Politica economica_2011-2012_(1

annuncio pubblicitario
POLITICA ECONOMICA
Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche
Corso di Economia aziendale
Prof. MICHELE SABATINO
TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE
Didattica
Programma
Dopo un breve richiamo ed analisi dei principali aggregati macroeconomici e
degli indicatori economici fondamentali, il corso si svolge lungo le seguenti parti
e tematiche relative alla teoria della Politica Economica con molteplici
applicazioni ed approfondimenti empirici.
Parte 1: Le teorie e le politiche economiche keynesiane
1a) La "Grande Depressione" e la "rivoluzione keynesiana"
1b) La Sintesi Neoclassica
1c) Le teorie del disequilibrio e le teorie post-keynesiane: enfasi su incertezza
ed instabilità
1d) Obiettivi e strumenti di politica economica
1e) Tipologia delle politiche economiche
Parte 2: Il dibattito tra keynesiani e monetaristi
2a) L'efficacia delle politiche monetarie e fiscali
2b) L'offerta aggregata, le aspettative e l'analisi degli shock
2c) La curva di Phillips
1
Didattica (1)
Parte 3: Le politiche macroeconomiche
3a) La politica monetaria e l'inflazione
3b) La politica fiscale e la sostenibilità del debito pubblico
3c) Analisi empirica dei "rischi di insostenibilità" nel contesto europeo
3d) Le politiche economiche in economia aperta
3e) La recente crisi, le sue interpretazioni e le "exit strategies“
Parte 4: La Nuova Macroeconomia Classica (NMC)
4a) Fondamenti ed implicazioni della NMC
4b) Le principali critiche alla NMC
4c) Razionalità e scienza economica: evoluzione o involuzione?
Parte 5: Nuova Economia Keynesiana (NEK) e mercato del lavoro
5a) La NEK e le rigidità di prezzo
5b) Teorie e politiche del lavoro
5c) L'impatto della recente crisi sul mercato del lavoro
2
Didattica (2)
Parte 6: Economia dell'offerta, cicli e crescita economica
6a) Il peso del settore pubblico: teorie ed evidenze empiriche comparate
6b) Le principali teorie sui cicli economici
6c) Crescita e sviluppo: teorie ed evidenze empiriche comparate
6d) L'impatto della recente crisi sulla sostenibilità del debito pubblico e sulla
crescita economica
Propedeuticità:
Istituzioni di micro e macroeconomia – Economia politica
3
Testi
Testo obbligatorio:
E. MARELLI - M. SIGNORELLI (2010) "POLITICA
ECONOMICA - Teorie, scuole ed evidenze empiriche",
Giappichelli Editore, Torino.
Link al libro: http://www.giappichelli.it/home/978-88-348-09532,3480953.asp1
Testo integrativo:
G. SOMOGYI (2010) – “Introduzione alla politica
economica – Prospettive e strategie dela crescita
mondiale nel XXI secolo”, Franco Angeli, Milano.
4
La Rivoluzione Keynesiana
La Teoria Generale (1936) di Keynes
rappresenta il punto di svolta dell’intero
pensiero economico e una visione organica
della politica economica.
Prima di Keynes classici e neoclassici si
contendevano il panorama del pensiero
economico e concorrevano a determinare le
scelte di politica economica.
La scuola classica
La scuola classica dominò il pensiero economico fino
alla fine dell’800. Tra i nomi principali A.Smith, D.
Ricardo, T.R.Malthus, K.Marx, J.S.Mill.
I loro studi erano rivolti essenzialmente a determinare
il valore “sociale” della ricchezza, la formazione e
distribuzione del sovrappiù, l’accumulazione e lo
sviluppo economico.
Sebbene il primo programma di liberalismo economico
si possa addebitare ai Fisiocratici (in contrapposizione
con i mercantilisti) è indubbio che Adam Smith sia il
padre di questa filosofia.
Tutti i classici indicava nel Laissez-faire la possibilità di
raggiungere il benessere collettivo. L’agire della mano
invisibile del mercato consentiva di raggiungere il
miglior risultato possibile.
La scuola neoclassica
La scuola neoclassica della fine dell’800
coincide con la rivoluzione marginalista di
Walras, Pareto, Marshall, Pigou, Fisher,
Von Hayek, Robbins, ect…
Questa scuola intende agire a livello
microeconomico e postula essenzialmente
due principi:
La razionalità degli agenti (le imprese
tendono a massimizzare i profitti e i
consumatori a massimizzare l’utilità);
L’equilibrio di mercato (ossia l’assenza di
eccessi di domanda e/o offerta) di tipo
concorrenziale con piena flessibilità dei
prezzi.
Scuola classica e scuola
neoclassica
Le due scuole manterranno in comune la c.d. Legge di
Say: l’offerta crea la domanda, essendo la produzione
offerta l’unica fonte di determinazione dei redditi
distribuiti e che questi ultimi vengano subito spesi
(anche i risparmi vengono subito investiti).
Il sistema economico è sempre suddiviso in due sottosistemi (equilibrio generale walrasiano) che consente
di determinare le variabili reali (prodotto, occupazione,
prezzi relativi) e le variabili nominali (livello dei prezzi,
reddito nominale e salari monetari, tassi di interesse
nominali). In tale sistema le variabili monetarie
influenzano solo i valori nominali ma non quelli reali e
quindi la moneta è neutrale.
Keynes e i classici
Keynes criticherà i classici e neoclassici prendendo le
mosse dall’apparato teorico (razionalità degli agenti e
equilibrio concorrenziale di mercato) abbandonando
alcune ipotesi specifiche quali la flessibilità dei prezzi
di tutti i beni fino all’approccio del disequilibrio
mostrando i fallimenti del mercato dovuti a frizioni,
rigidità ed imperfezioni.
Tale approccio finiva per proporre una visione
alternativa della politica economica con un diverso
ruolo dello Stato nel caso si verificasse una carenza
nella “domanda effettiva” con condizioni più o meno
persistenti di disoccupazione e depressione.
E’ nel contesto della Grande Depressione del1929 che
Keynes tenta una interpretazione del reddito nazionale
e del livello di disoccupazione.
L’assenza di piena occupazione e la distribuzione
iniqua della ricchezza sono considerati da Keynes
come i fallimenti del mercato.
La rivoluzione keynesiana
Keynes è stato oggetto di numerose
interpretazioni alternative. Tuttavia è
indubbio che il suo approccio ha
innovato profondamente il pensiero
economico contemporaneo dando vita
alla moderna macroeconomia.
Proviamo a sintetizzare le innovazioni
teoriche fondamentali della Teoria
Generale:
La rivoluzione keynesiana
1)
2)
3)
Il reddito non è sempre fissato a quello di piena
occupazione per cui spesso si realizzano equilibri di
sotto-occupazione;
Tra le principali determinanti del reddito, posto che
questo non è sempre fissato dall’offerta (legge di
Say) vi è la domanda aggregata (in particolare la
domanda effettiva) generando disoccupazione anche
a
causa
di
disinformazione,
problemi
di
coordinamento e incertezza;
Tra le componenti della domanda aggregata bisogna
ricordare (a) i consumi, funzione del reddito
disponibile con una propensione marginale inferiore
a uno e (b) gli investimenti che sono la principale
variabile esogena a determinare il reddito e legati
non solo al tasso di interesse ma altresì alle
aspettative degli imprenditori.
