La Teoria del Campo di Ordinamento

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SCIENTIA – http://www.scientiajournal.org
International Review of Scientific Synthesis – ISSN 2282-2119
Vol. 125 - December 01st, 2013
La Teoria del Campo di Ordinamento.
AFT: Arrangement Field Theory.
Abstract
I fisici moderni credono che esista un principio di simmetria fondamentale da cui discende l'intero
universo con le sue leggi. La fisica attuale però non spiega ancora una vasta gamma di fenomeni
microscopici e macroscopici, tra cui il misterioso "entanglement quantistico". La AFT può coprire
varie lacune, ridefinendo la struttura dell'universo in termini probabilistici (in accordo con la
concezione quantistica): forme diverse avrebbero diverse probabilità e alcune potrebbero mutare
luoghi "vicini" in "lontani" o viceversa. La configurazione media sarebbe lo spazio-tempo percepito
macroscopicamente ma in certe fluttuazioni punti lontani potrebbero apparire connessi da
microscopici wormholes. L'AFT può prevedere le 4 dimensioni della configurazione media, le 3
loro varietà, una spiegazione geometrica dello spin e la differenza fermioni-bosoni. Diversamente
dal Modello Standard, questa teoria incorpora ogni osservatore e ne ammette l'azione di misura al
suo interno, per cui non esclude una comunicazione minimale "di vuoto" tra qualunque coppia di
punti: questi due aspetti potrebbero descrivere l'universo come un'immensa struttura cosciente.
Diego Marin
Associazione Pangea - http://www.gruppopangea.com – Mussolente (VI) - Italy
Premessa.
La ricerca della cosiddetta "teoria del tutto" nella Fisica delle Particelle è paragonabile soltanto alla
ricerca del Graal in archeologia. L'idea predominante, suggerita da 5.000 anni di osservazioni, è che
debba esistere un unico fondamentale principio di simmetria da cui discendano non soltanto le
"leggi" dell'universo, ma persino l'universo stesso. Può sembrare un'idea astrusa, più metafisica che
fisica, ma per la maggior parte dei fisici non la è e vi credono seriamente. Essa risulta facilmente
comprensibile una volta analizzata la concezione moderna di "campo".
Una volta identificato il "principio unico", la comprensione dei meccanismi del cosmo, dal moto
degli elettroni a quello dei pianeti, delle galassie, l'espansione dell'universo e la "vita" dei buchi
neri, si potrebbe ridurre ad un mero esercizio di calcolo, affidabile quindi virtualmente a un
computer. A solo titolo di esempio, tra gli anni '80 e '90 il supercalcolatore A.P.E. dell'Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare (Roma e Pisa), pur basandosi su una teoria parziale e non totale, la
Cromodinamica Quantistica (Quantum Chromo Dynamics, QCD), aveva già calcolato con buona
precisione la massa di particelle fondamentali come il protone, il neutrone ed altri “adroni”.
1) La Sostanza del Cosmo.
Per la maggior parte della storia della civiltà umana, gli astronomi hanno cercato di comprendere
l'Universo accontentandosi dell'osservazione diretta a occhio nudo. Fino al 1600 era quanto bastava
per calcolare con precisione la durata dell'anno solare e (almeno nei limiti concessi dall'ormai
abbandonata teoria geocentrica) le orbite apparenti dei pianeti sulla sfera celeste. Anche la
precessione degli equinozi era nota fin dall'antico Egitto o forse ancora prima.
Gli antichi avevano concepito un modello piuttosto complesso del loro cosmo, basato prima di tutto
sul moto apparente del Sole. Allora (ovviamente come oggi) il tragitto apparente del Sole sulla sfera
celeste tracciava una circonferenza sulla sfera celeste, detta “eclittica”, attraversando le dodici
costellazioni, lunghe ciascuna 30°, che compongono lo "Zodiaco", formando una fascia di 360°
estesa una decina di gradi a Nord e Sud dell'Eclittica. Essa era tagliato in due settori da un piano
ideale passante per l'equatore terrestre, inclinato di circa 23,5° rispetto all'orbita solare apparente.
La fascia zodiacale al di sopra dell'equatore era chiamata "terra emersa", mentre l'altra
rappresentava le "acque sottostanti". Nei punti di contatto tra le due zone si trovavano due
costellazioni d'importanza capitale (Ariete e Bilancia) che sorgevano appena prima del sole all'alba
degli equinozi. Al centro delle zone erano invece presenti le due costellazioni deputate ai solstizi
(Cancro e Capricorno).
Queste costellazioni correlate ai solstizi ed equinozi erano dette "pilastri" e, in particolare, quella
corrispondente all'equinozio di primavera (l'Ariete) veniva detta "portatrice" o "pilastro portante
del cielo". I quattro pilastri definivano gli angoli della "terra quadrangolare", il piano ideale
passante per i quattro punti fondamentali dell'anno. Occorre precisare che l'idea che "terra
quadrangolare" indicasse una concezione piatta del mondo è profondamente errata; solo durante il
medioevo e in ambienti fortemente religiosi tale definizione simbolica era stata presa per reale.
Altre parole chiave erano "mulino" o "gorgo" per indicare l'asse terrestre, e "fiume celeste" per
indicare la Via Lattea (una debole banda luminosa biancastra che attraversa la sfera celeste e che
individua le zone più di dense di stelle della nostra galassia, da cui prende il nome). Ciò che più
contava era comunque la fascia zodiacale, la cosiddetta "vera terra" o "terra abitata", all'interno
della quale era (ed è) contenuto il moto dei pianeti. Questi erano considerati divinità e lo Zodiaco
offriva loro case, locande, maschere e travestimenti, i quali contribuivano alla nascita del mito
astrologico sotto forma di codice astronomico.
