Creazione ed evoluzione concetti complementari
Di Mons. Fiorenzo Facchini
Da L'Osservatore Romano, 4 luglio 2008
Un principio molto importante nel rapporto tra scienza e fede è il riconoscimento da parte della
Chiesa della legittima autonomia della scienza quando si muove nel suo campo e con i suoi
metodi. E insieme con questo principio l'osservazione che le realtà profane e le realtà della
fede hanno origine dal medesimo Iddio. Così nella Gaudium et spes del Vaticano II (cfr numeri
36 e 59). È un'autonomia che ben si inquadra in quell'autonomia che Dio creatore ha lasciato
alle cose create.
Per contro va riconosciuta da parte della scienza analoga autonomia agli insegnamenti della
fede. Quando queste autonomie non sono rispettate sorgono incomprensioni e conflitti, come
la storia ci mostra.
Ciò premesso va detto che l'evoluzione dei viventi fa parte delle acquisizioni della scienza e
viene considerata un fatto o meglio una serie di eventi che può spiegare tante osservazioni in
vari settori della scienza, dalla paleontologia all'embriologia, all'anatomia comparata, alla
genetica evolutiva, alla genetica molecolare, alla biologia di popolazioni.
Giovanni Paolo II, che è intervenuto più volte sull'argomento, nel messaggio alla Pontificia
Accademia delle Scienze del 24 ottobre 1996 parlava di teoria evolutiva e non più di ipotesi
come aveva fatto Pio XII. Lo stesso Benedetto XVI si è espresso con parole molto chiare in un
incontro con i sacerdoti delle diocesi di Belluno e Treviso ad Auronzo il 24 luglio 2007: "Ci sono
tante prove scientifiche in favore di un'evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo
vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell'essere in quanto tale".
Queste posizioni della gerarchia cattolica non aggiungono nulla a quanto la scienza può dire,
ma costituiscono un riconoscimento importante e rasserenante per un credente che guarda con
favore all'evoluzione.
Il Catechismo della Chiesa cattolica si sofferma molto sulla creazione, ma non affronta il tema
dell'evoluzione. Parla però del mondo creato da Dio che è "in stato di via verso la perfezione
ultima. Nel disegno di Dio questo divenire comporta con la comparsa di certi esseri la
scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura
anche le distruzioni" (310). Sembra quindi lasciare spazio alle cause e agli eventi della natura.
Nello stesso tempo va ricordato che se sull'evoluzione della vita il pensiero degli scienziati è
presso che unanime, non altrettanto può dirsi circa le modalità e i meccanismi con cui si è
svolto il processo evolutivo.
La teoria più accreditata resta quella del neodarwinismo o sintesi moderna, che peraltro, alla
luce delle nuove scoperte nel campo della genetica evolutiva e di sviluppo e nella
paleontologia, appare secondo molti studiosi non adeguata a rispondere a tutti i problemi che
si pongono e bisognosa di integrazioni e ampliamenti. Si affacciano nuove vedute che
potrebbero combinare insieme aspetti del neodarwinismo e del neolamarckismo, in una nuova
visione delle cose.
Sull'argomento c'è da chiedersi se per la riconosciuta, reciproca autonomia della scienza e della
Chiesa non ci sia nessun aspetto rilevante su cui la Chiesa non possa esprimersi. E, nel caso
che ci fosse, su che cosa e in quali termini possa farlo.
La risposta va cercata su ciò che sta prima della scienza e rende possibile la scienza, e su ciò
che sta oltre la scienza, nel senso che le cose hanno in forza del loro rapporto con il Creatore,
ambiti che esulano dalla scienza in senso stretto, dalle metodologie delle scienze naturali e
hanno piuttosto una connotazione filosofica o teologica.
Questi riferimenti non possono essere contestati dalle scienze empiriche, le quali peraltro non
possono rispondere a tutti gli interrogativi che si pongono circa la realtà che ci circonda. Se la
scienza volesse fare questo, pretendendo di essere l'unica fonte di conoscenza, assumerebbe
una caratteristica totalizzante e scadrebbe nello scientismo.
Riconoscendo i limiti della scienza, nel suo orizzonte di significato e nelle metodologie
impiegate, si ammette non solo ciò che sta prima e la rende possibile - l'esistere delle cose e la
capacità di conoscerle - ma anche ciò che va oltre la scienza e appartiene all'ordine dei
significati.