La rivoluzione keynesiana
4. I salari monetari sono generalmente rigidi
nel breve periodo e i processi di
aggiustamento
manifestano
frizioni,
difficoltà;
5. La teoria della preferenza della liquidità fa si
che la domanda di moneta dipende anche
dal tasso di interesse e quindi non è solo un
fenomeno reale ma monetario;
6. Infine l’offerta di moneta non può influenza
solo i prezzi ma anche il reddito reale, la
dicotomia tra settore reale e monetario
viene a cadere, la moneta non è neutrale.
L’equilibrio macroeconomico
Nell’equilibrio macroeconomico classico (legge di Say)
la domanda aggregata (A) è sempre determinata
dall’offerta (reddito reale, o prodotto nazionale) (Y) per
cui
Ac=Y
Nell’equilibrio classico la domanda aggregata è una
semiretta a 45° che coincide sempre con il reddito
offerto Y. Il reddito di piena occupazione (Y*) dipende
solo dai fattori dell’offerta ossia dalle risorse produttive.
Sono le forze del libero mercato a far permanere una
situazione di piena occupazione.
L’equilibrio macroeconomico
classico
A
Ac=Y
45°
Y
Y*
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
Al contrario nel sistema keynesiano la domanda
aggregata è rappresentata dalla retta Ak. La sua
posizione dipende dalla domanda aggregata
autonoma
Â
(investimenti,
spesa
pubblica,
esportazioni e consumi) mentre la sua inclinazione
dipende
dalle
caratteristiche
delle
variabili
(propensione marginale al consumo).
In questo approccio è il reddito offerto (produzione)
che si adegua alla domanda aggregata che include sia
la domanda autonoma (A) ma anche quella endogena
(c.d. indotta) determinata dal moltiplicatore. In termini
grafici il reddito di equilibrio (Y°) è determinato
dall’intersezione tra la retta di domanda aggregata (Ak)
e la semiretta a 45°.
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
A
Ac=Y
Ak’
Ak
Â’
Â
45°
Y
Y°
Y*
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
In questo modello il reddito di equilibrio è determinato
dal lato della domanda e i prezzi sono considerati, nel
breve periodo, fissi, per cui la convergenza avviene
attraverso aggiustamenti di quantità. In questo caso la
produzione offerta si adegua al livello della spesa
(domanda).
In tale situazione il reddito determinato sul lato
dell’offerta può essere inferiore a quello di piena
occupazione (Yo<Y*). Il livello di occupazione viene ad
essere determinato sul mercato dei beni e non su
quello del lavoro. La presenza di disoccupati è
“involontaria”. L’equilibrio di sotto-occupazione è quello
al centro della Teoria Generale e che pone maggiore
enfasi al mercato dei beni piuttosto che a quello del
lavoro.
Implicazioni per la Politica
economica
1)
2)
3)
Le c.d. rivoluzione keynesiana introduce alcuni quesiti
fondamentali alla macroeconomia:
Come si determina il reddito di equilibrio Yo che può
essere a qualunque livello anche diverso da quello di
piena occupazione Y*
Quando e perché si determina un equilibrio di
sottoccupazione (Yo<Y*) e quindi rimangono risorse
inutilizzate posto che non esistono forze endogene di
riequilibrio;
Cosa si può fare per uscire da questa situazione e
colmare il gap di sottoccupazione (spostare verso l’alto
la retta Ak in Ak’) – ossia attuare un intervento di politica
economica
Implicazioni per la Politica
economica
Una possibile soluzione prospettata da
Keynes è quella di provocare un aumento
della Domanda aggregata ∆A, ovvero
un’iniezione di spesa pubblica, tale da
indurre un incremento del reddito ∆Y. Si
tratterà comunque di un incremento ∆Y> ∆A
superiore alla domanda aggregata per via
del c.d. moltiplicatore keynesiano del
reddito (generalmente superiore all’unità).
Implicazioni per la Politica
economica
Esempi di politiche keynesiane sono le
opere
pubbliche,
interventi
sulle
infrastrutture e l’edilizia, altri interventi
redistributivi, ect….
Tuttavia Keynes non è stato mai un
sostenitore della spesa pubblica (deficit
spending) “qualunque” ma solo in caso di
recessione o depressione e quindi
programmando
spese
pubbliche
“produttive” orientate alla crescita di lungo
periodo.
Implicazioni per la Politica
economica
Per tutte le scuole keynesiane la
disoccupazione è involontaria ed è
ricondotta alla carenza di domanda
aggregata anche se sono condivise le
considerazioni su ulteriori cause dovute alla
rigidità dei salari e dei prezzi, la difformità di
adeguamenti
alle
macrovariabili,
le
imperfezioni di mercato e le incertezze
nonché le carenze informative.
Questi “FALLIMENTI DEL MERCATO”
possono essere persistenti disequilibri del
mercato del lavoro. Per tale motivo i modelli
macroeconomici keynesiani sono definiti
modelli di disequilibrio.
La Grande Depressione
La crisi del 1929 fu una crisi globale perché coinvolse
tutti i paesi industrializzati e tutti i settori economici ed
ebbe effetti su tutte le categorie sociali. La crisi si
scatenò avendo un quadro di riferimento di prezzi
agricoli a ribasso e di chiusura dei traffici
internazionali.
La crisi espose nell’ottobre 1929 con il crollo della
Borsa di Wall Street dopo anni di speculazioni e di un
numero crescente di banche e risparmiatori che
investivano in Borsa.
Per quanto riguarda gli indicatori e le variabili reali tra il
1929 e il 1933 il PIL si ridusse del 30%, i disoccupati
passarono da 1,5 milioni ad oltre 12 milioni e numerosi
furono i fallimenti bancari. Gli indicatori monetari e
finanziari rilevarono una riduzione dei prezzi del 25%
ed malgrado gli incrementi della base monetaria BM si
assistette ad una riduzione dell’aggregato monetario
M1 e M2.
La Grande Depressione
Gli economisti forniscono differenti interpretazioni ma
tutti concordano che le scelte di politica economica
compiuti in quel periodo furono errate. All’inizio infatti i
governi adottarono le tradizionali politiche liberiste
convinti che il mercato avrebbe assorbito la crisi
autonomamente come nel passato. Si scelsero
politiche restrittive (equilibrio di bilancio e riduzione
della
moneta
in
circolazione)
e
politiche
protezionistiche a difesa delle proprie produzioni.
Inoltre l’adesione al Gold standard e quindi un sistema
di cambi fissi impedì alle autorità monetarie di
utilizzare la leva dei tassi di cambio per stabilizzare la
moneta.
La sintesi neoclassica
Nonostante
la
portata
rivoluzionaria
dell’approccio keynesiano molti tentarono
una soluzione conciliatrice riconducendo il
caso di Keynes ad un caso particolare nel
quadro di una analisi di breve periodo
conciliabile con posizioni di equilibrio di
lungo periodo.
Tra i principali tentativi di “sintesi
neoclassica” si richiamano quelli di Hicks
nell’interpretazione della “trappola della
liquidità” e quella di Modigliani dei salari
monetari rigidi verso il basso.
L’interpretazione di Hicks
Il modello di Hicks introduce il modello IS-LM che
rappresenta l’elemento fondamentale dello schema
macroeconomico.
