Il Barocco Nella storia della musica il periodo che si colloca tra il Rinascimento ed il Classicismo, cioè tra il 1600 e il 1750, prende il nome di Barocco. Poiché in questo periodo nelle composizioni vocali e strumentali è costantemente impiegato il basso continuo1, fu detto anche “età del basso continuo”. Così come le altre forme d'arte del periodo, la musica barocca era votata al desiderio di stupire e divertire l'ascoltatore: cambi repentini di tempo, passaggi di grande virtuosismo strumentale o vocale, l'uso del contrappunto e della fuga, sono gli elementi che più caratterizzano la produzione musicale di questo periodo, insieme ad uno sviluppato senso dell'improvvisazione. _____________________ 1Il basso continuo costituisce spiccatamente il contrassegno del barocco musicale. Esso costituiva il sostegno armonico‐strumentale che accompagnava le parti superiori della composizione dal principio alla fine (perciò detto continuo). Veniva improvvisato al clavicembalo o all’organo, spesso unito ad uno strumento ad arco (viola da gamba o violoncello) che suonava soltanto la linea fondamentale del basso La musica del Barocco si distacca nettamente da quella del Rinascimento perché a differenza di questa, non impiega un solo stile, valido per la musica sacra e profana, vocale e strumentale, ma più stili. Permane l’uso della polifonia ma accanto ad essa nasce la monodia, che a sua volta si modella diversamente nelle composizioni vocali sacre e in quelle profane. Un’altra caratteristica del Barocco musicale fu l’affermazione di nuove forme e generi. Continuarono ad esistere, pur subendo trasformazioni radicali, la Messa, il Mottetto, e, per breve periodo, il Madrigale, ma ad essi si affiancarono generi e forme nuove; vocali: Opera, Oratorio, Cantata, Duetto; strumentali: Fuga, Suite, Ciaccona, Sonata, Concerto, Concerto Grosso, Sinfonia. Lo svolgimento storico del Barocco musicale difficilmente può configurarsi con visione storica unitaria e con caratteri stilistici omogenei, perciò fu operata una sua tripartizione temporale: •la prima fase è rappresentata da: Monteverdi, Frescobaldi, Schütz; •la seconda fase da: Carissimi, Lulli, Purcell; •la terza fase da: Vivaldi, i due Scarlatti, Couperin, Bach, Haendel. FORME VOCALI E STRUMENTALI DEL PERIODO BAROCCO: •Cantata – Composizione d’ispirazione profana o religiosa, scritta a una o più voci con accompagnamento, e destinata alla camera, al concerto e alla chiesa. L’accompagnamento strumentale era solitamente sintetizzato nel basso continuo realizzato dal clavicembalo. Derivato dal madrigale italiano del Rinascimento, questo genere musicale è il corrispondente vocale della Sonata. Alessandro de Grandi, di scuola veneziana, fu il primo ad usare il termine Cantata. Con il Carissimi in particolare, acquistò una forma definitiva, tra il recitativo e l’aria, con carattere profano. Passata in Germania, si sviluppò poi in Cantata sacra soprattutto con Bach. •Ciaccona – Danza di probabile origine messicana che appare in Spagna alla fine del XVI° secolo e si diffonde rapidamente in occidente nel primo quarto del XVII° secolo. Questa danza di origine popolare è assai vivace e in movimento ternario ed è caratterizzata da figure di basso ripetute continuamente, dette basso ostinato. • Concerto – Composizione sinfonica di ampio sviluppo per strumento solista e orchestra. E’ diviso in tre tempi: Allegro, Adagio, Finale. Il Concerto Grosso è basato sulla contrapposizione del Concertino, formato da un trio di solisti (2 violini e violoncello) a tutta l’orchestra. Il Concerto Solista mette invece in evidenza uno strumento in contrapposizione a tutta l’orchestra. •Fuga – E’ una composizione in stile contrappuntistico (vocale, strumentale o mista) fondata sull’uso dell’imitazione, ma con criteri molto rigidi. Ebbe grande sviluppo nella seconda metà del XVII° secolo e nella prima del XVIII° soprattutto ad opera dei maestri tedeschi fra i quali spicca J.S. Bach che con L’Arte della Fuga e il Clavicembalo ben temperato contribuì in misura notevole a dare splendore e sviluppo alla Fuga. La Fuga scritta a 2, 3, 4, o più voci comprende generalmente tre parti: l’ esposizione, i divertimenti e gli stretti. • Il Duetto da camera – Il Duetto da camera conservava lo spirito e lo schema della Cantata profana; vi persisteva tuttavia un gusto contrappuntistico. Ne scrissero Luigi Rossi e Benedetto Marcello. • Sonata – In origine il termine Sonata indicava una composizione da camera per uno o più strumenti in contrapposizione alla Cantata che era una composizione prevalentemente cantata. Si distingueva in Sonata da Chiesa, formata da una serie di brani di carattere piuttosto austero e Sonata da camera formata da una serie di danze o da brani derivanti dalla Canzone e dal Madrigale. Questo tipo di composizione si configurò secondo una struttura monotematica e bipartita. Particolare importanza, per l’evoluzione della Sonata, è da attribuirsi a Domenico Scarlatti le cui Sonate sono tutte in un unico tempo (Mosso o Allegro), la forma è bipartita ma, in alcuni casi, anziché essere monotematica è bitematica anticipando così, l’architettura della Sonata moderna. La Sonata, nella sua forma definitiva, rappresenta un modello strutturale che influenzerà le composizioni strumentali fino alla fine del 1800. La Sonata è generalmente divisa in 4 tempi. La forma che la caratterizza è il 1° tempo. Questo è bitematco e tripartito, ossia comprende due temi ed è in tre parti. • Suite – E’ una composizione strumentale costituita da una serie di pezzi diversi collegati fra loro tonalmente ed idealmente e divisi in tempi di danza. Nata dalla consuetudine delle corti di riunire più movimenti di danza, la Suite raggiunge la forma più elevata alla metà del XVII° secolo. Le danze che la compongono sono distribuite in modo tale che ad una con movimento lento, ne succede un’altra con movimento rapido; ad una di carattere meditativo, un’altra di carattere brillante. La forma delle danze è semplice ed è costituita da due parti distinte (forma bipartita e monotematica). Il melodramma del ’600 Dalla polifonia alla monodia – All’inizio del secolo XVII°, la polifonia, dopo un’egemonia durata diversi secoli, cedette il campo alla monodia, che rispondeva alle necessità di un’espressione più individualizzata, più nobile e più profonda, che l’uomo formato dalla civiltà del Rinascimento esigeva. La monodia fece le prime prove importanti nel teatro con il Dramma per musica, che successivamente si chiamò Melodramma e Opera Musicale. Il passaggio dalla polifonia alla monodia era stato favorito da: a) la nascente sensibilità armonico-verticale; b) dalla consuetudine di sostituire le voci inferiori di una composizione con uno strumento polivoco che le riassumesse tutte. Origini del Melodramma – Il Melodramma è una rappresentazione teatrale in cui convergono tutte le arti. Musica, poesia, danza e arti figurative insieme concorrono a rappresentare, sulla scena, un fatto, un evento, sia storico che immaginario, sia drammatico che sentimentale o brillante. Il Melodramma ebbe origine dall’ intento di alcuni colti gentiluomini di Firenze, i quali volevano far rivivere la musica greca. Essi erano i musicisti Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, Emilio dé Cavalieri; i poeti Ottavio Rinuccini, Jacopo Corsi ed altri. Questi nell’ultimo ventennio del secolo XVI° si riunivano in casa del Conte Giovanni dé Bardi per discutere intorno alla poesia e musica della loro epoca posta in relazione a quanto si conosceva della musica greca. Durante queste riunioni il loro spirito colto ed irrequieto indagava il modo di ricreare la musica greca che, a loro parere, era stata più perfetta e più espressiva di quella della loro epoca; essi muovevano aspre critiche alla polifonia, affermando che l’intreccio delle parti, impedendo la comprensione delle parole, si rivelava inefficace a riprodurre i sentimenti evocati dal testo. Si propose di creare un particolare linguaggio musicale, definito recitar cantando, in cui la musica aveva il compito di accrescere il senso delle parole, secondo quanto si riteneva fosse accaduto nell’antica Grecia. Il vero animatore di questo salotto musicale letterario del tardo Rinascimento fiorentino non fu tanto il conte dé Bardi, quanto Vincenzo Galilei, il musicista e teorico che organicamente ha tracciato nel famoso Dialogo della Musica antica e della moderna (1581), i principi fondamentali del nuovo stile musicale che sarebbe uscito per la prima volta da questo gruppo di dotti. Dopo i greci ed i romani, che si occuparono di musica soprattutto per quanto riguarda il teatro, si apre, secondo il Galilei, quel lungo ed oscuro periodo di decadenza