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Opinioni, riflessioni e commenti su scienze, tecnologie e comunicazione
Business - BlackBerry,
cosa vuol dire
l'acquisizione da parte
di Fairfax
di Marco Valerio Principato
lunedì 30 settembre 2013
Cerchiamo di capire insieme cosa
significa essere acquisiti tornando
società privata e, di conseguenza,
quale futuro si prospetta.
I titoli sono pieni di
paroloni: “crollano le
vendite”, “deludenti
risultati trimestrali” e
simili. Si parla di
BlackBerry, l'ancòra
celebre costruttore
canadese di smartphone
che è stato l'antesignano del concetto stesso
di smartphone: sta in cattive acque, non
vende, ha seri problemi di fatturato, ha «un
rosso di 965 milioni di dollari (1,84 dollari
per azione) dopo essere stata costretta a
contabilizzare un onere una tantum di
quasi 1 miliardo di dollari a causa
dell'accumulo in magazzino di migliaia di
smartphone invenduti, ennesimo segnale
della perdita di competitività nei confronti
dei nuovi leader del mercato» (da Milano
Finanza).
C'erano dubbi? Chi segue queste pagine
probabilmente avrà già annuito: no, certo
che non c'erano, non poteva che finire così.
Ora l'azienda se la sta comprando Fairfax
Financial Holdings per 4,7 miliardi di
dollari. Cosa vuol dire? Che l'acquirente,
una società d'investimenti, verserà tale
somma facendo tornare la società canadese
una società privata a tutti gli effetti, il che
significa – in altri termini – che BlackBerry
smetterà di essere quotata in borsa.
Perché un passo del genere?
Semplicissimo: essere “quotati in borsa”,
significa – impropriamente, per rendere
l'idea – che vi sono un certo numero di
azionisti possessori di “azioni”, ossia di
“pacchetti di valore” (dei semplici pezzi di
carta, in concreto, oggi ovviamente
informatizzati) che rappresentano, a tutti
gli effetti, una quota di proprietà
dell'azienda.
Gli azionisti ovviamente desiderano che
l'azienda di cui sono, in tal modo,
“comproprietari”, sia redditizia, fiorente e
agguerrita sul mercato: più lo è, più
possono effettuare compravendita di azioni.
Per esempio: a fronte di un successo di un
nuovo prodotto, l'azienda realizza un
grosso fatturato oltre le aspettative. Ciò
potrebbe (e lo fa, normalmente)
“invogliare” altre persone ad acquisire delle
azioni. Chi le azioni le detiene valuta se,
strategicamente, in quel momento sia o
meno il caso di farlo e le “mette in vendita”:
è questo che accade in borsa. Dopo un
successo finanziario, normalmente chi
vende le azioni ci guadagna, nel senso che
le vende a un prezzo maggiore rispetto a
quello pagato quando le ha acquistate. Alla
famosa chiusura della borsa, si stabilisce
dunque qual è il nuovo “valore” della
singola azione in base a questo “traffico” di
scambi che c'è stato durante il giorno.
Va da sé che, se invece di un successo
l'azienda incassa un insuccesso, il valore
delle azioni scende, perché chi le detiene
cerca di liberarsene per riacquisire capitale
(in certi casi non lo si fa, ma qui entriamo
nel campo, complesso e diverso, delle
“strategie di borsa”).
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Tutto questo si traduce in una forte
pressione sull'azienda: è vero che, da un
lato, l'essere quotati in borsa significa avere
grosse quote di capitale (anche se
“virtuale”), ma è anche vero che l'azienda
“teme” molto di più gli insuccessi, proprio
per il meccanismo appena descritto.
per cui, da giorni, si parla di un
“licenziamento del 40 per cento dell'attuale
forza-lavoro”: è il risultato della bozza di un
nuovo piano industriale che non tiene più
conto delle pressioni della borsa e non ha,
di conseguenza, alcuna “esigenza” di così
ingenti forze-lavoro.
Ecco dove, in un momento in cui
BlackBerry sta incassando un pesante
insuccesso, la “mano” di un investitore che
– all'atto pratico – si “compra” tutte le
azioni risulta salvifica: ai mercati fa piacere
perché chi aveva investito in azioni, sia
pure senza guadagnarci o rimettendoci
poco, ricapitalizza il proprio denaro;
all'azienda fa piacere perché le toglie quella
pressione di cui, quando è in borsa, soffre.