Hicks sostiene che sia lo schema keynesiano che
quello classico sono casi particolari di una Teoria
generale le cui variabili fondamentali sono il reddito Y
e il tasso di interesse i (il reddito reale coincide con
quello monetario grazie all’ipotesi di salari monetari
fissi).
Investimenti
Risparmi
Domanda di Moneta
I= I(Y,i)
S= S(Y,i)
Md=L(Y,i)
L’interpretazione di Hicks
Per un determinato livello di reddito (Ŷ), l’uguaglianza
tra risparmi ed investimenti S(Ŷ,i)=I(Ŷ,i) determina il
tasso di interesse di equilibrio. Tuttavia anche la
domanda di moneta dipende dalle stesse variabili
(reddito e tasso di interesse) per cui la determinazione
delle variabili non può che avvenire simultaneamente
sia nel mercato dei beni che in quello monetario (si
suppone una offerta di moneta esogena Ms=M).
Semplificando la Teoria di Hicks è possibile ottenere lo
schema IS-LM:
Investimenti
I=I(i)
Risparmi
S=S(Y)
L’interpretazione di Hicks
Lo schema IS-LM standard rappresenta
l’equilibrio sul mercato dei beni e su quello
monetario dove la curva IS rappresenta
l’’equilibrio sul mercato dei beni, ottenuta
attraverso l’uguaglianza I(i)=S(Y), mentre la
curva LM rappresenta l’equilibrio sul
mercato della moneta ponendo l’offerta di
moneta uguale alla domanda L(Y,i)=Ms.
E’ evidente che le due variabili, tasso di
interesse e reddito, siano determinate in
questo sistema da due equazioni in due
incognite
L’interpretazione di Hicks
L’interpretazione di Hicks
Il sistema classico è un caso particolare in
cui la domanda di moneta è funzione del
solo reddito (ove k è una costante di
proporzionalità). La domanda di moneta è
insensibile al tasso di interesse.
Domanda di Moneta Md=L(Y)=kY
In questo caso la curva LM è verticale.
L’interpretazione di Hicks
Nel sistema keynesiano la domanda di
moneta è funzione solo del tasso di
interesse. Questo caso rappresenta una c.d.
Trappola della liquidità e si verifica solo in
situazioni di profonda depressione. In questa
situazione il tasso di interesse è rigido verso il
basso e il livello di sottoccupazione è determinato
da una profonda depressione.
Domanda di Moneta Md=L(i)
L’interpretazione di Hicks
In definitiva secondo il punto di vista
classico la domanda di moneta è insensibile
a variazioni del tasso di interesse: così che
la curva LM è verticale. In tal caso una
politica fiscale espansiva che trasli verso
destra la curva IS non ha alcun potere di
alterare il livello del reddito nazionale;
l'intero effetto della politica fiscale si scarica
infatti sul tasso di interesse, con il completo
spiazzamento degli investimenti da parte
della spesa pubblica.
L’interpretazione di Hicks
Mentre secondo il punto di vista Keynesiano
la domanda di moneta è infinitamente
sensibile a variazioni del tasso di interesse
e la curva LM è orizzontale. In questa
ipotesi la domanda di moneta è molto
sensibile a variazioni del tasso di interesse,
il
mercato delle attività finanziarie
sopporterà una qualunque iniezione di
moneta senza che il tasso di interesse si
modifichi. In tal caso, una politica fiscale
espansiva non avrebbe alcun effetto sul
tasso di interesse, non dando dunque adito
ad alcuno spiazzamento degli investimenti,
e andando ad aumentare il livello del
reddito nazionale.
L’interpretazione di
Modigliani
Modigliani considera incompleta l’analisi di
Hicks che trascura il mercato del lavoro
(adottando l’ipotesi di salari monetari fissi) e
perché si sofferma solo sulla rigidità del
tasso di interesse.
Per Modigliani invece esistono altri casi di
rigidità quali gli investimenti (rispetto al
tasso di interesse) e i salari monetari.
L’interpretazione di
Modigliani
Modigliani aggiunge al sistema di equazioni di Hicks altre
tre equazioni:
Offerta di lavoro
Produzione
Domanda di lavoro
Reddito Nominale
W=f-1(N)P
X=X(N)
W=X’(N)P
Y=PX
L’equazione della domanda di lavoro pone l’uguaglianza
tra salari reali W e produttività marginale del lavoro X’(N).
L’equazione dell’offerta di lavoro stabilisce che
l’occupazione offerta dipende dai salari reali secondo la
relazione N=f(W/P) per cui f-1 è la funzione inversa. Infine
l’ultima equazione mette in relazione il reddito reale (X) a
quello nominale (Y) attraverso il livello generale dei prezzi
(P).
L’interpretazione di
Modigliani
Modigliani ottiene un sistema keynesiano con l’ipotesi
di salari monetari rigidi verso il basso anziché flessibili.
L’offerta di lavoro viene fatta dipendere dai salari
monetari (W=Wo) nel caso in cui vi sia sottoccupazione
(N<No). Al di sopra della piena occupazione (N>No)
vale l’ipotesi usuale della flessibilità.
Anche attraverso questa ipotesi l’apparente dicotomia
(blocco monetario e blocco reale) della visione
classica dei sostenitori della neutralità della moneta
viene superata dalla visione keynesiana dove un
aumento dei prezzi riduce i salari reali, accresce
l’occupazione e le altre variabili reali.
Occupazione e
disoccupazione
Per comprendere le conseguenza dell’ipotesi di salari
monetari rigidi verso il basso vediamo la figura di seguito
(nel secondo grafico i salari sono quelli monetari (W) e
non quelli reali (W/P)).
Ns
Ns
(W/P)1
W1
(W/P)o
Wo
Nd
N1
No
Nd (Po)
N1
No
Nd (P1)
Occupazione e
disoccupazione
La piena occupazione dei classici che si determina al
salario reale d’equilibrio non esclude un certo numero
di disoccupati c.d. volontari, cioè persone che
volontariamente rinunciano a quel salario a lavorare. I
Keynesiani estremi interpretano invece il pieno
impiego come un impiego di tutte le forze di lavoro.
Tuttavia i Keynesiani ammettono che le risorse
disponibili a lavorare non sono esogene ma dipendono
da alcuni fattori (Modigliani parla che l’offerta di lavoro
dipende dal livello salariale) altrimenti la Ns sarebbe
verticale.
Occupazione e
disoccupazione
Ma vediamo i differenti tipi di disoccupazione in un
contesto keynesiano:
Disoccupazione ciclica: che deriva da una produzione
troppo bassa (Yo<Y*) come avviene durante le
recessioni;
Disoccupazione frizionale: che derivano dall’ingresso
di nuovi lavoratori o di lavoratori in mobilità e quindi la
compresenza di lavoratori disoccupati e imprese che
cercano lavoro;
Disoccupazione
strutturale:
che
deriva
dai
cambiamenti della struttura del sistema produttivo.
Progresso tecnologico, terziarizzazione dell’economia,
effetti della globalizzazione, flussi migratori e
spiazzamento dei lavoratori autoctoni, mutamenti
istituzionali (obbligo scolastico), evoluzioni socioculturali (partecipazione femminile).
