Incontrarsi 31 - Diocesi di Lugano

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Informazioni e proposte del
Centro di Liturgia e della
Commissione diocesana
di Musica Sacra
MAGGIO 2010 – N. 31
Redazione:
Commissione diocesana di Musica Sacra
Casella postale 545
6903 Lugano
Tel.: 091 967 18 68
Fax: 091 966 13 02
e-mail: [email protected]
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Incontrarsi n. 31
Sommario
Ristampa del libro di canti "Lodate Dio" ...........................4
"Cantate, fratelli!", riflessione teologico-pastorale ............5
Due canti allegati ad "Incontrarsi" ....................................9
Corso software musicale "Finale" ..................................10
Dossier: l'organista liturgico...........................................11
Liturgia e musica prima del Concilio ..............................27
Acquisto di registratori digitali ........................................31
Pellegrinaggio diocesano al S. Gottardo........................34
Allegato a questo numero di "Incontrarsi" trovate il depliant relativo
ai corsi per organisti, operatori liturgici e direttori di coro, realizzato
dal Conservatorio della Svizzera italiana, per l'anno 2010/2011.
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Ristampa del libro diocesano di canti “Lodate Dio”
Durante l'anno del Giubileo del 2000, il Centro di Liturgia terminò le
scorte del libro di canti diocesano “Lodate Dio”, pubblicato nel 1985.
Si decise quindi di procedere a una ristampa per garantire negli anni
successivi la disponibilità di questo sussidio. Per l'occasione si riuscì
anche a correggere alcuni errori che erano sfuggiti nel 1985.
Ora, a dieci anni da questa ristampa, le 10'000 copie sono andate
esaurite, segnale che la diffusione del libro sta continuando (da
un'indagine del 2007 risultava che circa i due terzi delle parrocchie
hanno adottato il “Lodate Dio”): di questo possiamo rallegrarci.
In accordo con la Curia vescovile, si è quindi deciso per una terza
ristampa del volume, anche perché le richieste più recenti arrivano
da parrocchie che devono sostituire vecchi esemplari ormai usurati e
rotti, non più utilizzabili (il rifacimento della rilegatura risulta essere
più costoso rispetto all'acquisto di una nuova copia).
Ecco quindi che da marzo di quest'anno le scorte di “Lodate Dio”
sono di nuovo abbondanti e a disposizione delle parrocchie,
contattando come sempre il Centro di Liturgia.
Per i soci ATO (Associazione Ticinese Organisti) è previsto uno
sconto per l'acquisto del libro degli accompagnamenti, fr. 40.- al
posto di fr. 60.-.
Sempre a proposito del "Lodate Dio", è oppurtuno segnalare che
quest'anno ricorre il XXV anniversario (1985-2010) della seconda
edizione: non mancheremo di sottolineare la ricorrenza.
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“Cantate, fratelli!”
Riflessione teologico-pastorale
È un fatto che il canto accompagna la vita dei viventi. Anche i pesci,
che noi definiamo “muti”, cantano! Ma è soprattutto l'uomo che
esprime i suoi sentimenti – di gioia o di dolore – nel canto. A volte il
canto si trasforma in grido – di giubilo o di protesta – che comunque
sempre esprime l'esplosività dei sentimenti umani.
Capita però a volte, e proprio nel corso di un'assemblea liturgica, di
trovarsi di fronte a un muro di silenzio glaciale. Ci sono messe (p.es.
di funerali, ma anche di matrimoni) nelle quali le persone lì riunite si
caratterizzano per il loro silenzio assordante. Questo si spiega col
fatto che chi si trova in chiesa in quelle circostanze partecipa per
deferenza a una “cerimonia” che a lui non dice niente. È chiaro che
in questi casi di “glacialità già prevista” sarà bene limitarsi a una
breve liturgia della parola, evitando l'eucaristia.
Ma c'è una situazione paradossale che va denunciata. A volte si
raduna in chiesa un'assemblea di credenti, ma che pure è costretta
a tacere, sostituita in tutto e per tutto da una corale. È contro questo
grave abuso che vengono vergate queste righe. Sia chiaro: o nella
liturgia si prevede e promuove il canto di tutto il popolo oppure
questa è una celebrazione indegna e inaccettabile.
Il Concilio esige il canto del popolo (Sacr. Conc. n. 118), non
escludendo certo il canto polifonico nei momenti dove conviene
(Sacr. Conc. n. 116).
Il nostro Vescovo Pier Giacomo, nel suo discorso alle corali
liturgiche, riunite a Morbio Inferiore il 7 giugno 2009, è stato
esplicito: “La liturgia non è spettacolo a cui si assiste, ma azione a
cui si partecipa. Corali che non favorissero la partecipazione del
popolo non realizzano il loro scopo; non danno alla preghiera
dell'assemblea la sua espressione gioiosa; non aiutano l'animo dei
fedeli ad elevarsi alle realtà celesti; non rivestono di splendore la
partecipazione del popolo; non offrono alla celebrazione di essere la
prefigurazione della liturgia che si svolge nella celeste
Gerusalemme”.
Queste precise direttive, nella linea del pensiero del Concilio, vanno
applicate da tutti e da tutte le corali. Se le corali non lo facessero,
non sarebbero più “liturgiche”, bensì “antiliturgiche” e dovrebbero
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trovare altre occasioni per esibirsi, al di fuori delle celebrazioni
sacramentali.
Segnalo dei casi in cui anche buone corali si assumono
proditoriamente il monopolio del canto: in occasione di solennità
(Natale, Pasqua, Patronale) o di eventi speciali (Cresima) la corale
soppianta il popolo dall'inizio alla fine. Il pretesto è questo: vista la
grande affluenza, la gente canta poco o per niente e dunque la
corale deve assicurare tutto. Questo è falso. Prendo l'esempio dalla
nostra Cattedrale: quando si tengono le ordinazioni presbiterali, c'è
gente cha affluisce anche dall'estero. Ma questo non impedisce che
tutto il popolo sia coinvolto nel canto dell'ordinario e di qualche
responsorio semplice. La corale assicura l'esecuzione di mottetti
meditativi nei momenti previsti (come il canto all'offertorio e alla
comunione o come durante la crismazione).
Se da una parte la corale dà un carisma ispiratore, nei momenti ad
essa riservati, ha pure un carisma trascinatore, spingendo
l'assemblea a cantare l'ordinario della Messa e le acclamazioni.