Quali potrebbero essere, dunque, le pagine
future di BlackBerry alla luce di quanto
abbiamo appena chiarito?
Dunque, è anche chiaro che quei 4,7
miliardi di dollari non sono del “contante”
che entra in cassa punto e basta: sono,
piuttosto, un valore complessivo stimato,
con l'aiuto del quale si può provvedere a
“slacciarsi” dalla borsa, a pagare gli
eventuali debiti (che BlackBerry dice di non
avere), a finanziare la ristrutturazione
dell'azienda, a riscrivere daccapo la propria
strategia, redigere un nuovo piano
industriale, concentrarsi sui prodotti e/o
servizi che nella nuova fase saranno
immessi sul mercato e riprogettare, di
conseguenza, l'intera strategia di
marketing.
In pratica, è come se l'azienda “morisse” e
“resuscitasse” sotto diverse spoglie.
Certamente, in questi frangenti il
management e il consiglio di
amministrazione sono costretti a rivedere
tutto: se prima, in un'ottica di quotazione
in borsa, il piano industriale prevedeva un
attivo, poniamo, di 10mila dipendenti, il
nuovo piano industriale quasi certamente
non ne prevede così tanti. Ecco il motivo
Non è per niente facile dare una risposta.
Come ha sempre detto la mia docente di
Marketing a Roma Tre, Sabina Addamiano,
“dipende”: il marketing è oggi una scienza
consolidata, ma anche un'arte. In certi casi
è soprattutto un'arte.
Ma non è affatto – nel caso di BlackBerry –
solo una questione di marketing. Ci sono
senz'altro da rivedere ben altre cose. Per
esempio: dove ha “fallito”, sinora,
l'azienda? Prima di tutto nel
posizionamento: non ha saputo proporre
un prodotto (es. lo Z10), corredato di
attributi tangibili (es. accessori) e
intangibili (es. servizi, come il BlackBerry
Internet Service, eccetera) capace di
differenziarsi in maniera netta rispetto alla
concorrenza nella mente dei consumatori.
Va ricordato che il prodotto è una delle
cosiddette leve operative del marketing
mix: tra le poche che un'azienda possa
manovrare direttamente (le altre leve sono
il prezzo, la distribuzione e la
promozione/comunicazione, vedi
Wikipedia per chiarimenti).
Ha inoltre fallito nella promozione e
comunicazione: (ora userò delle parole
tecniche del marketing, ma le trovate tutte
su Wikipedia) avrebbe dovuto studiare una
strategia di comunicazione molto più
pressante, capace di scolpire nella mente
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dei consumatori una brand image nuova,
capace di rafforzare la brand awareness dei
consumatori già clienti e di colpire
l'immaginario dei clienti nuovi. Non è
facile, senz'altro, ma si tratta già di due
errori gravi, compiuti entrambi sul
marketing mix: i risultati non potevano che
essere questi.
Premesso che, dal punto di vista hardware,
se non si aspetta troppo lo Z10 è ancora un
prodotto all'altezza di competere, a questo
punto BlackBerry dovrà restare focalizzata
in maniera ossessiva proprio su quelle due
leve di marketing mix: prodotto e
comunicazione, con una particolare
attenzione al brand.
Ciò significherà non solo far sì che quei
segmenti di mercato in “bilico” riescano a
trovare del tutto indifferente scegliere un
Samsung o un BlackBerry; quei segmenti
che impiegano ancora, con soddisfazione, la
versione 7 e precedenti del sistema
operativo BlackBerry possano non solo
mantenere tutti i vantaggi e l'architettura
(se richiesto dal cliente), ma anche non
sentirsi “lesi” sul piano della sicurezza e
della privacy.
Ma non basta. Dovrà esserci qualcosa di
molto, molto innovativo che gli altri non
hanno. “Parli bene tu: non è facile”, dirà
qualcuno. Lo so, nessuno è convinto che sia
facile. Ma se non si percorre questa strada,
posizionare il “nuovo” prodotto in maniera
opportuna sarà pressoché impossibile.
A quel punto, potremo davvero dare l'addio
a BlackBerry come tale: forse, grazie
all'essere tornata azienda privata, resisterà
sullo sfondo, come produttrice di servizi o
di parti di hardware, ma di certo una
posizione di leader sul mercato potrà
dimenticarla per sempre.
Marco Valerio Principato
Argomenti trattati:
blackberry, blackberry10, mercati, business, smartphone
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