Occupazione e
disoccupazione
Per ridurre la disoccupazione ciclica
occorrono interventi sul fronte della
domanda aggregata. Per ridurre la
disoccupazione
frizionale
occorrono
interventi sul fronte dell’offerta (politiche
attive del lavoro, job matching). Per ridurre
la disoccupazione strutturale occorrono
complesse politiche strutturali (politiche
industriali,
migratorie,
regionali,
per
l’istruzione e la famiglia)
Occupazione e
disoccupazione
In una situazione di sottoccupazione (Wo, N1) un
aumento dei prezzi (da P1 a Po) riduce i salari reali da
(Wo/P1 a Wo/Po) facendo spostare la curva della
domanda di lavoro verso destra lasciando inalterata
l’offerta di lavoro. Ciò significa che la disoccupazione
può essere eliminata, ove i salari monetari siano rigidi,
facendo crescere i prezzi e riducendo per via indiretta i
salari reali. In tal senso il riequilibrio è garantito per via
indiretta tramite l’aggiustamento dei prezzi, per
esempio attraverso un’appropriata variazione della
quantità di moneta.
La nuova ortodossia
neoclassica
In definitiva i modelli di sintesi neoclassica
mantengono l’impostazione di equilibrio di
piena occupazione quale caso “normale” e
configurano i risultati keynesiani come un
caso particolare in cui il mercato del lavoro,
e solo quello, presenta delle rigidità di vario
tipo che precludono i vari tipi di
aggiustamento.
La sintesi neoclassica costituì la nuova
ortodossia che ha dominato la scena
accademica e anche l’azione politica sino
alla comparsa delle teorie monetariste.
Tasso di occupazione e di
disoccupazione
Il tasso di occupazione quantifica l'incidenza della
popolazione che ha un'occupazione sul totale della
popolazione e si calcola come rapporto percentuale tra il
numero di persone occupate e la popolazione. A seconda
degli obiettivi il numero degli occupati viene rapportato:
alla popolazione nel suo complesso
alla popolazione oltre una certa età
alla popolazione in età lavorativa.
Il tasso di disoccupazione misura sul mercato del lavoro un
eccesso di offerta di lavoro (da parte dei lavoratori) rispetto
alla domanda di lavoro (da parte delle imprese).Misura
solitamente la percentuale delle forza lavoro che non riesce a
trovare lavoro e pertanto viene definito come il rapporto tra
persone in cerca di lavoro e forza lavoro dove la "forza lavoro"
è la somma delle "persone in cerca di lavoro" e gli "occupati".
Le teorie del disequilibrio
In aggiunta agli sviluppi neoclassici la c.d.
“rivoluzione keynesiana” ha dato origine ad
altri importanti filoni di matrice keynesiana:
la scuola del disequilibrio e la scuola postkeynesiana.
A questo proposito per introdurre il tema del
disequilibrio bisogna comprendere che
esistono tre modi di spiegare una situazione
di sottoccupazione:
Le teorie del disequilibrio
1)
2)
3)
Sulla base della rigidità dei prezzi e dei salari
compatibile con la sintesi neoclassica dove ci si
trova in una situazione di equilibrio nel mercato dei
beni e di disequilibrio nel mercato del lavoro (Hicks,
Modigliani).
Sulla base di elementi che mantengono il sistema in
condizione di temporaneo disequilibrio ed il sistema
non riesce a portare a termine il processo dinamico
di convergenza (Patinkin).
Sulla base di fattori che precludono la convergenza
– incertezza, carenza di domanda effettiva, prezzi
“falsi” temporaneamente fissi – fallimenti del mercato
(Clower, Leijonhfvud).
L’interpretazione di Patinkin
Patinkin nella sua analisi dei modelli di
sintesi neoclassica inizia a rappresentare
fenomeni di disequilibrio derivanti dal
processo di aggiustamento dinamico.
Nel caso di Patinkin l’offerta aggregata
S(wo,Ko) è funzione del salario reale (wo) e
dello stock di capitale (Ko). La domanda
aggregata invece è funzione della spesa
pubblica (G), dei saldi liquidi (M/P) e di altre
componenti (Â) (consumi e investimenti).
L’interpretazione di Patinkin
Si suppone che in una situazione iniziale (punto e)l’equilibrio del
reddito (A=Y) sia fissato ad un livello (Y*) tale da garantire la piena
occupazione (N=N*). Se si ipotizza un decremento della domanda
aggregata (da A a A’’) ed un nuovo punto di equilibrio (f). Nel
mercato del lavoro si verificherebbe una occupazione pari a N1 con
la presenza di disoccupazione involontaria nel punto f’.
Y=S(wo/Ko)
Ns
A, Y
Ns
A
e
A’
k
f
Y1
Wo
f’
e’
A’’
Nd
Y2 Y*
Nd
N1
No
L’interpretazione di Patinkin
Il livello del salario non è la causa di tale situazione di disequilibrio in
quanto, pur prevedendo che i salari e i prezzi flessibili, il salario reale
rimane a livello iniziale wo.E’ vero che l’eccesso di offerta di lavoro
provoca una riduzione del salario monetario (Wo a W1) ma in questo
caso le imprese ridurranno anche i prezzi (Po a P1) lasciando invariato
il salario reale (Wo/Po = W1/P1)
Y=S(wo/Ko)
Ns
A, Y
Ns
A
e
A’
k
f
Y1
A’’
Wo
f’
e’
Nd
Y2 Y*
Nd
N1
No
L’interpretazione di Patinkin
In effetti si tratta di un processo di aggiustamento
verso l’equilibrio in quanto né f né f’ sono in equilibrio.
Assistiamo ad un continuo processo di aggiustamento.
La riduzione dei Prezzi accresce la quantità di moneta
da M/Po a M/P1 facendo spostare a sua volta la
domanda aggregata verso l’alto (ad esempio A’’) con
un aumento del reddito a Y2.
Il processo di aggiustamento verso l’equilibrio è troppo
lungo e la disoccupazione può persistere malgrado la
flessibilità dei salari. Da qui la necessità di un
intervento di politica economica. Patinkin identifica
l’analisi keynesiana in una teoria della disoccupazione
di disequilibrio essenzialmente dovuta alla carenza di
domanda.
La teoria di Clower
Un altro approccio prende spunto da Clower (1965) il
quale definisce la concezione neoclassica come una
contro-rivoluzione.
Crower definisce la domanda effettiva quella domanda
aggregata compatibile con il livello di occupazione
corrente: la domanda effettiva dipende sia dai prezzi
dei beni sia dal reddito.
Il disequilibrio è dovuto al dualismo decisionale tra il
mercato dei beni e quello del lavoro e quindi vi è una
discrepanza tra domanda effettiva con domanda
nozionale.
In presenza di disoccupazione non compare nessun
eccesso di domanda effettiva, i prezzi non possono
salire ed i salari reali non scendono (pur se flessibili),
le imprese non aumentano la produzione e non
assumono. Essendoci disoccupati a sua volta la
domanda affettiva rimane bassa con la possibilità di un
circuito vizioso.
La teoria di Clower
Se le imprese fossero a conoscenza che
producendo una quantità maggiore di beni
ed occupando più persone potrebbero
trovare facilmente uno sbocco alle loro
produzioni
aggiuntive,
certamente
seguirebbero questa strada. Ma purtroppo
conoscono solo la domanda effettiva e a
sua volta limitano il livello occupazionale. Si
tratta di un problema informativo.