Una celebrazione come quella della crismazione necessariamente
esige che i cresimandi siano parte attiva della celebrazione. Mentre
quando si celebra la Prima Comunione, i neo-comunicandi sono
esemplari attori nella “loro” eucaristia, per la Cresima si assiste ad
una passività letale dove la corale soppianta tutti e tutto. Forse c'è
nei coristi il desiderio inconscio di far colpo sull'assemblea silente.
Questo andazzo va però denunciato e soppresso. I cresimandi sono
pure in grado di esprimersi, di preparare la “loro” festa! Forse che
sono capaci di cantare solo allo stadio? È stato tracciato un parallelo
tra la “liturgia” dello stadio e quella della Chiesa. Se dovessimo
ammettere che gli stessi nostri fedeli cantano più volentieri allo
stadio che in chiesa dovremmo dichiarare fallimento. Mi esprimo
provocatoriamente: meglio un canto gridato in qualche modo da tutti
che uno sussurrato dai solisti di una corale. Mi riferisco alla Svizzera
tedesca: quando nelle solennità si intona il “Grosser Gott” si ha
l'impressione che la volta della chiesa vacilli. Tutti cantano a pieni
polmoni e sono anche umanamente afferrati da una vibrazione
viscerale che lascia per sempre una eco nella vita.
I canti della nostra infanzia ci scuotono ancora oggi. Ecco perché è
deleterio e controproducente modificare testi e melodie di canti già
entrati nel patrimonio liturgico-popolare dell'assemblea. Se ne potrà
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e dovrà aggiungere di nuovi, lasciando però che i precedenti
seguano la loro strada. Ricordo che in un eccesso di zelo si era
cercato di abolire “Vergin dolcissima” o di modificare le parole del
“Mira il tuo popolo”, incontrando però una resistenza popolare
invincibile.
Dobbiamo ammettere che la fede passa da quell'udito che è anche
compartecipazione al canto.
Il ruolo che ha il canto nel Primo Testamento è impressionante (si
pensi ai Salmi). I bambini venivano iniziati alla fede con il canto.
Anche Gesù ha cantato con i suoi discepoli (Mt 26, 30) e la
comunità primitiva ha dato uno spazio per noi inimmaginabile al
canto (Col 3,16; Ef 5,19), segno di quella gioia che caratterizzava
tutta la vita cristiana (Fil 4,4).
Se noi rinunciamo al canto o lo deleghiamo ad uno sparuto gruppo
di specialisti, tradiamo il cristianesimo nella sua essenza, visto che
tutta la nostra vita di battezzati deve essere nello Spirito
un'espressione di amore, di allegrezza e di pace (Gal 5,22). La
tradizione di una liturgia tutta cantata è meglio conservata in oriente,
ma di per sé il Vaticano II la chiede anche a noi, almeno ogni
domenica: “L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i
divini uffici sono celebrati solennemente in canto, con i sacri Ministri
e la partecipazione attiva del popolo” (Sacr. Conc. n. 113).
Bisogna riconoscere che la volontà del Concilio di promuovere il
canto gregoriano (Sacr. Conc. n. 116) è stata disattesa. Tranne nei
monasteri, il canto gregoriano è sempre stato negletto. Prima del
Concilio si cantava la “Missa de angelis”, che non è certo un modello
di gregoriano, ma è pensabile che alcuni responsori semplici e
ordinari di Messe molto lineari possano essere appresi grazie
all'azione trainante di corali ben formate.
Noi siamo impressionati dalla lunghezza delle celebrazioni in terra
africana. Ma notiamo anche come tutta l'assemblea venga coinvolta
nel canto e nella danza, così che ciascuno si sente protagonista. Pur
nel rispetto del diverso sentire etnico, dobbiamo convincerci che le
nostre celebrazioni possono e devono diventare più vive,
partecipate.
Se c'è un silenzio da rompere è quello dell'entrata in chiesa. È bello
se ci si saluta, ci si presenta, ci si sorride. Anche il segno di pace
(forse già all'offertorio) è un momento di socializzazione. Agostino ci
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ammonisce che, se riceviamo bene il Signore (tutta la Messa è
comunione!) riceviamo noi stessi. Un Padre della Chiesa ci ricorda
che non consacriamo il Cristo se non consacriamo la comunità,
l'universo. L'azione contro la privatizzazione dei Sacramenti e
l'individualismo nella preghiera è appena iniziata.
Se impariamo a cantare assieme, coralmente, anche se dotati di
voci imperfette, ci abituiamo non solo a pregare due volte, ma anche
a capire che la vita cristiana è bella, gioiosa, contagiosa. Ci chiama
all'amore irradiante, diventa annuncio provocatore anche per i
pagani e ci aiuta a percepire che questa vita terrena è il preludio di
quella celeste.
Concludiamo con una parola di Sant'Ambrogio: “Dicono che il
popolo è ammaliato dall'incantesimo dei miei inni. È così e non lo
nego. È uno stupendo incantesimo, il più efficace di tutti. Che c'è
infatti di più efficace di confessare la Trinità, esaltata ogni giorno
dalla bocca del tuo popolo? A gara tutti vogliono proclamare la loro
fede, tutti hanno imparato a lodare in versi il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo. Sono dunque diventati tutti maestri, quelli che erano
appena divenuti discepoli”.
Don Sandro Vitalini
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Un canto per la solennità del Corpo e Sangue di Cristo...
In questo numero di “Incontrarsi” proponiamo un canto per la
solennità del Corpo e Sangue di Cristo, dal titolo “Ecco il Corpo”. Si
tratta di una parafrasi del testo della sequenza “Lauda Sion
Salvatorem” elaborata da M. Mantovani, con musica di Fulvio
Rampi, maestro del coro della Cattedrale di Cremona.
La melodia per l'assemblea è semplice e cantabile, sostenuta da un
agile accompagnamento organistico. Il brano acquista molta
solennità con la presenza (ad libitum) del coro a quattro voci, che
interviene nel ritornello quasi a voler sottolineare alcuni termini che
si stanno cantando (“corpo”, “sangue”, "Redentore”). Le strofe
hanno carattere più intimo (sono in tonalità minore) e sarebbe bene
fossero affidate a un solista (oppure a gruppo femminile/maschile).
La destinazione del canto non è solo per la solennità del Corpus
Domini (per cui è stato scritto), ma anche come canto che
accompagna il rito di comunione.
...e la versione a 4 voci di un “Santo” molto popolare!
