POLITICA ECONOMICA Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche Corso di Economia aziendale Prof. MICHELE SABATINO TEORIE, SCUOLE ED EVIDENZE EMPIRICHE Didattica Programma Dopo un breve richiamo ed analisi dei principali aggregati macroeconomici e degli indicatori economici fondamentali, il corso si svolge lungo le seguenti parti e tematiche relative alla teoria della Politica Economica con molteplici applicazioni ed approfondimenti empirici. Parte 1: Le teorie e le politiche economiche keynesiane 1a) La "Grande Depressione" e la "rivoluzione keynesiana" 1b) La Sintesi Neoclassica 1c) Le teorie del disequilibrio e le teorie post-keynesiane: enfasi su incertezza ed instabilità 1d) Obiettivi e strumenti di politica economica 1e) Tipologia delle politiche economiche Parte 2: Il dibattito tra keynesiani e monetaristi 2a) L'efficacia delle politiche monetarie e fiscali 2b) L'offerta aggregata, le aspettative e l'analisi degli shock 2c) La curva di Phillips 1 Didattica (1) Parte 3: Le politiche macroeconomiche 3a) La politica monetaria e l'inflazione 3b) La politica fiscale e la sostenibilità del debito pubblico 3c) Analisi empirica dei "rischi di insostenibilità" nel contesto europeo 3d) Le politiche economiche in economia aperta 3e) La recente crisi, le sue interpretazioni e le "exit strategies“ Parte 4: La Nuova Macroeconomia Classica (NMC) 4a) Fondamenti ed implicazioni della NMC 4b) Le principali critiche alla NMC 4c) Razionalità e scienza economica: evoluzione o involuzione? Parte 5: Nuova Economia Keynesiana (NEK) e mercato del lavoro 5a) La NEK e le rigidità di prezzo 5b) Teorie e politiche del lavoro 5c) L'impatto della recente crisi sul mercato del lavoro 2 Didattica (2) Parte 6: Economia dell'offerta, cicli e crescita economica 6a) Il peso del settore pubblico: teorie ed evidenze empiriche comparate 6b) Le principali teorie sui cicli economici 6c) Crescita e sviluppo: teorie ed evidenze empiriche comparate 6d) L'impatto della recente crisi sulla sostenibilità del debito pubblico e sulla crescita economica Propedeuticità: Istituzioni di micro e macroeconomia – Economia politica 3 Testi Testo obbligatorio: E. MARELLI - M. SIGNORELLI (2010) "POLITICA ECONOMICA - Teorie, scuole ed evidenze empiriche", Giappichelli Editore, Torino. Link al libro: http://www.giappichelli.it/home/978-88-348-09532,3480953.asp1 Testo integrativo: G. SOMOGYI (2010) – “Introduzione alla politica economica – Prospettive e strategie dela crescita mondiale nel XXI secolo”, Franco Angeli, Milano. 4 La Rivoluzione Keynesiana La Teoria Generale (1936) di Keynes rappresenta il punto di svolta dell’intero pensiero economico e una visione organica della politica economica. Prima di Keynes classici e neoclassici si contendevano il panorama del pensiero economico e concorrevano a determinare le scelte di politica economica. La scuola classica La scuola classica dominò il pensiero economico fino alla fine dell’800. Tra i nomi principali A.Smith, D. Ricardo, T.R.Malthus, K.Marx, J.S.Mill. I loro studi erano rivolti essenzialmente a determinare il valore “sociale” della ricchezza, la formazione e distribuzione del sovrappiù, l’accumulazione e lo sviluppo economico. Sebbene il primo programma di liberalismo economico si possa addebitare ai Fisiocratici (in contrapposizione con i mercantilisti) è indubbio che Adam Smith sia il padre di questa filosofia. Tutti i classici indicava nel Laissez-faire la possibilità di raggiungere il benessere collettivo. L’agire della mano invisibile del mercato consentiva di raggiungere il miglior risultato possibile. La scuola neoclassica La scuola neoclassica della fine dell’800 coincide con la rivoluzione marginalista di Walras, Pareto, Marshall, Pigou, Fisher, Von Hayek, Robbins, ect… Questa scuola intende agire a livello microeconomico e postula essenzialmente due principi: La razionalità degli agenti (le imprese tendono a massimizzare i profitti e i consumatori a massimizzare l’utilità); L’equilibrio di mercato (ossia l’assenza di eccessi di domanda e/o offerta) di tipo concorrenziale con piena flessibilità dei prezzi. Scuola classica e scuola neoclassica Le due scuole manterranno in comune la c.d. Legge di Say: l’offerta crea la domanda, essendo la produzione offerta l’unica fonte di determinazione dei redditi distribuiti e che questi ultimi vengano subito spesi (anche i risparmi vengono subito investiti). Il sistema economico è sempre suddiviso in due sottosistemi (equilibrio generale walrasiano) che consente di determinare le variabili reali (prodotto, occupazione, prezzi relativi) e le variabili nominali (livello dei prezzi, reddito nominale e salari monetari, tassi di interesse nominali). In tale sistema le variabili monetarie influenzano solo i valori nominali ma non quelli reali e quindi la moneta è neutrale. Keynes e i classici Keynes criticherà i classici e neoclassici prendendo le mosse dall’apparato teorico (razionalità degli agenti e equilibrio concorrenziale di mercato) abbandonando alcune ipotesi specifiche quali la flessibilità dei prezzi di tutti i beni fino all’approccio del disequilibrio mostrando i fallimenti del mercato dovuti a frizioni, rigidità ed imperfezioni. Tale approccio finiva per proporre una visione alternativa della politica economica con un diverso ruolo dello Stato nel caso si verificasse una carenza nella “domanda effettiva” con condizioni più o meno persistenti di disoccupazione e depressione. E’ nel contesto della Grande Depressione del1929 che Keynes tenta una interpretazione del reddito nazionale e del livello di disoccupazione. L’assenza di piena occupazione e la distribuzione iniqua della ricchezza sono considerati da Keynes come i fallimenti del mercato. La rivoluzione keynesiana Keynes è stato oggetto di numerose interpretazioni alternative. Tuttavia è indubbio che il suo approccio ha innovato profondamente il pensiero economico contemporaneo dando vita alla moderna macroeconomia. Proviamo a sintetizzare le innovazioni teoriche fondamentali della Teoria Generale: La rivoluzione keynesiana 1) 2) 3) Il reddito non è sempre fissato a quello di piena occupazione per cui spesso si realizzano equilibri di sotto-occupazione; Tra le principali determinanti del reddito, posto che questo non è sempre fissato dall’offerta (legge di Say) vi è la domanda aggregata (in particolare la domanda effettiva) generando disoccupazione anche a causa di disinformazione, problemi di coordinamento e incertezza; Tra le componenti della domanda aggregata bisogna ricordare (a) i consumi, funzione del reddito disponibile con una propensione marginale inferiore a uno e (b) gli investimenti che sono la principale variabile esogena a determinare il reddito e legati non solo al tasso di interesse ma altresì alle aspettative degli imprenditori. La rivoluzione keynesiana 4. I salari monetari sono generalmente