L'ACANTO Narra una leggenda greca che la nutrice di una fanciulla corinzia morta precocemente aveva deposto sulla tomba una cesta con i suoi oggetti più amati, adottando la precauzione di ricoprirla con una tegola quadrata per nasconderli e anche per prevenire furti. Giunta la primavera, l'architetto Callimaco, che passava da quelle parti, vide la tegola sollevata da un cespo armonioso di foglie d'acanto cresciute sul sepolcro, quasi a simboleggiare l'Immortalità della fanciulla, la sua metamorfosi in pianta secondo un tòpos greco che abbiamo già incontrato in questo viaggio fra le erbe e le piante simboliche. La visione gli ispirò l'idea del calato del capitello corinzio, decorato dalle grandi foglie oblunghe e profondamente incise di questa pianta. Probabilmente l'acanto dello stile corinzio era l'Acanthus spinosus o spinosissimus, tipico dell'Europa orientale, con la spiga spinosa di brattee porpora chiaro, lunga almeno una quarantina di centimetri, che in luglio è molto vistosa. Più diffuso in Italia è l'Acanthus mollis, che presenta fogliame morbido e arrotondato, di un verde più chiaro. Le foglie di acanto furono adottate anche nell'architettura cristiana, nei capitelli gallo-romani e nei monumenti sepolcrali, per simboleggiare la Resurrezione: simbolismo evidentissimo nell'arte romanica perchè l'ordine corinzio era usato soprattutto per i capitelli nel coro di una chiesa, dove si custodivano le reliquie dei santi ai quali era ed è promessa la Resurrezione, spesso con un numero simbolico delle foglie o delle gemme floreali. Talvolta dalle foglie fuoriuscivano teste umane: nell'ambulacro del coro di Broude, in Francia, una figura femminile si fa largo con le braccia levate fra gli acanti che l'avvolgono, quasi stesse rinascendo alla vita eterna, ed è proprio questo particolare a collegarla alla favola greca. Giovanni Pascoli cantò non le foglie, ma il bianco fiore d'acanto strinato di porpora nella omonima poesia di Myricae che comincia con questi versi: Fiore di carta rigida, dentato i petali di fini aghi, che snello sorgi dal cespo, come un serpe alato da un capitello; Fiore che ringhi dai diritti scapi con bocche tue di piccoli ippogrifi; fior del Poeta! I medici dell'antichità ne consigliavano l'infuso di foglie per mitigare le irritazioni viscerali e come rimedio preventivo contro la tubercolosi. Nel Rinascimento se ne usavano le radici e le foglie per ricavarne emollienti, cataplasmi, unguenti. Effettivamente i fiori, le foglie e la radice sono coleretici e vulnerari. La loro proprietà emolliente ha ispirato il simbolo della Dolcezza.