un postulato che afferma che l'Universo è omogeneo e isotropo da qualunque punto lo si guardi. L'Universo contiene cioè una densità approssimativamente costante di oggetti, distribuiti in maniera casuale senza alcun punto o zona privilegiata. Non ha quindi un centro e una periferia, né alcune sue zone sono diverse da altre. Il ragionamento vale, ovviamente, su grande scala. È chiaro che questo principio ha un enorme valore filosofico, ed è il passaggio finale del superamento del geocentrismo: se dopo Copernico l'uomo ha rinunciato a considerare la Terra centro dell'Universo, in tempi più recenti si conclude che neppure il Sole e neppure la Via Lattea sono il centro dell'Universo. Anzi, l'Universo non possiede neppure un centro. A partire da questa considerazione i cosmologi hanno tentato e tentano tuttora di dare delle risposte soddisfacenti ai quesiti posti all'inizio di questo paragrafo, utilizzando le attuali conoscenze dell'Astronomia e dell'Astrofisica sulla distribuzione, sulla natura e sull'evoluzione dei corpi celesti, e in particolare sulle stelle e gli agglomerati di stelle. 2. La legge di Hubble Fino al 1929 era evidente che i componenti dell'Universo seguivano una propria evoluzione, ma non esisteva alcun motivo sensato per ritenere che l'Universo in generale potesse avere un'evoluzione. In quell'anno l'astrofisico americano Edwin Powell Hubble (1889-1953), cui è intitolato l'LST (Large Space Telescope, il telescopio spaziale), studiando gli spettri di emissione di moltissime galassie per compiere un'analisi statistica, fece una scoperta del tutto inattesa. A parte alcune eccezioni per alcune galassie molto vicine alla nostra (per esempio la famosa M31 o galassia di Andromeda), tutte le altre galassie esibivano uno spettro le cui righe erano spostate verso il rosso. Hubble imputò questo risultato all'effetto Doppler. Tutti sappiamo che un suono (come quello di una sirena) sembra più acuto se la fonte del suono stesso si sta avvicinando a chi ascolta, e più grave se la fonte si sta allontanando; questo è l'effetto Doppler acustico. Lo stesso fenomeno si verifica anche con le onde elettromagnetiche: se la sorgente si allontana da noi, la luce appare spostata verso lunghezze d'onda maggiori (frequenze inferiori), e cioè verso il colore rosso. La conclusione rivoluzionaria cui giunse Hubble fu che tutte le galassie si allontanano dalla nostra, e quindi che l'Universo si sta espandendo. Il fenomeno scoperto da Hubble è noto come redshift cosmologico. Hubble, servendosi dei dati allora noti sulla distanza di alcune galassie, osservò che più una galassia è lontana, più velocemente essa si allontana da noi; fu scoperta quindi una proporzionalità diretta fra distanza e velocità di allontanamento. Chiamata d la distanza di una galassia dalla nostra, si può scrivere V Hd relazione nota come legge di Hubble. H è la costante di proporzionalità che lega V a d, ed è chiamata costante di Hubble. Quanto appena detto potrebbe far pensare a una contraddizione col principio cosmologico: se le altre galassie si allontanano dalla nostra, si potrebbe ritenere che la Galassia sia ferma e che le altre le stanno sfuggendo. Questo ragionamento è sbagliato: in base al principio cosmologico, da qualsiasi punto noi scrutassimo l'Universo, vedremmo la stessa cosa. L'oggetto su cui ci troviamo sembrerebbe fermo, e gli altri corpi apparirebbero allontanarsi da esso. Di cruciale interesse è il valore della costante di Hubble, la cui stima dipende però in maniera essenziale dalla conoscenza della distanza delle galassie più lontane, che è nota solo in maniera molto approssimativa. Se decidiamo di misurare V in km/s e d in Mpc , H risulta compresa fra 55 e km / s 100 . Mpc Una volta che si accetta un valore per H, la legge di Hubble usata alla rovescia diventa un potentissimo mezzo per misurare la distanza dei corpi celesti. Da una misura del redshift si ottiene la velocità di allontanamento e quindi la distanza. La legge di Hubble è piuttosto imprecisa, ma è in effetti l'unico metodo per stimare la distanza di oggetti molto lontani come ad esempio i quasar. 