L'osservazione diretta degli antichi non bastava però per capire cosa fossero le stelle, di cosa
fossero composte e come si riunissero in galassie e cluster. Le situazione migliorò soltanto nel 1609
quando il ricercatore pisano Galileo Galilei, considerato il padre della scienza moderna, inventò,
oppure (secondo interpretazioni più moderne), semplicemente migliorò il cannocchiale,
specificatamente, un piccolo telescopio di tipo rifrattore (con oculare concavo).
Nel campo del suo telescopio, Galileo vide comparire moltissime stelle che ad occhio nudo
risultavano invisibili. La stessa Via Lattea non risultava più essere una luminosità diffusa ma si
mostrava per quello che era: l'insieme di una miriade di stelle molto deboli. Le stelle mantenevano
però l'aspetto di puntini luminosi, al contrario dei pianeti che potevano essere leggermente
ingranditi in dischi luminosi. Galileo dedusse allora che le stelle erano molto più lontane di
quest'ultimi e che proprio per la loro lontananza sembravano immobili (relativamente tra di loro,
mentre i noti diurno e annuale della sfera celeste nel suo insieme erano dovuti al moto di rotazione e
rivoluzione terrestre). Le sue conclusioni erano comunque limitate alla "luce visibile" e non
potevano includere altri tipi di radiazione. Dovremmo quindi partire chiedendoci cosa sia la luce.
La luce è un campo elettromagnetico (in termini semplici, una grandezza fisica correlata al concetto
di forza, capace specificatamente di mettere in moto le cariche elettriche) che si muove nello spazio
partendo da una qualche sorgente per arrivare ad un bersaglio, per esempio i nostri occhi. Lungo il
suo percorso, il campo disegna delle "onde", intese non come reali increspature verso l'alto (come
accade invece sul mare), ma come un continuo crescere e diminuire d'intensità (un'oscillazione) che
comunque si attenua man mano che ci si sposta dalla sorgente, in nodo quadraticamente
proporzionale alla distanza (senza poi contare il possibile assorbimento totale o parziale da parte di
ostacoli, nubi o addensamenti di materia anche poco densa, tra sorgente e bersaglio).
Nel caso della luce visibile dagli esseri umani, un ciclo completo di crescita e decrescita (detto
periodo di oscillazione) impiega da 1,3 a 2,7 milionesimi di miliardesimo di secondo, nel corso dei
quali la luce percorre dai 400 agli 800 nanometri (milionesimi di millimetro), distanza nota come
“lunghezza d'onda”. Al di fuori di questi parametri la luce non viene assorbita dalla retina, la quale
a sua volta non può quindi inviare alcuna informazione al cervello per la creazione delle immagini.
Solo nel XX secolo si è arrivati all'utilizzo dell'intero spettro elettromagnetico: oggigiorno esistono
strumenti in grado di raccogliere, in ordine di lunghezza d'onda crescente, raggi gamma, raggi X,
luce ultravioletta, luce visibile, luce infrarossa, microonde e onde radio.
Da circa un secolo siamo in grado di assorbire anche tutta una serie di particelle “sparate” verso di
noi (e presumibilmente in ogni altra direzione) dallo spazio profondo, dette raggi cosmici tra cui
“fotoni” ad altissima frequenza e cortissima lunghezza d'onda, classificabili come raggi gamma ma
anche altre particelle che non hanno a che vedere con la luce, tra cui i nuclei dell'atomo di elio
(raggi alfa), elettroni (raggi beta), ed altre particelle subatomiche che (a parte i menzionati raggi
gamma) si muovono ad una velocità di poco inferiore a quella della luce. L'origine dei raggi
cosmici è tuttora poco chiara. Infine negli anni '90 si è avuto l'avvento dei grandi telescopi, terrestri
(Keck 1, VLT) o montati su satellite (IRAS, Hubble, COBE, Chandra), grazie ai quali abbiamo
ricostruito l'intera "fauna" del nostro universo e la sua distribuzione.
In realtà la distinzione tra "onde/campi" e "particelle" è fallace. Ciò che noi interpretiamo come
particella (o “corpuscolo”) è una zona di spazio dove un qualche campo mostra un picco d'intensità.
Questo picco si muove, accelera e decelera sotto l'azione di altri campi. Così il "fotone" è la
particella che rappresenta il campo elettromagnetico, l' "elettrone" rappresenta il campo elettronico,
il "quark" quello quarkonico, e così via... Considerato che gli stessi campi sono entità astratte, che si
manifestano attraverso la loro azione su altri campi, ne concludiamo che l'intero universo è
composto soltanto di "relazioni" e non propriamente da corpi od oggetti. Questi sono solo una
ricostruzione a posteriori maturata dal nostro cervello, anch'esso a sua volta composto da particelle
e quindi da relazioni (situazione molto simile a quella già concepita da Locke e Berkeley, filosofi
empiristi del XVIII secolo).
2) Che cosa abbiamo visto finora?
Per descrivere l'Universo occorre anzitutto avere un'idea delle scale di grandezza. Le distanze
all'interno del Sistema Solare sono misurate in UA (unità astronomiche), dove 1 UA è la distanza
media tra la Terra e il Sole, 149 milioni e 600.000 chilometri. I 384.400 chilometri che ci separano
mediamente dalla Luna al confronto sono quattro passi.