In definitiva Crower sottolinea come la
situazione
neoclassica
di
equilibrio
rappresenta un caso particolare (valido solo
in situazione di piena occupazione) e una
teoria generale appunto quella di Keynes.
L’approfondimento di
Leijonhfvud
Leijonhfvud chiarisce alcuni aspetti del disequilibrio
concentrandosi
sui
problemi
informativi,
sui
meccanismi di amplificazione degli squilibri, sulle
imperfezioni del mercato, sulle difficoltà di
funzionamento.
L’analisi dei classici è limitata basandosi sull’ipotesi
della perfetta informazione. Si pone il problema di
coordinamento dell’economia nei quali i lavoratori
offrono lavoro in cambio di moneta anziché beni e gli
imprenditori non valutano e fissano in modo adeguato
la produzione. Si risalta inoltre il fallimento di
coordinamento tra produttori e consumatori-lavoratori
ma anche tra risparmiatori e investitori: l’equilibrio tra
risparmi e investimenti è difficile trattandosi da
decisioni provenienti da due gruppi di soggetti diversi.
Alla fine il disequilibrio è dovuto non da rigidità dei
prezzi ma dalla limitazione delle informazioni
disponibili da parte degli agenti.
La scuola del disequilibrio
La scuola del disequilibrio si basa quindi sul
paradigma di una concorrenza imperfetta.
Nell’analisi del disequilibrio si distingue:
Mercato dei compratori, quando il prezzo
sale superano il valore di equilibrio
determinando un eccesso di offerta. I
venditori sono razionati e parte dell’offerta
rimane invenduta.
Mercato dei venditori, in cui il prezzo è
inferiore al valore di equilibrio, causando un
eccesso di domanda. I compratori sono
razionati e quindi parte della domanda risulta
insoddisfatta.
La scuola del disequilibrio
In tale situazione gli agenti che si trovano sul lato c.d.
corto del mercato (intendendo la quantità minore di
domanda o offerta) sono nelle condizioni di poter
realizzare i propri piani mentre gli altri sono razionati.
Gli agenti razionati devono tenere in considerazione,
nel formulare i loro piani di acquisto o vendita, di
informazioni di quantità e non solo di prezzo. In questo
modo il razionamento di un agente pone vincoli
quantitativi in altri mercati, generando una sorta di
circolo
vizioso
evitando
qualsiasi
riequilibrio
automatico.
Tipi di disoccupazione e
politiche conseguenti
In uno schema di disequilibrio la
disoccupazione viene a dipendere da una
serie di vincoli.
Considerando un’offerta di lavoro a livello di
piena occupazione (N=N*), una domanda di
lavoro di tipo neoclassica (Nd=f(W/P)) ed
una determinazione del reddito di tipo
keynesiano (L’offerta aggregata, funzione
dell’occupazione Ys=f(N), si adegua alla
domanda aggregata Ys=A), il livello effettivo
di occupazione risulterà il seguente:
No=min (N*, f(W/P), f-1(A))
Tipi di disoccupazione e
politiche conseguenti
In questo modo il livello di occupazione viene rappresentato dalla
seguente figura e in qualunque punto dell’area al di sotto della Nd.
Così l’occupazione può collocarsi lungo il segmento N*e’ (vincolo
di piena occupazione) o Nd e’ sulla curva di domanda di lavoro (la
cui disoccupazione è quella classica) o in qualunque punto interno
(la cui disoccupazione è di tipo keynesiano).
W/P
Nd
a
a’
e’
N
N*
Tipi di disoccupazione e
politiche conseguenti
Questo tipo di rappresentazione consente di stabilire anche le
differenti politiche di intervento.
Se la disoccupazione è di tipo keynesiano dovuta ad una
insufficienza di domanda di lavoro allora bisognerà spostare la
domanda effettiva verso destra fino alla Nd attraverso politiche
espansive (incremento dei consumi oppure della spesa pubblica). E’
importante chiarire che una riduzione dei salari monetari in presenza
di disoccupazione implica un processo lento di aggiustamento che
deprime i consumi, riduce i prezzi e riconduce i salari reali al livello
di partenza;
Se invece la disoccupazione è di tipo classico, ovvero ci si trova
sulla curva Nd a sinistra del punto e’ politiche espansive potrebbero
produrre solo inflazione e l’unica soluzione è ridurre il salario reale. I
neoclassici propongono interventi sulle politiche dei redditi e sulla
produttività.
Spesso nel caso del punto a può essere necessario per condurre la
domanda di lavoro prima sul punto a’ e successivamente sul punto
e’. Quindi aumenti della domanda effettiva e riduzione dei salari
reali.
La scuola post-keynesiana
a)
b)
c)
d)
In verità non si può parlare di una vera scuola
trattandosi di un gruppo eterogeneo che tuttavia
mantiene alcuni tratti unificanti:
Enfasi posta agli aspetti istituzionali (contratti,
organizzazione dei mercati);
Analisi dei processi storici e dei problemi economici
reali;
Trattazione
preliminare
delle
questioni
metodologiche;
Costante richiamo a Keynes e ai classici e rifiuto alla
sintesi con le teorie neoclassiche.
Due componenti: quella europea presso l’Università
di Cambridge in Inghilterra (Kaldor, Robinson,
Pasinetti), quella americana (Davidson, Minsky,
Weintraub)
Incertezza e instabilità
L’instabilità del sistema economico sfocia nel disordine
e tra l’altro il futuro è imprevedibile in quanto gli eventi
sono irripetibili. La aspettative non si possono
formulare con schemi semplici. La causa è
l’incertezza, elemento inevitabile degli eventi
economici.
Viene enfatizzato il ruolo delle aspettative. Incertezza
sulle previsioni del futuro e aspettative soggettive
determinano spesso comportamenti precauzionali e
quindi spesso razionali. Tutto ciò però, a seconda delle
circostanze, può aumentare o ridurre la instabilità. La
funzione dei comportamenti, come quella degli
investimenti, diventa instabile.
Le implicazioni
Nella scuola post-keynesiana il fulcro dell’analisi si estende, oltre
alla stabilizzazione, ai temi dell’equità.
Robinson (1964) mostra che l’economia di mercato non assicura
un meccanismo di piena occupazione e quindi sono necessarie
riforme sociali ed economiche.
In relazione agli investimenti potrebbe essere necessaria la loro
socializzazione. Keynes aveva escluso che lo Stato fosse
proprietario dei mezzi di produzione o che controllasse gli
investimenti privati ma auspicava un programma di investimenti
pubblici complementari a quelli privati.
Sempre in tema di investimenti si ribadisce che le decisioni di
investimenti sono presi non solo in funzione del tasso di interesse
ma in funzione di alcune determinanti (profittabilità attese, grado di
utilizzo degli impianti, andamento della domanda di beni) e
condizioni permissive (a seconda delle condizioni di finanziamento,
il ruolo del profitto, la disponibilità di credito).
