LA LEZIONE Il contenuto dell’Universo INTRODUZIONE L’Universo ha un’età di circa 13,7 miliardi di anni e si sta attualmente espandendo con una velocità che aumenta con il passare del tempo, ossia in modo accelerato (vedi Lezione 'Origine e destino dell’Universo'). Le stelle e le galassie visibili, insieme al gas intergalattico, sono soltanto una piccolissima frazione di tutta la materia che esiste nell’Universo (4-5%): il resto (23-24%) non è osservabile al telescopio (materia oscura) o è costituita da particelle non ordinarie. Ma la maggior parte di ciò che esiste nell’Universo (72%) non è affatto materia, bensì, alla luce delle conoscenze attuali, si pensa sia una strana forma di energia (energia oscura), la cui natura ci è del tutto ignota e alla quale si attribuisce una sorta di effetto antigravitazionale che a grandi distanze prevale sull’attrazione gravitazionale della materia ed è responsabile quindi dell’espansione accelerata dell’Universo (fig.1). fig.1 Distribuzione di materia ed energia nell’Universo Il contenuto dell’Universo, visibile e non visibile, è legato a doppio filo alla sua geometria; quest’ultima risulta la chiave per conoscerne il comportamento evolutivo del Cosmo e il suo destino finale, a partire da una singolarità iniziale (Big Bang) di enorme densità e temperatura dalla quale si è sprigionato lo spazio, tessuto dal tempo e gravato dalla materia. Va precisato che le percentuali relative alla presenza di materia visibile, materia oscura ed energia oscura nell’Universo sono soggette a continue modificazioni, conseguenti a nuove osservazioni. Inoltre, tali percentuali, ricavate per via teorica o sperimentale, presentano qualche volta differenze di uno o più punti. MATERIA Utilizzando le stime basate sulle supernovae, sulla radiazione di fondo e sulla massa degli ammassi di galassie, si deduce che la materia contribuisce a circa il 28% della densità totale, ma solo il 4% circa è dovuto alla materia ordinaria. Quest’ultima viene anche detta materia barionica, perché la sua massa corrisponde essenzialmente a quella dei barioni (cioè protoni e neutroni) che la costituiscono assieme agli elettroni, molto più leggeri. La maggior parte della materia, ossia circa un terzo della densità totale, è dunque costituita da particelle non barioniche. Anche la radiazione deve essere inclusa nella densità dell’Universo. La radiazione di fondo proveniente dal Big Bang rappresenta solo lo 0,01% della densità totale, quella emessa da tutte le stelle che hanno illuminato l’Universo non supera lo 0,001%. Pertanto la materia barionica, di cui noi stessi siamo formati, gioca un ruolo trascurabile nel bilancio cosmico tanto che il 96% della materia e dell’energia nell’Universo è ancora sconosciuto. In aggiunta va sottolineato come solo lo 0,5% della densità totale è dovuto a materia che risiede nelle stelle, detta quindi anche materia luminosa. Il resto è materia oscura, che include materia sia barionica sia non barionica e non può essere osservata direttamente attraverso la radiazione che emette, ma viene rivelata grazie agli effetti gravitazionali che induce sulla materia luminosa. Quasi tutta la materia barionica si presenta sotto forma di idrogeno ed elio, gli atomi più leggeri. Infatti, gli altri atomi, tutti forgiati nei nuclei delle stelle e dispersi nell’Universo dai venti stellari e dalle esplosioni delle supernovae a eccezione di una piccola quantità di litio primordiale, rappresentano lo 0,01% del totale. Questo implica che solo una piccola quantità di materia oscura barionica potrebbe essere sotto forma di polveri, anche perché osservando il cielo non ne percepiamo un consistente effetto oscurante se non nella direzione del piano galattico, dove si concentrano le polveri della Via Lattea. La maggior parte della materia oscura barionica deve essere racchiusa in oggetti oscuri e compatti come, per es., i pianeti giganti simili a Giove, le nane brune (stelle di massa inferiore a circa 1029 kg, pari a un decimo di quella del Sole, insufficiente per innescare le reazioni di fusione nucleare), le nane bianche (stelle molto vecchie che possono essere molto fredde e poco luminose) e i buchi neri (che rappresentano le fasi finali dell’evoluzione delle stelle di grande massa). Tali oggetti sono i cosiddetti MACHO (Massive Astronomical Compact Halo Objects), i quali popolano gli aloni di materia oscura che avvolgono la nostra e le altre galassie. Negli ultimi anni