LA SPECIFICITA DEL CRISTIANESIMO

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LA SPECIFICITA
DEL CRISTIANESIMO
LA VIA PER ACCEDERE A DIO
Come si pone il cristianesimo di fronte alle altre religioni e tradizioni religiose del mondo di
oggi? Il cristianesimo ha la coscienza di non essere «una» delle religioni del mondo e di non porsi sul
loro stesso piano. Esso, cioè, è convinto di non essere «uno» dei tanti sentieri per i quali gli uomini vanno
a Dio, ma di essere la via per cui si accede a Dio. Pur avendo grande rispetto per le altre religioni e
tradizioni religiose e pur riconoscendo che esse possiedono autentici valori religiosi, il cristianesimo
rigetta l'idea secondo cui «tutte le religioni sono uguali» e che, nonostante la diversità delle forme,
tutte conducono a Dio e dunque hanno lo stesso valore. Affermiamo perciò una «specificità», in campo
religioso, del cristianesimo, che fa di esso «una religione a parte». Un simile discorso può sembrare
orgoglioso, arrogante e irritante e può dunque provocare nel lettore un pregiudiziale rigetto di quanto si
dirà in seguito; oppure può indurlo a interrompere la lettura, ritenendo che si tratti di un discorso
«integralista», «fondamentalista» e poco rispettoso delle altre religioni. Gli chiediamo perciò di seguirci,
riservandosi le eventuali critiche quando avrà terminato la lettura.
LE RELIGIONI
Prima di entrare nel vivo del problema, cerchiamo di approfondire il fenomeno religioso e le
forme in cui esso si esprime, che sono precisamente le «religioni». La «religione» è un termine astratto,
con cui si designano i fenomeni religiosi. In concreto non esiste «la» religione, ma esistono «le»
religioni. Ora, quando si esamina il fenomeno religioso, si rileva che esso ha una serie di caratteri
comuni, ma quello che più colpisce è la sua immensa varietà. Le religioni, cioè, sono non soltanto
moltissime, ma anche assai diverse tra loro, fino al punto di essere contrarie e contrastanti proprio sui
caratteri essenziali che definiscono il fenomeno religioso. Indubbiamente ci sono somiglianze tra le
religioni; ma le dissomiglianze sono spesso assai più numerose e significative delle somiglianze.
Per tale motivo il concetto di «religione» non dev'essere inteso in senso «univoco» — nel senso
cioè che si possa applicare nello stesso modo e nella stessa misura a tutte le religioni —, ma «analogico»,
nel senso che quelle realtà che noi chiamiamo «religioni» per alcuni aspetti possono entrare nel concetto
di religione, ma per altri aspetti, che pure si considerano essenziali perché si possa parlare di religione,
possono non entrarci. Tanto che in taluni casi ci si può chiedere se si debba parlare di «religione»
oppure di «saggezza»: un concetto più vicino alla filosofia che alla religione.
In particolare, per quanto riguarda il buddhismo, il concetto di religione — che è un concetto
occidentale — dev'essere allargato. Se infatti lo si prende nel senso comunemente inteso di «rapporto
con Dio o col Divino o col Trascendente», è chiaro che il buddhismo non è una religione. Esso infatti
non fa riferimento a Dio o al Divino, né il Buddha è Dio o un dio. Neppure il nirvana, che pure è la
Realtà assoluta, la sola che possa soddisfare l'aspirazione umana alla felicità, è divino. Se infatti ci fosse
un dio, egli sarebbe personale; ora nella filosofìa buddhista la persona è sempre una realtà individuale e
relativa; se dunque esistesse un dio personale, questi sarebbe insieme «assoluto», perché dio, e «relativo»,
perché persona. In altre parole, per il buddhismo la nozione di Dio è contraddittoria e impensabile.
Questo però non significa che il buddismo sia «ateo» (anche tale concetto rimanda a una problematica
occidentale, estranea al buddhismo); significa soltanto che il buddhismo è «non-teista»: non nega Dio,
ma ne prescinde; anzi si pone fuori della problematica «teismo-ateismo».
Il buddhismo non è dunque una religione secondo la prospettiva occidentale. Ma ciò non
significa che non sia una «religione». Infatti esso non è unicamente una «filosofia», anche se comporta
un aspetto filosofico assai accentuato; non è soltanto una «morale», anche se comporta una morale molto
sviluppata ed elevata. In realtà il buddhismo è la risposta al senso della vita e dell'universo e
all'orientamento che bisogna dare alla vita affinchè l'uomo possa giungere alla «salvezza», superando la
condizione dolorosa dell'esistenza umana. Esso è dunque una «via di salvezza» dal destino di dolore,
che è proprio della condizione umana, per il fatto di essere legata al samsàra, cioè al ciclo eterno della
rinascita in nuove forme di vita. In questo senso è una «religione», perché la «salvezza» è un concetto
essenzialmente religioso. Questa via comporta la «rivelazione» della scoperta del sentiero che
conduce al «risveglio» e al nirvana, fatta dal Buddha, la «credenza» del discepolo nell'insegnamento del
Buddha e il cercar «rifugio» in lui e nella sua «comunità». Tutti elementi questi che fanno del buddhismo
una «religione».
