Note di mantenimento Bonsai
I BONSAI di ANLAIDS
3/4/5 Aprile
PREFAZIONE
Questo e-book è stato preparato per Anlaids dai tecnici delle aziende che si occupano della coltivazione e
preparazione dei bonsai presentati al pubblico nel corso della manifestazione UN BONSAI PER ANLAIDS.
Vuole essere un primo punto di appoggio per chi si avvicina al mondo dei bonsai e non ne ha grande
pratica. Non ha velleità di proporsi come un manuale tecnico, ma si ripromette di rendere meno ostico
l’approccio con la pianta di bonsai e la sua manutenzione. Suggeriamo a tutti coloro che desidereranno
interessarsi in modo più specifico al mondo del bonsai di contattare i diversi centri specializzati presenti
nel territorio o di rivolgersi ai gruppi di amatori, raggruppati nei bonsai Club. In questi ambienti si
potranno trovare notizie più specifiche e ricevere consigli, frequentare corsi e acquisire le tecniche
necessarie per sviluppare al meglio la conoscenza di questo bellissimo, singolare ed appassionante
mondo.
INTRODUZIONE
Bon-sai significa letteralmente albero in vaso. Ma se per la cultura occidentale le piante possiedono
fondamentalmente un significato estetico, per il mondo orientale il Bonsai rappresenta molto di più.
Esso infatti trae origine dall’esigenza di spazio e di facilità di trasporto, ma trova la sua finalità soprattutto
come esercizio spirituale, teso alla ricerca dell’armonia uomo-natura, secondo i principi della disciplina
Zen. Per i monaci taoisti, in particolare, diviene simbolo sacro dell’immortalità, studio della possibilità di
scoprire e applicare le qualità “magiche” della natura.
Chi si occupa dell’arte del bonsai, pertanto, mira alla ricerca della combinazione tra il suo mondo
interiore e quello esteriore, con l’obiettivo di controllare e indirizzare in una determinata via le forze
della Natura. Alcuni stili d’arte Bonsai traducono addirittura nell’albero e nel suo modo di crescere e
svilupparsi la rappresentazione della vita dell’uomo.
Cenni storici
La storia del bonsai ha origine in Cina e le fonti storiche permettono di determinare tale periodo a prima
del 1000 a.C.: infatti il reperto più antico, un bonsai di pino, è stato individuato all’ interno della tomba
del IV imperatore della dinastia Shang (1700-1066 a.C.).
é però intorno al 200 d.C. che la coltivazione si diffonde in tutta la Cina diventando particolarmente
popolare durante la dinastia Tang (618-907 d.C.) e diventando esercizio importante per gli uomini di
cultura, letterati e artisti, che lo prendono a simbolo di essenzialità ed equilibrio.
Una delle date fondamentali per la storia del Bonsai è in ogni caso il 1195 d.C. durante l’era Heian. Risale
infatti a questa epoca, secondo quanto si legge in una pergamena, “l’esportazione” verso il Giappone di
quest’arte, per mano dei monaci buddisti.
Qui ha origine una grande evoluzione che sfocia nella produzione di nuovi stili che si moltiplicano e si
adattano ai cambiamenti sociali. é solo però dal periodo Edo (1603-1868) che l’arte del bonsai si diffonde
capillarmente e si impone come simbolo di prestigio. é infatti in quest’epoca che particolari esemplari di
bonsai entrano a far parte, come oggetto privilegiato, dei doni che venivano presentati dai feudatari allo
Shogun, il capo supremo delle forze armate.
Dagli inizi del ventesimo secolo si tentano di codificare gli stili artistici, arrivando così nel 1928 alla prima
Esposizione Internazionale di Tokyo, la Kokufo-ten, mostra che da allora diverrà annuale.
In Europa sono gli inglesi, grazie alla loro capillare struttura mercantile e al loro amore per la natura, ad
introdurre nei secoli XIII e XIX da tutto il mondo piante di varie specie. Non fa eccezione l’arte del bonsai,
che viene fatta conoscere nel 1853 da Sir Robert Fortune, membro della Royal Horticoltural Society di
Londra. I bonsai vengono fatti conoscere al grande pubblico attraverso le Esposizioni Internazionali
(Londra, Parigi, Vienna) che si susseguono ogni quattro anni nella seconda metà dell’800. La prima
pubblicazione europea sul bonsai intitolata “La formazione degli alberi nani giapponesi” è scritta dal
botanico francese Albert Maumené nel 1902.
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Filosofia
L’arte bonsai è stata fortemente influenzata dalla filosofia Zen. Tale scuola di pensiero nata e sviluppatasi
in Cina, fin dal 520 d.C., venne introdotta in Giappone dal monaco Eisai (1141-1215 d.C.), verso la fine del
XII secolo. Da questo momento tale filosofia si evolve in un vero e proprio sistema di vita, non solo per i
monaci (che si occupano di vari tipi di arte tra cui poesia, pittura, calligrafia, architettura, paesaggistica,
arti marziali) ma anche per i laici. Tutto ciò determina lo sviluppo di una cultura propria e specifica, che
si esprime in varie forme, dal teatro alla musica, dalla poesia alla codificazione della Cerimonia del tè, dal
tiro con l’arco all’arte Bonsai.
Secondo tale pensiero l’artista deve distaccarsi dal mondo materiale e guardare dentro di sé in modo
da cogliere l’essenza della natura e trasferirla nella sua arte. Attraverso l’esercizio spirituale si impegna
quindi a cogliere l’armonia uomo-natura, mirando alla pace.
Così anche il bonsaista deve applicarsi allo studio attento dell’esemplare prescelto e venire in contatto
con lui, ascoltandone i messaggi e cogliendone l’ essenza; solo a questo punto, utilizzando le tecniche
conosciute, potrà iniziare a modellarlo, puntando al raggiungimento della Forma.
ALCUNE TRA LE PIU’ DIFFUSE SPECIE DI BONSAI
Sono davvero moltissime le specie botaniche che possono essere educate a Bonsai. Naturalmente si tratta
di specie che in natura si presentano come alberi od arbusti e possono provenire da ambienti climatici
anche molto diversi fra loro. Tra le specie più conosciute, quelle che si incontrano più frequentemente
provengono dalla Cina o dal Giappone (dove quest’arte è nata), ma è anche abbastanza comune trovare
oggi bonsai ottenuti con specie autoctone. é comunque ormai un’abitudine consolidata effettuare
una prima suddivisione della tipologia delle piante sulla base della possibilità di posizionamento delle
diverse specie nei nostri climi. Questo sistema ha portato quindi a distinguere piante da esterno e
piante da interno. Immediatamente si può capire che questa suddivisione non è precisa, perché specie
che possono essere considerate da interno al Nord Italia, potrebbero essere considerate da esterno al
Centro-Sud. E’ pertanto utile conoscerne i limiti termici per poterle catalogare in un gruppo o nell’altro
e agire di conseguenza per un corretto mantenimento.
