Informazioni e proposte del Centro di Liturgia e della Commissione diocesana di Musica Sacra MAGGIO 2010 – N. 31 Redazione: Commissione diocesana di Musica Sacra Casella postale 545 6903 Lugano Tel.: 091 967 18 68 Fax: 091 966 13 02 e-mail: [email protected] 2 Incontrarsi n. 31 Sommario Ristampa del libro di canti "Lodate Dio" ...........................4 "Cantate, fratelli!", riflessione teologico-pastorale ............5 Due canti allegati ad "Incontrarsi" ....................................9 Corso software musicale "Finale" ..................................10 Dossier: l'organista liturgico...........................................11 Liturgia e musica prima del Concilio ..............................27 Acquisto di registratori digitali ........................................31 Pellegrinaggio diocesano al S. Gottardo........................34 Allegato a questo numero di "Incontrarsi" trovate il depliant relativo ai corsi per organisti, operatori liturgici e direttori di coro, realizzato dal Conservatorio della Svizzera italiana, per l'anno 2010/2011. 3 Ristampa del libro diocesano di canti “Lodate Dio” Durante l'anno del Giubileo del 2000, il Centro di Liturgia terminò le scorte del libro di canti diocesano “Lodate Dio”, pubblicato nel 1985. Si decise quindi di procedere a una ristampa per garantire negli anni successivi la disponibilità di questo sussidio. Per l'occasione si riuscì anche a correggere alcuni errori che erano sfuggiti nel 1985. Ora, a dieci anni da questa ristampa, le 10'000 copie sono andate esaurite, segnale che la diffusione del libro sta continuando (da un'indagine del 2007 risultava che circa i due terzi delle parrocchie hanno adottato il “Lodate Dio”): di questo possiamo rallegrarci. In accordo con la Curia vescovile, si è quindi deciso per una terza ristampa del volume, anche perché le richieste più recenti arrivano da parrocchie che devono sostituire vecchi esemplari ormai usurati e rotti, non più utilizzabili (il rifacimento della rilegatura risulta essere più costoso rispetto all'acquisto di una nuova copia). Ecco quindi che da marzo di quest'anno le scorte di “Lodate Dio” sono di nuovo abbondanti e a disposizione delle parrocchie, contattando come sempre il Centro di Liturgia. Per i soci ATO (Associazione Ticinese Organisti) è previsto uno sconto per l'acquisto del libro degli accompagnamenti, fr. 40.- al posto di fr. 60.-. Sempre a proposito del "Lodate Dio", è oppurtuno segnalare che quest'anno ricorre il XXV anniversario (1985-2010) della seconda edizione: non mancheremo di sottolineare la ricorrenza. 4 “Cantate, fratelli!” Riflessione teologico-pastorale È un fatto che il canto accompagna la vita dei viventi. Anche i pesci, che noi definiamo “muti”, cantano! Ma è soprattutto l'uomo che esprime i suoi sentimenti – di gioia o di dolore – nel canto. A volte il canto si trasforma in grido – di giubilo o di protesta – che comunque sempre esprime l'esplosività dei sentimenti umani. Capita però a volte, e proprio nel corso di un'assemblea liturgica, di trovarsi di fronte a un muro di silenzio glaciale. Ci sono messe (p.es. di funerali, ma anche di matrimoni) nelle quali le persone lì riunite si caratterizzano per il loro silenzio assordante. Questo si spiega col fatto che chi si trova in chiesa in quelle circostanze partecipa per deferenza a una “cerimonia” che a lui non dice niente. È chiaro che in questi casi di “glacialità già prevista” sarà bene limitarsi a una breve liturgia della parola, evitando l'eucaristia. Ma c'è una situazione paradossale che va denunciata. A volte si raduna in chiesa un'assemblea di credenti, ma che pure è costretta a tacere, sostituita in tutto e per tutto da una corale. È contro questo grave abuso che vengono vergate queste righe. Sia chiaro: o nella liturgia si prevede e promuove il canto di tutto il popolo oppure questa è una celebrazione indegna e inaccettabile. Il Concilio esige il canto del popolo (Sacr. Conc. n. 118), non escludendo certo il canto polifonico nei momenti dove conviene (Sacr. Conc. n. 116). Il nostro Vescovo Pier Giacomo, nel suo discorso alle corali liturgiche, riunite a Morbio Inferiore il 7 giugno 2009, è stato esplicito: “La liturgia non è spettacolo a cui si assiste, ma azione a cui si partecipa. Corali che non favorissero la partecipazione del popolo non realizzano il loro scopo; non danno alla preghiera dell'assemblea la sua espressione gioiosa; non aiutano l'animo dei fedeli ad elevarsi alle realtà celesti; non rivestono di splendore la partecipazione del popolo; non offrono alla celebrazione di essere la prefigurazione della liturgia che si svolge nella celeste Gerusalemme”. Queste precise direttive, nella linea del pensiero del Concilio, vanno applicate da tutti e da tutte le corali. Se le corali non lo facessero, non sarebbero più “liturgiche”, bensì “antiliturgiche” e dovrebbero 5 trovare altre occasioni per esibirsi, al di fuori delle celebrazioni sacramentali. Segnalo dei casi in cui anche buone corali si assumono proditoriamente il monopolio del canto: in occasione di solennità (Natale, Pasqua, Patronale) o di eventi speciali (Cresima) la corale soppianta il popolo dall'inizio alla fine. Il pretesto è questo: vista la grande affluenza, la gente canta poco o per niente e dunque la corale deve assicurare tutto. Questo è falso. Prendo l'esempio dalla nostra Cattedrale: quando si tengono le ordinazioni presbiterali, c'è gente cha affluisce anche dall'estero. Ma questo non impedisce che tutto il popolo sia coinvolto nel canto dell'ordinario e di qualche responsorio semplice. La corale assicura l'esecuzione di mottetti meditativi nei momenti previsti (come il canto all'offertorio e alla comunione o come durante la crismazione). Se da una parte la corale dà un carisma ispiratore, nei momenti ad essa riservati, ha pure un carisma trascinatore, spingendo l'assemblea a cantare