Moneta di carta e banche di eMissione

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Oggi paghiamo la maggior parte dei nostri acquisti quotidiani con speciali pezzi di carta (le banconote), posti in circolazione da uno speciale tipo di banche (le banche di emissione, o banche centrali). Come sono
nate e come si sono affermate nell’Italia dell’Ottocento le banconote e le banche di emissione? E soprattutto:
quali sono i nessi con le vicende dell’unificazione nazionale?
Dopo i lunghi secoli di depressione economica seguiti alla caduta dell’Impero Romano, il primo embrione di attività bancaria cominciò a sorgere in Occidente dopo l’anno Mille, per effetto della ripresa dell’attività
economica e del commercio tra le varie regioni d’Europa. La prima figura che comparve fu quella dei campsores o
cambiavalute, che svolgevano le due funzioni fondamentali richieste dagli operatori economici del tempo: il cambio delle monete e il trasferimento dei fondi da un luogo all’altro nel modo meno rischioso possibile.
La necessità del cambio nasceva dalla nuova situazione monetaria che si era andata affermando in Europa. Per secoli erano circolati solo denari d’argento che, col tempo, avevano perso valore e si erano deteriorati.
Le nuove esigenze dell’economia portarono prima a coniare monete d’argento più pesanti (i cosiddetti grossi) e
poi, dopo la metà del Duecento, a riprendere la coniazione delle monete d’oro (il genovino, il fiorino e il ducato,
Moneta di
carta e banche
di emissione
di Sergio Cardarelli
che furono le monete forti dell’epoca). Presero dunque a circolare contemporaneamente piccoli e grossi denari
d’argento e monete d’oro e la loro parità con la lira (con la quale continuavano ad essere espressi i prezzi secondo
la formula: 1 lira = 20 soldi = 240 denari) variava frequentemente. Di qui il rilievo assunto dall’attività di cambio.
Ma l’importanza dei cambiavalute non si limitava ad agevolare il sistema dei pagamenti: essa si estendeva anche al finanziamento del commercio internazionale attraverso lo strumento della lettera di cambio, in sostanza una cambiale tratta, che consentiva di effettuare pagamenti a distanza senza rischiose movimentazioni di
moneta metallica. La lettera di cambio fu la maggiore innovazione finanziaria del tempo; essa ha attraversato i
secoli ed è tuttora uno strumento importante dell’attività economica.
Col tempo i cambiavalute furono affiancati da una nuova figura, quella dei mercanti-banchieri, che diede vita alle grandi compagnie bancarie medievali dedite al finanziamento del commercio internazionale (sempre
attraverso lo strumento della lettera di cambio) e ai grandi prestiti. Le più famose compagnie furono quelle dei
fiorentini Bardi e Peruzzi, e più tardi quella dei Medici. L’Italia (e soprattutto la Toscana) era allora il centro finanziario dell’Europa. Firenze cominciò a perdere il primato attorno al 1520-1530 a favore di Genova, che dominò
incontrastata la finanza europea fino ai primi decenni del Seicento, quando venne soppiantata da Amsterdam.
Anche Venezia, prima di Genova, aveva avuto un ruolo di rilievo. Non vanno poi certo dimenticati i Fugger di Augusta, che operarono nel XVI secolo.
È importante sottolineare che la funzione principale svolta dai cambiavalute e dalle compagnie bancarie
era agevolare il trasferimento di fondi da un soggetto all’altro, minimizzando i rischi dell’operazione. Essi svolge-
88 Album della Banca Nazionale 1868. Segretario
generale e capi divisione (Roma, Archivio storico
Banca d’Italia).
vano una funzione essenziale per il funzionamento delle economie del tempo, ma non emettevano moneta. Le lettere di cambio erano titoli di credito, non moneta aggiuntiva e sostituivano nella circolazione la moneta metallica.
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PARTE II. TEMI
Moneta di carta e banche di emissione
A partire dalla seconda metà del Quattrocento e soprattutto nel Cinquecento le compagnie bancarie
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private furono soppiantate da un nuovo tipo di istituzione, il banco pubblico di deposito, che nacque su iniziativa
diretta delle autorità soprattutto allo scopo di soddisfare le esigenze delle pubbliche finanze, sempre più rilevanti per le forti spese belliche. I banchi pubblici (fra quelli sorti in Italia vanno ricordati il Banco di San Giorgio a
Genova, il Banco di Sant’Ambrogio a Milano, il Banco di Santo Spirito a Roma, il Monte dei Paschi a Siena e i vari
monti napoletani che dettero poi vita al Banco di Napoli) svolgevano però anche importanti funzioni bancarie. In
un’epoca di grande disordine monetario – originato dalla continua diminuzione del titolo e del peso delle monete
ad opera dei sovrani e dalla variazione del rapporto tra oro e argento a seguito dei massicci afflussi, soprattutto
di quest’ultimo metallo, dall’America – il ruolo dei banchi divenne essenziale: alle monete che circolavano, il cui
valore era di difficile accertamento da parte degli operatori, i banchi pubblici sostituivano la cosiddetta moneta di banco, spesso una mera moneta di conto utilizzata per registrare i depositi dei clienti. La banca appurava
il quantitativo effettivo di metallo presente nelle monete versate, lo rapportava al contenuto teorico di metallo
assegnato alla moneta di banco ed effettuava la registrazione in tale moneta. Il valore della moneta di banco era
rappresentato da un diritto di convertibilità in monete aventi un determinato peso. Tale valore era certificato dalla banca, ente di diritto pubblico che godeva di una larga fiducia. A fronte dei depositi ricevuti, i banchi rilasciavano delle ricevute cartacee, le fedi di deposito o di credito, che potevano girare ed erano generalmente accettate da tutti. I banchi pubblici svolgevano quindi una funzione essenziale per facilitare i pagamenti e agevolare per
questa via il commercio, ma neanche loro emettevano vera moneta aggiuntiva. Le fedi di deposito, infatti, erano
uno strumento fondamentale per l’ordinato svolgimento del sistema dei pagamenti, ma si limitavano, di norma, a
sostituire nella circolazione quella metallica depositata dai clienti.
Verso la fine del Seicento le esigenze monetarie dell’economia, anche a seguito dello sviluppo economico innescato dalla Rivoluzione industriale, crebbero notevolmente, e non fu più possibile soddisfarle col solo
stock metallico, che ormai aumentava molto lentamente per l’inaridirsi del flusso di metalli preziosi proveniente
dall’America. Erano maturi i tempi per un’ulteriore innovazione finanziaria, il biglietto di banca, che fece fare al
sistema finanziario un vero salto di qualità. Questo mezzo di pagamento era emesso da un nuovo istituto, la banca
di circolazione, poi denominata di emissione. Oltre a operare sul mercato come le altre banche, questa aveva il
privilegio di emettere biglietti, una passività che poteva essere creata non solo a fronte dei depositi ricevuti ma
anche dei prestiti concessi.
Non è questa la sede per una disamina puntuale delle complesse vicende della nascita e della diffusione
universale della moneta cartacea che oggi conosciamo; qui interessa invece mettere in evidenza gli aspetti teorici
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89 Ritratto di Francesco Datini, Palazzo
del Comune, Prato (The Bridgeman Art Library).
Francesco di Marco Datini (Prato, 1335-1410)
realmente innovativi del nuovo strumento. Anzitutto va sottolineato che, essendo a taglio fisso e al portatore, il
è stato un mercante-banchiere italiano che
biglietto di banca era uno strumento molto più comodo della lettera di cambio o della fede di credito e non c’era
si arricchì commerciando lana verso Roma
bisogno di apporre girate quando veniva ceduto in pagamento. In secondo luogo, e qui sta la vera innovazione,
una delle più importanti del Trecento.
e Avignone. La sua compagnia bancaria divenne
PARTE II. TEMI
Moneta di carta e banche di emissione
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90 Scuola italiana, Ritratto di Giovanni di Bicci
de’ Medici, Collezione privata (The Bridgeman Art
Library). Giovanni di Bicci de’ Medici (Firenze,
1360-1429) fondò nel 1397 il Banco de’ Medici,
che nel corso del XV secolo divenne una delle più
rilevanti banche d’Europa.
la banca di emissione metteva in circolazione un quantitativo di biglietti molto maggiore della riserva metallica
presente nelle proprie casse, fidando nel fatto che, in tempi normali, solo una piccola frazione delle banconote
91 In alto: lettera di cambio scritta a Firenze
il 4 agosto 1385 e inviata da Rinieri Filippo e
era presentata giornalmente agli sportelli per essere cambiata in moneta metallica, mentre la maggior parte dei
Luca di Piero ad Altoviti Bindo di messer Arnaldo
biglietti restava in circolazione. Il biglietto di banca non era quindi un sostituto della moneta metallica, ma vera
ad Avignone, Prato, Archivio di Stato, Datini.
moneta aggiuntiva, e la banca che lo emetteva non si limitava a rendere più efficiente la moneta metallica in cir-
Carteggio ricevuto dal fondaco di Avignone,
1368-1414, n. 1142.65/ 135702 (su concessione
colazione, come era stato generalmente per i banchi pubblici di deposito, ma creava essa stessa moneta. Ovvia-
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Aut.
mente la chiave di volta del sistema, in un regime di moneta fiduciaria, stava nella capacità della banca emittente
n. 10/2011 Archivio di Stato di Prato).
92 In basso: lettera di cambio scritta ad Ancona
il 2 marzo 1818 per 4000 lire di Milano (Roma,
Banca d’Italia, Servizio Segretariato).
di assicurare in ogni momento la convertibilità dei biglietti in moneta metallica.
Col tempo il biglietto di banca ha perso le caratteristiche di moneta fiduciaria: attualmente esso è una
moneta puramente convenzionale, il cui valore è totalmente svincolato dalla presenza di metalli preziosi a coper-
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PARTE II. TEMI
Moneta di carta e banche di emissione
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tura, ed è garantito solo dal fatto di essere riconosciuto come moneta a corso legale in un determinato Stato.
La prima banca di emissione fu la Banca di Stoccolma, istituita nel 1668, seguita poi dalla Banca d’Inghilterra, fondata nel 1694 nel paese che, nei due secoli seguenti, sarebbe diventato la guida dell’economia mondiale. In Italia occorrerà attendere ancora un secolo e mezzo per vedere sorgere la prima banca di circolazione autorizzata a emettere biglietti: fu la Banca di Genova, istituita nel 1844 nel Regno di Sardegna, che cinque anni dopo,
nel 1849, si fuse per iniziativa di Cavour con la Banca di Torino, appena fondata, dando vita alla Banca Nazionale.
Alla vigilia dell’Unità, nella penisola esistevano numerose banche di emissione che generalmente operavano in regime di monopolio all’interno dei vari stati: la Banca Nazionale nel Regno di Sardegna; la Banca Parmense nel Ducato di Parma; lo Stabilimento Mercantile di Venezia in Veneto; la Banca delle Quattro Legazioni nei
territori pontifici dell’Emilia Romagna; la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito (autorizzata ma
non ancora operante) nel Granducato di Toscana; la Banca dello Stato Pontificio (poi ribattezzata Banca Romana
dal 1870) nel territorio laziale; il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie. È da notare che la
forma giuridica dei due banchi meridionali era diversa da quella delle altre banche: essi erano infatti enti morali
e non società per azioni, emettevano fedi di credito all’ordine e non ancora veri e propri biglietti e, diversamente
dalle altre, non erano banche di nuova costituzione ma le eredi dirette dei banchi pubblici rinascimentali.
I biglietti che allora circolavano erano di taglio elevato, non servivano dunque per le transazioni quotidiane, e rappresentavano una quota minima dei mezzi di pagamento (meno del 9 per cento, che arrivava al 22 per
cento tenendo conto delle fedi di credito dei due banchi meridionali).
Dopo l’Unità, nonostante una chiara preferenza del governo per l’opzione monopolista – testimoniata
da alcuni progetti di fusione tra le banche di emissione per azioni, che si esaurirono senza successo nel primo
quinquennio – non si arrivò ad accentrare l’emissione dei biglietti in un unico istituto. Prevalse soprattutto l’esigenza di evitare contrasti con i gruppi politici meridionali e toscani, tendenzialmente favorevoli alla sopravvivenza delle banche locali. Si affermò quindi, di fatto, un sistema di emissione pluralistico, basato sui maggiori istituti
di emissione già esistenti, che era anche quello preferito dalla maggioranza del Parlamento. Accanto alla Banca
Nazionale (dal 1866 denominata “nel Regno d’Italia”) restarono in piedi le due banche toscane e i due banchi meridionali. Ad esse si aggiunse, dopo il 1870, anche la Banca Romana.
Il governo aveva comunque bisogno di un grande e solido istituto su cui contare per le sue esigenze
finanziarie, che fosse anche in grado di contribuire all’unificazione del mercato nazionale. Alla Banca Nazionale
93 Fede di credito del Banco delle Due Sicilie,
fu quindi consentito nel 1861, prima della proclamazione del Regno d’Italia, di incorporare le banche di emissio-
emessa a Napoli il 16 febbraio 1816 (Roma, Museo
ne più piccole (la Banca Parmense e la Banca delle Quattro Legazioni) e soprattutto ne fu agevolata l’espansione
della Moneta, Banca d’Italia).