La crescita, la redistribuzione
del reddito e la politica dei
redditi
Le teorie post-keynesiane hanno posto l’enfasi sul tema della
crescita e dello sviluppo. Il modello di crescita di Kaldor (1960) si
innesta su un precedente modello di crescita keynesiano (Domar
Harrod) di lungo periodo che si caratterizza per una funzione del
risparmio differenziata a seconda delle classi sociali (lavoratori,
imprenditori). I lavoratori sono più indotti ai consumi che al
risparmio con una diversa propensione al consumo e al
risparmio. La redistribuzione del reddito modifica la domanda
aggregata attraverso la funzione degli investimenti.
La distribuzione del reddito è importante non solo per la crescita
ma anche per l’inflazione. Il disaccordo tra le parti – lavoratori
(chiedono aumenti salariali) e capitalisti (scaricano gli aumenti
sui prezzi al consumo) – sulla distribuzione del reddito può
scariscarsi sull’inflazione. E’ quindi necessaria una politica dei
redditi, come contratto sociale, e con un ruolo attivo dello Stato.
L’instabilità finanziaria
La scuola post-keynesiana di origine americana si orienta
sull’analisi dei fenomeni monetari e della loro relazione con
quelli reali. Secondo i neo-keynesiani la neutralità della
moneta non regge neanche nel lungo periodo in quanto gli
agenti conservano moneta per far fronte a circostanze
impreviste anche nel lungo periodo. SI risalta l’endogenità
della offerta di moneta creata dal sistema bancario per fare
fronte all’aumento della domanda di moneta, del reddito e
della stabilizzazione del tasso di interesse.
Si risalta (Minsky) inoltre la fragilità finanziaria in cui è
sufficiente una aspettativa diversa per invertire il ciclo per
giungere a crolli finanziari. Di qui la necessità del controllo del
credito.
Si propongono inoltre una tassazione sulle transazioni
finanziarie (Tobin tax) o un sistema alternativo di pagamenti
internazionali (da Bretton Woods all’adozione delle nuove
regole)
Critiche al paradigma
neoclassico
a)
b)
c)
d)
e)
Gli economisti post-keynesiani finiscono per proporre riforme
sociali ed economiche ed assumere posizioni non solo
interventiste ma progressiste e a volte radicali:
Si enfatizzano gli elementi istituzionali e le loro determinanti;
Si ribadisce come l’ipotesi di concorrenze perfetta sia una
chimera e che operano gruppi e cartelli oligopolisti;
Il sistema è sistematicamente instabile (Schumpeter) per la
sua forza creativa;
Il nesso tra profitti ed investimenti; elevati profitti inducono
elevati risparmi ma elevati risparmi non corrispondono
necessariamente elevati investimenti. Elevati profitti poi che
comprimono i salari possono compromettere anche i
consumi.
Il contributo della scuola marxista.
La Politica Economica
a)
b)
Dalla rivoluzione keynesiana nasce la
moderna politica economica. Anche se gli
interventi di politica economica erano già
frequenti è solo con Keynes che assumono
il carattere della scienza economica.
La scienza economica è infatti distinta in:
Economia
politica
che
studia
il
funzionamento del sistema economico;ù
Politica economica che studia come
dovrebbe l’autorità politica intervenire per
migliorare lo stato del sistema se ritenuto
insoddisfacente.
Obiettivi e strumenti di
politica economica
Una importante distinzione è quella tra
strumenti e obiettivi laddove gli obiettivi
finali sono macrovariabili che il politcymaker
intende modificare (reddito, produzione,
livello dei Prezzi, tasso di disoccupazione,
bilancia commerciale), mentre gli strumenti
sono variabili che si intendono manovrare al
fine di influenzare l’obiettivo finale (es. la
spesa pubblica, le imposte, i trasferimenti
dello stato, l’offerta di moneta, il tasso
ufficiale di riferimento, ect..).
I legami tra obiettivi e strumenti sono definiti
e analizzati nei modelli economici.
Obiettivi e strumenti di politica
economica
Gli obiettivi sono: obiettivi fissi se
predeterminati dai politcymakers o obiettivi
flessibili se derivati dalla massimizzazione
di una funzione del benessere sociale.
Gli strumenti sono quantitativi se si
riferiscono
a
variazioni
quantitative
(modifica dell’aliquota IVA), qualitativi se
riguardano nuovi strumenti o modifiche ai
processi decisionali (introduzione di una
nuova imposta IRAP) o politiche di riforma
con
mutamenti
delle
regole
di
funzionamento
(riforma
del
sistema
pensionistico).
Obiettivi e strumenti di politica
economica
a)
b)
Gli obiettivi possono altresì essere Obiettivi intermedi che si
riferiscono a quelle macro-variabili a metà strada tra strumenti e
obiettivi finali. Spesso questi obiettivi intermedi offrono il vantaggio di
poter essere controllati e di verificare l’efficacia di una politica
economica (se variamo la base monetaria BM avremo modificato lo
stock di moneta M e quindi ci si può aspettare l’aumento del reddito Y)
Generalmente gli obiettivi specifici sono:
Il livello dei tassi di interesse (per i keynesiani);
Lo stock complessivo di moneta (scuola monetarista).
Per i keynesiani l’obiettivo intermedio del tasso di interesse deve
essere assunto dalla politica economica come ausiliare o
“accomodante” ad una politica fiscale espansiva. Un aumento di G
che sposta verso dx lS determina un aumento di Y ma altresì del
tasso di interesse. Se la banca centrale aumenta lo stock di moneta
spostando la LM verso dx stabilizza contemporaneamente i tassi di
interesse.
Altri obiettivi intermedi sono il Credito totale interno (credito privato e
fabbisogno pubblico), il tasso di cambio e l’inflation targeting.
Modelli economici positivi e
normativi
L’economia politica nell’analizzare il sistema
economico lo rappresenta attraverso
relazioni matematiche e modelli economici
positivi composte da equazioni (relazioni tra
variabili) rappresentative della realtà.
Le variabili possono essere:
a) Endogene ossia determinate all’interno del
modello;
b) Esogene il cui valore è fissato dall’esterno e
distinguibili in esogene strumentali se
manovrate dai politicymakers (es. G,T,M) o
date (come i Prezzi P e le variabili “estere”)
Modelli economici positivi e
normativi
a)
b)
c)
d)
e)
Le equazioni a sua volta possono essere:
Comportamentali (la funzione del consumo o
dell’investimento);
Definitorie (che sono delle identità) come la spesa
aggregata A=C+G+I;
Di equilibrio (es l’equilibrio del mercato dei beni A=Y)
Tecniche o istituzionali (esempio la funzione di
produzione)
Infine i modelli economici si presentano in forma
strutturale (se comprende diverse equazioni) o in
forma ridotta (se in ciascuna equazione compare
una sola variabile endogena che risulta funzione
delle variabili esogene (o parametri). Si perviene alla
forma ridotta attraverso trasformazioni algebriche di
quelle strutturali.
Modelli economici positivi e
normativi
L’olandese Tibergen (1956) ha contribuito
alla definizione dei modelli di politica
economica con la regola aurea di politica
economica secondo cui in un modello è
necessario individuare lo strumento o ad
ogni strumento di politica economica
coincide
un
obiettivo
(n.strumenti=n.obiettivi). Ad ogni obiettivo
coincide una equazione in forma ridotta.
