Sia Wales Don’t forget me Find what you love And let it kill you. H. C. Bukowski “Penso sempre che da qualche parte ci sia una strada che in qualche modo ci possa far incontrare di nuovo. Lo penso sempre al mio fianco, a ogni passo, nascosto però da qualche parte o da qualcosa per impedire ai miei occhi di scorgerlo, e questo in un certo senso mi fa sentire meglio. Spero sempre che tutto ciò abbia avuto un senso, ma ora è la mia vita che non ha senso, senza di lui” sospirò Stella tra sé mentre correva lungo la strada ascoltando dalle cuffie dell’iPod, che teneva stretto nella mano, I’ll Be Waiting di Lenny Kravitz. Una Bentley Continental nera passò piano al suo fianco. Rallentò impercettibilmente e Stella non poté fare a meno di chiedersi perché l’uomo alla guida di quel bolide la stesse guardando con un tale interesse dal vetro oscurato. Stella lo guardò di sottecchi e vide i suoi lineamenti perfetti in controluce. L’uomo le lanciò un’occhiata prolungata con un lento sorriso mozzafiato che non coinvolse il suo sguardo, sempre impassibile e controllato. D’un tratto diede gas e fece rombare il motore, scomparendo dai suoi occhi in un istante. Era la quintessenza della bellezza maschile, tanto seducente da non poter essere umano… viso affilato, mascelle scolpite, occhi penetranti, naso dritto, labbra irresistibili. Indossava una camicia e una giacca scura elegante. I suoi capelli ricadevano attraenti e ordinati sul suo viso. Vuk Wolf Stella Whitely stava tornando alla sua Corvette accompagnata dalle ultime luci del giorno, dopo una delle sue lunghe corse nei dintorni di South Border Road, nella piccola cittadina di Medford, circa sei miglia a nord-ovest di Boston. Frequentava da poco un master in pubbliche relazioni alla Boston University. Aveva ventotto anni e aiutava il padre nella gestione del The Pats, un locale dedicato ai New England Patriots e in tema con i colori della squadra. La rilassava guardare la striscia continua della strada scorrere veloce sotto i suoi piedi. Correre le liberava la mente, le permetteva di evadere e buttarsi tutto alle spalle. Solo di tanto in tanto passava qualche veicolo. Quasi senza fiato, si fermò e piegò il busto verso le ginocchia. Mentre si rialzava volse lo sguardo verso l’alto, alle ultime luci che filtravano dal fitto degli alberi. Riprese a correre e qualche istante dopo raggiunse la sua auto color grigio canna di fucile, che il padre, Jeff, le aveva lasciato da poco. Tornando verso casa chiamò il padre al cellulare: stava bene e si stava occupando di alcuni investimenti nei pannelli solari nello stato di New York. Sua madre, che sentì subito dopo, era entusiasta: era appena atterrata ad Anchorage per girare un documentario sul comportamento dei lupi. I suoi genitori si erano lasciati da tempo: il padre, Jeff Whitely, era uno spirito libero, un investitore sempre in viaggio per l’America a concludere qualche affare; la madre, Monica Balti, era una cameraman di origini italiane perennemente occupata nelle riprese di un documentario in giro per il mondo. Jeff e Monica si erano conosciuti a New York. Dalla loro storia era nata Stella, quasi per caso. Cresciuta in Italia, solo da qualche anno si era trasferita a Medford, a casa del padre, proprio all’inizio del suo percorso accademico alla Boston University, dove aveva conosciuto Jason Rees. Stella parcheggiò nel vialetto di casa e si diresse verso l’ingresso cercando le chiavi nella borsa. Era esausta. Entrò e richiuse la porta dietro di sé. Spesso era sola in casa, e anche questa volta pensava fosse così. Non sapeva che si stava sbagliando. Appoggiò gli appunti delle lezioni sul mobile nell’ingresso, posò a terra la borsa e appese il cappotto grigio. Bevve un bicchiere d’acqua in cucina e salì in fretta le scale. Si tolse la maglietta sudata e, andando verso il bagno per una doccia rinfrescante, la lanciò in camera sua senza neppure fermarsi. “Grazie… ma non mi aspettavo un’accoglienza tanto calorosa, Stella…” Una voce calda e roca emerse dalla penombra della stanza, illuminata solo dalla luce della lampada del comodino. Collegò subito quella voce a un volto che, pur non volendolo ammettere, le faceva sobbalzare il cuore: era Vuk Wolf, un ragazzo che aveva conosciuto pochi mesi prima. Frequentava il master con lei e