Vengono infatti considerate da esterno le specie che nelle nostre condizioni ambientali possono
vivere all’esterno per tutto l’anno, o che vanno eventualmente poste, solo nei periodi più freddi, in
un luogo riparato (una serra fredda - in vetro o in plastica - un angolo ben riparato dal vento…). Si
tratta di conifere o latifoglie, spesso di origine autoctona, che si comportano in tutto e per tutto come
gli alberi in natura, per esempio modificando il colore del loro fogliame con il variare delle stagioni e
perdendo le foglie durante l’inverno. Si parla invece di specie da interno in relazione a quelle piante,
normalmente di origine subtropicale, per le quali sarebbe dannoso scendere sotto certe temperature
(di solito il limite è intorno ai 15°C) e che quindi nei mesi più freddi dell’autunno ed in inverno vanno
protetti all’interno delle nostre case. Quando poi le temperature esterne diventano compatibili, anche
queste specie devono essere trasferite all’esterno dove cresceranno vigorosamente e acquisiranno la
forza necessaria per superare la stagione fredda in casa. Ne analizziamo velocemente alcune tra quelle
che potrete trovare a disposizione nell’ambito dell’iniziativa di Anlaids.
CARMONA macrophylla
Il nome botanico è Ehretia buxifolia, ma è più facilmente conosciuta
come “pseudo pianta del tè”. Della famiglia delle Borraginaceae, in
natura si trova come grande arbusto sempreverde, dalla forma molto
simile ad un albero. Vive spontaneamente nelle zone tropicali, mentre
nei climi temperati è adatto come bonsai d’appartamento. Ha chioma
compatta e foglie piccole, verde intenso. Si possono trovare due diverse
cultivar, una con foglie più piccole dell’altra e leggermente più lenta
nella crescita vegetativa. Interessante caratteristica è la produzione,
a primavera ed inizio estate, di piccoli fiori bianchi che spiccano tra il
verde intenso della chioma, a cui fanno seguito, talvolta, piccole bacche
verdi che, a maturazione, virano ad un rosso vivace. Esposizione: va
posizionata in luoghi molto luminosi. In inverno è preferibile mantenere
la pianta all’interno, in ambienti con temperature tra i 16 e i 24°C. Con la
bella stagione va portata all’esterno in pieno sole, ad eccezione delle ore
più calde della giornata, in cui è preferibile ombreggiare leggermente.
Annaffiatura: è importante mantenere la terra costantemente umida
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durante la stagione vegetativa evitando sia pericolosi ristagni, sia sbalzi
che potrebbero comportare rallentamenti e stress di crescita. In inverno
va ridotta la frequenza, con attenzione a non fare seccare il terreno e ad
umidificare ad intervalli regolari l’apparato fogliare. Concimazione: ogni
15 giorni, dall’inizio della primavera a metà autunno circa. Nella stagione
invernale ridurre la frequenza (ogni 30 giorni) diminuendo anche le dosi.
Rinvaso: ogni due anni, all’inizio della stagione vegetativa. Potatura:
la vegetazione va contenuta con continuità, mediante pizzicature che
mantengano i germogli a 2-3 foglie.
FICUS in diverse specie
Sono numerosissime le specie presenti in questo genere, classificato
nella famiglia delle Moraceae, e con caratteristiche che le possono
rendere anche molto diverse le une dalle altre. La maggior parte di
queste specie proviene dalle foreste tropicali del Sud-est asiatico e
sono state introdotte in Europa in tempi diversi. Caratteristica comune
di gran parte di queste piante è la produzione di lattice bianco, colloso
nel punto di distacco di qualche parte vegetativa. Per l’ottenimento
di bonsai risultano più adatte le specie a foglia piccola, quali Ficus
retusa, a ramificazione eretta, o Ficus panda, dalla foglia arrotondata
e spessa. Esposizione: va posizionata in luoghi con luce molto intensa
e con temperature mai inferiori ai 12°C. E’ buona norma poi che le
temperature siano il più costanti possibile e che non ci siano correnti
d’aria nella stanza.
Annaffiatura: ha bisogno di buone quantità di acqua durante la
stagione vegetativa, riducendo poi in modo deciso durante l’ inverno,
specialmente se la pianta è posizionata in zone poco luminose.
Soprattutto in inverno, con il riscaldamento acceso e quindi umidità
basse, va nebulizzata la chioma con una buona regolarità e il terreno
non deve mai essere lasciato seccare. Concimazione: abbastanza
sostenuta nei periodi di vegetazione in cui la pianta viene annaffiata
in modo consistente. Preferire la somministrazione di dosi più basse
ogni settimana piuttosto che dosi più elevate ogni 15 giorni. Ridurre
notevolmente in inverno, effettuando solo un’azione di mantenimento.
Rinvaso: ad anni alterni, quando la pianta comincia a riprendere
decisamente il vigore vegetativo a seguito del cambio di stagione.
Quando la pianta è matura (sui 10 anni) va fatto solo se necessario.
Potatura: mantenere i nuovi germogli a 2-3 foglie per tutta la stagione
vegetativa, al fine di contenere lo sviluppo in lunghezza dei rami.
SERISSA foetida
Della famiglia delle Rubiaceae, cresce spontaneamente in Cina,
Giappone e India dove si presenta come un arbusto sempreverde.
Molto utilizzata per la produzione di bonsai, si fa apprezzare per il
fogliame piccolo e tenero, benché persistente, e per la corteccia del
tronco, chiara e ben incisa. In estate tende a produrre (se le condizioni
ambientali lo consentono) una notevole massa di fiori bianchi, di forma
stellata, di grande impatto estetico.
Esposizione: predilige una posizione soleggiata, tollerando anche
temperature elevate (è specie di origine subtropicale). In inverno è
necessario mantenere la temperatura al di sopra di 12°C e proteggere
da correnti d’aria fredda. Annaffiatura: abbondante durante tutta la
stagione vegetativa, ponendo attenzione che il terreno non si asciughi
troppo. Durante l’inverno è preferibile mantenere il terreno relativamente
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asciutto (senza far seccare la terra!) al fine di permettere alla pianta un
certo riposo vegetativo. E’ sempre consigliabile spruzzare il fogliame
al fine di mantenere una elevata umidità ambientale. Concimazione:
con regolarità, ogni 15 giorni, durante la stagione vegetativa, usando
fertilizzanti equilibrati, ma ricchi in azoto. Rinvaso: ad anni alterni, quando
la pianta dà segni di risveglio vegetativo deciso, utilizzando terreno ricco
di sostanza organica. Potatura: essendo una pianta che tende a crescere
rapidamente e con internodi lunghi, va controllata con attenzione,
intervenendo molto spesso a cimare la nuova crescita a 1-2 coppie di
foglie mediante pizzicature.
