WORD - di don Curzio Nitoglia

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LA ‘DOTTRINA SOCIALE’ DI PIO XII
d. CURZIO NITOGLIA
20 luglio 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/dottrina_sociale_pio_xii.htm
“Dappertutto oggi la vita della Nazioni è disintegrata dal culto cieco del valore
numerico” (Pio XII, Radiomessaggio, 24. XII. 1944).
Proemio
Abbiamo visto qual’è la concezione politica classica e scolastica. Ora dobbiamo
vedere come verso la fine della seconda guerra mondiale Pio XII ha capito che
stava per finire la modernità e che l’umanità stava per imboccare la via della postmodernità nichilistica. Egli ha cercato di farle capire come l’unica via percorribile
per evitare uno sfacelo peggiore di quello del secondo conflitto mondiale era il
ritorno alla sana filosofia classica e scolastica, alla vera teologia tomistica e alle
direttive del Magistero ecclesiastico. Vediamo assieme l’insegnamento sociale e
politico di Pio XII.
‘Qualità’ e non ‘quantità’ nella ‘Res publica’
Il 6 aprile del 1951 Pio XII ha tenuto un Discorso ai dirigenti del Movimento
Universale per una Confederazione Mondiale, in cui il Papa confuta l’ottimismo
democratista, il quale vede nella democrazia moderna o culto del numero l’unica e
la migliore forma di governo. Pio XII espone e confuta i “tre dogmi” della
“politica” antropocentrica moderna.
Il popolo è “sovrano” o “canale”?
Secondo la tesi erronea del democratismo moderno il potere viene dal popolo, dal
basso e non da Dio o dall’Alto. Invece il potere viene da Dio causa prima e fonte di
ogni cosa ed è trasferito dagli elettori all’eletto, come l’acqua che attraverso un
canale viene dalla fonte (Dio) e non dal canale stesso (popolo) e giunge al
Governante che lo possiede e non ne ha solo l’uso. Solo se colui che governa
diventa tiranno o governa non per il bene comune allora la sanior pars populi può
ritirargli de facto il potere che de jure già Dio non gli accorda più, poiché è
esercitato contro Dio e la sua Legge. Gli uomini e le famiglie per vivere assieme e
virtuosamente devono necessariamente avere un Governante, un’Autorità. Perciò
la Società civile è divisa in Governanti che devono comandare (far leggi, farle
rispettare e castigare chi le vìola) e sudditi che devono obbedire. Il vero Sovrano,
però, è Dio e non la volontà popolare, che al massimo può scegliere un Governante
al quale il potere deriva remotamente da Dio attraverso il popolo che funge da
canale in maniera prossima.
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“Infallibilità” del popolo elettore?
● Dopo il peccato originale l’uomo è soggetto all’ignoranza e all’errore. Solo Dio e
il Magistero della Chiesa, quando vuol definire e obbligare a credere una verità di
Fede o di Morale, sono infallibili. Il popolo elettore non partecipa all’infallibilità
divina, come invece il Magistero pontificio o universale. Nessuno ha mai promesso
l’infallibilità al popolo, tranne i demagoghi,i quali si sono serviti per i loro interessi
delle decisioni che hanno fatto prendere alla massa manovrata da loro stessi,
rifugiandosi dietro il paravento dell’infallibilità dell’elettorato popolare.
● Pio XII insiste molto sulla distinzione tra “popolo” e “massa”. Il “popolo vive e si
muove di vita propria”, ha una forma, un atto, un essere, una vita sua; invece “la
massa è moltitudine amorfa” o senza forma o principio di vita, materia passiva,
indeterminata, senza atto o perfezione. Il Papa continua: “la massa è di per sé
inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza di vita
degli uomini che lo compongono”. Perciò il popolo è costituito da uomini
intelligenti e liberi, che hanno princìpi , convinzioni, sono padroni di se stessi e
conoscono i loro obblighi e diritti; mentre la massa è pura potenzialità che viene
mossa e diretta da qualcuno al di fuori di essa dove lui vuole, come un carro
trascinato dai buoi. Essa è composta da entità sub-umane prive di convinzioni
proprie, di princìpi, di una sana morale, senza iniziativa propria; perciò vive di
istinti, passioni e sentimenti sregolati senza alcuna subordinazione alla ragione e
alla libera volontà. L’uomo facente parte della massa non è “l’animale razionale”
aristotelico, ma “l’animale sensitivo” della post-modernità nichilistica, la quale
con lo scoppio del Sessantotto ha reso l’uomo una “pecora matta”, che – come
diceva nel 1944 Pio XII – “è un facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli
istinti o le impressioni sensibili”. Il popolo non è la maggioranza quantitativa, ma è
la parte qualitativamente migliore della società. Il democratismo moderno non ha
nulla a che vedere con l’idea aristotelica e tomistica di sana democrazia classica,
che è la popolazione di un Paese dotata di forte personalità individuale e sociale.
