LEZIONE N. 3 TRASFORMAZIONI DI GALILEO E PRINCIPIO DI RELATIVITA’ GALILEIANA Il termine “trasformazioni di Galileo” fu introdotto nell’uso dal fisico Philipp Frank nel 1909. La posizione assunta da Galilei nel Dialogo fu l’esito di anni di ricerche locali, ovvero di ricerche che, anziché tentare di risolvere l’impossibile problema globale del motus, affrontarono problemi quanto mai ristretti o parziali: il pendolo, i piani inclinati, il moto dei proiettili. Galilei dovette infatti dichiarare che lo spazio è omogeneo e isotropo, e che, di conseguenza, non sono realizzabili esperimenti di meccanica grazie ai quali distinguere uno stato di quiete da uno stato di moto rettilineo e uniforme, anche se tutta la conoscenza allora disponibile sui moti doveva negare proprio queste cose e riusciva a negarle proprio con l’appello all’esperienza. Stiamo attenti: la base empirica era contraria allo spazio galileiano, e Galilei, pur avendo capito moltissime cose grazie all’esperienza, dovette alla fine sostenere che la verità sul moto dipendeva dall’impossibilità di fare esperimenti atti a distinguere la quiete dal moto. Anzi la base empirica è contraria ancora oggi allo spazio galileiano, anche se ci facciamo caso solo quando ci rendiamo conto dell’impressionante fatto per cui la fisica di senso comune è, per così dire, aristotelica. Sotto questo profilo è sbagliato dichiarare che gli ostacoli principali che Galilei dovette affrontare riguardavano questa o quella legge galileiana sul moto. Ed è sbagliato perché le leggi galileiane sul moto, così come appaiono nei Discorsi e dimostrazioni, si riducono a quelle sul moto rettilineo e naturalmente accelerato, e a qualche teorema sulle traiettorie dei proiettili. La spettacolare grandezza della fisica galileiana è collocata, invece, nel principio di relatività, il quale garantisce l’invarianza delle leggi del movimento sotto condizioni precise circa la natura stessa dello spazio. Galilei introduce, nelle descrizioni spaziali, la fisica: la introduce in forme tali da cambiare la nozione di spazio usualmente inferibile dalle percezioni intersoggettive degli osservatori. Questo versante della rivoluzione galileiana è manifesto nel famosissimo passo del Dialogo dove si discute il problema della nave. Questo brano è problematico in modo profondo perché getta luce sulla necessità di abbandonare lo spazio come mero ente di percezione e sulla conseguente necessità di reinterpretare le osservazioni sul moto a un principio astrattissimo. L’argomento di Galilei dice che si possono realizzare alcune esperienze al fine di concludere che tutte le esperienze possibili nulla dicono sulla distinzione fra stato di quiete e stato di moto non accelerato. Questo argomento dichiara che le leggi del moto sono invarianti per osservatori in quiete o in moto non accelerato. E la cosa più incredibile, allora, è che l'argomento di Galilei nega che esistano osservatori nel senso normale del termine: non esistono infatti osservatori che, con esperimenti di meccanica, possano capire se stanno in un sistema di riferimento o in un altro. L’argomento della nave elimina di fatto il ruolo degli osservatori, svuota del suo tradizionale contenuto una classe enorme di esperienze e invita i parlanti a riclassificare tutta la base empirica in nome dell’invarianza delle leggi di natura: il che giustifica l’atteggiamento di chi oggi battezza il punto di vista galileiano con l’espressione “principio di relatività di Galilei”. L’invarianza delle leggi della meccanica galileiana comporta, di necessità, che lo spazio non sia quello della percezione di senso comune, ma sia invece una struttura ovunque isotropa e omogenea. E, sulla base dei testi galileiani, dobbiamo concludere che Galilei capì di aver scoperto questa struttura controintuitiva e si rese conto di doverla comunicare ad altri facendo leva su esempi intuitivi e facili come quelli concernenti il volo delle