94 Prima pagina del Regolamento interno
della Banca di Genova, 1845 (Roma, Archivio
storico Banca d’Italia).
territoriale, che assunse nel primo decennio del Regno un ritmo vertiginoso (le sue dipendenze passarono da 8
nel 1860 a 29 nel 1862, a 45 nel 1865 e a 67 nel 1870). Alla fine di quel periodo, la Banca Nazionale nel Regno
era l’unico istituto presente su tutto il territorio nazionale; i suoi biglietti circolavano in tutto il paese, mentre la
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PARTE II. TEMI
Moneta di carta e banche di emissione
diffusione di quelli delle altre banche era circoscritta ad ambiti locali.
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L’opportunità per il governo di poter contare su una grande banca di emissione nazionale fu evidente
nel 1866, in occasione della Terza guerra d’indipendenza. Per far fronte alle spese belliche il governo negoziò un
rilevante prestito con la Banca Nazionale, che in cambio ottenne per i suoi biglietti il privilegio del corso forzoso
(tutti erano obbligati ad accettarli in pagamento, senza che essa fosse tenuta a convertirli in moneta metallica),
mentre i biglietti delle altre banche restavano a corso fiduciario. La circostanza ebbe naturalmente l’effetto di
favorire ulteriormente la Banca Nazionale nel Regno, che incorporò anche lo Stabilimento Mercantile di Venezia
dopo la fine del conflitto e l’annessione del Veneto.
Per effetto di tutte queste circostanze la Banca Nazionale nel Regno assunse una posizione assolutamente dominante nei confronti degli altri istituti di emissione arrivando a detenere, riguardo alla circolazione dei
biglietti, i tre quarti della quota di mercato.
È interessante notare che anche in occasione della Prima e Seconda guerra d’indipendenza, nel 1848
e nel 1859, la Banca Nazionale aveva concesso un prestito al governo piemontese, sempre ottenendo in cambio il
privilegio del corso forzoso per i propri biglietti. Ma in quelle due occasioni dopo pochi mesi si era ritornati al normale regime fiduciario, mentre il corso forzoso introdotto nel 1866 si protrasse per ben 17 anni.
Il regime del corso forzoso accordato ai biglietti della Banca Nazionale ebbe anche l’effetto di produrre modificazioni sostanziali e durature nel sistema dei pagamenti. Le monete metalliche, che avevano un valore
intrinseco, furono in gran parte tesaurizzate e sparirono ben presto dalla circolazione, sostituite dai biglietti di
piccolo taglio emessi in tutta fretta dalle banche di emissione ma anche da parte di altri soggetti non autorizzati
come banche ordinarie, camere di commercio, società operaie e semplici negozianti. Fu il primo, fondamentale
passo per la definitiva affermazione della moneta cartacea, in luogo di quella metallica, per le necessità della vita
quotidiana della popolazione. Alla fine del 1874 la quota dei biglietti era arrivata quasi al 60 per cento del totale
dei mezzi di pagamento.
Nello stesso anno fu varata la prima legge organica dello Stato italiano in materia di emissione dei bi-
96
glietti, che confermò la facoltà di emissione per le sei banche esistenti, dettando regole precise per l’ammontare
della circolazione. La legge aveva l’obiettivo di porre fine al disordine monetario che aveva caratterizzato il periodo successivo all’introduzione del corso forzoso, la cui manifestazione più evidente, come si è accennato, era
stata l’emissione abusiva di biglietti. La legge mirava anche a parificare la situazione delle banche di emissione,
del Banco di Sicilia, emessa il 10 ottobre 1866
forzoso venne infatti affidata a un organo di nuova istituzione, il Consorzio fra gli istituti di emissione, a cui par-
(Roma, Archivio storico Banca d’Italia).
tecipavano tutte e sei le banche.
Nel 1881 il governo ritenne che fossero maturi i tempi per tornare alla convertibilità e aderire al gold
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95 Fede di credito a taglio fisso (2 lire)
ponendo fine al privilegio di cui aveva sino allora goduto la Banca Nazionale: l’emissione delle banconote a corso
standard. Fu sottoscritto un prestito in oro, garantito da un pool di banche; le operazioni di conversione dei bi-
96 Benvenuto di Giovanni, Le finanze del Comune
in tempo di pace e in tempo di guerra, 1468.
Tavoletta di biccherna. Siena, Archivio di Stato
(The Bridgeman Art Library).
PARTE II. TEMI
Moneta di carta e banche di emissione
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glietti iniziarono due anni dopo, nel 1883, per dar modo alle banche che avevano assunto il prestito di reperire
sui mercati esteri la valuta metallica necessaria. L’operazione ebbe all’inizio un grande successo: i biglietti erano
addirittura preferiti alle monete. La massiccia iniezione di liquidità, in gran parte proveniente dall’estero, diede
così avvio a una rapida e incontrollata espansione del credito, soprattutto verso il settore edilizio e le speculazioni
fondiarie. Poche furono però le imprese industriali create grazie alla favorevole congiuntura. Fu un periodo di
vera e propria euforia innescata dalla possibilità di rapidi e facili guadagni, che ebbe però una durata molto limitata. Già a partire dal 1887 iniziarono infatti le difficoltà sul mercato fondiario; i crediti esteri furono richiamati
e il paese entrò in una crisi gravissima, che ebbe il suo culmine nel biennio 1893-1894. Fu un vero e proprio terremoto, che sconvolse l’assetto degli istituti di emissione e dell’intero sistema bancario italiano. La convertibilità
dei biglietti fu di fatto sospesa.
Fallirono le due maggiori banche ordinarie e una miriade di istituti minori. Successivamente sorsero
le grandi banche miste (Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma), che accompagnarono lo sviluppo
economico italiano nei decenni successivi.
Per quanto riguarda l’emissione si dovette constatare il fallimento definitivo del sistema pluralistico
quale si era andato configurando nel trentennio postunitario: ad alimentare la crisi aveva contribuito in modo
rilevante sia l’intensificata concorrenza tra le banche di emissione sia l’incapacità governativa di dettare regole
chiare in materia di entità della circolazione e di rapporti tra le banche stesse. Il governo ne dovette prendere atto
e nel 1893 ridisegnò il sistema dell’emissione: la Banca Romana fu messa in liquidazione e le tre società per azioni
(Banca Nazionale nel Regno, Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana di Credito) si fusero per dare vita alla Banca d’Italia, che rimase comunque una società per azioni di diritto privato. I due banchi meridionali sopravvissero
come banche di emissione fino al 1926, ma in una posizione subordinata alla Banca d’Italia, obbligati com’erano
ad applicare un tasso di sconto identico a quello dell’istituto dominante.
La Banca d’Italia nacque tuttavia gravata da vincoli pesanti. Larga parte del suo attivo era costituita
98
da partite immobiliari di difficile realizzo, effetto della politica di salvataggio delle banche maggiormente coinvolte nella crisi del mercato delle abitazioni. Una parte degli utili inoltre doveva essere destinata alla copertura
delle perdite derivanti dalla liquidazione della Banca Romana, compito che era stato assunto dalla stessa Banca
d’Italia. La situazione migliorò solo nel primo decennio del Novecento, quando la ripresa economica consentì di
97 Banconota da 1000 lire della Banca Toscana
di Credito per le industrie e il commercio d’Italia,
emessa il 2 gennaio 1864 (Roma, Museo della
Moneta, Banca d’Italia).
completare la dismissione delle partite immobilizzate.
La Banca d’Italia rimase l’unico istituto di emissione operante nel paese dal 1926 al 1° gennaio 2002.
Da allora essa emette banconote in euro, in base ai principi e alle regole fissati nell’Eurosistema, al pari delle altre
banche centrali nazionali dei paesi che hanno adottato la moneta unica.
98 Palazzo Koch, sede centrale della Banca
d’Italia a Roma. Scalone d’onore, 1950 circa
(Roma, Archivio storico Banca d’Italia).
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L’unificazione monetaria non fu solo questione di leggi da adottare e abitudini da cambiare. Affinché la
vecchia moneta scomparisse, bisognava prima di tutto “produrre” quella nuova. Nonostante le antiche e gloriose
tradizioni delle sue zecche, per la coniazione delle nuove monete il nostro paese dovette ricorrere al contributo di
imprese private straniere. Lo stesso accadrà per le banconote.
L’Italia doveva recuperare un forte ritardo industriale: se gli stranieri visitavano il “bel paese” per l’arte e le antichità, gli italiani giravano l’Europa per apprendere nuove tecnologie. A iniziare dall’Inghilterra, la Rivoluzione industriale – inserendo grandi masse di popolazione in un’economia di mercato – aveva accresciuto il
bisogno di moneta, soprattutto di piccolo taglio, che fosse facile da riconoscere e difficile da falsificare. Anche da
questa esigenza nacque lo stimolo a uniformare la circolazione monetaria che caratterizzò i paesi avanzati nell’Ottocento. La necessità di contrastare la falsificazione, in particolare, si acuiva quando la moneta abbandonava
l’aggancio con il valore dei metalli preziosi. I nuovi metodi di produzione introdotti dalla Rivoluzione industriale
aiutarono a risolvere le nuove esigenze monetarie che essa aveva contribuito a creare, comprese quelle nel campo
della lotta alla contraffazione. Sostituirono così anche le durissime punizioni – non solo il carcere, ma anche la
fabbricare
monete
e banconote
di Massimo Omiccioli
deportazione e la pena di morte – che gli stati avevano spesso utilizzato a questo fine.
Alla vigilia dell’Unità otto zecche erano attive nei diversi stati italiani: a Torino e Genova, a Milano e
Venezia, a Roma e Bologna, a Firenze, a Napoli. Seguendo le vicende politiche degli anni successivi, mentre le
zecche di Venezia e di Roma entrarono a far parte dell’amministrazione nazionale, rispettivamente, nel 1866 e nel
1870, le altre vi confluirono fra il 1859 e il 1861. Nel periodo transitorio l’azione dei governi provvisori locali nel
campo della coniazione fu limitata e di carattere prevalentemente simbolico. Ebbe però rilievo per la moneta spicciola: le zecche di Milano e Napoli coniarono monete di bronzo per 28 milioni di lire, prevalentemente in pezzi da
5 centesimi. A Milano, per far fronte all’emergenza monetaria, fu chiamata a operare la ditta Ralph Heaton & Sons
di Birmingham, che vi s’installò con propri tecnici, guidati da George Heaton, e propri macchinari, acquistati ad
Amsterdam e Parigi, che furono poi venduti allo Stato italiano al termine dei contratti. Nel 1861-1862 la società
inglese coniò a Milano monete di bronzo per un valore di 16 milioni di lire. In segno di soddisfazione per i servizi
resi, Ralph Heaton III ricevette nel 1865 il titolo di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Dopo l’Unità furono mantenute in vita solo le tre zecche principali e più attrezzate: Milano, Napoli e Torino. Dopo che un precedente provvedimento aveva affidato a ditte francesi l’appalto della monetazione a Napoli e
Milano, alla fine del 1861 la gestione di tutte le zecche fu affidata alla Banca Nazionale, che iniziò a esercitarla da
settembre del 1862 sino al 1875. Nel 1870 la monetazione fu concentrata presso lo stabilimento tecnicamente più
99 Incisione di Dante Paolocci che riproduce
avanzato, la zecca di Milano, alla quale si aggiunse poco dopo quella di Roma, che venne tuttavia amministrata
in una composizione a piena pagina una serie
direttamente dallo Stato. Nel 1892 la zecca di Milano, sostanzialmente inattiva già dal 1875, fu ufficialmente sop-
di fotografie scattate dallo stesso Paolocci alla
pressa e la fabbricazione di monete fu accentrata a Roma. Con il trasferimento della capitale, l’opificio della vec-
zecca di Roma, in “L’Illustrazione Italiana”, 1893
(Roma, Biblioteca “Paolo Baffi”, Banca d’Italia).
chia zecca pontificia, collocata nei pressi dei giardini vaticani, era divenuta la sede della zecca del regno. Agli inizi
91
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
del Novecento si lavorò alla costruzione del nuovo stabilimento nel quartiere Esquilino, nei pressi del Ministero
del Tesoro e vicino alla ferrovia, che fu inaugurato nel 1911.
Immagini della vecchia zecca di Roma ce le ha lasciate un testimone privilegiato della Roma umbertina:
Dante Paolocci, pittore, illustratore e fotografo, che fu inviato speciale da Roma de “L’Illustrazione Italiana”. Sulla
rivista dei fratelli Treves, Paolocci pubblicò nel 1893 una serie di disegni che illustravano le varie fasi della produzione delle monete. Nove anni dopo, su una nuova rivista degli stessi editori milanesi, “Il Secolo XX”, furono invece le sue fotografie a raccontare le stesse fasi delle lavorazioni nella zecca romana. In quelle foto e in quei disegni
vediamo come lavorava una zecca tardo-ottocentesca, dalla fusione dei metalli alla laminazione, dal taglio dei
dischi di metallo (tondelli) alla coniazione, sino alla selezione e contazione finale delle monete. Se a quelle illustrazioni avviciniamo l’incisione di una zecca medievale, possiamo riconoscere facilmente le stesse fasi produttive
e misurare – per ciascuna di esse – i cambiamenti tecnologici intervenuti nell’arco di quattro o cinque secoli.