IL SENSO RELIGIOSO
Ciò che specifica il fenomeno religioso è il «senso religioso», che è differente da quello estetico,
da quello etico e da quello sociale, anche se sono possibili accostamenti tra il senso religioso e quello
estetico, in quanto l'arte e il simbolo, con cui l'arte ama assai spesso esprimersi, possono cogliere il
«divino» più profondamente di altre realtà; soprattutto c'è una vicinanza tra senso etico e senso
religioso, in quanto la religione comporta sempre un'etica e questa trova il suo più solido ancoraggio nella
religione. In realtà, il «senso religioso» è ciò per cui l'uomo vive un'«esperienza» di ordine diverso da
ogni altra esperienza umana. Quelle umane sono di ordine immanente, cioè riguardano «questo»
mondo. L'esperienza «religiosa» riguarda un mondo diverso, «al di là» di questo mondo, che è
contingente e relativo. In realtà, quello dell'esperienza religiosa è il mondo dell'assoluto, e perciò del
«divino» e del «sacro».
L'uomo che fa l'esperienza religiosa — e, di per sé, ogni uomo vi è chiamato — è homo
religiosus, che si distingue dall'uomo non religioso, perché, come dice M. Elide , «crede sempre che
esista una realtà assoluta, il sacro, che trascende questo mondo, in questo mondo si manifesta e perciò
stesso lo santifica e lo rende reale». In altre parole, l’homo religiosus è colui che ha il «senso religioso»
proprio di ogni uomo, «sente» e «sperimenta» nella sua vita e nel mondo che lo circonda la presenza di
una Realtà che trascende la vita e il mondo, nella quale vita e mondo si radicano e da cui hanno origine,
consistenza e valore. Questo «senso religioso» si traduce in esperienze religiose che variano secondo le
circostanze storiche, le culture e, soprattutto, secondo la storia personale, la psicologia degli homines
religiosi e le circostanze ambientali e culturali in cui vivono. Questo spiega la grande diversità delle
religioni.
La loro diversità può riguardare la struttura: alcune infatti, come le religioni animistiche e
naturalistiche, hanno credenze piuttosto semplici, anche se i loro riti e il culto possono essere, talvolta,
assai complessi; altre, come le religioni «storiche» (che hanno cioè un fondatore storico), sono assai
complesse dottrinalmente e fortemente strutturate e istituzionalizzate. Soprattutto la diversità tra le
religioni può riguardare la concezione che esse hanno del «Divino»: per alcune il Divino è molteplice
(religioni politeistiche); altre tendono a escludere le divinità diverse da quella preferita o a ridurre le
divinità a una sola (enoteismo); per altre ancora il Divino è unico (religioni monoteistiche); per alcune è
trascendente il mondo, per altre è immanente al mondo e alla natura (religioni panteistiche); per
alcune è personale, per altre è impersonale; per alcune è vicino all'uomo, è buono e misericordioso, per
altre è lontano dall'uomo, terribile e minaccioso, cosicché l'uomo deve renderselo propizio con l'offerta di
doni e sacrifici e può entrare in rapporto con lui soltanto mediante esseri divini inferiori (spiriti) o uomini
dotati di particolari conoscenze e poteri (sacerdoti, sciamani); per alcune può essere raffigurato con
immagini di uomini o di animali, per altre ogni raffigurazione della divinità è proibita. Inoltre il Divino
può manifestarsi per alcune nelle «ierofanie», siano esse «cosmiche» (cielo, sole, luna, terra, acqua,
montagne, alberi, pietre) o «biologiche» (animali, fecondità, vegetazione, agricoltura, sessualità), oppure
«topiche» (luoghi sacri); per altre può manifestarsi in uomini «ispirati» (profeti, veggenti, indovini) o per
mezzo di libri «ispirati» (libri sacri).
DIVERSITA IN ELEMENTI COMUNI
Le religioni sono dunque diverse; ma parlando della loro diversità è importante rilevare che sono
profondamente diverse anche negli elementi comuni a tutte (o quasi tutte). Si prenda il caso della
preghiera. Essa è certamente comune a tutte le religioni (a eccezione del buddhismo Theravada, ma è
presente nelle altre forme di buddhismo). Ma, in ogni religione, la preghiera è diversa non solo nella
forma ma anche nel significato. Così in talune religioni la preghiera ha una valenza e una forza
«incantatrice», di coercizione della divinità: è un carmen, una formula magica, che deve costringere la
divinità a concedere quello che le si chiede. Di qui la necessità di conoscere il nome della divinità
(conoscere il nome di un essere significa aver potere su di lui!) e di pronunciare con esattezza la formula
della preghiera e di ripeterla con tanta insistenza da «stancare» il dio: è il fatigare deos, di cui parlano
Orazio e Seneca.