Il nostro libro diocesano conta di 11 possibilità per il “Santo”. Di
queste una delle più conosciute ed eseguite è sicuramente quella di
Giovanni Maria Rossi. Abbiamo pensato di proporre una versione
(dell'autore stesso) a quattro voci, dove il coro sostiene la melodia e
ne amplifica la sonorità. L'introduzione potrebbe risultare una valida
alternativa alle “solite” prime due battute che siamo abituati a sentire
dai nostri organisti...
Attenzione all'armonia: vi sono alcune (piccole) differenze che non
permettono (se si usa questa armonizzazione per coro) di utilizzare
l' accompagnamento del “Lodate Dio” (229). La melodia non ha
subìto, comunque, alcuna modifica. È a disposizione inoltre un
accompagnamento del brano con legni e percussioni.
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Corso per l'utilizzo del software
di notazione musicale “Finale”
A seguito del successo che ha avuto l'incontro del 27 marzo scorso
con i maestri dei cori, durante il quale il M° Manu el Rigamonti ci ha
presentato e fatto scoprire, fra la altre proposte, il sofware di
notazione musicale “Finale”, abbiamo pensato di proporre, dal
prossimo autunno, due corsi per l'apprendimento del programma,
con l'attenzione rivolta soprattutto agli aspetti della musica corale (è
il software comunemente utilizzato nella scrittura musicale... quindi
anche per i canti allegati a "Incontrarsi").
I corsi saranno divisi in due livelli: “corso base” e “corso avanzato”. Il
primo è rivolto a chi non ha alcuna conoscenza e desidera arrivare a
poter scrivere agevolmente un canto (a una o più voci) con
accompagnamento organistico, il secondo è per chi utilizza già il
programma e vuole esplorare le caratteristiche di scrittura musicale
più “avanzate” di Finale.
I corsi saranno costituiti da 4/5 incontri di un'ora ciascuno; saranno
tenuti da Antonio Bonvicini e da Manuel Rigamonti, in orari da
concordare (pomeriggio/sera), presso la sede del Centro di Liturgia
a Lugano (via Cortivallo 11 a Besso).
A titolo informativo, i costi del software “Finale” in lingua italiana (per
Mac e PC) sono i seguenti (IVA esclusa):
Finale (programma completo):
Finale (per studenti e insegnanti):
Finale “printmusic”:
Finale notepad:
€ 590,00
€ 399,00
€ 99,00 (versione ridotta)
gratis
(da internet, assai limitato)
Chi fosse interessato e volesse iscriversi ai corsi compili l'allegato
foglio (rosa) e lo spedisca a:
Commissione diocesana di musica sacra
Casella postale 545
6903 Lugano
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Antonio Parisi
Gli ingredienti necessari per
il perfetto organista liturgico
Conoscenza dello strumento...
...tecnica e repertorio organistico...
...conoscenze liturgiche e
consapevolezza del ministero svolto
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Il precedente numero di “Incontrarsi” è letteralmente “andato a ruba”
per l'interesse suscitato dal dossier di J. P. Lécot, dedicato agli
animatori musicali per la liturgia.
Abbiamo quindi pensato, in questo numero, di proporre un
altrettanto frizzante dossier per i nostri organisti, scritto alcuni anni fa
da don Antonio Parisi, e aggiornato di recente con l'aggiunta di
alcune parti nuove.
Buona lettura!
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Introduzione dell'autore
Con la Riforma Liturgica molti hanno creduto che la figura storica
dell'organista di chiesa fosse relegata in soffitta.
È stato un giudizio troppo sommario e poco documentato. Certo, la
funzione dell'organista è stata di molto ridimensionata: non può più
suonare a suo piacimento durante tutta la Messa, deve acquisire
competenze liturgiche, deve fare i conti con coristi dilettanti, deve
praticare forme musicali nuove.
Ma, in compenso, ha acquistato una funzione ministeriale più
precisa e dai contorni più ecclesiali: il suo servizio lo pone nel vivo
della celebrazione liturgica, credente fra credenti, umile ministro
della musica, a servizio del popolo cristiano, radunato in preghiera.
È importante, specialmente per gli organisti tradizionali, scoprire
questa nuova collocazione all'interno della liturgia cristiana, ed
offrire la propria competenza e preparazione come “munus
ministeriale”.
Questo quaderno vuol offrire alcune indicazioni concrete, frutto di
una lunga pratica strumentale e liturgica, ai nostri organisti che di
fatto suonano durante la Messa, nelle nostre parrocchie. È una
guida, un percorso, un “vademecum” fatto di notizie, osservazioni,
suggerimenti, consigli, premesse per uno studio serio e prolungato.
Vorrei che ogni organista diventasse un punto di riferimento per la
propria parrocchia: dovrebbe diventare l'esperto della preghiera
cantata di tutta la comunità.
don Antonio Parisi
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Chi è l'organista liturgico?
È un cristiano convinto e maturo, che vuol essere utile alla comunità,
offrendo un servizio specifico nel settore dell'animazione musicale
della liturgia.
Ha la consapevolezza di aver scoperto una vocazione ministeriale e
vuol mettere al servizio della comunità i propri talenti musicali.
Per svolgere bene tale ministero gli occorre competenza spirituale,
liturgica, musicale, e tutto un bagaglio di qualità umane,
psicologiche, buon senso, gusto estetico.
L'istruzione “Musicam Sacram” (1967), al n. 67, così si esprime: “È
indispensabile che gli organisti, oltre a possedere un'adeguata
perizia nell'usare il loro strumento, conoscano e penetrino
intimamente lo spirito della sacra liturgia, in modo che assicurino il
decoro della sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue
varie parti, e favoriscono la partecipazione dei fedeli”.
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Preludio: le brutte copie dell'organista liturgico!
ORGANISTA GIROVAGO: va in giro per le varie chiese a suonare le
“messe cantate”. A volte sembra una corsa contro il tempo, e più di
una volta è costretto ad interrompere una messa per scappare in
un'altra chiesa. Un consiglio: attento allo stress da... messa.
ORGANISTA AFFARISTA: suona là dove è pagato di più; gestisce
un proprio esercito di subalterni che invia nelle varie chiese o
confraternite; ha un monopolio assoluto su parecchie chiese.
ORGANISTA ALL'ANTICA: magari è in possesso di un diploma
musicale, ma suona accompagnando durante la Messa brani
strumentali di autori classici collaudati. È contrario ad accompagnare
i canti, si presta volentieri ad accompagnare un coro classico, con
repertorio latino e gregoriano. Tutte le altre musiche moderne non
sono per lui, offendono il suo buon gusto e il suo diploma.
La Riforma Liturgica del concilio Vaticano II per lui non è mai
avvenuta.