Nel Medioevo la laminazione avveniva martellando un sottile pezzo di metallo sino a ottenere lo spessore desiderato; con grandi forbici si ritagliavano i tondelli secondo il peso, la dimensione e la forma appropriati.
Seguiva poi la fase della coniazione, con la quale le immagini prescelte per contrassegnare la moneta – realizzate in negativo su speciali punzoni metallici, detti appunto conii – erano trasferite sui dischetti di metallo. Come
nell’antichità, la tecnica era quella della coniazione manuale a martello: i tondelli erano posti fra due conii e col-
100 Leonhard Beck, Come il giovane Re Bianco
divenne esperto nell’arte della monetazione.
Incisione da Der Weisskunig, 1514-1516
(Staatsgalerie Stuttgart, Leihgabe der Freunde
der Staatsgalerie. © Foto: Staatsgalerie
Stuttgart). L’incisione illustra tutte le fasi di
lavorazione di una zecca medievale: la fusione del
metallo, la laminazione, il taglio dei dischetti di
metallo, la coniazione a martello.
101 Sala di coniazione. Fotografia di Dante
Paolocci in Matteo Pierotti, Nel regno dell’oro,
dell’argento e del nikel. La Zecca di Roma,
in “Il Secolo XX”, 1902 (Roma, Biblioteca
92
“Paolo Baffi”, Banca d’Italia).
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
102
pendo con un martello il conio superiore si imprimeva l’immagine richiesta su entrambi i lati. Era un processo
lento e faticoso, che produceva spesso monete eterogenee nella forma, con immagini scarsamente nitide e non
sempre centrate.
Anche se le prime innovazioni nelle tecniche di coniazione, sviluppate nel campo della fabbricazione
delle medaglie, ebbero luogo proprio in Italia, i cambiamenti più significativi furono realizzati intorno al 1550
fra il sud della Germania e la Svizzera, da dove si diffusero poi in tutta Europa. Furono due i metodi sviluppati per
la coniazione meccanica delle monete: il primo si avvaleva di due cilindri, sui quali erano incisi i conii, che laminavano e coniavano allo stesso tempo; l’altro utilizzava invece un torchio a bilanciere, o pressa a vite. In questo
caso il meccanismo si basava su una grande vite verticale, che ruotava per effetto delle due sfere di piombo poste
alle estremità dei bracci del bilanciere, acquistando energia che si scaricava sul dischetto metallico collocato fra
i due conii. Fu quest’ultimo metodo infine a prevalere. Dovette però trascorrere più di un secolo perché la coniatura meccanica, che garantiva una migliore qualità delle monete, fosse introdotta nelle maggiori zecche europee. Mentre il torchio per la coniazione era azionato dagli uomini, altre macchine, mosse dalla forza dei cavalli o
dell’acqua, erano utilizzate per la laminazione.
Fu l’inglese Matthew Boulton, socio di James Watt, ad applicare per la prima volta, nel 1786, la forza del
vapore al processo di coniazione. Due anni dopo fondò la zecca di Soho, nei pressi di Birmingham, che divenne la
maggiore impresa privata in questo campo. Proprio all’asta nella quale erano stati venduti gli impianti della Soho
Mint fondata da Boulton, la Ralph Heaton & Sons aveva acquistato, nel 1850, le sue prime presse per la coniazione. La macchina di Boulton e Watt permetteva di produrre abbondante moneta metallica di piccolo taglio, difficilmente falsificabile. I motori a vapore, tuttavia, non si adattavano facilmente ai meccanismi del vecchio torchio a
bilanciere. Nel 1817 il tedesco Dietrich Uhlhorn inventò una pressa a leva più adatta allo scopo. La sua macchina
poteva coniare 30-60 monete al minuto, secondo la dimensione delle monete. Dal 1840 Uhlhorn costruì presse per
le zecche in molte città europee, da Stoccolma a Napoli. Il metodo fu perfezionato da Pierre-Antoine Thonnelier
in Francia nel 1834: la sua pressa entrò in uso a Filadelfia nel 1836, a Parigi nel 1845; nella seconda parte del XIX
secolo, quando ormai si era diffusa in tutta Europa, poteva coniare fra le 60 e le 120 monete al minuto.
Queste erano le tecniche di coniazione utilizzate al momento dell’Unità e nei decenni successivi, che
troviamo descritte nelle foto e nei disegni della zecca di Roma realizzate da Dante Paolocci. Al centro della sala di
coniazione, tuttavia, vediamo ancora una pressa a bilanciere settecentesca, risalente agli anni del pontificato di
Clemente XII (1730-1740), che veniva ancora utilizzata per la coniazione di medaglie.
102 Macchina per la coniazione dell’ argento.
Se il primo grande sforzo produttivo dell’Italia unita in campo monetario si concentrò negli anni im-
Fotografia di Dante Paolocci in Matteo Pierotti,
mediatamente a ridosso della Seconda guerra d’indipendenza, quando venne introdotta la lira, il secondo mo-
Nel regno dell’oro, dell’argento e del nikel. La Zecca
mento di difficoltà produttiva si collocò in concomitanza con la Terza guerra d’indipendenza, nel 1866. L’adozione
di Roma, in “Il Secolo XX”, 1902 (Roma, Biblioteca
“Paolo Baffi”, Banca d’Italia).
del corso forzoso comportò diffusi fenomeni di tesaurizzazione e di esportazione delle monete metalliche. Negli
93
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
103 Pressa meccanica a platina Phoenix (Roma,
Archivio storico Banca d’Italia). Acquistata dalla
Banca d’Italia nel 1897 dalla ditta J.G. Schelter
& Giesecke di Lipsia. Con la nascita della Banca
d’Italia (1893) si iniziò a progettare una nuova
officina per la produzione dei biglietti, fornita
di nuovi macchinari e in grado di gestire l’intero
ciclo della produzione della banconota.
104 Banconota da 10 yen, 1873. Diritto
e rovescio. (© Currency Museum, IMES,
Bank of Japan). Per sostenere lo sviluppo
industriale, il Giappone aveva adottato il modello
americano di sistema bancario del National
Banking Act (1864), con banche in grado sia
di emettere banconote sia di raccogliere depositi.
Tutti i biglietti emessi dalle 153 “banche nazionali”
erano uguali per forma e disegno, escluso
il nome della banca. Stampati negli Stati Uniti,
somigliavano fortemente ai greenbacks.
105 Banconota da 10 lire della Banca Nazionale
nel Regno stampata dall’American Bank Note
Company di New York (Roma, Museo della Moneta,
Banca d’Italia).
106 Banconota da 10 lire della Banca Nazionale
nel Regno con l’avvertenza delle sanzioni in cui
incorrono i falsari (Roma, Museo della Moneta,
94
Banca d’Italia).
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
104
scambi quotidiani le monete metalliche furono rapidamente sostituite dalle banconote: se al momento dell’Unità
costituivano meno del 10 per cento della circolazione complessiva, alla fine del 1866 ne rappresentavano già oltre
il 40 per cento. Ma ciò non avvenne senza crisi e problemi. Zecche estere vennero nuovamente in soccorso del governo italiano. Fra il 1866 e il 1868, la Ralph Heaton & Sons coniò presso la propria fabbrica di Birmingham circa
90 milioni di pezzi da 10 centesimi: questa volta, in riconoscenza dei servigi prestati, fu George Heaton a ricevere
la nomina a cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Altri quantitativi di monete furono coniati dalle zecche di
Parigi, Strasburgo e Bruxelles.
L’adozione del corso forzoso, d’altra parte, aveva colto la Banca Nazionale impreparata. Le sue scorte
di biglietti erano scarse, poiché sembrava ormai imminente la fusione (che invece non si realizzò) con le banche di
emissione toscane, che avrebbe comportato il rinnovo dei biglietti. Era inoltre completamente sprovvista di banconote di piccolo taglio, poiché per statuto non poteva emettere biglietti di importo inferiore a 20 lire. Per tamponare la crisi, il governo fu costretto a mettere in circolazione 30 milioni di marche da bollo a corso obbligatorio,
105
prodotte dall’Officina Carte Valori Governativa di Torino e immediatamente contraffatte dai falsari. Non potendo
sopperire alle richieste di nuovi biglietti con i propri mezzi, la Banca Nazionale provò a far stampare dall’Officina
governativa anche un nuovo biglietto da 10 lire. L’estrema semplicità della sua realizzazione – per la quale furono utilizzate la carta filigranata dei francobolli e l’immagine del re impressa sulle marche da bollo da una lira
– determinò anche in questo caso una diffusa falsificazione: a settembre del 1870 più di 6,5 milioni di esemplari
erano già stati ritirati e dati alle fiamme. La Banca Nazionale si rivolse allora all’American Bank Note Company di
New York, sorta nel 1858 dalla fusione delle nove maggiori imprese americane del settore e all’avanguardia nella
tecnologia della stampa dei biglietti. Quando nel 1862 il Tesoro degli Stati Uniti aveva iniziato a stampare direttamente i biglietti che emetteva (chiamati comunemente greenbacks, perché avevano il retro stampato in verde),
le imprese private americane avevano iniziato a cercare nuovi mercati all’estero. L’American Bank Note Company
produsse 2 milioni di banconote da 2 lire e 600.000 da 10 lire: anche se riportavano l’immagine di Cavour, questi
biglietti avevano però l’inconfondibile design delle banconote americane. Altri biglietti furono stampati presso lo
stabilimento De La Rue di Londra e dalle officine Dondorf & Naumann a Francoforte.
La realizzazione di proprie officine, all’interno delle quali l’intero ciclo di produzione della banconota
106
fosse sotto controllo, era l’aspirazione di tutte le banche di emissione. Così avveniva, ad esempio, in Inghilterra,
Francia, Belgio e Austria, alle cui officine facevano spesso riferimento banche di emissione europee più piccole.
Altre si rivolgevano alle stamperie private più famose, come la Giesecke & Devrient di Lipsia oppure la Bradbury
Wilkinson & Co. di Londra, alla quale si appoggiavano anche le banche di emissione italiane, eccezion fatta per la
Banca Nazionale.
L’esigenza di dotarsi di una propria officina era stata avvertita dalla Banca Nazionale sin dai primi momenti successivi all’unificazione italiana, ma ormai non era più rinviabile. Sino allora, poiché intratteneva tra-
95
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
dizionalmente rapporti privilegiati con la Banque de France, la Banca Nazionale aveva prodotto i propri biglietti
avvalendosi di tecnologie, ditte e maestranze francesi. La ditta Saunier di Parigi era il punto di riferimento principale per tutte le operazioni riguardanti il disegno e la stampa dei biglietti. Solo la fase terminale della stampa
avveniva presso la sede di Genova, dove i torchi erano gestiti da personale addestrato dai francesi. La carta era
fornita dalle Papeteries du Marais et de Sainte-Marie, che rimasero i fornitori privilegiati della Banca Nazionale
sino alla nascita della Banca d’Italia nel 1893, quando il governo decise che dovesse avvalersi esclusivamente di
carta prodotta in Italia.
Molti dei nomi di ditte che abbiamo incontrato li ritroviamo nella relazione che Marco Minghetti, futuro
ministro e presidente del Consiglio, aveva redatto nel 1855, al termine di un lungo viaggio in Europa compiuto per
conto della Banca delle Quattro Legazioni per studiare la produzione della cartamoneta, le tecnologie impiegate
per l’incisione delle matrici, i metodi per contrastare la contraffazione delle banconote, i costi di produzione. Vi107 Campione di tinta di sicurezza.
Prova realizzata per i biglietti consorziali
sitò banche, stamperie e opifici in molti paesi europei (Francia, Inghilterra, Belgio, Regno di Sardegna, Scozia,
(Roma, Archivio storico Banca d’Italia).
Irlanda), raccogliendo informazioni e notizie di prima mano.