ZELKOVA (Olmo cinese)
Chiamata anche Olmo cinese, questa specie appartiene alla famiglia
delle Ulmaceae. Originaria delle zone caucasiche, in natura è un
possente albero che raggiunge altezze notevoli. Di crescita vigorosa, è
dotato di corti tronchi, eretti, che si dividono in lunghi rami slanciati. Le
foglie, caduche, hanno forma ovale, leggermente appuntita all’apice;
la pagina superiore si presenta di colore verde brillante, mentre quella
inferiore risulta più chiara.
Esposizione: va tenuta all’esterno, in pieno sole per la maggior parte
dell’anno, ombreggiando leggermente nei mesi più caldi. D’inverno
esporre a sud, in zone riparate, o ricoverare all’interno, in ambienti
freschi, non freddi. Annaffiatura: quotidiana in estate, moderata
nelle altre stagioni. E’ bene evitare di far asciugare il terreno tra due
annaffiature successive. Concimazione: settimanale durante il periodo
di produzione delle prime foglie, con un fertilizzante equilibrato; in
seguito ogni 15 giorni, fino ad estate avanzata. Rinvaso: annuale, da
effettuare ad inizio primavera, nei primi anni d’età; quando la pianta
sarà più matura, si dovranno effettuare le scelte in base allo sviluppo
delle radici. Potatura: può essere effettuata in qualsiasi momento,
quando il germoglio ha prodotto 5-6 nodi, riportando al 2° nodo.
Eliminare con continuità le foglie di grandi dimensioni.
LIGUSTRUM
È un arbusto semi-sempreverde, originario del Giappone, da dove
fu introdotto in Europa nel diciannovesimo secolo. Fa parte della
famiglia delle Oleaceae, e nei luoghi d’origine è utilizzato di solito per
la formazione di siepi. E’ dotato di piccole foglie di forma ovale e di
fiori bianchi, che si formano in estate, in forma spesso di pannocchie;
dalla maturazione dei fiori si producono bacche nero-blu, velenose.
Esposizione: all’esterno, in primavera ed estate, mantenendo
condizioni di piena luce. Durante l’inverno è invece necessario
riparare la pianta perché teme le gelate e posizionarla vicino ad una
finestra per sfruttare più luce possibile. Annaffiatura: quotidiana e
particolarmente abbondante durante il periodo primaverile estivo.
Più diradata durante l’inverno. E’ bene evitare di bagnare le foglie in
modo da non favorire possibili attacchi fungini. Concimazione: ogni
quindici giorni, nei periodi di intensa crescita, utilizzando fertilizzanti
equilibrati. è preferibile sospendere la somministrazione durante i due
mesi più caldi. Rinvaso: ogni due anni circa, in primavera, utilizzando
terriccio molto drenante. Potatura: durante la stagione vegetativa va
effettuata una potatura di mantenimento, attraverso la cimatura dei
nuovi germogli. In inverno possono invece essere effettuati tagli più
decisi e di formazione.
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IL MANTENIMENTO
Il bonsai richiede notevoli attenzioni sia per mantenere ed accrescere la sua bellezza, sia per conservare
integro il suo stato di salute. Per raggiungere questi obiettivi è necessario effettuare una serie di operazioni
in modo continuo ed attento. Saranno quindi da evitare cure frettolose e incostanti, perché la pianta
così trattata non riuscirà ad esprimere appieno la sua bellezza e vigoria, ma tenderà a “sopravvivere”,
dando risultati estetici poco piacevoli. Tutte le piante, per svilupparsi in modo armonico, hanno la
necessità di trovarsi in condizioni ottimali. Vengono dette fattori di crescita alcune caratteristiche che
determinano queste condizioni quali Luce, Umidità, Calore, Composizione dell’aria (fattori climatici) e
Acqua e Sostanze nutritive (fattori del terreno). Solo in presenza di fattori consoni alla crescita, la nostra
pianta riuscirà a innescare e svolgere correttamente tutti i meccanismi biochimici che le consentiranno
di svilupparsi e crescere armoniosamente.
Nutrimento
Gli organismi viventi per svilupparsi, accrescersi e riprodursi, hanno bisogno di sostanze con le quali
“costruire” i loro tessuti o produrre le reazioni che ne permetteranno la costruzione. Queste sostanze
sono rappresentate fondamentalmente da elementi chimici che le piante in natura traggono
spontaneamente dal substrato in cui vivono mediante le radici e attraverso l’azione dell’acqua.
Al contrario che in natura, dove tali elementi sono a disposizione in grande quantità, nei piccoli vasi nei
quali teniamo le nostre piante non esiste una grande riserva di elementi nutritivi. Pertanto essi devono
essere apportati artificialmente, attraverso la concimazione, in modo adeguato alle esigenze e al ciclo
vitale della pianta. Gli elementi nutritivi si possono distinguere in macroelementi e microelementi, in
base alla quantità richiesta dal vegetale. Tra i primi troviamo azoto, fosforo, potassio, calcio e zolfo; tra i
secondi magnesio, ferro, rame, manganese ed altri ancora.
Azoto (N)
Fondamentale per la vita della pianta, è componente essenziale degli aminoacidi, delle proteine e degli
acidi nucleici. Viene fondamentalmente ricavato dalla decomposizione della sostanza organica. La forma più
facilmente assorbita dalle piante è quella nitrica (NO3-), che però è anche quella più facilmente dilavabile.
La sua carenza determina clorosi (ingiallimento) generale delle foglie ed un forte rallentamento della crescita.
Fosforo (P)
Partecipa a molti processi tra i quali la fotosintesi, il trasporto di energia, il metabolismo deicarboidrati.
E’ presente negli acidi nucleici e nelle pareti cellulari. E’ indispensabile per l’accrescimento della vegetazione e
dell’apparato radicale ed per lo sviluppo di fiori e frutti.
Potassio (K)
Elemento di fondamentale importanza nella regolazione del bilancio idrico della pianta, interviene anche nel
metabolismo dei composti azotati.
Calcio (Ca)
Spesso sottovalutato, tale elemento fa parte dei costituenti della parete cellulare e regola l’elasticità delle cellule;
inoltre attiva un certo numero di enzimi ed agisce sull’equilibrio salino, neutralizzando acidi organici e minerali.
In natura non è facile notare carenze di questo elemento, mentre le piante in contenitore, soprattutto quelle
che utilizzano substrato organico acido e acqua non calcarea, possono mostrare, a lungo andare, ingiallimenti
e deformazioni delle foglie giovani con comparsa di macchie nerastre sui bordi e sulle nervature (necrosi).