a causa delle invasioni barbariche. La nuova musica, la monodia accompagnata, non era altro, nella mente dei musicisti e dei teorici del tempo, che la ripresa della genuina tradizione greca che si riteneva fosse ad una sola voce o all’unisono. Il ritorno ideale alla musica greca significava anzitutto l’individuazione del Medioevo come lungo periodo storico di decadenza e oscurità. Il fine principale della nuova musica era quello di “muovere gli affetti”. I primi drammi per musica furono: Dafne ed Eurudice di Jacopo Peri su testo di Rinuccini; Euridice di Caccini su testo di Rinuccini; Rappresentazione di Anima e di Corpo di E. dé Cavalieri su testo di padre Agostino Manni. Il fervore di esperimenti della nuova forma drammatico-musicale sorto a Firenze, si spense a poco a poco e la città che l’aveva tenuto a battesimo perse, ben presto, lo scettro dell’opera lirica. Roma e Venezia erano chiamate a succederle. La scuola Operistica Romana La prima città nella quale il Melodramma, nato a Firenze, trovò ospitalità e favore fu Roma. Qui, durante la prima metà del XVII° secolo si formò una scuola Romana. Essa prese le mosse del recitar cantando che vi era stato importato da Firenze da G. dé Bardi e da E. dé Cavalieri, interessò i maggiori musicisti di Roma e segnò la strada agli operisti delle generazioni successive. L’atto di nascita della scuola Romana è costituito da La Rappresentazione di Anima e di Corpo, un “dramma per musica” di argomento spirituale messo in scena nel 1600. la fortuna dell’opera a Roma fu dovuta alla simpatia dimostrata verso il nuovo genere dai cardinali Barberini. Essi fecero costruire nel loro palazzo il primo teatro d’opera che fu inaugurato nel 1632 con l’opera S. Alessio di Stefano Landi. Questa opera fu importante in quanto contiene tutti gli elementi che caratterizzarono l’opera romana in seguito. Si approfondisce la distinzione tra il recitativo1 e l’ aria2. Il recitativo perde l’originario ruolo di preminenza e l’aria acquista sempre maggiore importanza. Anche il coro diventa più importante ed appaiono per la prima volta alcuni personaggi comici, appartenenti per lo più alle classi umili. Questo prelude in un certo senso all’ Opera Buffa che si sviluppa a Napoli. _________________________ 1Il Recitativo è un canto la cui melodia e il ritmo osservano, per quanto possibile, l’accentuazione naturale delle parole e le inflessioni della frase parlata. Poteva essere semplice o secco derivato dal recitar cantando veniva accompagnato da alcuni accordi realizzati con il liuto o il clavicembalo su basso continuo, ebbe larghissimo impiego fino all’epoca di Rossini; oppure accompagnato o obbligato, introdotto per la prima volta da S. Landi nel S. Alessio, fu impiegato frequentemente da Scarlatti. L’esecuzione era sorretta dall’orchestra. Nel Melodramma dell’inizio del XVIII° secolo era usato più frequentemente del recitativo secco. All’epoca di G. Verdi si chiamò scena. 2L’ Aria, nata come pezzo cantabile e successivamente come melodia artistica o popolare, nell’opera del 1600 ( la grande Aria), è stata l’elemento fondamentale di ogni composizione lirica. Era il momento più elaborato musicalmente e più interessante dal punto di vista virtuosistico. Infatti, mentre al declamato del “recitar cantando” venivano affidati i momenti narrativi dell’azione drammatica, con l’aria i personaggi esprimevano gli “affetti”. Nell’aria , inoltre, erano contenuti elementi virtuosistici tali da far risaltare le capacità interpretative e la bravura dei cantanti. Generalmente al sua forma era tripartita con lo schema A, B, A con il da capo al fine. La scuola Operistica Veneziana e Claudio Monteverdi L’ opera Veneziana nacque nel 1637, quando si inaugurò il primo teatro pubblico a pagamento: il S. Cassiano di Venezia, l’opera usciva dalle corti e si democratizzava. Questo fatto influì notevolmente sui suoi caratteri: la favole pastorali furono definitivamente abbandonate per soggetti mitologici e storici di più intensa drammaticità; scomparso l’appoggio mecenatesco dei principi, il gusto del pubblico che pagava fece valere i suoi diritti: il virtuosismo canoro si affermò rapidamente e contribuì ad allontanare l’opera dallo scrupoloso recitativo fiorentino. Per economia si giunse a sopprimere i cori, ma non si badò a spese, invece, per realizzare uno sfarzo inaudito di macchine sceniche. I caratteri distintivi dell’Opera Veneziana furono: a)un’imponente, ricco e vario apparato scenico (è in questo periodo che nasce la scenotecnica); b)l’amore per un virtuosismo canoro, che accrebbe l’importanza dei cantanti; c)l’introduzione di soggetti storici. Nell’Opera Veneziana acquistò un peso maggiore l’ aria. I cori che nell’opera Romana avevano avuto un ruolo importante, appaiono con frequenza sempre minore. Il musicista sommo che raccolse e concluse le esperienze operistiche dell’epoca, collocandole su un piano di altissima arte, fu Claudio Monteverdi da Cremona. Fu una delle personalità più ardite e ricche di tensione espressiva di tutti i tempi. Vissuto nel periodo che assistette al tramonto della polifonia sacra e profana e all’affermarsi della monodia, contribuì in modo decisivo con la sua opera ai nuovi orientamenti della musica del XVII° secolo. Egli corona la sua epoca artistica in una sintesi equilibrata di vecchio e di nuovo. Pur accogliendo lo stile recitativo dei fiorentini, egli riscattò la musica dalla mortificante sottomissione alle parole, cui quelli l’avevano costretta. Attraverso gli otto libri di madrigali di Monteverdi si può seguire il graduale passaggio dalla polifonia alla monodia. Tra le opere teatrali ricordiamo: l’ Orfeo, l’ Arianna e l’ Incoronazione di Poppea. L’Orfeo racchiude la miglior musica di Monteverdi; della seconda opera, l’ Arianna, non è rimasto che un brano, ma sublime, il celebre Lamento. Il processo di drammatizzazione monodica del madrigale culmina nello straordinario Combattimento di Tancredi e di Clorinda. Instancabile ricercatore d’innovazione tecnica, Monteverdi usò, qui, per la prima volta il tremolo degli archi a rendere la vibrazione drammatica. Obbedendo al gusto degli spettatori, Monteverdi ha affiancato agli episodi drammatici alcune scene comiche o leggere; ha ridotto l’orchestra e soppresso i cori, appagando invece, il gusto per il “meraviglioso” con costose macchine teatrali e continui cambiamenti di scene. I soggetti storici, introdotti accanto a quelli mitologici, danno maggiore verosimiglianza al dramma. Il recitativo fiorentino è ormai lontano; le arie sono molto meglio definite. La produzione di Monteverdi fu quasi esclusivamente vocale. L’inclinazione a comprendere e svelare il significato interiore delle parole è presente in tutta la produzione di Monteverdi, dalle prime raccolte di madrigali alle ultime opere. La musica strumentale tra il ’600 ed il ’700 Man mano che si procede verso la fine del ’500, la musica strumentale è un genere ben definito. Tutti i compositori più famosi del tardo ’500 scrivono musica vocale e musica strumentale come generi diversi e ben distinti tra loro. Dalla seconda metà del ’500 in poi, i due generi, pur essendo avviati a una sempre più marcata autonomia e indipendenza, sono largamente debitrici una all’altra: il loro sviluppo rivelerà nel ’600-’700 una continua reciproca influenza alimentandosi l’uno dell’altro, questo dovuto anche al fatto che la grande maggioranza dei compositori dell’epoca sono al tempo stesso sia musicisti vocali che strumentali. Tuttavia è innegabile che il ’700 è anche il secolo in cui le ricerche dei musicisti hanno mirato alla conquista di un linguaggio strumentale pienamente autonomo. L’evoluzione della musica strumentale è contrassegnata da vari fenomeni: lo sviluppo degli strumenti a corda, a Cremona grandi liutai come Antonio Stradivari e Bartolomeo Guarneri (detto «del Gesù»), costruiscono meravigliosi violini, facendo, così crescere l’interesse per questo strumento e quindi il sorgere delle scuole violinistiche e la nascita del virtuosismo e, ancora, l’invenzione del pianoforte da parte di Bartolomeo Cristofori. In Italia fu particolarmente importante, ciò è testimoniato, nella prima metà del ’700, dal sorgere di importanti scuole strumentali, in particolare quella violinistica e quella clavicembalistica oltre ad un pullulare di musicisti, alcuni eccelsi come Antonio Vivaldi, Domenico Scarlatti, Alessandro e Benedetto Marcello, Tommaso Albinoni, altri minori ma sempre di buon livello, che hanno lasciato ai posteri un’imponente produzione musicale. Grazie a questi artisti, la musica acquista sempre più la capacità di dire, comunicare immagini, di descrivere, di esprimere. Lo stile concertante, nato con lo sviluppo