rigidi nel breve periodo e i processi di aggiustamento manifestano frizioni, difficoltà; 5. La teoria della preferenza della liquidità fa si che la domanda di moneta dipende anche dal tasso di interesse e quindi non è solo un fenomeno reale ma monetario; 6. Infine l’offerta di moneta non può influenza solo i prezzi ma anche il reddito reale, la dicotomia tra settore reale e monetario viene a cadere, la moneta non è neutrale. L’equilibrio macroeconomico Nell’equilibrio macroeconomico classico (legge di Say) la domanda aggregata (A) è sempre determinata dall’offerta (reddito reale, o prodotto nazionale) (Y) per cui Ac=Y Nell’equilibrio classico la domanda aggregata è una semiretta a 45° che coincide sempre con il reddito offerto Y. Il reddito di piena occupazione (Y*) dipende solo dai fattori dell’offerta ossia dalle risorse produttive. Sono le forze del libero mercato a far permanere una situazione di piena occupazione. L’equilibrio macroeconomico classico A Ac=Y 45° Y Y* L’equilibrio macroeconomico keynesiano Al contrario nel sistema keynesiano la domanda aggregata è rappresentata dalla retta Ak. La sua posizione dipende dalla domanda aggregata autonoma  (investimenti, spesa pubblica, esportazioni e consumi) mentre la sua inclinazione dipende dalle caratteristiche delle variabili (propensione marginale al consumo). In questo approccio è il reddito offerto (produzione) che si adegua alla domanda aggregata che include sia la domanda autonoma (A) ma anche quella endogena (c.d. indotta) determinata dal moltiplicatore. In termini grafici il reddito di equilibrio (Y°) è determinato dall’intersezione tra la retta di domanda aggregata (Ak) e la semiretta a 45°. L’equilibrio macroeconomico keynesiano A Ac=Y Ak’ Ak Â’  45° Y Y° Y* L’equilibrio macroeconomico keynesiano In questo modello il reddito di equilibrio è determinato dal lato della domanda e i prezzi sono considerati, nel breve periodo, fissi, per cui la convergenza avviene attraverso aggiustamenti di quantità. In questo caso la produzione offerta si adegua al livello della spesa (domanda). In tale situazione il reddito determinato sul lato dell’offerta può essere inferiore a quello di piena occupazione (Yo<Y*). Il livello di occupazione viene ad essere determinato sul mercato dei beni e non su quello del lavoro. La presenza di disoccupati è “involontaria”. L’equilibrio di sotto-occupazione è quello al centro della Teoria Generale e che pone maggiore enfasi al mercato dei beni piuttosto che a quello del lavoro. Implicazioni per la Politica economica 1) 2) 3) Le c.d. rivoluzione keynesiana introduce alcuni quesiti fondamentali alla macroeconomia: Come si determina il reddito di equilibrio Yo che può essere a qualunque livello anche diverso da quello di piena occupazione Y* Quando e perché si determina un equilibrio di sottoccupazione (Yo<Y*) e quindi rimangono risorse inutilizzate posto che non esistono forze endogene di riequilibrio; Cosa si può fare per uscire da questa situazione e colmare il gap di sottoccupazione (spostare verso l’alto la retta Ak in Ak’) – ossia attuare un intervento di politica economica Implicazioni per la Politica economica Una possibile soluzione prospettata da Keynes è quella di provocare un aumento della Domanda aggregata ∆A, ovvero un’iniezione di spesa pubblica, tale da indurre un incremento del reddito ∆Y. Si tratterà comunque di un incremento ∆Y> ∆A superiore alla domanda aggregata per via del c.d. moltiplicatore keynesiano del reddito (generalmente superiore all’unità). Implicazioni per la Politica economica Esempi di politiche keynesiane sono le opere pubbliche, interventi sulle infrastrutture e l’edilizia, altri interventi redistributivi, ect…. Tuttavia Keynes non è stato mai un sostenitore della spesa pubblica (deficit spending) “qualunque” ma solo in caso di recessione o depressione e quindi programmando spese pubbliche “produttive” orientate alla crescita di lungo periodo. Implicazioni per la Politica economica Per tutte le scuole keynesiane la disoccupazione è involontaria ed è ricondotta alla carenza di domanda aggregata anche se sono condivise le considerazioni su ulteriori cause dovute alla rigidità dei salari e dei prezzi, la difformità di adeguamenti alle macrovariabili, le imperfezioni di mercato e le incertezze nonché le carenze informative. Questi “FALLIMENTI DEL MERCATO” possono essere persistenti disequilibri del mercato del lavoro. Per tale motivo i modelli macroeconomici keynesiani sono definiti modelli di disequilibrio. La Grande Depressione La crisi del 1929 fu una crisi globale perché coinvolse tutti i paesi industrializzati e tutti i settori economici ed ebbe effetti su tutte le categorie sociali. La crisi si scatenò avendo un quadro di riferimento di prezzi agricoli a ribasso e di chiusura dei traffici internazionali. La crisi espose nell’ottobre 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street dopo anni di speculazioni e di un numero crescente di banche e risparmiatori che investivano in Borsa. Per quanto riguarda gli indicatori e le variabili reali tra il 1929 e il 1933 il PIL si ridusse del 30%, i disoccupati passarono da 1,5 milioni ad oltre 12 milioni e numerosi furono i fallimenti bancari. Gli indicatori monetari e finanziari rilevarono una riduzione dei prezzi del 25% ed malgrado gli incrementi della base monetaria BM si assistette ad una riduzione dell’aggregato monetario M1 e M2. La Grande Depressione Gli economisti forniscono differenti interpretazioni ma tutti concordano che le scelte di politica economica compiuti in quel periodo furono errate. All’inizio infatti i governi adottarono le tradizionali politiche liberiste convinti che il mercato avrebbe assorbito la crisi autonomamente come nel passato. Si scelsero politiche restrittive (equilibrio di bilancio e riduzione della moneta in circolazione) e politiche protezionistiche a difesa delle proprie produzioni. Inoltre l’adesione al Gold standard e quindi un sistema di cambi fissi impedì alle autorità monetarie di utilizzare la leva dei tassi di cambio per stabilizzare la moneta. La sintesi neoclassica Nonostante la portata rivoluzionaria dell’approccio keynesiano molti tentarono una soluzione conciliatrice riconducendo il caso di Keynes ad un caso particolare nel quadro di una analisi di breve periodo conciliabile con posizioni di equilibrio di lungo periodo. Tra i principali tentativi di “sintesi neoclassica” si richiamano quelli di Hicks nell’interpretazione della “trappola della liquidità” e quella di Modigliani dei salari monetari rigidi verso il basso. L’interpretazione di Hicks Il modello di Hicks introduce il modello IS-LM che rappresenta l’elemento fondamentale dello schema macroeconomico. Hicks sostiene che sia lo schema keynesiano che quello classico sono casi particolari di una Teoria generale le cui variabili fondamentali sono il reddito