Circolanti a corso forzoso, i biglietti consorziali
furono emessi per conto dello Stato, dal 1874
Letterato, economista, ma anche studioso di scienze, Minghetti non era certo sprovveduto per com-
sino al 1881, dai sei istituti di emissione italiani,
prendere la diversità fra i procedimenti che gli venivano proposti, ma le innovazioni in campo tecnologico richie-
riuniti in consorzio in base alle disposizioni
dono tempo per affermarsi. Forse per questo non si avvide della novità costituita dal cliché per la stampa dei bi-
della legge bancaria del 1874.
glietti inventato dall’americano Jacob Perkins, che nel 1819 si era trasferito a Londra per offrire la sua invenzione
108 Specimen di banconota prodotta dalla ditta
Bradbury Wilkinson & Co. di Londra, 1898 (Roma,
Archivio storico Banca d’Italia).
alla Bank of England (la quale, d’altra parte, l’aveva rifiutata). Scrisse Minghetti nel suo rapporto: «Rispetto alle
vignette gli artisti sono molti, e pretendono di avere ottenuto gran precisione. Tra gli altri la casa Perkins Bacon
97
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
& L. De Nicolas in Londra (69 Fleet Street) assume di offrire tali garanzie contro la falsificazione che nessun altra
111
casa in nessun altro luogo può dare: ma io non so bene quali siano queste garanzie». Il metodo tradizionale per
stampare le banconote era molto semplice e si basava su un cliché di rame, su cui era impresso il disegno secondo
l’antica tecnica dell’incisione della vignetta, e su una pressa rotante. Il cliché, che trasmetteva il disegno sulla
carta, dopo la stampa di un certo quantitativo di banconote doveva essere rifatto. Le riproduzioni erano spesso
diverse dagli originali e anche le banconote prodotte avevano caratteristiche differenti: una manna per i contraffattori! Jacob Perkins sviluppò una qualità di acciaio dolce, più facile da incidere, che poteva essere temperato dopo l’incisione. Fu un’innovazione fondamentale, perché le matrici in acciaio duravano molto più a lungo
di quelle in rame e l’incisione delle matrici era la parte più difficile e costosa della produzione delle banconote.
Attraverso una macchina apposita, inoltre, lo stampo originale poteva essere utilizzato per produrre innumerevoli
lastre da stampa identiche all’originale. Le matrici in acciaio, infine, consentivano l’incisione meccanica di intricati disegni geometrici, impossibili da riprodurre.
Torniamo però alla Banca Nazionale, alle prese con la necessità di produrre banconote affidabili dopo
il corso forzoso. Poiché l’American Bank Note Company non intendeva esportare i processi di creazione dei cliché
in acciaio fuori delle proprie officine, la Banca si rivolse agli stabilimenti di B. Dondorf e F. List a Francoforte,
noti anch’essi per i loro sistemi avanzati. Fu così che alla fine del 1867 fu stipulata la convenzione con la quale la
Banca Nazionale nel Regno d’Italia, «al fine di contrapporre alla contraffazione le più grandi difficoltà che l’arte
e la scienza suggeriscono», accettò i progetti definitivi per i nuovi biglietti realizzati da Dondorf & List, i quali
s’impegnarono ad addestrare personale italiano, con il cui concorso «fondare ed avviare un nuovo stabilimento
tipografico e calcografico a Firenze, specializzato specificatamente per questo».
Nel febbraio del 1868 un gruppo di incisori e tecnici italiani prese la via di Francoforte: fra loro vi era
109 Album della Banca Nazionale 1868. Impiegati
in missione a Francoforte (Roma, Archivio storico
Banca d’Italia).
110 Banconota dell’imperatrice Jingu, 1883
(© Currency Museum, IMES, Bank of Japan).
Primo esempio di banconota giapponese con
ritratto. Questo biglietto – disegnato da Edoardo
Chiossone ed emesso per fermare la contraffazione
di quelli prodotti in Germania – è anche l’unico
caso di ritratto femminile nella storia della carta
moneta nipponica. La raffigurazione, con tratti
occidentali, è di fantasia, poiché l’imperatrice
Jingu era un personaggio leggendario di cui non
esistevano immagini.
111 Franz Seraph von Lenbach, Ritratto di Marco
98
Minghetti, 1886 (Collezione Banca d’Italia).
PARTE II. TEMI
fabbricare monete e banconote
112
Edoardo Chiossone, un artista e incisore nato ad Arenzano, nei pressi di Genova, che aveva curato il reclutamento
delle maestranze. Dopo otto mesi, terminato il periodo formativo, il gruppo tornò in patria per applicare i metodi
appresi in Germania all’officina in allestimento a Firenze. Chiossone chiese invece di poter rimanere a Francoforte
per condurre a termine i lavori per i nuovi biglietti della Banca Nazionale.
L’impianto delle nuove officine, a Firenze, procedette però a rilento, e Chiossone sospettò che vi contribuisse il desiderio della ditta tedesca di continuare a tener legato a sé il cliente italiano. In contrasto con il progetto iniziale, inoltre, la calcografia veniva sacrificata rispetto alla stampa tipografica (quest’ultima usa matrici in
rilievo, mentre la prima matrici in cavo). Il metodo tipografico produceva una maggiore povertà delle immagini e
affidava principalmente all’uso della filigrana il presidio contro i rischi di contraffazione. Chiossone rimase deluso
da questi sviluppi, essendosi già schierato, in una lettera del 1867 alla Banca Nazionale, a favore della superiorità
della calcografia: «È da essa che si possono ottenere lavori più completi, sia per disegno, sia per condotta meccanica, finezza e varietà di toni».
Furono diversi, probabilmente, i fattori che influirono sulla lentezza del progresso italiano nel campo della stampa delle banconote: fra essi, certamente, la molteplicità degli istituti di emissione, che impediva le
necessarie economie di scala, un problema che la nascita del Consorzio fra gli istituti di emissione, imposto dalla legge bancaria del 1874, non risolse. Il trasferimento della capitale, inoltre, comportò per la Banca Nazionale
anche lo spostamento dell’officina per la stampa dei biglietti. Se a questo scopo, già nel novembre del 1870, era
stato affittato il pianterreno di Palazzo Ruspoli in via del Corso, è solo nella seconda metà del 1873 che inizia il
trasporto dei macchinari da Firenze a Roma; altri traslochi seguiranno negli anni successivi. In questo contesto
il rinnovo dei biglietti del 1872-1873 avviene ancora con il ricorso a imprese estere. Solo a partire dal 1878 possiamo essere certi di un’autonomia, almeno parziale, nella produzione di banconote, ma da una memoria interna
della fine del 1885 si evince come i grandi progetti iniziali si fossero ridimensionati. È solo con la nascita della
Banca d’Italia che si riprende l’antico progetto e l’opera di modernizzazione degli impianti.
Edoardo Chiossone, nel frattempo, anche dopo la rottura dei suoi rapporti con la Banca Nazionale, aveva continuato a lavorare per la ditta di Francoforte, fino agli inizi del 1874, quando si era spostato a Londra, dove
entrò in contatto con esponenti del governo giapponese in missione in Europa per studiare i metodi di fabbricazione delle banconote. Anche il nuovo governo Meiji, infatti, stava cercando di uniformare il sistema monetario
del paese e aveva attraversato traversie simili a quelle italiane. Chiossone, d’altra parte, già a Francoforte aveva
lavorato per le prime banconote giapponesi stampate in Germania secondo tecniche occidentali. Fu invitato a trasferirsi in Giappone, dove giunse nel 1875, per lavorare al poligrafico del Ministero delle Finanze. Si dedicò all’impianto di una moderna officina per la fabbricazione delle carte valori e addestrò il personale nelle diverse fasi
112 Opuscolo pubblicitario della ditta
J.G. Schelter & Giesecke di Lipsia. Copertina.
(Roma, Archivio storico Banca d’Italia).
della loro produzione, divenendo anche il ritrattista ufficiale della corte imperiale e acquistandosi la riconoscenza
del governo giapponese, che gli tributò benemerenze e onori che aveva sperato di ottenere in Italia.
99
Le emissioni monetarie sono sempre state un veicolo privilegiato per trasmettere messaggi politici e
affermare la legittimità delle autorità emittenti, soprattutto se appena giunte al potere. Il periodo risorgimentale
conferma tale regola e anzi la enfatizza, nei riflessi monetari dei cambiamenti politici radicali che vanno dalla Rivoluzione francese fino al consolidamento dell’Italia unita. Per quasi un secolo si alternano frequentemente monarchie di diritto divino, repubbliche aristocratiche, governi provvisori repubblicani o monarchico-costituzionali,
con orientamenti federalisti o unitari, fino alla vittoria finale della monarchia unitaria e costituzionale di Vittorio
Emanuele II, “re eletto” grazie ai plebisciti di adesione all’Italia unita. Con il Regno di Sardegna come intermediario, la lira italiana introdotta da Napoleone I diventa la moneta del movimento nazionale italiano, che finisce con
l’imporsi grazie all’aiuto determinante di Napoleone III durante la Seconda guerra d’indipendenza nel 1859.
In questo contesto l’evoluzione dei sistemi monetari italiani tra il 1796 e il 1894 riflette anche processi
internazionali che si sviluppano in parallelo e determinano il destino dell’Italia. L’unificazione monetaria nazionale (con la legge del 1862) e quella europea (tramite la creazione dell’Unione Monetaria Latina nel 1865) accompagnano l’introduzione del sistema metrico e della decimalizzazione, creati durante la Rivoluzione francese.
Moneta
e politica nel
Risorgimento
di Luca Einaudi
Il declino progressivo dell’argento come mezzo monetario a favore dell’oro è un processo mondiale a partire dal
1850, come pure l’ascesa della cartamoneta e delle banche che la emettono.
Alla fine del Settecento ancora dodici stati italiani battono moneta, alcuni dei quali in maniera intermittente e quasi solo simbolica (come Massa, Modena o Lucca). Sebbene in molti di questi stati esista la lira come
unità di conto, essa ha valore diverso nelle varie località, talvolta anche in differenti aree dello stesso Stato (come
a Cagliari e Torino). La vecchia lira piemontese vale 1,18 lire italiane, la lira sarda 1,97, la lira milanese 0,77, quella di Genova 0,825 e così via. Inoltre, al di là delle unità contabili, la difficoltà sta nell’uso di diverse monete e
unità di misura. I vari sistemi monetari conoscono infinite suddivisioni interne con rapporti complessi. A Roma,
ad esempio, la doppia d’oro vale 3 scudi d’argento, 10 testoni, 30 paoli o giulii, 40 carlini, o 300 baiocchi in rame.
I principali pezzi in argento sono le piastre napoletane, i francesconi toscani, i ducatoni o i talleri veneziani e gli
scudi romani, piemontesi, milanesi e genovesi, che valgono vari giorni di stipendio. Le monete di rame, maggiormente utilizzate nella vita quotidiana insieme ai pezzi d’argento più piccoli, si dividono tra soldi, denari, baiocchi,
quattrini o tornesi, a seconda delle località. Se poi si considera che la lunghezza dei tessuti si misura in bracci e
palmi a Roma, in piedi e once a Torino, in canne a Napoli, si comprende quanto servissero manuali di centinaia di
pagine per portare a termine transazioni transfrontaliere di complessità media.
Nel 1796 il passaggio delle Alpi da parte dell’armata d’Italia di Bonaparte avvia un terremoto moneta-
113 La storia di un franco, in “La Rana”,
3 maggio 1867 (Collezione privata Luca Einaudi).
rio che si conclude con la piena unificazione monetaria e dei sistemi di misura dopo l’ingresso di Roma nel Regno
La lira (franco) ridotta a pochi centesimi
d’Italia nel 1870. Le vittorie francesi tra il 1796 e il 1806 rovesciano progressivamente tutti i governi dell’Italia
(5 centesimi fanno un soldo) da tasse
continentale, lasciando solo la Sicilia in mano ai Borbone e la Sardegna ai Savoia. In una prima fase nascono le co-
e deprezzamento della cartamoneta
dovuta al corso forzoso.
siddette repubbliche sorelle (tra cui la Cisalpina, la Romana e la Partenopea), che mantengono i vecchi spezzettati
101
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
115
sistemi monetari locali, ma introducono i simboli repubblicani, dando un significato rinnovato a immagini preesistenti. Le nuove monete presentano figure allegoriche neoclassiche che calpestano gioghi e corone, berretti frigi
simbolo di libertà, fasci repubblicani, livelle per rappresentare l’eguaglianza, e cornucopie che promettono futura
abbondanza e felicità. Fanno riferimento all’immaginario della Roma antica ma anche all’ineludibile alleanza con
114 Cedolini giornalieri del corso dei cambi
la Francia repubblicana. Spese militari e indennità pagate alla Francia drenano le risorse in oro e argento degli
in varie città italiane e tavola di raffronto
stati italiani; queste vengono sostituite con cartamoneta (biglietti di credito, cedole e assegnati) e con monete a
(Collezione privata Luca Einaudi).
basso tenore di argento e di rame, causando anche l’apertura di piccole zecche nell’Italia centrale per far fronte
alla scarsità di spiccioli.
In una seconda fase, avviata dopo la vittoria contro gli austriaci nella battaglia di Marengo nel 1800,
102
Napoleone, diventato padrone assoluto del potere sia a Parigi che a Milano, attua deliberatamente una strategia
tra la moneta francese e parmense
115 Vignetta raffigurante un cambiavalute,
riprodotta sul frontespizio del Manuale de’ conti
fatti delle monete ammesse nella tariffa del Regno,
Verona, presso Luigi Mainardi, 1810 (Roma,
Biblioteca “Paolo Baffi”, Banca d’Italia).