● Il popolo è simile al corpo umano di cui parlava Menenio Agrippa e poi anche San
Paolo, nel quale ogni organo ha la sua funzione e importanza, quelli inferiori
(piedi) e quelli superiori (cervello), e nessuno di essi può fare a meno degli altri
perché tutti sono necessari, anche se vi è una gerarchia, che non impoverisce
nessuno, ma nobilita tutti, facendoli partecipare al bene comune. Come i piedi di
un uomo portano il suo cuore e il suo cervello, così le classi umili della Società
rendono possibile la sussistenza di quelle elevate non tanto per censo, ma per virtù
morale e razionale. Questo apologo ci insegna ad evitare i due errori opposti per
difetto (l’egualitarismo), secondo il quale tutti sono qualitativamente
assolutamente eguali e nega ogni diversità o ineguaglianza qualitativa e l’altro per
eccesso (il dis-egualitarismo), che esagera le differenze accidentali e erge delle
barriere insormontabili tra gli uomini, non tanto per le qualità intellettuali, morali
e spirituali o di “buona educazione, che è il fiore della carità” (San Francesco di
Sales), ma soprattutto per quelle economico-sociali. Sono questi i famosi “s-nob”
da “s[ine]-nob[ilitate]”, i quali, come la “Serva padrona” di Goldoni, vogliono ad
ogni costo far valere la posizione sociale-economica che hanno raggiunto, molto
spesso sine nobilitate o cum magna injustitia seu dishonestate. Il Libro Sacro dei
‘Proverbi’ ci ricorda che “non vi è persona più crudele di una schiava diventata
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padrona”. La verità si trova in medio et culmen (nel giusto mezzo di profondità e
acutezza e non di mediocrità e bassezza). Tra questi due opposti errori o
deviazioni morali è la dottrina della Carità fraterna soprannaturale propter Deum,
Padre di tutti gli uomini. Infatti se tutti gli uomini sono eguali quanto alla natura
umana, in essi vi sono diversità accidentali, le quali, lungi dal metterli in
contrapposizione tra “sinistra” (odio di classe) e “destra” (s-nobismo), li debbono
far cooperare caritatevolmente al buon andamento della Società, che come un
corpo fisico vivente ha bisogno di organi nobili (cuore e cervello) e meno nobili
(piedi e mani). Non esistono classi moralmente basse o vili, l’importante è che
ognuno faccia bene il suo dovere di stato nella classe in cui la Provvidenza lo ha
posto. Esistono solo uomini moralmente e intellettualmente bassi, vili e stupidi, ma
magari economicamente “alti” o altezzosi, che disprezzerebbero perfino San
Giuseppe e il Bambin Gesù poiché erano falegnami e non facevano parte delle
élites tradizionali, pur discendendo da circa mille anni dal Re Davide ed essendo
nel frattempo socialmente “decaduti”.
● Pio XII ricorda che se il popolo non è per se stesso infallibile, la massa quasi
sicuramente erra, priva di convincimenti, di vera libertà e schiava dell’opinione
pubblica, che è manipolata dai burattinai, i quali tirano i fili che tengono i
burattini.
Il ‘suffragio universale’ è fonte di diritto e verità?