Gli altri pianeti del Sistema Solare sono Mercurio (distante circa 0,4 UA dal Sole), Venere (0,7
UA), Marte (1,5 UA), fascia degli Asteroidi (frammenti di un pianeta esploso distribuiti attorno a
2,7 UA), Giove (5 UA), Saturno (9,5 UA), Urano (19 UA), Nettuno (30 UA), Plutone (39,5 UA),
Haumea (43,5 UA), Makemake (46 UA) ed Eris (67,5 UA). Gli ultimi quattro sono in realtà
classificati come "pianeti nani" per la loro grandezza ridotta, e sembra che esistano altri 40 oggetti
simili orbitanti oltre Nettuno. Nel libro Atlantidi1 avevamo constatato che le orbite dei pianeti più
interni erano state usate dal filosofo Platone (438 - 347 a.C.) come modello per le cinte della sua
Atlantide (nel rapporto 8 stadi = 1 UA). Possiamo ora aggiungere che la cinta più esterna della città
(l'unica non collocata) a 18,5 stadi dal centro (=2,3 UA) potrebbe riferirsi alla posizione originaria
del pianeta esploso che ha dato vita alla fascia degli asteroidi.
La principale sorgente di luce visibile sono le stelle. Anche il Sole è una stella ordinaria, con una
massa di 2 miliardi di miliardi di miliardi di tonnellate. La stella più vicina a noi è Proxima
Centauri, appartenente (con la brillantissima Toliman o Rigel Kent, da non confondersi con Rigel
tout court nella costellazione di Orione) al sistema triplo degli astri catalogati con α nella
costellazione del Centauro, a circa 4,4 anni luce di distanza (un anno luce è l'enorme distanza
percorsa dalla luce in un anno, circa 9.461 miliardi di km). Tale distanza è di circa 277.200 UA e
1
D.Marin, I.Minella, E.Schievenin, ATLANTIDI, i tre diluvi che hanno cancellato la civiltà, Eremon Edizioni, 2010.
per percorrerla dovremmo andare e tornare da Giove per 35.000 volte. In cosmologia si preferisce
misurare le distanze in Parsec (parallasse di un secondo d'arco) piuttosto che in anni luce, dove 1
Parsec = 3,26 anni luce, per cui ci adegueremo alla convenzione dominante in quest'ambito.
Le stelle sono riunite in conglomerati chiamati Galassie, e anche il nostro Sistema Solare si trova
sul bordo di una gigantesca galassia discoidale chiamata Via Lattea, che insieme al Sole contiene
circa 100 miliardi di stelle, ognuna con una massa compresa tra un decimo e dieci masse solari.
Essa è composta da un rigonfiamento centrale, più una piatta spirale di raggio massimo di 12.500
parsec e spessore di circa 300 parsec. Noi ci troviamo a 8.000 parsec dal centro. Il disco ruota
lentamente su se stesso con delle velocità che diminuiscono dall'interno all'esterno: il nostro
Sistema Solare impiega 200 milioni di anni per compiere un giro completo (alla velocità di 220
km/s).
Attorno al centro della galassia si dispongono con simmetria sferica dei piccoli e densi "mucchi" o
“cluster” di stelle, (a loro volta disposti a simmetria sferiche ma su scale nettamente più piccole e ad
alta densità di stelle), chiamati "ammassi globulari", che distano dal centro tra i 5.000 e i 30.000
parsec (da non confondere con i cosiddetti “ammassi aperti”, molto meno densi e più irregolari del
globulari). Ogni cluster contiene circa un milione di stelle.
La Via Lattea a sua volta si trova all'interno di un piccolo ammasso di galassie denominato Gruppo
Locale. La nostra vicina più prossima è la Nube di Magellano, a 50.000 parsec di distanza, ma si
tratta di un agglomerato irregolare di piccole dimensioni. Se cerchiamo una galassia veramente
degna di questo nome dobbiamo allontanarci di 770.000 parsec e raggiungere la galassia di
Andromeda (M31).
In generale tutte le galassie tendono a riunirsi in ammassi, ognuno dei quali contiene poche migliaia
di galassie in un volume di alcuni megaparsec cubi. Un megaparsec corrisponde ad un milione di
parsec e rappresenta la distanza tipica tra due galassie vicine.
Anche gli ammassi tendono a riunirsi in "superammassi" dalla forma di elissoidi schiacciati e
comprendenti qualche decina di ammassi. Spesso si aggiungono dei "filamenti" di galassie che
fungono da ponte tra un ammasso e l'altro. Il Gruppo Locale orbita alla periferia del Superammasso
Locale, il cui centro cade invece sull'Ammasso della Vergine, a 18 megaparsec da noi. La nostra
galassia è sostanzialmente ferma rispetto al centro del Gruppo Locale e si muove solidale a
quest'ultimo con una velocità di 600 km/s rispetto al centro del superammasso. Il superammasso più
vicino è quello di Idra-Centauro-Pavone, a 50 megaparsec di distanza, il quale prende nome dalle
costellazioni entro cui viene visto da terra. A 100 megaparsec ci si imbatte invece nel
superammasso della Chioma di Berenice e nel superammasso di Perseo-Pesci. Il diametro di un
superammasso è circa uguale alla distanza che separa uno dall'altro, circa 50 megaparsec.
Viene stimato che esistono circa 100 miliardi di galassie nel solo universo visibile, con una media
di circa 100 miliardi di stelle per galassia: un numero corrispondente a circa 10 22, ossia 10 seguito
da 22 zeri, 10.000.000.000.000.000.000.000 di stelle, superiori in numero a quello dei granelli di
sabbia di tutte le spiagge della Terra. Ogni stella è circondata probabilmente da una decina di
pianeti, perciò è tutt'altro che improbabile l'esistenza di altri mondo abitabili, dove si siano
sviluppate le condizioni necessarie alla vita (secondo l'equazione di Drake).