Magnesio (Mg)
Svolge fondamentalmente un ruolo elettrochimico, formando sali ed entrando nella regolazione del pH. Una
parte di questo elemento è costituente della clorofilla, ed ha una funzione nel funzionamento della fotosintesi.
La carenza si manifesta a partire dalle foglie più basse, con schiarimento del colore delle foglie nella zona tra
le nervature.
Zolfo (S)
Entra nella costituzione degli aminoacidi e delle proteine e partecipa alla sintesi delle vitamine.
La carenza è molto rara in quanto sono numerose le fonti di apporto, anche indiretto, di tale elemento.
Ferro (Fe)
Svolge un ruolo catalitico e metabolico, intervenendo nei processi di ossidoriduzione. La sua carenza si
manifesta con la cosiddetta clorosi ferrica, ingiallimento generalizzato che interessa le foglie giovani, le cui
nervature restano però verdi.
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L’apporto delle sostanze nutritive attraverso la concimazione prevede la somministrazione di fertilizzanti,
sostanze di origine organica o minerale, che, “sciogliendosi”, mettono a disposizione gli elementi o parte
degli elementi di cui dispongono. I fertilizzanti organici, quali il letame, la farina d’ossa, il sangue secco, la
cornunghia e molti altri, agiscono in modo molto lento dovendo subire reazioni di mineralizzazione da
parte di microrganismi, ma sono di solito preferiti dai bonsaisti. L’azione fertilizzante di queste sostanze
è abbastanza blanda, ma la loro presenza favorisce la formazione di una ottima struttura del terreno.
I fertilizzanti chimici minerali sono invece più veloci ed efficaci nella loro azione nutritiva e per certi versi
di più semplice utilizzo; richiedono però buone conoscenze tecniche e consapevolezza del rischio di
errori. Le tipologie disponibili in commercio sono molte (polvere, granuli, liquidi) e possono contenere
uno o più elementi nutritivi principali (binari=2 elementi; ternari=3 elementi).
Per il nostro utilizzo sarà importante servirsi di concimi equilibrati, dotati cioè di più elementi nutritivi
formulati insieme (N, P, K + microelementi) in proporzioni adeguate alle necessità della pianta.
La somministrazione verrà fatta disponendo il fertilizzante nel terriccio o sulla sua superficie, oppure,
nel caso di prodotti minerali solubili o liquidi, sciogliendolo in acqua.
Questa ultima tecnica, detta fertirrigazione, risulta particolarmente interessante per le piante in vaso,
perché permette di scegliere tipo di fertilizzante e dose a seconda dello stadio di sviluppo della pianta,
seguendone così le esigenze in modo preciso. Durante la fase vegetativa potremo quindi aumentare
le percentuali di Azoto, mentre in vicinanza dell’inizio della fase generativa potremo aumentare le
percentuali di Fosforo e Potassio.
Ma oltre al tipo di fertilizzante che useremo, dovremo anche valutarne sia la quantità che scioglieremo
per unità di solvente (grammi di fertilizzante per litro di acqua), sia ancora la frequenza degli interventi.
Vale la pena ricordare innanzitutto che i fertilizzanti minerali che si trovano in commercio altro non sono
che sali. Quindi quando vengono sciolti nell’acqua producono una certa “salinità” che, se eccessiva, può
danneggiare le radichette più sottili e giovani (che sono anche le più attive). Poiché questa caratteristica
dipende dalla concentrazione del sale disciolto, è meglio distribuire in due volte una stessa dose di
fertilizzante, piuttosto che somministrarla in una volta sola. La fertirrigazione ci aiuta in questo, dandoci
la possibilità di aggiungere spesso all’acqua di irrigazione piccole quantità di fertilizzante in modo che
esso possa essere sfruttato totalmente dalle radici senza pericolo di alterazioni. E’ certamente questo il
sistema da consigliare a chi si avvicina per la prima volta al mondo dei bonsai: semplice, di veloce e facile
applicazione, permette di utilizzare fertilizzanti liquidi facilmente reperibili in commercio, con formulazioni
già realizzate per piante con diverse esigenze.
Irrigazione
L’acqua è il costituente principale degli organismi viventi e svolge una serie di funzioni notevoli, da
quella meccanica (pressione di turgore) a quella termica (regolatore di temperatura interna), da quella
di solubilizzazione, trasporto e messa a disposizione delle sostanze minerali disciolte a quella di
partecipazione ad un grande numero di reazioni chimiche.
La pianta deve quindi avere a disposizione sempre una certa quantità di acqua per svolgere le sue
funzioni, ma nella giusta dose. Eccessi o carenze si traducono rapidamente in sofferenza e se duraturi,
in danni anche molto seri.
La carenza di acqua si manifesta con una visibile sofferenza immediata della pianta. Dapprima le parti più
giovani dell’albero e l’intero apparato fogliare mostrano un certo appassimento; successivamente, con il
prolungarsi dello stato di carenza, la situazione tende ad evolversi in un progressivo disseccamento che
andrà ad interessare anche le parti lignificate. Esiste un punto dal quale non sarà più possibile ritornare
(punto di avvizzimento) e quindi la pianta morirà. L’eccesso di acqua mostra per lo più gli stessi sintomi della
carenza, in quanto la pianta, per autodifesa, tende a bloccarne l’assorbimento. La condizione di ristagno
poi, porta ad asfissia delle radici e ad insorgenza di condizioni favorevoli allo sviluppo di microrganismi
patogeni capaci di attaccare l’apparato radicale. L’utilizzo dell’acqua da parte delle piante è legato a
molti fattori, climatico-ambientali (temperatura, quantità di luce, umidità dell’aria…), biologici (stadio
di crescita, età, caratteristiche genetiche…), di mantenimento (tipo terriccio, dimensioni del vaso…).
Ne scaturisce la consapevolezza che non è affatto semplice stabilire in partenza quanta acqua ci
vorrà per quella pianta e quante volte alla settimana dovrà essere somministrata. Solo con un po’ di
esperienza e di applicazione si acquisirà la sensibilità di capire le necessità della pianta, e di intervenire
senza paura di sbagliare. Nella pratica, con l’apporto di acqua al terriccio provocheremo il riempimento
di tutti gli spazi vuoti presenti nel substrato (vedi capitolo sul terriccio), normalmente a disposizione
di aria ed acqua (rispettivamente macropori e micropori). L’acqua in eccesso (quella che va a
riempire gli spazi a disposizione dell’aria) sgronderà attraverso i fori posti sul fondo del vaso.
Quella che invece occuperà i micropori, costituirà in pratica una specie di “serbatoio”, parte del quale
potrà essere sfruttato dalla pianta attraverso l’azione delle radici.