Una delle votazioni più celebri della storia umana fu quella che condannò a morte
Gesù e premiò Barabba. Ora, ci si può chiedere: il suffragio universale esprime la
volontà della massa manovrabile e manovrata o quella del popolo o sanior pars
Societatis? Il popolo è una Società civile, organica, viva e vivente, gerarchica come
ogni corpo, ordinata, non appiattita e livellata, in cui le differenze formano
l’armonia e la bellezza (immaginatevi una mano le cui cinque dita siano tutte
eguali, sarebbe mostruosa!). Perciò se tutti possono pronunciarsi allo stesso modo
e con lo stesso valore su ogni cosa, e se nel contare i pareri espressi tutti valgono
allo stesso modo, de facto questo sistema esprime la volontà della massa e non
della sanior pars populi. Per esempio, durante il processo di Gesù alcuni degli
Scribi e dei Sacerdoti erano contrari alla sua condanna, lo stesso Pilato lo era, ma
la massa aizzata dal Sinedrio votò a maggioranza la morte di Gesù e la libertà di
Barabba. Ciò significa che il sistema del suffragio universale, il quale conferisce
alla sola maggioranza numerica o quantitativa, a discapito di quella qualitativa, il
diritto di stabilire una legge e una verità, non rappresenta la volontà dell’autentico
popolo organico e vivo, ma della massa amorfa e informe, pronta ad essere
manipolata, come l’argilla da parte del vasaio. Quindi attraverso le elezioni o il
suffragio universale, in cui vince la maggioranza quantitativa o numerica e non
quella qualitativa, non è il popolo vivo che decide. Pio XII stigmatizzava questa
tendenza e la definiva come il “culto cieco del valore numerico”. Il cittadino o
civis non conta per quel che è o vale secondo il suo grado di civiltà, ma come
quantità, numero o voto o apporto elettorale che rende possibile al “potere”, nel
senso deteriore del termine, di continuare a mantenere il consenso e il governo. Di
fronte a questo pericolo verso cui si stava avviando anche l’Europa, Pio XII ha
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cercato di porre riparo proponendo la riaffermazione dei princìpi della filosofia
perenne teoretica e sociale e cercando di indicare un ordine sociale futuro in cui le
istituzioni politiche potessero dipendere non dal “culto cieco del numero”, ma
dall’ordine organico e naturale della sanior pars Societatis. Infatti secondo il
democratismo moderno e antropocentrico il mondo politico non è una Società di
famiglie che si uniscono per tendenza naturalmente inscritta nell’uomo onde
conseguire il “vivere virtuoso”, ma è un ingranaggio artificiale e meccanico, in cui
prevale la quantità o materia e non ha nessuna rilevanza la qualità o forma
intrinseca. Nel campo culturale e morale non dominano più i valori oggettivi
conformi alla legge naturale e divina, ma la libertà individuale come valore
assoluto o fine e non come mezzo per cogliere uno scopo, liberata perciò da ogni
vincolo e legge oggettiva. Lo scopo dello Stato è quello di aiutare le famiglie e gli
individui che la compongono a conseguire la “vita virtuosa” nella linea tracciata
dal Decalogo, il quale soltanto può far conseguire il bene individuale e sociale,
privato e comune. La modernità ha una concezione dello Stato e della politica
meccanicistica, ossia l’uomo, la famiglia e la Società civile non sono naturalmente
ordinati ad un fine, che è il bene comune naturale, virtuoso e soprannaturale, ma
sono come una macchina (v. Cartesio, homme animal machine) non organica o viva
ma studiata e progettata a tavolino (già a partire da Machiavelli, per giungere
tramite gli ideologi del 1789 sino al marxismo revisionato e al teo-liberalismo)
come un insieme di rotelle o meccanismi, che si muovono non per vita che
possiedono dentro se stessi (“vivere est movere se ipsum”, Aristotele), ma per un
movimento che viene dall’esterno o “etero-diretto”. La quantità non è né può
essere il criterio supremo. Ora nella democrazia moderna o democratismo, è il
“culto del numero” ossia la quantità dei voti che diventa criterio supremo di verità
e di bontà. Un esempio molto pratico ci fa capire l’assurdità di questo sistema
ideologico-politico: se siamo in 10 persone sulla Tourre Eiffel e si decide se
dobbiamo buttarci giù da essa e 6 persone dicono di sì, le altre quattro sarebbero
obbligate - secondo il democratismo egualitarista - a seguir la maggioranza
quantitativa, ma evidentemente non qualitativa nel proprio sragionamento suicida;
così se la maggioranza decide che l’aborto è legale, l’infanticidio diventa legge di
Stato. Non è la qualità o chi ragiona secondo verità e giustizia, ma il “numero
amorfo” a stabilire ciò che è vero e buono!