Così siamo arrivati ai margini dell'universo visibile, a 14 miliardi di parsec dalla nostra Terra,
ovvero 14 x 3,26 x 9,461 = 432 miliardi di miliardi di chilometri (432.000.000.000.000.000.000
km).
3) Campi.
Abbiamo già visto che le cosiddette "particelle elementari" non sono altro che "picchi" di entità
astratte chiamate campi, i quali permeerebbero l'intero spazio. Misurati nelle loro proprie unità di
misura, questi picchi sono indifferentemente positivi o negativi (per esempio il campo elettrico
negativo respinge le cariche negative e il campo positivo le attrae, ma la particella responsabile dei
picchi sono sempre dei fotone). Per la maggior parte dei campi, la media dei loro valori su tutto lo
spazio dà zero.
Può capitare che un campo abbia localmente valore medio diverso da zero, così da creare una sorta
di "mare" la cui profondità è il valore medio del campo; in questo caso le particelle corrispondenti
si manifestano sotto forma di increspature sulla superficie. Questo mare ha un “effetto melassa”
sugli altri campi-particelle che ne sono immersi: gli altri campi-particelle rallentano il proprio moto,
come se fossero "pesanti" o, per essere precisi, come se avessero una massa. Noi stessi ci spostiamo
più lentamente se siamo immersi nell'acqua. Questo "mare" che crea la massa è il cosiddetto
"campo di Higgs", le cui increspature sono il "bosone di Higgs", che alcuni fisici hanno voluto
enfaticamente chiamare "particella di Dio".
Per spiegare le motivazioni di tale definizione, che potrebbe apparire quantomeno audace, se non
addirittura bizzarra, è che la particella di Higgs, conferendo inerzia alle altre particelle, ovvero
dotandole di massa, creerebbe di fatto l'universo materiale così come lo conosciamo nella nostra
esperienza. In alternativa, secondo quanto sottintendono i fisici che sostengono questa definizione,
l'universo sarebbe popolato soltanto da particelle con massa di riposo nulla e capaci quindi di
propagarsi solo alla velocità della luce. Si può intravedere qui un'allegoria, o almeno un tentativo di
interpretazione del concetto di creazione come postulato da varie religioni, secondo cui l'esistenza
del mondo “materiale” discende da una particolare forma di “limitazione” applicata al mondo
“spirituale”, tradizionalmente rappresentato e caratterizzato appunto dalla “luce”. Ovviamente tutto
ciò rimane un'opinione soggettiva (anche se per qualcuno suggestiva), degli scienziati che hanno
voluto esprimerla (ma che non è necessariamente condivisa da altri scienziati).
Tornando a considerazioni più concrete, forse la maggior parte dei fisici ha accettato senza troppe
difficoltà che l'universo sia composto di sole "relazioni"; tuttavia c'è parecchia riluttanza
nell'accettare che il mare di Higgs possa essere lo spazio stesso. In tal modo anche lo spazio
diverrebbe un concetto astratto, secondo l'identità "niente Higgs = niente spazio". Rimarrebbero
solo campi immersi in altri campi, senza che debba esister alcun contenitore, o scatola, o spazio, che
esista dal principio per contenerli.
Secondo la Relatività di Einstein la forma dello spazio in tre dimensioni (o meglio dello spaziotempo includendo il tempo come una quarta dimensione) sarebbe determinata dal Campo
Gravitazionale, un'affermazione con la quale concordiamo senza dubbio, se non altro perché
largamente confermata dagli esperimenti. Anche lo spazio piatto (uno spazio senza zone di
attrazione gravitazionale) corrisponde ad un valore del campo gravitazionale chiamato "metrica di
Minkowski". La metrica di Minkowski è la profondità del mare "gravitazionale", e la forza di
gravità è trasmessa dalle onde/increspature di questo mare, particelle chiamate "gravitoni".
Crediamo perfino possibile che il campo di Higgs e il campo gravitazionale possano essere in effetti
lo stesso campo, ovvero la stessa entità, il che giustificherebbe peraltro certe similitudini notate
anche da altri autori: per una panoramica si veda ad esempio
http://en.wikipedia.org/wiki/Scalar_theories_of_gravitation#Relation_to_the_Higgs_Field .
Ciò richiederebbe, dal punto di vista corpuscolare, che il bosone di Higgs sia lo stesso gravitone,
quindi una particella diversa da quella richiesta da Peter Higgs, il teorico che introdusse per primo
l'idea del mare-melassa. Secondo Higgs, il suo bosone sarebbe una particella di aspetto sempre
uguale indipendentemente da quale direzione la si guardi: tecnicamente viene definita una particella
con “spin” zero, ossia non dotata di "spin" (movimento di rotazione di una particella intorno al
proprio asse nei termini propri della meccanica quantistica) e in quanto tale viene classificata come
particella "scalare". Il campo gravitazionale varia invece d'aspetto a seconda della direzione di
osservazione: il gravitone ha "spin" diverso da zero (il valore previsto è due) ed è detto particella
"tensoriale". Fare chiarezza sarà compito dei laboratori del CERN e degli esperimenti ATLAS e
CMS, e probabilmente non dovremo aspettare molto tempo per avere una risposta definitiva.
4) La nuova proposta.