Condizione necessaria perché un problema
di politica economica abbia soluzione è che
il numero degli strumenti deve essere
uguale o superiore al numero degli obiettivi.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
La soluzione dei modelli parte dall’ipotesi che gli
obiettivi siano fissi e cioè determinati dai politcymaker
nel loro valore numerico. Attraverso la soluzione
dell’equazione in forma ridotta inversa si assegnano i
valori determinati alle variabili obiettivo e si
determinano i valori degli strumenti che diventano
l’incognita del problema.
Supponiamo che il governo voglia aumentare il reddito
di 10 mld di € (obiettivo prefissato) la domanda
diventa: di quanto si dovrà aumentare la spesa
pubblica G. L’incognita diventa lo strumento della
spesa pubblica.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
In presenza di più obiettivi e di pochi strumenti si è
dovuto optare per obiettivi flessibili (ottimi) determinati
dai pochi strumenti a disposizione cercando di
massimizzare la funzione del benessere sociale. In tal
senso ci si trova in presenza di un trade-off tra obiettivi
e quindi occorre fissare priorità.
L’equilibrio al quale si perviene dipende da due
elementi: le preferenze dei politicymakers e i vincoli a
cui sono sottoposti. In tal senso la prima cosa è la
definizione delle preferenze del politcymaker.
L’approccio classico consiste nella massimizzazione di
una funzione di benessere sociale che intende
aggregare le preferenze individuali. Si tratta tuttavia di
un modelli complesso che lasciano quindi il passo ad
una funzione della perdita.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
La funzione di perdita consiste nella
minimizzazione
della
perdita
che
corrisponde alla massimizzazione della
funzione di preferenza sociale.
Esempio nel caso di reddito Yt e inflazione
πt può essere scritta:
Min L= λy (Yt-Ŷt)2 + λπ (πt-πt)2
Il significato è che si vogliono minimizzare
le deviazioni del reddito e dell’inflazione dai
valori desiderati dove λy e λπ sono dei pesi
assegnati ai due obiettivi.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
Si propone la scelta di politica economica
utilizzando il trade-off tra disoccupazione
(ut) ed inflazione (πt) nella c.d. curva di
Phillips. La funzione di perdita può essere
scritta così:
L= λy (ut-ût)2 + λπ (πt-πt)2
Supponendo che i valori desiderati sono
ût=0 e πt=0 allora le curve di indifferenza del
policymaker saranno curve concave verso
l’origine e con una perdita L=0 nulla
all’origine degli assi (punto di massima
felicità) – inflazione e disoccupazione nulle.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
Il punto di tangente B è quello di equilibrio ovvero il punto di
ottimo di breve periodo determinato dalla curva di indifferenza
più bassa (che è quella che minimizza la funzione di perdita)
compatibile con il vincolo.
Ph
Ph’
B
πa
ua
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
In un approccio con obiettivi fissi se il numero di strumenti di
politica economica è superiore agli obiettivi si pone un
problema di scelta e selezione degli strumenti.
Si tratta si compiere scelte sulla base dell’efficacia dello
strumento, sui costi diretti ed indiretti, sui ritardi. Inoltre
l’efficacia è legata anche al grado di controllabilità dello
strumento, alle caratteristiche dell’operatore pubblico e
dall’atteggiamento degli agenti privati.
Nel caso di più obiettivi e più strumenti si pone il problema
dell’assegnazione degli strumenti agli obiettivi. Infine si
intraprendono politiche economiche non con un solo
policymakers ma con una molteplicità di attori (potere
legislativo, potere centrale e locale, amministrazioni, ect..) e
inoltre i “politici” sono eletti e quindi soggetti alla “valutazione”
al momento delle elezioni.
Soluzione dei modelli
economici positivi e normativi
Nel caso più complesso ma realistico di molteplici strumenti e
obiettivi possono essere necessarie soluzioni e interventi
congiunti anche contrastanti (politiche fiscali espansive e
politiche monetarie restrittive) con evidenti reflussi sulla
domanda aggregata e sulle altre variabili.
In una economia aperta inoltre si pongono i problemi di
coordinamento delle politiche anche internazionale a diversi
livelli: consultazione, scambio di informazioni, coordinamento
vero e proprio. La crisi del 2008-09 ha fatto emergere la
necessità di un forte coordinamento in un mondo globalizzato
(in cui ancora le decisioni vengono prevalentemente prese a
livello nazionale) con il coinvolgimento di un numero
crescente di soggetti economici e istituzionali e di Paesi (G8,
G14 e G20).
I fini della politica economica
1.
2.
3.
1.
2.
3.
Secondo la tripartizione di Musgrave si ritiene che la
politica economica abbia tre finalità principali:
Allocare più efficacemente le risorse;
Stabilizzare il sistema macroeconomico;
Redistribuire il reddito e la ricchezza.
Le politiche economiche che possono essere realizzate
per raggiungere queste finalità sono:
Politiche strutturali microeconomiche o dell’offerta
Politiche
di
stabilizzazione
di
breve
periodo
macroeconomiche e di controllo della domanda
aggregata;
Politiche redistributive volte a modificare la distribuzione
della ricchezza e del reddito.
I fini della politica economica
Le politiche microeconomiche e strutturali mirano ad
obiettivi di efficienza in aree specifiche: politiche
regionali, politiche industriali ed hanno effetti sul fronte
dell’Offerta aggregata AS. Sono volte a far diminuire la
disoccupazione frizionale e strutturale, accrescere il
prodotto potenziale e il tasso di crescita del prodotto.
Le politiche di stabilizzazione agiscono sulla domanda
aggregata e mirano a stabilizzare il livello di prodotto a
livello di pieno impiego a quindi sono politiche
anticicliche di contrasto di situazioni di recessione.
Anche la stabilità dei prezzi è un obiettivo di
stabilizzazione. Le principali politiche di stabilizzazione
sono la politica fiscale attraverso variazioni di G e T o
la politica monetaria ossia la stabilità del livello dei
prezzi P o del tasso di cambio.
I fini della politica economica
Le politiche redistributive perseguono l’equità e la
giustizia. In tal senso sono giustificate dall’estensione
e distruzione delle opportunità (di istruzione, di lavoro,
di reddito) aumentando il grado di mobilità sociale.
Infine malgrado la politica fiscale sia una politica di
stabilizzazione in verità svolge anche una funzione
allocativa agendo sul lato dell’offerta e quindi di
produzione potenziale o agendo sull’accumulazione di
capitale. Svolge anche una funzione di redistribuzione
attraverso tassazioni e trasferimenti a famiglie e
imprese.
Finalità allocative e
redistributive
a)
b)
c)
Le finalità allocative sono orientate a migliorare
l’efficienza nella allocazione delle risorse. Ad
esempio:
Limiti alla concorrenza dovuti a rendimenti crescenti
di scala, monopoli naturali, oligopoli con prezzi più
alti, barriere all’ingresso;
Informazioni incomplete dei mercati;
Esistenza di esternalità come la fornitura di beni
pubblici come la sanità, sicurezza, beni culturali.
Considerato che l’equilibrio di mercato con coincide
con quello più efficiente si auspica un intervento
dello Stato. Tali interventi spesso non si limitano solo
sul piano quantitativo ma anche su quello qualitativo
anche in termini di riforme strutturali.
Finalità allocative e
redistributive
1)
2)
3)
Timbergen
propone
la
seguente
classificazione:
Politiche economiche quantitative i
(variazioni di aliquote, tassi ufficiali, ect..)