3. Ipotesi sull'evoluzione dell'Universo Le ipotesi proposte per spiegare il risultato di Hubble sono essenzialmente due: 2 1) La teoria dell'Universo stazionario prevede che le galassie si allontanino una dall'altra, ma che nello spazio fra di esse si crei continuamente della nuova materia, sotto forma di gas Idrogeno, in modo da mantenere costante la densità media dell'Universo. Tale teoria fu proposta nel 1948 da Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle. Calcoli accurati sulla quantità di materia che dovrebbe formarsi per mantenere la densità costante indicano un atomo di Idrogeno per ogni metro cubo ogni 500 milioni di anni; un tasso così piccolo evidentemente sarebbe molto difficile da rilevare sperimentalmente, e questo spiegherebbe perché nessuno se ne sia mai accorto. 2) La teoria del Big Bang, elaborata dall'americano George Gamow (1904-1968) più o meno nello stesso periodo, fa invece risalire l'espansione dell'Universo a un'esplosione iniziale, detta scherzosamente Big Bang, dalla quale avrebbe avuto inizio l'Universo. Per stimare approssimativamente l'età dell'Universo (supponendo che la sua velocità di espansione sia rimasta costante nel tempo) è sufficiente calcolare quanto tempo si impiega a percorrere una s distanza pari al raggio RU dell'Universo. Si calcola quindi t come in un banale problema di v RU 1 , quindi l'età dell'Universo non è altro moto rettilineo e uniforme. Nel nostro caso T V H che l'inverso della costante di Hubble, il cui valore purtroppo non è noto con precisione. Ricordando che 1 Mpc 3,09 1019 km , si ottiene: 1 1 T 3,09 1019 secondi, e quindi 17,8 miliardi di anni; per H=55 H 55 1 1 3,09 1019 secondi, e quindi 9,8 miliardi di anni. Secondo la teoria per H=100 T H 100 del Big Bang, l'Universo avrebbe un'età compresa fra i 10 e i 20 miliardi di anni. Ci sono oggi diversi motivi per preferire la teoria del Big Bang a quella dell'Universo stazionario. Tra questi i principali sono la radiazione cosmica di fondo e l'abbondanza di Elio. La radiazione cosmica di fondo è una debole radiazione nelle microonde, di lunghezza d'onda compresa tra alcune decine di cm e qualche mm di lunghezza d'onda, corrispondente a una frequenza intorno a 300 GHz. Lo stesso Gamow aveva previsto nel 1948 l'esistenza di tale radiazione, che fu scoperta nel 1965 da Penzias e Wilson mentre stavano compiendo ricerche di tutt'altro tipo (si occupavano di satelliti per telecomunicazioni). Vediamo di cosa si tratta: agli inizi della sua esistenza, l'Universo era molto piccolo e denso, e aveva una temperatura media molto alta (dell'ordine di milioni di gradi); oggi invece le dimensioni dell'Universo sono aumentate e la sua temperatura media è scesa a un valore intorno a 3 K. Un oggetto la cui temperatura media abbia tale valore emette una particolare radiazione, strettamente collegata al valore della temperatura. Penzias e Wilson scoprirono appunto questa radiazione, proveniente indistintamente da ogni direzione, caratteristica di una temperatura di 2,7 K. L'altra prova a favore del Big Bang a cui si accennava prima è la quantità di Elio attualmente presente nell'Universo, che secondo le stime più attendibili ammonta all'8% del numero totale di atomi, e al 20% della massa totale dell'Universo (si ricordi che la massa di un atomo di Elio è circa quattro volte quella di un atomo di Idrogeno). La creazione