ORGANISTA DA CONCERTO: si concede solo durante i concerti.
Per lui l'organo serve solo per eseguire letteratura organistica dei
secoli passati. Non si abbassa ad accompagnare il canto di
un'assemblea sgangherata e stonata: la sua arte non glielo
consente.
ORGANISTA DA MATRIMONIO: solo e sempre quel repertorio:
Wagner, Schubert, Mendelsshon. Tariffa fissa - repertorio fisso. Può
anche cambiare repertorio, ma cambia anche la tariffa, alzandola.
So di alcuni organisti che hanno un prezzario adeguato ai vari brani
di repertorio: il “top” è la Toccata e fuga in re- di Bach BWV 565.
ORGANISTA CIRENEO: chi è costretto a suonare tutte le messe
domenicali (4, 5, 6 e più...). Conosco un organista, che suona 10
messe ogni domenica dell'anno, presso un Santuario famoso, in
Italia. Un consiglio: cambiare... religione? O forse cambiare
Santuario...
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La conoscenza dello strumento
Non è questa la sede per un trattato di organaria, diremo soltanto
che è indispensabile, per un bravo organista, conoscere la storia e
l'evoluzione dell'organo, il suo funzionamento, le parti di cui è
costituito, le famiglie dei registri, i diversi tipi di “trasmissione” ecc.
In Italia [e anche in Ticino, ndr] l'evoluzione tipologica dell'organo ha
dato luogo a strumenti profondamente diversi, nelle varie epoche.
Lasciando la filologia esasperata ai manieristi, la liturgia sicuramente
ha meno vincoli rispetto ad un concerto. Sarà dunque possibile
eseguire, con una registrazione adeguata, un brano di Frescobaldi o
Zipoli anche se non si ha sotto le dita un “Antegnati” ma un organo
novecentesco, senza irritare la sensibilità dei più, e magari con
grande pertinenza liturgica. Certamente l'impresa è più ardua se si
vuole suonare un preludio di Bach su un organo ottocentesco con
12 note di pedaliera, o un brano sinfonico francese su un positivo
con ottava corta: starà all'intelligenza e al buon senso dell'organista
scegliere opportunamente.
È altresì importante la conoscenza dello strumento dove si suona
abitualmente, in modo da poter trarre maggior profitto a livello fonico
e saper riconoscere difetti di funzionamento.
Un bravo organista sarà inoltre capace di accordare i registri ad
ancia del proprio strumento, per sfruttarne sempre appieno le
potenzialità.
La bravura degli organisti sta anche nella “flessibilità”, quando ad
esempio ci si ritrova a suonare su uno strumento a trasmissione
meccanica e con i registri “spezzati” e si è abituati a un “Mascioni”
degli anni '60 con trasmissione elettrica.
In commercio si trovano numerose pubblicazioni sull'organo a
canne, tra queste un “must” che dovrebbe stare nelle librerie di tutti
gli organisti è: “L'organo italiano” di Corrado Moretti (600 preziose
pagine!), pubblicato dalla casa Muisicale "Eco" di Milano.
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La tecnica e il repertorio organistico
Il mondo degli organistici liturgici è quantomai variegato sia per
formazione che per capacità tecnica. Ci sono i diplomati dei
Conservatori, delle Scuole Diocesane, gli studenti di organo, i
pianisti prestati all'organo, gli autodidatti...
Noi riteniamo importante che ogni organista abbia un livello
“standard” e minimo di tecnica organistica, e quindi anche di
repertorio da proporre nella liturgia. Questo “standard” potrebbe
essere la capacità di eseguire in modo dignitoso i canti del proprio
repertorio diocesano di canti.
Se vogliamo dare un altro “metro di giudizio” potremmo decidere che
lo standard minimo sia il saper suonare i brani contenuti nelle
raccolte (che tutti gli organisti probabilmente conoscono) “Antologia
organistica” o “100 pezzi classici” di Alessandro Esposito, editi negli
anni '70 dalle edizioni Carrara.
Come libri didattici per lo studio dell'organo il “Gradus ad
parnassum” di R. Remondi (167 studi) rimane secondo noi il migliore
libro di tecnica organistica (soprattutto per la pedaliera); senza
dimenticare i “gloriosi” libri di F. Germani (che portavano alla
distruzione fisica le articolazioni delle caviglie dell'organista) e il
metodo “Bossi – Tebaldini” di fine '800.
Alla tecnica che si impara dai metodi e con l'esercizio è altrettanto
importante avere altre qualità esecutive:
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Una ottima lettura a prima vista;
Una discreta capacità di “trasportare” in modo estemporaneo i
brani un tono (o una terza) sotto l'originale;
Saper interrompere con senso logico un brano organistico se il
momento liturgico lo richiede (l'organista accompagna il rito e
non viceversa);
Improvvisare l'accompagnamento alla melodia di un canto;
Saper intonare un canto dall'organo (un po' come scriveva
Frescobaldi: "con obbligo di cantare la quinta parte senza
toccarla").
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Organista e assemblea
Caratteristica peculiare dell'organo è la capacità di tenuta del suono,
che nei secoli ne ha fatto insostituibile aiuto all'accompagnamento
del canto.
Questo servizio, apparentemente semplice, è svolto con
metodologie molto differenti: si va da chi conosce sommariamente le
sigle dei principali accordi, a chi scrive di suo pugno complesse
partiture, preludi e interludi. In generale è necessario, ma non
sufficiente, che l'accompagnamento di un canto, di un ritornello, di
un versetto, sia un adeguato sostegno armonico alla melodia.
Un buon accompagnamento dovrà allo stesso tempo sostenere
l'armonia, essere di ausilio all'assemblea per la melodia e
l'andamento del brano, “suggerire” l'attacco successivo, “respirare”
insieme al fraseggio.
Tuttavia l'apporto dell'organo è ancor più utile se si considera la
vastità di risorse dinamiche e timbriche che mette a disposizione: un
accompagnamento troppo esile renderà difficoltoso, per l'assemblea
o il coro, mantenere intonazione e tempo, mentre un
accompagnamento di eccessiva potenza sonora (ripieni e ance)
finirebbe con l'annullare ogni altra fonte di emissione di suono
nell'ambiente.
L'esperienza di ciascun organista e la sua familiarità con lo
strumento e l'ambiente dovrebbero suggerire i limiti dinamici entro i
quali muoversi. L'uso del pedale, anche solo in raddoppio alla parte
più grave della mano sinistra, sarà inoltre ulteriormente funzionale al
sostegno dell'armonia, soprattutto in ambienti vasti, con adeguati
registri da 16 e 8 piedi, e l'unione alle tastiere.