Si tratta allora di due magisteri, quello della scienza e della fede, indipendenti, fra i quali non
può esservi opposizione, se si mantengono ciascuno nel rispettivo ambito? Così pensava
Stephen Gould. Forse però questa posizione non tiene conto che possono esserci punti di
contatto, quando sono trattate le stesse cose, ma sotto profili diversi.
I punti di contatto riguardano soprattutto le interpretazioni degli studiosi che possono
sconfinare in campi diversi dal proprio, come di fatto è avvenuto storicamente in varie
occasioni, e anche tuttora, quando l'evoluzione viene sostenuta in alternativa alla creazione, o
viceversa quando viene negata l'evoluzione per sostenere la creazione, compiendo indebiti salti
di corsia.
Non si può assumere la visione evolutiva per asserire che credere in Dio è irrazionale o che non
ce n'è alcun bisogno, come affermano Dawkins e altri sulla stessa linea, oppure affermare che
Dio non è dimostrabile con i metodi della scienza. Del tutto senza senso la utilizzazione della
scienza in chiave ideologica antireligiosa che c'è stata e non è ancora scomparsa.
Su quanto messo in evidenza dalle osservazioni della scienza e tenendo sempre conto del
grado di attendibilità, può svilupparsi un dialogo proficuo tra scienza e fede per domande
diverse che possono sorgere dalla stessa materia.
Il dialogo può aiutare a purificare le proprie vedute dai possibili sconfinamenti sia da una parte
che dall'altra, a stimolare anche a nuove vedute e a integrare le diverse forme di conoscenza.
Non sarebbe corretto rifiutare una teoria scientifica - ad esempio il darwinismo - perché non si
condividono le deduzioni che alcuni vorrebbero trarne in campo filosofico; come non sarebbe
corretto extrapolare da vedute della scienza nozioni e modi di vedere di carattere filosofico o
ideologico facendole passare come scienza.
"La scienza può purificare la religione dall'errore e dalla superstizione, mentre la religione può
purificare la scienza dall'idolatria e dai suoi falsi assoluti", rilevava Giovanni Paolo II nella
lettera al direttore della Specola Vaticana, padre George Coyne (1 giugno 1988), in cui si
soffermava sulle possibilità e sul significato di un dialogo fecondo tra scienza e teologia. C'è
bisogno sia in un campo che nell'altro di un discernimento a cui può contribuire il dialogo. Nello
stesso tempo va ricercata quella sintesi delle diverse conoscenze che ogni persona, utilizzando
i diversi approcci, può realizzare nella tensione verso la verità.
Alla luce di quanto è stato detto, la Chiesa è interessata al tema dell'evoluzione per quanto
l'evoluzione suppone e per il senso che essa può avere andando oltre la dimensione biologica.
Non è interessata alle modalità e ai meccanismi evolutivi.
A questo riguardo occorre distinguere tra le posizioni espresse dal magistero della Chiesa e
quelle di cattolici.
Circa la storia della vita sulla terra vi sono alcuni punti che hanno rilevanza nel pensiero della
Chiesa, in forza delle sue competenze per cui legittimamente essa si esprime. Essi riguardano
la creazione, il progetto di Dio sul mondo e l'uomo.
Storicamente la visione darwiniana dell'evoluzione è venuta avanti in una certa
contrapposizione con il concetto di creazione (Huxley, Haeckel, e così via). In campo cattolico
la prima reazione fu di difesa con la riaffermazione della creazione. Due concetti, evoluzione e
creazione, che oggi non si vedono in opposizione, se mantenuti nel rispettivo ambito, ma che
scienziati e teologi hanno a volte trattato in modo contrapposto.
Basterebbe riflettere che uno appartiene alla scienza, l'evoluzione, e l'altro, la creazione, alla
filosofia e teologia per ritenere che non sono comparabili e quindi non possono essere in
conflitto fra loro. È una distinzione che oggi viene ammessa largamente, ma ha incontrato
incomprensioni e difficoltà.