degli strumenti (del violino in particolare) e con la conseguente ricerca di sempre nuovi effetti di contrasto e di alternanza , porta alla Sonata a tre e al Concerto grosso, forme queste giunte con Arcangelo Corelli ad un tale grado di perfezione da servire come modello in Italia e all’estero per circa mezzo secolo. Con Vivaldi il concerto del primo ’700 va acquistando i caratteri che diventeranno poi definitivi in quanto, dall’insieme strumentale, va emergendo uno strumento solista, uno strumento che viene messo in evidenza. Inoltre si afferma la divisione in tre tempi (chiamati anche movimenti, in quanto indicano l’andamento del brano: Allegro-Adagio-Allegro). Però, con il tracollo di Venezia e con il decadimento degli stati italiani, la situazione cambia. Il contenimento della spesa pubblica, fa sì che cantanti, compositori, violinisti e librettisti italiani cerchino all’estero favore e fortuna. Comincia così un’ “esportazione” di forme e tecniche musicali che, trapiantate all’estero, assumono aspetti nuovi e danno luogo a sviluppi che toglieranno all’Italia la supremazia in campo musicale. In Francia, la musica strumentale d’assieme finisce con l’assumere alla corte di Luigi XIV, un aspetto galante e frivolo. Priva di significati profondi, la musica accompagna tutti i momenti della giornata regale. Si fa tanta musica, ma tutta all’insegna della danza: Sarabanda, Allemanda, Giga, Bourrée, Gavotta, Minuetto….le danze si susseguono, una dopo l’altra, dando vita ad una nuova forma musicale, la Suite che le comprende tutte. Ma è in Germania e in Austria che le forme musicali nate col Barocco italiano finiscono con l’avere uno sviluppo totalmente autonomo e dal quale l’Italia viene lentamente esclusa. Ciò è dovuto soprattutto alla forte personalità di musicisti come Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Häendel (nati nel 1685), che si possono definire le glorie del barocco più maturo. Troviamo, poi, nel pieno ’700, due grandi austriaci: Franz Joseph Haydn, che sintetizza tutti i progressi fatti dai compositori del secolo precedente, realizzando un perfetto equilibrio nella costruzione delle forme musicali più importanti (sinfonie, sonate, quartetti), e Wolfgang Amadeus Mozart, il genio in assoluto, irripetibile miracolo del mondo dell’arte. Sarà ancora tedesco l’uomo che costruirà, con la sua arte, un ponte ideale tra ’700 e ’800: Ludving van Beethoven considerato l’ultimo dei classici ed il primo dei romantici. J.S. BACH e G.F. HÄENDEL Johann Sebastian BACH, Si presenta a noi con l’autorità imponente di coloro che concludono un’epoca e tutti i caratteri ne assommano in sé. All’infuori del teatro egli praticò tutti i generi musicali in uso nel suo tempo. Nella musica di Bach, confluiscono armoniosamente le due scuole della Germania: nord e sud. Inoltre, egli, fu sensibile alle voci musicali che pervennero da altri paesi, soprattutto dall’Italia si nutrì delle esperienze vocali e strumentali di musicisti come Corelli, Albinoni e Vivaldi e del quale Bach si trascrisse numerosi concerti. Dall’Italia Bach ereditò pure la forma dell’ aria col da capo. Dopo un secolo, Bach realizza una musica che non ha rinunciato al principio dell’imitazione, ma si è subordinata definitivamente alle leggi dell’armonia, adottando la modulazione attraverso le 24 tonalità dei due modi: maggiore e minore. La forma tipicamente bachiana, nella quale appare simboleggiato l’equilibrio definitivo tra il principio contrappuntistico dell’imitazione ed il meccanismo armonico della modulazione, è la Fuga, che Bach eternò nei 48 Preludi e Fughe del “Clavicembalo ben Temperato” legato appunto al temperamento1 della scala (cioè l’eliminazione convenzionale della diversità di altezza che realmente intercorre, per esempio, tra un Do diesis e un Re bemolle). Il Bach delle fughe, che è, per molti, il vero Bach, presenta certi caratteri di geometrica precisione, di gioia architettonica fine e sé stessa, che sembrano escludere ogni possibilità di romantica espressione. In realtà, anche nelle fughe Bach immette, inconsapevolmente, la ricchezza della sua anima profondamente religiosa. ______________________________________________________________________ 1Il Sistema Temperato non è altro che la suddivisione dell’ottava in 12 semitoni uguali, rendendo identici il semitono cromatico con il semitono diatonico. Questo sistema ci consente di evitare le complicazioni derivate dalla suddivisione del tono in 9 comma che stabiliva la diversità fra sem. crom. e sem. diat. Il Sistema Temperato definito equabile, quindi ci da l’ottava divisa in 12 semitoni uguali dandoci la possibilità di chiamare, per esempio, lo stesso suono SIb o LA#. La vita di Bach fu quella di un onesto e laborioso organista. Ebbe due mogli e una ventina di figli dei quali solo dieci sopravvissuti, tutti musicisti e, almeno tre, tali da occupare un posto nella storia. Egli ebbe la tranquillità dei grandi solitari, la calma e la forza dei grandi creatori. Contraddetto nella sua arte dall’indirizzo musicale dell’epoca, che andava verso lo stile galante2 , con abolizione di ogni residuo contrappuntistico e trionfo della monodia accompagnata, secondo il modello del melodramma, si trasse sdegnosamente in disparte, accentuando negli ultimi lavori il culto di quel passato polifonico, dai fiamminghi al Rinascimento, di cui si sentiva l’erede predestinato. Bach è dimenticato per oltre mezzo secolo: la sua fortuna ha inizio coi Romantici, e oggi, nessun musicista del passato è così presente ad indicare il difficile cammino della musica contemporanea. ___________________________________________________________________________________ 2 Stile che, dal terzo decennio del ‘700, sostituì nel gusto musicale europeo l’ideale di scrittura dell’epoca barocca, accostabile , per certi aspetti, allo stile rococò delle arti figurative. Lo stile galante cominciò ad affermarsi verso il 1730, specialmente in Italia e in Francia. In esso prevale la melodia accompagnata, delicata nelle inflessioni, levigata nelle linee ma di corto respiro assieme a procedimenti armonici semplici, andamenti simmetrici, brevi frasi ripetute, imitazioni frequenti ed ariose. Espresso dapprima nella produzione clavicembalistica, lo spirito progressistico dello stile galante pervase poi ogni forma musicale dell’epoca, teatro compreso. Trovò generale accettazione in Europa verso il 1750, persino in Bach ed Häendel. La sua produzione è vastissima e vede una produzione sia vocale che strumentale. Le composizioni vocali furono essenzialmente sacre si ricordano: «La Passione secondo S. Giovanni», «La Passione secondo S. Matteo» ancora i «5 Mottetti Polifonici», la grande «Messa in SI minore», l’ «Oratorio di Natale» il «Magnificat». Le composizioni strumentali di Bach nacquero tutte con precisa destinazione occasionale. I sei «Concerti Brandeburghesi» (1721) sono fra le sue opere che più rivelano l’ammirazione del grande compositore per il nostro Vivaldi. Di questo periodo sono anche le sei «Sonate e partite» per violino solo, fra cui quella in RE min. contiene la celebre Ciaccona e la prima parte del “Clavicembalo ben Temperato”. Questo può annoverarsi fra le pochissime opere di didattica musicale che abbiano pure un’indiscussa efficacia formativa sull’educazione estetica e morale dell’allievo. Si annoverano tra le opere strumentali le “Invenzioni a due e tre voci”, le “Suites Inglesi e Francesi”. Una vetta altissima di tale produzione è la famosa “Fantasia cromatica a fuga”. L’accanimento nel proposito di estrarre da un tema tutte le combinazioni contrappuntistiche, culmina nella “Arte della Fuga”. Georg Friedrich HÄENDEL Contemporaneo di Bach, riassume come esso, ma con diverso orientamento spirituale, tutta la musica del suo tempo, cioè l’età barocca. Questo compositore ebbe una natura musicale ed aspirazioni artistiche del tutto differenti da quelle di Bach. Fu anzitutto uno spirito cosmopolita anche nel senso che riassunse e seppe amalgamare tutte le esperienze vocali e strumentali con le quali era venuto a contatto, in Germania, in Italia ed in Inghilterra. Nel 1706 venne in Italia, conobbe Corelli, Marcello e strinse amicizia con Domenico Scarlatti: l’opera italiana, da lui prima disprezzata, lo conquistò. Häendel compose oltre 40 opere teatrali tra le quali ricordiamo: “Agrippina”, “Serse”, “Siroe”, “Rinaldo”, “Giulio Cesare”. Le opere di Häendel appartengono al genere dell’opera seria di stile italiano e ne applicano gli stili caratteristici: alternanza di recitativi secchi e di arie col da-capo. Häendel deve soprattutto la sua gloria agli oratori, genere al quale egli si dedicò durante il periodo londinese negli anni della maturità. Al centro