È possibile “oggi” una Società cristiana?
● Nell’immediato non è probabile, poiché natura non facit saltus, sed procedit
gradatim. Tuttavia occorre sempre tener vivo il principio o l’ideale della filosofia
politica perenne, del Magistero tradizionale e del ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’, i
quali insegnano che naturalmente l’uomo deve essere sottomesso a Dio suo
Creatore e sempre naturalmente la Società civile deve a Dio, che ha creato l’uomo
animale naturaliter socialis, il culto che gli è dovuto. La natura spinge l’uomo, la
famiglia e lo Stato a vivere virtuosamente in comune, osservando i Comandamenti
che Dio ha inscritto nella nostra natura e che ha poi rivelato per renderci più facile
lo loro osservanza. Così pure la Autorità naturalmente tende a stimolare il bene e a
punire il male, poiché questa è la sua finalità naturale e intrinseca. Ora,
nonostante il degradamento dell’uomo, della famiglia e della Società (civile e
religiosa) contemporanei, la natura non può cambiare sostanzialmente, può soffrire
cattivi influssi, ma essa tende al suo fine e nulla è più forte della natura,
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specialmente se corroborata dalla Grazia, la quale è offerta in maniera sufficiente
a tutti gli uomini. Perciò lo Stato, la famiglia e l’individuo tendono al loro fine
naturale: il vivere virtuosamente sulla via tracciata dal Decalogo, e l’Autorità
tende a farlo rispettare e a punire la sua trasgressione, nonostante le depravazioni
che possano colpire l’uomo e la Società e i detentori dell’Autorità, nelle varie
epoche storiche.
● Pio XII aveva capito perfettamente che il mondo contemporaneo in campo
culturale, morale e spirituale stava per imboccare la via del nichilismo ed aveva
esclamato “La libertà individuale, sciolta da tutti i vincoli, da tutte le norme e
regole, da tutti i valori oggettivi individuali e sociali, in realtà è un’anarchia
mortale, soprattutto nell’educazione della gioventù” (24. XII. 1944). Mai profezia
di sventura fu più azzeccata! E mai utopia di ottimismo esagerato sull’incontro tra
uomo moderno e Chiesa (Giovanni XXIII), tra antropocentrismo e teocentrismo
(Paolo VI e Giovanni Paolo II), fu più sbagliata e fuori della realtà. Pio XII ci ricorda
che mentre l’organismo o corpo sociale è conforme alla natura e quindi è retto,
vero e buono, il “meccanismo” o la Società meccanicistica, progettata a tavolino
dagli ideologi rivoluzionari, è inadeguato e incapace di esplicitare le finalità insite
nella natura umana. Infatti i pezzi di una macchina non si muovono da sé, ma sono
mossi dal di fuori. È per questo che la massa è “manipolabile”, come lo fu dal
Sinedrio durante il processo a Gesù. La natura è opera di Dio e diretta da Lui come
Causa prima e principale, mentre la macchina è opera dell’uomo e dirigibile da lui.
Il laicismo moderno
● Abbiamo già citato i Padri e il Magistero sulla subordinazione gerarchizzata tra
Stato e Chiesa. Il lettore può valersi di un libro molto prezioso, purtroppo non più
in commercio, compilato da due professori dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano: Giorgio Balladore-Pallieri & Giulio Vismara, Acta Pontificia Juris
Gentium usque ad annum MCCCIV, Milano, Vita e Pensiero, 1946. Esso raccoglie i
documenti pontifici dal III secolo sino a Bonifacio VIII. Il Magistero è ritornato sul
tema a partire dal “Diritto nuovo” nato con la modernità illuministica, che
propugna la separazione totale tra Stato e Chiesa. Da papa Pio VI (+ 1799) a Pio XII
(+ 1958) è ribadita la dottrina della unione e subordinazione gerarchizzata dei due
poteri secondo la nobiltà dei fini (temporale e spirituale). Lo Stato cristiano è
esistito a partire da Costantino sino alla Rivoluzione francese.