I recenti interventi del magistero della Chiesa riaffermando la creazione non hanno escluso
l'evoluzione, come più sopra ricordato. Ma non c'è solo da riaffermare una distinzione di ambiti,
c'è conciliabilità e armonia, perché l'uno e l'altro concetto rispondono a domande diverse circa
il tema delle origini e concorrono all'unica verità delle cose. In ciò siamo aiutati
dall'approfondimento teologico dell'idea di creazione che si avvale della mediazione filosofica.
Alle attuali aperture del magistero della Chiesa in tema di evoluzione hanno contribuito le
ricerche teologiche sulla creazione seguite al Concilio Vaticano ii (Rahner, Schoonenberg, De
Lubac, Moltmann, Ratzinger, Ganoczy, Ruiz de la Pena, Flick, Martelet, e così via). Molto
significativo a questo riguardo il documento della Commissione Teologica Internazionale
"Comunione e servizio" del 2004, a firma del cardinale Joseph Ratzinger.
Sulla linea di san Tommaso, si riconosce la relazione di dipendenza radicale dell'essere creato,
agli inizi delle cose e nell'esistere attuale, e Dio viene visto come causa prima che opera nelle e
attraverso le cause seconde, lasciando a esse l'autonomia operativa. Come osserva Dominique
Lambert (2006), "la relazione è propriamente metafisica, non si può affatto confondere con
una causalità fisica", in cui si produce qualcosa a partire da quello che preesiste.
Come creazione dal nulla e inizio del mondo, e quindi del tempo, l'idea di creazione appartiene
all'insegnamento della Bibbia ed è tra le verità insegnate dalla Chiesa. Secondo san Tommaso,
come riferisce lo stesso Lambert, "soltanto la fede stabilisce che il mondo non è sempre
esistito, e di ciò non si dà dimostrazione" ed "è oggetto di fede e non di scienza o
dimostrazione che il mondo abbia avuto inizio".
Ora proprio a motivo del contenuto specifico di creazione nulla impedisce di pensare che Dio
abbia creato un mondo in evoluzione, con delle capacità di trasformarsi. Molto chiare alcune
puntualizzazioni di Giovanni Paolo ii a questo riguardo (cfr Simposio internazionale "Fede
cristiana e teoria dell'evoluzione", 27 aprile 1985).
Un altro punto che fa parte dell'insegnamento della Chiesa è che il mondo, anche quello che si
è venuto formando nel tempo per processi evolutivi, abbia un senso nel suo insieme e risponda
a un disegno del Creatore. È il tema del finalismo. Ma anche questo esorbita dall'ambito delle
metodologie delle scienze empiriche. Esse potranno offrire però osservazioni ed elementi che
rimandano a una causa superiore, anche senza dimostrarlo con i metodi delle scienze naturali.
Benedetto XVI parla di razionalità scientifica riconoscibile nell'ordine della natura che si rivela
anche nei processi evolutivi. La struttura della materia, l'armonia delle leggi e delle proprietà
degli esseri viventi rimandano a una ragione creatrice e ordinatrice. Ciò può essere affermato
come conclusione logica, anche se non ha i caratteri di una dimostrazione scientifica.
Benedetto XVI insiste nell'affermare che l'universo non si è fatto da sé e non è il frutto del
caso, un'affermazione che ha un carattere filosofico e si accorda con quello che la Scrittura
insegna. Entra in gioco il concetto di creazione, che, come si è visto, non è una categoria
scientifica, ma filosofica e teologica. L'esclusione di una causa superiore, sostenuta
dall'estensione di modelli evolutivi presenti in natura, appare una scelta soggettiva, senza un
vero fondamento scientifico, quali che siano i motivi che la ispirano.
Va precisato inoltre che le modalità con cui si è formata la razionalità che contraddistingue la
realtà che ci circonda - che è realtà creata - e cioè come si sia giunti all'attuale armonia della
natura, e come funzioni il sistema della natura non è compito della teologia indagarle, ma della
scienza, alla quale può aggiungersi opportunamente la filosofia della natura.
Un terzo punto che ha rilevanza nel magistero della Chiesa riguarda l'uomo, non riducibile a un
primate superiore. In forza della sua dimensione spirituale non può essere il puro prodotto di
una evoluzione biologica. La presenza dello spirito comporta una volontà positiva del Creatore
che si estende al primo uomo come a ogni essere umano attuale, il cui spirito non può derivare
o spiegarsi con le potenzialità della materia vivente.