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
116
di unificazione monetaria europea di lungo periodo. Scrive nel 1807 al fratello Giuseppe, che ha nominato re di
Napoli: «Fratello, se fate battere moneta, desidero che adottiate le stesse unità di valore della moneta di Francia
e che le vostre monete portino da un lato la vostra effigie e dall’altro le armi del vostro Regno. Ho fatto la stessa
cosa per il mio Regno d’Italia. I principi confederati fanno la stessa cosa. In questo modo vi sarà in tutta l’Europa
uniformità di moneta, il che sarà un gran vantaggio per il commercio». Viene progressivamente generalizzata la
coniazione del franco decimale da 5 grammi di argento a 900 millesimi, scelto nel 1795 dalla Francia, ma non immediatamente attuato a causa delle difficili condizioni finanziare in tempo di guerra. La coniazione aurea comincia in Piemonte, dove la Repubblica Subalpina del 1800-1802 conia una moneta d’oro da 20 franchi che celebra, in
francese, “l’Italia liberata a Marengo”. Da questa moneta prendono il soprannome marengo tutti i pezzi da 20 lire
e 20 franchi che si sono diffusi in gran parte dell’Europa continentale tra il 1801 e gli anni Venti del Novecento.
Nel 1803 la Francia attua pienamente la sua riforma monetaria, introducendo il franco germinale che prevede un
rapporto fisso di 15,5 grammi di argento per ogni grammo di oro, e che diventa il modello di riferimento per il
bimetallismo europeo.
Napoleone dà disposizioni affinché il franco sia esteso a tutta l’Italia continentale sotto controllo francese. Prende il nome di lira italiana nel Regno d’Italia al settentrione e nel Regno delle Due Sicilie di Gioacchino
Murat (che non include la Sicilia), di franco nella Lucca di Elisa Bonaparte e nei dipartimenti italiani dell’Impero
francese (Roma, seconda capitale dell’Impero, Torino, Genova e Firenze). La nuova lira-franco è integrata nei fatti
in una unione monetaria nell’Impero napoleonico, ma non penetra in maniera omogenea in tutta Italia. Nel Nord
coniazione e circolazione della nuova moneta sono molto diffusi, mentre da Firenze in giù rimangono dominanti i
sistemi monetari pre-napoleonici e la lira italiana è praticamente irrilevante a Napoli.
La Restaurazione successiva al Congresso di Vienna riflette questa realtà monetaria. In Piemonte i Savoia sono costretti a mantenere il bimetallismo e la lira napoleonica sotto il nome di lira nuova di Piemonte, dopo
un tentativo infruttuoso di ripristinare i vecchi scudi, ormai accettati a malincuore dalla popolazione in un sistema
di prezzi e valute pienamente adattato alla lira-franco. Anche Parma segue l’esempio piemontese, mentre Modena
rinuncia a una propria coniazione, riconoscendo che i piccolissimi stati non riescono a mantenere in circolazione
una moneta propria e che nei fatti le monete estere dominano le transazioni. Nel Mezzogiorno e in Toscana si ristabilisce il monometallismo argenteo, ripudiando il bimetallismo francese. A Milano gli austriaci mantengono in
corso per molti anni le lire napoleoniche, che erano state coniate in quantità enormemente superiori alle succes-
116 Regio editto sulle disposizioni relative
alle monete, Regno di Sardegna, Torino,
26 ottobre 1826; bilancino tascabile francese
sive monete austriache. Poi l’Austria accumula i cambiamenti secondo i mutamenti politici, le difficoltà finanziarie
e le alleanze monetarie (nel 1857 l’Austria aderisce all’Unione Monetaria Tedesca). Nel Lombardo-Veneto gli au-
di fine Settecento, con il tasso di cambio tra
striaci optano per la cartamoneta, spesso inconvertibile e deprezzata, e l’argento; ma in tutto il Nord la circola-
le principali monete europee; monete e pesi
zione effettiva torna ad essere prevalentemente aurea dopo il 1850, seguendo le fluttuazioni del prezzo dell’oro e
monetari italiani di fine Settecento; altri oggetti
monetari (Collezione privata Luca Einaudi).
dell’argento e l’influenza economica franco-piemontese.
103
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
Con il riaffermarsi della diversità, tornano a proliferare i cambiavalute: come quelli da strada che a Na-
117
poli siedono dietro un banchetto mobile dotato di ruote, su cui sono posati sacchi di monete diverse e gli strumenti del mestiere, così come descritto in una stampa del 1860. Si moltiplicano nuovamente manuali e tabelle
di conversione per la comodità del commercio, e bilance portatili o da tavolo per verificare che le vecchie monete
non si siano logorate tanto da essere scese sotto il peso minimo per avere valore legale. Manifesti, avvisi e notificazioni, affissi nei luoghi deputati, annunciano innovazioni monetarie o il cambio del prezzo di tariffa ufficiale
delle valute estere (cioè delle città vicine), mentre il corso dei cambi giornalieri di mercato è diffuso, oltre che
dalle gazzette, con cedolini manoscritti o stampati dagli agenti di cambio.
La scelta del Regno di Sardegna di porsi a capo del movimento nazionale nel 1848 e la forte diffusione
del franco francese in Italia contribuiscono a fare della lira italiana di derivazione franco-piemontese la moneta
preferita dai patrioti unitari e da gran parte dei governi provvisori del 1848-1849 e del 1859-1861. Il governo
provvisorio della Lombardia del 1848 è decisamente unitario e favorevole all’unità sotto Casa Savoia. Conia monete in lire italiane con il motto «Italia libera, Dio lo vuole», impersonata da una figura allegorica dell’Italia turrita
che guarda al futuro sormontata dallo stellone italico. Nel pieno entusiasmo dell’alleanza tra sovrani italiani, il 9
aprile del 1848 il governo lombardo scrive nella “Gazzetta di Milano” che «i popoli d’Italia vogliono fare un Congresso in Roma, per avere una sola finanza, una sola moneta, una sola legge civile, commerciale e penale, un solo
voto di pace e di guerra». Il governo provvisorio di Venezia, guidato da Manin, mantiene una visione più autonomista, e inserisce sulle sue monete alternativamente gli slogan «Unione italiana» o «Alleanza dei popoli liberi»,
«Repubblica Veneta» o «Indipendenza italiana», a seconda delle fasi di prevalenza degli unitari o dei federalisti.
Manin punta comunque sempre alla piena unificazione monetaria e alla sostituzione della valuta austriaca con
monete e banconote in lire italiane (prodotte con il gettito di prestiti imposti ai cittadini più facoltosi, e fondendo
gioielli e vasellame consegnati dai veneziani durante l’assedio della città da parte degli austriaci). Il 29 giugno
118
1848 il governo provvisorio della Repubblica Veneta, «considerato il desiderio i molti cittadini di avere anche nelle monete una durevole memoria della nostra rigenerazione, decreta [che] nella zecca nazionale si conieranno dei
pezzi d’argento da lire cinque italiane… corrispondenti… a quelli che sotto l’identica denominazione si battono
in altre zecche d’Italia». Dopo la capitolazione di Venezia l’Austria non riconosce la cartamoneta patriottica, che
rimane senza valore in mano ai veneziani (e poi in grande abbondanza ai collezionisti).
La Repubblica Romana del 1849, di cui Mazzini guida il triumvirato e Garibaldi ispira la difesa dai francesi e dai borbonici, non si affida più a Carlo Alberto e alla difesa da parte dell’esercito sabaudo, come invece avevano fatto l’anno precedente i patrioti lombardi e veneti. Mazzini mantiene quindi il sistema monetario pontificio,
104
117 Governo provvisorio della Lombardia (1848).
40 lire italiane d’oro, Milano, 1848. Rovescio.
(Roma, Museo Nazionale Romano, Medagliere.
Collezione Vittorio Emanuele III di Savoia).
118 Monete e banconote dei governi provvisori
risorgimentali del 1848-1849; bonetto rosso
garibaldino degli anni Sessanta dell’Ottocento;
ma introduce i simboli dell’antica Roma repubblicana (aquila e fascio, simbolo del potere consolare e dell’unità
ceramica inglese e pipa italiana con ritratto di
come fattore di forza), uniti al motto mazziniano «Dio e Popolo». Scudi e baiocchi vengono emessi per finanziare
Garibaldi; spilla da volontario delle guerre del
la resistenza all’invasione francese, in carta (boni), argento di bassa lega (400 millesimi) e rame. Una volta re-
privata Luca Einaudi).
1848-1849; altri oggetti monetari (Collezione
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
staurato Pio IX, lo Stato Pontificio ritira e brucia ripetutamente sulla pubblica piazza – per sfregio – “i boni dei
caduti governi”, ed emette in cambio propria cartamoneta per parte dell’ammontare.
Nel 1859 il Regno di Sardegna sconfigge l’Austria grazie al sostegno di Napoleone III e annette la Lombardia, estendendovi immediatamente la legislazione monetaria piemontese. All’inizio della Seconda guerra d’indipendenza e con le insurrezioni pro unitarie dell’Italia centrale, sostenute da Cavour, i governi provvisori della
Toscana (Ricasoli) e dell’Emilia (Farini) nel 1859-1860 si allineano rapidamente alla monetazione del Regno di
Sardegna, in modo più compiuto che nel 1848. Questa è la conseguenza della convergenza a favore della monarchia sabauda sia dei moderati che di molti ex repubblicani convertiti alla Società Nazionale Italiana. Bologna e
Firenze coniano rapidamente monete in lire piemontesi con l’effigie di Vittorio Emanuele II, “re eletto”. Prima dei
plebisciti di ratifica dell’annessione, il governo della Toscana procede a un’ultima emissione di fiorini d’argento,
cui affida un orgoglioso messaggio unitario tramite l’immagine di un leone mediceo che sventola il tricolore ita119 Processione a lume di torcia a Roma durante
la Repubblica Romana, in “The Illustrated London
News”, February 24, 1849 (Collezione privata
Luca Einaudi).
liano e il giglio fiorentino sul rovescio.
Il Regno d’Italia avvia la coniazione delle nuove lire italiane nel 1861, prima ancora della legge Pepoli
per l’unificazione monetaria dell’anno successivo. Le nuove effigi sono quasi uguali a quelle del Regno di Sarde-
105
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
gna: il ritratto di Vittorio Emanuele viene aggiornato, rimane identico lo stemma sabaudo, mentre l’indicazione in
italiano «Re d’Italia» sostituisce gli oscuri acronimi latini ereditati dal vecchio mondo, con i quali veniva ancora
rivendicata anacronisticamente la sovranità sui regni crociati di Cipro e Gerusalemme.
La comunità monetaria di fatto che esisteva tra paesi dell’ex Impero di Napoleone I crea le condizioni
nel 1865 per superare alcune minime differenze nella monetazione d’argento e contrastarne la demonetizzazione
da parte dei privati a causa dell’alto prezzo di mercato del metallo. Viene fondata l’Unione Monetaria Latina, relativa alle sole monete d’oro e d’argento, per facilitare il commercio transfrontaliero e ridurre i costi di transazione tra Francia, Italia, Belgio e Svizzera. Il progetto diventa poi più politico e ambizioso e Parieu, vicepresidente
del Consiglio di Stato di Napoleone III e principale autore e ideologo dell’Unione Monetaria Latina, propone di
estenderla a tutta l’Europa e anche agli Stati Uniti: «[Con l’Unione Monetaria Latina] otterremmo la distruzione
graduale nell’ordine economico di uno di quei frequenti ostacoli che dividevano le nazioni e la cui caduta faciliterebbe la loro reciproca conquista morale, servendo da preludio alle federazioni pacifiche del futuro». Il progetto procede, attira le candidature dei paesi dell’Europa meridionale, dei Balcani, di alcuni paesi scandinavi e
dell’America latina. Tuttavia non si concretizza, poiché Gran Bretagna e Germania decidono di tenere separata la
propria moneta e la stessa Francia si arresta, per non abbandonare il bimetallismo e per le difficoltà nel condividere il sistema monetario con paesi finanziariamente più deboli, come Italia, Grecia (ammessa a decorrere dal 1°
gennaio 1869) e Stato Pontificio (candidato all’ammissione nel 1866).
Si estende la lira italiana anche al Veneto nel 1866 e al Lazio nel 1870. Pio IX rinuncia già nel 1866
a scudi e baiocchi a favore di una nuova lira pontificia, uguale a quella italiana, per far domanda di ingresso
nell’Unione. Tuttavia il suo segretario di Stato, il cardinale Antonelli, tira in lungo i negoziati di adesione, coniando nel frattempo massicce quantità di monete d’argento a titolo ridotto, per pagare le truppe francesi che difendono Roma da Garibaldi e per tamponare il deficit nella spesa pubblica. Al momento di concludere l’adesione,
le emissioni pontificie superano di sette volte il massimo consentito e gran parte delle monete si trovano già in
120 Monete satiriche modificate
artigianalmente. A sinistra: Napoleone III,
imperatore di Francia (1852-1870), trasformato
in soldato prussiano dopo la sconfitta del 1870
(Collezione privata Christian Schweyer). Al centro:
Vittorio Emanuele II, re d’Italia (1861-1878)
trasformato nel papa con la tiara (Collezione
privata Christian Schweyer). A destra: Ferdinando
II, re delle Due Sicilie (1830-1859), con incisa
la parola bomba dopo il bombardamento di
Messina nel 1848 (Roma, Museo Nazionale
Romano, Medagliere. Collezione Vittorio
106
Emanuele III di Savoia).