della sua produzione si colloca l’opera seria italiana, che costituiva un punto di riferimento costante della sua carriera di compositore. Il parallelo con Bach è inevitabile, viene comunemente sintetizzato nella formula: Bach guarda dentro di sé ed Häendel intorno a sé. Si potrebbe sintetizzare che Häendel possiede in superfice, varietà e vastità quanto gli manca di profondità rispetto a Bach. La melodia di Häendel è più diretta, quella di Bach più riflessiva: una più interessata all’immediata presentazione del suo tema, l’altra alla meditazione del suo contenuto. Ancora, Häendel pensa armonicamente, Bach pensa contrappuntisticamente. Bach riassume nella sua opera tutta la musica che l’aveva preceduto ed incarnò in sé il principio del contrappunto che stava allora cedendo il passo al principio dell’armonia: i contemporanei lo giudicarono un dottissimo e oscuro pedante; i posteri oggi non si stancano di ritrovare in lui miracolosi germi dell’avvenire musicale. Häendel, invece, fu esattamente figlio del suo tempo, eroe dell’età barocca, conobbe il successo immediato e fu artista alla moda. Conobbe la musica europea del suo tempo, viaggiò, allargò i limiti delle sue esperienze artistiche quanto allora possibile: tutto in contrasto con la chiusa, concentrata e modesta vita di Bach. Naturalmente Häendel sconta, con la minore attualità presente, la perfetta attualità che egli ebbe nel suo tempo. IL CLASSICISMO: F.J. HAYDN, W.A. MOZART, L. VAN BEETHOVEN. Nella storia della musica il Classicismo è il periodo che succede al Barocco e precede l’avvento del Romanticismo. Il Classicismo dominò la musica europea tra il 1770 e il 1830 ed ebbe il suo centro in Vienna, città nella quale vissero ed operarono i suoi rappresentanti più illustri: F.J. Haydn, W.A. Mozart e L. van Beethoven, chiamati appunto i “classici viennesi”. Il periodo Classico non ha creato generi e forme musicali nuove, in quanto, le forme e i generi musicali impiegati dai compositori per l’attuazione dei loro intenti creativi sono pressoché tutti esistenti fin dal grande avvicendamento stilistico del Seicento. Il Classicismo li assume nello stadio da essi raggiunto e li sviluppa verso una qualità classica in senso normativo. I precursori del Classicismo operavano tuttavia su incarico e la loro musica si suddivideva ancora secondo la differente destinazione in stile da chiesa, da camera e da teatro. Il compositore classico tendeva, al contrario, ad una totale libertà di vita e di attività, con autonoma responsabilità professionale. Dal punto di vista armonico, si acquista una maggiore ricchezza armonica riguardo ai singoli gradi della scala ed al tempo stesso estende il circolo tonale. Si assiste ad una sontuosa cromaticità, una crescente predilezione per i suoni alterati e le configurazioni accordali di molti suoni (così l’accordo di 9a ), una modulazione altamente raffinata sfruttando particolarmente le relazioni di 3a, contrasti tonali violenti, tutto ciò caratterizza la tavolozza tonale al servizio di un’espressività potenziata. Il Classicismo musicale si realizzò soprattutto nella musica strumentale, che conobbe in questo periodo una crescita produttiva; ma toccò anche al teatro musicale, particolarmente quello di Gluck. FRANZ JOSEPH HAYDN Nacque a Rohrau nel 1732, clavicembalista, violinista e compositore, lavorò soprattutto al servizio del principe Esterhazy come direttore d’orchestra. Fu apprezzato ed ammirato in tutta Europa, ebbe contatti con i maggiori musicisti dell’epoca (fu anche uno dei maestri di Beethoven). La sua produzione si divide in cinque gruppi: composizioni vocali, sonate per pianoforte, quartetti, musica strumentale varia, sinfonie. I capolavori appartengono però all’ultimo periodo e cioè: il gruppo delle sinfonie francesi, composte intorno al 1786: La Gallina, La Caccia, L’Orso, La Regina, Oxford; Il gruppo londinese dal 1791 al 1795 circa, fra cui le più note sono quelle della Campana, la Militare, del Rullo dei Timpani, e quelle in DO min., in SIb e l’ultima in RE magg. Haydn fu chiamato il padre della Sinfonia in quanto portò a perfezione questa forma (nata in Italia) e ne scrisse un numero notevole. Oggi sono riconosciute come autentiche 108 Sinfonie di Haydn. Le prime sono in tre o quattro tempi, dalla 31a in poi sempre in quattro tempi. La struttura tipica delle sinfonie di Haydn è: 1° tempo Allegro (spesso preceduto da un Largo), 2° tempo Andante, 3° tempo Minuetto con Trio1, 4° tempo Allegro in forma di Rondò. Haydn morì a Vienna nel 1809. ____________________________________________________________________________ 1 Minuetto con Trio, in alcune delle danze stilizzate che compongono le suites del tardo Barocco, come minuetto, gavotta e bourrée, il termine trio indica l'episodio centrale B, situato fra la prima parte A e la sua ripresa A', secondo lo schema ABA'. Tale episodio utilizza in genere una semplice scrittura a tre parti che contrasta con le sezioni laterali per leggerezza e minor volume sonoro. Questo uso del termine permane anche in età classica, dove continua a indicare lo stesso elemento formale, ma non più il numero delle parti polifoniche, che ora risulta variabile. WOLFGANG AMADEUS MOZART Nato a Salisburgo, il 27 gennaio 1756, è stato un compositore e pianista a cui è universalmente riconosciuta la creazione di opere musicali di straordinario valore artistico. Mozart è annoverato tra i più grandi geni della storia della musica,. Dotato di raro talento, manifestatosi precocemente, morì a trentacinque anni di età lasciando pagine indimenticabili di musica classica di ogni genere: musica sinfonica, sacra, da camera e operistica. La musica di Mozart è considerata la "musica classica" per eccellenza; infatti egli è il principale esponente del "Classicismo" settecentesco, i cui canoni principali erano l'armonia, l'eleganza, la calma imperturbabile e l'olimpica serenità. E Mozart raggiunge nella sua musica divina vertici di perfezione adamantina, celestiale e ineguagliabile, tanto che il filosofo Nietzsche lo considererà il simbolo dello "Spirito Apollineo della Musica", in contrapposizione a Wagner, che Nietzsche definirà l'emblema dello "Spirito Dionisiaco della Musica". Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo sviluppo dello stile classico, ma senza dubbio contribuisce in modo fondamentale a definirne le caratteristiche, in modo tale da poter essere considerato esso stesso l'archetipo. Mozart fu uno straordinario compositore che si dedicò con apparente semplicità a tutti i principali generi dell'epoca: scrisse un gran numero di sinfonie, opere, concerti per strumento solista, musica da camera (fra cui quartetti d'archi e quintetti d'archi) e sonate per pianoforte. Benché per nessuno di questi generi si possa affermare che egli fu il "primo autore", per quanto riguarda il concerto per pianoforte si deve riconoscere che esso deve a Mozart, autore ed interprete delle proprie composizioni, il grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso Beethoven nutriva grande ammirazione per i concerti per pianoforte mozartiani, che furono il modello dei suoi concerti, in modo particolare i primi tre. Mozart rinnova il genere musicale del concerto: il discorso musicale si svolge come dialogo paritario fra due soggetti di uguale importanza, il solista e l'orchestra. Mozart scrisse concerti per pianoforte, violino, flauto, oboe, corno, clarinetto, fagotto. Scrisse anche un gran numero di composizioni sacre, fra cui messe, e composizioni più "leggere", risalenti per lo più al periodo salisburghese, come le marce, le danze, i divertimenti, le serenate. I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati senza difficoltà nella musica di Mozart: chiarezza, equilibrio e trasparenza sono elementi distintivi di ogni sua composizione. Tuttavia l'insistenza che a volte viene data agli elementi di delicatezza e di grazia della sua musica non riesce a nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi capolavori, quali il concerto per pianoforte n. 24 in do minore K. 491, la Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550, e l'opera Don Giovanni. Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere, egli passava con grande facilità e naturalezza dalla scrittura strumentale a quella vocale. Le sue opere appartengono ai tre generi principali in voga alla fine del Settecento: l'opera buffa (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte), l'opera seria (Idomeneo e La clemenza di Tito) e Singspiel (Il ratto dal serraglio e Il flauto magico). In tutte le sue grandi opere Mozart piega la scrittura strumentale per sottolineare lo stato psicologico dei personaggi ed i cambiamenti di situazione drammatica. La scrittura operistica e quella strumentale si influenzano a vicenda: l'orchestrazione via via più sofisticata che Mozart adotta per le composizioni strumentali (sinfonie e concerti in primo luogo) viene adottata anche per le opere, mentre l'uso particolare che egli fa del colore strumentale per evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle ultime composizioni non operistiche Mozart morì in povertà a Vienna il 5 dicembre 1791, per cause rimaste sconosciute (che hanno dato adito a leggende, come quella dell'avvelenamento da parte di un invidioso Antonio Salieri). Venne seppellito in una fossa comune. Lasciò incompiuto il Requiem (che la tradizione vuole commissionato da uno sconosciuto), il cui completamento fu affidato dalla moglie del compositore in un primo tempo al musicista Joseph von Eybler, il quale, tuttavia, ben presto si fece indietro. Fu allora chiamato il giovane compositore Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico di Mozart che terminò il lavoro, completando le parti non finite e scrivendo ex novo quelle inesistenti. Mozart produsse più di 600 opere in un arco di tempo che va dall'infanzia alla maturità, dando prova di una stupefacente coerenza stilistica e di linguaggio. Le sue doti musicali eccezionalmente feconde gli permettevano di comporre di getto, come dimostrano i suoi manoscritti, e di trascrivere sulla carta le proprie e le altrui improvvisazioni. Sempre attento al lavoro dei suoi contemporanei, Mozart seppe armonizzare in uno stile particolarissimo e inconfondibile le tendenze dell'epoca. In tutti i generi musicali che egli praticò, impiegò il linguaggio del classicismo in modo personale, evitandone gli aspetti deteriori come l'eccessiva regolarità e prevedibilità. L'apparente facilità della sua musica è ingannevole: gli esecutori tendono infatti a considerare le composizioni mozartiane tra le più difficili da interpretare in modo adeguato. LUDWIG VAN BEETHOVEN, (Bonn 1770 - Vienna 1827) Compositore e pianista tedesco, per la sua potenza creativa, l'indipendenza e l'estrema libertà compositiva, Beethoven è considerato uno dei grandi geni della storia della musica occidentale. Figura cruciale nella transizione tra il classicismo e la musica romantica, fu l'ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese. Benché abbia avuto una vita segnata dalla sordità, egli ha lasciato una produzione musicale fondamentale nella storia della musica per la sua forza espressiva, capace di evocare una gran mutevolezza di emozioni. Beethoven influenzò così fortemente il linguaggio musicale del successivo romanticismo, che nel XIX secolo e fino agli inizi del XX secolo fu un modello Crebbe in tal modo il mito del Beethoven artista eroico, capace di trasmettere attraverso la sua opera ogni sua emozione, esperienza personale o sentimento. La sua adesione alle regole dell'armonia nelle modulazioni e il rigetto dei cromatismi nelle melodie lo collocano a metà strada fra Classicismo e Romanticismo. Nel vasto catalogo di composizioni beethoveniane, i ruoli di maggior rilievo e importanza sono occupati dalla sua produzione cameristica, dalle opere per pianoforte e dalla sua produzione sinfonica; quest'ultima è forse ancora oggi il simbolo principale della sua universale popolarità. Recatosi a studiare a Vienna, nel 1792, divenne allievo di F. J. Haydn. Nella capitale dell'impero asburgico Beethoven seppe conquistarsi il favore dell'aristocrazia con esibizioni private che gli permisero di far apprezzare le sue virtuosistiche improvvisazioni al pianoforte e nel contempo pervenne ad allacciare buoni rapporti con le case editrici. Grazie a tali relazioni e all'ampliamento del mercato delle edizioni musicali, egli riuscì là dove molti altri musicisti prima di lui, tra cui Wolfgang Amadeus Mozart, avevano fallito: trasformare la musica in un'attività indipendente e redditizia. Beethoven è universalmente riconosciuto come uno dei più influenti musicisti e compositori della musica classica occidentale: occasionalmente riferito come uno delle "tre B" (insieme a Bach e Brahms) che hanno consolidato questa tradizione. È anche una figura cardine nel passaggio tra il classicismo del XVIII secolo e il romanticismo del XIX secolo, la sua influenza sulle generazioni successive di compositori sarà profonda. Pur rimanendo aderente alle forme e ai modelli del classicismo, per via della sua variegata complessità stilistica, Haydn trovandosi a discorrere della sua personalità di compositore, ebbe a dirgli: «Voi mi avete dato l’impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime» La vastissima produzione musicale di Beethoven viene tradizionalmente considerata una sorta di ponte tra classicismo e romanticismo; nel corso dei secoli, la critica musicale ha spesso suddiviso, forse un po' troppo semplicisticamente, il percorso musicale del compositore in tre periodi: la formazione 1770-1802 dove subì l’influenza di Haydn e Mozart, gli anni del classicismo 1803-1814 cominciato subito dopo la crisi personale del compositore centrata intorno allo sviluppo della progressiva sordità. Infine il cosiddetto tardo Beethoven 1815-1827 caratterizzato da lavori che mostrano profondità intellettuale, un'alta e intensa personalità espressiva e innovazioni formali. Più recentemente, si è preferito considerare l'autore come l'ultimo grande rappresentante del classicismo viennese: la sua musica, in cui viene dato particolare risalto all'espressione dei sentimenti, rimane infatti nell'ambito di un profondo riesame della tradizione di Haydn e Mozart. Le opere del cosiddetto "ciclo eroico" (1802-1812) ampliano e modificano le forme rigorose di Haydn e Mozart. Ciò è particolarmente evidente in capolavori grandiosi e inconcepibili prima di allora, come la sinfonia Eroica e il Quinto concerto per pianoforte “Imperatore” (1809) o in opere di struttura formale più controllata, come la Quinta sinfonia (1808) e la Sonata per pianoforte op. 57, nota anche col titolo di Appassionata (1805). L'incisività dei temi, i contrasti drammatici e le novità armoniche conferiscono a queste opere un'espressività in un certo senso sconosciuta agli illustri predecessori di Beethoven. Nel 1812, il completamento dell'Ottava sinfonia e la disillusione nei confronti dell‘ "amata immortale" (identificata in Josephine von Brunswick, moglie di un mercante di Francoforte con cui il compositore ebbe una relazione problematica e frustrante) lasciarono Beethoven in uno stato di travaglio e di incertezza creativa. La fecondità del decennio precedente si attenuò. Nel 1818 Beethoven iniziò una nuova fase creativa che viene solitamente designata come "terzo periodo". La svolta è segnata dalla Sonata per pianoforte in Sib magg. op. 106 “Hammerklavier”, di ampiezza e difficoltà tecniche senza precedenti. Le opere dell'ultimo periodo beethoveniano non sono più raggruppabili in cicli, in quanto ognuna di loro si presenta con una propria fortissima individualità. Quello che non venne mai meno nelle composizioni di Beethoven fu l'anelito agli ideali umanitari e il richiamo alla libertà e alla fratellanza; ciò rimane vero sia per temi universali, come nella Nona sinfonia e nella Missa solennis, sia per motivi più individuali e legati alle relazioni familiari, come nel Fidelio (1814). La dimensione intima emerge talvolta nell'ultima produzione, rappresentata soprattutto da sonate per pianoforte e dai cinque quartetti per archi del 18241826, gli ultimi due dei quali scritti senza committenza. In queste opere Beethoven raggiunse una straordinaria concentrazione espressiva, accompagnata da radicali novità nel linguaggio che ne hanno fatto un punto di riferimento per i compositori nei due secoli successivi. Con il passare degli anni, l'abitudine di Beethoven di stendere schizzi preliminari delle sue opere acquistò crescente importanza: realizzate su piccoli blocchi o su fogli singoli, le 7000 pagine giunte sino a noi gettano luce sull'immenso lavoro intellettuale che accompagnò le creazioni del maestro. L'importanza della figura di Beethoven riguarda anche la trasformazione del ruolo del compositore. Da artigiano al servizio della Chiesa o dell'aristocrazia, il compositore diviene con lui un artista che crea per necessità interiore, finanziariamente indipendente grazie ai proventi ottenuti dalla pubblicazione ed esecuzione delle sue opere. L'influenza di Beethoven sui compositori successivi fu enorme: ammirato da Franz Schubert e dai romantici come l'iniziatore di un'età nuova, è considerato dai compositori del Novecento come figura cardine dell'evoluzione musicale di ogni tempo, nonché una delle tappe storiche più importanti verso il linguaggio e le tecniche della musica contemporanea. IL