In varie occasioni Giovanni Paolo II ha riaffermato questa verità e parla di un "salto ontologico"
tra l'animale e l'uomo (Messaggio del 24 ottobre 1996). È un divario che non può essere
colmato dalle pure forze e proprietà della natura fisica. Il carattere trascendente dell'uomo,
espresso nell'autocoscienza e nella libertà e documentato dalla cultura, rimanda alla
trascendenza del Creatore di cui l'uomo è immagine e conferisce all'uomo dignità e compiti
unici nel mondo dei viventi. Attraverso di lui è tutta la creazione che acquista un senso nuovo.
A ben riflettere questi tre punti non entrano in collisione con la teoria dell'evoluzione biologica,
perché la creazione e il significato che può assumere l'evoluzione nel suo insieme e con la
dimensione spirituale dell'uomo non appartengono all'ordine delle conoscenze empiriche, nel
senso che non possono essere dimostrate o escluse con metodologie scientifiche. Di
conseguenza è aperto il campo alla riflessione filosofica e teologica.
Quello che il magistero della Chiesa ha evitato ed evita è la spiegazione delle modalità con cui
può essersi realizzata nel tempo l'evoluzione, le sue cause e i suoi meccanismi. Spetta alla
scienza indagare sulla formazione dell'universo e della vita, compresa la forma umana.
La creazione viene affermata, nella Bibbia, come nel magistero, specialmente nel catechismo
della Chiesa Cattolica, ma non si dice come sia avvenuta.
copyright L'Osservatore Romano
I cattolici e la teoria dell'evoluzione
di Fiorenzo Facchini, Università di Bologna
da L'Osservatore Romano, 13 luglio 2008
In tema di evoluzione le espressioni del magistero da una parte riaffermano punti essenziali in
una visione cristiana, dall'altra mettono in guardia da interpretazioni di tipo materialistico e
riduzionistico. Nell'insieme si può riconoscere una conciliabilità, a determinate condizioni che
sono quelle che ho cercato di riassumere in altri interventi in queste pagine: riconoscere la
creazione come dipendenza radicale delle cose da Dio, secondo un suo progetto, e riconoscere
la dimensione spirituale dell'uomo.
Più variegato si presenta il pensiero dei cattolici, laici e teologi, che può riguardare anche le
modalità e il significato della evoluzione della vita. Nelle loro posizioni, più ancora che in quelle
del magistero, si manifestano delle diversità che riguardano soprattutto il diverso modo di porsi
di fronte al darwinismo che, come sappiamo, offre una particolare spiegazione dei meccanismi
evolutivi e da taluni studiosi viene esteso arbitrariamente a una concezione della vita e della
società.
Non ci sarebbe bisogno, anzi viene escluso ogni riferimento alla realtà trascendente. Da una
teoria scientifica si passa a una ideologia materialista, inconciliabile con la visione cristiana, di
cui vengono denunciate possibili conseguenze sul piano sociale ed etico. Di queste
preoccupazioni si è fatto interprete più volte il cardinale Christoph Schönborn.
Ma l'approfondimento dei teologi cerca anche di mettere in evidenza la verità e le conseguenze
della creazione in relazione all'evoluzione della vita e alle diverse visioni evolutive.
Premesso che nessun cattolico potrebbe accettare una visione totalizzante di tipo riduzionistico
dell'evoluzione, quale che sia il modello che la ispira, si registrano fra i cattolici posizioni
diverse circa la teoria evolutiva, nella comune ammissione della dipendenza da Dio creatore e
della spiritualità dell'essere umano.
Va rilevata prima di tutto una posizione di negazione o critica di fondo nei confronti della teoria
evolutiva e non solo del darwinismo come ideologia. Essa è ispirata al timore che ammettendo
l'evoluzione possa venire intaccata la dottrina sulla creazione e si tolga spazio all'azione di Dio.
La conseguenza è quella di affermare la creazione - generalmente non secondo il senso
letterale della Genesi, come invece alcuni continuano a sostenere in ambiente americano - ma
si lascia da parte o si mette in dubbio l'evoluzione della vita sulla terra.
