“Consenso alle Cure in pazienti inabili. Direttive Anticipate di fine vita” di Maurizio Benato Sulle direttive anticipate di fine vita c’è un accanito dibattito bioetico. I medici si interrogano sulla compatibilità dei testamenti di vita con i loro doveri deontologici e i bioeticisti discutono fino a che punto può arrivare l’autodeterminazione del paziente perché all’orizzonte si è arrivati a definire in certi contesti e in certe situazioni la pratica eutanasica quale vero e proprio diritto dell’uomo. La vera posta in gioco del dibattito pubblico non vi è dubbio è la legalizzazione della pratica eutanasica. Nella legislazione olandese questo reato viene depenalizzato perché qualificato come una qualche forma di rispetto nei confronti della volontà del malato e basato sul presupposto che il medico dovrebbe tutelare il miglior interesse del malato. È questo il pendio scivoloso in cui ci troviamo tutti quando da casi particolari e in concreto rari dove si possono assumere decisioni sofferte, si passa a generalizzare e definire omologabili casi simili ai precedenti facilitando così una deriva morale concettualmente inaccettabile. E qui entriamo nel pieno di quello che è la visione morale del mondo dove la pietas viene soverchiata dalla pura razionalità per la quale la vita sana è da ritenere vita autentica e piena, degna di essere vissuta, nel mentre la malattia si combatte, anche da parte della società finché è curabile e socialmente tollerabile (handicap) per sopprimerla dove invece viene a mancare la speranza. Attenzione! Perché qui entra in gioco la stessa essenza epistemologica della medicina nata per la vita e per essere di aiuto ad essa perché perderebbe così la sua specificità terapeutica, per diventare una semplice prassi formale e neutrale di manipolazione del corpo umano. Attenzione! Se la vita non ha valore in sé e riceve valore dall’esterno e in questo specifico caso da una volontà estrinseca del malato o di chi ne ha il consenso, può essere ridotta allo statuto ontologico di semplice materia bruta. Ecco il messaggio che vi vorrei lanciare oggi: non siamo solo di fronte a un dilemma bioetico ma siamo esposti ad una sfida portata alla stessa presenza umana e al suo significato in questo mondo. Abbiamo tutti il compito, medici e non medici, di riflettere su ciò che siamo prima di esporci su ciò che ci conviene. Vorrei pertanto in questo mio intervento richiamarvi ad alcune considerazioni concettuali: a cominciare dalla terminologia e dal significato che attribuiamo ai termini. L’etica attiene alla coscienza dell’individuo del medico; come ogni altro uomo il medico matura nella sua coscienza valori etici, li gerarchizza e li sottopone al vaglio della sua ragione morale. È molto dubbio che chi non sappia o non voglia elaborare una sua etica possa essere non solo un uomo tra virgolette buono ma anche un buon medico. La deontologia è un altro aspetto dell’etica, investe il medico non per la sua coscienza ma per il suo ruolo sociale e relazionale. Quindi se l’etica si può esaurire in un monologo interiore, la deontologia si definisce sul piano di un’azione accertabile e sindacabile. Ecco allora che si parla di deontologia dal greco “to deon e logos” per intendere ciò che deve essere e che si deve fare. Il codice deontologico non è una fonte primaria di diritto ma ha un carattere extragiuridico e impegna i membri del gruppo professionale al suo rispetto. l termine bioetica nasce nel 1971 quando il Dott. Potter coniò questo termine con il significato di scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema. La bioetica dibatte sui temi di confine offerti dal tecnicamente possibile e il moralmente lecito che spesso sembra scomparire quando sono in gioco i progressi delle nuove scienze (postgenomica, neuroscienze biotecnologie ecc.). Il nuovo realizzato dal progresso tecnologico è spesso giudicato come buono ed eticamente valido perché sembra promettere il miglioramento delle condizioni umane di vita o il miglioramento della possibilità di controllo dei processi biologici naturali sostenuto dall’idea di etica della scienza, interna alla comunità scientifica per cui la scienza è già etica in sé. Noi siamo soliti dedicare molto spazio ai temi controversi di inizio e di fine vita, mentre poco viene dedicato alla riflessione sugli aspetti generali dell’evoluzione del ragionamento etico, sulle dottrine che stanno alla base dei nostri ragionamenti in tema di etica, sulle metodologie di approccio ai problemi bioetici e su come si debba interpretare da un punto di vista medico il rapporto fra la riflessione etica e il progresso delle scienze tecnologiche applicate alla vita biologica. Io penso che come medici non dobbiamo lasciarci trascinare supinamente dallo scientismo disgiunto dalla valutazione etica perché si tratta di sovrapporre indebitamente il piano dei fatti con quello dei valori. Non dobbiamo dimenticare che la professione è una sintesi felice di scienza pensiero esistenziale ed etica. La bioetica dovrebbe servire a questo: ad articolare una riflessione morale dei risultati scientifici, valutandone gli effetti perversi, affermandosi così di fatto quale orizzonte del pensiero riguardante le scelte di valore degli individui rispetto a tutto ciò che concerne la vita. La bioetica possiede un carattere interdisciplinare perché asseconda le diverse sfaccettature con cui si possono descrivere le diverse implicazione di un problema, ma si pone un unico interrogativo che è quello sul senso dell’agire tecnologico, di indicare i confini del moralmente buono e di fornire le indicazioni per una condotta giusta. Approcci morali ai problemi bioetici. Ci sono due versioni che caratterizzano la dimensione etica della bioetica. Approccio limitativo: in base al quale la bioetica dovrebbe solo stabilire i limiti morali del progresso tecnologico specificando