l'ordinario della Messa e le acclamazioni. Una celebrazione come quella della crismazione necessariamente esige che i cresimandi siano parte attiva della celebrazione. Mentre quando si celebra la Prima Comunione, i neo-comunicandi sono esemplari attori nella “loro” eucaristia, per la Cresima si assiste ad una passività letale dove la corale soppianta tutti e tutto. Forse c'è nei coristi il desiderio inconscio di far colpo sull'assemblea silente. Questo andazzo va però denunciato e soppresso. I cresimandi sono pure in grado di esprimersi, di preparare la “loro” festa! Forse che sono capaci di cantare solo allo stadio? È stato tracciato un parallelo tra la “liturgia” dello stadio e quella della Chiesa. Se dovessimo ammettere che gli stessi nostri fedeli cantano più volentieri allo stadio che in chiesa dovremmo dichiarare fallimento. Mi esprimo provocatoriamente: meglio un canto gridato in qualche modo da tutti che uno sussurrato dai solisti di una corale. Mi riferisco alla Svizzera tedesca: quando nelle solennità si intona il “Grosser Gott” si ha l'impressione che la volta della chiesa vacilli. Tutti cantano a pieni polmoni e sono anche umanamente afferrati da una vibrazione viscerale che lascia per sempre una eco nella vita. I canti della nostra infanzia ci scuotono ancora oggi. Ecco perché è deleterio e controproducente modificare testi e melodie di canti già entrati nel patrimonio liturgico-popolare dell'assemblea. Se ne potrà 6 e dovrà aggiungere di nuovi, lasciando però che i precedenti seguano la loro strada. Ricordo che in un eccesso di zelo si era cercato di abolire “Vergin dolcissima” o di modificare le parole del “Mira il tuo popolo”, incontrando però una resistenza popolare invincibile. Dobbiamo ammettere che la fede passa da quell'udito che è anche compartecipazione al canto. Il ruolo che ha il canto nel Primo Testamento è impressionante (si pensi ai Salmi). I bambini venivano iniziati alla fede con il canto. Anche Gesù ha cantato con i suoi discepoli (Mt 26, 30) e la comunità primitiva ha dato uno spazio per noi inimmaginabile al canto (Col 3,16; Ef 5,19), segno di quella gioia che caratterizzava tutta la vita cristiana (Fil 4,4). Se noi rinunciamo al canto o lo deleghiamo ad uno sparuto gruppo di specialisti, tradiamo il cristianesimo nella sua essenza, visto che tutta la nostra vita di battezzati deve essere nello Spirito un'espressione di amore, di allegrezza e di pace (Gal 5,22). La tradizione di una liturgia tutta cantata è meglio conservata in oriente, ma di per sé il Vaticano II la chiede anche a noi, almeno ogni domenica: “L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente in canto, con i sacri Ministri e la partecipazione attiva del popolo” (Sacr. Conc. n. 113). Bisogna riconoscere che la volontà del Concilio di promuovere il canto gregoriano (Sacr. Conc. n. 116) è stata disattesa. Tranne nei monasteri, il canto gregoriano è sempre stato negletto. Prima del Concilio si cantava la “Missa de angelis”, che non è certo un modello di gregoriano, ma è pensabile che alcuni responsori semplici e ordinari di Messe molto lineari possano essere appresi grazie all'azione trainante di corali ben formate. Noi siamo impressionati dalla lunghezza delle celebrazioni in terra africana. Ma notiamo anche come tutta l'assemblea venga coinvolta nel canto e nella danza, così che ciascuno si sente protagonista. Pur nel rispetto del diverso sentire etnico, dobbiamo convincerci che le nostre celebrazioni possono e devono diventare più vive, partecipate. Se c'è un silenzio da rompere è quello dell'entrata in chiesa. È bello se ci si saluta, ci si presenta, ci si sorride. Anche il segno di pace (forse già all'offertorio) è un momento di socializzazione. Agostino ci 7 ammonisce che, se riceviamo bene il Signore (tutta la Messa è comunione!) riceviamo noi stessi. Un Padre della Chiesa ci ricorda che non consacriamo il Cristo se non consacriamo la comunità, l'universo. L'azione contro la privatizzazione dei Sacramenti e l'individualismo nella preghiera è appena iniziata. Se impariamo a cantare assieme, coralmente, anche se dotati di voci imperfette, ci abituiamo non solo a pregare due volte, ma anche a capire che la vita cristiana è bella, gioiosa, contagiosa. Ci chiama all'amore irradiante, diventa annuncio provocatore anche per i pagani e ci aiuta a percepire che questa vita terrena è il preludio di quella celeste. Concludiamo con una parola di Sant'Ambrogio: “Dicono che il popolo è ammaliato dall'incantesimo dei miei inni. È così e non lo nego. È uno stupendo incantesimo, il più efficace di tutti. Che c'è infatti di più efficace di confessare la Trinità, esaltata ogni giorno dalla bocca del tuo popolo? A gara tutti vogliono proclamare la loro fede, tutti hanno imparato a lodare in versi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Sono dunque diventati tutti maestri, quelli che erano appena divenuti discepoli”. Don Sandro Vitalini 8 Un canto per la solennità del Corpo e Sangue di Cristo... In questo numero di “Incontrarsi” proponiamo un canto per la solennità del Corpo e Sangue di Cristo, dal titolo “Ecco il Corpo”. Si tratta di una parafrasi del testo della sequenza “Lauda Sion Salvatorem” elaborata da M. Mantovani, con musica di Fulvio Rampi, maestro del coro della Cattedrale di Cremona. La melodia per l'assemblea è semplice e cantabile, sostenuta da un agile accompagnamento organistico. Il brano acquista molta solennità con la presenza (ad libitum) del coro a quattro voci, che interviene nel ritornello quasi a voler sottolineare alcuni termini che si stanno cantando (“corpo”, “sangue”, "Redentore”). Le strofe hanno carattere più intimo (sono in tonalità minore) e sarebbe bene fossero affidate a un solista (oppure a gruppo femminile/maschile). La destinazione del canto non è solo per la solennità del Corpus Domini (per cui è stato scritto), ma anche come canto che accompagna il rito di comunione. ...e la versione a 4 voci di un “Santo” molto popolare! Il nostro libro diocesano conta di 11 possibilità per il “Santo”. Di queste una delle più conosciute ed eseguite è sicuramente quella di Giovanni Maria Rossi. Abbiamo pensato di proporre una versione (dell'autore stesso) a quattro voci, dove il coro sostiene la melodia e ne amplifica la sonorità. L'introduzione potrebbe risultare una valida alternativa alle “solite” prime due battute che siamo abituati a sentire dai nostri organisti... Attenzione all'armonia: vi sono alcune (piccole) differenze che non permettono (se si usa questa armonizzazione per coro) di utilizzare l' accompagnamento del “Lodate Dio” (229). La melodia non ha subìto, comunque, alcuna modifica. È a disposizione inoltre un accompagnamento del brano con legni e percussioni. 