di materia proposta da Bondi, Gold e Hoyle formerebbe solo atomi di Idrogeno; quindi in questa teoria l'Elio dell'Universo trae origine solamente dalle stelle, dove viene sintetizzato per fusione nucleare. Ora, se ciò fosse vero, la percentuale di Elio dell'Universo dovrebbe essere molto minore del valore effettivamente osservato (raggiungerebbe al massimo il 5% in massa). Viceversa la teoria del Big Bang è in grado di spiegare molto meglio la percentuale di Elio osservata, in quanto prevede che nelle prime fasi successive all'esplosione primordiale si sia formata una certa quantità di Elio, indipendentemente dalla sintesi stellare. 4. L'evoluzione futura dell'Universo secondo la teoria del Big Bang 3 Per quanto ci siano ancora moltissimi suoi punti da chiarire, oggi la teoria del Big Bang è più o meno accettata dall'intero mondo scientifico. A questo punto è allora lecito riprendere l'ultima delle domande poste all'inizio del paragrafo 1: qual è il destino dell'Universo? Le possibilità sono due: 1) L'espansione dell'Universo rallenta a causa dell'attrazione gravitazionale fra le masse dei corpi che lo compongono; questo rallentamento fa sì che l'Universo raggiungerà una dimensione massima, e poi invertirà il suo moto dando inizio a una contrazione, opposta all'attuale espansione, che avrà termine con un evento catastrofico inverso al Big Bang (tale ipotetico processo prende il nome di Big Crunch). È da sottolineare, per inciso, che alcuni miti orfici, nonché la religione induista, prevedono che l'Universo attraversi infiniti cicli di distruzione e rinascita, la cosiddetta palingenesi (termine di origine greca che significa, appunto, rinascita). Per i più timorosi va puntualizzato che se effettivamente ci sarà un Big Crunch, questo non avverrà prima di un centinaio miliardi di anni. 2) L'espansione dell'Universo è infinita. La densità della materia è destinata a diminuire, le stelle consumeranno tutti gli elementi leggeri, finché non saranno più presenti elementi adatti a produrre energia per fusione nucleare, e non si formeranno più stelle. A quel punto, dopo che le stelle preesistenti avranno esaurito il loro combustibile nucleare, l'Universo conterrà solamente oggetti allo stadio terminale della loro esistenza, e cioè nane bianche, pulsar e buchi neri. Da questo punto in poi gli scenari successivi divergono a seconda che il protone sia stabile oppure no, cosa che ancora non è stata dimostrata. Le ipotesi sul futuro lontano dell'Universo sono dovute principalmente a Dyson. Gli studi più recenti di Cosmologia cercano soprattutto di dirimere tra queste due ipotesi. Vediamo una trattazione semplice: l'argomento è analogo a un problema di velocità di fuga; sappiamo che la velocità di fuga da un corpo di massa M e di raggio R si calcola 2GM Vf R dove G è ovviamente la costante di Cavendish, pari a 6,67 10 11 N m 2 / kg 2 . Nel caso dell'Universo, per il quale si calcola la velocità di fuga "da se stesso", devo sostituire a M la massa totale MU e a R il raggio dell'Universo. Quindi 2GMU . Vf R Facendo l'ipotesi semplificativa che l'Universo sia sferico, la sua massa totale MU è collegata con il 4 suo raggio R dalla relazione MU Volume R 3 , dove è chiaramente la densità media 3 dell'Universo. Andando a sostituire MU nella formula per Vf si ottiene Vf 2GR 2 ( 2G ) R Quest'ultima relazione ha una stretta somiglianza formale con la legge di Hubble se si confronta la costante 2G con H, la costante di Hubble, e si considera che R, raggio dell'Universo, corrisponde alla distanza d degli oggetti più lontani da noi. Se la velocità di espansione V degli oggetti ai confini dell'Universo è maggiore di Vf, l'Universo si espanderà all'infinito; se invece Vf > V, allora l'espansione è