Per riassumere la situazione in cui ci troviamo attualmente, e prima di esplicitare la nuova
concezione espressa dalla AFT, dobbiamo riconoscere che la fisica attuale descrive piuttosto bene le
interazioni di tipo elettromagnetico e nucleare, permettendoci così di sfruttarne le loro potenzialità,
sia nel bene che nel male. I test di laboratorio hanno verificato le nostre formule con una precisione
straordinaria, superiore a una parte su un milione. Una simile precisione, anche se in tutt'altro
ambito, è consentita dai risultati ottenuti dalla Relatività Generale di Einstein, che descrive alla
perfezione le orbite di pianeti, comete e meteore, la deviazione della luce in prossimità di corpi
massivi, oltre che il "clamoroso" rallentamento del tempo, il quale si manifesta anch'esso in
prossimità di corpi massivi oppure – come già formulato anni prima nella Relatività Ristretta, a
velocità che siano prossime a quella della luce. La differenza tra lo scorrere del tempo sulla
superficie terrestre e al di fuori dell'atmosfera deve essere corretta persino nei nostri satelliti
artificiali e ciò avviene appunto secondo le previsioni della Relatività Generale. Ciò avviene ad
esempio nel noto sistema GPS, che permette, oltre ad impieghi più ufficiali, la localizzazione della
propria automobile in un punto preciso della superficie terrestre e quindi in una specifica strada, per
un'appropriata gestione della mobilità stradale e di una adeguata valutazione specifica del traffico in
un qualsivoglia luogo della superficie terrestre..
Le nostre conoscenze in ambito elettro-nucleare (il cosiddetto Modello Standard), nonché il nostro
modello di gravità (la Relatività Generale), non sono tuttavia in grado di descrivere una serie
importante di fenomeni estremi: le interazioni elettro-nucleari ad altissima energia (che
comporterebbero la produzione di campi gravitazionali), le orbite di oggetti esterni attorno alle
galassie, la “piattezza” (in termini tridimensionali) dell'universo, l'espansione accelerata
dell'universo (attuale e nei primi istanti dopo il Big Bang), l'evoluzione di un buco nero e la sua
struttura centrale.
Anche le leggi note, al contempo, presentano tutta una serie di parametri (una ventina almeno) che
sono stati acquisiti attraverso gli esperimenti, e che potrebbero variare in situazioni estreme. Ciò che
ci si aspetta è che invece una “teoria del tutto” sappia predirli esattamente a partire dal solito
"principio unico". Ci sono poi ingredienti del Modello Standard che sono stati inseriti a forza senza
motivarli sulla base di principi di simmetria: tra questi ci sono la massa del neutrino e lo stesso
campo di Higgs.
Un altro fenomeno è il celebre "Entanglement quantistico", sorprendente e misterioso (e quasi
magico per i profani), ed anche controverso secondo alcuni fisici, se non fosse che esso si presenta e
si ripresenta come un aspetto caratteristico e ineliminabile della realtà quantistica. Si tratta (per
esprimerlo in termini semplici) del legame indissolubile che rimane tra due particelle identiche
prodotte da una stessa causa, le quali, rimanendo in uno stato di “sovrapposizione”, non si rendono
totalmente indipendenti l'una dall'altra, e sono in grado di effettuare tra di loro (per così dire) certe
particolari “comunicazioni” istantanee (a qualunque distanza, nonostante il limite massimo imposto
dalla Relatività di Einstein per una qualsiasi velocità nell'universo sia quella della luce.) L'effetto è
una conseguenza di un dogma fondamentale su cui si fonda l'intera teoria, noto agli insider come
"regola di commutazione o di anti-commutazione", che viene utilizzato perché “funziona”, senza
avere tuttavia una valida idea del perché sussista.
Infine ci si chiede perché tutte le particelle note esistano in tre varietà (o famiglie o sapori), uguali
in tutto e per tutto per le loro qualità eccetto che per la massa. Esplicitamente incontriamo i tre
leptoni carichi (il "leggero" elettrone accompagnato dal "pesante" muone e dal "pesantissimo"
tauone), i tre neutrini (neutrino elettronico, muonico e tauonico), i tre quark positivi (up, charm e
top), e infine i tre quark negativi (down, strange e bottom).
La Teoria del Campo di Ordinamento (Arrangement Field Theory, AFT) è una proposta per
coprire almeno parte delle succitate lacune. Non solo essa deriva da un "principio unico", ma tanto
il Modello Standard, quanto la Relatività Generale (1916), possono derivare o scaturire
spontaneamente dalla stessa teoria, ovviamente nei limiti in cui ciascuna di esse rimane contenuta
entro il suo ambito di azione. Al di fuori di questi ambiti, proprio dove si manifestavano le succitate
lacune, l'AFT, pur proseguendo naturalmente le proprie predizioni, non presenta strappi matematici
o contraddizioni con quanto gli esperimenti hanno già provato.
L'AFT, già descritta a livello divulgativo su Fenix (n.41, Marzo 2012) e in maggior dettaglio su
ArXiv negli articoli, dello stesso autore di questo scritto, The arrangement field of the space-time
points, http://arxiv.org/abs/1201.3765 (2012), Principles of Arrangement Field Theory,
http://arxiv.org/abs/1207.1825
(2012),
How
to
build
a
gravity
generator,
http://arxiv.org/abs/1206.5665 (2012), e filosoficamente interpretata da un'articolo pubblicato da
Scientia (Coppola, n.124, 2013), http://dx.doi.org/10.12969/Scientia.Vol124.Sect2.Art01 , si sviluppa a
partire da un'estensione del concetto di "Relatività": se da un lato già la Relatività Ristretta (1905)
di Einstein rendeva (per così dire) “soggettiva” (cioè caratteristica del particolare sistema di
riferimento adottato) la misura di distanze e di intervalli temporali, così come il concetto di
contemporaneità, dall'altro ne rendeva “oggettiva” la topologia (la forma).
La teoria è facilmente comprensibile se immaginiamo un universo (o una sua approssimazione)
discretizzato, ovvero composto da blocchi elementari che chiameremo "atomi di spazio-tempo”.