sono stati avviati diversi programmi di osservazione alla ricerca dei MACHO in direzione della galassia di Andromeda e della Grande Nube di Magellano, sfruttando l’effetto di lente gravitazionale che si ha quando l’oggetto oscuro si trova di fronte a una stella luminosa più lontana (fig.2): il campo di gravità del MACHO devia la luce della stella, focalizzandone l’immagine per breve tempo, e ciò produce una variazione della sua luminosità, che si misura ponendo a confronto immagini rilevate in epoche diverse. fig.2 Osservazione indiretta di un MACHO: il suo intenso campo gravitazionale devia la luce di una stella situata oltre esso rispetto a un osservatore ENERGIA La scoperta dell'espansione accelerata dell'Universo ha evidenziato come questo non sia semplicemente governato dall'attrazione gravitazionale esercitata dalla materia, ma anche da un'altra entità con proprietà opposte, cioè repulsive, capace di accelerarlo, chiamata energia oscura, la cui natura risulta ancora sconosciuta. La causa dell'energia oscura è stata cercata sia nella teoria della relatività generale sia nella meccanica quantistica. La relatività permette di individuare forme di energia che producono una gravità repulsiva, già introdotta da A. Einstein nel tentativo di mantenere in equilibrio il suo primo modello statico dell'Universo. Si parla anche in termini quantistici di energia del vuoto, che non va pensato come realmente vuoto, ma costituito da particelle virtuali capaci di esercitare forze di repulsione. L’evoluzione futura dell’Universo dipende dalla natura, ancora sconosciuta, di tale forma energetica e da come la sua densità varierà con il tempo (fig.3). fig.3 Possibili scenari futuri dell’Universo in relazione al comportamento dell’energia oscura, estremi rispetto a un’espansione continua: big crunch, l’Universo implode o si comprime; big rip, l’Universo si espande violentemente Se la densità dell'energia oscura diminuirà con il tempo, si potrà arrivare a una situazione in cui la materia tornerà dominante, con alcuni scenari possibili (vedi Lezione 'Origine e destino dell’Universo'). Se invece la densità resterà costante o addirittura aumenterà, gli oggetti visibili nell'Universo saranno sempre meno numerosi. Si stima che tra 30 miliardi di anni tutti i milioni di galassie che attualmente possiamo osservare con i telescopi non saranno più visibili: le galassie più lontane saranno quelle dell'ammasso della Vergine, attualmente l'agglomerato di galassie più vicino. In 100 miliardi di anni la nostra galassia rimarrà sola e tutte le altre, anche le più vicine, saranno uscite dalla nostra visuale. Si è anche ipotizzato che il ruolo dell'energia oscura diventi così rilevante, a causa della sua azione repulsiva, da lacerare la materia anche nelle sue strutture più intime. Si avrebbe così a che fare con una distruttiva energia fantasma che porterebbe l'Universo alla sua fine, chiamata big rip, cioè grande disgregazione: 60 milioni di anni prima del big rip la nostra galassia sarà distrutta, 3 mesi prima anche il Sistema solare si dissolverà, 30 minuti prima la Terra esploderà e 10−19 s prima del big rip anche i nuclei atomici si disgregheranno completamente. Tutto questo può sembrare fantastico, speculazione spinta all'estremo, e in un certo senso lo è: soltanto quando la natura dell'energia oscura diventerà più comprensibile, grazie all'ausilio di accurate osservazioni astronomiche, si potranno avanzare alcune ipotesi sul destino dell'Universo. RELATIVITÀ GENERALE In accordo con la teoria della relatività generale, l’Universo è costituito da un’entità chiamata spazio-tempo, costituita dalle tre coordinate spaziali e da quella temporale, indissolubilmente legate tra loro: si tratta di una struttura matematica caratterizzata da una topologia e da una metrica. La topologia fornisce informazioni sulla struttura globale dello spazio, ossia permette, per esempio, di capire se lo spazio è finito o infinito, senza introdurre alcuna misurazione. La metrica determina, invece, la forma locale dello spazio-tempo: ha a che fare cioè con le distanze e gli intervalli di tempo misurati. Nello spazio assoluto derivante dalla concezione di Isaac Newton la cornice geometrica è semplice: quella euclidea. In tale spazio, ove la minima distanza tra due punti è un tratto di retta, per comprendere le traiettorie non lineari dei corpi celesti, per esempio quelle ellittiche dei pianeti e delle comete, è necessario