9 Corso per l'utilizzo del software di notazione musicale “Finale” A seguito del successo che ha avuto l'incontro del 27 marzo scorso con i maestri dei cori, durante il quale il M° Manu el Rigamonti ci ha presentato e fatto scoprire, fra la altre proposte, il sofware di notazione musicale “Finale”, abbiamo pensato di proporre, dal prossimo autunno, due corsi per l'apprendimento del programma, con l'attenzione rivolta soprattutto agli aspetti della musica corale (è il software comunemente utilizzato nella scrittura musicale... quindi anche per i canti allegati a "Incontrarsi"). I corsi saranno divisi in due livelli: “corso base” e “corso avanzato”. Il primo è rivolto a chi non ha alcuna conoscenza e desidera arrivare a poter scrivere agevolmente un canto (a una o più voci) con accompagnamento organistico, il secondo è per chi utilizza già il programma e vuole esplorare le caratteristiche di scrittura musicale più “avanzate” di Finale. I corsi saranno costituiti da 4/5 incontri di un'ora ciascuno; saranno tenuti da Antonio Bonvicini e da Manuel Rigamonti, in orari da concordare (pomeriggio/sera), presso la sede del Centro di Liturgia a Lugano (via Cortivallo 11 a Besso). A titolo informativo, i costi del software “Finale” in lingua italiana (per Mac e PC) sono i seguenti (IVA esclusa): Finale (programma completo): Finale (per studenti e insegnanti): Finale “printmusic”: Finale notepad: € 590,00 € 399,00 € 99,00 (versione ridotta) gratis (da internet, assai limitato) Chi fosse interessato e volesse iscriversi ai corsi compili l'allegato foglio (rosa) e lo spedisca a: Commissione diocesana di musica sacra Casella postale 545 6903 Lugano 10 Antonio Parisi Gli ingredienti necessari per il perfetto organista liturgico Conoscenza dello strumento... ...tecnica e repertorio organistico... ...conoscenze liturgiche e consapevolezza del ministero svolto 11 Il precedente numero di “Incontrarsi” è letteralmente “andato a ruba” per l'interesse suscitato dal dossier di J. P. Lécot, dedicato agli animatori musicali per la liturgia. Abbiamo quindi pensato, in questo numero, di proporre un altrettanto frizzante dossier per i nostri organisti, scritto alcuni anni fa da don Antonio Parisi, e aggiornato di recente con l'aggiunta di alcune parti nuove. Buona lettura! 12 Introduzione dell'autore Con la Riforma Liturgica molti hanno creduto che la figura storica dell'organista di chiesa fosse relegata in soffitta. È stato un giudizio troppo sommario e poco documentato. Certo, la funzione dell'organista è stata di molto ridimensionata: non può più suonare a suo piacimento durante tutta la Messa, deve acquisire competenze liturgiche, deve fare i conti con coristi dilettanti, deve praticare forme musicali nuove. Ma, in compenso, ha acquistato una funzione ministeriale più precisa e dai contorni più ecclesiali: il suo servizio lo pone nel vivo della celebrazione liturgica, credente fra credenti, umile ministro della musica, a servizio del popolo cristiano, radunato in preghiera. È importante, specialmente per gli organisti tradizionali, scoprire questa nuova collocazione all'interno della liturgia cristiana, ed offrire la propria competenza e preparazione come “munus ministeriale”. Questo quaderno vuol offrire alcune indicazioni concrete, frutto di una lunga pratica strumentale e liturgica, ai nostri organisti che di fatto suonano durante la Messa, nelle nostre parrocchie. È una guida, un percorso, un “vademecum” fatto di notizie, osservazioni, suggerimenti, consigli, premesse per uno studio serio e prolungato. Vorrei che ogni organista diventasse un punto di riferimento per la propria parrocchia: dovrebbe diventare l'esperto della preghiera cantata di tutta la comunità. don Antonio Parisi 13 Chi è l'organista liturgico? È un cristiano convinto e maturo, che vuol essere utile alla comunità, offrendo un servizio specifico nel settore dell'animazione musicale della liturgia. Ha la consapevolezza di aver scoperto una vocazione ministeriale e vuol mettere al servizio della comunità i propri talenti musicali. Per svolgere bene tale ministero gli occorre competenza spirituale, liturgica, musicale, e tutto un bagaglio di qualità umane, psicologiche, buon senso, gusto estetico. L'istruzione “Musicam Sacram” (1967), al n. 67, così si esprime: “È indispensabile che gli organisti, oltre a possedere un'adeguata perizia nell'usare il loro strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia, in modo che assicurino il decoro della sacra celebrazione, secondo la vera natura delle sue varie parti, e favoriscono la partecipazione dei fedeli”. 