ROMANTICISMO Il Romanticismo fu un vasto movimento del pensiero dell’arte, sviluppatosi in Germania alla fine del ‘700 e che si propagò in Europa all’inizio del secolo successivo. La musica per i romantici era la condizione ideale perfetta dell’arte, il punto a cui tendono tutte le arti, in cui esse trovano la loro unità. Una riflessione da parte di alcuni filosofi del tempo denotava: “Di tutte le arti belle, la musica è quella che agisce più immediatamente sull’animo. Essa muta radicalmente la nostra disposizione interiore, la sua indeterminatezza si presta a tutti i movimenti dell’anima”. Ciò, chiaramente, più che una teoria filosofica si potrebbe chiamare uno stato d’animo verso la musica. In musica il Romanticismo consiste nell’annullamento degli schemi formali classici, dell’ordine e del raziocinio che aveva portato, durante il Classicismo, alla costruzione di forme regolate da norme fisse; valga per tutte l’esempio della forma-sonata dove la composizione segue uno schema ben preciso articolato in tre o più movimenti (es. Allegro-Andante-Allegro vivace). Nell’800, viceversa, l’affermazione della libertà dell’individuo rompe gli argini e l’artista, liberamente, crea nuove forme, oltre che nuovi contenuti. L’opera del Romanticismo, agì, infatti, prima sul contenuto e poi sulla forma, fondamentalmente come bisogno crescente di libertà e intensificazione dei mezzi espressivi. Le nuove forme musicali nate da questo movimento furono: Notturni, Ballate, Improvvisi, Romanze, Poemi sinfonici, ed erano forme indefinite, senza regole, forme mai determinate prima ma costruite, volta per volta, intorno al contenuto. Non esisteranno più forme vuote, in attesa di essere riempite. Esisterà il contenuto, sempre più tormentato, perché sempre più espressione dell’uomo e dei suoi contrasti. E, per esprimere questo contenuto, l’artista inventerà le forme più adatte e gliele cucirà addosso. Nella musica vocale si sentì la necessità di una più stretta unità tra parola e suono; fu così ripudiata la concezione belcantistica e ciò è evidente nei Lieder e nell’opera di Richard Wagner (in cui la parola s’intesse nel tessuto orchestrale). Nel campo strumentale, il Romanticismo porta ad un concetto dell’orchestra sempre più timbrico, coloristico. Infatti, il perfezionamento del gusto timbrico e di conseguenza di quello strumentale portano l’esecuzione musicale ad essere espressione netta delle vicende umane. In poche parole, l’orchestra è vista, sempre più, come una tavolozza di colori attraverso i quali attingere per esprimere al meglio stati d’animo e situazioni ambientali. Concetto questo che porterà alla nascita di una nuova forma musicale: il Poema sinfonico. Questa forma è una composizione orchestrale che si ispira alla natura, a miti e leggende, a opere letterarie o pittoriche. In precedenza Vivaldi aveva lavorato su una forma simile definita “musica descrittiva”: le “Quattro stagioni” ne sono la testimonianza. Però a differenza delle “Quattro stagioni” le quali avevano vita all’interno della forma-concerto, il “Poema sinfonico” dell’800, non aveva alcuna forma stabilita e la sua struttura era assolutamente libera. Naturalmente tutte e due le forme fanno parte della musica a programma. Un elemento di fondamentale importanza della musica romantica fu il suono nella sua essenza fonica, tanto che, in seguito, si arrivò al rumore allo stato puro. Da ciò derivano l’arricchimento del linguaggio armonico (nuovi accordi dissonanti, modulazioni improvvise ecc.) e lo sviluppo della tecnica strumentale con la creazione di nuovi timbri. Tutto questo porta ad un lento ma costante processo di modifiche armonico-tonali che decreteranno, nel ‘900, la crisi dell’armonia tradizionale. In campo strumentale, sempre nell’ ’800 si ha un grande sviluppo della tecnica pianistica e di quella violinistica. Pianoforte e violino divengono infatti le due voci più importanti attraverso le quali il romanticismo musicale si esprime e queste voci si impersoneranno soprattutto in due grandi compositori: Fryderyk Chopin e Niccolò Paganini. Con essi verrà raggiunta una perfetta simbiosi tra musicista e strumento. Ma tanti altri grandissimi musicisti ci ha dato l’ ’800; a parte i compositori di opere si ricordano: Franz Liszt, Franz Schubert, Robert Schumann, Felix Mendelssohn, Johannes Brahms, Carl Maria von Weber. L’ideale della musica e del musicista romantico trovano in Beethoven il modello più perfetto e la sua arte è stata considerata per molti decenni come il punto culminante della storia della musica. Beethoven, vissuto nell’epoca di passaggio tra l’ Illuminismo ed il Romanticismo, ha raccolto con la sua pronta sensibilità e con la sua vasta cultura gli echi del profondo travaglio della sua età. Egli si ispirò filosoficamente a Kant e Schelling; dal primo accolse il rigorismo morale: “la legge morale in noi ed il cielo stellato sopra di noi”. Da Schelling trasse il concetto dell’arte come rivelazione dell’Assoluto, come incarnazione dell’infinito. Alla musica Beethoven riconosce la più alta funzione unificatrice, il valore di messaggio eterno. LE GIOVANI SCUOLE NAZIONALI Il sentimento nazionale risvegliatosi in tutti gli stati europei dopo il Congresso di Vienna, nato dal desiderio di libertà proprio dell’ideologia romantica, se dal punto di vista politico portò in alcuni paesi alle guerre di indipendenza, dal punto di vista artisticoletterario portò ogni nazione ad affermare le proprie tradizioni culturali liberandosi dalle influenze straniere. (Nel campo musicale fino a quel momento era stata preponderante l’influenza italiana prima e tedesca poi). Fu nella seconda metà dell’ ‘800 che nacquero così in ogni nazione scuole musicali dove si attingeva al patrimonio popolare ed al folklore nazionale perché la musica acquistasse una sua vita propria ed indipendente dalle influenze esterne. Tutto questo si verificò soprattutto in quei paesi che fino all’avvento del Romanticismo erano rimasti lontani dal grande movimento della cultura musicale, ma che appunto, per tale isolamento serbarono un capitale di musica popolare propria, con caratteri melodici, ritmici ed armonici propri. Dopo un Brahms e un Reger pareva non si potesse più approfondire un linguaggio musicale così perfezionato e ricco, unica via d’uscita pareva quella di rinsanguare la lingua dotta con nuove locuzioni tratte dai dialetti musicali, scale diverse, per lo più di cinque toni di derivazione bizantina in uso nell’oriente russo, saporiti incontri armonici provocati da strumenti locali, vivacità e freschezza di ritmi, profumo di melodie paesane, rapidi contrasti espressivi. Da questo punto di vista la Russia fu il massimo esponente per quanto riguarda l’espressione delle scuole nazionali. In questo paese l’opera italiana aveva spadroneggiato durante il ‘700, quella francese, invece, nel secolo successivo; mentre per quanto riguarda la forma strumentale classica la scuola tedesca aveva lasciato trapelare qualcosa del grande romanticismo musicale. Michail Glinka, con una solida formazione italiana, con le sue due opere “La vita per lo Zar” e “Ruslan e Ljudmila” aprì le due vie maestre del teatro nazionale russo: il realismo nazionalistico e tradizionale di Modest Petrovic Mussorgski, e il colorito orientale e fiabesco di Nikolay Rimskij Korsakov. Questi due compositori facevano parte di un gruppo di giovani musicisti detto il Gruppo dei Cinque, del quale facevano parte anche Cesar Cui, Milij Alekseevic Balakirev, Alexander Borodin. Il gruppo, smanioso di verità, di libera originalità nazionale e teso all’esplorazione del canto popolare, fu instradato da Aleksandr Sergeevic Dargomyzskij. Questo canto popolare russo era un patrimonio inestimabile, nel quale trovavano sfogo le pene di quell’immensa nazione contadina, spietatamente oppressa al più basso grado di livello culturale, superstiziosa e religiosa, devota a Dio e allo zar. La liturgia ortodossa vi ha conservato il senso delle antiche modalità bizantine e la sua armonia suona strana, naturalmente originale, ad orecchie moderne ed occidentali. Altri grandi esponenti della musica russa furono il celebre pianista ed operista Anton Rubinstein; Pëtr Il’ic Ciajkovskij, il quale è considerato il più occidentalizzato di tutti, in quanto fu il più sensibile alla cultura musicale dell’Occidente. Insieme a Dvorak forma la coppia dei principali epigoni del sinfonismo ottocentesco. Ma i veri capolavori della sua produzione musicale vanno ricercati nei tre balletti: “Il lago dei cigni”, “La bella addormentata”, “Lo schiaccianoci”, legati alla rinascita del balletto classico per le coreografie di Marius Petipa. Tra le altre scuole nazionali ricordiamo quella della