Una nota, forse superflua. Occorre fare attenzione alla terminologia: naturalmente, in questo
contesto, “atomo di spazio-tempo” non dev'essere interpretato nel senso di “atomo” come viene
inteso oggigiorno, come sistema materiale (generalmente stabile) composto di particelle elementari
(protoni e neutroni nel nucleo, elettroni negli orbitali circostanti), ovvero come l'unità basilare di
materia che caratterizza ciascun diverso elemento chimico, come ad esempio idrogeno, elio, litio,
carbonio, ossigeno, alluminio, zolfo, ferro, oro, platino, uranio ed altre decine. Nel nostro caso,
riprendendo l'etimologia della parola “atomo” (“indivisibile”), intenderemo un'infinitesima (o
meglio infima) zona di spazio generalizzato, cioè di spazio-tempo (avendo incluso appunto il tempo
come quarta dimensione oltre alle tre spaziali).
La topologia in tal caso definisce, per ogni "atomo di spazio tempo", quali altri "atomi" siano in
contatto con (contigui ad) esso. In AFT la topologia diventa per così dire, meno “oggettiva”, cioè
correlata alle possibili osservazioni del ricercatore: in AFT la topologia dell'universo è definita in
termini probabilistici mediante una matrice M, di dimensione N x N, dove N è il numero di "atomi
di spazio" (cioè, in sostanza, di punti spazio-temporali, discretizzati) che compongono l'universo, in
cui ogni casella Mij definisce l'ampiezza di probabilità affinché l' "atomo spaziale" etichettato con
"i" sia in contatto con l' "atomo spaziale" etichettato con "j".
Non esiste quindi una sola forma possibile per l'universo, ma più forme con diverse probabilità di
apparire e di mutare l'una nell'altra, con una probabilità non nulla che nel passaggio tra una forma e
l'altra ci siano luoghi prima "vicini" che possono ritrovarsi poi "lontani" e viceversa.
Nota. Come il lettore avrà notato, l'articolo, che nella prima parte era prevalentemente divulgativo,
inizia adesso ad assumere caratteri più tecnici.
In AFT la casella Mij viene interpretata inoltre come un qualche campo (vettoriale - di spin 1 o di
spin 3/2) valutato nel punto "i" e proiettato sul vettore che unisce l' "atomo" "i" all' "atomo" "j"
orientato da "i" a "j".
M ij =eij Aij ( i )
[ Più precisamente sarebbe Mij = eij(Aij+2∂ij) ]
La teoria è quindi locale per ogni data configurazione.
5) Dettagli.
Veniamo ora al concetto di dimensione, che a livello pratico della nostra esperienza non è diverso
dal concetto di direzione. Nel nostro quotidiano percepiamo tre direzioni: altezza, larghezza e
profondità, ma non c'è alcun motivo per cui non debbano esisterne altre. Così, come nelle tre
dimensioni possono esistere infiniti piani infinitamente estesi e al contempo paralleli (uno sopra
l'altro) senza punti di contatto, se esistesse una quarta dimensione potremmo ritrovarci con infiniti
universi paralleli (uno accanto all'altro lungo la quarta dimensione), infinitamente estesi nelle tre
dimensioni e senza punti di contatto. In certa letteratura esoterica il termine "dimensione" viene
sovente frainteso e usato a sproposito, chiamando quarta dimensione un universo parallelo al nostro
e quinta dimensione un terzo universo parallelo a entrambi. Ciò ovviamente è privo di senso. Dire
che un'entità proviene dalla quarta dimensione, non ha più senso che dire che qualcuno proviene
dall'altezza o dalla larghezza.
In AFT, le dimensioni di una data configurazione dell'universo sono definibili come il numero
minimo di sequenze indipendenti (ovvero senza elementi in comune),
...-Mij-Mjk-Mkl-Mlm-Mmn-Mno-Mop-...
...-Mab-Mbc-Mcd-Mde-Mef-Mfg-Mgh-...
...-Mrs-Mst-Mtu-Muv-Mvw-Mwx-Mxy-...
...-...-...-...-...-...-...-...-...
dove ogni elemento sia ≠ 0, affinché siano impiegati tutti gli elementi di M diversi da 0 (si tratta
sostanzialmente di determinare il numero massimo di "catene" di "atomi" che possono essere
costruite in modo tale che in qualche punto dell'universo ognuna di esse sia perpendicolare a tutte le
altre). Le succitate sequenze inducono naturalmente delle coordinate "quantizzate", ognuna delle
quali seguirà i punti "...,i,j,k,..." della sequenza corrispondente, incrementando di una unità per ogni
passaggio da un punto al successivo.
Si consideri adesso una configurazione media <M> di dimensione d. Qualunque altra
configurazione può essere sviluppata attorno alla media aggiungendo o sottraendo "connessioni" tra
punti. Si avranno allora degli "atomi" separati nella configurazione media che saranno invece
limitrofi nella configurazione in esame. Se interpretiamo la configurazione media <M> come lo
spazio-tempo percepito macroscopicamente nella vita quotidiana, le connessioni derivanti da altre
configurazioni potranno dare quindi contributi non-locali nello spazio-tempo "medio". Questi
contributi, che possono essere considerati in tutto e per tutto dei cosiddetti microscopici wormholes
(gli ipotetici e quasi fantascientifici “cunicoli”, detti anche “ponti di Einstein-Rosen, che
costituirebbero una “scorciatoia” tra punti lontani dello spazio-tempo) sarebbero perfettamente in
grado di motivare anche il “misterioso” fenomeno dell'entanglement quantistico in termini
geometrici. In pratica, la comunicazione tra particelle "gemelle" avverrebbe attraverso scorciatoie,
canali brevissimi che escono dalle tre dimensioni ordinarie e così facendo riescono ad unire punti
lontani (nelle tre dimensioni) malgrado la loro brevità.