mosche in ogni direzione. L’invarianza galileiana, però comporta anche che il tempo sia, in modo assai poco intuitivo, uniforme. Se pretendiamo che nello spazio debba valere l’equivalenza circa le posizioni e le direzioni, dobbiamo anche pretendere che siano tra loro equivalenti gli istanti in cui un oggetto è in certe posizioni. Lo spazio galileiano e il tempo galileiano, pur essendo ormai problematici rispetto allo spazio e al tempo consegnatici dal linguaggio quotidiano, avevano in comune con questi ultimi la caratteristica di essere raffigurabili come cose esterne ai recettori sensoriali: cose che stanno nel mondo dove si muovono gli oggetti corporei. La struttura di queste cose che stavano nel mondo era pur sempre enigmatica. Essa doveva ad esempio costituire lo scenario dove erano disposte le qualità primarie degli oggetti corporei – il numero, la figura e il moto – che, secondo Galilei e altri studiosi, erano l’obiettivo centrale da cogliere. 1 DALLE ORIGINI ALLA RELATIVITA’ GALILEIANA Un concetto di <<relatività>> è praticamente esistito fin da quando si è cominciato a distinguere fra destra e sinistra, avanti e dietro, alto e basso, ed infine prima e dopo. Infatti, e ciò è immediato, tali concetti implicano un ben determinato riferimento, altrimenti non hanno un significato univoco. Perché però i suddetti concetti possano essere quantificati, occorre che le varie grandezze in gioco possano essere misurate. In definitiva, gran parte della storia della relatività è parallela alla storia della definizione delle grandezze da misurare e della loro effettiva misura con una precisione sempre maggiore. Non si può quindi fare a meno di citare i primi successi nelle misure e calcoli di tempo e di spazio, ossia per quest’ultimo, di lunghezze, aree e volumi. Limitandoci alle civiltà del vicino Oriente, possiamo dire che i primi risultati riguardanti la misura di lunghezze, aree e volumi risalgono (circa 1500 a.C.) alla matematica babilonese ed egiziana. L’acquisizione fondamentale dei relativi calcoli (ovviamente necessari, e verificati sufficienti, per il commercio) fu di portare a riconoscere la tridimensionalità dello spazio e soprattutto l’indipendenza (ovviamente sperimentale) dal luogo e dall’orientamento: cioè a riconoscere che, ad esempio, il volume di un corpo di data forma non dipende dal luogo e dall’orientamento (mettiamo, rispetto ai punti cardinali). Per avere un’idea dei progressi e dei risultati ottenuti già in epoche molto antiche, si può citare un papiro egiziano del XVII secolo a.C., conservato a Mosca, in cui è riportato tra l’altro il calcolo del volume di una piramide tronca e quello dell’area di una mezza sfera. Tali risultati, lungi dall’essere banali, sono invece assolutamente fondamentali, in quanto hanno permesso la scoperta della geometria del tipo che oggi chiamiamo euclidea. (Se si vuole un semplice esempio di possibilità di una geometria non invariante per traslazione e rotazione, basta pensare alla geometria sopra un ellissoide a tre assi di lunghezza diversa.) Parallelamente allo studio delle proprietà geometriche dei corpi (oggi diremo dello spazio), si deve avere lo studio della variabile tempo: premessa indispensabile per un approccio alla soluzione di problemi dinamici. I primi calendari risalgono ancora ai babilonesi e agli egiziani: ne sono state studiate molte versioni, e l’inizio di ricerche in proposito può essere fissato intorno al 3000-2500 a.C. L’uso scientifico del calendario, ed una specie di verifica sperimentale della sua utilità nello studio dei fenomeni naturali, si ebbe quando esso cominciò ad essere usato per la previsione di fenomeni celesti notevoli, che per la <<lentezza>> dell’orologio usato, non potevano essere altro che le eclissi. La più antica previsione d’eclissi di Luna di cui sia rimasta traccia risale ai babilonesi, all’epoca dei Sargonidi (722-607 a.C.) Quanto alle eclissi di Sole, la prima