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Quando questo “serbatoio” sarà vuoto, dovremo nuovamente intervenire con una bagnatura. Non
si dovrà mai aspettare che il terriccio sia troppo asciutto (in profondità, non solo superficialmente)
altrimenti il substrato, a causa delle sue caratteristiche fisicochimiche, non sarà in grado di
trattenere l’acqua nel “serbatoio”. Esso infatti si comporta un po’ come una spugna: se è asciutta non
trattiene l’acqua e la fa scorrere via; se invece è umida, allora è in grado di trattenere molta acqua.
Le tecniche con le quali l’acqua viene apportata alla pianta possono essere
ricondotte fondamentalmente a due tipologie:
- l’annaffiatura, che prevede la distribuzione sopra al vaso
- la subirrigazione, mediante la quale si fa giungere l’acqua dalla parte inferiore del vaso,
attraverso i fori presenti per lo sgrondo dell’acqua in eccesso.
Nel primo caso si fa in modo che l’acqua scorra attraverso il terriccio dall’alto verso il basso. L’acqua
in eccesso sgronda facilmente e, in assenza di un piattino che trattenga l’acqua sul fondo del vaso, è
praticamente impossibile provocare problemi di ristagno. Si tratta di un sistema che a lungo dilava il
terriccio degli elementi nutritivi fissati nel substrato, impoverendolo. E’ però adatto per la fertirrigazione
e quindi permette una facile ricomposizione dell’equilibrio nutritivo.
Nel secondo caso si sfrutta la capacità del substrato di “assorbire” l’acqua e per mezzo del potenziale
capillare farla arrivare dal basso in alto. Basterà quindi immergere la parte basale del vaso in una vaschetta
piena d’acqua perché il substrato “si arrangi” ad assorbire. Si tratta di un metodo comodo, ma molto
rischioso, in quanto richiede grande attenzione: guai dimenticarsi il vaso dentro alla vaschetta; l’acqua in
eccesso non riuscirebbe a sgrondare e a liberare le zone che devono essere lasciate a disposizione dell’aria,
provocando in breve l’asfissia delle radici.Vale la pena aggiungere la considerazione che in generale
sarebbe preferibile l’apporto di una ridotta quantità di acqua ad intervalli abbastanza brevi (ogni giorno),
facendo grande attenzione a non superare mai il primo stadio di appassimento, piuttosto che di grandi
quantità ad intervalli lunghi (4-5 giorni). In condizioni di emergenza si può intervenire immergendo
completamente il vaso in acqua per alcuni minuti, garantendo così una rapida imbibizione di tutto il terreno.
Nel caso in cui non vi siano stati danni irreparabili, la pianta riprenderà vigore entro qualche ora.
La necessità d’acqua varia quindi a seconda di molte condizioni e prima di intervenire va valutato
correttamente lo stato di ogni singola pianta. In estate le piante in vasi piccoli e quelle esposte al sole
sono maggiormente soggette alla disidratazione ed al “colpo di calore”. In queste condizioni si dovrà
intervenire con frequenti ed abbondanti bagnature, preferibilmente nelle prime ore del mattino ed al
tramonto, per evitare shock termici alle radici. D’inverno sarà sufficiente bagnare ogni due o tre giorni,
agendo di preferenza nelle ore più calde, per favorire l’assorbimento. Questo vale in misura maggiore
per piante poste all’esterno, in quanto effettuando un intervento nel tardo pomeriggio non ci sarebbe
la possibilità di un totale assorbimento e l’abbassamento della temperatura seguente farebbe gelare
l’acqua, provocando la rottura delle radichette. Con la primavera cresce il fabbisogno d’acqua nelle
piante, soprattutto in quelle da fiore. Le piante in ombra od esposte al sole solo poche ore al giorno
asciugheranno meno di quelle in pieno sole dall’alba al tramonto.
Riguardo i terricci va considerato che quelli più drenanti (sabbiosi o ricchi di scheletro) sono in grado di
sopportare meglio anche bagnature consistenti, in quanto, grazie alla notevole presenza di macropori,
permettono all’acqua in eccesso di sgrondare velocemente. D’altro canto questi stessi terricci devono
essere seguiti con maggiore attenzione nella stagione calda, perché la scarsa ritenzione idrica non
permette la formazione di riserve adeguate a sopportare la richiesta delle piante.
Va prestata attenzione anche alla temperatura dell’acqua che viene somministrata al fine di non
determinare shock termici. Un consiglio pratico consiste nel non utilizzare acqua più fredda di 3-4 gradi
né più calda di 6-8 gradi rispetto alla temperatura ambientale. Dal punto di vista climatico va ricordato
che in condizioni ventose aumenta la disidratazione, così come in un clima secco, mentre la presenza di
muschio sulla superficie del terriccio aiuta a mantenere un grado di umidità maggiore.
Qualità dell’acqua
Le caratteristiche chimico fisiche dell’acqua che viene utilizzata sono particolarmente importanti in
quanto le continue annaffiature e quindi il grande volume che viene a contatto con i nostri bonsai,
possono provocare modificazioni lente, ma decisive, sia al terreno sia allo stato della pianta stessa.
La prima considerazione che va fatta in questo senso è legata all’origine dell’acqua utilizzata. Diverse
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infatti possono essere le fonti dalle quali ci approvvigioniamo (acquedotto, pozzo, pioggia…) e ognuna
di queste dà origine ad acque di diversa qualità. Normalmente siamo portati a valutare la bontà dell’acqua
sulla base di parametri adatti all’utilizzo umano, non su quelli adatti alle piante. Poiché però una parte
di tali parametri differiscono, non è infrequente che l’uso prolungato di acque che noi consideriamo
“buone”, provochino problemi ai nostri bonsai.
Infatti nell’acqua sono disciolti o dispersi vari elementi; alcuni sono vantaggiosi per la pianta, altri invece
causano problemi. Tra i negativi, il calcare è il peggiore. A lungo andare la sua presenza determina
incrementi di pH del substrato con alterazione dell’equilibrio nutritivo. Esso inoltre precipita andando
a rivestire i peli radicali e limitandone gli scambi. Se poi l’acqua viene somministrata sulla chioma, può
formare macchie biancastre localizzate sulla superficie delle foglie limitando l’efficienza fotosintetica e
gli scambi gassosi.
Una valida alternativa ad acque ricche di calcare è costituita dall’uso di acqua demineralizzata, oppure di
acqua distillata. In questo caso va assolutamente ricordato che diventa ancora più importante l’apporto
di elementi minerali, sia micro che macroelementi, attraverso la concimazione. Buona pratica può essere
quella di mescolare acqua di acquedotto e acqua demineralizzata o distillata, in modo da stemperare i
fattori negativi di entrambe.
Posizionamento
Per lo sviluppo corretto del nostro bonsai sono molto importanti i fattori climatici di crescita: luce,
temperatura, umidità e composizione dell’aria. Tali fattori sono in diretta dipendenza con l’ambiente in
cui verrà posizionato.