Y e il tasso di interesse i (il reddito reale coincide con quello monetario grazie all’ipotesi di salari monetari fissi). Investimenti Risparmi Domanda di Moneta I= I(Y,i) S= S(Y,i) Md=L(Y,i) L’interpretazione di Hicks Per un determinato livello di reddito (Ŷ), l’uguaglianza tra risparmi ed investimenti S(Ŷ,i)=I(Ŷ,i) determina il tasso di interesse di equilibrio. Tuttavia anche la domanda di moneta dipende dalle stesse variabili (reddito e tasso di interesse) per cui la determinazione delle variabili non può che avvenire simultaneamente sia nel mercato dei beni che in quello monetario (si suppone una offerta di moneta esogena Ms=M). Semplificando la Teoria di Hicks è possibile ottenere lo schema IS-LM: Investimenti I=I(i) Risparmi S=S(Y) L’interpretazione di Hicks Lo schema IS-LM standard rappresenta l’equilibrio sul mercato dei beni e su quello monetario dove la curva IS rappresenta l’’equilibrio sul mercato dei beni, ottenuta attraverso l’uguaglianza I(i)=S(Y), mentre la curva LM rappresenta l’equilibrio sul mercato della moneta ponendo l’offerta di moneta uguale alla domanda L(Y,i)=Ms. E’ evidente che le due variabili, tasso di interesse e reddito, siano determinate in questo sistema da due equazioni in due incognite L’interpretazione di Hicks L’interpretazione di Hicks Il sistema classico è un caso particolare in cui la domanda di moneta è funzione del solo reddito (ove k è una costante di proporzionalità). La domanda di moneta è insensibile al tasso di interesse. Domanda di Moneta Md=L(Y)=kY In questo caso la curva LM è verticale. L’interpretazione di Hicks Nel sistema keynesiano la domanda di moneta è funzione solo del tasso di interesse. Questo caso rappresenta una c.d. Trappola della liquidità e si verifica solo in situazioni di profonda depressione. In questa situazione il tasso di interesse è rigido verso il basso e il livello di sottoccupazione è determinato da una profonda depressione. Domanda di Moneta Md=L(i) L’interpretazione di Hicks In definitiva secondo il punto di vista classico la domanda di moneta è insensibile a variazioni del tasso di interesse: così che la curva LM è verticale. In tal caso una politica fiscale espansiva che trasli verso destra la curva IS non ha alcun potere di alterare il livello del reddito nazionale; l'intero effetto della politica fiscale si scarica infatti sul tasso di interesse, con il completo spiazzamento degli investimenti da parte della spesa pubblica. L’interpretazione di Hicks Mentre secondo il punto di vista Keynesiano la domanda di moneta è infinitamente sensibile a variazioni del tasso di interesse e la curva LM è orizzontale. In questa ipotesi la domanda di moneta è molto sensibile a variazioni del tasso di interesse, il mercato delle attività finanziarie sopporterà una qualunque iniezione di moneta senza che il tasso di interesse si modifichi. In tal caso, una politica fiscale espansiva non avrebbe alcun effetto sul tasso di interesse, non dando dunque adito ad alcuno spiazzamento degli investimenti, e andando ad aumentare il livello del reddito nazionale. L’interpretazione di Modigliani Modigliani considera incompleta l’analisi di Hicks che trascura il mercato del lavoro (adottando l’ipotesi di salari monetari fissi) e perché si sofferma solo sulla rigidità del tasso di interesse. Per Modigliani invece esistono altri casi di rigidità quali gli investimenti (rispetto al tasso di interesse) e i salari monetari. L’interpretazione di Modigliani Modigliani aggiunge al sistema di equazioni di Hicks altre tre equazioni: Offerta di lavoro Produzione Domanda di lavoro Reddito Nominale W=f-1(N)P X=X(N) W=X’(N)P Y=PX L’equazione della domanda di lavoro pone l’uguaglianza tra salari reali W e produttività marginale del lavoro X’(N). L’equazione dell’offerta di lavoro stabilisce che l’occupazione offerta dipende dai salari reali secondo la relazione N=f(W/P) per cui f-1 è la funzione inversa. Infine l’ultima equazione mette in relazione il reddito reale (X) a quello nominale (Y) attraverso il livello generale dei prezzi (P). L’interpretazione di Modigliani Modigliani ottiene un sistema keynesiano con l’ipotesi di salari monetari rigidi verso il basso anziché flessibili. L’offerta di lavoro viene fatta dipendere dai salari monetari (W=Wo) nel caso in cui vi sia sottoccupazione (N<No). Al di sopra della piena occupazione (N>No) vale l’ipotesi usuale della flessibilità. Anche attraverso questa ipotesi l’apparente dicotomia (blocco monetario e blocco reale) della visione classica dei sostenitori della neutralità della moneta viene superata dalla visione keynesiana dove un aumento dei prezzi riduce i salari reali, accresce l’occupazione e le altre variabili reali. Occupazione e disoccupazione Per comprendere le conseguenza dell’ipotesi di salari monetari rigidi verso il basso vediamo la figura di seguito (nel secondo grafico i salari sono quelli monetari (W) e non quelli reali (W/P)). Ns Ns (W/P)1 W1 (W/P)o Wo Nd N1 No Nd (Po) N1 No Nd (P1) Occupazione e disoccupazione La piena occupazione dei classici che si determina al salario reale d’equilibrio non esclude un certo numero di disoccupati c.d. volontari, cioè persone che volontariamente rinunciano a quel salario a lavorare. I Keynesiani estremi interpretano invece il pieno impiego come un impiego di tutte le forze di lavoro. Tuttavia i Keynesiani ammettono che le risorse disponibili a lavorare non sono esogene ma dipendono da alcuni fattori (Modigliani parla che l’offerta di lavoro dipende dal livello salariale) altrimenti la Ns sarebbe verticale. Occupazione e disoccupazione Ma vediamo i differenti tipi di disoccupazione in un contesto keynesiano: Disoccupazione ciclica: che deriva da una produzione troppo bassa (Yo<Y*) come avviene durante le recessioni; Disoccupazione frizionale: che derivano dall’ingresso di nuovi lavoratori o di lavoratori in mobilità e quindi la compresenza di lavoratori disoccupati e imprese che cercano lavoro; Disoccupazione strutturale: che deriva dai cambiamenti della struttura del sistema produttivo. Progresso tecnologico, terziarizzazione dell’economia, effetti della globalizzazione, flussi migratori e spiazzamento dei lavoratori autoctoni, mutamenti istituzionali (obbligo scolastico), evoluzioni socioculturali (partecipazione femminile). Occupazione e disoccupazione Per ridurre la disoccupazione ciclica occorrono interventi sul fronte della domanda aggregata. Per ridurre la disoccupazione frizionale occorrono interventi sul fronte dell’offerta (politiche attive del lavoro, job matching). Per ridurre la disoccupazione strutturale occorrono complesse politiche strutturali (politiche industriali, migratorie, regionali, per l’istruzione e la famiglia) Occupazione e disoccupazione In una situazione di sottoccupazione (Wo, N1) un aumento dei prezzi (da P1 a Po) riduce i salari reali da (Wo/P1 a Wo/Po) facendo