previsione di cui si abbia notizia è attribuita a Talete di Mileto che avrebbe indicato la data del 31 luglio 597 a.C., oppure, secondo altri, del 28 maggio 585 a.C.; tuttavia la critica storica tende a considerare dubbio che Talete abbia veramente potuto fare la previsione che gli si attribuisce. La suola dei Pitagorici (fondata da Pitagora di Samo, che visse dal 582 al 500 a.C. circa) cercò addirittura di formulare una teoria alla struttura dello spazio e del tempo, affermando che questi sono composti di <<monadi>>. Ne risulta subito che due segmenti qualsiasi, essendo entrambi composti di un numero intero di monadi, devono risultare commensurabili (oggi potremmo chiamare tale teoria la quantizzazione delle lunghezze e quindi della geometria). La scoperta degl’incommensurabili da parte della stessa scuola fece crollare l’intera teoria, ed obbligò ad accettare l’idea del continuo, semplicemente come opposto a discreto, sia per lo spazio sia per il tempo. Incidentalmente, osserviamo che tale questione è ancora tutt’altro che sistemata al giorno d’oggi: invero vi sono stati molti tentativi d’introdurre una lunghezza fondamentale, cioè di <<quantizzare>> lo spazio e il tempo, ma con risultati finora del tutto incerti Ulteriori e ben importanti tentativi d’organizzazione della conoscenza furono poi fatti, com’è universalmente risaputo, da Aristotele (384-322 a.C.). Per quanto riguarda lo spazio, egli assume che esso sia continuo (proprio per il fallimento delle <<monadi>> dei Pitagorici) e tridimensionale. Quanto alla struttura del tempo, egli la discute in gran dettaglio, e – a dirla in breve – si serve continuamente del <<parallelo>> con la retta. Oggi diremmo che la topologia dello spazio è in Aristotele del tipo 3 1 E (euclidea tridimensionale), quella del tempo del tipo E (euclidea 4 monodimensionale), e quella complessiva dello spazio-tempo è data da E , ossia è il semplice prodotto topologico delle due. Ove si volesse indurre tale topologia mediante una metrica, si potrebbe ad esempio scegliere subito, per esprimere l’elemento di lunghezza d’arco, la relazione ds 2 dx 2 dy 2 dz 2 dt 2 (Si noti comunque che per avere una chiara impostazione e definizione delle proprietà geometriche dello spazio, occorrerà attendere Euclide (330-260 a.C.) e la sua scuola. Orbene, nei suoi famosi <<Postulati>> nulla appare sull’orientamento del sistema di riferimento: siamo quindi in piena relatività euclidea, la quale afferma che le proprietà geometriche delle figure sono invarianti per traslazione e rotazione.) In Aristotele si trova la parola relatività (Fisica IV ( ), 1, 208b, 15) in relazione ai concetti di alto-basso, avanti-dietro, sinistra-destra. Questi concetti per il grande filosofo greco sono relativi a <<noi>>: <<essi, infatti, – dice – non sono sempre la stessa cosa>>, e questo è un vero e proprio principio di relatività nel senso moderno; ma riguardo alla Natura, egli fa poi distinzioni assolute, perché afferma che <<l’alto non è qualsiasi cosa, ma là dove si portano il fuoco ed il leggero>>. Secondo Aristotele esiste, quindi un riferimento assoluto, ed il principio di relatività sopra ricordato non è accettato per la Natura. 2 Non solo: per lui lo spazio deve essere sempre <<pieno>>; il vuoto viene rigettato perché (Fisica IV ( ), 8, 215a, 20) in tal caso <<un corpo o dovrà essere in quiete ovvero necessariamente sarà spostato all’infinito>>. Siffatta proprietà, che non è altro che il principio d’inerzia, viene rigettata come assurda e assunta come <<prova>> dell’impossibilità del vuoto. Lo stato di moto è in Aristotele essenzialmente distinto dallo stato di quiete e non può essere mantenuto a lungo senza cause esterne: ad esempio un sasso lanciato in aria continua il suo moto per un cero tempo perché l’aria è spostata, circola all’indietro e quindi spinge il corpo in avanti. Tali concetti, soprattutto per l’autorità di Aristotele, restarono a lungo in tutta