"Io sono con te" di Enrico Bernard L'enigmatica sequenza finale di "Io sono con te" suggella il film svelandone il messaggio. La macchina da presa inquadra di spalle una figura femminile avvolta in una tunica nera, la donna è seduta all'ingresso di una grotta sullo sfondo del deserto. Lo spettatore collega immediatamente quell'immagine al personaggio della giovane Maria che ha seguito il figlio fino alla crocefissione e che ora è come in attesa della resurrezione. Che però non arriva. Senonché la donna della grotta si volta e svela il volto sorridente e pieno di rughe, ma aperto in un saggio e profondo sorriso, di una vecchia quasi centenaria. Gli ultimi fotogrammi sono per questa immagine che si discosta dalla tradizione "mariana", sempre bella e celestiale la Madonna raffigurata dagli artisti di tutti i tempi, per accompagnare la stanca vecchina che si alza a fatica e s'incammina fino a perdita d'occhio nei sentieri del vasto e arido mondo che le si apre innanzi. E' il simbolo del messaggio cristiano che, dall'umile grotta, si propaga nel deserto per farlo rivivere e rifiorire come un nuovo Eden dello spirito. Ma l'immagine della vecchina solcata da rughe e sofferenze, quantunque sopportate con religiosa pazienza e pietas, questo è il sentimento che esprime il suo volto, ha una somiglianza impressionante con un'altra grande figura-simbolo della cristianità: Madre Teresa di Calcutta. Ci si rende così conto che l'immagine proposta dal film non raffigura la madre di Gesù, invecchiata dopo essere sopravvissuta al figlio, ma la sua spiritualità proiettata nella dimensione terrena, assillata da sofferenze e miserie. La pietas umana fatta di comprensione e compassione per i deboli e i poveri prende allora il posto del logos metafisico e astratto dell'ultraterreno, per incarnarsi nella Madre dei Poveri, Madre Teresa di Calcutta, in cui si trasfigura la Madre del Figlio di Dio. La splendida sequenza con cui si chiude il film si riallaccia al percorso drammatico seguito dal regista che, con questa trasfigurazione Maria- Madre Teresa, non vuole soltanto simbolizzare la diffusione del cristianesimo, quel seme di speranza che farà rigenerare il deserto della nostra "valle di lacrime". Il film in effetti verte soprattutto su un'altra questione, meno esplicita della prima, ma non per questo meno importante: il dubbio di Maria sulla natura divina di Gesù. L'accostamento con Madre Teresa, letto in quest'ottica, non è dunque casuale poiché, come si sa, fu proprio la grande Madre dei Poveri di Calcutta ad ereditare, oltre al cristianissimo principio della speranza, anche l'ombra del dubbio che peraltro colse Cristo stesso sulla Croce. Madre Teresa ha infatti provato l'esperienza dell'aridità e della sofferenza spirituale, come emerso dalla pubblicazione postuma delle sue lettere. Stando ai racconti di padre Brian Kolodiejchukz, in una di queste scriveva di non sentire "la presenza di Dio né nel suo cuore né nell'eucaristia" e al suo confessore spirituale confidava: "Gesù ha un amore molto speciale per te. Ma per me, il silenzio e il vuoto è così grande che io lo cerco e non lo trovo, provo ad ascoltarlo e non lo sento". Giunse inoltre ad affermare: "Nella mia anima sperimento proprio quella terribile sofferenza dell'assenza di Dio, che Dio non mi voglia, che Dio non sia Dio, che Dio non esista veramente". Nel sito di Guido Chiesa il film viene sintetizzato con un efficace sottotitolo: "Le scritture possono sbagliare?". Non è dunque azzardato sostenere che "Io sono con te" pone la questione della natura critica e dubbiosa di una giovane Maria che, fin da bambina, mette sempre tutto in discussione, in particolare riti e tradizioni che si discostano da una visione umana, se non proprio umanistica, della vita e della convivenza. Maria raggiunta l'età della ragione mette subito sotto accusa, rendendosi oltretutto la vita difficile, le regole imposte per placare il Dio ebraico della vendetta e della collera, perché vede in