faceva dei lavoretti occasionali a Medford. Aveva una casa a Boston, ma il più delle volte dormiva nel retro del The Pats, e spesso si fermava a dormire da lei, nella camera degli ospiti, oppure con lei, abbracciati sul divano o, più raramente, nel suo letto. Vuk prese al volo la maglietta e, con una mossa sinuosa, si risistemò sul letto in una posa mozzafiato tenendo in mano la chitarra semiacustica del padre di Stella, mentre lei fingeva di protestare con un sorriso coprendosi il petto con una mano. “Vuk, non lo sai che questa è camera mia?” I suoi capelli ricadevano scompigliati sul viso e venne catturata subito dai suoi intensi occhi verdi, che la guardavano con interesse e le toglievano il fiato. “Altroché…” disse lanciandole un’occhiata con il suo sguardo sfrontato e sicuro di sé. Le sue labbra si piegarono nel suo solito sorrisetto scaltro. Non era la prima volta che Stella tornava a casa senza accorgersi che Vuk era entrato dalla porta della cucina o dalla finestra di camera sua, che si affacciava sui rami dell’albero in giardino. Stella andò in bagno per coprirsi con un asciugamano e sentì che Vuk stava suonando la chitarra, poi tornò sulla soglia della stanza. La finestra era aperta e capì che aveva scalato l’albero per entrare in camera sua. Come al solito aveva l’aspetto del ragazzo scapestrato, ma con quei vestiti aveva più l’aspetto di una rockstar ribelle. Indossava una giacca di pelle nera che rendeva più torbido il suo sguardo, i jeans scuri che gli cadevano sulla vita in quel modo seducente e una maglietta trasandata. “Dai, ragazzina, l’asciugamano non mi sembra proprio necessario, ti ho già vista in reggiseno…” Alzò lo sguardo dalle corde della chitarra con una scintilla negli occhi e la guardò in modo penetrante. In un istante i suoi occhi si costellarono di striature di un giallo acceso che davano al suo sguardo un bagliore intenso. Era seduto sul letto, immerso nella musica che stava suonando, Good Riddance (Time of Your Life) dei Green Day. Aveva la testa piegata in avanti, i capelli scompigliati sulla fronte e le dita sulle corde della chitarra. Incominciò a cantare, completamente assorto nel ritmo della canzone. Stella si appoggiò allo stipite della porta e lo ascoltò affascinata. La sua voce era calda e roca e scivolava vellutata sulla sua pelle come caramello o cioccolato fuso. Sedeva sul letto con un’espressione dolce e profonda come quella canzone. Aveva il viso in penombra e la schiena illuminata dalla luce della lampada sul comodino accanto al letto. Il suo corpo era immerso in un gioco di chiaroscuri che ne faceva risaltare le spalle forti e qualche ciuffo ribelle nei suoi capelli. Sembrava stesse suonando su un palcoscenico illuminato dalla luce calda di un solo grande faro. Stella gli si avvicinò in silenzio, come ipnotizzata da quella musica malinconica, mentre Vuk con le dita continuava a pizzicare le corde della chitarra. Suonava in maniera sublime e Stella lo ascoltava incantata, camminando verso di lui in mezzo alla stanza lasciando che le note della canzone e la sua voce roca le scorressero sul corpo. Si fermò china sulla sua testa e si morse il labbro guardandogli le dita che cercavano e premevano sulle corde della chitarra. Pensò a quelle dita su di sé e Vuk smise di suonare accarezzando l’ultima nota dolce della canzone. Allungò la mano e trovò la sua gamba. Scostò la chitarra dal grembo e trascinò Stella fino a incavarla contro il suo corpo. La strinse forte al petto e la fece cadere sul letto. Stella ridacchiò e gli posò la testa sulle gambe. Vuk chinò la testa su di lei e le passò le dita tra i suoi lunghi capelli castani, scostandoli dalla fronte. “Suona per me, Vuk” ansimò Stella dolcemente. “Sei una ragazzina esigente, Stella” ribatté lui. Il suo sorrisetto scaltro non faceva che accentuarne lo sguardo sfrontato. Accarezzò una corda della chitarra con gli occhi fissi su di lei e catturò lo sguardo della ragazza. Stella arrossì e piegò le labbra in un lento sorriso. Vuk afferrò la chitarra con una mano e suonò la melodia che stava componendo per lei: era indescrivibilmente sublime e toccante. Le sue note scivolavano delicate e avvolgenti sul corpo di Stella, mentre le dita di Vuk accarezzavano le corde della chitarra come se scivolassero sulla pelle di lei. Stella