introdurre il concetto di forza, ossia dell’attrazione universale. Nello spazio euclideo la metrica è determinata semplicemente dal teorema di Pitagora, per il quale il quadrato dell’elemento di linea ds è dato dalla somma degli spostamenti elementari lungo gli assi coordinati: ds2= dx2+dy2+dz2. La relatività generale introduce modifiche radicali. Infatti, in tale contesto la gravità non è considerata più una forza, bensì una manifestazione locale di una geometria non euclidea: la presenza di materia incurva lo spazio-tempo (fig.4) e la traiettoria curvilinea dei corpi celesti è in questo quadro considerata una geodetica, ossia la linea dal cammino più breve (una ‘retta’ in questo tipo di geometria). fig.4 Rappresentazione dello spazio-tempo di Einstein, nel quale la presenza di un corpo dotato di massa deforma geometricamente la regione circostante. La presenza di un buco nero produce una sorta di pozzo gravitazionale In assenza di materia, lo spazio-tempo resta non curvo e la geometria euclidea mantiene la sua validità. In uno spazio qualsiasi, non necessariamente euclideo, per calcolare la distanza tra due punti si considera il seguente teorema di Pitagora generalizzato: ds2= g11(dx1)2+ g12dx1dx2 + g22(dx2)2 +… nel quale si introduce una quantità matematica più complessa, detta tensore metrico gij (sostanzialmente una matrice n×n), le cui componenti (g11, g12,…) sono i coefficienti degli spostamenti (dx1, dx2,…). Nel caso relativistico, gij è una matrice 4×4 e rappresenta la geometria dello spazio-tempo (determinata dalla distribuzione di materia ed energia); possiede 16 componenti che tengono conto di tutti i prodotti a due a due delle tre coordinate spaziali e di quella temporale. Se si assume la relatività generale come teoria della gravitazione (essa può essere messa in discussione per rendere conto di alcune particolarità dell’Universo), bisogna metterla in relazione con un tipo adatto di Universo, tra i diversi possibili. L’Universo che raccoglie il maggior consenso, il più semplice da descrivere e supportato dalle maggiori evidenze osservative, è quello spazialmente omogeneo e isotropo, ossia con proprietà fisiche identiche in ogni punto dello spazio e che appare simile in tutte le direzioni, senza che ne esista alcuna privilegiata. Queste due ipotesi (omogeneità e isotropia) sono in buon accordo con le osservazioni della distribuzione della materia a grande scala e con le caratteristiche della radiazione cosmica di fondo. Ovviamente si osservano direzioni con maggiori concentrazioni di materia (galassie, ammassi, superammassi) e distribuzioni irregolari, ma l’uniformità spaziale diventa sempre più netta quanto più lontano la si osservi. Matematicamente, per un Universo omogeneo e isotropo lo spazio deve avere una curvatura media costante, perché questa è determinata dalla materia che, a sua volta, deve essere distribuita in modo uniforme. Sono possibili tre curvature: positiva, nulla o negativa, che definiscono rispettivamente gli spazi tridimensionali sferico, euclideo e iperbolico. È impossibile visualizzare questi tre spazi, perché per farlo bisognerebbe osservarli da uno spazio quadridimensionale che li contenga, analogamente a come si visualizza una superficie dallo spazio tridimensionale ordinario: si considerino pertanto gli spazi tridimensionali una generalizzazione del caso bidimensionale (fig.5). fig.5 Le tre possibili curvature dell’Universo La curvatura nulla corrisponde al caso del piano euclideo: in esso è valido il quinto postulato di Euclide, secondo il quale per un punto esterno a una retta passa una e una sola retta parallela, e inoltre la somma degli angoli interni di un triangolo è 180°. Il quinto postulato di Euclide (o postulato delle parallele) non è derivabile dagli altri quattro (come per secoli si è cercato di dimostrare), perché caratterizza la geometria piana: è pertanto il crocevia per definire le geometrie non euclidee, nelle quali non è soddisfatto. Nella geometria iperbolica da ogni punto escono infinite parallele a una retta data (e la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180°), mentre nella geometria sferica non si hanno rette parallele (e la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di 180°). In base alla relatività generale, la curvatura dello spazio si ricava misurando la densità media di materia ed energia distribuita nell’Universo: si definisce un valore critico di densità di 10-29 g/cm3 (a meno di un fattore che dipende dal tasso di espansione attuale dell’Universo) richiesto affinché lo spazio sia euclideo e si utilizza il parametro di densità Ω, definito come il rapporto tra la densità reale (considerando tutte le possibili forme di materia ed energia) e la densità critica per determinare il tipo di curvatura: negativa, nulla o positiva a seconda che Ω sia minore, uguale o maggiore di 1. È questo legame tra curvatura e densità di massa che permette di accedere sperimentalmente alla geometria macroscopica dello spazio, e quindi al destino dell’Universo: si ha espansione indefinita (Ω<1 o Ω=1) se l’energia cinetica iniziale è in grado di superare o uguagliare l’autogravitazione della materia; collasso in un tempo finito (Ω>1), nel caso contrario. GEOMETRIA DELLO SPAZIO Una domanda che spesso ci si pone è qual è la forma dello spazio? Lo spazio è finito o infinito? Abbiamo visto che la metrica, quindi la relatività generale, non è in grado di dare una risposta a questa domanda, perché fissa soltanto gli elementi per descrivere la curvatura dello spazio, ma non quelli per rendere conto delle proprietà globali, delle quali si occupa la topologia: a uno stesso elemento metrico possono corrispondere più forme dello spazio. Le proprietà topologiche restano insensibili alle deformazioni, ammesso che queste siano continue (ossia senza tagli, strappi, incollature): una ciambella è equivalente a una tazza da caffè, perché l’una può trasformarsi nell’altra attraverso una deformazione continua (fig.6), mentre invece la superficie di una ciambella non è equivalente a quella di una sfera, perché non è possibile trasformare l’una nell’altra senza operare tagli o incollature. Un esempio di spazi con uguale curvatura e differente topologia nel caso bidimensionale può chiarire la questione. fig.6 Trasformazione di una tazza in una ciambella attraverso una deformazione continua Si prenda un piano e se ne ricavi un quadrato: la sua metrica (geometria locale) è descritta dal teorema di Pitagora. Incollando il lato destro del quadrato sul lato sinistro si ottiene un cilindro. Questa operazione non ha cambiato la metrica e il teorema di Pitagora continua a essere valido sulla superficie del cilindro: l’apparente curvatura non nulla della superficie del cilindro è dettata dal suo rapporto con lo spazio esterno, in cui il cilindro viene visualizzato. La superficie sembra curva perché nel modello si cerca di immergerla nel consueto mondo tridimensionale; un ipotetico essere piatto che vivesse sulla superficie del cilindro e non avesse accesso allo spazio esterno verificherebbe una curvatura nulla, ossia la validità del teorema di Pitagora o, equivalentemente, che la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180°. Le proprietà globali del quadrato e del cilindro sono invece differenti: il cilindro è anisotropo, poiché non tutte le sue direzioni sono equivalenti. Si prosegua nell’operazione e si incollino i cerchi alla sommità e alla base del cilindro: si otterrà un toro bidimensionale (fig.7), ossia una sorta di ciambella. Anche in questo caso, la metrica è la stessa e le proprietà globali sono differenti rispetto al quadrato. fig.7 Toro bidimensionale Si è visto che nei modelli omogenei e isotropi dell’Universo sono realizzabili soltanto tre curvature dello spazio. Ciò aiuta a limitare le possibili forme topologiche, che si riducono drasticamente e in un numero limitato nel caso, suffragato dalle osservazioni, di un Universo con geometria euclidea: esistono, infatti, infiniti spazi omogenei e isotropi sferici e iperbolici, ma si dimostra matematicamente che esistono soltanto 18 forme topologiche tridimensionali euclidee, 8 delle quali possono essere escluse perché non orientabili. È molto improbabile che l’Universo abbia una forma di questo tipo: se così fosse e qualcuno si allontanasse dalla Terra, al suo ritorno si ritroverebbe con l’orientazione invertita, rispetto agli altri abitanti terrestri; inoltre, in un tale spazio si dovrebbe osservare una radiazione, mai osservata, proveniente dalle zone di confine, dove vengono a contatto materia e antimateria. Da un punto di vista geometrico, tutti gli spazi a curvatura positiva sono a volume finito, mentre non è vero il contrario: gli spazi euclidei e quelli a curvatura negativa possono infatti essere finiti o infiniti. Lo spazio sferico più semplice è l’ipersfera, cioè la generalizzazione a quattro dimensioni