la fisica posteriore, seppure non senza provocare talvolta dubbi e discussioni. Ma è solo con il risveglio prerinascimentale che i dubbi assunsero carattere di aperta confutazione. As esempio Jean Buridan di Béthune (1300-1358 circa), rettore della Sorbona, osservò, osando confutare Aristotele, che <<una barca spinta rapidamente contro la corrente di un fiume, non si arresta mai di colpo, e continua a muoversi per un bel tratto anche quando si cessa di spingerla. Eppure il barcaiolo vi sta sopra, in piedi, non si sente affatto spinto posteriormente dall’aria, anzi sente che l’aria fa resistenza al moto del suo corpo>>. Esempi di genere simile si moltiplicano in seguito, ma, per cominciare ad incrinare seriamente la teoria aristotelica del riferimento assoluto, occorrerà attendere Copernico(1473-1543), e l’introduzione del moto della Terra nel suo sistema (questo concetto riprende ed estende un’antica idea di Aristarco di Samo del III secolo a.C.). Una convincente dimostrazione dei moderni principi della meccanica si ebbe solo con Galilei (1564-1642), mediante un continuo ricorso all’esperienza. Si può dire che con Galilei inizia la vera fisica moderna, come scienza sperimentale. La preminenza della ricerca sperimentale è uno dei punti fondamentali a cui si appoggia tutto il lavoro del Galilei. Di origine sperimentale sono infatti le conclusioni riguardanti il principio d’inerzia, come ritroviamo in: <<...è lecito aspettarsi che, qualunque grado di velocità si trovi in un mobile, gli sia per sua natura indelebilmente impresso, purché siano tolte le cause esterne di accelerazione o di ritardamento: il che accade soltanto nel piano orizzontale: infatti nei piani declivi è di già presente una causa di accelerazione, mentre in quelli acclivi di ritardamento: da ciò segue parimenti che il moto sul piano orizzontale è anche eterno; infatti, se è equabile, non scema o diminuisce, né tanto meno cessa>> (*)1 Da ciò Galilei fa presto ad arrivare al principio di relatività galileiana, cioè ad affermare che in un riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto ad un altro in cui si sia verificato il principio d’inerzia nulla può dare una percezione del moto. Scrive infatti: <<…fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti i nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazi che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua…>>. Abbiamo quindi con Galilei un principio di relatività che afferma l’inesistenza di un riferimento assoluto (che era invece affermato esistere da Aristotele) per i fenomeni meccanici meccanici, e l’impossibilità di rivelare un moto rettilineo uniforme. Notiamo esplicitamente che nulla viene affermato da Galilei a proposito del tempo: questo mantiene ancora lo stesso significato che in Aristotele e non cambia al passare da un riferimento inerziale ad un altro, pure inerziale, in moto uniforme rispetto al primo. I principi galileiani si ritrovano riformulati in modo rigoroso, nell’opera di Newton 2, e sono ancora oggi insegnati nei corsi istituzionali di fisica. 1 Conviene fare qualche precisazione su cosa si debba oggi intendere per moto <<equabile>>. Nella geometria euclidea è ben noto come si possano attribuire delle coordinate <<euclidee>>, ad esempio come si possa fabbricare un righello con tacche a distanze uguali, ed infine come si possa verificare sperimentalmente la validità della geometria euclidea con sole misure di lunghezza. Analogamente però si deve procedere per il tempo, secondo lo schema seguente: si assume (principio d’inerzia) che un corpo non soggetto a forze esterne si muova di moto rettilineo, si definisce il tempo in modo tale che a spazi percorsi eguali corrispondano intervalli di tempo eguali, si verifica sperimentalmente che con vari corpi di diverse velocità e direzioni il tempo, come sopra definito <<scorre con la stessa velocità>>. La consueta asserzione che per il principio d’inerzia un corpo libero è in quiete o in moto rettilineo uniforme è da ritenersi totalmente superata. L’asserzione invero si riferisce al termine <<rettilineo>>; il termine <<uniforme>> è infatti la definizione del tempo. A questo proposito si può notare che Aristotele aveva bensì i mezzi per verificare la geometria, ma per il tempo non poteva fare altro che limitarsi ad una definizione soggettiva. 