L'AFT riesce a prevedere le dimensioni d della configurazione media, le quali risultano essere 4, di
cui 3 spaziali e una temporale, esattamente le dimensioni percepite nella vita di tutti i giorni. Le
dimensioni della configurazione media risultano inoltre legate al numero (f) di famiglie (vedi sopra)
attraverso una semplice relazione:
d
f= 2d / 2−1 ± √
2
Vediamo allora che per d = 4 le famiglie possono essere 3 oppure 1. E tre famiglie sono quelle in
effetti rivelate dagli esperimenti.
6) L'Interpretazione dello Spin.
Altra scelta (motivata) dell'AFT è la definizione delle ampiezze di probabilità, come vedremo più
avanti, non attraverso i “numeri complessi”, ma attraverso un anello di “numeri ipercomplessi” Ԉ
che scopriremo accordarsi ai risultati sperimentali per Ԉ = gl(5,C), ovvero l'anello delle matrici
complesse 5x5.
Nota. Il Modello Standard restituisce previsioni in termini di numeri ordinari - chiamati "numeri
reali" - per l'ovvia necessità di confrontarli con i concetti reali di spazio, tempo e traiettorie. I suoi
calcoli utilizzano però un insieme di numeri più ampio - i cosiddetti "numeri complessi" - per i quali esistono regole precise ma che generalmente non si riscontrano nella realtà ordinaria (a parte casi
specifici come lo studio delle onde). Basti dire che i numeri complessi sono una combinazione di
numeri reali e numeri cosiddetti “immaginari”, poiché ai matematici che li trattarono (come Eulero
e Cartesio) sembravano totalmente privi di collegamento con la realtà.
E' bene precisare che i “numeri complessi” erano già stati scoperti tempo prima da Raffaele Bombelli, che ne parlò nel libro “L'algebra” del 1564 (corredato da un lungo sottotitolo), proponendo
un'idea a suo dire “surda” (ovvero ”assurda” secondo la lingua italiana di allora, che proprio in quel
secolo si stava affermando a discapito del latino): ovvero i numeri immaginari, definiti appunto
“surdi” o “quantità silvestri” (oltre che col curioso ma fuorviante nome “più di meno”). Bombelli
aveva dovuto postulare l'esistenza dei numeri immaginari (e conseguentemente dei numeri complessi) per risolvere sistematicamente le equazioni algebriche di grado terzo o superiore.
Tornando alla nostra trattazione, se l'espansione dai numeri reali ai complessi è obbligatoria nel
Modello Standard, non c'è motivo per cui una Teoria del Tutto non debba considerare un'espansione
più ampia, come appunto al'anello dei numeri ipercomplessi Ԉ.
E' interessante che l'elemento Mij restituisca l'operatore di derivata covariante nello spazio-tempo
discretizzato:
M ij =eij ( Aij (i )+2 ∂ij )
Potremmo dire che la componente Mij definisce una connessione tra l' "atomo" (ricordiamolo, di
spazio-tempo) "i" e l' "atomo" "j" e al contempo, applicata ad un altro campo (che sarà sempre una
parte di M), restituisce il momento lineare di quel campo in direzione "i -> j".
Nota. Nel Modello Standard ogni particella/campo è descritta/o da una funzione matematica, ed
applicandovi l'operatore ∂ questo restituisce il momento lineare della particella, ovvero la massa
moltiplicata per la velocità. Per chi non abbia familiarità con la matematica, basti capire che
l'elemento Mij si occupa sia di creare una connessione tra l'atomo "i" e l'atomo "j", sia di innescare
in questo tratto una vibrazione - percepita come particella - che possegga un certo momento lineare.
Ciò permette di interpretare similmente le componenti diagonali M ii che definiscono connessioni tra
il punto "i" e sé stesso.
L'applicazione di Mii ad un altro campo restituisce un elemento in Ԉ dato dalla somma di 3 numeri
razionali moltiplicato ognuno per un'unità immaginaria di Ԉ. Ebbene, questi numeri razionali sono
esattamente lo spin del campo e i suoi autovalori per le due matrici della subalgebra di Cartan
dell'algebra SU(3) di sapore.
Così lo spin (nascosto in Mii) può essere interpretato come il momento di un campo lungo un
percorso chiuso infinitesimo presso l' "atomo" "i". Il Modello Standard prevede infatti che la
maggior parte delle particelle possegga spin, ovvero una caratteristica che le fa interagire una con
l'altra come se stessero ruotando, un concetto che non ha molto senso trattandosi di oggetti
puntiformi, che non significa "molto piccoli", ma occupanti – ovvero percepiti in – un singolo punto
dello spazio. L'AFT spiega questa rotazione non proprio come una rotazione attorno a sé stessi, ma
come il moto circolare lungo un percorso talmente ristretto da far sembrare che la particella ruoti
attorno a sé stessa.
7) La Questione della Misura.
Notiamo che la matrice M svolge anche, in un certo senso, le funzioni di un osservatore (per i
controversi e fonti di interminabili discussione sui paradossi riguardante l'apparente figura
necessaria di un osservatore nella meccanica quantistica, si possono consultare innumerevoli articoli
e testi). Ovvero la matrice M, per sua intrinseca natura, compie implicitamente delle misurazioni.