della sfera. Un modo per tentare di visualizzare l’ipersfera è considerare come apparirebbe se si muovesse nell’usuale spazio tridimensionale, facendo riferimento agli analoghi movimenti negli spazi di dimensioni inferiori: l’ipersfera, infatti, nell’attraversare lo spazio tridimensionale apparirebbe come una sfera che si espande a partire da un punto e poi decresce fino a scomparire, così come un cerchio che attraversa uno spazio a una dimensione appare come una retta di dimensioni variabili (un punto, che poi si estende fino al diametro del cerchio e ridiventa un punto) e una sfera che attraversando un piano appare come cerchi di raggio variabile. UN APPROFONDIMENTO Nell'ultima parte di questa lezione, sarà affrontata brevemente la descrizione delle possibili forme dell’Universo, nel caso, suffragato dalle osservazioni, in cui lo spazio sia considerato caratterizzato da una geometria euclidea. La comprensione di questa parte può risultare un po’ ardua, a causa dell’impossibilità di visualizzare le forme, tridimensionali, da una prospettiva anch’essa tridimensionale. Nel caso euclideo, che più ci interessa (perché così appare l’Universo), i 10 spazi topologici si suddividono in 6 a volume finito e 4 a volume infinito. Alcune forme topologiche sono difficili da concepire. Una tecnica per visualizzarle è quella di partire da una figura (dominio) fondamentale, replicata più volte in una sorta di pavimentazione di uno spazio più grande: un esempio di dominio fondamentale è il quadrato utilizzato precedentemente per la costruzione del cilindro e del toro bidimensionale. Una possibile forma dell’Universo è il toro tridimensionale, generalizzazione del toro bidimensionale in una dimensione più elevata: si costruisce incollando le facce opposte di un cubo (o di un parallelogramma), anziché i lati opposti di un quadrato. In tale spazio per ogni oggetto si osserverebbe una sua copia in ogni faccia, da ogni lato (davanti, dietro, destra, sinistra, sopra, sotto), e infinite altre copie al di là di queste. In un Universo di questo tipo a curvatura nulla, finito e privo di bordi, sarebbe possibile, allontanandosi in una direzione e non cambiando mai traiettoria, ritornare al punto di partenza: dirigendosi verso un lato, si riapparirebbe in quello opposto (nel caso bidimensionale, si può visualizzare tale spazio pensando allo schermo di un videogioco, che sembra limitato ma non lo è, in quanto i personaggi non possono mai uscire e quando raggiungono un bordo riappaiono in quello opposto). Un altro possibile spazio euclideo a volume finito si ottiene se si utilizza ancora un cubo come dominio fondamentale ma con quattro delle facce incollate nel modo usuale e la parte alta della faccia anteriore incollata a quella bassa della faccia posteriore (ossia con una torsione di 180°): in un tale spazio, nelle due facce con torsione si vedrebbero alternativamente copie capovolte e non dello stesso oggetto. Analogamente, si può generare uno spazio cubico con una rotazione di due facce di 90°, nelle quali si osserverebbero infinite copie via via ruotate di 90°. Ancora, un altro spazio può essere generato da due cubi sovrapposti ma con le facce non tutte incollate a quelle opposte: quella anteriore in alto e quella posteriore in alto unite alle facce direttamente sotto di esse (in un tale spazio un essere sufficientemente alto vedrebbe i suoi piedi direttamente di fronte al viso). Le altre due forme topologiche euclidee finite possono essere generate da un prisma esagonale: una con la faccia esagonale anteriore incollata alla posteriore con una rotazione di 120°, l’altra, con la faccia esagonale anteriore incollata alla posteriore con una rotazione di 60°. Lo spazio euclideo infinito più semplice è lo spazio tridimensionale usuale, con i tre assi perpendicolari che si estendono all’infinito: in questo spazio non si osservano copie di alcun oggetto in esso contenuto. Le altre tre forme topologiche euclidee infinite, più complesse, possono essere generate da un piano infinito, con la faccia superiore incollata direttamente alla faccia inferiore (lo spazio è infinito in due direzioni e finito nella terza); dallo spazio delimitato da quattro facce di altezza infinita senza chiusura superiore e inferiore (praticamente un corridoio infinitamente lungo), con tutte le facce opposte incollate direttamente; ancora da uno spazio di questo stesso tipo, con due facce incollate con una rotazione di 180°.