14 Preludio: le brutte copie dell'organista liturgico! ORGANISTA GIROVAGO: va in giro per le varie chiese a suonare le “messe cantate”. A volte sembra una corsa contro il tempo, e più di una volta è costretto ad interrompere una messa per scappare in un'altra chiesa. Un consiglio: attento allo stress da... messa. ORGANISTA AFFARISTA: suona là dove è pagato di più; gestisce un proprio esercito di subalterni che invia nelle varie chiese o confraternite; ha un monopolio assoluto su parecchie chiese. ORGANISTA ALL'ANTICA: magari è in possesso di un diploma musicale, ma suona accompagnando durante la Messa brani strumentali di autori classici collaudati. È contrario ad accompagnare i canti, si presta volentieri ad accompagnare un coro classico, con repertorio latino e gregoriano. Tutte le altre musiche moderne non sono per lui, offendono il suo buon gusto e il suo diploma. La Riforma Liturgica del concilio Vaticano II per lui non è mai avvenuta. ORGANISTA DA CONCERTO: si concede solo durante i concerti. Per lui l'organo serve solo per eseguire letteratura organistica dei secoli passati. Non si abbassa ad accompagnare il canto di un'assemblea sgangherata e stonata: la sua arte non glielo consente. ORGANISTA DA MATRIMONIO: solo e sempre quel repertorio: Wagner, Schubert, Mendelsshon. Tariffa fissa - repertorio fisso. Può anche cambiare repertorio, ma cambia anche la tariffa, alzandola. So di alcuni organisti che hanno un prezzario adeguato ai vari brani di repertorio: il “top” è la Toccata e fuga in re- di Bach BWV 565. ORGANISTA CIRENEO: chi è costretto a suonare tutte le messe domenicali (4, 5, 6 e più...). Conosco un organista, che suona 10 messe ogni domenica dell'anno, presso un Santuario famoso, in Italia. Un consiglio: cambiare... religione? O forse cambiare Santuario... 15 La conoscenza dello strumento Non è questa la sede per un trattato di organaria, diremo soltanto che è indispensabile, per un bravo organista, conoscere la storia e l'evoluzione dell'organo, il suo funzionamento, le parti di cui è costituito, le famiglie dei registri, i diversi tipi di “trasmissione” ecc. In Italia [e anche in Ticino, ndr] l'evoluzione tipologica dell'organo ha dato luogo a strumenti profondamente diversi, nelle varie epoche. Lasciando la filologia esasperata ai manieristi, la liturgia sicuramente ha meno vincoli rispetto ad un concerto. Sarà dunque possibile eseguire, con una registrazione adeguata, un brano di Frescobaldi o Zipoli anche se non si ha sotto le dita un “Antegnati” ma un organo novecentesco, senza irritare la sensibilità dei più, e magari con grande pertinenza liturgica. Certamente l'impresa è più ardua se si vuole suonare un preludio di Bach su un organo ottocentesco con 12 note di pedaliera, o un brano sinfonico francese su un positivo con ottava corta: starà all'intelligenza e al buon senso dell'organista scegliere opportunamente. È altresì importante la conoscenza dello strumento dove si suona abitualmente, in modo da poter trarre maggior profitto a livello fonico e saper riconoscere difetti di funzionamento. Un bravo organista sarà inoltre capace di accordare i registri ad ancia del proprio strumento, per sfruttarne sempre appieno le potenzialità. La bravura degli organisti sta anche nella “flessibilità”, quando ad esempio ci si ritrova a suonare su uno strumento a trasmissione meccanica e con i registri “spezzati” e si è abituati a un “Mascioni” degli anni '60 con trasmissione elettrica. In commercio si trovano numerose pubblicazioni sull'organo a canne, tra queste un “must” che dovrebbe stare nelle librerie di tutti gli organisti è: “L'organo italiano” di Corrado Moretti (600 preziose pagine!), pubblicato dalla casa Muisicale "Eco" di Milano. 16 La tecnica e il repertorio organistico Il mondo degli organistici liturgici è quantomai variegato sia per formazione che per capacità tecnica. Ci sono i diplomati dei Conservatori, delle Scuole Diocesane, gli studenti di organo, i pianisti prestati all'organo, gli autodidatti... Noi riteniamo importante che ogni organista abbia un livello “standard” e minimo di tecnica organistica, e quindi anche di repertorio da proporre nella liturgia. Questo “standard” potrebbe essere la capacità di eseguire in modo dignitoso i canti del proprio repertorio diocesano di canti. Se vogliamo dare un altro “metro di giudizio” potremmo decidere che lo standard minimo sia il saper suonare i brani contenuti nelle raccolte (che tutti gli organisti probabilmente conoscono) “Antologia organistica” o “100 pezzi classici” di Alessandro Esposito, editi negli anni '70 dalle edizioni Carrara. Come libri didattici per lo studio dell'organo il “Gradus ad parnassum” di R. Remondi (167 studi) rimane secondo noi il migliore libro di tecnica organistica (soprattutto per la pedaliera); senza dimenticare i “gloriosi” libri di F. Germani (che portavano alla distruzione fisica le articolazioni delle caviglie dell'organista) e il metodo “Bossi – Tebaldini” di fine '800. Alla tecnica che si impara dai metodi e con l'esercizio è altrettanto importante avere altre qualità esecutive: • • • • • Una ottima lettura a prima vista; Una discreta capacità di “trasportare” in modo estemporaneo i brani un tono (o una terza) sotto l'originale; Saper interrompere con senso logico un brano organistico se il momento liturgico lo richiede (l'organista accompagna il rito e non viceversa); Improvvisare l'accompagnamento alla melodia di un canto; Saper intonare un canto dall'organo (un po' come scriveva Frescobaldi: "con obbligo di cantare la quinta parte senza toccarla"). 