Cecoslovacchia, di cui il maggiore esponente fu Bedrich Smetana. Il suo commovente amore per la terra, della patria individuata nei suoi aspetti fisici: fiumi, montagne, pianure, laghi ecc., si manifesta nel ciclo di sei poemi sinfonici intitolato “Ma Vlast” dei quali è particolarmente apprezzato il secondo: “Vltava”, che poeticamente descrive il corso ora selvaggio e bizzarro, ora solenne, del fiume boemo, la Moldava. Altro grande esponente fu Antonin Dvorak, formato sul romanticismo elegiaco e diffuso di Brahms e di Ciajkovskij. Il profumo della terra slava non manca neppure nelle sue maggiori architetture sinfoniche, tra cui quella 5^ Sinfonia op. 95 del 1894, intitolata “Dal nuovo Mondo” perché composta in America e si avvale anche di elementi sincopati del canto afroamericano, curiosamente assimilati però, ai frammenti di folklore musicale boemo riconoscibile in ogni altra opera di Dvorak. In Ungheria i due maggiori esponenti della tradizione nazionale magiara, la quale per la sua originalità spiccatissima si è imposta all’ammirazione di tutto il mondo musicale d’oggi, furono Bela Bartok, e Zoltan Kodaly. Entrambi, raccolti i canti dei contadini magiari e quelli dei popoli confinanti (rumeni e cecoslovacchi), ne fecero motivo di studio e soprattutto d’assimilazione, rendendosi capaci di darci una musica di un sapore tutto nuovo, di una fisionomia originalissima. La melodia di Bartok è immersa nel sistema “dodecafonico”, quindi ne risulta un’innegabile durezza di armonie e di combinazioni sonore; mentre è meno aspra la musica di Kodaly che pure, come si è detto, attinse alla stessa fonte popolaresca del Bartok tenendo in comune con esso l’impeto ritmico e le robuste espressioni, ma nell’armonia si attiene scrupolosamente al “tonalismo”. La musica nazionale in Norvegia si identifica in Edvrd Hagerup Grieg. Amoroso e attento osservatore della melodia popolare, egli ha saputo conservare in pezzi brevi e in frammenti di opere maggiori la freschezza e la vita di tale ingenuo materiale musicale. Fra il repertorio di Grieg spiccano le due suites sinfoniche per il “Peer Gynt” di Ibsen. A queste espressioni popolari, Grieg ha opposto un’armonizzazione tenue, ma assai evocatrice e ingegnosa. Anche la scuola nazionale finlandese si riconosce, come quella norvegese, in un unico compositore che è Jean Sibelius; l’esempio di Grieg non gli passò inosservato: in molte opere descrittive egli interpreta le malinconiche bellezze della natura finnica. Ma più di Grieg egli possiede la lena per ampie costruzioni sinfoniche. Nell’arte di Sibelius si riconosce una nobiltà di esecuzione musicale che la solleva sopra il comune folclorismo caratteristico, anche se però, le toglie il sapore acuto e sanamente paesano che si ammira nei piccoli quadretti di Grieg. La Spagna riconosce come il suo più grande musicista Manuel de Falla; egli iniziò con un’opera di carattere verista “La vida breve”, ma a Parigi, nel contatto con Debussy, Ravel, Dukas, affinò la propria arte, che interpreta nel modo più profondo e originale l’anima spagnola. Altri musicisti spagnoli si individuano in Turina e Espla i quali preferirono indugiare in coloriti compiacimenti folkloristici. IL MELODRAMMA TRA IL ’700 E ’800 Con l’apertura dei teatri pubblici a pagamento, il melodramma diviene il genere musicale più seguito e più popolare. Da spettacolo per pochi eletti, diviene spettacolo per tutti. Quindi deve meravigliare non solo dal punto di vista della poetica o della raffinatezza musicale, ma deve soprattutto colpire l’immaginazione dell’ascoltatore e creargli uno stato d’animo in grado di dimenticare, seppur per poco, le miserie della vita quotidiana. A tal proposito, vengono, dunque, presentate scenografie fastose, costumi brillanti, trame sempre più elaborate. Ai soggetti mitologici si aggiungono quelli storici, agli elementi drammatici quelli comici, alle storie aristocratiche si mescolano storie popolaresche. In questo modo il melodramma diviene spettacolo per tutti. Nobili e popolani si ritrovano insieme a teatro, anche se i primi assistono allo spettacolo occupando comodi, eleganti e costosi palchi, mentre i secondi sono ammassati nei loggioni in un clima quasi da mercato rionale. La grande partecipazione del pubblico a questi eventi, porta sempre più compositori a seguire le tracce dell’opera, anche se, a questo punto, dovevano tener conto soprattutto del gusto degli spettatori, i quali si aspettavano sempre più trame irreali, scenografie fantastiche, virtuosismi da parte dei cantanti. Quest’ultimi, d’altro canto, ritenendosi indispensabili alla buona riuscita dello spettacolo, pretendono sempre maggiori riguardi; chiedono al compositore di adattare addirittura, sia il testo che la musica alle loro caratteristiche tecniche per far sì che si metta in risalto soprattutto la loro bravura, tralasciando in secondo piano quella che era l’essenza del significato che il poeta e il compositore intendevano porre in scena. Poco ci si interessava alla convenienza del dramma. Le puerili falsificazioni del fatto storico nei libretti erano frequenti, spesso le vicende più tragiche, che l’argomento comportava, si mutavano in situazioni a lieto fine. Il musicista si trovò a comporre musica dove doveva inserire parti virtuosistiche, spesso al di fuori del contesto semantico dell’opera, che mettessero in luce il cantante di turno. Spesso i cantanti si prendevano la libertà di variare, direttamente sulla scena, l’aria che stavano cantando, infarcendola di acuti, note tenute a lungo per dimostrare la loro potenza canora, gorgheggi inutili, abbellimenti vari ecc. Essendo divenuti la maggiore attenzione dello spettacolo, essi, non si vergognavano d’introdurre in un melodramma d’argomento storico romano o greco, una o più arie tolte da un altro melodramma di diverso argomento e origine solo perché in esse risaltavano meglio le particolari doti della loro voce. Il pubblico, ovviamente, era estasiato da tali performance, restava indifferente a quanto si svolgeva sulla scena, non prestava attenzione né all’azione né all’attore: gli interessava solo il cantante, il virtuoso. Non badava al significato del recitativo, durante il quale, anzi, chiacchierava ad alta voce, degustava dolci e corteggiava le donne. Solo quando si arrivava all’aria si faceva attento e si mostrava soddisfatto dal sensualismo canoro che l’animava. Mentre i musicisti e i poeti facevano buon viso a cattivo gioco, anche perché a questo punto erano i cantanti, soprattutto i sopranisti o castrati con le loro assurde pretese, a decidere quali musicisti dovevano comporre (naturalmente quelli più accondiscendenti alle loro richieste) le parti musicali, i testi dei poeti che dovevano essere messi in scena ecc. In sostanza il cantante non era fatto per il melodramma ma il contrario. Questa situazione chiaramente coinvolse anche i musicisti più importanti i quali si cimentarono a confezionare un “prodotto” decente che potesse accontentare le parti interessate alla rappresentazione. Tutto ciò portò ad una inevitabile decadenza, dal punto di vista artistico, del melodramma; ed è per porre fine a questi abusi ed a queste sconvenienze drammatiche che si sentì la necessità in Italia e fuori di fare una radicale riforma dell’opera. La riforma dell’opera italiana, sollecitata da trattatisti e scrittori, fu attuata da Cristoph Willibald Gluck con la collaborazione del librettista Ranieri dè Calzabigi. Nella prefazione dell’ “Alceste”, furono esposti gli ideali della riforma che consistevano nel voler rinunciare a tutti gli abusi che avevano fino allora deformato l’opera italiana, ricondurre la musica al suo vero compito di servire la poesia per mezzo della sua espressione e seguire le situazioni dell’intreccio, senza interrompere l’azione. Rivendicava all’ouverture la funzione di preparare il clima espressivo dell’opera, proponeva semplicità e chiarezza, una naturalezza che puntasse sul “linguaggio del cuore, le passioni forti, le situazioni interessanti”. In pratica la riforma puntò a ridurre tutto, funzionalmente, ad unità: ricondotto il testo alla semplicità dell’azione principale utilizzare aria, recitativo, cori, danza e orchestra, come elementi di un tutto omogeneo che non conosce parentesi o divagazioni. La conseguenza di ciò determinò che mentre nel ’700 l’opera era un passatempo musicale, fondato principalmente sulla bravura dei cantanti, nell ’800 il dramma non sarà più soltanto uno svago mondano. Si va a teatro d’opera per partecipare intensamente alle appassionate vicende della scena, per mettersi nei panni dei personaggi, soffrire e vibrare con loro, confrontarne idealmente le sventure e il comportamento con le proprie esperienze