spostare la curva della domanda di lavoro verso destra lasciando inalterata l’offerta di lavoro. Ciò significa che la disoccupazione può essere eliminata, ove i salari monetari siano rigidi, facendo crescere i prezzi e riducendo per via indiretta i salari reali. In tal senso il riequilibrio è garantito per via indiretta tramite l’aggiustamento dei prezzi, per esempio attraverso un’appropriata variazione della quantità di moneta. La nuova ortodossia neoclassica In definitiva i modelli di sintesi neoclassica mantengono l’impostazione di equilibrio di piena occupazione quale caso “normale” e configurano i risultati keynesiani come un caso particolare in cui il mercato del lavoro, e solo quello, presenta delle rigidità di vario tipo che precludono i vari tipi di aggiustamento. La sintesi neoclassica costituì la nuova ortodossia che ha dominato la scena accademica e anche l’azione politica sino alla comparsa delle teorie monetariste. Tasso di occupazione e di disoccupazione Il tasso di occupazione quantifica l'incidenza della popolazione che ha un'occupazione sul totale della popolazione e si calcola come rapporto percentuale tra il numero di persone occupate e la popolazione. A seconda degli obiettivi il numero degli occupati viene rapportato: alla popolazione nel suo complesso alla popolazione oltre una certa età alla popolazione in età lavorativa. Il tasso di disoccupazione misura sul mercato del lavoro un eccesso di offerta di lavoro (da parte dei lavoratori) rispetto alla domanda di lavoro (da parte delle imprese).Misura solitamente la percentuale delle forza lavoro che non riesce a trovare lavoro e pertanto viene definito come il rapporto tra persone in cerca di lavoro e forza lavoro dove la "forza lavoro" è la somma delle "persone in cerca di lavoro" e gli "occupati". Le teorie del disequilibrio In aggiunta agli sviluppi neoclassici la c.d. “rivoluzione keynesiana” ha dato origine ad altri importanti filoni di matrice keynesiana: la scuola del disequilibrio e la scuola postkeynesiana. A questo proposito per introdurre il tema del disequilibrio bisogna comprendere che esistono tre modi di spiegare una situazione di sottoccupazione: Le teorie del disequilibrio 1) 2) 3) Sulla base della rigidità dei prezzi e dei salari compatibile con la sintesi neoclassica dove ci si trova in una situazione di equilibrio nel mercato dei beni e di disequilibrio nel mercato del lavoro (Hicks, Modigliani). Sulla base di elementi che mantengono il sistema in condizione di temporaneo disequilibrio ed il sistema non riesce a portare a termine il processo dinamico di convergenza (Patinkin). Sulla base di fattori che precludono la convergenza – incertezza, carenza di domanda effettiva, prezzi “falsi” temporaneamente fissi – fallimenti del mercato (Clower, Leijonhfvud). L’interpretazione di Patinkin Patinkin nella sua analisi dei modelli di sintesi neoclassica inizia a rappresentare fenomeni di disequilibrio derivanti dal processo di aggiustamento dinamico. Nel caso di Patinkin l’offerta aggregata S(wo,Ko) è funzione del salario reale (wo) e dello stock di capitale (Ko). La domanda aggregata invece è funzione della spesa pubblica (G), dei saldi liquidi (M/P) e di altre componenti (Â) (consumi e investimenti). L’interpretazione di Patinkin Si suppone che in una situazione iniziale (punto e)l’equilibrio del reddito (A=Y) sia fissato ad un livello (Y*) tale da garantire la piena occupazione (N=N*). Se si ipotizza un decremento della domanda aggregata (da A a A’’) ed un nuovo punto di equilibrio (f). Nel mercato del lavoro si verificherebbe una occupazione pari a N1 con la presenza di disoccupazione involontaria nel punto f’. Y=S(wo/Ko) Ns A, Y Ns A e A’ k f Y1 Wo f’ e’ A’’ Nd Y2 Y* Nd N1 No L’interpretazione di Patinkin Il livello del salario non è la causa di tale situazione di disequilibrio in quanto, pur prevedendo che i salari e i prezzi flessibili, il salario reale rimane a livello iniziale wo.E’ vero che l’eccesso di offerta di lavoro provoca una riduzione del salario monetario (Wo a W1) ma in questo caso le imprese ridurranno anche i prezzi (Po a P1) lasciando invariato il salario reale (Wo/Po = W1/P1) Y=S(wo/Ko) Ns A, Y Ns A e A’ k f Y1 A’’ Wo f’ e’ Nd Y2 Y* Nd N1 No L’interpretazione di Patinkin In effetti si tratta di un processo di aggiustamento verso l’equilibrio in quanto né f né f’ sono in equilibrio. Assistiamo ad un continuo processo di aggiustamento. La riduzione dei Prezzi accresce la quantità di moneta da M/Po a M/P1 facendo spostare a sua volta la domanda aggregata verso l’alto (ad esempio A’’) con un aumento del reddito a Y2. Il processo di aggiustamento verso l’equilibrio è troppo lungo e la disoccupazione può persistere malgrado la flessibilità dei salari. Da qui la necessità di un intervento di politica economica. Patinkin identifica l’analisi keynesiana in una teoria della disoccupazione di disequilibrio essenzialmente dovuta alla carenza di domanda. La teoria di Clower Un altro approccio prende spunto da Clower (1965) il quale definisce la concezione neoclassica come una contro-rivoluzione. Crower definisce la domanda effettiva quella domanda aggregata compatibile con il livello di occupazione corrente: la domanda effettiva dipende sia dai prezzi dei beni sia dal reddito. Il disequilibrio è dovuto al dualismo decisionale tra il mercato dei beni e quello del lavoro e quindi vi è una discrepanza tra domanda effettiva con domanda nozionale. In presenza di disoccupazione non compare nessun eccesso di domanda effettiva, i prezzi non possono salire ed i salari reali non scendono (pur se flessibili), le imprese non aumentano la produzione e non assumono. Essendoci disoccupati a sua volta la domanda affettiva rimane bassa con la possibilità di un circuito vizioso. La teoria di Clower Se le imprese fossero a conoscenza che producendo una quantità maggiore di beni ed occupando più persone potrebbero trovare facilmente uno sbocco alle loro produzioni aggiuntive, certamente seguirebbero questa strada. Ma purtroppo conoscono solo la domanda effettiva e a sua volta limitano il livello occupazionale. Si tratta di un problema informativo. In definitiva Crower sottolinea come la situazione neoclassica di equilibrio rappresenta un caso particolare (valido solo in situazione di piena occupazione) e una teoria generale appunto quella di Keynes. L’approfondimento di Leijonhfvud Leijonhfvud chiarisce alcuni aspetti del disequilibrio concentrandosi sui problemi informativi, sui meccanismi di amplificazione degli squilibri, sulle imperfezioni del mercato, sulle difficoltà di funzionamento. L’analisi dei classici è limitata basandosi sull’ipotesi della perfetta informazione. Si pone il problema di coordinamento dell’economia nei quali i lavoratori offrono lavoro in cambio di moneta anziché beni e gli imprenditori non valutano e fissano in modo adeguato