17 Organista e assemblea Caratteristica peculiare dell'organo è la capacità di tenuta del suono, che nei secoli ne ha fatto insostituibile aiuto all'accompagnamento del canto. Questo servizio, apparentemente semplice, è svolto con metodologie molto differenti: si va da chi conosce sommariamente le sigle dei principali accordi, a chi scrive di suo pugno complesse partiture, preludi e interludi. In generale è necessario, ma non sufficiente, che l'accompagnamento di un canto, di un ritornello, di un versetto, sia un adeguato sostegno armonico alla melodia. Un buon accompagnamento dovrà allo stesso tempo sostenere l'armonia, essere di ausilio all'assemblea per la melodia e l'andamento del brano, “suggerire” l'attacco successivo, “respirare” insieme al fraseggio. Tuttavia l'apporto dell'organo è ancor più utile se si considera la vastità di risorse dinamiche e timbriche che mette a disposizione: un accompagnamento troppo esile renderà difficoltoso, per l'assemblea o il coro, mantenere intonazione e tempo, mentre un accompagnamento di eccessiva potenza sonora (ripieni e ance) finirebbe con l'annullare ogni altra fonte di emissione di suono nell'ambiente. L'esperienza di ciascun organista e la sua familiarità con lo strumento e l'ambiente dovrebbero suggerire i limiti dinamici entro i quali muoversi. L'uso del pedale, anche solo in raddoppio alla parte più grave della mano sinistra, sarà inoltre ulteriormente funzionale al sostegno dell'armonia, soprattutto in ambienti vasti, con adeguati registri da 16 e 8 piedi, e l'unione alle tastiere. Il “passo successivo” a questi semplici cenni è un utilizzo più “creativo” di queste grandi potenzialità, sulla base della collocazione di un brano, o della sua struttura o del tempo liturgico. Senza fatica si può individuare infatti la differenza tra un Kyrie e un Gloria, che può essere adeguatamente espressa con un uso intelligente dei registri, dalle sfumature discrete dei Flauti alle sonorità vivaci di armonici più acuti, alle mutazioni, o, se l'occasione lo giustifica, le ance, per dichiarare la gloria di Dio e la sua maestà. La minore o maggiore presenza di comandi a disposizione dell'esecutore ("combinazioni" o altri artifizi, presenza di più tastiere) 18 sarà chiaramente di grande ausilio, oltre che di stimolo. La presenza, inoltre, nel repertorio liturgico, di molti brani in forma responsoriale, o che alternano ritornello e strofa, suggerisce l'alternanza di almeno due sonorità distinte (utilizzando anche le tastiere a disposizione). La presenza poi di diversi solisti potrebbe stimolare ulteriormente l'organista ad operare piccole variazioni timbriche. Questo è chiaramente da rapportare al tipo di strumento che si viene ad usare: i piccoli organi positivi con ottava corta, gli ottocenteschi più o meno variamente “riformati”, i “ceciliani” ricchi di fondi e viole, i recenti strumenti più eclettici, oppure le copie di organi antichi, fino agli elettronici. 19 Organista solista Prima della Riforma Liturgica del Vaticano II, il ruolo dell'organista era ben definito e preciso: egli aveva essenzialmente il compito di accompagnare i vari riti liturgici, quasi esclusivamente col suono dell'organo. Un preludio solenne e maestoso all'ingresso, un brano all'offertorio, una dolce melodia alla consacrazione, una canzoncina alla comunione, un postludio o una toccata come finale. L'organista metteva in mostra tutta la sua bravura, ed in tanti erano attratti da quelle musiche, quasi sempre composte da autori famosi e conosciuti. Ricordo che in Seminario (circa 30 anni fa), c'era il senso di attesa nelle gradi feste, perché si aspettava di sentir suonare come brano finale qualcuno dei pezzi più conosciuti di Bach, o di altri musicisti. E la gioia era tanta, quando si ascoltava la Toccata e Fuga di Bach, il giorno di Pasqua. Oggi invece, dopo la Riforma Liturgica, l'organista svolge un ruolo più umile e discreto, ma un ruolo essenzialmente liturgico; un servizio che lo pone all'interno della celebrazione come soggetto attivo e non come “suonatore di professione”. Come può e deve intervenire oggi, l'organista durante una celebrazione? PRELUDIARE, PREPARARE, DARE INIZIO Quando l'assemblea si raccoglie in chiesa, l'organista può aiutare e orientare tale raccoglimento; può intervenire con l'organo, esplicitando il senso della festa e del mistero che si celebra. Dà inizio alla processione del celebrante con un segnale di attenzione che deve introdurre il canto. Qual è il repertorio più adatto? A seconda dei tempi liturgici, può attingere ad una vasta letteratura organistica: per esempio una Pastorale per il Natale, un commento al Veni Creator per il giorno di Pentecoste, un corale di Bach per una festa ordinaria, ecc. INTERLUDIARE E ALTERNARE Specialmente nei canti processionali, che richiedono molte strofe, l'organista può alternarsi con il coro o l'assemblea. Qui è richiesta una dote fondamentale per l'organista: l'improvvisazione. L'organista 20 è obbligato a improvvisare, prendendo spunto dal canto che si sta eseguendo, non può invece suonare musica libera o d'autore. Deve improvvisare, rimanendo nello stile del canto, con lo stesso tempo del canto, con le stesse sonorità del canto. CREARE MUSICA DI SOTTOFONDO Per collegare un momento all'altro, nei momenti di passaggio, a volte per attutire i rumori di fondo, l'organista può creare musica di sottofondo. Non si può parlare di brano musicale in senso stretto, sono soltanto accordi tenuti, che si concatenano l'uno all'altro, con una sonorità dolce e profonda. Poche note, poco suono, poco ritmo: una musicalità immobile. Tale suono, come un tappeto sonoro, crea le condizioni per orientare l'attenzione, per far scendere in profondità la Parola, per sostenere una preghiera silenziosa, per creare un clima di raccoglimento e di contemplazione. Un organista distratto, assente, lontano, non potrà mai improvvisare musica. Quali sono i momenti in cui è possibile utilizzare tale fondo sonoro? • Quando le strofe del salmo responsoriale vengono lette e si canta solo il ritornello; • Subito dopo l'omelia, se lo si ritiene opportuno e significativo. È invece proibito il suono dell'organo come sottofondo durante la Preghiera eucaristica, in quanto le parole del celebrante non devono essere coperte, e l'attenzione dei fedeli non deve essere distolta dall'altare. Certamente è abuso di minore gravità un adagio eseguito alla consacrazione con un “bordone da 8” in cassa chiusa rispetto a tanti “teatrini” cui si assiste in altri momenti della celebrazione, ma si presuppone che un buon organista dia primaria importanza alle norme che anche i sacerdoti celebranti dovrebbero conoscere e rispettare. 