● Leone XIII lo ricorda: “Vi fu un tempo in cui la Filosofia del Vangelo governava
gli Stati. Quando la forza dello spirito cristiano era penetrata nelle leggi civili,
nelle istituzioni temporali, nei costumi dei popoli; […] quando procedevano
concordi il sacerdozio e l’Impero. […]. Se l’Europa cristiana domò le orde
barbariche, […] se vittoriosamente respinse le invasioni dei musulmani, se tenne il
primato della civiltà, […] non v’è dubbio che in gran parte ne va debitrice alla
religione. Senza dubbio, tutti quei benefici sarebbero durati, se del pari fosse
durata la concordia tra i due poteri” (Immortale Dei, 1885). Leone XIII poi passa a
spiegare come tale armonia sia stata spezzata dallo “spirito di novità del secolo
XVI”, il quale “prima scosse la religione [soggettivismo luterano], poi la filosofia
[soggettivismo cartesiano] e quindi lo Stato [democratismo rousseauiano]” di modo
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che il “diritto naturale” è stato rimpiazzato da un “nuovo diritto”, soggettivo e
fondato sull’Individualismo relativista (Immortale Dei, 1885).
Quale nemico ha fatto tutto ciò?
● Pio XII si è posta questa domanda nel Discorso agli uomini di Azione cattolica,
“Nel contemplare” del 12 ottobre 1952. Pacelli esclama: “Non chiedeteci qual è il
nemico, né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa
essere violento e subdolo. […]. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza
la Fede; la libertà senza l’Autorità. È un nemico divenuto sempre più concreto, con
una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì,
Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi Dio non mai esistito”.
Come si vede, secondo Pio XII, che riprende il Magistero costante e quindi
infallibile della Chiesa da Gelasio I (+ 469), la separazione o il divorzio tra Stato e
Chiesa è un male, un peccato, un’apostasia gravissima dell’uomo, della famiglia e
dello Stato da Dio e dalla Chiesa che Lui ha fondato. La teoria, l’ideale o il
principio è quello della unione e cooperazione gerarchizzata tra Stato e Chiesa.
Tuttavia alcune volte, per evitare un male maggiore, occorre tollerare
praticamente, ma non teoricamente, un culto e una religione a-cattolici, i quali
non possiedono diritti, ma debbono essere tollerati come un mal di denti sino a che
il dentista non possa sradicare il dente cariato: «Ciò che non corrisponde alla
verità e alla norma morale non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né
alla propaganda». Parimenti il Papa riprova la “neutralità religiosa dello Stato”
poiché l’unica situazione normale è quella dell’unione e collaborazione tra i due
poteri.
Rottura tra Vaticano II e Tradizione apostolica
● Da tutto ciò si evince come la dottrina sulla “Libertà religiosa” in foro esterno e
in pubblico per tutte le correnti di pensiero filosofico e teologico promulgata dal
Concilio Vaticano II (Dignitatis humanae, 7 dicembre 1965) sia in opposizione di
contraddizione con la Tradizione apostolica e il Magistero costante della Chiesa.
L’Avvenire, il quotidiano della ‘Conferenza Episcopale Italiana’, l’8 giugno 2011 a
pagina 27 ha pubblicato un editoriale di Flavio Felice intitolato Liberalismo Usa
figlio del Cristianesimo, in cui si legge: «La prima grande teoria, espressa nel
mondo moderno, dei diritti inviolabili e imprescrittibili della persona umana, è
stata elaborata da un pensatore profondamente cristiano, John Locke. […].
Secondo la tradizione del liberalismo di ispirazione cristiana: Rosmini, Sturzo ed
altri, richiamata di recente da Benedetto XVI nella lettera inviata a Giorgio Napoli
il 17 marzo scorso, il liberalismo è tale in quanto elegge la persona come fine della
vita associata». È il culto dell’Uomo, che prende il posto di Dio o la coincidentia
oppositorum di antropocentrismo e teocentrismo. Gaudium et spes n° 24 specifica
che «L’uomo su questa terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa
(propter seipsam)». Durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II”,
il 7 dicembre del 1965, Papa Montini giunse a proclamare: «la religione del Dio che
si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa
Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma
non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il
Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le
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verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro
nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo». Karol
Wojtyla nel 1976 da cardinale, predicando un ritiro spirituale a Paolo VI e ai suoi
collaboratori, pubblicato in italiano sotto il titolo Segno di contraddizione.