ìLa luce, intesa come quantità (intensità) e qualità (tipo di luce incidente), è determinante per una
corretta crescita: i bonsai vanno pertanto ben esposti, meglio se collocati sopra un qualsiasi elemento
rialzato, in modo da evitare fenomeni di concorrenza della luce con altre piante vicine e da migliorare
la circolazione dell’aria. La luce è fondamentale per la crescita sia attraverso l’attivazione del processo
della fotosintesi, che permette alla pianta di “costruirsi” gli elementi base per la crescita, sia attraverso
l’attivazione dei processi di fotomorfogenesi, cioè della regolazione della crescita e dello sviluppo.
Circa la temperatura è importante tenere in considerazione la zona di origine della nostra specie. Le
piante sono infatti in grado di sopportare in misura diversa temperature fredde o calde, in funzione
fondamentalmente delle loro caratteristiche genetiche. Ecco perché, in modo molto sintetico, si può
parlare di bonsai da interno o da esterno. I primi sono quelli che alle nostre condizioni climatiche, vanno
ricoverati durante l’inverno e tenuti a temperature che non devono scendere sotto certi valori. Si tratta
per lo più di piante di origine tropicale o subtropicale, che in natura vivono normalmente a temperature
costanti durante tutto l’anno.
Le seconde sono invece rappresentate da specie adattate al nostro ambiente e che possono sopportare
temperature rigide attraverso l’attivazione di un fenomeno di dormienza.
L’umidità ambientale è altro fattore importante perché regola il fenomeno della traspirazione e quindi
dell’assorbimento idrico e nutrizionale. Ambienti troppo asciutti, come per esempio quelli dei nostri
appartamenti durante la stagione invernale, rappresentano un pericolo per le piante. In queste condizioni
la traspirazione tende ad essere troppo elevata, al punto da non essere equilibrata da un assorbimento
adeguato e quindi a giungere facilmente ad una situazione di stress. Se a questo si aggiunge poi il fatto
che tale fenomeno viene accompagnato da una ridotta intensità luminosa e quindi dall’incapacità da
parte della pianta di mettere in moto meccanismi di crescita attivi, si comprende come lo stress divenga
veramente elevato.
Tra le attenzioni che devono essere poste, è utile ricordare che vanno evitati spostamenti bruschi e
frequenti da una situazione ambientale (anche microambientale, quale quella che si instaura in zone
diverse della stessa stanza) ad un’altra: le piante hanno bisogno di adeguarsi gradualmente a simili
mutamenti. Spostamenti improvvisi possono causare problemi, come la caduta delle gemme o dei fiori,
dei frutti o delle foglie, l’avvizzimento, la bruciatura delle foglie o addirittura la morte della pianta.
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Rinvaso - trapianto
Il periodico cambio del vaso è un’operazione indispensabile per consentire una crescita sana ed armonica
del bonsai. Bisogna infatti considerare che se in natura la pianta resta sempre nella stessa sede e il suo
apparato radicale può così espandersi in modo libero alla ricerca dell’acqua dell’aria e dei nutrienti, nelle
condizioni di vaso o contenitore le radici sono costrette in uno spazio ben delimitato, talvolta angusto. Tale
situazione, abbinata alla continua crescita, fa sì che lo spazio a disposizione dell’apparato radicale divenga
via via sempre inferiore, e ad un certo punto il volume del terreno sia insufficiente per contenere nella
giusta proporzione acqua, aria e radici.
Da una parte pertanto si dovrà agire per contenere la crescita della radice, favorendo lo sviluppo e
l’accrescimento di determinate sue parti; dall’altra si dovrà mettere a disposizione maggiore spazio e
rinnovare il substrato. A queste ragioni tecniche se ne legano poi di estetiche, connesse al fatto che mano
a mano che la pianta si accresce, essa dovrà essere posta in un contenitore che permetta il raggiungimento
di un rapporto volumetrico con la chioma proporzionato ed armonico. L’operazione deve prevedere
attenzioni particolari, perché può presentare, soprattutto nel caso di piante pregiate, un certo rischio.
I periodi più adatti al rinvaso sono due: quello primaverile e quello autunnale. Nel primo caso l’operazione
si effettuerà al risveglio vegetativo, alla evidenziazione delle prime gemme, quando la pianta è in grado di
sopportare più facilmente lo stress da trapianto e di emettere rapidamente nuove radichette. Per le piante di
origine mediterranea o tropicale sarà il caso di posticipare il momento. Per le prime si attenderà almeno un
altro mese; per le seconde (Ficus, Carmona …) sarà preferibile attendere la fine della primavera, quando le
temperature si stabilizzeranno intorno ai 18-20°. L’altro periodo indicato è quello autunnale. In questo caso
bisognerà fare maggior attenzione che non in primavera alla integrità delle radici, a causa del poco tempo a
disposizione per la ripresa dell’attività prima della stasi vegetativa. In occasione del rinvaso, una delle pratiche
più delicate da effettuare è la riduzione delle radici, in modo da limitarne il volume e rinnovarne il vigore. Tale
operazione va però sempre abbinata ad una riduzione dell’apparato vegetativo, in quanto la diminuzione
delle radici porterà con sé una immediata minore capacità di assorbimento di acqua ed elementi nutritivi
e quindi l’ impossibilità a sostenere il mantenimento della chioma di partenza. Si dovrà quindi mirare a
mantenere un buon equilibrio tra parte aerea e sotterranea. Prima del rinvaso sarà buona cura far asciugare il
terriccio (non seccare!) così da favorire il distacco dalle radici mantenendone il più possibile l’integrità. A quel
punto sarà necessario collocare il vaso di partenza su un tavolo. Reciso il filo di ferro che mantiene fissa nel
vaso la base della pianta, con una mano si impugnerà saldamente la base del tronco sollevando la pianta,
mentre con l’altra si darà un colpo secco dall’alto verso il basso al bordo del contenitore per farlo scendere.
Da questo punto in poi sarà necessario
procedere con la massima delicatezza e
senza fretta. Dopo aver deposto la pianta
sul tavolo, si dovrà asportare il terriccio
trattenuto tra le radici. Per lo scopo sarà
utile un sottile attrezzo a punta col quale si
agirà delicatamente, procedendo dalla base
del tronco verso la periferia, così liberando
dal terriccio dapprima le radici più grosse e
vecchie, poi, mano a mano, quelle sempre
più piccole.
Al termine dell’operazione, che va fatta
con pazienza e molta calma, apparirà in
tutta la sua complessità l’apparato radicale,
che risultando più ordinato, potrà esser
lavorato con meno difficoltà, riducendone le
dimensioni ed eliminando le radici morte o
poco vitali.
In ogni caso, si procederà al lavaggio delle
radici per togliere i residui di terriccio.