21 Interludio: l'organista nei matrimoni II servizio che l'organista presta a tale celebrazione, spesso è fonte di critiche, di malumori, di interventi disciplinari, di polemiche infinite. Quali brani eseguire, quando eseguirli, quando suonare, come comportarsi con le Ave Maria, (e i cantanti dove li mettiamo?), quali devono essere le tariffe, e si può suonare insieme ad un violinista, e può intervenire anche un complesso da camera (i soldi ci sono e la sposa vuol far parlare di sé): sono alcune delle questioni più spinose del “problema matrimoni”. Mi preme evidenziare alcune considerazioni basilari: • • • • • i problemi celebrativi del matrimonio non si risolvono affrontando la questione musica ed organo, ma hanno delle radici e delle cause ben più lontane e importanti; il problema fondamentale durante la celebrazione dei matrimoni, è quasi sempre, l'assenza di una comunità di cristiani credenti e praticanti; si crea una assemblea di curiosi e di spettatori assenti e svagati; il problema grave e difficile va affrontato partendo da una buona preparazione e catechesi non soltanto degli sposi, ma anche di tutti gli invitati; va inoltre detto, senza paura, che non pochi matrimoni non andrebbero celebrati ma rimandati, dopo una opportuna ed adeguata preparazione umana, cristiana, e celebrativa. Detto questo però, alcune precisazioni e osservazioni sono utili per l'organista che vuoi svolgere il proprio servizio con serietà. Qual è il repertorio organistico adatto alla celebrazione del matrimonio? Innanzitutto, accompagnare i canti rituali (Salmo responsoriale, Alleluia, Santo, Agnello di Dio); poi intervenire con alcuni brani strumentali adatti. Come comportarsi con i brani ormai entrati nel repertorio comune di tutti gli organisti: marce nuziali, Ave Maria, adagi vari? 22 Tenendo presente i regolamenti diocesani innanzitutto, e con molta concretezza e larghezza di vedute. Ormai le marcie nuziali sono diventate segnali sonori del matrimonio, eliminarle sarebbe una stupidità. Fra l'altro, provate a sostituire con un altro brano la marcia nuziale, e vi accorgerete della estrema difficoltà di trovarne un altro adatto (a accettato dagli sposi) ad esprimere tutta la festa e la gioia di quel giorno. Quindi è inutile fare battaglie perse in partenza; certo sarebbe bello suonare corali di Bach, o alcuni brani di C. Franck, o brani della scuola organistica italiana, ma occorre una assemblea di competenti per gustare tale musica. Come comportarsi invece con brani profani, canzonette dei Beatles e varie altre canzoni famose adattate all'organo? Far capire che sono degli adattamenti per l'organo, che funzionerebbero male, che sono brani adatti alla sala e non in chiesa, e che quindi è bene ascoltarli in sala da ricevimento. Quale deve essere il compenso dell'organista? Adeguato alla sua funzione e alla sua preparazione musicale: considerare che è un professionista che impegna la mattinata (o il pomeriggio) per rendere la celebrazione più solenne e festosa, che per tanti musicisti è l'unico introito per sostenere le spese per spartiti, corsi, convegni, incontri; si spendono spesso palate di soldi per organizzare la festa e quindi non è la spesa dell'organista che farà lievitare i costi (fate finta di invitarlo al pranzo di nozze; confrontate il suo compenso con il compenso di un qualsiasi animatore musicale chiamato per la sala da ricevimento). Una sola parola conclusiva su questo spinoso problema: come organisti, impegniamoci a svolgere al meglio il nostro servizio liturgico, ma i pastori e i responsabili si impegnino dal canto loro a risolvere il problema alle radici, affrontandolo sotto l'aspetto ecclesiale, pastorale e celebrativo. 23 Le conoscenze liturgiche dell'organista L'organista deve avere familiarità con i riti che si celebrano, con i testi sacri che è chiamato spesso a commentare con la musica, deve essere in grado di collaborare consapevolmente con gli altri responsabili all'intera regìa della celebrazione. Oggi è richiesta, molto più che nel passato, una competenza fondata sul giusto equilibrio tra arte musicale e arte del celebrare: "Chi desidera lo spettacolo non viene a cercarlo in chiesa. In chiesa ci si aspetta di trovare dei segni semplici, senza pretese, ma di trasparente bellezza: trasparenza divina. Segni particolari e vissuti, che non sono eseguiti da attori, ma da credenti che si lasciano coinvolgere per creare la festa intorno al Risorto" (M. Magrassi, Cristo risorto festa dell'uomo, 1981). L'organista, come scritto in altri capitoli di questo quaderno, partecipa sia all'équipe di animazione liturgica per la progettazione della celebrazione, per la scelta dei canti, sia alla fase più operativa: prove di canto con il coro, con il salmista, con l'animatore musicale. Le competenze liturgiche aiutano l'organista ad evitare scelte di canti "casuali" o "anonime", se non addirittura sbagliate. Per questo motivo continuo ad insistere perché sia ampliato e approfondito l'aspetto liturgico nel piano di studi di una scuola diocesana di musica. Conoscere le differenze tra "inno" e "antifona", tra "acclamazione" e "recitativo" permetterà all'organista di scegliere, ad esempio, i registri più adeguati per accompagnare al meglio il canto nei vari momenti che la liturgia prevede. E, da ultimo, una buona competenza liturgica permetterà all'organista di allestire programmi di "concerti spirituali" per i vari tempi liturgici in modo corretto e consapevole. 