ciò che non è lecito fare. L’approccio è fondato sul principio che non è lecito realizzare tutto ciò che è scientificamente possibile in aperto contrasto quindi con la logica scientifico deontologica. Approccio normativo: per cui la bioetica ha il compito di stabilire una serie di valori fondamentali e validi in assoluto a partire da quelli sui quali sia possibile costruire il giudizio morale. Nel contesto culturale europeo la bioetica si è imposta con il carattere di etica normativa perché meglio risponde a esigenze pragmatiche e si presta ad essere applicata ai diversi casi problematici ai quali è necessario dare una soluzione. I valori che guidano la bioetica dovrebbero essere validi e riconoscibili per chiunque ovvero oggettivi ma i valori non hanno validità oggettiva ma relativa perché dipendono dai soggetti che se ne fanno promotori. E quindi la bioetica pur rivelandosi una etica normativa ovvero applicata che risponde a esigenze pragmatiche, di fatto fa riferimento a diverse teorie o modelli etici che vi voglio ricordare: L’etica personalistica L’etica utilitaristica L’etica liberale L’etica della qualità di vita. L’etica personalistica indica quella teoria che nel dibattito contemporaneo individua il criteri morali nell’essere umano in quanto persona. La persona umana è l’insieme inscindibile degli elementi biologico, corporeo, psichico e spirituale. La vita biologica è riferita alle sue funzioni biologiche ma anche interpretata quale elemento fondante dell’intera persona umana e punto di partenza per lo sviluppo psico-spirituale acquisendo un valore sacrale oggettivo e assoluto in quanto vita della persona umana. Ecco allora che la sacralità della vita della persona umana rappresenta quel valore oggettivo che serve a orientare in modo certo la condotta umana in campo biomedico: manipolazione del genoma, soppressione degli embrioni sospensione dei trattamenti. Il patrimonio genetico, l’embrione, il malato terminale sono esempi di vita biologica umana che comunque è sacra e indisponibile proprio in quanto condizione dell’esistenza umana terrena della persona. L’etica utilitaristica ha le sue origini nell’opera di J. Bentham. La moralità consiste nella sua utilità ovvero la quantità di bene che si può ottenere per il maggior numero di individui umani possibile, ovvero ancora la soddisfazione degli interessi per il maggior numero di individui possibile. Soltanto i soggetti in grado di sviluppare interessi sono persone e sono presi in considerazione nel calcolo utilitaristico. Quindi malati in coma o il feto non sono di fatto persone. L’etica liberale. Prende atto che non si può far valere una concezione di vita buona sulle altre, constata il pluralismo dei valori di fronte ai dilemmi aperti dalla tecnologia, fotografa il fatto che si oppongono diverse e inconciliabili visioni. Propone una decisione politica quindi una soluzione legislativa quale compromesso fra le differenti posizioni. Si serve del concetto di libertà in senso negativo per porre al singolo il limite alla sua libertà in quella dell’altro, stabilisce il rispetto assoluto dell’autonomia individuale come unico e irrinunciabile contenuto normativo. Molti sono i pensatori che sono approdati a questa etica negli ultimi decenni ma sono numerose le critiche di coloro che affermano che far valere il valore assoluto della libertà del soggetto, facendo coincidere la libertà di scelta con la legittimazione della moralità, significherebbe approvare una tecnologia biomedica senza averla sottoposta a dura critica. Basti pensare alla fecondazione assistita, alla libertà di autodeterminazione nelle scelte riproduttive e di fine vita. L’etica della qualità di vita Concezione che rispetto al principio della sacralità della vita alla quale tutti i valori sono subordinati, afferma che il progresso delle tecnoscienze apre ad una pluralità etica puntando ad una etica di qualità della vita. Una etica che non prevede alcun principio assoluto ma favorisce il benessere e l’autonomia. Afferma il principio di autolegislazione degli individui e la riconsegna dell’etica alla sfera di potere esercitata dagli esseri umani. L’etica assume il fine sociale di garantire una ordinata convivenza sociale più precisamente di una etica pubblica con l’obiettivo di fornire una giustificazione morale a pratiche controverse nel rispetto dei singoli individui. L’autonomia dell’individuo è pensata solo in funzione e garanzia per la convivenza pacifica di visioni morali differenti. Si tratta di una etica pubblica procedurale. Per esempio la legge del 2000 sulla scelta opzionale per l’espianto degli organi risente di questa impostazione. Qui la morale coincide con l’utilità per la società. L’individuo rappresenta solo preferenze e scelte autonome che dovrebbero valere quanto quelle di chiunque altro, dall’altra parte ha un avversario che si incrocia solo nello spazio del confronto pubblico con i suoi interessi preferenze e scelte autonome. Allora? Crisi dei valori comuni etici e impossibilità di elaborare un’etica laica generale e valida per tutti che definisca il buono e il cattivo, deriva morale determinata dal progresso scientifico tecnologico ma che comunque necessita di un orientamento morale dopo le crisi delle certezze e dei valori assoluti, per sapere se quello che stiamo facendo è giusto o sbagliato, anche se appare impossibile. Conclusioni: Il codice morale dei medici dell’antica Grecia non fornisce più una guida sufficiente per il medico contemporaneo e l’etica deve cambiare gradatamente a seconda dei problemi sollevati dai progressi tecnologici. Sempre di più la medicina appare come una costruzione storicosociale costringendo la coscienza del medico a confrontarsi con la moralità quale costruzione umana e sempre meno quale scoperta di principi chiaramente dimostrati dalla vita e dall’insegnamento religioso.