A questo punto il pane radicale verrà
protetto con un panno leggero mantenuto
costantemente umido per prevenire il
disseccamento dei capillari. Si potrà quindi
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procedere alla preparazione del vaso. E’
sempre consigliabile ancorare la pianta al
vaso al fine di evitare scuotimenti e attriti tra
terriccio e contenitore e tra parti diverse del
terriccio, movimenti che potrebbero portare
a rotture delle radichette o scarsa solidità
della pianta. A questo scopo verranno fatti
passare uno o più fili metallici attraverso i
fori posti nel fondo del vaso e si fisseranno
a grosse radici o, in mancanza, alla base del
tronco.
Prima di deporre la pianta nel vaso,
va posizionato sul fondo uno strato di
substrato più grossolano (si usa per lo più
akadama) (Foto 4), sul quale si adageranno
le radici, disponendole il più possibile a
raggiera. Quindi si legherà la pianta e poi si
procederà a versare il terriccio e a distribuirlo
omogeneamente, utilizzando un sottile
bastoncino di legno.
Al termine dell’operazione si dovrà
somministrare dall’alto una abbondante
annaffiatura, in modo da favorire l’espulsione
dal substrato della frazione polverulenta.
Potatura
Si tratta della pratica che prevede l’asportazione di rami interi o loro parti ed è fondamentale sia nella
fase di impostazione del bonsai sia in quella di mantenimento della forma.
Potature di formazione: vengono praticate nella primissima fase della lavorazione del bonsai e
prevedono la rielaborazione della impalcatura esistente per impostare la forma e la proporzione
desiderata. Questa prima operazione va fatta in funzione sia dell’obiettivo stilistico, sia della capacità
della pianta di produrre ramificazioni secondarie. Nelle conifere, ad esempio, è necessario lasciare
almeno una o due gemme sul tratto di ramo residuo in quanto queste specie non sono in grado di
germogliare dopo una potatura. In molte latifoglie (aceri, olmi, zelcove, olivi, querce e così via), al
contrario, tale problema non sussiste, essendo queste specie in grado di emettere nuove gemme in ogni
porzione del tronco e dei rami. Questa capacità fa sì che, in esemplari di notevole altezza, sia possibile
addirittura effettuare una capitozzatura, cioè l’eliminazione totale di tutta la porzione aerea.
Potature di mantenimento: hanno lo scopo di mantenere la forma impostata e di promuovere
l’infoltimento dei palchi. Vengono largamente utilizzate su latifoglie e consistono nell’asportazione
di rametti cresciuti in zone indesiderate o nel taglio di estremità di rametti (spuntatura). Quest’ultima
pratica, stimola l’emissione di gemme secondarie, e quindi il germogliamento di nuovi rametti da quello
iniziale. Con spuntature successive a partire da un unico rametto si potrà ottenere col tempo un intero
palco.
Pizzicature: si effettuano con le dita, sulle parti verdi e tenere, in modo differente a seconda delle specie.
Normalmente vengono asportati con questa tecnica gli apici vegetativi e l’operazione viene effettuata
con continuità e frequenza molto alta. Nelle latifoglie e nei larici si procede dalla primavera in poi alla
cimatura del rametto non ancora lignificato al primo o al secondo internodo.
Vale la pena sottolineare che non si deve “aver paura“ di potare le piante di bonsai. Spesso infatti questa
pratica viene vista dai neofiti o dalle persone con scarsa esperienza come una “violenza”. In realtà si
potrebbe dire che è vero il contrario. La spuntatura o la pizzicatura fatta nel modo e nei tempi corretti
diventano un sistema, oltre che per mantenere la forma e l’eleganza del nostro bonsai, per stimolare la
produzione di nuovi germogli e quindi rinvigorire la pianta. Un po’ come succede per molte siepi e rosai
dei nostri giardini.
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Malattie e cure
Può succedere che le nostre piante si
“ammalino” oppure che vengano attaccate
da piccoli animali che le danneggiano. Il
più delle volte questi problemi nascono
dal fatto che la pianta si viene a trovare in
condizioni non ideali per il suo sviluppo
e quindi diviene più facilmente oggetto
di attacchi. E’ quindi chiaro che la prima
regola da seguire per avere una pianta sana
è quella di non provocare stress ambientali,
idrici o nutrizionali. Seguire in modo attento
questa regola permette di evitare gran parte
dei problemi fitopatologici più comuni.
Dal punto di vista ambientale è molto
importante evitare forti squilibri termici.
La temperatura critica dipende dal tipo di
pianta e dalla sua origine: le specie tropicali
si danneggiano irrimediabilmente già a
temperature vicine allo 0, mentre alcune
specie di conifere, per esempio, possono
resistere fino a -50°C. Da considerare con
attenzione anche alcune particolarità come
la velocità di raffreddamento (tanto più
dannosa quanto più rapida), la dimensione
del vaso (le piante in vasi piccoli presentano
maggiori rischi) ed il tipo di substrato (legato
alla sua capacità di trattenere più o meno
l’acqua e quindi di gelare).
Va inoltre considerato il periodo in cui il freddo agisce: in inverno le piante da esterno si sono “preparate”
a sopportare temperature fredde. Saranno perciò danneggiate solo nel caso di forti gelate, che potranno
provocare morte e caduta delle gemme, lesioni su tronchi e rami, necrosi delle radichette.
Quando invece, all’inizio della primavera, le stesse piante si sono “risvegliate” si presentano in una
condizione di maggiore precarietà; abbassamenti rapidi di pochi gradi sotto lo zero saranno sufficienti
per determinare danni alle foglie con accartocciamenti, necrosi e caduta. Il caldo produce invece
danni molto più repentini e spesso irreparabili: arresto delle funzioni vitali, con appassimento e
necrosi di foglie, fiori e frutti. Nel caso del colpo di calore prolungato potrà essere compromessa la
vita della pianta.
Le patologie vere e proprie sono dovute a microrganismi,
di tipo anche molto diverso:
·VIRUS: colpiscono varie piante ornamentali, e la loro diffusione come patogeni vegetali sta crescendo rapidamente. Sono diagnosticabili solo da esperti e non sono trattabili.
·BATTERI: possono interessare i bonsai abbastanza occasionalmente e sono di difficile diagnosi e cura.
·FUNGHI: si tratta di microrganismi che possono svilupparsi sulla superficie del corpo dell’ospite, oppure penetrare all’interno dei tessuti vegetali e diffondersi. Si riproducono sia per via asessuata,
con formazione di strutture di diffusione detti conidi, sia per via sessuata con produzione di spore,
in grado di resistere a lungo anche in condizioni ambientali estreme, non consone allo sviluppo
del fungo.