destinata ad arrestarsi. Il caso limite è quello intermedio in cui è H 2G ; il valore di densità che si ricava, all'inverso, da questa relazione, è detto densità critica c . Pertanto, se la densità dell'Universo è maggiore della densità critica, c'è abbastanza materia da far prevalere l'attrazione gravitazionale e da invertire la tendenza presente all'espansione; se essa è invece minore della densità critica, l'espansione sarà infinita. La difficoltà nel trarre una conclusione ha una causa già nota: la conoscenza approssimativa della costante di Hubble. Infatti, se H=55, risulta kg kg c 4,8 10 27 3 ; se H=100, c 1,6 10 26 3 . Resta inoltre da determinare quale sia la densità m m 4 media di materia nell'Universo, e se questa sia maggiore o minore di c . Le stime più attendibili kg forniscono un valore volte inferiore al minore dei due valori proposti (più o meno 4 10 27 3 , m corrispondente all'incirca a un protone per metro cubo), avvalorando così l'ipotesi di un Universo in espansione infinita. Ci sono però fondate ragioni per ritenere che l'Universo abbia una densità superiore; ad esempio, se la nostra Galassia avesse solo la massa che le viene normalmente attribuita (e cioè circa 4 10 41 kg ), la gravità non sarebbe sufficiente a mantenerla unita e i suoi componenti si disperderebbero nello spazio. Quindi è chiaro che deve esistere, da qualche parte, della materia invisibile aggiuntiva. Se il ragionamento vale per la nostra Galassia, va esteso anche alle altre, e ciò ovviamente incide sul calcolo della densità media dell'Universo nel suo complesso. Questo problema è noto come quello della massa mancante. Dove si trova la massa mancante? Le ipotesi sono diverse. Potrebbe trattarsi di nubi di gas molto freddo e poco denso, e pertanto invisibile; oppure potrebbe trovarsi in forma di una miriade di particelle ancora non scoperte; o ancora potrebbe nascondersi in una quantità di buchi neri disposti qua e là nell'Universo, per esempio al centro del nucleo delle galassie (Alcune? Tutte?) anche altrove. Un'ipotesi particolarmente interessante è quella dei neutrini. Il neutrino è una particella elementare particolarmente difficile da rilevare, che è stata prevista teoricamente da Wolfgang Pauli nel 1930 e osservata per la prima volta negli anni '50. Non è noto con certezza se il neutrino sia dotato di massa oppure no: se ne fosse privo, il suo contributo alla densità dell'Universo sarebbe nullo. Viceversa, se i neutrini hanno massa, il loro apporto potrebbe essere rilevante, anche se la massa di un singolo neutrino è molto piccola, in quanto si ritiene che il loro numero debba essere elevatissimo. Secondo le più recenti misure i neutrini hanno una massa sicuramente inferiore 1 a della massa dell'elettrone (pari a 9,11 10 31 kg ; quindi la massa del neutrino sarebbe 11000 8,2 10 35 kg ). C'è da aggiungere che gli studi più recenti sulla distribuzione della materia a larghissima scala nell'Universo (superammassi di galassie) non è affatto in accordo col principio cosmologico: le famiglie di galassie sembrano disporsi secondo strutture ordinate, la cui genesi pone problemi di difficile interpretazione. In conclusione non abbiamo ancora dati sufficienti per conoscere con certezza l'evoluzione futura dell'Universo. La questione rimane ancora aperta, e pone numerosi e interessanti quesiti che riguardano la Cosmologia, l'Astronomia, la Fisica delle particelle e molti altri campi di studio. Bibliografia Caforio A., Ferilli A., Physica per i Licei Scientifici, Le Monnier, Firenze 1997 Hack M., Corso di Astronomia, Hoepli, Milano 1985 Hawking S., Dal Big Bang ai buchi neri, BUR, Milano 1995 Regge T., Infinito, Mondadori, Milano 1996 Tipler P. A., Invito alla Fisica, Zanichelli, Bologna 1995 5