In altre religioni la preghiera è un appello alla potenza benefica della divinità: così nel
cristianesimo la preghiera è rivolta al «Padre» e ha
un carattere «filiale» di assoluta fiducia e
di confidenza. In alcune religioni, la preghiera ha una forma fìssa, in quanto comporta tempi precisi,
gesti esteriori e formule fìsse, come la saldi islamica (ma l'islam conosce anche la preghiera privata e
libera [du'a]); in altre religioni è più interiore e spontanea. In alcune è essenzialmente richiesta di beni
materiali: così i romani pregavano pro bubus uti valeant (per la buona salute dei buoi); inoltre è
essenzialmente preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento e di richiesta di beni spirituali: così
il cristiano, pur potendo pregare per le sue necessità materiali e temporali, prega soprattutto perché
«venga il regno di Dio» e il Padre gli conceda il dono dello Spirito Santo.
Quanto si è detto della preghiera vale per tutti gli aspetti comuni alle religioni. Attiriamo
l'attenzione su questo punto per mettere in rilievo un fatto a cui oggi non si bada sufficientemente, quando
si parla del dialogo interreligioso o si fa pratica di esso: le religioni sono profondamente diverse anche
nei loro aspetti comuni. Perciò si deve fare grande attenzione quando si opera un confronto tra le varie
religioni per non cadere in banali facilonerie, vedendo somiglianze e possibilità di incontri là dove le
somiglianze possono essere reali, ma per lo più sono superficiali e apparenti. Si deve infatti ricordare che
ogni religione ha una propria identità dottrinale e cultuale, che si fonda sul suo nucleo centrale:
questo riflette la sua luce su tutti gli aspetti di essa, anche su quelli più marginali, e da’ ad essi un proprio
significato. Perciò ogni elemento o aspetto di una religione dev'essere visto, compreso e interpretato alla
luce del suo nucleo centrale, e non può essere estrapolato da esso e interpretato alla luce di un'altra
religione.
Per tale motivo ogni tentativo di sincretismo, cioè ogni tentativo di scegliere tra le varie
religioni, antiche e recenti, orientali e occidentali, il «meglio» di ciascuna per farne una nuova religione, è
vano e senza senso. Purtroppo, nel mondo di oggi, in cui tutto viene mercantilizzato, le religioni sono
viste come un «supermarket religioso», in cui è possibile a ciascuno comprare un po' di tutto, seguendo
i propri gusti e le proprie curiosità. Così non è difficile trovare persone «religiose» in cui convivono
elementi di cristianesimo, di induismo, di buddhismo, di «nuove religioni», di magia, di astrologia, di
spiritismo, di ecologismo: ne sono un esempio i seguaci del New Age, che vorrebbe essere la «nuova
religione» del nostro tempo, definito post-cristiano e post-moderno.
SPECIFICITA RELATIVA DEL CRISTIANESIMO
Ogni religione ha dunque la propria identità e, quindi, la propria «specificità», per cui si
differenzia da tutte le altre. Qual’ è la «specificità» del cristianesimo rispetto a tutte le altre religioni?
Quando si parla di «specificità» del cristianesimo bisogna distinguere la specificità assoluta da quella
relativa. La specificità relativa indica che lo specifico del cristianesimo si ritrova non in tutte le religioni,
evidentemente, ma in alcune, che pure non sono cristiane. La specificità assoluta indica che lo specifico
del cristianesimo non si ritrova in nessun'altra religione, ma unicamente nel cristianesimo.
La specificità relativa riguarda quegli aspetti del cristianesimo che, da un lato, sono caratteristici
di esso, ma, dall'altro, si trovano anche in altre religioni. Fra gli altri si possono segnalare i seguenti:
a) E’ specifico del cristianesimo l'essere «storico», cioè una religione di cui è storicamente noto
il fondatore. Sotto tale aspetto il cristianesimo si distingue dall'induismo, dallo shinto e dalle religioni
animiste, che non hanno un fondatore; ma, al pari di esso, sono religioni storiche anche l'ebraismo,
l'islàm, il mazdeismo, il buddismo, il giainismo, il taoismo, il sikhismo, fondati rispettivamente da
Mosè, Muhàmmad, Zarathushtra, Siddharta Gautama detto il Buddha, Jina (il Vittorioso) Mahavira, Lao
Tze, Nànak.
b) E’ specifico del cristianesimo essere «universale», cioè una religione destinata a tutti gli
uomini e a tutte le culture, tale che può e deve «inculturarsi» in tutte le culture e i modi di vivere, di
essere e di pensare degli uomini. In ciò il cristianesimo si distingue dall'ebraismo, che è la religione del
popolo ebraico, e dall'induismo, che è la religione del popolo indiano. Ma sono religioni universali
anche il buddhismo e l'islàm, che infatti sono usciti dai luoghi di origine per diffondersi in moltissimi
Paesi, assumendone tratti delle culture. Tendono all'universalismo anche «religioni» recenti, come i
testimoni di Geova e il baha'ismo.