la produzione. Si risalta inoltre il fallimento di coordinamento tra produttori e consumatori-lavoratori ma anche tra risparmiatori e investitori: l’equilibrio tra risparmi e investimenti è difficile trattandosi da decisioni provenienti da due gruppi di soggetti diversi. Alla fine il disequilibrio è dovuto non da rigidità dei prezzi ma dalla limitazione delle informazioni disponibili da parte degli agenti. La scuola del disequilibrio La scuola del disequilibrio si basa quindi sul paradigma di una concorrenza imperfetta. Nell’analisi del disequilibrio si distingue: Mercato dei compratori, quando il prezzo sale superano il valore di equilibrio determinando un eccesso di offerta. I venditori sono razionati e parte dell’offerta rimane invenduta. Mercato dei venditori, in cui il prezzo è inferiore al valore di equilibrio, causando un eccesso di domanda. I compratori sono razionati e quindi parte della domanda risulta insoddisfatta. La scuola del disequilibrio In tale situazione gli agenti che si trovano sul lato c.d. corto del mercato (intendendo la quantità minore di domanda o offerta) sono nelle condizioni di poter realizzare i propri piani mentre gli altri sono razionati. Gli agenti razionati devono tenere in considerazione, nel formulare i loro piani di acquisto o vendita, di informazioni di quantità e non solo di prezzo. In questo modo il razionamento di un agente pone vincoli quantitativi in altri mercati, generando una sorta di circolo vizioso evitando qualsiasi riequilibrio automatico. Tipi di disoccupazione e politiche conseguenti In uno schema di disequilibrio la disoccupazione viene a dipendere da una serie di vincoli. Considerando un’offerta di lavoro a livello di piena occupazione (N=N*), una domanda di lavoro di tipo neoclassica (Nd=f(W/P)) ed una determinazione del reddito di tipo keynesiano (L’offerta aggregata, funzione dell’occupazione Ys=f(N), si adegua alla domanda aggregata Ys=A), il livello effettivo di occupazione risulterà il seguente: No=min (N*, f(W/P), f-1(A)) Tipi di disoccupazione e politiche conseguenti In questo modo il livello di occupazione viene rappresentato dalla seguente figura e in qualunque punto dell’area al di sotto della Nd. Così l’occupazione può collocarsi lungo il segmento N*e’ (vincolo di piena occupazione) o Nd e’ sulla curva di domanda di lavoro (la cui disoccupazione è quella classica) o in qualunque punto interno (la cui disoccupazione è di tipo keynesiano). W/P Nd a a’ e’ N N* Tipi di disoccupazione e politiche conseguenti Questo tipo di rappresentazione consente di stabilire anche le differenti politiche di intervento. Se la disoccupazione è di tipo keynesiano dovuta ad una insufficienza di domanda di lavoro allora bisognerà spostare la domanda effettiva verso destra fino alla Nd attraverso politiche espansive (incremento dei consumi oppure della spesa pubblica). E’ importante chiarire che una riduzione dei salari monetari in presenza di disoccupazione implica un processo lento di aggiustamento che deprime i consumi, riduce i prezzi e riconduce i salari reali al livello di partenza; Se invece la disoccupazione è di tipo classico, ovvero ci si trova sulla curva Nd a sinistra del punto e’ politiche espansive potrebbero produrre solo inflazione e l’unica soluzione è ridurre il salario reale. I neoclassici propongono interventi sulle politiche dei redditi e sulla produttività. Spesso nel caso del punto a può essere necessario per condurre la domanda di lavoro prima sul punto a’ e successivamente sul punto e’. Quindi aumenti della domanda effettiva e riduzione dei salari reali. La scuola post-keynesiana a) b) c) d) In verità non si può parlare di una vera scuola trattandosi di un gruppo eterogeneo che tuttavia mantiene alcuni tratti unificanti: Enfasi posta agli aspetti istituzionali (contratti, organizzazione dei mercati); Analisi dei processi storici e dei problemi economici reali; Trattazione preliminare delle questioni metodologiche; Costante richiamo a Keynes e ai classici e rifiuto alla sintesi con le teorie neoclassiche. Due componenti: quella europea presso l’Università di Cambridge in Inghilterra (Kaldor, Robinson, Pasinetti), quella americana (Davidson, Minsky, Weintraub) Incertezza e instabilità L’instabilità del sistema economico sfocia nel disordine e tra l’altro il futuro è imprevedibile in quanto gli eventi sono irripetibili. La aspettative non si possono formulare con schemi semplici. La causa è l’incertezza, elemento inevitabile degli eventi economici. Viene enfatizzato il ruolo delle aspettative. Incertezza sulle previsioni del futuro e aspettative soggettive determinano spesso comportamenti precauzionali e quindi spesso razionali. Tutto ciò però, a seconda delle circostanze, può aumentare o ridurre la instabilità. La funzione dei comportamenti, come quella degli investimenti, diventa instabile. Le implicazioni Nella scuola post-keynesiana il fulcro dell’analisi si estende, oltre alla stabilizzazione, ai temi dell’equità. Robinson (1964) mostra che l’economia di mercato non assicura un meccanismo di piena occupazione e quindi sono necessarie riforme sociali ed economiche. In relazione agli investimenti potrebbe essere necessaria la loro socializzazione. Keynes aveva escluso che lo Stato fosse proprietario dei mezzi di produzione o che controllasse gli investimenti privati ma auspicava un programma di investimenti pubblici complementari a quelli privati. Sempre in tema di investimenti si ribadisce che le decisioni di investimenti sono presi non solo in funzione del tasso di interesse ma in funzione di alcune determinanti (profittabilità attese, grado di utilizzo degli impianti, andamento della domanda di beni) e condizioni permissive (a seconda delle condizioni di finanziamento, il ruolo del profitto, la disponibilità di credito). La crescita, la redistribuzione del reddito e la politica dei redditi Le teorie post-keynesiane hanno posto l’enfasi sul tema della crescita e dello sviluppo. Il modello di crescita di Kaldor (1960) si innesta su un precedente modello di crescita keynesiano (Domar Harrod) di lungo periodo che si caratterizza per una funzione del risparmio differenziata a seconda delle classi sociali (lavoratori, imprenditori). I lavoratori sono più indotti ai consumi che al risparmio con una diversa propensione al consumo e al risparmio. La redistribuzione del reddito modifica la domanda aggregata attraverso la funzione degli investimenti. La distribuzione del reddito è importante non solo per la crescita ma anche per l’inflazione. Il disaccordo tra le parti – lavoratori (chiedono aumenti salariali) e capitalisti (scaricano gli aumenti sui prezzi al consumo) – sulla distribuzione del reddito può scariscarsi sull’inflazione. E’ quindi necessaria una politica dei redditi, come contratto sociale, e con un ruolo attivo dello Stato. L’instabilità finanziaria