Il “passo successivo” a questi semplici cenni è un utilizzo più
“creativo” di queste grandi potenzialità, sulla base della collocazione
di un brano, o della sua struttura o del tempo liturgico.
Senza fatica si può individuare infatti la differenza tra un Kyrie e un
Gloria, che può essere adeguatamente espressa con un uso
intelligente dei registri, dalle sfumature discrete dei Flauti alle
sonorità vivaci di armonici più acuti, alle mutazioni, o, se l'occasione
lo giustifica, le ance, per dichiarare la gloria di Dio e la sua maestà.
La minore o maggiore presenza di comandi a disposizione
dell'esecutore ("combinazioni" o altri artifizi, presenza di più tastiere)
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sarà chiaramente di grande ausilio, oltre che di stimolo. La
presenza, inoltre, nel repertorio liturgico, di molti brani in forma
responsoriale, o che alternano ritornello e strofa, suggerisce
l'alternanza di almeno due sonorità distinte (utilizzando anche le
tastiere a disposizione).
La presenza poi di diversi solisti potrebbe stimolare ulteriormente
l'organista ad operare piccole variazioni timbriche. Questo è
chiaramente da rapportare al tipo di strumento che si viene ad
usare: i piccoli organi positivi con ottava corta, gli ottocenteschi più o
meno variamente “riformati”, i “ceciliani” ricchi di fondi e viole, i
recenti strumenti più eclettici, oppure le copie di organi antichi, fino
agli elettronici.
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Organista solista
Prima della Riforma Liturgica del Vaticano II, il ruolo dell'organista
era ben definito e preciso: egli aveva essenzialmente il compito di
accompagnare i vari riti liturgici, quasi esclusivamente col suono
dell'organo.
Un preludio solenne e maestoso all'ingresso, un brano all'offertorio,
una dolce melodia alla consacrazione, una canzoncina alla
comunione, un postludio o una toccata come finale. L'organista
metteva in mostra tutta la sua bravura, ed in tanti erano attratti da
quelle musiche, quasi sempre composte da autori famosi e
conosciuti.
Ricordo che in Seminario (circa 30 anni fa), c'era il senso di attesa
nelle gradi feste, perché si aspettava di sentir suonare come brano
finale qualcuno dei pezzi più conosciuti di Bach, o di altri musicisti. E
la gioia era tanta, quando si ascoltava la Toccata e Fuga di Bach, il
giorno di Pasqua. Oggi invece, dopo la Riforma Liturgica, l'organista
svolge un ruolo più umile e discreto, ma un ruolo essenzialmente
liturgico; un servizio che lo pone all'interno della celebrazione come
soggetto attivo e non come “suonatore di professione”.
Come può e deve intervenire oggi, l'organista durante una
celebrazione?
PRELUDIARE, PREPARARE, DARE INIZIO
Quando l'assemblea si raccoglie in chiesa, l'organista può aiutare e
orientare tale raccoglimento; può intervenire con l'organo,
esplicitando il senso della festa e del mistero che si celebra.
Dà inizio alla processione del celebrante con un segnale di
attenzione che deve introdurre il canto. Qual è il repertorio più
adatto? A seconda dei tempi liturgici, può attingere ad una vasta
letteratura organistica: per esempio una Pastorale per il Natale, un
commento al Veni Creator per il giorno di Pentecoste, un corale di
Bach per una festa ordinaria, ecc.
INTERLUDIARE E ALTERNARE
Specialmente nei canti processionali, che richiedono molte strofe,
l'organista può alternarsi con il coro o l'assemblea. Qui è richiesta
una dote fondamentale per l'organista: l'improvvisazione. L'organista
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è obbligato a improvvisare, prendendo spunto dal canto che si sta
eseguendo, non può invece suonare musica libera o d'autore. Deve
improvvisare, rimanendo nello stile del canto, con lo stesso tempo
del canto, con le stesse sonorità del canto.
CREARE MUSICA DI SOTTOFONDO
Per collegare un momento all'altro, nei momenti di passaggio, a
volte per attutire i rumori di fondo, l'organista può creare musica di
sottofondo.
Non si può parlare di brano musicale in senso stretto, sono soltanto
accordi tenuti, che si concatenano l'uno all'altro, con una sonorità
dolce e profonda.
Poche note, poco suono, poco ritmo: una musicalità immobile. Tale
suono, come un tappeto sonoro, crea le condizioni per orientare
l'attenzione, per far scendere in profondità la Parola, per sostenere
una preghiera silenziosa, per creare un clima di raccoglimento e di
contemplazione. Un organista distratto, assente, lontano, non potrà
mai improvvisare musica. Quali sono i momenti in cui è possibile
utilizzare tale fondo sonoro?
• Quando le strofe del salmo responsoriale vengono lette e si
canta solo il ritornello;
• Subito dopo l'omelia, se lo si ritiene opportuno e significativo.
È invece proibito il suono dell'organo come sottofondo durante la
Preghiera eucaristica, in quanto le parole del celebrante non devono
essere coperte, e l'attenzione dei fedeli non deve essere distolta
dall'altare. Certamente è abuso di minore gravità un adagio eseguito
alla consacrazione con un “bordone da 8” in cassa chiusa rispetto a
tanti “teatrini” cui si assiste in altri momenti della celebrazione, ma si
presuppone che un buon organista dia primaria importanza alle
norme che anche i sacerdoti celebranti dovrebbero conoscere e
rispettare.
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Interludio: l'organista nei matrimoni
II servizio che l'organista presta a tale celebrazione, spesso è fonte
di critiche, di malumori, di interventi disciplinari, di polemiche infinite.
Quali brani eseguire, quando eseguirli, quando suonare, come
comportarsi con le Ave Maria, (e i cantanti dove li mettiamo?), quali
devono essere le tariffe, e si può suonare insieme ad un violinista, e
può intervenire anche un complesso da camera (i soldi ci sono e la
sposa vuol far parlare di sé): sono alcune delle questioni più spinose
del “problema matrimoni”.
Mi preme evidenziare alcune considerazioni basilari:
•
•
•
•
•
i problemi celebrativi del matrimonio non si risolvono affrontando
la questione musica ed organo, ma hanno delle radici e delle
cause ben più lontane e importanti;
il problema fondamentale durante la celebrazione dei matrimoni,
è quasi sempre, l'assenza di una comunità di cristiani credenti e
praticanti;
si crea una assemblea di curiosi e di spettatori assenti e svagati;
il problema grave e difficile va affrontato partendo da una buona
preparazione e catechesi non soltanto degli sposi, ma anche di
tutti gli invitati;
va inoltre detto, senza paura, che non pochi matrimoni non
andrebbero celebrati ma rimandati, dopo una opportuna ed
adeguata preparazione umana, cristiana, e celebrativa.