Tra le patologie fungine più comuni possiamo indicare:
MUFFA GRIGIA: malattia provocata dal fungo Botryotinia fuckeliana (=Botritis cinerea), si manifesta su
moltissime specie colpendo foglie, rametti giovani, fiori. Sulle prime provoca macchie giallastre (clorosi)
che poi virano di colore divenendo scure; dapprima isolate, si riuniscono provocando il disseccamento
completo della foglia. Sui rametti giovani determina imbrunimento e disseccamento degli apici, mentre
su quelli più adulti, provoca formazione di tacche brune sia nei nodi che negli internodi. Caratteristica
peculiare è la formazione, esternamente, di una specie di muffa grigiastra, formata dalle ife della forma
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agamica, dalla quale fuoriescono le strutture che producono i conidi, cioè gli organi di diffusione. Il
patogeno attacca fondamentalmente quando la pianta si trova in condizioni di “debolezza” ed è
favorita da condizioni di presenza di acqua, caldo e umidità. La prima lotta è di tipo preventivo e mira a
mantenere delle condizioni diverse da quelle che favoriscono lo sviluppo del fungo. Nel caso di attacco
è necessario asportare con attenzione le parti colpite. Possono essere usati prodotti antibotritici.
OIDIO O MAL BIANCO: questa dizione indica una malattia che pur avendo sintomi molto simili, è in
verità determinata da molte specie fungine, specializzate secondo l’ospite. Si manifesta su rosaceae,
querce, aceri, provocando macchie clorotiche che poi necrotizzano e accartocciamenti delle foglie;
successivamente, sulla superficie dell’organo colpito può verificarsi la produzione di una lanugine
biancastra facilmente asportabile. Si può intervenire attraverso la potatura delle parti colpite in modo
più deciso e l’uso di prodotti antioidici.
RUGGINE: malattia provocata da una famiglia di funghi (Puccinia spp.) che colpisce prunus e conifere
quali il ginepro, il pino e l’abete. È caratterizzata dalla comparsa, nel periodo primaverile, di piccole
pustole colorate sulla superficie interna delle foglie. Successivamente tali lesioni si aprono mostrando
una polvere biancastra. La malattia è favorita da primavere intensamente piovose. La lotta consiste nel
ricorso a prodotti a base di rame e di zolfo. Danni di particolare consistenza possono essere provocati
da artropodi fitofagi, che si nutrono della parte verde della pianta grazie al loro apparato boccale
masticatore, oppure sono in grado di aspirarne la linfa mediante un apparato pungente-succhiatore.
Si diffondono con facilità dagli spazi verdi circostanti o da balconi e terrazzi vicini.
Tra gli insetti possiamo ricordare:
AFIDI: insetti caratterizzati da cicli biologici complessi e rapidi, con individui di aspetto diverso e
differenti funzioni. Possono essere sia alati che atteri ed attaccano tutte le piante. Colonizzano le parti
verdi dei vegetali, arrivando a ricoprirne l’intera superficie. Agiscono aspirando la linfa e alterando la
struttura fisica della parte colpita a causa dell’azione meccanica e chimica dell’apparato succhiante; ne
conseguono distruzione dei tessuti, raggrinzimento delle foglie che seccano e cadono, crescita stentata
dei germogli, e anche iperplasie con sviluppo di tumori. Pur avendo molti nemici naturali tra gli insetti,
richiedono spesso trattamenti aficidi.
COCCINIGLIA: insetto globoso, con apparato boccale pungente e succhiante, attero nella forma
femminile, alato nella forma maschile. In stadio adulto, gli individui si posizionano in modo definitivo
su foglie, rami, tronchi non spostandosi più e producendo, ricoprendosene per protezione: cere o sete.
Agiscono sottraendo linfa, provocando danni meccanici, ed espellendo, attraverso strutture anatomiche
particolari, sostanze zuccherine che ostacolano l’attività di scambio della parte colpita, abbassando
l’efficienza dell’attività fotosintetica. Ne conseguono ingiallimenti e successive cadute di foglie.
Danni possono essere provocati anche da altri tipi di piccoli animali
tra i quali possiamo ricordare:
ACARI (ragnetti rossi e gialli): artropodi invisibili ad occhio nudo, caratterizzati da un corpo rotondeggiante
o piriforme. Attaccano le latifoglie, in particolare le piante da frutto, il biancospino e l’olmo. L’acaro
sverna nell’uovo deposto su giovani rami, schiude la primavera successiva e in breve tempo si trasforma
in adulto in grado di riprodursi. La rapidità con cui si chiude il ciclo fa sì che si possano produrre un
elevato numero di generazioni e quindi un grande numero di individui che potranno attaccare gli ospiti.
Attraverso la loro attività trofica, che viene effettuata per assorbimento della linfa mediante l’utilizzo
di un apparato pungentesucchiatore viene provocato un rapido deperimento della pianta ospite,
che mostra dapprima ingiallimenti delle parti più giovani, deformazione degli organi e necrosi finale.
Temperature intorno ai 30°C e bassa umidità ambientale sono i fattori che maggiormente favoriscono
la veloce chiusura del ciclo. Sarà pertanto importante la lotta preventiva attraverso il mantenimento di
condizioni sfavorevoli all’acaro. E’ inoltre possibile utilizzare prodotti acaricidi.
NEMATODI: simili a delle “anguillule” presenti per lo più nel terreno di coltura o apportati con acqua,
attaccano le radici di fruttifere, conifere e piante da fiore. Penetrano nelle radici determinando
disorganizzazione dei tessuti, intossicando la pianta con produzione di sostanze derivanti dall’idrolisi
di composti vegetali, e favorendo la penetrazione di microrganismi patogeni. L’apparato radicale così
compromesso non sarà più in grado di far fronte alle esigenze della parte vegetativa che andrà incontro
a deperimento, con produzione di foglie più piccole e clorotiche e diminuzione della fruttificazione.
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MOLLUSCHI: invertebrati tra i quali rivestono interesse dal punto di vista fitopatologico solo i Limacidi,
lumache prive di guscio (dette infatti Limacce). Di abitudini notturne, fuoriescono da fessure ed anfratti
dove si sono rintanati durante il giorno, e risalgono, strisciando sulle piante, a nutrirsi di foglie e germogli,
lasciando caratteristiche bave a testimonianza del loro passaggio. Si eliminano manualmente oppure
ricorrendo ad esche lumachicide.
CONCLUSIONE
Qui terminano queste note per aiutarvi a mantenere in salute il vostro bonsai. Seguite con amore e
passione la pianta che avete acquistato durante la nostra iniziativa: il Bonsai, così come le persone
malate di AIDS, ha bisogno di cure ed attenzioni continue. Vogliamo inoltre ricordare che i Bonsai
hanno contribuito in modo concreto da 20 anni ad attivare e finanziare progetti di informazione,
assistenza e di ricerca della nostra associazione e davvero possiamo ribadire che UN BONSAI PER
ANLAIDS: il Bonsai aiuta la lotta contro l’AIDS.
ANLAIDS ONLUS
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