PARTE II. TEMI
Moneta e politica nel Risorgimento
Francia, provocando l’ira francese e la fine dei tentativi di allargare l’Unione Monetaria Latina. Questa rimane in
vita fino al 1926, ma con un ruolo sempre più marginale, dopo aver fermato le nuove coniazioni d’argento a pieno
titolo nel 1879.
Le difficoltà finanziarie italiane conducono al corso forzoso delle banconote nel 1866 e al deprezzamento della lira di carta rispetto a quella metallica. La scarsità di contanti fornisce l’occasione per stampare banconote anche su iniziativa delle banche ordinarie, imitate per i piccolissimi tagli – con buoni o altri surrogati monetari – da enti locali, cooperative e associazioni operaie, fino alla circolazione di quartiere, come il pizzicarolo di
Piazza Argentina a Roma. Paradossalmente questo disordine contribuisce alla modernizzazione degli strumenti
monetari, accelerando il declino della moneta metallica a vantaggio di banconote e depositi bancari, e della nascita di una banca centrale nazionale nel 1893, la Banca d’Italia.
L’uso politico della moneta non è però un monopolio governativo, e nell’Ottocento si sviluppa anche un
uso satirico del veicolo monetario. Alcune monete francesi e italiane sono incise o contromarcate manualmente
da privati cittadini per farne dei veicoli di propaganda politica, di critica al potere o di semplice beffa. Alcune monete di Ferdinando II, re delle Due Sicilie, vengono contromarcate con le parole boia o bomba dopo la repressione dei moti risorgimentali; è, in particolare, una risposta al bombardamento di Messina nel settembre del 1848,
durante la riconquista borbonica dell’isola, insorta a gennaio, prima ancora della rivoluzione a Parigi. Dopo la
sconfitta di Sedan per opera della Prussia nel 1870, Napoleone III viene deposto e diventa oggetto di scherno in
Francia: gli viene affibbiato un elmo chiodato prussiano (accompagnato spesso dalle parole vergogna, vigliacco,
121 Monete satiriche modificate artigianalmente.
A sinistra: una moneta di papa Pio IX (1846-1878),
intoccata. Al centro: la stessa moneta con il papa
traditore, vampiro o peggio) ma anche, secondo i casi, la tiara o la berretta papale, a causa del suo sostegno a Pio
IX. Per analogia anche Vittorio Emanuele subisce lo stesso trattamento, sia pure molto più raramente, con l’ag-
trasformato in un borghese con la berretta.
giunta di tiara, berretta o elmo prussiano; mentre Pio IX è trasformato in soldato francese (probabilmente dopo la
A destra: il pontefice trasformato
sconfitta di Garibaldi alla battaglia di Mentana da parte dei francesi nel 1867), oppure in Vittorio Emanuele II, in
in Vittorio Emanuele II (Collezione privata
Christian Schweyer).
borghese intento a fumare una pipa o, ancora, in una donna anziana.
107
L’euro scaturisce da un processo storico lungo, che inizia, subito dopo la conclusione della Seconda
guerra mondiale, con l’ambizione più alta: l’unificazione dell’Europa come entità politica. Quel processo si è però
da subito nutrito di ragioni appartenenti alla sfera delle convenienze economiche.
Lo slancio europeista mescola quindi fin dall’inizio anelito politico – mai più una guerra fratricida tra
europei – e calcolo economico di matrice liberale – superiorità di un regime di libero scambio rispetto a uno di
protezionismo. La costruzione europea procede per impulsi discontinui, alternativamente nei campi dell’economia
reale e del sistema monetario.
Il primo grande traguardo raggiunto dall’azione paneuropea, il trattato di Roma del 1957, crea il Mercato Comune Europeo: si abbattono le barriere protezionistiche all’interscambio mercantile intraeuropeo; si definisce una politica comune di sussidio dei ceti agricoli; si crea, attraverso un meccanismo di autotassazione degli
stati nazionali aderenti, un budget di risorse proprie della comunità, da spendere per politiche selettive di sostegno alle attività produttive (in gran parte peraltro assorbite dai sussidi agricoli). L’idea guida è anche politica: che
nel mondo moderno la pace fra i popoli sia innanzitutto il distillato di relazioni economiche intense e cooperative,
e che il perseguimento di queste sia condizione necessaria, forse anche sufficiente, per l’ottenimento di quella.
La moneta
comune europea*
di Sergio Nicoletti Altimari
e Salvatore Rossi
È alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso che si affaccia per la prima volta in modo compiuto
l’idea di una moneta comune. La sostengono lo stesso evidente successo del Mercato Comune Europeo e la constatazione che l’ordine monetario internazionale sancito a Bretton Woods alla fine della guerra si sta disgregando.
Viene affidato al primo ministro lussemburghese, Pierre Werner, il compito di guidare un gruppo di esperti che
rediga un piano di unificazione monetaria in Europa. Il presupposto che anima gli europeisti più convinti è ancora
quello che l’integrazione economica anticipi e favorisca il cammino verso l’unione politica. L’idea si fonda sulla
consapevolezza che la moneta, al di là delle funzioni pratiche che svolge, è un simbolo potentissimo, di identità,
di status; suscita emozioni e smuove l’immaginazione della gente in modo diretto e intenso.
Ma i tempi non sono ancora maturi. Il piano Werner di unione monetaria è spazzato via dai venti di
tempesta che soffiano sulle economie di tutto il mondo negli anni Settanta: viene abbattuto il sistema di Bretton
Woods; anche a causa di un fortissimo rialzo nei prezzi delle fonti energetiche (il primo shock petrolifero), si diffonde il germe dell’alta inflazione.
In Europa, per arginare il disordine monetario si dà vita nei primi anni Settanta al cosiddetto “ser-
122 Festa per l’euro sotto la sede della
pente”, nomignolo con cui si designa un accordo di cambio fra alcune valute europee che prevede limiti massimi
Banca Centrale Europea, Francoforte,
di fluttuazione per ciascuna coppia di valute. Il meccanismo è di fatto asimmetrico: se un dato tasso di cambio
2002. (© ANSA).
bilaterale tende ad allontanarsi dalla parità fissata, è il paese la cui valuta si sta deprezzando ad essere di fatto
* Questo contributo in parte riprende
costretto a prendere misure di aggiustamento, a causa della esauribilità delle riserve valutarie spendibili per fre-
considerazioni svolte in Salvatore Rossi,
nare il deprezzamento di una valuta sul mercato dei cambi. La debolezza del dollaro, le divergenze nelle politiche
La politica economica italiana, 1968-2007,
Roma-Bari, Laterza, 2007.
economiche e il primo shock petrolifero nel 1973 fanno sì che molti stati membri escano rapidamente dal nuovo
109
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
meccanismo monetario, che dopo due anni comprende solo i paesi del Benelux, la Danimarca e la Germania.
L’interesse a creare un’area di maggiore stabilità valutaria in Europa rimane però forte; le continue
tensioni sul mercato dei cambi portano a riallineamenti delle parità che mettono a rischio la stabilità monetaria e
il sistema comune dei prezzi agricoli.
Nel 1979 prende avvio il Sistema Monetario Europeo (SME), a cui aderiscono tutti gli stati membri della
Comunità Europea, ad eccezione del Regno Unito. Il progetto è più avanzato del rudimentale “serpente”, ma è
comunque decisamente più modesto nelle ambizioni rispetto al piano Werner. Si dimostra realistico per i tempi
correnti.
La fase decisiva dei negoziati per la costruzione dello SME si svolge nel 1978, sotto l’impulso del presidente francese Giscard d’Estaing e del cancelliere tedesco Schmidt. Si confrontano due modelli alternativi di
accordo di cambio, rispettivamente sostenuti dai negoziatori francesi e tedeschi. Il primo prevede che vengano
fissati limiti alla fluttuazione di ciascuna valuta nei confronti dell’ECU: quest’ultimo, un “paniere virtuale” che
contiene un assortimento di tutte le valute comunitarie, fungerebbe così da media di riferimento. Secondo questo modello, è in ogni momento identificata la valuta deviante, quella il cui scostamento dall’ECU è maggiore in
valore assoluto, che sia essa la più debole o la più forte; sul paese che la emette graverebbe la responsabilità di
intervenire per evitare che i limiti massimi di scostamento dall’ECU vengano oltrepassati. Il secondo modello non
è che la riproduzione, aggiornata ed estesa, del vecchio, asimmetrico “serpente”.
123 Firma dei trattati di Roma. Aderiscono
inizialmente alla CEE: Belgio, Francia, Germania,
Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Nella foto,
in primo piano: Antonio Segni, quarto presidente
della Repubblica Italiana, allora presidente del
110
Consiglio dei Ministri (© ANSA).
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
Il secondo modello viene alla fine prescelto. Tuttavia i fautori del primo schema ottengono che ai “margini d’intervento” fissati su base bilaterale si affianchi un “indicatore di divergenza” rispetto all’ECU, ai cui segnali
il paese divergente, pur non obbligato a rispondere, si presume prenderà delle misure di aggiustamento. I margini
di fluttuazione bilaterale sono fissati al 2,25 per cento, intorno a parità centrali stabilite all’inizio del sistema
(marzo 1979) e modificabili solo con l’accordo di tutti i partecipanti. L’Italia ottiene per la lira margini allargati
del 6 per cento, che saranno portati al 2,25 solo undici anni più tardi.
Il sistema viene dotato di meccanismi di mutua assistenza creditizia, a brevissimo, breve e medio termine. In particolare, il primo meccanismo prevede che, ove una valuta, deprezzandosi, raggiunga il margine di
intervento obbligatorio, il paese emittente debba poter ottenere credito dagli altri paesi del sistema in modo automatico e incondizionato e in misura illimitata. Questa norma è ritenuta necessaria per rendere credibile l’accordo di cambio per il mercato. Essa sarà disattesa dalla banca centrale tedesca in occasione della crisi che colpisce la
lira nel settembre del 1992.
L’Italia decide di aderire allo SME per motivazioni più di politica internazionale che economiche. L’adesione italiana si rivela tuttavia capace di innescare un vero mutamento di regime nella politica economica. L’alto tasso di inflazione che contraddistingue in quegli anni l’economia italiana viene identificato come problema
prioritario. Al fine precipuo di contrastare l’inflazione le autorità italiane si impegnano, con tutta la cogenza di
124 L’austerity e le domeniche a piedi (© ANSA).
un trattato internazionale, a difendere il valore esterno della lira, rinunciando a confidare nella valvola della sva-
111
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
112
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
126
lutazione ogni volta che la perdita di competitività dei prodotti nazionali, dovuta alla più alta inflazione italiana,
tenda a comprimere significativamente i profitti delle imprese.
Nei tredici anni e mezzo in cui la lira ha fatto parte del meccanismo europeo di fluttuazione controllata
dei tassi di cambio, dal marzo del 1979 al settembre del 1992, la politica monetaria ha trovato nel rispetto di quel
vincolo il suo principale obiettivo.
L’idea di una vera unione monetaria in Europa torna ad affacciarsi nella seconda metà degli anni Ottanta, sull’abbrivio dello sforzo di ulteriore integrazione dei mercati reali che si sta compiendo con il completamento
del mercato interno.
Con l’Atto Unico Europeo del 1986 si stabilisce infatti di completare entro il 1992 la creazione nella
Comunità di un unico mercato interno dei prodotti e dei fattori produttivi, eliminando ogni residua barriera fisica,
tecnica, fiscale fra un mercato nazionale e l’altro. Si introducono fondamentali innovazioni di metodo: ci si allontana dalla irrealistica pretesa di un’armonizzazione totale delle norme e delle procedure nazionali per muovere
verso forme di armonizzazione “minima”, unita al principio del riconoscimento reciproco delle norme nazionali; si
estende nelle decisioni comunitarie l’uso del voto a maggioranza in luogo della unanimità.
Il successo che si viene ottenendo nella unificazione del mercato alimenta l’audacia degli europeisti. Si
precisa la consapevolezza che un mercato unico ha bisogno di un ordinamento monetario con esso coerente. Nel
1982 Tommaso Padoa-Schioppa propone l’idea del “quartetto inconciliabile”: il mantenimento di politiche monetarie distinte non è coerente con gli obiettivi comunitari di libero scambio di merci e servizi, libertà dei movimenti
di capitale e stabilità nei rapporti di cambio tra le monete. Si torna a concepire una unione economica e monetaria completa.