Non si tiene conto di tante osservazioni del mondo della scienza, non si accetta che la vita
possa essersi evoluta attraverso tappe e processi biologici, come si ammette nella teoria
evolutiva. Ci si aggrappa a tutto pur di contestare il fatto evolutivo, per esempio le lacune nelle
serie evolutive. Le aperture del magistero vengono viste come concessioni non motivate e
superabili. Posizioni di questo tipo ignorano non solo il progresso della ricerca scientifica, ma
anche gli approfondimenti della teologia. Si distaccano sensibilmente dal magistero, non
aiutano il necessario dialogo tra scienza e fede, tra scienza e teologia, e piuttosto favoriscono
lo scontro.
Vi sono poi posizioni concilianti, ma assai diverse. Esse vanno dalla possibilità di ammettere la
visione darwiniana nella evoluzione dei viventi, evitando di assumerla come ideologia
totalizzante, ad altre più articolate.
Nel primo caso si ammette che la vita sulla terra si sia sviluppata per eventi casuali, anche se
resi possibili da leggi e proprietà della natura, ma senza direzioni preordinate. Le direzioni
evolutive, come sostengono i neodarwinisti, si sono formate nel tempo, ma senza alcun piano o
intenzione esterna. Dai processi evolutivi così intesi è però scaturita una realtà, che
nell'insieme appare ordinata, e può essersi realizzato un disegno.
Al concetto di una complessità crescente si associa quello dell'emergenza di nuove strutture e
funzioni. È la posizione di vari scienziati credenti, fra cui il genetista Francisco Ayala, il quale
parla di "disegno senza disegnatore". In questa linea si è espresso recentemente il genetista
Francis Collins (2007), il quale ritiene che Dio non abbia bisogno di intervenire nell'evoluzione
e sostiene un evoluzionismo teista che definisce "posizione BioLogos".
"L'evoluzionismo teistico, come il darwinismo classico - ha notato recentemente il cardinale
Avery Dulles su "Vita e Pensiero" - si astiene dal propugnare un qualsiasi intervento divino nel
processo evolutivo. Ammette che la comparsa degli esseri viventi, tra i quali l'uomo, possa a
livello empirico essere spiegata con mutazioni casuali e la sopravvivenza del più adatto", ma
rifiuta le conclusioni atee di Dawkins e dei suoi seguaci. È una posizione che il cardinale ritiene
sostenibile da un cattolico e può rientrare in una filosofia cristiana della natura.
Posizioni parzialmente concilianti con la teoria darwiniana, ma critiche, sono espresse da coloro
che ammettono la teoria di Darwin, ma non la ritengono sufficiente. A livello microevolutivo
nessun problema, ma per la formazione di raggruppamenti superiori e delle grandi direzioni dei
viventi occorre pensare ad altro.
In questo ambito rientrano modi di vedere molto diversi. Uno è la visione teilhardiana. Teilhard
de Chardin, convinto assertore della dipendenza del mondo da Dio creatore e dell'evoluzione
dei viventi, riteneva che i fattori sostenuti dalla teoria darwiniana non sono stati sufficienti per
realizzare i processi evolutivi, caratterizzati da una crescita di complessità in determinate
direzioni.
La complessità viene interpretata come crescita di coscienza, espressione di energia radiale - o
energia psichica - che differisce dall'energia tangenziale propria dei processi biologici. Non si
invocano fattori esterni, ma interni alla materia vivente. Tutta l'evoluzione è un muoversi
"verso", una tensione che culmina nella coscienza riflessa dell'uomo e attraverso l'umanità
tende a un superorganismo identificabile nel punto omega, che a sua volta coincide con il
Cristo, ricapitolatore di tutta la realtà secondo san Paolo.
La visione da scientifica diventa mistica. Essa ha i caratteri di una grande sintesi in cui la storia
della vita culmina nell'uomo, ma non si esaurisce neppure nella ominizzazione, e dà un senso
nuovo alla storia. È possibile che vi siano forze interne che orientano l'evoluzione, ma non se
ne conosce al momento la natura.
Un altro modo di affrontare la questione è quello relativo alla teoria dell'Intelligent design (Id).
Maturata nell'ambiente dei creazionisti americani, la teoria rappresenta una versione moderna
del cosiddetto creazionismo scientifico. L'evoluzione non viene negata a livello microevolutivo,
ma si contesta che attraverso mutazioni casuali possano formarsi strutture irriducibilmente
complesse - come per esempio il flagello batterico, l'occhio, la molecola dell'emoglobina - e
viene invocata una causa superiore esterna, introducendo così nei processi evolutivi un agente
di ordine non naturale. In questo modo può realizzarsi una evoluzione dei viventi rispondente a
un disegno intelligente.