Lui invece fonte di vita e di bene, di perdono e di compassione per le miserie umane. Ecco allora che nella formazione di Gesù il ruolo di Maria diventa pedagogico anche ai fini di una evoluzione filosofica. Nonché nella formazione del carattere dell'uomo considerato da Maria stessa Figlio di Dio, certo, ma figlio di Dio solo in quanto creatura, e non perché generato da un astratto Spirito Santo. Il film segue con chiarezza e sensibilità la fase di educazione e formazione ai principi umanistici che Maria inculcò al figlio diletto, principi che poi ritroveremo nella vita evangelica di Gesù. Ma proprio perché Maria è ben conscia del suo ruolo pedagogico, sa cioé che i pensieri e le azioni apparentemente mistiche o straordinarie del bambinello, che rivela mano a mano una natura "divina", sono il frutto di una vocazione pedagogica, - che potrei definire <mariana> o <gramsciana> allo stesso modo, cioé la formazione di un Uomo Nuovo e di un Nuovo Mondo -, ebbene da tutto questo nasce il dubbio proprio sull'origine divina del Redentore. Per Maria "divino" è, in questo senso, il messaggio di Cristo che redime il mondo dal peccato, che trasforma la collera del Signore in infinita bontà, e così giunge a Madre Teresa, anch'essa sofferente e sanguinante come tutti gli esseri umani. Cristo, da incarnazione dello Spirito, diventa agli occhi e nella saggezza di Maria, l'incarnazione di un Messaggio di uguaglianza tra gli uomini. Un messaggio eternamente valido e che può reincarnarsi, diventare spirito oltre il tempo e il contingente, nella storia e nella vita degli uomini. Naturalmente questa interpretazione del ruolo pedagogico di Maria nella formazione della sensibilità e del pensiero cristiano ci riporta anche alle visioni umanistiche che Pasolini nel "Vangelo secondo Matteo" e Rossellini nel "Messia" hanno contribuito a consolidare. E per quanto Chiesa sbrighi la pratica con i suoi predecessori in maniera sommaria ("Conosco bene quei film, ovvio, ma posso dire che non mi hanno influenzato" ha recentemente confidato il regista), non si può non cogliere nell'impostazione <neorealistica> della sua opera un evidente rapporto con i grandi autori citati. In particolare dal "Vangelo" di Pasolini il regista di "Io sono con te" coglie l'impostazione <marxista>. Non me ne voglia Chiesa, non intendo appioppargli una ideologia, bensì farlo in qualche modo rientrare nel grande umanesimo che fu il baricentro del religioso ateismo di Pasolini o del cristianesimo marxista di Rossellini. Ecco allora che lo studio dei volti e delle espressioni, la scelta di girare nelle lingue originali (l'ebraico e l'antico greco, la lingua di Salomone), una visione depurata da qualsiasi misticismo o elemento metafisico, la scena del parto tra naturali doglie di Maria, fanno del film di Chiesa un'opera non rivolta ai credenti, - ovvero non solo a loro. La riproposta di un cristianesimo non inteso come religione del divino, ma come visione della vita e dei rapporti sociali tra gli uomini, - e non tra l'Uomo e Dio - fa del film di Chiesa un'opera universale che si riallaccia - al pari di Pasolini e Rossellini - al teatro delle Sacre Rappresentazioni tardomedioevali. Dalle quali emerge un profondo senso di umanità, di <terrestrità> e di esigenza di giustizia sociale (vedi il "Dialogo del ricco e del povero" della duecentesca Scuola Umbra delle Laudi) della madre sofferente per il Figlio-Uomo. Ed è nell'ambito di questa antica religiosità teatrale che si esprime anche il concetto del <dubbio> di Maria su cui s'impernia il film di Chiesa. "Quem queritis?" perché mi chiedi di lui? - risponde l'angelo, in una "laude" della fine del primo millennio, alla Madonna disperata e dubbiosa in attesa della resurrezione. Una scena che avrebbe potuto concludere anche il film di Chiesa che, grazie ad una colonna sonora di musica contemporanea, vuole puntare sull'attualizzazione del messaggio umano e sociale di Cristo ponendo un dubbio: i ricchi andranno in paradiso?