e) E’ specifico del cristianesimo, insieme all'ebraismo, essere una religione «rivelata», nel senso
che le verità in cui crede non sono semplice frutto della saggezza umana, ma sono rivelate da Dio per
mezzo di uomini da Lui «ispirati» (i profeti, Gesù di Nazaret, gli Apostoli). In ciò si distingue dal
buddhismo, perché il Buddha non è un profeta che annuncia una rivelazione ricevuta dalla divinità, ma è
un saggio che con le sue forze è giunto all'illuminazione e indica agli uomini la via per giungervi. Si
distingue pure dall'induismo, anche se questo ritiene che i più antichi libri sacri (i Veda) contengano la
«rivelazione» (shruti), cioè le verità esistenti fin dall'eternità, che alcuni saggi (rishi), nel loro stato
d'illuminazione inferiore, percepirono ed espressero in parole umane, e che poi lungo i secoli — tra il
1700 e il 600 a. C. — furono raccolte nei quattro libri dei Veda. In realtà non si tratta di una vera e propria
«rivelazione» che i saggi avrebbero ricevuta dalla divinità. Tuttavia alcune correnti dell'induismo parlano
dei Veda come di una rivelazione di Brahman, il Dio supremo. Invece si presenta come religione
rivelata l'islàm, per il quale il Corano è «la rivelazione del Signore dei mondi in lingua araba chiara»,
trasmessa a Muhàmmad per l'intermediazione dell'angelo Gabriele o, meglio, dettata letteralmente al
Profeta, poiché, secondo l'ortodossia islamica, il Corano non è un libro composto da Muhàmmad, ma,
presente ab aeterno nella sostanza divina, è «disceso» dal cielo su di lui.
d) E’ specifico del cristianesimo essere una religione «escatologica». Il cristianesimo, cioè, è una
«storia di salvezza», che, iniziata con la creazione dell'uomo e la sua elevazione, per pura grazia, allo
stato soprannaturale, è continuata con la vocazione di Abramo, con l'elezione del popolo d'Israele e
l'Alleanza del Sinai, è giunta alla sua pienezza e definitività nella persona di Gesù, il Verbo di Dio
incarnato, morto e risorto e, dopo il tempo della Chiesa, si concluderà con la seconda venuta di Gesù alla
fine della storia, quando l'umanità, giudicata da Cristo, entrerà nel regno di Dio e Dio sarà tutto in tutti.
L'escatologia suppone una concezione del tempo lineare e non circolare. In questo il
cristianesimo si distingue dall'induismo, il quale crede nell'eterno ritorno del mondo: esso infatti viene
creato, conservato e distrutto in un processo ciclico che si ripete senza fine. In tale movimento ciclico
s'inserisce la reincarnazione, che dura finché l'uomo — un composto accidentale di àtman (elemento
eterno, indistruttibile, non-nato, non-creato) e di sharira (elemento temporale, creato, mutevole,
distruttibile) — non esca dall'avidya (cioè dall'ignoranza della vera natura dell’atman, che è la causa per
cui questo è legato a un corpo fisico), e non abbia esaurito il suo karma (cioè non abbia, passando da una
vita all'altra, pagato fino all'ultimo il debito morale delle sue azioni). Perciò l'uomo passa per infinite
reincarnazioni, sta cioè nella «corrente» (samsàra), finché non ne viene fuori con la «liberazione»
(moksha) mediante l'ascesi e la pratica delle forme più alte dello yoga: il dhyana (meditazione) e il
samadhi (assorbimento mentale), in cui l’atman individuale si riconosce come il Sé assoluto, il Brahman,
e dice «Io sono Brahman» (Aham Brahma-asmi).
Invece l'islàm ha un'escatologia molto sviluppata, che ha forti risonanze bibliche, sia ebraiche
sia cristiane. Dogma essenziale della fede musulmana sono l'ultimo giorno, la risurrezione dei corpi e la
fine del mondo, che sarà preceduta da dieci segni precursori. Uno di essi è il ritorno di Gesù, divenuto
vero musulmano, o quello del Mahdì, il messaggero «ben guidato», che Dio manderà alla fine dei tempi
per far trionfare la vera religione (din) e schiacciare le forze sataniche (per gli sciiti il Mahdì atteso è il
dodicesimo Imam, Muhàmmad al-Mahdi al-Hujjia, sparito nell'878, che ora vive nascosto in
qualche parte). E’ una religione escatologica anche il mazdeismo, che attende per la fine dei tempi la
venuta di un salvatore, il Saoshyant, il quale provocherà la risurrezione dei corpi per il giudizio finale.
SPECIFICITA ASSOLUTA : LA TRINITA
II cristianesimo dunque condivide con altre religioni alcuni caratteri, che pure gli sono specifici.
Ma, oltre a possedere una specificità che abbiamo chiamato «relativa», il cristianesimo ne possiede una
«assoluta», che non condivide con nessun'altra religione. Rileviamo subito che proprio tale specificità
assoluta fa del cristianesimo una «religione a parte». Se infatti esso possedesse soltanto una specificità
relativa, sarebbe «una» delle religioni, per taluni aspetti diversa dalle altre e per altri aspetti simile ad esse
o almeno a talune di esse. Se non è «una» tra le religioni del mondo, è perché possiede una specificità
propria che nessun'altra religione possiede.