La scuola post-keynesiana di origine americana si orienta sull’analisi dei fenomeni monetari e della loro relazione con quelli reali. Secondo i neo-keynesiani la neutralità della moneta non regge neanche nel lungo periodo in quanto gli agenti conservano moneta per far fronte a circostanze impreviste anche nel lungo periodo. SI risalta l’endogenità della offerta di moneta creata dal sistema bancario per fare fronte all’aumento della domanda di moneta, del reddito e della stabilizzazione del tasso di interesse. Si risalta (Minsky) inoltre la fragilità finanziaria in cui è sufficiente una aspettativa diversa per invertire il ciclo per giungere a crolli finanziari. Di qui la necessità del controllo del credito. Si propongono inoltre una tassazione sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) o un sistema alternativo di pagamenti internazionali (da Bretton Woods all’adozione delle nuove regole) Critiche al paradigma neoclassico a) b) c) d) e) Gli economisti post-keynesiani finiscono per proporre riforme sociali ed economiche ed assumere posizioni non solo interventiste ma progressiste e a volte radicali: Si enfatizzano gli elementi istituzionali e le loro determinanti; Si ribadisce come l’ipotesi di concorrenze perfetta sia una chimera e che operano gruppi e cartelli oligopolisti; Il sistema è sistematicamente instabile (Schumpeter) per la sua forza creativa; Il nesso tra profitti ed investimenti; elevati profitti inducono elevati risparmi ma elevati risparmi non corrispondono necessariamente elevati investimenti. Elevati profitti poi che comprimono i salari possono compromettere anche i consumi. Il contributo della scuola marxista. La Politica Economica a) b) Dalla rivoluzione keynesiana nasce la moderna politica economica. Anche se gli interventi di politica economica erano già frequenti è solo con Keynes che assumono il carattere della scienza economica. La scienza economica è infatti distinta in: Economia politica che studia il funzionamento del sistema economico;ù Politica economica che studia come dovrebbe l’autorità politica intervenire per migliorare lo stato del sistema se ritenuto insoddisfacente. Obiettivi e strumenti di politica economica Una importante distinzione è quella tra strumenti e obiettivi laddove gli obiettivi finali sono macrovariabili che il politcymaker intende modificare (reddito, produzione, livello dei Prezzi, tasso di disoccupazione, bilancia commerciale), mentre gli strumenti sono variabili che si intendono manovrare al fine di influenzare l’obiettivo finale (es. la spesa pubblica, le imposte, i trasferimenti dello stato, l’offerta di moneta, il tasso ufficiale di riferimento, ect..). I legami tra obiettivi e strumenti sono definiti e analizzati nei modelli economici. Obiettivi e strumenti di politica economica Gli obiettivi sono: obiettivi fissi se predeterminati dai politcymakers o obiettivi flessibili se derivati dalla massimizzazione di una funzione del benessere sociale. Gli strumenti sono quantitativi se si riferiscono a variazioni quantitative (modifica dell’aliquota IVA), qualitativi se riguardano nuovi strumenti o modifiche ai processi decisionali (introduzione di una nuova imposta IRAP) o politiche di riforma con mutamenti delle regole di funzionamento (riforma del sistema pensionistico). Obiettivi e strumenti di politica economica a) b) Gli obiettivi possono altresì essere Obiettivi intermedi che si riferiscono a quelle macro-variabili a metà strada tra strumenti e obiettivi finali. Spesso questi obiettivi intermedi offrono il vantaggio di poter essere controllati e di verificare l’efficacia di una politica economica (se variamo la base monetaria BM avremo modificato lo stock di moneta M e quindi ci si può aspettare l’aumento del reddito Y) Generalmente gli obiettivi specifici sono: Il livello dei tassi di interesse (per i keynesiani); Lo stock complessivo di moneta (scuola monetarista). Per i keynesiani l’obiettivo intermedio del tasso di interesse deve essere assunto dalla politica economica come ausiliare o “accomodante” ad una politica fiscale espansiva. Un aumento di G che sposta verso dx lS determina un aumento di Y ma altresì del tasso di interesse. Se la banca centrale aumenta lo stock di moneta spostando la LM verso dx stabilizza contemporaneamente i tassi di interesse. Altri obiettivi intermedi sono il Credito totale interno (credito privato e fabbisogno pubblico), il tasso di cambio e l’inflation targeting. Modelli economici positivi e normativi L’economia politica nell’analizzare il sistema economico lo rappresenta attraverso relazioni matematiche e modelli economici positivi composte da equazioni (relazioni tra variabili) rappresentative della realtà. Le variabili possono essere: a) Endogene ossia determinate all’interno del modello; b) Esogene il cui valore è fissato dall’esterno e distinguibili in esogene strumentali se manovrate dai politicymakers (es. G,T,M) o date (come i Prezzi P e le variabili “estere”) Modelli economici positivi e normativi a) b) c) d) e) Le equazioni a sua volta possono essere: Comportamentali (la funzione del consumo o dell’investimento); Definitorie (che sono delle identità) come la spesa aggregata A=C+G+I; Di equilibrio (es l’equilibrio del mercato dei beni A=Y) Tecniche o istituzionali (esempio la funzione di produzione) Infine i modelli economici si presentano in forma strutturale (se comprende diverse equazioni) o in forma ridotta (se in ciascuna equazione compare una sola variabile endogena che risulta funzione delle variabili esogene (o parametri). Si perviene alla forma ridotta attraverso trasformazioni algebriche di quelle strutturali. Modelli economici positivi e normativi L’olandese Tibergen (1956) ha contribuito alla definizione dei modelli di politica economica con la regola aurea di politica economica secondo cui in un modello è necessario individuare lo strumento o ad ogni strumento di politica economica coincide un obiettivo (n.strumenti=n.obiettivi). Ad ogni obiettivo coincide una equazione in forma ridotta. Condizione necessaria perché un problema di politica economica abbia soluzione è che il numero degli strumenti deve essere uguale o superiore al numero degli obiettivi. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi La soluzione dei modelli parte dall’ipotesi che gli obiettivi siano fissi e cioè determinati dai politcymaker nel loro valore numerico. Attraverso la soluzione dell’equazione in forma ridotta inversa si assegnano i valori determinati alle variabili obiettivo e si determinano i valori degli strumenti che diventano l’incognita del problema. Supponiamo che il governo voglia aumentare il reddito di 10 mld di € (obiettivo prefissato) la domanda diventa: di quanto si dovrà aumentare la spesa pubblica G. L’incognita diventa lo strumento della spesa pubblica. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi In presenza di più obiettivi e di pochi strumenti si è dovuto optare per obiettivi flessibili (ottimi) determinati dai pochi strumenti a disposizione cercando di massimizzare la funzione del benessere sociale. In tal senso ci si trova in presenza di un trade-off tra obiettivi e quindi occorre fissare priorità. L’equilibrio al quale si perviene dipende da due elementi: le preferenze dei politicymakers e i vincoli a cui sono sottoposti. In tal senso la prima cosa è la definizione delle preferenze del politcymaker. L’approccio classico consiste nella massimizzazione di una funzione di benessere sociale che intende aggregare le preferenze individuali. Si tratta tuttavia di un modelli complesso che lasciano quindi il passo ad una funzione della perdita. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi La funzione di perdita consiste nella minimizzazione della perdita che corrisponde alla massimizzazione della funzione di preferenza sociale. Esempio nel caso di reddito Yt e inflazione πt può essere scritta: Min L= λy (Yt-Ŷt)2 + λπ (πt-πt)2 Il significato è che si vogliono minimizzare le deviazioni del reddito e dell’inflazione dai valori desiderati dove λy e λπ sono dei pesi assegnati ai due obiettivi. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi Si propone la scelta di politica economica utilizzando il trade-off tra disoccupazione (ut) ed inflazione (πt) nella c.d. curva di Phillips. La funzione di perdita può essere scritta così: L= λy (ut-ût)2 + λπ (πt-πt)2 Supponendo che i valori desiderati sono ût=0 e πt=0 allora le curve di indifferenza del policymaker saranno curve concave verso l’origine e con una perdita L=0 nulla all’origine degli assi (punto di massima felicità) – inflazione e disoccupazione nulle. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi Il punto di tangente B è quello di equilibrio ovvero il punto di ottimo di breve periodo determinato dalla curva di indifferenza più bassa (che è quella che minimizza la funzione di perdita) compatibile con il vincolo. Ph Ph’ B πa ua Soluzione dei modelli economici positivi e normativi In un approccio con obiettivi fissi se il numero di strumenti di politica economica è superiore agli obiettivi si pone un problema di scelta e selezione degli strumenti. Si tratta si compiere scelte sulla base dell’efficacia dello strumento, sui costi diretti ed indiretti, sui ritardi. Inoltre l’efficacia è legata anche al grado di controllabilità dello strumento, alle caratteristiche dell’operatore pubblico e dall’atteggiamento degli agenti privati. Nel caso di più obiettivi e più strumenti si pone il problema dell’assegnazione degli strumenti agli obiettivi. Infine si intraprendono politiche economiche non con un solo policymakers ma con una molteplicità di attori (potere legislativo, potere centrale e locale, amministrazioni, ect..) e inoltre i “politici” sono eletti e quindi soggetti alla “valutazione” al momento delle elezioni. Soluzione dei modelli economici positivi e normativi Nel caso più complesso ma realistico di molteplici strumenti e obiettivi possono essere necessarie soluzioni e interventi congiunti anche contrastanti (politiche fiscali espansive e politiche monetarie restrittive) con evidenti reflussi sulla domanda aggregata e sulle altre variabili. In una economia aperta inoltre si pongono i problemi di coordinamento delle politiche anche internazionale a diversi livelli: consultazione, scambio di informazioni, coordinamento vero e proprio. La crisi del 2008-09 ha fatto emergere la necessità di un forte coordinamento in un mondo globalizzato (in cui ancora le decisioni vengono prevalentemente prese a livello nazionale) con il coinvolgimento di un numero crescente di soggetti economici e istituzionali e di Paesi (G8, G14 e G20). I fini della politica economica 1. 2. 3. 1. 2. 3. Secondo la tripartizione di Musgrave si ritiene che la politica economica abbia tre finalità principali: Allocare più efficacemente le risorse; Stabilizzare il sistema macroeconomico; Redistribuire il reddito e la ricchezza. Le politiche economiche che possono essere realizzate per raggiungere queste finalità sono: Politiche strutturali microeconomiche o dell’offerta Politiche di stabilizzazione di breve periodo macroeconomiche e di controllo della domanda aggregata; Politiche redistributive volte a modificare la distribuzione della ricchezza e del reddito. I fini della politica economica Le politiche microeconomiche e strutturali mirano ad obiettivi di efficienza in aree specifiche: politiche regionali, politiche industriali ed hanno effetti sul fronte dell’Offerta aggregata AS. Sono volte a far diminuire la disoccupazione frizionale e strutturale, accrescere il prodotto potenziale e il tasso di crescita del prodotto. Le politiche di stabilizzazione agiscono sulla domanda aggregata e mirano a stabilizzare il livello di prodotto a livello di pieno impiego a quindi sono politiche anticicliche di contrasto di situazioni di recessione. Anche la stabilità dei prezzi è un obiettivo di stabilizzazione. Le principali politiche di stabilizzazione sono la politica fiscale attraverso variazioni di G e T o la politica monetaria ossia la stabilità del livello dei prezzi P o del tasso di cambio. I fini della politica economica Le politiche redistributive perseguono l’equità e la giustizia. In tal senso sono giustificate dall’estensione e distruzione delle opportunità (di istruzione, di lavoro, di reddito) aumentando il grado di mobilità sociale. Infine malgrado la politica fiscale sia una politica di stabilizzazione in verità svolge anche una funzione allocativa agendo sul lato dell’offerta e quindi di produzione potenziale o agendo sull’accumulazione di capitale. Svolge anche una funzione di redistribuzione attraverso tassazioni e trasferimenti a famiglie e imprese. Finalità allocative e redistributive a) b) c) Le finalità allocative sono orientate a migliorare l’efficienza nella allocazione delle risorse. Ad esempio: Limiti alla concorrenza dovuti a rendimenti crescenti di scala, monopoli naturali, oligopoli con prezzi più alti, barriere all’ingresso; Informazioni incomplete dei mercati; Esistenza di esternalità come la fornitura di beni pubblici come la sanità, sicurezza, beni culturali. Considerato che l’equilibrio di mercato con coincide con quello più efficiente si auspica un intervento dello Stato. Tali interventi spesso non si limitano solo sul piano quantitativo ma anche su quello qualitativo anche in termini di riforme strutturali. Finalità allocative e redistributive 1) 2) 3) Timbergen propone la seguente classificazione: Politiche economiche quantitative i (variazioni di aliquote, tassi ufficiali, ect..) Politiche economiche qualitative (nuove imposte) Politiche di riforma (riforma del sistema pensionistico, leggi di tutela del lavoro, assetto normativo degli ammortizzatori