un uomo una pianta - Corpo Forestale dello Stato

Il Forestale n. 70
17-10-2012
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UN UOMO UNA PIANTA
Padre Cheron
e la Sophora japonica L.
Passione, determinazione e coraggio, queste sono le
doti che hanno caratterizzato la vita di Pierre Nicolas
Cheron d’Incarville, un padre gesuita, letterato e viaggiatore, ma anche appassionato botanico, entrato
nella storia per essere stato il primo occidentale a
scoprire alberi e piante provenienti dalla Cina, dai fiori
meravigliosi e dalle virtù salutari, come: il kiwi
(Actinidia chinensis Planch.), l’Ailanto (Ailanthus altissima (Mill.) Swingle), la Lagerstroemia (Lagerstroemia
indica L.), la Koelreuteria (Koelreuteria paniculata
Laxm.), la Cedrela (Cedrela sinensis Juss.) e la
Sophora japonica L. l’albero di cui ci occupiamo in
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questo numero. Pierre Nicolas Cheron nasce nel 1706
in un piccolo paese dell’Alta Normandia chiamato
Incarville, nei pressi della città di Louviers. Compie i
suoi studi al seminario gesuita di Rouen e dopo essersi trasferito a Parigi, dove viene ordinato sacerdote nel
1727, decide di andare a insegnare il francese nelle
fredde e remote province del Quebec francese per
nove anni. Al suo ritorno in Francia entra in contatto
con Bernard De Jussieu (1699-1777), membro di
un’insigne famiglia di botanici nonché, dal 1722, professore di botanica al Jardin du Roi di Parigi. Inizia a
studiare la chimica, la sericoltura (allevamento del
baco da seta) e ad interessarsi alla conoscenza delle
erbe cinesi, già sa infatti che il suo destino si compierà in Cina: terra lontana e sconosciuta, ma per la
Compagnia dei Gesuiti un vasto territorio vergine da
cristianizzare. Nel gennaio del 1740 si imbarca, infatti, a Lorient sulla nave “Jason” e dopo un viaggio
avventuroso, durato 8 mesi e mezzo, giunge a
Pechino. Vi rimarrà per 17 anni fino alla sua morte,
avvenuta per una febbre maligna all’età di 51 anni, il
12 Giugno del 1757. In tutti questi anni scriverà di
argomenti diversi (per ciò che riguarda la botanica dal
1746 al 1747, lavora alla traduzione di “Yuzhi bencao
pinhui jingyao” un’ importante opera del 1505 realizzata dall’imperatore Hongzhi, composta da
quattrocento disegni a colori di piante accompagnate
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dal loro nome in carattere cinese, un’opera della quale
riuscirà a spedire in Francia solo alcuni disegni) rimanendo in contatto per via epistolare non solo con De
Jussieu a Parigi ma anche con l’inglese Mortimer
Crowell, segretario della Royal Society di Londra e
dell’Accademia di San Pietroburgo. Nel momento del
suo arrivo nella capitale del vasto impero cinese, i
Gesuiti avevano la loro residenza all’interno della città
proibita ma non erano ben visti dall’imperatore
Qianlong (1736-1794) che gli aveva imposto delle
restrizioni impedendogli di uscire al di fuori del piccolo spazio a loro riservato. Cheron d’Incarville, però,
grazie alla sua determinazione e intelligenza riesce ad
aggirare questi ostacoli accattivandosi l’amicizia dell’imperatore, inizialmente ostile, grazie a mirati doni di
piante cresciute in Cina da semi spediti diligentemente dalla Francia dal fido De Jussieu, piante odorose e
profumate (come garofani, rose, violette e narcisi) o
dalle particolari proprietà tigmonastiche (ovvero dotate di tigmonastia, la capacità che ha una pianta di
rispondere a stimoli tattili o alle vibrazioni richiudendo
le foglie su se stesse) della prodigiosa Mimosa pudica. Il frutto delle sue azioni diplomatiche sarà la
possibilità, nei periodi di assenza dell’Imperatore a
corte, di trasferirsi indisturbato tra le montagne, alla
scoperta di piante e alberi precedentemente mai visti
per raccoglierne i semi preziosi. Ed è proprio in una di
queste occasioni che scopre un albero dai fiori bianco
crema profumati, appartenente alla famiglia delle
Leguminose, sconosciuto fino ad allora in occidente,
che chiama, in attesa di una classificazione più scientifica, “Arbor sinarum incognita”.
Nel 1747 invia i suoi semi (insieme ad altri che però
non vengono piantati e al suo erbario, quest’ultimo
verrà scoperto solo nel 1880 dal botanico Adrien
Franchet) a Bernard De Jussieu che riesce a trasformarli in una splendida piantina e farla crescere nel
Jardin du Roi (quest’esemplare oggi è ancora vivo e si
trova nel rinominato Jardin des Plantes di Parigi con
un’età considerevole di 265 anni). Sarà invece Linneo
nel 1767 (nella dodicesima edizione del suo Systema
Naturae) a chiamare Sophora japonica quello che era
ancora considerato “albero incognito cinese” riprendendo, nel nome del genere, il nome arabo Sophero
o Sufayra con il quale si usava allora indicare un altro
albero ( sempre però della Famiglia delle Fabaceae e
con fiori papillionacei). Albero apportatore di ombra e
bellezza, la Sophora, questo è ancora oggi il suo nome
comune, è riconoscibile per le sue foglie imparipennate (simili alla Robinia , con la quale si può
facilmente confondere, ma a differenza di quest’ultima le foglie della Sophora sono appuntite), per i suoi
frutti, dei lomenti color verde smeraldo (legumi che si
disarticolano in tanti pezzi ognuno dei quali ha un solo
seme) e per i suoi fiori bianchi e profumati che a
luglio, quando fiorisce in Italia, producono cadendo,
spettacolari “tappeti floreali”. Chiamato anche
“Albero pagoda” per il particolare uso che ne veniva
fatto in Giappone (lo piantavano accanto ai loro tem-
pli), la Sophora nel 1830 ha subito un cambio nel
nome del genere da parte del botanico austriaco
Heinrich Wilhelm Schott che l’ha ristudiata (scoprendo che a differenza delle leguminose non porta
tubercoli azoto-fissatori nelle radici) e ribattezzata
Styphnolobium japonicum, specificando così nel
nuovo nome generico le caratteristiche del suo frutto:
un lomento denso, dal greco styphnos (denso, compatto) e lobos (guscio).
Antimo Palumbo
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