Detto questo però, alcune precisazioni e osservazioni sono utili per
l'organista che vuoi svolgere il proprio servizio con serietà.
Qual è il repertorio organistico adatto alla celebrazione del
matrimonio?
Innanzitutto, accompagnare i canti rituali (Salmo responsoriale,
Alleluia, Santo, Agnello di Dio); poi intervenire con alcuni brani
strumentali adatti.
Come comportarsi con i brani ormai entrati nel repertorio comune di
tutti gli organisti: marce nuziali, Ave Maria, adagi vari?
22
Tenendo presente i regolamenti diocesani innanzitutto, e con molta
concretezza e larghezza di vedute. Ormai le marcie nuziali sono
diventate segnali sonori del matrimonio, eliminarle sarebbe una
stupidità. Fra l'altro, provate a sostituire con un altro brano la marcia
nuziale, e vi accorgerete della estrema difficoltà di trovarne un altro
adatto (a accettato dagli sposi) ad esprimere tutta la festa e la gioia
di quel giorno.
Quindi è inutile fare battaglie perse in partenza; certo sarebbe bello
suonare corali di Bach, o alcuni brani di C. Franck, o brani della
scuola organistica italiana, ma occorre una assemblea di competenti
per gustare tale musica.
Come comportarsi invece con brani profani, canzonette dei Beatles
e varie altre canzoni famose adattate all'organo?
Far capire che sono degli adattamenti per l'organo, che
funzionerebbero male, che sono brani adatti alla sala e non in
chiesa, e che quindi è bene ascoltarli in sala da ricevimento.
Quale deve essere il compenso dell'organista?
Adeguato alla sua funzione e alla sua preparazione musicale:
considerare che è un professionista che impegna la mattinata (o il
pomeriggio) per rendere la celebrazione più solenne e festosa, che
per tanti musicisti è l'unico introito per sostenere le spese per
spartiti, corsi, convegni, incontri; si spendono spesso palate di soldi
per organizzare la festa e quindi non è la spesa dell'organista che
farà lievitare i costi (fate finta di invitarlo al pranzo di nozze;
confrontate il suo compenso con il compenso di un qualsiasi
animatore musicale chiamato per la sala da ricevimento).
Una sola parola conclusiva su questo spinoso problema: come
organisti, impegniamoci a svolgere al meglio il nostro servizio
liturgico, ma i pastori e i responsabili si impegnino dal canto loro a
risolvere il problema alle radici, affrontandolo sotto l'aspetto
ecclesiale, pastorale e celebrativo.
23
Le conoscenze liturgiche dell'organista
L'organista deve avere familiarità con i riti che si celebrano, con i
testi sacri che è chiamato spesso a commentare con la musica,
deve essere in grado di collaborare consapevolmente con gli altri
responsabili all'intera regìa della celebrazione.
Oggi è richiesta, molto più che nel passato, una competenza fondata
sul giusto equilibrio tra arte musicale e arte del celebrare: "Chi
desidera lo spettacolo non viene a cercarlo in chiesa. In chiesa ci si
aspetta di trovare dei segni semplici, senza pretese, ma di
trasparente bellezza: trasparenza divina. Segni particolari e vissuti,
che non sono eseguiti da attori, ma da credenti che si lasciano
coinvolgere per creare la festa intorno al Risorto" (M. Magrassi,
Cristo risorto festa dell'uomo, 1981).
L'organista, come scritto in altri capitoli di questo quaderno,
partecipa sia all'équipe di animazione liturgica per la progettazione
della celebrazione, per la scelta dei canti, sia alla fase più operativa:
prove di canto con il coro, con il salmista, con l'animatore musicale.
Le competenze liturgiche aiutano l'organista ad evitare scelte di
canti "casuali" o "anonime", se non addirittura sbagliate.
Per questo motivo continuo ad insistere perché sia ampliato e
approfondito l'aspetto liturgico nel piano di studi di una scuola
diocesana di musica.
Conoscere le differenze tra "inno" e "antifona", tra "acclamazione" e
"recitativo" permetterà all'organista di scegliere, ad esempio, i
registri più adeguati per accompagnare al meglio il canto nei vari
momenti che la liturgia prevede.
E, da ultimo, una buona competenza liturgica permetterà
all'organista di allestire programmi di "concerti spirituali" per i vari
tempi liturgici in modo corretto e consapevole.
24
Conclusione...
“Una parola conclusiva rivolta a te, organista liturgico. Dalla lettura di
questi brevi appunti, avrai compreso l'urgenza di adeguare e
perfezionare sempre più la tua preparazione musicale. Se scegli di
svolgere questo servizio musicale a favore della comunità, occorre
avere passione, volontà, gioia. Devi trovare in te un sano desiderio
di far fruttificare i talenti che il Signore ti ha donato: usali per il bene
della tua comunità. Come? Con lo studio, frequentando corsi di
aggiornamento, comprando e leggendo riviste, spartiti, CD, libri,
andando a sentire concerti d'organo; insomma tutto serve per la tua
preparazione.
Cerca anche di superare gli eventuali contrasti con animatori,
responsabili, presbiteri, dai tempo agli altri di maturare e scoprire
quelle realtà che tu già hai compreso e vivi. Non ritenere che tutti
debbano dare all'organo la stessa importanza che gli dai tu!
Voglio salutarti con la spiritualità del poeta Gibran: “La musica vera
è quella che rimane nell'orecchio di chi l'ascolta, dopo che il cantore
ha terminato il suo canto, e quando lo strumentista ha finito di
toccare le corde”.
25
Postludio
“Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e
mettiti a ascoltare. Se poi hai fortuna tu stesso di metterti seduto ad
un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito
dinanzi a quell'immane potenza musicale.
Non perdere l'occasione di esercitarti sull'organo: non c'è strumento
che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quello che può
esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo
di eseguirla”.