In che cosa consiste tale specificità assoluta? Essenzialmente in due «misteri», cioè in due verità
inattingibili dalla ragione umana e tali che possono essere conosciuti dall'uomo soltanto per rivelazione
personale di Dio stesso. Consiste anzitutto nel mistero trinitario. Nel cristianesimo Dio si auto-rivela e
si auto-comunica come un solo Dio (cioè un'unica Sostanza o Natura divina) in tre Persone (il Padre e il
Figlio e lo Spirito Santo) tra loro uguali nella divinità e distinte per il fatto che sono tre «relazioni
sussistenti» o tre «sussistenze» dell'unica sostanza divina: tre Persone divine che sono «pure relazioni»,
che cioè possiedono l'unica Sostanza divina, ma la possiedono ciascuna nella forma propria: il Padre la
possiede come Principio e Fonte del suo Verbo che da Lui è generato perfettamente uguale a Lui; il Figlio
la possiede come Verbo generato dal Padre; lo Spirito Santo la possiede come «spirato» dal Padre e dal
Figlio, cioè come comunione di unità e di amore del Padre col Figlio e del Figlio col Padre; in altre
parole, come Amore reciproco del Padre e del Figlio, come il «Noi» sussistente del Padre e del Figlio.
Nel cristianesimo l'Uni-Trinità di Dio è conosciuta unicamente per rivelazione di Dio stesso,
essendo un «mistero» di amore, cioè una verità che rivela Dio come Amore, ma che supera infinitamente
la ragione umana, poiché, come afferma san Gregorio di Nazianzo, Dio è «al di là di tutto ciò che è». In
realtà, la ragione umana può accogliere tale verità soltanto con un atto di «fede» e di «amore», vale a dire
con un atto di adesione fiduciosa e amorosa a Dio, Suprema Verità e Amore Infinito, che, nel rivelarsi per
amore all'uomo come «Mistero di salvezza», non può ingannarlo. Perciò, nell'affermare l'Uni-Trinità di
Dio l'uomo si appoggia non sulla forza della propria ragione, ma su Dio che, in quanto è assoluta
Verità, non può ingannarsi e, in quanto è Amore infinito, non può ingannare l'uomo.
Certamente, posta di fronte al mistero trinitario, la ragione umana, dopo averlo conosciuto per
rivelazione, può cercare di renderlo in qualche maniera intelligibile e di giustificarlo razionalmente,
mostrandone la non-assurdità e la non-contraddittorietà; anzi può metterne in luce la ricchezza e la
profondità per la comprensione stessa dell'uomo come «essere di relazione» e per la vita cristiana come
«dono» di sé a Dio e agli uomini: questo è il compito della teologia come intellectus fidei (intelligenza
della fede); ma non può comprenderlo nella sua essenza più intima e profonda. Dinanzi al Dio UnoTrino l'uomo deve soltanto adorare in silenzio e amare. Infatti solamente l'amore è capace di penetrare nel
mistero trinitario, che è un mistero di amore; e questo soltanto quando Dio, per un dono del suo
amore e senza che si possa far nulla per meritarlo, ammette il credente nella propria intimità. Ciò si
verifica in pieno nell'esperienza mistica, che per il cristianesimo è sempre di ordine soprannaturale e mai
frutto del solo sforzo dell'uomo, per quanto intenso e perseverante esso possa essere.
Ma non è solamente il fatto che Dio è Uno-Trino a contraddistinguere la visione cristiana di Dio
da quella delle altre religioni. Infatti il cristianesimo è monoteista, ma il suo monoteismo differisce dagli
altri due monoteismi conosciuti dalla storia delle religioni: da quello musulmano, che vieta di
«associare» qualcuno ad Allah e perciò accusa il cristianesimo di essere non monoteista, ma triteista, di
ammettere cioè tre Dei; e anche dal monoteismo ebraico, in quanto il monoteismo cristiano non è
«solitario», ma «trinitario» e quindi, secondo gli ebrei, contrasta col monoteismo jahvista, compreso
secondo le rigide concezioni della tradizione mosaica: di qui il rifiuto degli ebrei di aderire a Gesù e al
cristianesimo.
Inoltre, il Dio cristiano è un Dio personale: non è né il Divino dei greci, né l'Assoluto senza
attributi, il «Brahman non qualificato» della metafisica vedantica. E cioè un Dio con il quale l'uomo può
intrecciare un dialogo personale di «lo-Tu»; è un Dio col quale, sotto l'influsso della grazia divina,
l'uomo può entrare in comunione di amore fino a divenire «uno con il Padre e con il Figlio e con lo
Spirito Santo» (cfr Gv 17,21-23), senza perdere la propria personalità.