A sospingere il progetto si ritrovano ancora personaggi appartenenti a una generazione che non ha
127
perso la memoria dei conflitti europei e delle rovine che ne sono seguite, come François Mitterrand, Helmut Kohl,
Jacques Delors, Carlo Azeglio Ciampi. Vi si affiancano figure più tecniche, appartenenti a una generazione succes-
125 Germania 1989: la caduta del muro
di Berlino (© ANSA).
siva, come Tommaso Padoa-Schioppa. Il loro impegno, le loro più solenni dichiarazioni pubbliche alimentano la
percezione negli addetti ai lavori e nei comuni cittadini che la costruzione che si viene disegnando sia, nella men-
126 Nel 1988 il Consiglio europeo dà mandato
a un gruppo di lavoro coordinato dal presidente
della Commissione europea, Jacques Delors,
di elaborare la strategia per la realizzazione
dell’Unione Economica e Monetaria in Europa.
Il Rapporto Delors viene presentato nell’aprile
te dei suoi principali architetti, politica non meno che economica.
In punto di analisi teorica, i vantaggi economici che ci si possono aspettare da una unione monetaria
sono essenzialmente due:
•• annullare i costi di transazione derivanti dalle operazioni di cambio di una moneta in un’altra (costi di infor-
del 1989 (© ANSA).
mazione, tempi tecnici per le operazioni, commissioni etc.), e soprattutto eliminare i rischi di cambio, cioè
127 Tommaso Padoa-Schioppa contribuisce
l’incertezza che pesa su chi commerci fra due paesi, e debba fare piani per il futuro, riguardo all’evoluzione
alla stesura del Rapporto Delors ed entra nel primo
possibile dei tassi di cambio;
Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea
(© ANSA).
•• impedire che il buon funzionamento del libero mercato interno dell’area, con tutti i benefici allocativi che
113
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
esso implica, venga compromesso da catene di azione-reazione nel gioco della politica internazionale innescate dalla competizione commerciale; oscillazioni nei tassi di cambio, infatti, alterano in modo visibile e
immediato le posizioni competitive dei produttori dei vari paesi, ingenerando spesso il sospetto, nel paese
la cui moneta si rivaluta e che vede pertanto i propri prodotti rincarare rispetto a quelli dei concorrenti, che
questi ultimi stiano perseguendo tattiche di svalutazione competitiva; ne possono discendere pressioni politiche e di opinione pubblica in favore di rappresaglie protezionistiche (esemplare la querelle italo-francese
dopo la svalutazione della lira del 1992).
Il disegno di unificazione monetaria si concretizza nel 1989 con il piano elaborato dal gruppo di lavoro coordinato dal presidente della Commissione europea, Jacques Delors. La strategia di costruzione dell’Unione
Economica e Monetaria (UEM) viene articolata in tre fasi: il completamento del mercato interno con la rimozione
dei rimanenti impedimenti all’integrazione finanziaria (Prima Fase: 1990-1994); la costituzione dell’Istituto Monetario Europeo per preparare la transizione alla moneta unica, il raggiungimento di una maggiore convergenza
economica tra gli stati membri e la definizione delle regole di governance economica dell’Unione (Seconda Fase:
1994-1998); la fissazione delle parità di cambio irrevocabili, il passaggio all’euro e la costituzione della Banca
Centrale Europea (BCE) e del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC), che avranno la responsabilità di condurre la politica monetaria nell’area valutaria comune (Terza Fase: dal 1999 in poi). Il trattato di Maastricht, firmato
dagli stati membri nel febbraio del 1992, sancisce l’impegno politico alla creazione della UEM.
Le gravi tensioni valutarie del 1992-1993, che portano alla fuoriuscita dell’Italia e del Regno Unito
128 Mappa dell’euro (Elaborazione grafica:
114
emde gestaltung, Stoccarda).
PARTE II. TEMI
La moneta comune europea
129
dallo SME, non rallentano il processo di unificazione monetaria. I passi previsti dal Rapporto Delors vengono compiuti senza ritardi. Nel 1995 il Consiglio europeo decide il nome della nuova moneta europea: l’euro. Negli anni
successivi i paesi coinvolti compiono notevoli progressi sul fronte della convergenza economica, per rispettare i
criteri di Maastricht. Nel 1997 il Consiglio europeo approva il Patto di stabilità e crescita che stabilisce le regole,
in particolare nel campo della disciplina fiscale, che gli stati dovranno rispettare nella UEM. Il contenimento dei
debiti e disavanzi pubblici è considerato condizione necessaria per mantenere la stabilità monetaria; è la garanzia
richiesta dai paesi più virtuosi per l’avvio dell’unione monetaria.
Per l’economia italiana dell’inizio degli anni Novanta, sull’orlo della crisi finanziaria e oberata da un
debito pubblico che supera il 120 per cento del PIL, la corsa all’euro è un potente fattore di stimolo per affrontare
alcuni dei nodi più urgenti. L’eccezionale sforzo di consolidamento fiscale, la rigorosa politica monetaria, l’accordo di politica dei redditi del 1993, le riforme del sistema pensionistico, sono alcuni degli interventi che conferiscono credibilità al cammino dell’Italia e permettono una rapida riduzione del costo del debito e dell’inflazione,
in un processo virtuoso che si rinforza progressivamente.
Nel maggio del 1998, oltre all’Italia, altri dieci stati membri soddisfano i criteri di convergenza e formano quindi il primo gruppo che adotta l’euro; la Grecia si aggiungerà due anni dopo.
La transizione all’euro, il 1° gennaio 1999, avviene, per l’Italia come per gli altri paesi, senza rilevanti
incidenti di percorso. Dall’inizio del 1999 la politica monetaria e del tasso di cambio cessa di essere un affare interno per disciogliersi in una responsabilità condivisa. La BCE e l’Eurosistema (l’insieme delle banche centrali nazionali dei paesi che hanno adottato la moneta unica) acquisiscono la piena responsabilità di conduzione della politica monetaria con l’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi per l’area dell’euro nel suo complesso.
130
Dall’inizio del 2002 l’euro inizia a circolare nei paesi dell’area anche in forma di banconote e monete
metalliche, sostituendo definitivamente le valute nazionali dei paesi aderenti. È il più grande passaggio a una
nuova valuta della storia. Altri cinque paesi adottano la moneta unica negli anni successivi.
Possiamo oggi dire con sguardo retrospettivo che, negli anni finora trascorsi nel regime di politica monetaria comune, l’area dell’euro e l’Italia hanno beneficiato di livelli dei tassi di interesse, a breve e a medio termine, nominali e reali, bassi quali non si vedevano dagli anni Cinquanta. La forza e la stabilità della moneta comune hanno tolto al tema dell’inflazione la drammaticità che lo aveva caratterizzato per trent’anni. L’integrazione
economica e finanziaria europea ne ha ricevuto uno straordinario impulso.
129 Il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi,
Anche nella crisi finanziaria mondiale apertasi nel 2007, la più grave dalla Grande depressione, l’euro
uno dei protagonisti dell’unificazione monetaria
ha rappresentato una fondamentale ancora di stabilità per i paesi dell’area dell’euro. La crisi ha tuttavia mostrato
europea (© ANSA).
130 I primi due presidenti della Banca Centrale
Europea: Wim Duisenberg e Jean-Claude Trichet
(© ANSA).
come la costruzione europea rimanga un processo incompiuto, con aree di fragilità, in particolare nel campo della
governance economica, che vanno affrontate.
L’euro è comunque fondamento irrinunciabile di ogni progetto di rilancio dell’Unione Europea.
115
Nei secoli l’evoluzione dei mezzi di pagamento è proceduta con molta lentezza. A partire dagli anni
Ottanta del secolo scorso il passo delle trasformazioni ha accelerato, sotto l’impulso dell’innovazione tecnologica
e delle nuove esigenze connesse con gli scambi reali e finanziari, in un contesto di crescente globalizzazione delle
economie. Sebbene si tenda generalmente a descrivere lo sviluppo delle diverse forme di pagamento come una
successione di fasi in cui una modalità sostituisce la precedente, in realtà nelle società moderne quasi tutti i mezzi
di pagamento sono al tempo stesso presenti, sia perché ognuno di essi soddisfa esigenze specifiche dei diversi
utenti, sia perché le abitudini e le tradizioni consolidate in ciascun paese sono lente a cambiare.
L’utilizzo di modalità diverse dalla banconota e dalle monete metalliche richiede, per il perfezionamento delle operazioni, la disponibilità di un’infrastruttura complessa che realizzi il passaggio della moneta da un
operatore all’altro. Un moderno sistema dei pagamenti è quindi un insieme di procedure, norme, strumenti di pagamento, intermediari, reti di collegamento, sistemi di compensazione e di regolamento, in grado di consentire
il trasferimento dei fondi tra gli agenti economici (famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni e operatori del
mercato finanziario). Il suo buon funzionamento richiede dunque il coinvolgimento e la cooperazione di una pluralità di soggetti; oltre a dover garantire un elevato livello di fiducia nei mezzi di pagamento, per assicurarne l’accettazione negli scambi, esso è cruciale per la conduzione della politica monetaria e la stabilità finanziaria. Per
LA MONETA OGGI
di Paola Arena, Paola Giucca,
Diana Scarpetta e Elisabetta Sciuto
questi motivi un ruolo fondamentale viene svolto dal complesso quadro di regole che disciplina il funzionamento
del sistema dei pagamenti e dall’azione delle istituzioni pubbliche, in particolare delle banche centrali.
Ciascuna modalità di pagamento si caratterizza per specifiche proprietà e per il complesso dei presidi
(regole associate all’utilizzo e istituzioni che ne garantiscono il potere di acquisto) posti in essere a tutela della
fiducia del pubblico, condizione essenziale per la sua accettazione negli scambi.
Negli ultimi trent’anni si è assistito a un aumento esponenziale nei regolamenti tra banche e nella diffusione di nuove modalità di pagamento (carte di credito e di debito, bonifici, addebiti diretti, moneta elettronica) che hanno gradualmente reso le operazioni di trasferimento della moneta da un conto all’altro più efficienti
rispetto al passaggio “di mano in mano” delle banconote o degli assegni. Per i pagamenti non ricorrenti (come
ad esempio gli abbonamenti a riviste) si è diffuso l’uso dei bonifici, per quelli ripetitivi (come le bollette delle
utenze) quello degli addebiti diretti. Carte di credito e di debito sostituiscono sempre più spesso le banconote e le
monete per gli acquisti di beni e servizi e sono progressivamente utilizzate anche in internet.
La capillare diffusione delle macchine per il prelievo automatico di contante (Automated teller machines, ATM), d’altra parte, ha reso più facile l’approvvigionamento di banconote con l’utilizzo di carte di pagamento, senza dover ricorrere “fisicamente” allo sportello bancario o agli uffici postali. Questa innovazione, paradossalmente, ha finito col sostenere, soprattutto in Italia, l’utilizzo di uno dei più tradizionali mezzi di pagamento,
la banconota. Oltre che per operazioni di prelievo, il bancomat è utilizzato anche per effettuare pagamenti, in
131 Business (© Roman Sigaev Fotolia).
genere di importo più contenuto di quelli con carte di credito, e per compiere altre operazioni presso gli sportelli
117
PARTE II. TEMI
LA MONETA OGGI
automatici, come la visualizzazione del saldo del conto, le ricariche telefoniche o il pagamento di bollette.
132
A differenza del bancomat, la carta di credito si contraddistingue per la possibilità del suo utilizzo indipendentemente dalla disponibilità di fondi sul conto nel momento in cui la spesa viene effettuata, e per la possibilità di rateizzare l’operazione di pagamento (credito al consumo). Le carte prepagate incorporano invece un
potere d’acquisto versato in via anticipata dal titolare della carta all’emittente: contrariamente alle carte di credito e di debito, possono essere utilizzate anche da chi non dispone di un conto corrente. Per questo motivo sono
molto diffuse, tra l’altro, tra i giovani e i migranti, e sono sempre più utilizzate per gli acquisti in internet, oltre
che presso negozi tradizionali e per operazioni di prelievo su ATM.
Il ventaglio delle modalità di pagamento innovative va ulteriormente ampliandosi con la diffusione di
conti virtuali accesi in rete per ricevere e inviare denaro in tutto il mondo, ma anche per assecondare l’evolversi
dell’utilizzo di internet non più come semplice vetrina di prodotti ma anche come vero e proprio canale di vendita.
La frontiera più recente è l’uso dei telefoni cellulari nel campo dei pagamenti. Con il telefono cellulare si possono
effettuare piccole spese quotidiane (l’acquisto di un giornale o di un caffè) semplicemente avvicinando il telefono
a un lettore abilitato, oppure inviando un SMS per acquistare un biglietto per il cinema, pagare un parcheggio,
inviare denaro a una persona lontana.