Robert Schumann, Regole di vita musicale (1845)
“Nelle mie passeggiate per la città avevo udito due o tre volte
suonare l'organo in una chiesetta della periferia, ma non mi ero
soffermato. Passando un'altra volta da quelle parti, udii di nuovo
quel suono e ravvisai una musica di Bach. Trovai la porta chiusa, e
siccome la strada era deserta, mi sedetti accanto alla chiesa, su un
paracarro, e avvolto nel mantello stetti ad ascoltare. Era un organo
non grande ma buono, e chi suonava esprimeva in modo singolare e
molto personale una volontà e una costanza che parevano una
preghiera. Ebbi l'impressione che l'esecutore doveva sapere quale
tesoro fosse racchiuso in quella musica e stava facendo ogni sforzo
per scavare quel tesoro come ne andasse della sua vita. In quanto a
tecnica, io non so molto di musica, ma fin da bambino ho capito
istintivamente quell'impressione dell'anima e ho sentito dentro di me
la musica come una cosa ovvia. [...] Quando mi sentivo depresso,
pregavo [l'organista] di suonare la passacaglia del vecchio
Buxtehude. Nella chiesa buia stavo ad ascoltare quella musica
strana, fervida e fonda, in ascolto di se stessa, e ogni volta era per
me un beneficio e mi rendeva maggiormente disposto a dar ragione
alle voci dell'anima”.
Hermann Hesse, Demian
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Liturgia e musica prima del Concilio Vaticano II
Un pittoresco affresco, con in evidenza gli aspetti musicali e liturgici, della
vita contadina prima del Concilio Vaticano II, descritta dal priore della
comunità di Bose, Enzo Bianchi. Articolo apparso sul quotidiano "La
Stampa" di Torino.
Nell'anamnesi del «tempo di un tempo» da me intrapresa nei mesi
scorsi non può mancare una rilettura sulla vita cristiana come era
vissuta fino agli anni sessanta nei paesi del Monferrato e delle
Langhe. Inoltre, la recente liberalizzazione della antica messa - detta
di san Pio V - da parte di Benedetto XVI mi ha riportato più volte al
mio vissuto nell'infanzia, nell'adolescenza e nella giovinezza, dato
che la riforma liturgica del Vaticano II è stata attuata quando ormai
avevo quasi trent'anni. Tutta la mia formazione cristiana, spirituale e
teologica era avvenuta prima del concilio e questo evento dello
Spirito ha accompagnato i mutamenti non solo della vita ecclesiale,
ma anche della mia vita interiore più profonda. Ripeto sovente ai più
giovani che io a vent'anni ero un cattolico post-tridentino «doc» nella
fede, nella morale, nell'impegno che allora non si diceva
«ecclesiale» bensì di «apostolato».
Del resto, abitavo di fronte alla chiesa e quindi il parroco mi
chiamava regolarmente quando c'era bisogno per le messe, i vespri,
i funerali, le «cerimonie» per benedire i temporali e scongiurare la
grandine... A sette anni mi fu insegnato il latino e questo mi
permetteva di recitare sovente il breviario con il parroco o con i preti
che venivano a predicare alla domenica: i frati passionisti, che
arrivavano in bicicletta dal santuario delle Rocche e dei quali si
raccontavano le eroiche penitenze e le flagellazioni nel giorno del
venerdì, e i giuseppini di Asti.
A quei tempi si può dire che nei paesi di campagna tutta la vita era
innanzitutto vita di una comunità cattolica, nel senso che tutti
andavano in chiesa e dicevano convinti di credere in Dio, salvo
qualcuno che si diceva «comunista» ma che la gente preferiva
chiamare «strano»: non sorprende quindi che la figura centrale
fosse quella del parroco. Era lui l'autorità più ascoltata e rispettata
del paese: la gente andava da lui per chiedere consigli, soprattutto
di morale, ma anche per un parere in merito al matrimonio, in
27
particolare se la futura sposa non era del luogo. Il parroco era
dunque il riferimento di tutti, e anche i pochi che gli erano avversi lo
rispettavano, pur tenendosene a distanza. Le tensioni, le polemiche
dure e a volte anche le lotte avvenivano per esempio quando
qualcuno voleva trasformare il «ballo a palchetto», montato per
pochi giorni in occasione della festa patronale, in una pista da ballo
permanente... Sì, perché allora il ballo era considerato un luogo di
perdizione: chi vi andava doveva poi confessarsi e comunque il
parroco dal pulpito, con voce a volte minacciosa a volte implorante,
non mancava di fustigare i nuovi comportamenti che iniziavano a
prendere piede nel dopoguerra, accusandoli di portare alla
distruzione della morale, delle famiglie e della fede cristiana.
A quei tempi la domenica era ancora «la domenica»: il week-end era
parola e prassi sconosciuta, nessuno andava via per gite o viaggi,
ma tutti dalla dispersione delle cascine in campagna e dai luoghi di
lavoro cercavano di ritrovarsi, di incontrarsi per «fare due parole» e
rinnovare così la conoscenza e l'amicizia. In chiesa entravano solo
donne, ragazze e qualche raro anziano devoto e così iniziava la
messa cantata con molta convinzione e fervore, anche se quella
gente semplice di campagna non capiva né quello che cantava in
latino né tanto meno quello che, sempre in latino, diceva il prete. Il
prete, dopo alcune formule recitate ai piedi dell'altare, saliva gli
scalini e cominciava a «dire messa», voltandosi solo per qualche
«Dominus vobiscum», cui la gente rispondeva «et cum spiritu tuo»,
ma cosa dicesse il prete negli oremus o cosa leggesse dal messale
nessuno lo sapeva o la capiva. Messalini per i fedeli a quell'epoca
non ce n'erano, non li avevano nemmeno le suore: quelli famosi del
Caronti o del Lefebvre erano merce rarissima e io, conoscendo bene
il latino, ero uno dei pochi che poteva seguire ogni parola.
Quanto al Vangelo, il prete lo leggeva dapprima in latino sull'altare,
con le spalle girate al popolo, poi si voltava e, recatosi alla balaustra,
lo leggeva in italiano per la gente: era quello l'unico testo che tutti
capivano, seguito dalla predica in cui trovava spazio ogni genere di
ammonizione ed esortazione, attinente più alla situazione e alle
vicende locali che non al brano appena letto. Al momento
dell'offertorio - ero chierichetto sempre presente - il prete mi
mandava fuori sulla piazza a chiamare gli uomini perché entrassero
a «prendere messa», altrimenti quella non sarebbe stata più
28
«valida» per loro. Così, mentre le donne recitavano il rosario
sottovoce e gli uomini continuavano a parlottare, la messa
procedeva spedita, con il prete che bisbigliava tutte le formule. Solo
al momento dell'elevazione il campanello avvertiva, svegliava e
richiamava tutti: mentre il prete innalzava prima l'ostia poi il calice e
si genufletteva, il silenzio si faceva totale e assoluto: chi chinava la
testa, chi si metteva in ginocchio, tutti vivevano con grande timore il
momento culminante di tutta la messa. Prima della comunione del
prete - normalmente l'unico a comunicarsi durante la messa - gli
uomini uscivano dalla chiesa e riprendevano i loro capannelli,
mentre le donne intonavano canti pii e devoti. Era l'ora in cui
ciascuno tornava a casa per il pranzo perché ormai «il dovere era
stato fatto».