Soprattutto il Dio cristiano rivelato da Gesù è il Padre. La rappresentazione di Dio come «padre»
si incontra anche in altre religioni, da quelle più semplici a quelle più elaborate, in particolare nelle
religioni antiche del bacino mediterraneo e della Mesopotamia, in base al principio che gli uomini hanno
origine da Dio per generazione. Così il dio El, degli ugariti, è chiamato «padre dell'umanità»; il dio Sin, di
Babilonia, è detto «padre e generatore degli dèi e degli uomini»; e in Grecia, a cominciare da Omero,
Zeus è «il padre degli uomini e degli dèi». Anche nella filosofia stoica si parla di Dio-padre: per Epitteto,
Dio è «creatore, padre e conservatore» degli uomini, che egli considera come suoi figli carnali.
Nell'ebraismo, Dio è chiamato padre soltanto in riferimento al popolo d'Israele (cfr Dt 32,6; Is
63,16; 64,7) o al re d'Israele (cfr 2 Sam 7,14; li 67 [68],6), mai in riferimento a un'unica persona o a tutta
l'umanità in genere. Invece nel cristianesimo la denominazione propria di Dio è «Padre». Così Gesù
chiama sempre Dio col nome di Padre e parla di Lui come del Padre «suo» e del Padre dei discepoli
(«Padre vostro»). Per essi Dio dimostra la sua «paternità» con la sua misericordia (cfr Lc 6,36), con la
sua bontà (cfr Mt 5,45), con la sua provvidenza nei loro confronti (Mt 6,8), col perdonare i loro peccati
(cfr Mc 11,25), col dare loro i doni del tempo messianico (cfr Mt 7,11) e il suo regno (cfr Lc 12,32).
Perciò i discepoli di Gesù sono invitati a rivolgersi a Dio nelle loro preghiere chiamandolo «Padre
nostro». Ma la paternità cristiana di Dio non è soltanto morale: coloro che credono in Gesù e sono
battezzati diventano realmente «figli» di Dio, in quanto sono da Lui «generati» alla vita soprannaturale
(cfr Gv 1,13) e diventano in Cristo «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4).
La visione di Dio come «Padre» è, perciò, specifica del cristianesimo. Così, per fare un esempio,
è inconcepibile per l'islàm chiamare Allàh Padre. Il Corano da a Dio molti nomi (la tradizione islamica
ne conta 99): di essi i più usati sono ar-Rahmdni ar-Rahìmi («II Clemente e il Misericordioso»), che sono
posti all'inizio di ogni sura, ma non dà mai il nome di «Padre». Allàh è il «Signore» (Rabb) e l'uomo è il
suo «servo» ('abd), il quale deve assoluta «sottomissione» (islàm) ai decreti divini e, nello stesso tempo,
deve abbandonarsi fiduciosamente alla clemenza divina. Quanto all'amore di Allàh per l'uomo, il Corano
ne parla soltanto in alcuni versetti . Questa sobrietà si spiega col desiderio di non mettere in pericolo
l'assoluta trascendenza e unicità di Allàh, per cui «niente è a sua somiglianza» (s. 42, 10), neppure l'uomo,
che la Bibbia dichiara creato a «immagine e somiglianza» di Dio (Gn 1,27; 5,1-3). Quando si riflette sul
fatto che il cristianesimo chiama Dio Amore (I Gv 4,16) e che i cristiani sono chiamati a entrare in
comunione d'amore con lui, si può misurare la distanza che separa l'islàm dal cristianesimo: una distanza
tuttavia che la corrente mistica dell'islàm — il sufismo — con i grandi mistici: Rabi'a, la donna che ha
voluto amare Dio per Lui solo; el-Hallaj, crocifisso a Bagdad nel 922, per aver osato proclamare che Dio
«abita» nell'uomo; al-Gazzalì (+ 1111), che ammette una «prossimità» dell'uomo con Dio, la quale può
giungere fino all'amore reciproco (ma non unitivo) tra Dio e l'uomo — ha tentato di accorciare,
riuscendovi però soltanto in parte, poiché il sufismo ha suscitato sempre sospetti nell'islàm ortodosso,
perché metterebbe in pericolo l'assoluta trascendenza di Dio.
SPECIFICITA ASSOLUTA: L’INCARNAZIONE
Ma la specificità assoluta del cristianesimo non si limita al solo mistero trinitario. Essa riguarda
l'altro mistero, «scandaloso» — per la ragione umana — ancora più del primo e che ancora più di
questo qualifica il cristianesimo: il mistero dell'Incarnazione del Figlio eterno di Dio, della seconda
Persona della Trinità, nella figura storica di Gesù di Nazaret. Il cristianesimo afferma infatti che il Figlio
di Dio è divenuto uomo, non nel senso che abbia cessato di essere il Figlio di Dio, ma nel senso che,
restando nella sua condizione divina, ha assunto una natura umana: non apparente e transitoria, ma una
vera natura umana, cosicché Gesù di Nazaret è vero Dio nella pienezza della divinità ed è vero uomo
nella pienezza dell'umanità; e lo è non in forma transitoria, ma in forma definitiva, cosicché il Figlio di
Dio non cesserà mai di essere uomo. Egli è entrato nella storia umana, prendendo su di sé tutto quello che
l'uomo ha di grande e di misero, eccetto il peccato, tutto il peso — grandioso e tragico — della storia
umana, per riportare gli uomini a Dio, distruggendo con la sua morte sulla croce i loro peccati e con la sua
risurrezione dalla morte facendoli partecipare all'eterna gloria e felicità della Trinità.