Politiche economiche qualitative (nuove
imposte)
Politiche di riforma (riforma del sistema
pensionistico, leggi di tutela del lavoro,
assetto normativo degli ammortizzatori
sociali, ect..)
Finalità allocative e
redistributive
-
In relazione alle finalità redistributive vi sono diverse
accezioni di distribuzione della ricchezza:
Funzionale tra fattori di produzione (capitale e lavoro);
Personale tra persone;
Familiare tra famiglie;
Territoriale per le disparità territoriali;
Sociale per le fasce deboli della popolazione;
Intergenerazionali tra generazioni.
Alla disparità di reddito e ricchezza interviene lo Stato
attraverso intervento redistributivi con interventi di politica
fiscale o di welfare state. Il concetto di welfare state (stato
di benessere) nasce nel 1942 con il Piano Beveridge in
Inghilterra.
Finalità allocative e
redistributive
-
Gli strumenti redistributivi possono essere:
Le imposte con imposizioni progressive e non
proporzionali o con deduzioni e detrazioni;
Trasferimenti agli individui e alle famiglie con sussidi,
assegni di famiglia, redditi minimi; ect..
Spese pubbliche correnti (istruzione, sanità, servizi
sociali)
Spese pubbliche in conto capitale (infrastrutture, edilizia
popolare, scolastica, ospedaliera, viabilità e trasporti).
Tutte le politiche, anche quelle allocative e di
stabilizzazioni, possono avere effetti redistributivi. Inoltre
spesso scaturisce il trade-off tra equità ed efficienza.
Spesso, in contraddizione a ciò, azioni redistributive
possono avere un impatto positivo sull’efficienza.
Finalità allocative e
redistributive
I
Keynesiani
sostengono
che
un’economia portata a raggiungere
condizioni (o quasi) di pieno impiego
non solo evita spreco di risorse nel
breve periodo ma favorisce processi
dinamici
di
lungo
periodo di
innovatività, imprenditorialità, mobilità
e riqualificazione delle risorse umane
a favore della crescita economica.
Le politiche strutturali
Le
politiche
strutturali
modifica
le
fondamenta delle struttura economica
(politica
industriale,
politiche
per
l’innovazione e la ricerca, azioni per
l’innalzamento delle produttività, a favore
del lavoro ma anche politiche infrastrutturali
e regionali, energetiche e ambientali). Tutte
politiche che orientano e spostano l’offerta
aggregata AS. Tutti interventi volti a
recuperare i “fallimenti del mercato”.
Vediamole in particolare quali sono le
principali politiche strutturali:
Le politiche strutturali
Politiche che fissano il quadro economico-istituzionale e il
funzionamento del mercato (libera concorrenza, diritto
societario, antitrust, ect.);
Politiche di incentivazione o disincentivazione dell’iniziativa
privata. Incentivi monetari (sussidi, agevolazioni fiscali e
creditizie), reali (commesse pubbliche, sostegno all’export); non
reali indirette (R&S, formazione , trasporti, comunicazione, ICT,
servizi avanzati);
Politiche di regolamentazione dell’iniziativa privata. Norme e
restrizioni amministrative (licenze, autorizzazioni, brevetti,
norme e standard tecnici), norme di regolazione dei mercati e
dei salari e prezzi, norme programmatorie;
Intervento pubblico diretto (imprese pubbliche e a
partecipazione pubblica).
Gli interventi pubblici non contrastano con l’iniziativa privata ma
anzi speso rimuovono ostacoli e rigidità del sistema.
L’intervento pubblico in
economia
A partire dal Keynesiani l’intervento pubblico nell’economia
è divenuto sempre più significativo. Tuttavia l’eccesso di
presenza pubblico ha spesso finito per limitare il “libero
mercato”. Si è affermata una forma di economia detta mista
in presenza di imprese privata ma anche dello Stato spesso
anche come imprenditore (la gran parte delle economie
europee sono di tipo misto). In tali economia il rapporto tra
settore pubblico e privato evidenzia il peso pubblico nella
produzione delle ricchezza (G/Y).
Nel lungo periodo si è parlato di Programmazione
economica e quindi di piani economici dove pubblico e
privato concorrono attraverso sistemi incentivanti o
disincentivanti. In contrasto con tale metodologie vi è stata
l’economia Pianificata dove la proprietà dei mezzi di
produzione è stata pubblica.
L’intervento pubblico in
economia
A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un
arretramento dell’intervento dello Stato
nell’economia
attraverso
processi
di
deregulation e privatizzazioni di imprese
pubbliche. Tutto ciò è scaturito dal
successo di nuove scuole economiche
(monetaristi, supply-side economics) e da
nuove problematiche (stagflazione, shock
petroliferi, fallimenti dello Stato e eccessive
regolamentazioni
e
irrigidamento
dell’iniziativa privata).
L’intervento pubblico in
economia
Con la crisi finanziaria del 2008-09 il quadro si è
nuovamente modificato con la necessità di un
intervento diretto dello Stato. La legislazione antitrust
(dallo Sherman Act 1890) ha ripreso a contrastare le
forme di oligopolio e di carenza di informazione a
causa della crisi finanziaria.
Il Piano Pauson
americano e la nazionalizzazione di alcune banche
inglesi hanno comportato un massiccio intervento dello
Stato. Inoltre per reagire alla crisi si è operato
attraverso politiche fiscali espansive che hanno
aggravato i disavanzi pubblici.
Oggi l’attenzione si è orientata verso l’eccessivo
indebitamento pubblico e privato. Diverso è il discorso
sulle regole che necessitano e hanno necessitato di
una migliore regolamentazione dei mercati a causa
delle forti lacune nel sistema di regolazione dei mercati
finanziari.
Trade-off disoccupazioneinflazione e politica dei redditi
Con gli anni ’70 e la stagflazione è iniziata a
maturare la consapevolezza di un trade-off tra
disoccupazione (che è tipico di un economia con
risorse sotto-utilizzate) e l’inflazione (in presenza di
piena occupazione). Si sono impostate politiche
che devono contemperare obiettivi di inflazione e
disoccupazione.
Per ciò che riguarda l’inflazione un ritmo elevato di
crescita dei prezzi crea inefficienze con variabilità
dei prezzi relativi con evidenti effetti redistributivi.
Per ciò che riguarda la disoccupazione si assiste ad
uno spreco di risorse e di perdita di prodotto
potenziale.
Secondo i keynesiani la stabilizzazione monetaria
può avvenire attraverso una Politica dei redditi.
Trade-off disoccupazioneinflazione e politica dei redditi
La politica dei redditi comporta il controllo delle due
principali categorie di reddito – salari e profitti. Per ciò
che riguarda i salari è necessario che questi
aumentino ad un tasso non superiore alla produttività.
Ma il controllo dei profitti può avvenire solo
indirettamente attraverso il controllo dei prezzi con
irrigidimento artificiale dei prezzi relativi e distorsioni
delle risorse.
Si ritiene che tali politiche di controllo di salari e prezzi
vadano accompagnate con politiche di sostegno della
domanda aggregata.
La gestione di una politica dei redditi può avvenire
attraverso un approccio di programmazione concertata
con soluzioni cooperative prevedendo accordi a tre
Stato, imprese e sindacati e forme di incentivazione
con l’uso dello strumento fiscale.
Scarica