chiuse gli occhi e rimase ad ascoltarlo in silenzio. Vuk, invece, assunse un’espressione malinconica, proprio come quella melodia. Stella ne conosceva il motivo: provava un’intensa attrazione per Vuk, ma era combattuta a causa dell’unico ostacolo che ancora li divideva; il pensiero di un ragazzo che lui non conosceva, ma che occupava ancora uno spazio importante nel suo cuore: Jason Rees, il suo ex fidanzato. In passato aveva vissuto con lui una storia tanto perfetta quanto lontana e ormai irraggiungibile. Scomparso dai suoi occhi, non era mai svanito dal suo cuore, nonostante Vuk avesse fatto di tutto perché ciò accadesse. Ma il suo ricordo era troppo intenso perché potesse scivolare via come una goccia d’acqua sulla sua pelle. Vuk accompagnò gli accordi finali, e concluse con un’ultima lunga nota la melodia ancora incompleta. Finì troppo presto lasciandola colma di desiderio e Stella rimase sospesa a metà anelando il piacere di qualche altra nota. Le infilò le mani nei capelli e le strinse i lati della testa. Scese ad appoggiare il suo pollice caldo sulle labbra di lei e Stella riaprì gli occhi. “Quindi, ragazzina?” La guardò tenendo il suo viso fra le mani. “È bellissima” rispose lei, succhiandosi il labbro. Vuk si spostò per baciarla e sprofondò gemendo dentro di lei, assaporando ogni sua parte. Stella si aprì spontaneamente al suo tocco e Vuk la baciò esigente e con dolcezza. Succhiò le sue labbra e scivolò a fondo nella sua bocca. Stella gli gettò le braccia al collo e intrecciò le dita ai suoi capelli. Si perse in quegli attimi che le offuscarono la mente, poi si tirò indietro con gli occhi socchiusi e si sedette sul letto. Arrossì confusa e con la mente riaffiorò nei suoi ricordi la figura irresistibile di Jason. I suoi occhi castani cercarono di sfuggire allo sguardo penetrante di Vuk, che in un istante scintillò di striature di un giallo intenso. Stella, catturata dal suo sguardo, non riuscì più a staccare gli occhi da lui. “Dovresti vedere i tuoi occhi, sembra che brillino di luce propria” mormorò e si morse il labbro. Erano belli come il sole e luminosi da togliere il fiato, così sfrontati e abbaglianti. Le mancò il respiro e un desiderio cocente le invase il basso ventre. “Da come li guardi, devono essere davvero magnetici” rispose Vuk, senza mai distogliere lo sguardo. “Lo sarebbero per chiunque…” ansimò Stella, mentre Vuk la tratteneva fra le sue braccia e la stringeva a sé. Era uno schianto: le spalle larghe, le braccia forti e i fianchi stretti, quei sensuali occhi verdi imbronciati e i capelli scompigliati sul viso. I lineamenti duri, simili a quelli di un lupo. Vuk era un uomo lupo, e il verde intenso dei suoi occhi poteva diventare giallo in risposta ai suoi impulsi. “Ma a me interessa solo l’effetto che hanno su di te.” Le sfiorò l’orecchio con i denti e risalì a morderle uno zigomo. Le scostò i capelli dal viso per baciarle il collo e le spalle nude, inspirando a fondo il suo profumo. “Vuk, che ci fai qui?” Si sentì fremere dentro e arrossì tutta abbassando lo sguardo, mentre lui stringeva la presa sui suoi capelli per raddrizzarle il viso in modo da guardarla dritto negli occhi. “Non devo avere un motivo per vederti, ragazzina.” Le sfiorò con le dita la guancia e il mento e la baciò con un fremito delle labbra, poi si alzò dal letto, indietreggiò da lei senza toglierle gli occhi di dosso e si gettò in giardino dalla finestra aperta. “Vuk!” Allarmata, Stella si affacciò subito alla finestra, ma lui scese all’improvviso dal tetto sul davanzale. Chiuse per un attimo gli occhi, e quando li riaprì erano di un verde intenso striato di giallo. “E così ti preoccupi per me…” Le mise la mano sotto il mento e le alzò il viso. La guardò con occhi torbidi ma dolci. Si chinò a baciarla sulle labbra e si lasciò cadere all’indietro verso il giardino. Atterrò in piedi sull’erba e corse via lungo la strada come un ragazzino. Stella si voltò verso la camera e immaginò ancora Vuk nel suo letto a guardarla con lo sguardo sfrontato e il suo sorrisetto scaltro e mozzafiato. Il cuore le balzò nel petto e un desiderio intenso tornò ad annidarsi nel suo ventre, giù in fondo. “Ho bisogno di una doccia fredda!” ansimò, allontanandosi dalla finestra e, in preda ai bollori, si diresse disorientata verso il bagno.