In Gesù di Nazaret c'è una sola Persona (quella del Figlio di Dio) e due nature (quella divina e
quella umana) non separate né divise, ma nello stesso tempo non confuse, in modo che quello che Gesù
opera nella sua natura umana ha come soggetto, come «Io», il Figlio di Dio. Così è il Figlio di Dio che
nasce dalla Vergine Maria, che vive come uomo tra gli uomini, che soffre e muore sulla croce e risorge
dalla morte. È il Figlio di Dio che, prendendo su di sé i peccati di tutti gli uomini, li espia nella sua
umanità sulla croce, ottenendo il perdono del Padre; ed è sempre il Figlio di Dio che, nella sua umanità,
risorge dalla morte il terzo giorno e, per mezzo della sua umanità glorificata, effonde sull'umanità il dono
dello Spirito Santo e riunisce i credenti in Lui nella sua Chiesa, che perciò diviene il suo Corpo mistico.
Così, la specificità del cristianesimo è di essere la religione dell'Incarnazione del Figlio eterno di Dio
nella figura storica di Gesù di Nazaret, vissuto al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio e morto
crocifìsso a Gerusalemme per opera di Ponzio Pilato probabilmente il 7 aprile del 30 d. C. Questa
specificità è assoluta. Nessun'altra religione — neppure l'induismo con la sua dottrina delle avatàra —
professa l'Incarnazione di Dio in una figura storica e storicamente conosciuta. E’ dunque una religione
che comporta la fede nella sua forma più piena e più audace, perché si deve superare lo «scandalo» di
un Dio che diviene veramente e definitivamente uomo: di un Dio perciò che si abbassa fino ad assumere
una «carne», cioè una natura umana in tutta la sua debolezza e miseria, fino a morire della morte più
atroce e infamante che si potesse immaginare.
Nello stesso tempo è una religione la quale, professando che nella figura storica di Gesù di
Nazaret è presente Dio stesso, deve necessariamente affermare di essere una religione non «umana», ma
«divina», e dunque assolutamente vera e assolutamente definitiva; di essere quindi la religione che Dio
vuole per tutti gli uomini. Se in Gesù Cristo è Dio stesso che parla e agisce, la sua parola non può che
essere la verità in campo religioso e il suo esempio e il suo comportamento non possono che essere quelli
che ogni uomo deve fare propri, in modo che nel campo morale e religioso la legge da seguire è quella
che egli proclama col suo esempio e con la sua parola. Per tale motivo Cristo è «la Via, la Verità e la
Vita» (Gv 14,6), e «nessuno viene al Padre se non per mezzo di Lui» (ivi). In altre parole, Gesù di
Nazaret, in quanto è il Figlio di Dio fatto uomo, è l'unico Maestro e Salvatore degli uomini, e nessun altro
maestro e salvatore può essere messo accanto a lui.
TRINITA, INCARNAZIONE : ESCLUSIVI
A questo punto sorge un problema: è proprio vero che la Trinità di Dio e l'Incarnazione del Figlio
di Dio in Gesù di Nazaret sono «misteri esclusivi» del cristianesimo? Non si trovano, cioè, dottrine
simili anche in altre religioni? Infatti una «triade» divina semplice si trova nella religione egiziana con
Osiride, Iside e il loro figlio Horus; una triade più complessa si trova nell'induismo con la «trimurti»
(tre (tri)- immagini (murti) o manifestazioni divine). Così il dio Shiva si presenta con tre volti: lo Shiva
trascendente assoluto al centro; lo Shiva creatore a sinistra e lo Shiva distruttore a destra. Oppure la
«trimùrti» indica la triplice manifestazione divina che appare negli dèi Brahma, Vishnu e Shiva, ognuno
dei quali ha una funzione differente: Brahma è creatore, Vishnu è protettore e Shiva è distruttore del
mondo. Oppure, nella «trimùrti» interpretata filosoficamente è il brahman, supremo, impersonale, che sul
piano fenomenico si manifesta in tre dei differenti. La «trimùrti» indù ha quindi qualche somiglianza con
la Trinità cristiana, ma nel suo fondo è radicalmente diversa, perché o ammette tre divinità oppure tre
modi o aspetti diversi di una sola divinità, mentre la Trinità cristiana non ammette né tre dei né tre modi
di essere di un unico Dio. La specificità della Trinità cristiana sta nel fatto che essa professa un solo Dio
in tre Persone uguali e distinte, le quali non sono tre «modi» di essere dell'unico Dio, e non sono tre deèi,
ma un solo Dio.
Anche l'Incarnazione è da alcuni assimilata alla dottrina delle avatàra dell'induismo vishnuista.