Meditazioni, (Milano, Gribaudi, 1977), inizia la meditazione “Cristo svela
pienamente l’uomo all’uomo” (cap. XII, pp. 114-122) con Gaudium et spes n.° 22 e
asserisce: «il testo conciliare, applicando a sua volta la categoria del mistero
all’uomo, spiega il carattere antropologico o perfino antropocentrico della
Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa Rivelazione è concentrata
sull’uomo […]. Il Figlio di Dio, attraverso la sua Incarnazione, si è unito ad ogni
uomo, è diventato - come Uomo - uno di noi. […]. Ecco i punti centrali ai quali si
potrebbe ridurre l’insegnamento conciliare sull’uomo e sul suo mistero» (pp. 115116). Papa Giovanni Paolo II afferma nella sua seconda enciclica (del 1980) “Dives
in misericordia” n.° 1: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e
nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a
contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr]
[…] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei
punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».
d. CURZIO NITOGLIA
20 luglio 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/dottrina_sociale_pio_xii.htm
[1] Pio XII, Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944. Secondo Aristotele (De anima) la
vita consiste nel “movimento intrinseco”: mangiare, crescere individualmente e riprodursi o
continuare nella specie. Infatti chi non mangia non cresce, ma deperisce e muore e non può
perpetuare la specie. Il movimento è intrinseco (“movere seipsum”) al soggetto vivente: la pianta,
l’animale e l’uomo mangiano, crescono e si riproducono. Tutti e tre vivono, hanno un principio di
vita ossia un’anima, che è vegetale per le piante (mangiano, crescono e si riproducono asessuatamente e non hanno nessun tipo di conoscenza o appetito), idem per gli animali, che in più
hanno una vita sensibile e una conoscenza e appetito puramente sensibile o istintivo, manca loro la
ragione e la volontà razionale e libera, che possiede solo l’uomo, il quale ha un’anima razionale,
spirituale, e quindi ‘in-estesa’ e incorruttibile, poiché non soggetta a divisione. Oggi va di moda ma la teoria risale al XVIII secolo e fu lanciata dai filosofi sensisti inglesi - dire che l’animale è
“intelligente” o che l’uomo ha la stesso grado di conoscenza e appetito o desiderio dell’animale
bruto. Ciò è smentito dall’esperienza. Per esempio: un’ape, che pure è molto abile istintivamente,
se batte la testa contro un vetro di una finestra mezza aperta, continua tutto il giorno a ripetere
lo stesso errore e non è capace di spostarsi di qualche centimetro per uscire dalla parte della
mezza finestra aperta. Un altro esempio cui ho assistito personalmente. Un cane molto vivace e
sveglio - di nome “Nerone” - rimane chiuso dentro una stanza, abbaia istintivamente per farsi
aprire, però la porta oltre la maniglia ha un chiavistello verticalmente penetrante il pavimento.
Ebbene il cane per poter uscire, invece di lasciare il chiavistello alzato, lo abbassa con le sue
zampe e rende impossibile a me di aprire la porta dal di fuori. Debbo chiamare un fabbro-ferraio,
il quale non avendo studiato “filosofia moderna” all’università, ha il buon senso di esclamare:
“Che stupido questo cane! Anche il bambino più addormentato avrebbe capito che bisognava alzate
il chiavistello”. Per quale motivo? Perché il cane, molto sveglio quanto all’istinto e alla sensibilità,
non ha intelligenza razionale.
[2] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.
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[3] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.
[4] Cfr. C. Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974.
[5] Cfr. Pio XII, Discorso al V Congresso nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani “Ci riesce”,
6 dicembre 1953.
[6] Enchiridion Vaticanum. Documento del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e traduzione
italiana, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 9a ed., 1971, Discorsi e messaggi, pp. [282-283].
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