24 Conclusione... “Una parola conclusiva rivolta a te, organista liturgico. Dalla lettura di questi brevi appunti, avrai compreso l'urgenza di adeguare e perfezionare sempre più la tua preparazione musicale. Se scegli di svolgere questo servizio musicale a favore della comunità, occorre avere passione, volontà, gioia. Devi trovare in te un sano desiderio di far fruttificare i talenti che il Signore ti ha donato: usali per il bene della tua comunità. Come? Con lo studio, frequentando corsi di aggiornamento, comprando e leggendo riviste, spartiti, CD, libri, andando a sentire concerti d'organo; insomma tutto serve per la tua preparazione. Cerca anche di superare gli eventuali contrasti con animatori, responsabili, presbiteri, dai tempo agli altri di maturare e scoprire quelle realtà che tu già hai compreso e vivi. Non ritenere che tutti debbano dare all'organo la stessa importanza che gli dai tu! Voglio salutarti con la spiritualità del poeta Gibran: “La musica vera è quella che rimane nell'orecchio di chi l'ascolta, dopo che il cantore ha terminato il suo canto, e quando lo strumentista ha finito di toccare le corde”. 25 Postludio “Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e mettiti a ascoltare. Se poi hai fortuna tu stesso di metterti seduto ad un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito dinanzi a quell'immane potenza musicale. Non perdere l'occasione di esercitarti sull'organo: non c'è strumento che sappia vendicarsi con tanta prontezza di tutto quello che può esserci di impuro e impreciso sia nella musica stessa sia nel modo di eseguirla”. Robert Schumann, Regole di vita musicale (1845) “Nelle mie passeggiate per la città avevo udito due o tre volte suonare l'organo in una chiesetta della periferia, ma non mi ero soffermato. Passando un'altra volta da quelle parti, udii di nuovo quel suono e ravvisai una musica di Bach. Trovai la porta chiusa, e siccome la strada era deserta, mi sedetti accanto alla chiesa, su un paracarro, e avvolto nel mantello stetti ad ascoltare. Era un organo non grande ma buono, e chi suonava esprimeva in modo singolare e molto personale una volontà e una costanza che parevano una preghiera. Ebbi l'impressione che l'esecutore doveva sapere quale tesoro fosse racchiuso in quella musica e stava facendo ogni sforzo per scavare quel tesoro come ne andasse della sua vita. In quanto a tecnica, io non so molto di musica, ma fin da bambino ho capito istintivamente quell'impressione dell'anima e ho sentito dentro di me la musica come una cosa ovvia. [...] Quando mi sentivo depresso, pregavo [l'organista] di suonare la passacaglia del vecchio Buxtehude. Nella chiesa buia stavo ad ascoltare quella musica strana, fervida e fonda, in ascolto di se stessa, e ogni volta era per me un beneficio e mi rendeva maggiormente disposto a dar ragione alle voci dell'anima”. Hermann Hesse, Demian 26 Liturgia e musica prima del Concilio Vaticano II Un pittoresco affresco, con in evidenza gli aspetti musicali e liturgici, della vita contadina prima del Concilio Vaticano II, descritta dal priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi. Articolo apparso sul quotidiano "La Stampa" di Torino. Nell'anamnesi del «tempo di un tempo» da me intrapresa nei mesi scorsi non può mancare una rilettura sulla vita cristiana come era vissuta fino agli anni sessanta nei paesi del Monferrato e delle Langhe. Inoltre, la recente liberalizzazione della antica messa - detta di san Pio V - da parte di Benedetto XVI mi ha riportato più volte al mio vissuto nell'infanzia, nell'adolescenza e nella giovinezza, dato che la riforma liturgica del Vaticano II è stata attuata quando ormai avevo quasi trent'anni. Tutta la mia formazione cristiana, spirituale e teologica era avvenuta prima del concilio e questo evento dello Spirito ha accompagnato i mutamenti non solo della vita ecclesiale, ma anche della mia vita interiore più profonda. Ripeto sovente ai più giovani che io a vent'anni ero un cattolico post-tridentino «doc» nella fede, nella morale, nell'impegno che allora non si diceva «ecclesiale» bensì di «apostolato». Del resto, abitavo di fronte alla chiesa e quindi il parroco mi chiamava regolarmente quando c'era bisogno per le messe, i vespri, i funerali, le «cerimonie» per benedire i temporali e scongiurare la grandine... A sette anni mi fu insegnato il latino e questo mi permetteva di recitare sovente il breviario con il parroco o con i preti che venivano a predicare alla domenica: i frati passionisti, che arrivavano in bicicletta dal santuario delle Rocche e dei quali si raccontavano le eroiche penitenze e le flagellazioni nel giorno del venerdì, e i giuseppini di Asti. A quei tempi si può dire che nei paesi di campagna tutta la vita era innanzitutto vita di una comunità cattolica, nel senso che tutti andavano in chiesa e dicevano convinti di credere in Dio, salvo qualcuno che si diceva «comunista» ma che la gente preferiva chiamare «strano»: non sorprende quindi che la figura centrale fosse quella del parroco. Era lui l'autorità più ascoltata e rispettata del paese: la gente andava da lui per chiedere consigli, soprattutto di morale, ma anche per un parere in merito al matrimonio, in 27 particolare se la futura sposa non era del luogo. Il parroco era dunque il riferimento di tutti, e anche i pochi che gli erano avversi lo rispettavano, pur tenendosene a distanza. Le tensioni, le polemiche dure e a volte anche le lotte avvenivano per esempio quando qualcuno voleva trasformare il «ballo a palchetto», montato per pochi giorni in occasione della festa patronale, in una pista da ballo permanente... Sì, perché allora il ballo era considerato un luogo di perdizione: chi vi andava doveva poi confessarsi e comunque il parroco dal pulpito, con voce a volte minacciosa a volte implorante, non mancava di fustigare i nuovi comportamenti che iniziavano a prendere piede nel dopoguerra, accusandoli di portare alla distruzione della morale, delle famiglie e della fede cristiana. A quei tempi la domenica era ancora «la domenica»: il week-end era parola e prassi sconosciuta, nessuno andava via per gite o viaggi, ma tutti dalla dispersione delle cascine in campagna e dai luoghi di lavoro cercavano di ritrovarsi, di incontrarsi per «fare due parole» e rinnovare