Avatàra significa «discese» e indica le discese o manifestazioni di Vishnu sulla Terra per combattere le
forze del male. Queste avatàra sono manifestazioni passeggere; per mezzo di esse mai Vishnu entra
nella condizione umana, ma se ne mantiene al di sopra. Invece con l'Incarnazione, il Figlio di Dio si è
fatto uomo in maniera unica, definitiva e non reiterabile, ed è entrato nella storia umana, assumendo la
condizione umana fin nella sua capacità di soffrire e di morire per espiare i peccati degli uomini.
L'Incarnazione è dunque radicalmente diversa dalle avatàra dell'induismo.
Così per i due «misteri» della Trinità e dell'Incarnazione, che comportano una serie assai lunga
di altri «misteri», il cristianesimo si colloca in una zona che non è, se non per certi aspetti minori, quella
comune alle altre religioni. Queste infatti hanno tutte un'origine umana. Ciò non significa che gli uomini
delle altre religioni, se sono aperti a Dio, alla verità e al bene e praticano con fedeltà e sincerità la loro
vita religiosa e morale seguendo i dettami della propria coscienza, non siano sotto l'influsso della grazia
salvatrice di Dio. Significa soltanto che tali religioni sono opere di uomini: certamente ammirabili e
degne di ogni rispetto, ma sempre opere umane, in cui perciò — come in tutte le opere umane, anche le
più ammirabili e sante — c'è una mescolanza di verità e di errore, di bene e di male.
Affermando che il cristianesimo è la religione assolutamente vera, perché è opera non di un
uomo, per quanto santo e vicino a Dio possa essere, ma di Dio stesso che si è incarnato in Gesù di Nazaret
e ha rivelato agli uomini con la sua parola e con il suo esempio la «via» che conduce a Dio, siamo
obbligati per coerenza ad affermare che il cristianesimo si pone su un piano diverso da quello nel quale
si pongono tutte le altre religioni. L'immagine che taluni usano quando parlano delle religioni è quella
della montagna in cima alla quale si può giungere per vie diverse. Le varie religioni sarebbero
precisamente le vie diverse che, però, conducono tutte in cima alla montagna, cioè a Dio, e dunque, pur
essendo diverse, sarebbero tutte di eguale valore. Questa immagine, indubbiamente suggestiva, non si
può applicare al cristianesimo. Esso non è una delle tante vie che conducono a Dio, ma è la via, perché
è Dio stesso a insegnarla. Non si pone, dunque, accanto alle altre religioni, ma si pone su un piano
diverso. Non è, cioè, una religione come le altre e non ha lo stesso valore delle altre.
Queste affermazioni possono dispiacere e sembrare forme di orgoglio e di arroganza o, peggio,
di fondamentalismo religioso; possono apparire anche forme di perversione religiosa, in quanto possono
nascondere una volontà di potenza e di dominio sulle altre religioni. È necessario perciò comprenderle
rettamente. Quando si afferma che il cristianesimo è la religione vera e definitiva, bisogna chiarire che
l'assolutezza di verità e di santità, che è propria della religione cristiana, non va attribuita al
cristianesimo quale si è realizzato storicamente, ma a Gesù Cristo: infatti, nel loro cammino storico, i
cristiani hanno mescolato verità ed errore, santità e peccato; hanno commesso peccati di dominazione
e di sopraffazione nei riguardi delle altre religioni; talvolta hanno fatto ricorso al potere politico per
imporsi sulle altre religioni. Perciò nel cristianesimo di vero e santo non c'è che Cristo, il suo Vangelo e le
verità in esso contenute; Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio che si è incarnato, è morto per la salvezza degli
uomini ed è risorto. Invece i cristiani sono stati e sono ben lontani dal realizzare la verità e la santità del
cristianesimo e non possono certo avanzare la pretesa di essere migliori di coloro che professano altre
religioni; anzi, assai spesso, nella pratica della loro religione, devono confessare di essere assai meno
assidui e fedeli.
Ancora: quando si afferma che la religione di Gesù è la religione che Dio vuole per tutti gli
uomini, non si desidera incoraggiare o giustificare né il fondamentalismo né il fanatismo religioso: non
si vuole, cioè, affermare che le altre religioni non hanno diritto di esistere né che bisogna costringere i
loro seguaci a diventare cristiani; si vuole soltanto affermare il principio che la volontà di Dio è che
tutti gli uomini credano in Gesù Cristo e trovino in lui la pienezza della verità e della grazia; è
evidente, però, che tale principio deve attuarsi nella concreta situazione storica dell'umanità e nella
libera risposta dell'uomo alla chiamata di Dio. In ogni caso, nessuno deve pensare che il posto singolare
che, per la sua origine divina, noi attribuiamo al cristianesimo, comporti privilegi per i cristiani o
atteggiamenti non rispettosi verso i seguaci delle altre religioni. ( G. De Rosa “ Fatica e gioia di credere”
– Ldc - Civiltà Cattolica 2002 pagine 77-98)
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