Nel 2002 in 12 paesi europei, tra i quali l’Italia, l’euro ha sostituito le rispettive valute nazionali come
moneta unica con la quale effettuare pagamenti in contante; dal 1° gennaio 2011 il numero dei paesi che hanno
adottato l’euro è salito a 17. Se dal 1° gennaio 2002 si potevano effettuare pagamenti utilizzando le stesse banconote e monete in tutti i paesi dell’area dell’euro, le altre modalità di pagamento continuavano invece a essere
caratterizzate da standard, regole e regimi giuridici diversi da paese a paese. Oltre alla moneta unica, dunque,
era necessario creare un sistema integrato che consentisse a quella moneta di circolare fra tutti i paesi dell’area
e permettesse ai cittadini e alle imprese europee di effettuare pagamenti con modalità uniformi. La creazione di
un’area unica dei pagamenti in euro (Single euro payments area, SEPA) risponde a questa esigenza: mira a consentire l’effettuazione di pagamenti con modalità armonizzate per bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento,
utilizzando un singolo conto, alle stesse condizioni di base e indipendentemente dal luogo di residenza. L’eliminazione delle barriere ai pagamenti elettronici tra paesi punta ad accrescere l’efficienza del mercato europeo dei
pagamenti e a ridurre i costi di transazione, stimolando la concorrenza e l’innovazione tecnologica, con effetti
positivi su consumi, produzione e investimenti. Funzionale alla creazione della SEPA è la realizzazione di una cor-
133
nice giuridica armonizzata a livello europeo per l’offerta dei servizi di pagamento: numerosi interventi del legislatore europeo – tra i quali la direttiva sui servizi di pagamento del 2007 – vanno in questa direzione.
L’armonizzazione di standard e regole mira a promuovere modalità di pagamento innovative, affidabili
118
132 E-commerce, online banking
ed efficienti. Apre le porte a cambiamenti negli usi e nelle abitudini degli utilizzatori dei diversi servizi e impone
(© dkimages Fotolia).
agli operatori del mercato nuovi obblighi. Se è fondamentale che i soggetti che offrono servizi di pagamento ga-
133 Credit economy (© Ronald Hudson Fotolia).
PARTE II. TEMI
LA MONETA OGGI
rantiscano presidi di sicurezza adeguati per assicurarne l’integrità, è altrettanto importante che gli utilizzatori
mantengano una condotta accorta nell’uso di questi servizi. Ciò significa, ad esempio, conservare in sicurezza i
codici di identificazione personali (PIN) per le carte, notificare prontamente episodi di furto della carta o di utilizzo non autorizzato della stessa, porre attenzione nel divulgare in rete dettagli sul proprio conto per prevenire
fenomeni di frode (phishing). Nei pagamenti elettronici, in particolare nell’uso delle carte di credito, vi è peraltro
anche un altro rischio – non connesso con la vulnerabilità del mezzo di pagamento – rispetto al quale conviene
essere vigili: il pericolo di perdere l’esatta percezione di quanto si spende.
La tutela della clientela è complementare alle istanze di efficienza e trasparenza dei circuiti di trasferimento fondi. Poiché il prezzo di un mezzo di pagamento riflette la sua efficienza relativa, è importante che gli
utilizzatori comparino adeguatamente le condizioni applicate dai diversi operatori. A tale esigenza rispondono le
nuove regole introdotte dal legislatore europeo e di recente recepite in Italia. In questa prospettiva, tenuto conto
della rilevanza che le rimesse dei migranti hanno sulle economie dei loro paesi di origine, la Banca d’Italia, d’intesa con la Banca Mondiale e nell’ambito delle iniziative condotte dal Ministero degli Affari esteri, ha sostenuto
la realizzazione di un sito che permette di confrontare i prezzi delle rimesse in partenza dall’Italia praticati dai
diversi intermediari e di individuare quindi la soluzione più conveniente, superando le difficoltà connesse con la
complessità del metodo di calcolo dei costi e con le limitate conoscenze finanziarie e linguistiche dei migranti.
134 Credit card and mobile phone
(© Elena Kolchina Fotolia).
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PARTE II. TEMI
LA MONETA OGGI
L’affermazione di tecnologie di pagamento caratterizzate da una crescente componente “virtuale” implica nuovi rischi, che riguardano l’affidabilità dell’emittente (sotto il profilo patrimoniale e operativo), del mezzo
di pagamento (sotto l’aspetto della sua integrità e autenticità), nonché della complessa rete organizzativa sottostante all’utilizzo dei diversi strumenti di pagamento. L’interesse pubblico a disporre di sistemi di pagamento affidabili, sicuri ed efficienti chiama in causa le banche centrali: agli altri ruoli ad esse affidati, si affiancano l’offerta
diretta di servizi di regolamento dei pagamenti tra gli intermediari, l’azione di indirizzo e di controllo sul sistema
dei pagamenti, la promozione della cooperazione tra i diversi operatori all’interno del sistema.
Obiettivo dell’azione delle banche centrali e della cooperazione tra gli operatori del mercato è l’adeguamento dei sistemi di pagamento alla complessità dei mercati finanziari, alla crescente interdipendenza tra
operatori, mercati e paesi, alle istanze della clientela per la riduzione dei costi. Il motore principale del cambiamento nei sistemi di pagamento è rappresentato dall’evoluzione tecnologica, che negli ultimi decenni ha consentito di affrontare i nuovi rischi emergenti e di migliorare l’efficienza dei sistemi stessi.
L’offerta diretta dei servizi di regolamento da parte delle banche centrali riguarda soprattutto i pagamenti di importo rilevante, per il ruolo che essi rivestono per l’efficacia della politica monetaria e la stabilità
delle banche. In questo comparto, infatti, è maggiore il pericolo che difficoltà tecniche o finanziarie di un singolo
intermediario possano trasmettersi a catena ad altri operatori, con riflessi – in casi estremi – sulla stabilità del
sistema bancario e dei mercati finanziari nel loro complesso.
La necessità di minimizzare questo pericolo (chiamato rischio sistemico, perché può ripercuotersi
sull’intero sistema bancario e finanziario) ha portato, a partire dagli anni Novanta, al progressivo sviluppo da
parte delle banche centrali di sistemi di regolamento nei quali ciascun pagamento immesso da un operatore è
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regolato in tempo reale, su base individuale e in via definitiva, sui conti detenuti presso le banche centrali stesse.
135 Internet concept (© Nmedia Fotolia).
PARTE II. TEMI
LA MONETA OGGI
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In tal modo, eventuali singoli problemi restano circoscritti e non bloccano il funzionamento dell’intero sistema.
Questo tipo di sistema è conosciuto con la sigla RTGS (Real time gross settlement system). Il sistema alternativo,
utilizzato in passato e ancora in uso per i pagamenti di importo minore, prevede invece la compensazione delle
diverse partite a credito e a debito e il regolamento alla fine della giornata solo delle rispettive posizioni nette risultanti dalla somma algebrica di tutti i pagamenti immessi e ricevuti. Proprio perché escludono la compensazione
dei diversi incassi e pagamenti, i sistemi RTGS per funzionare efficacemente richiedono un’adeguata liquidità infragiornaliera: per tale ragione essi offrono apposite funzionalità, quali le liste di attesa per i pagamenti temporaneamente privi di copertura e la concessione di scoperti infragiornalieri, che ne rendono più flessibile l’utilizzo e
meno stringenti le esigenze di liquidità.
Con l’avvio dell’Unione Monetaria Europea emerse l’esigenza di disporre di un sistema che favorisse
l’integrazione dei mercati monetari nazionali e la creazione di un mercato monetario europeo, in grado di permettere la conduzione efficace della politica monetaria unica all’interno dell’area. Nel 1999, contestualmente all’introduzione dell’euro, è stato realizzato il sistema TARGET, costituito dai sistemi RTGS nazionali, dalla procedura di
pagamento della Banca Centrale Europea e dalle infrastrutture necessarie a collegarli. TARGET ha permesso di dare
esecuzione ai pagamenti interbancari nell’area dell’euro in condizioni di sicurezza, affidabilità ed efficienza, dando impulso al tempo stesso al processo di integrazione finanziaria tra i paesi.
Tra novembre 2007 e maggio 2008 TARGET è stato gradualmente sostituito da una nuova generazione
del sistema, TARGET2, basato su un’infrastruttura tecnologica unica, realizzata e gestita congiuntamente da Banca d’Italia, Deutsche Bundesbank e Banque de France per conto dell’Eurosistema (il sistema composto dalla Banca
Centrale Europea e dalle banche centrali nazionali dei paesi che adottano l’euro).
TARGET2 risponde alla domanda delle banche di disporre di servizi armonizzati e funzionalità evolute
per la gestione della liquidità; alla necessità di gestire in maniera flessibile e tempestiva le esigenze poste dall’ampliamento dell’Unione Europea e dell’Eurosistema; alla ricerca di elevati livelli di efficienza. Particolarmente pre-
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sidiati sono gli aspetti di sicurezza, tesi a garantire elevati livelli di continuità operativa, in linea con l’importanza
sistemica dell’infrastruttura.
Oltre ai paesi dell’Eurosistema, aderiscono a TARGET2 anche le banche centrali e le comunità bancarie di
Danimarca, Lituania, Lettonia, Polonia e Bulgaria (nel corso del 2011 anche la Romania si connetterà al sistema).
Tutte le banche partecipanti, indipendentemente dalla localizzazione, usufruiscono dei medesimi servizi sulla base
di uno schema tariffario unico. Gli intermediari presenti in più paesi europei possono utilizzare un solo conto di
deposito, con una riduzione dei costi organizzativi e di gestione della liquidità. L’operare delle banche alle medesime condizioni in tutta Europa favorisce l’integrazione dei mercati e l’armonizzazione delle loro prassi operative.
136 Europe brochure (© INFINITY Fotolia).
137 Isolated EU flag (© Dirk Freder Stockphoto).
Dal punto di vista del valore dei pagamenti regolati, TARGET2 è uno dei principali sistemi di pagamento
al mondo, insieme al sistema Fedwire Funds Service gestito dalla Federal Reserve, la banca centrale statunitense.
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PARTE II. TEMI
LA MONETA OGGI
A differenza del settore dei pagamenti di importo rilevante, quelli di importo ridotto (pagamenti al
dettaglio) – normalmente eseguiti dalle famiglie, dalle imprese e dalla pubblica amministrazione – generano, nella fase del loro regolamento interbancario, un minore rischio sistemico, in relazione al loro basso valore unitario,
sebbene il loro numero risulti estremamente elevato. Per tale motivo, i pagamenti al dettaglio generalmente non
sono regolati in sistemi RTGS, ma confluiscono invece in sistemi di compensazione. La compensazione è un istituto
molto antico, che risale almeno al XIII secolo, quando periodicamente, in occasione delle fiere della Champagne,
in Francia, i banchieri-mercanti medievali compensavano i propri rapporti reciproci, regolando solo il saldo fra
tutte le operazioni intercorse fra loro. Anche oggi il regolamento differito e il meccanismo della compensazione
permettono alle banche di ridurre le esigenze di liquidità necessarie nel corso della giornata per regolare il volume complessivo dei loro scambi.
Poiché presentano minori esigenze in termini di presidio del rischio, i sistemi di compensazione e di
regolamento per i pagamenti al dettaglio sono gestiti, in alcuni paesi, anche da operatori privati. In Italia è la
Banca d’Italia a gestire il sistema di compensazione multilaterale e di regolamento di tali pagamenti (BI-COMP).
In esso confluiscono sia i pagamenti effettuati con procedure automatizzate (bonifici e pagamenti effettuati con
carte di debito), sia quelli realizzati con strumenti cartacei (come gli assegni). Di questi ultimi la Banca d’Italia
consente lo scambio fisico presso le Stanze di compensazione di Roma e Milano. Al termine di ogni ciclo di compensazione, il saldo netto (a debito o a credito) di ciascun intermediario nei confronti del resto dei partecipanti è
regolato sul suo conto detenuto presso la Banca centrale tramite il sistema TARGET2.
I sistemi di compensazione e regolamento dei pagamenti di importo limitato svolgono un ruolo fondamentale anche nel processo di realizzazione della SEPA. Affinché tutti gli operatori dell’area possano eseguire o
ricevere pagamenti domestici e transfrontalieri alle stesse condizioni, è necessario conseguire un elevato livello
di integrazione fra le infrastrutture, favorendo al contempo una loro progressiva concentrazione al fine di realizzare le economie di scala e di scopo che la dimensione europea può consentire.
Due diversi modelli organizzativi e operativi sono stati adottati dai sistemi europei per permettere ai
propri partecipanti di raggiungere tutti gli altri intermediari dell’area. Nel primo modello, ad oggi fatto proprio
dal sistema per i pagamenti al dettaglio STEP2 di EBA-Clearing, questo obiettivo è perseguito mediante la partecipazione degli intermediari a un unico sistema paneuropeo; nel secondo modello lo stesso fine viene conseguito
tramite il collegamento dei diversi sistemi ai quali gli intermediari partecipano, sulla base di regole e procedure
comuni concordate nella sede di cooperazione europea delle infrastrutture (European Automated Clearing House
Association, EACHA). La Banca d’Italia stipula accordi di interoperabilità tra BI-COMP e gli analoghi sistemi europei. Ai partecipanti a BI-COMP che lo richiedano la Banca offre inoltre il servizio di intermediazione per regolare i
138 Map of Europe
(© European Communities, 2011).
pagamenti in STEP2, al fine di ampliare le possibilità di raggiungere gli altri intermediari dell’area.
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