2 Is. Newton: Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (jussu Societatis regiae, London, 1687) 3 Con linguaggio moderno potremmo enunciare nel seguente modo il principio di relatività galileiana: a) il tempo è assoluto (aristotelico), cioè l’unico <<grado di libertà>> è l’origine dei tempi (nonché – ovviamente – la velocità degli orologi), ma il tempo risulta poi lo stesso in ogni riferimento, inerziale o no; b) non esiste per lo spazio un sistema di riferimento assoluto; c) le leggi della meccanica sono le stesse in qualunque riferimento inerziale, cioè sono invarianti per trasformazioni di Galilei. Questo enunciato esprime un principio di relatività perché le coordinate e la velocità di un mobile assumono significato relativo, cioè indipendente dal sistema di riferimento (inerziale) usato. La relatività galileiana, per riferimenti inerziali non in moto l’uno rispetto all’altro (ma in generale con origine ed orientamento diverso) si riduce alla relatività euclidea, secondo la quale le proprietà dei corpi risultano invarianti per trasformazioni di Euclide, cioè per traslazioni e rotazioni. 4 IDEA FONDAMENTALE: La trasformazione di coordinate appartenenti allo stesso sistema di riferimento inerziale è una questione puramente matematica, mentre la trasformazione di coordinate appartenenti a sistemi di riferimento inerziali differenti è un problema che cade nel campo della fisica. Questo problema può essere risolto solo per mezzo di esperimenti. Trasformazioni geometriche di coordinate Esse sono determinate dalla definizione dei sistemi di coordinate come risultato di costruzioni geometriche. Queste trasformazioni non includono il tempo. Queste trasformazioni non includono un cambiamento dei valori delle quantità fisiche. Trasformazioni fisiche di coordinate Corpi diversi per i quali esistono differenti sistemi di riferimento possono essere in moto relativo l’uno con l’altro. Ciascun riferimento ha il suo proprio sistema di coordinate e il tempo è misurato in differenti punti del sistema usando orologi che sono a riposo e sono sincronizzati. Cerchiamo un legame tra le coordinate e il tempo in vari sistemi di riferimento se essi sono in moto relativo. Questo problema non può essere risolto con considerazioni puramente geometriche. E’ essenzialmente un problema fisico che è trasformato in problema geometrico solamente quando la velocità relativa dei vari sistemi di riferimento è zero cosicché non ci sono differenze fisiche tra i vari riferimenti ed essi non possono essere trattati come un sistema singolo. Sistemi di riferimento inerziali e principio di relatività Il moto più semplice di un corpo rigido è una traslazione uniforme su una linea retta. In corrispondenza, il moto relativo più semplice di un sistema di riferimento è la traslazione uniforme su una linea retta. Introduciamo un sistema di coordinate cartesiano (x ,y ,z) nel sistema detto in quiete K e nel sistema in moto (x’, y, ’z’). Assumiamo che la stessa lettera ,solo con apice, sia usata per individuare la stessa quantità nel sistema considerato in moto. Y Y K v K’ X Z X’ Z’ Da una moltitudine di esperimenti segue che in tutti i sistemi di riferimento che si muovono uniformemente su una retta rispetto alle stelle fisse e quindi relativamente uno all’altro, tutti i fenomeni meccanici si svolgono identicamente. Si assume che i campi gravitazionali siano trascurabilmente piccoli. Tali riferimenti sono chiamati inerziali perché la legge di inerzia di Newton è verificata in essi, cioè un corpo lontano