Ma la domenica non finiva a tavola con il pasto abbondante in cui
quasi sempre regnava il «bollito»: molti, soprattutto donne, bambini
e vecchi tornavano presto in chiesa per i vespri e poi c'era la
doverosa visita al cimitero, perché allora si esprimeva soprattutto
così l'amore che si provava per i morti. Verso l'imbrunire si rientrava
a casa, ci si toglieva «il vestito della festa» e si tornava al vivere
quotidiano segnato dal lavoro da mattina a sera. Che dire oggi di
quella messa «antica»? Era senz'altro consona a quel tempo che
era davvero il tempo della cristianità e confesso che a me non ha
fatto male, anzi, mi ha fornito una robusta spiritualità cristiana.
Tuttavia non ne provo nostalgia, anche se è sempre restata per me
un inestimabile monumento della fede, e ne vedo anche con lucidità
i limiti: solo pochi capivano cos'era la messa, i più ne riempivano il
tempo con la recita del rosario o le chiacchiere sul sagrato; le letture
bibliche erano scarsissime: un paio di brani dell'Antico Testamento
in tutto l'anno, testi quasi unicamente del Vangelo di Matteo e
ammonizioni dell'apostolo Paolo. L'unica variante, ma quasi solo
«scenografica», erano le messe da morto dei ricchi e dei notabili,
nella cosiddetta «prima classe».
Altri tempi, sì. Ma si avvertiva già un'aria di cambiamento: la
chiamavano secolarizzazione, e il prete metteva in guardia dalla
modernità che avanzava, dai costumi «americani» - in chiesa si
parlava addirittura di «americanismo» come eresia cattolica e
pericolo incombente! - dal boom economico. L'arguzia dei contadini
sapeva però fare dell'ironia. Ricordo mio padre, amicissimo del
29
parroco anche se assolutamente non praticante, che di fronte
all'ennesima predica del parroco contro il consumismo dilagante, gli
disse: «Ma come! Quando mangiavate solo voi i capponi era
Provvidenza, adesso che li mangiamo anche noi è consumismo!».
Anche così, in quel tempo, si viveva, si cercava di essere cristiani, si
scherzava, riconoscendo tuttavia il dono prezioso che un prete
poteva essere per tutto il paese e per una convivenza serena, per
una vita segnata da convinzioni etiche condivise dai più.
Enzo Bianchi
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Acquisto “collettivo” di registratori digitali
La Commissione di Musica acquisterà, nelle prossime settimane, un
registratore digitale (chi era presente al corso con il M° Rigamonti ha
potuto scoprirne funzionalità e pregi).
Riteniamo che possa essere strumento utile ai maestri dei cori
(registrazione di prove o concerti, editing con il computer ecc).
Di seguito trovate alcuni modelli e le relative caratteristiche.
Chi fosse interessato all'acquisto di uno dei modelli seguenti contatti
in tempi brevi la redazione:
• telefono 091 967 18 68
• mail: [email protected] oppure [email protected]
MARANTZ PMD-620
È il primo registratore portatile palmare ad altissima qualità di casa
Marantz. La registrazione avviene mediante una Microfonazione
stereo a condensatore nei formati WAV (44.1-48 kHz 16/24 Bit) o
MP3 (192-32 kBps). Il dispositivo è predisposto per il supporto di
SDHC Card a 4 GB in grado di garantire un totale di 3 ore e 44
minuti di registrazione.
Una delle particolarità del PMD620 è il “point and shoot recording”
ovvero la semplicità nonché velocità nel puntare e registrare grazie
all’innovativo tasto REC ad alta sensibilità.
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• Registrazione One-Touch Recording
• WAVE: 16/24 Bit 44.1-48 kHz
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31
MARANTZ PMD-661
Il Marantz PMD661 è un registratore digitale Full-Scale, pratico e
dalle dimensioni compatte. Progettato interamente per applicazioni
professionali, include un ingresso microfonico XLR dotato di
alimentazione Phantom e attenuazione da 20dB.
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* 16/24 Bit linear quantization
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only for PCM)
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* 48V phantom power
* Balanced XLR Line Input, Unbalanced line in
and out, Digital Input (SPDIF)
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batteries)
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quantization
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* WAV (Broadcast WAV File) or MP3 recording format
* Large, easy-to-read OLED display
* Ergonomic, one-touch transport controls
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32
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angolo di ripresa a 90° o 120°
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• decoder mid-side interno
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interfaccia grafica semplificata
• funzione time stamp e track marker in modalità
Broadcast Wav Format (BWF)
• speaker interno
• funzione "phrase training": velocità di playback
variabile
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basso)
• accordatore cromatico
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consecutive con batterie
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capsula di spugna anti-vento, attacco per treppiede
• accessorio opzionale: telecomando a filo RC-04
• Compatibile PC e Mac
Costo: fr. 440.- (circa)
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Pellegrinaggio diocesano al S. Gottardo
Come da tradizione oramai più che decennale, anche quest'anno ci
sarà l'appuntamento del 1° agosto sul passo del S. Gottardo, con la
celebrazione eucaristica alle ore 10.30, presieduta dal Vescovo.
L'animazione musicale è affidata al M° Tiziano Zane tti, all’organista
Marco Balerna e al gruppo ticinese dei corni delle Alpi.
Sono invitate a partecipare tutte le corali della Diocesi, ma è
possibile anche la partecipazione a titolo individuale.
Il ritrovo è fissato per le ore 9.00 sul piazzale del Forte vecchio.
È pronto il fascicolo con i canti per i coristi che può essere richiesto
alla redazione, oppure scaricato in formato pdf dal sito della diocesi
(www.diocesilugano.ch) nella sezione liturgia.
È prevista una prova di preparazione lunedì 26 luglio 2010 nella
chiesa parrocchiale di Giubiasco alle ore 20.15.
Alcuni canti saranno eseguiti a più voci, dunque è importante la
partecipazione alla prova, per garantire, come sempre, una
esecuzione di qualità.
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