Questa posizione viene contestata dal punto di vista scientifico, perché non rappresenta una
spiegazione scientifica dei processi evolutivi, e dal punto di vista teologico perché l'intervento
di una causa esterna - facilmente identificabile con Dio - configura la sua azione come
supplenza di fattori naturali che ancora non conosciamo e quindi, qualora venissimo a
conoscerli, Dio apparirebbe come un tappabuchi della nostra ignoranza.
Se non si è soddisfatti delle attuali spiegazioni è meglio riconoscerlo e adoperarsi per trovarne
altre, rimanendo nel campo delle scienze naturali. La posizione dell'Id ha il grave rischio di
coinvolgere in un giudizio negativo l'idea di un disegno di Dio creatore, che fa parte della
dottrina della Chiesa, ma non può essere mescolata con quella di un Dio che interviene a
correggere la natura e a orientarne il corso. Senza dire che l'espressione "disegno intelligente"
fa pensare alla natura come a un ingranaggio perfetto, un'idea che mal si accorda con
incongruenze e anomalie nel mondo dei viventi e lascia comunque insoluti i drammatici
interrogativi sulla sofferenza e sulla morte. Quale somiglianza - si chiede padre Martelet (2007)
- fra il Dio della creazione e un "Designer cosmico" estraneo agli interrogativi ultimi dell'uomo?
Ciò non esclude che si possa e si debba riconoscere un progetto superiore sulla natura e
sull'uomo, conciliabile con un universo, che appare limitato e provvisorio, pur essendo nel suo
insieme ordinato, e rimanda ad altro.
Ci sono poi tentativi di andare verso una sintesi. Il modello darwiniano dell'evoluzione è
accettato come punto di partenza o come uno dei meccanismi evolutivi. Occorre però aprirsi a
integrazioni e ampliamenti.
La casualità delle mutazioni non appare assoluta e si manifesta con dei vincoli che le
incanalano; non si ritrova allo stesso modo nei vari livelli e strutture, non sembra spiegare le
convergenze evolutive, in serie distanti nello spazio e nel tempo, e l'entrata in azione dei geni
regolatori di strutture e funzioni complesse in linee evolutive diverse. Viene segnalata una
eredità epigenetica per variazioni acquisite durante lo sviluppo, che si aggiunge a quella del
dna. Si ammette che nella evoluzione concorrano fattori di tipo deterministico e fattori casuali.
È una posizione critica che guarda oltre il darwinismo, come unica spiegazione dell'evoluzione.
Si potrebbe parlare di un evoluzionismo aperto a una nuova sintesi, in cui potrebbe essere
meglio compreso come si realizzi il progetto di Dio creatore, in forza di potenzialità della
materia vivente. Per quanto riguarda l'origine della vita sulla terra c'è chi ammette che sia
avvenuta per cause naturali, altri non ne sono convinti. In ogni caso gli eventi che si svolgono
rivelano potenzialità della materia creata da Dio.
Nella visione teilhardiana e in quella più sopra esposta l'evoluzione viene affermata, ma rimane
aperto il campo sia per le scoperte della scienza che per approfondimenti della filosofia della
natura per spiegare in modo soddisfacente le modalità con cui si è svolta l'evoluzione. In modo
particolare è da approfondire il nesso tra causa efficiente e causa finale, rivelatore di finalismo,
sia a livello di strutture (teleonomia o teleologia) che a livello più generale nel mondo vivente.
Ciò assume rilevanza in ordine al senso dell'evoluzione. Come ha osservato il cardinale
Schönborn (2007), nel dibattito sulla evoluzione "la questione decisiva non si pone sul piano
delle scienze naturali e neppure della teologia, bensì si colloca fra l'una e l'altra: sul piano
della filosofia della natura".
Si deve quindi continuare a esplorare la natura nelle sue diverse espressioni per coglierne il
linguaggio e il messaggio che contiene, specialmente per quello che riguarda l'uomo. Forse in
questo campo non vi sarà mai una parola ultima che disveli pienamente i segreti della natura e
le intenzioni di Dio espresse nella creazione, ma rimane fondamentale rimanere aperti alle
conquiste della mente umana.