così la conoscenza e l'amicizia. In chiesa entravano solo donne, ragazze e qualche raro anziano devoto e così iniziava la messa cantata con molta convinzione e fervore, anche se quella gente semplice di campagna non capiva né quello che cantava in latino né tanto meno quello che, sempre in latino, diceva il prete. Il prete, dopo alcune formule recitate ai piedi dell'altare, saliva gli scalini e cominciava a «dire messa», voltandosi solo per qualche «Dominus vobiscum», cui la gente rispondeva «et cum spiritu tuo», ma cosa dicesse il prete negli oremus o cosa leggesse dal messale nessuno lo sapeva o la capiva. Messalini per i fedeli a quell'epoca non ce n'erano, non li avevano nemmeno le suore: quelli famosi del Caronti o del Lefebvre erano merce rarissima e io, conoscendo bene il latino, ero uno dei pochi che poteva seguire ogni parola. Quanto al Vangelo, il prete lo leggeva dapprima in latino sull'altare, con le spalle girate al popolo, poi si voltava e, recatosi alla balaustra, lo leggeva in italiano per la gente: era quello l'unico testo che tutti capivano, seguito dalla predica in cui trovava spazio ogni genere di ammonizione ed esortazione, attinente più alla situazione e alle vicende locali che non al brano appena letto. Al momento dell'offertorio - ero chierichetto sempre presente - il prete mi mandava fuori sulla piazza a chiamare gli uomini perché entrassero a «prendere messa», altrimenti quella non sarebbe stata più 28 «valida» per loro. Così, mentre le donne recitavano il rosario sottovoce e gli uomini continuavano a parlottare, la messa procedeva spedita, con il prete che bisbigliava tutte le formule. Solo al momento dell'elevazione il campanello avvertiva, svegliava e richiamava tutti: mentre il prete innalzava prima l'ostia poi il calice e si genufletteva, il silenzio si faceva totale e assoluto: chi chinava la testa, chi si metteva in ginocchio, tutti vivevano con grande timore il momento culminante di tutta la messa. Prima della comunione del prete - normalmente l'unico a comunicarsi durante la messa - gli uomini uscivano dalla chiesa e riprendevano i loro capannelli, mentre le donne intonavano canti pii e devoti. Era l'ora in cui ciascuno tornava a casa per il pranzo perché ormai «il dovere era stato fatto». Ma la domenica non finiva a tavola con il pasto abbondante in cui quasi sempre regnava il «bollito»: molti, soprattutto donne, bambini e vecchi tornavano presto in chiesa per i vespri e poi c'era la doverosa visita al cimitero, perché allora si esprimeva soprattutto così l'amore che si provava per i morti. Verso l'imbrunire si rientrava a casa, ci si toglieva «il vestito della festa» e si tornava al vivere quotidiano segnato dal lavoro da mattina a sera. Che dire oggi di quella messa «antica»? Era senz'altro consona a quel tempo che era davvero il tempo della cristianità e confesso che a me non ha fatto male, anzi, mi ha fornito una robusta spiritualità cristiana. Tuttavia non ne provo nostalgia, anche se è sempre restata per me un inestimabile monumento della fede, e ne vedo anche con lucidità i limiti: solo pochi capivano cos'era la messa, i più ne riempivano il tempo con la recita del rosario o le chiacchiere sul sagrato; le letture bibliche erano scarsissime: un paio di brani dell'Antico Testamento in tutto l'anno, testi quasi unicamente del Vangelo di Matteo e ammonizioni dell'apostolo Paolo. L'unica variante, ma quasi solo «scenografica», erano le messe da morto dei ricchi e dei notabili, nella cosiddetta «prima classe». Altri tempi, sì. Ma si avvertiva già un'aria di cambiamento: la chiamavano secolarizzazione, e il prete metteva in guardia dalla modernità che avanzava, dai costumi «americani» - in chiesa si parlava addirittura di «americanismo» come eresia cattolica e pericolo incombente! - dal boom economico. L'arguzia dei contadini sapeva però fare dell'ironia. Ricordo mio padre, amicissimo del 29 parroco anche se assolutamente non praticante, che di fronte all'ennesima predica del parroco contro il consumismo dilagante, gli disse: «Ma come! Quando mangiavate solo voi i capponi era Provvidenza, adesso che li mangiamo anche noi è consumismo!». Anche così, in quel tempo, si viveva, si cercava di essere cristiani, si scherzava, riconoscendo tuttavia il dono prezioso che un prete poteva essere per tutto il paese e per una convivenza serena, per una vita segnata da convinzioni etiche condivise dai più. Enzo Bianchi 30 Acquisto “collettivo” di registratori digitali La Commissione di Musica acquisterà, nelle prossime settimane, un registratore digitale (chi era presente al corso con il M° Rigamonti ha potuto scoprirne funzionalità e pregi). Riteniamo che possa essere strumento utile ai maestri dei cori (registrazione di prove o concerti, editing con il computer ecc). Di seguito trovate alcuni modelli e le relative caratteristiche. 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Gottardo Come da tradizione oramai più che decennale, anche quest'anno ci sarà l'appuntamento del 1° agosto sul passo del S. Gottardo, con la celebrazione eucaristica alle ore 10.30, presieduta dal Vescovo. L'animazione musicale è affidata al M° Tiziano Zane tti, all’organista Marco Balerna e al gruppo ticinese dei corni delle Alpi. Sono invitate a partecipare tutte le corali della Diocesi, ma è possibile anche la partecipazione a titolo individuale. Il ritrovo è fissato per le ore 9.00 sul piazzale del Forte vecchio. È pronto il fascicolo con i canti per i coristi che può essere richiesto alla redazione, oppure scaricato in formato pdf dal sito della diocesi (www.diocesilugano.ch) nella sezione liturgia. È prevista una prova di preparazione lunedì 26 luglio 2010 nella chiesa parrocchiale di Giubiasco alle ore 20.15. Alcuni canti saranno eseguiti a più voci, dunque è importante la partecipazione alla prova, per garantire, come sempre, una esecuzione di qualità. 34 35