Passiamo per un momento al limite continuo
M ij → M ( x,y )
i --> x
j --> y
Prendiamo ora un campo locale D(y) esprimibile come una somma di autostati Ak(y):
D( y )=∑ d k A k ( y )
k
E consideriamo una forma speciale di M che sia
M ( x,y ) =A k̂ ( x ) Ak̂ ( y )
per un fissato k̂ . Nel continuo, il prodotto matriciale P = M*D diventa una convoluzione del tipo
P ( x )=∫ dyM ( x,y ) D( y )=Ak̂ ( x )∫ dyAk̂ ( y ) D( y ) =d k̂ Ak̂ ( x )
Per cui, nel prodotto con M, il campo D “collassa” (e viene misurato) in una sola delle sue originali
componenti, ovvero nell'autostato A ̂k .
Cerchiamo di spiegare la cosa in parole povere. Se le particelle/campi di una certa zona di universo
si trovano in una configurazione precisa, non è assolutamente detto che dopo un certo tempo la
configurazione rimanga tale. Per esempio, un atomo di uranio non decaduto, dopo qualche tempo
può trovarsi in una configurazione indefinita dove è contemporaneamente (per usare la notazione di
Dirac |vettore generico>, che rappresenta gli stati quantistici) nello stato |decaduto> e |nondecaduto>. Quando qualcuno lo analizza, esso si rende "studiabile" e sceglie "a caso" una delle due
configurazioni.
E' sostanzialmente l'idea espressa dal cosiddetto paradosso del "gatto di Schrödinger", ovvero:
posso collegare l'atomo di uranio a una fiala di veleno in modo che il decadimento inneschi
l'apertura della fiala; dopodiché posso chiudere il tutto in un baule insieme ad un gatto. Finché non
apro il baule e ci guardo dentro, il povero gatto sarà allo stesso tempo |vivo> e |morto>.
Secondo la cosiddetta "interpretazione di Copenaghen", è l'azione di osservazione effettuata da un
essere cosciente che impone all'atomo di scegliere l' “autovettore” su cui collassare e quindi l'
“autovalore” (cioè il risultato effettivo della misura). Secondo invece l' "interpretazione a
multimondo di Everett" lo stesso osservatore fa parte del sistema ed esisterebbe in due stati
sovrapposti abitanti in universi paralleli, ovvero |osservatore-che-aprirà-il-baule-trovando-il-gattovivo> ed |osservatore-che-aprirà-il-baule-e-troverà-il-gatto-morto>. Quindi l'atomo non sceglie ma
continua ad esistere in due stati, mentre l'osservatore, che prima era unico, |osservatore-che-non-sadel-baule>, trovandosi di fronte al baule viene a dividersi in due, e così l'intero universo che diventa
due universi, uno per ogni destino del sistema osservatore + baule.
In AFT l'osservatore è incorporato nella solita matrice M, motivo per cui deve seguire le stesse
regole di ogni aggregato di materia, ponendoci obbligatoriamente nella visuale a multimondo. La
capacità di misurare, identificabile con un “atto di coscienza” – checché ne dicano gli scettici,
spesso condizionati dalla vecchia fisica materialistica ottocentesca –, sembra pertanto insita nei
costituenti fondamentali dell'universo, o meglio, l'universo stesso potrebbe essere una coscienza che
studia sé stessa e si auto-interpreta in termini di campi o particelle.
Il paradosso del gatto di Schrödinger.
8) Bosoni e Fermioni.
La teoria predice che le componenti diagonali della matrice M (campi scalari e spinoriali di spin
1/2) soddisfino relazioni di anti-commutazione. I campi scalari in AFT sono allora, come si dice in
termini "tecnici", tutti “ghosts” e devono essere eliminati da regole di selezione (salvo ammettere
campi a energia negativa).
La teoria predice inoltre che le componenti non diagonali di M (campi vettoriali e spinoriali di spin
3/2) soddisfino relazioni di commutazione. Anche icampi di spin 3/2 in AFT sono allora tutti
“ghosts” e devono essere eliminati da regole di selezione (salvo ammettere campi a energia
negativa).
L'AFT fornisce poi un'elegante interpretazione geometrica dei campi in termini di vibrazioni su
sottospazi conoidali dell'universo. Per uno stesso cono, le vibrazioni lungo sezioni circolari si
definiscono fermioni, mentre le vibrazioni lungo sezioni iperboliche costituiscono i bosoni.
La forza di gravità è descritta in AFT da una connessione di SL(2,C), corrispondente ad un campo
a
di spin 1, e da una tetrade e μ che viene trattata come un accoppiamento e le cui equazioni (dette di
Einstein) sono equazioni di rinormalizzazione. La connessione gravitazionale deriva inoltre, per
rottura di simmetria, da una connessione di "grande unificazione" per il gruppo GL(6, Ԉ).
In parole povere, l'AFT ci dice che non esiste una reale distinzione tra i bosoni, le particelle che
trasportano una forza (fotoni, gravitoni, bosoni W e Z, gluoni), e i fermioni, particelle di materia
ordinaria (elettroni, quark, neutrini), ma si tratterebbe invece degli stessi soggetti visualizzati da
differenti angolazioni.
9) La MatriX.
L'AFT, sviluppata attraverso un procedimento noto come "seconda quantizzazione", sostiene
l'esistenza di una connessione minimale "di vuoto" tra qualunque coppia di atomi nell'universo.
Chiaramente il trasferimento di informazione attraverso queste connessioni - wormholes decisamente "strette" è limitata, ma trasforma comunque l'universo in una rete intricata dove tutto è
collegato a tutto. Questa scoperta, unita alla succitata capacità di misura, sembrerebbe rendere di
fatto l'universo una mente pensante, come già proposto da vari fisici (come Jeans, Wigner, Wheeler,
Stapp, Davies, Hagelin, Penrose, Coppola).
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