da altri corpi si muove di moto rettilineo uniforme relativamente al sistema di riferimento. Il principio di relatività stabilisce che tutte le leggi fisiche sono identiche in tutti i sistemi di riferimento inerziali. La natura inerziale dei sistemi di riferimento e la validità del principio di relatività in essi sono dovuri alle proprietà dello spazio e del tempo, Esistono infiniti sistemi di riferimento inerziali. Tutti questi sistemi si muovono di moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Il principio di relatività è un postulato, cioè un’assunzione fondamentale che necessita di una verifica sperimentale. Questo è dovuto a due ragioni. Prima di tutto, nel range dei fenomeni fisici investigati, un’affermazione può essere verificata sperimentalmente soltanto con l’accuratezza permessa dalle tecniche di misurazione contemporanee. Un principio, tuttavia, è assoluto in natura, vale a dire che qualunque sia l’accuratezza dell’esperimento, i risultati saranno sempre in accordo con il principio. In secondo luogo, ci sono alcuni fenomeni fisici che non sono ancora stati scoperti. Il principio che tutti i fenomeni che saranno scoperti in futuro obbediranno al principio di relatività va oltre i confini della verifica sperimentale. Qui il principio di relatività è un postulato e tale rimarrà sempre. Ma tutto ciò non lo sminuisce per niente. Tutti i concetti scientifici, leggi e teorie sono state portate avanti per una certa classe di fenomeni fisici e sono valide solo entro certi limiti. Superare i limiti d’applicabilità non trasforma i concetti scientifici, leggi e teorie in oggetti privi di senso. Il progresso nella scienza significa semplicemente un’estensione del range d’applicabilità delle teorie esistenti. 5 TRASFORMAZIONI DI GALILEI Il passaggio da un sistema di riferimento ad un altro in moto rispetto al primo, fu realizzato molto prima dell’avvento della teoria della relatività. Il primo che usò questa tecnica nel problema dell’urto tra sfere fu Huygens. In un sistema di riferimento arbitrario K un evento è descritto dai quattro numeri x, y, z, t, da tre coordinate del punto,in cui ha luogo l’evento, e dal momento di tempo in cui è avvenuto. Vogliamo sapere come saranno i quattro numeri x’, y’, z’, t’ in un altro sistema di riferimento K’ in moto rispetto a K. K z’ K’ M r' V Y y’ r O’ x’ R x O z I due sistemi di riferimento K e K’ con gli assi x, y, z e x’, y’, z’ diretti arbitrariamente. Il sistema K’ si muove V . Il raggio vettore del punto M, uguale al vettore r nel sistema K, nel sistema K’ è uguale ad r ' . Secondo la regola di somma vettoriale r r ' R , dove R è il raggio vettore dell’origine O’. Questa relazione è valida per ogni istante di tempo ed R varia secondo la legge R Vt R0 , dove R0 è il raggio relativamente a K con velocità vettore che determina l’origine O’ al tempo t = 0. Tenendo presente che all’istante t = 0 entrambe le origini R Vt e si ottiene la legge di trasformazione in forma vettoriale r ' r Vt dove le componenti del vettore V sono definite nel sistema K. coincidono, A questo punto si può sfruttare l’isotropia dello spazio e ruotare ognuno dei due sistemi K e K’ intorno alle rispettive origini. E’ conveniente farlo nel seguente modo. Ruotando i sistemi di riferimento, orientiamo gli assi x e x’ lungo la direzione della velocità relativa dei sistemi K e K’. Poi ruotando i sistemi lungo gli assi comuni x ed x’, orientiamo gli assi y , y’ e z, z’ parallelamente gli uni agli altri. In tal modo, non perdendo di generalità fisica, siamo giunti alle posizioni reciproche dei sistemi di coordinate mostrati nella seconda figura K K’ y y’ M V r r' O R y O’ Vt z x, x’ x’ = x – Vt x z z’ 6 In questo caso la velocità V ha componenti (V,0,0). In fisica classica le coordinate di un <<evento>> si trasformano nel passaggio dal riferimento K a K’ secondo le formule delle <<trasformazioni di Galilei>>: x’ = x - Vt y’ = y z’ = z t’ = t 7