sociali, ect..) Finalità allocative e redistributive - In relazione alle finalità redistributive vi sono diverse accezioni di distribuzione della ricchezza: Funzionale tra fattori di produzione (capitale e lavoro); Personale tra persone; Familiare tra famiglie; Territoriale per le disparità territoriali; Sociale per le fasce deboli della popolazione; Intergenerazionali tra generazioni. Alla disparità di reddito e ricchezza interviene lo Stato attraverso intervento redistributivi con interventi di politica fiscale o di welfare state. Il concetto di welfare state (stato di benessere) nasce nel 1942 con il Piano Beveridge in Inghilterra. Finalità allocative e redistributive - Gli strumenti redistributivi possono essere: Le imposte con imposizioni progressive e non proporzionali o con deduzioni e detrazioni; Trasferimenti agli individui e alle famiglie con sussidi, assegni di famiglia, redditi minimi; ect.. Spese pubbliche correnti (istruzione, sanità, servizi sociali) Spese pubbliche in conto capitale (infrastrutture, edilizia popolare, scolastica, ospedaliera, viabilità e trasporti). Tutte le politiche, anche quelle allocative e di stabilizzazioni, possono avere effetti redistributivi. Inoltre spesso scaturisce il trade-off tra equità ed efficienza. Spesso, in contraddizione a ciò, azioni redistributive possono avere un impatto positivo sull’efficienza. Finalità allocative e redistributive I Keynesiani sostengono che un’economia portata a raggiungere condizioni (o quasi) di pieno impiego non solo evita spreco di risorse nel breve periodo ma favorisce processi dinamici di lungo periodo di innovatività, imprenditorialità, mobilità e riqualificazione delle risorse umane a favore della crescita economica. Le politiche strutturali Le politiche strutturali modifica le fondamenta delle struttura economica (politica industriale, politiche per l’innovazione e la ricerca, azioni per l’innalzamento delle produttività, a favore del lavoro ma anche politiche infrastrutturali e regionali, energetiche e ambientali). Tutte politiche che orientano e spostano l’offerta aggregata AS. Tutti interventi volti a recuperare i “fallimenti del mercato”. Vediamole in particolare quali sono le principali politiche strutturali: Le politiche strutturali Politiche che fissano il quadro economico-istituzionale e il funzionamento del mercato (libera concorrenza, diritto societario, antitrust, ect.); Politiche di incentivazione o disincentivazione dell’iniziativa privata. Incentivi monetari (sussidi, agevolazioni fiscali e creditizie), reali (commesse pubbliche, sostegno all’export); non reali indirette (R&S, formazione , trasporti, comunicazione, ICT, servizi avanzati); Politiche di regolamentazione dell’iniziativa privata. Norme e restrizioni amministrative (licenze, autorizzazioni, brevetti, norme e standard tecnici), norme di regolazione dei mercati e dei salari e prezzi, norme programmatorie; Intervento pubblico diretto (imprese pubbliche e a partecipazione pubblica). Gli interventi pubblici non contrastano con l’iniziativa privata ma anzi speso rimuovono ostacoli e rigidità del sistema. L’intervento pubblico in economia A partire dal Keynesiani l’intervento pubblico nell’economia è divenuto sempre più significativo. Tuttavia l’eccesso di presenza pubblico ha spesso finito per limitare il “libero mercato”. Si è affermata una forma di economia detta mista in presenza di imprese privata ma anche dello Stato spesso anche come imprenditore (la gran parte delle economie europee sono di tipo misto). In tali economia il rapporto tra settore pubblico e privato evidenzia il peso pubblico nella produzione delle ricchezza (G/Y). Nel lungo periodo si è parlato di Programmazione economica e quindi di piani economici dove pubblico e privato concorrono attraverso sistemi incentivanti o disincentivanti. In contrasto con tale metodologie vi è stata l’economia Pianificata dove la proprietà dei mezzi di produzione è stata pubblica. L’intervento pubblico in economia A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un arretramento dell’intervento dello Stato nell’economia attraverso processi di deregulation e privatizzazioni di imprese pubbliche. Tutto ciò è scaturito dal successo di nuove scuole economiche (monetaristi, supply-side economics) e da nuove problematiche (stagflazione, shock petroliferi, fallimenti dello Stato e eccessive regolamentazioni e irrigidamento dell’iniziativa privata). L’intervento pubblico in economia Con la crisi finanziaria del 2008-09 il quadro si è nuovamente modificato con la necessità di un intervento diretto dello Stato. La legislazione antitrust (dallo Sherman Act 1890) ha ripreso a contrastare le forme di oligopolio e di carenza di informazione a causa della crisi finanziaria. Il Piano Pauson americano e la nazionalizzazione di alcune banche inglesi hanno comportato un massiccio intervento dello Stato. Inoltre per reagire alla crisi si è operato attraverso politiche fiscali espansive che hanno aggravato i disavanzi pubblici. Oggi l’attenzione si è orientata verso l’eccessivo indebitamento pubblico e privato. Diverso è il discorso sulle regole che necessitano e hanno necessitato di una migliore regolamentazione dei mercati a causa delle forti lacune nel sistema di regolazione dei mercati finanziari. Trade-off disoccupazioneinflazione e politica dei redditi Con gli anni ’70 e la stagflazione è iniziata a maturare la consapevolezza di un trade-off tra disoccupazione (che è tipico di un economia con risorse sotto-utilizzate) e l’inflazione (in presenza di piena occupazione). Si sono impostate politiche che devono contemperare obiettivi di inflazione e disoccupazione. Per ciò che riguarda l’inflazione un ritmo elevato di crescita dei prezzi crea inefficienze con variabilità dei prezzi relativi con evidenti effetti redistributivi. Per ciò che riguarda la disoccupazione si assiste ad uno spreco di risorse e di perdita di prodotto potenziale. Secondo i keynesiani la stabilizzazione monetaria può avvenire attraverso una Politica dei redditi. Trade-off disoccupazioneinflazione e politica dei redditi La politica dei redditi comporta il controllo delle due principali categorie di reddito – salari e profitti. Per ciò che riguarda i salari è necessario che questi aumentino ad un tasso non superiore alla produttività. Ma il controllo dei profitti può avvenire solo indirettamente attraverso il controllo dei prezzi con irrigidimento artificiale dei prezzi relativi e distorsioni delle risorse. Si ritiene che tali politiche di controllo di salari e prezzi vadano accompagnate con politiche di sostegno della domanda aggregata. La gestione di una politica dei redditi può avvenire attraverso un approccio di programmazione concertata con soluzioni cooperative prevedendo accordi a tre Stato, imprese e sindacati e forme di incentivazione con l’uso dello strumento fiscale.