sentimentali. Il “dramma” è penetrato del melodramma. Nella storia della musica questo fenomeno si chiama Gluck. Durante il ’700 la diffusione europea del melodramma italiano aveva avuto carattere di colonizzazione. Gli operisti italiani andavano all’estero per guadagnare tanto, poco preoccupandosi dell’ambiente in cui avrebbero dovuto lavorare. Con il passaggio dall’ ’700 all’ ’800 la penetrazione degli operisti italiani all’estero perde il carattere trionfale di colonizzazione per assumere quello, meno comodo, di emigrazione. Gluck aveva insegnato ai paesi europei a fare essi stessi il teatro musicale, invece di importarlo già fatto dall’Italia. Ed ora i musicisti italiani che vanno all’estero debbono fare i conti con la concorrenza. Nello stesso periodo in cui il melodramma in stile italiano comincia a diffondersi all’estero, a Napoli si trova A. Scarlatti, fondatore della Scuola Napoletana e autore di numerosi melodrammi. Egli fu il principale operista italiano del suo tempo ed esercitò un’influenza notevole sulla musica teatrale e vocale non solo italiana ma europea. Il melodramma acquisì attraverso le sue opere alcuni elementi che divennero tipici e di impiego costante fino a Gluck. Diciamo anzitutto che l’opera era divisa in due o tre parti chiamate atti, all’interno dei quali ci potevano essere più scene. I momenti salienti musicalmente erano: ¾L’Ouverture o Sinfonia d’apertura: un brano eseguito dall’orchestra prima che si alzasse il sipario. Essa serviva per preparare l’atmosfera entro il quale si svolgeva il dramma, per cui aveva carattere attinente. Per questo essa riprendeva spesso temi e motivi che successivamente si incontravano nell’opera. Era scritta per ultima dall’autore anche se veniva eseguita all’inizio dell’opera. Era ordinata nella forma tripartita (detta all’italiana o scarlattiana) Allegro-Grave-Presto. ¾L’Aria, la Cavatina, la Romanza: pezzi in cui uno dei personaggi cantava da solo. Da una parte rappresentavano il momento di bravura in cui il cantante faceva sfoggio del proprio virtuosismo; dall’altra erano determinanti per caratterizzare i personaggi, svelandone, con la musica, anche gli aspetti più intimi. ¾ Il duetto, il terzetto, il quartetto ….: parti in cui, due, tre, quattro personaggi cantavano insieme, in un dialogo canoro dove spesso si sovrapponevano voci e melodie diverse con effetti armonici e teatrali interessanti. ¾ Il recitativo: frase, per lo più breve, detta con una leggera intonazione quasi simile ad un discorso parlato. Serviva talvolta ad allentare la tensione emotiva, ma più spesso a chiarire meglio un concetto o a drammatizzare un momento particolare. ¾ Il coro: insieme di voci che rappresentava sulla scena un gruppo di persone, la folla o il popolo (saranno famosi nell’ ‘800 i cori di G. Verdi). ¾ Il concertato: si aveva quando tanti personaggi cantavano insieme in momenti di particolare concitazione o drammaticità. ¾ L’intermezzo: brano eseguito dalla sola orchestra prima che iniziava il secondo atto. ¾ Il finale: insieme di voci, coro, strumenti e cantanti. Si trovava alla fine di ogni atto. L’OPERA BUFFA Nasce a Napoli ove per i primi decenni i testi furono normalmente in dialetto. Opere di soggetto comico si erano avute tuttavia, sebbene isolatamente, anche nel ‘600. L’opera buffa fu fenomeno complessivamente italiano, di cui Napoli fu il centro più fecondo, ma anche Venezia ebbe grande importanza, sia nella forma propria che in quella degli intermezzi. L’opera buffa fu l’antitesi dell’opera seria sotto quasi ogni riguardo. Mentre l’opera seria metteva in scena gli eroi della mitologia o della storia greco-romana, l’opera buffa rappresentava borghesi e popolani contemporanei, colti realisticamente nella vita quotidiana. L’opera buffa tendeva all’azione. Non solo ridusse quasi completamente il recitativo o il recitativo secco, ma accolse accanto alle arie pezzi d’insieme che aumentarono continuamente d’importanza. Nella seconda metà del secolo vi emerse, con originale rilievo, la funzione dell’orchestra che in certe scene divenne la vera portatrice dell’idea musicale, limitando la voce ad una sillabazione quasi parlata. La funzione storica dell’opera buffa si svela compiutamente nei due massimi capolavori italiani di Mozart e che di fatto concludono il ‘700 operistico italiano: “Il Don Giovanni” e le “Nozze di Figaro”. L’OPERA NELL’ ’800 Con il sorgere del nazionalismo, l’opera italiana che aveva avuto il predominio in tutta Europa subì una drastica perdita d’importanza in quei paesi in cui cominciò un proprio movimento di sviluppo dell’opera. In Italia, G. Rossini le cui opere sono splendidi prodotti dell’opera buffa, nata e sviluppatasi nel ‘700, rappresenta il ponte ideale che, dall’età classica, si va verso il Romanticismo. Se nel Guglielmo Tell infatti si trovano temi prettamente romantici, già nella figura del Barbiere di Siviglia traffichino e malizioso, che con intelligente fantasia dirige uomini e cose intorno a sé, si trova in embrione l’ideale vagheggiato dai romantici, secondo il quale non sarà più la classe nobile, né quella borghese, a dirigere le cose ma sarà il popolo stesso a divenire un giorno artefice dei propri destini. Tre aspetti fondamentali caratterizzano melodramma italiano dell’ ‘800: il mondo del ¾La librettistica: la dignità letteraria dei libretti andava decadendo, per cui il musicista iniziò ad interessarsi egli stesso della scelta degli argomenti, il librettista doveva solo verseggiare il materiale, ciò creò un maggiore legame fra i due. Più tardi furono gli operisti a provvedere ai loro libretti. ¾La vocalità: si diede una nuova espressività alla vocalità abolendo l’improvvisazione. L’ accentuamento e l’adesione ai caratteri espressivi del linguaggio ottocentesco si ebbe soprattutto con Bellini, Donizetti e il grande G. Verdi. ¾Il costume: il teatro è ormai diventato un luogo di relazioni pubbliche di vita sociale: in esso la gente cercava modelli di comportamento e motivo di conforto alle delusioni e alle frustrazioni della vita. Nell’ 800 quindi, si ebbe una forte incidenza dell’opera sulla vita civile, anche nelle città di provincia. In seguito durante il Verismo con la mescolanza che si farà di opere grandiose e di drammi di piccoli personaggi comuni, nasceranno nelle città piccoli teatri minori e popolari. Anche in Germania , intanto, sia pure in modo diverso, si cerca di creare un’opera nazionale. Già Mozart aveva gettato le fondamenta con l’opera in tedesco “Il flauto magico” e un altro contributo era stato apportato da Beethoven col “Fidelio”. Sarà Richard Wagner però, che porterà alla dissoluzione totale degli schemi tradizionali e alla creazione di un “dramma musicale tedesco”. Il dramma musicale tedesco si differenziò dall’opera italiana soprattutto da: a) Poesia, musica e scena erano intese come un’unità indissolubile entro cui nessuna doveva sovrastare l’altra. b) Nessuna distinzione tra aria e recitativi. Il flusso melodico doveva essere continuo e infinito, con una intensa declamazione drammatica delle parole. c) Uso del letiv-moitv, cioè di un tema conduttore che caratterizzava un personaggio o che richiamava un’idea o un sentimento. Uso dell’orchestra come qualcosa di determinante per la costruzione del dramma. E quindi aggiunta di numerosi strumenti, soprattutto tra i fiati. d) La continua tensione viene portata all’estremo anche con l’uso dei cambiamenti continui di tonalità. Questi, tra l’altro, portano al cosiddetto cromatismo. Infatti, nel continuo passaggio di tonalità, si finisce con l’usare tutte le note comprese nell’ambito di un’ottava. Wagner fu autore di numerosi melodrammi tra i quali ricordiamo: Parsifal, Il vascello fantasma, Tannhäuser, Tristano e Isotta. La sua opera più importante fu la tetralogia su L’anello del Nibelungo, ispirata alla mitologia tedesca, composta da: L’oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido e il Crepuscolo degli dei. Anche in Italia il teatro wagneriano ebbe notevole influenza. Si può affermare che, alla fine dell’800, le tendenze musicali italiane oscillavano tra Verdi, Wagner e una nuova corrente che troviamo anche in letteratura con G. Verga: il Verismo. Rappresentanti del verismo e fondatori della cosiddetta Giovane scuola furono: P. Mascagni, R. Leoncavallo, G. Puccini, senz’altro il più importante dei tre. Di Mascagni ricordiamo Cavalleria Rusticana, il cui libretto è tratto dall’omonima novella di G. Verga. Leoncavallo è invece autore della altrettanto nota opera I Pagliacci. Le principali opere di Puccini, attente alla percezione dei mutamenti armonici in atto nel mondo musicale del primo ‘900, furono Tosca, Madama Butterfly, La Bohème, Manon Lescaut. Turandot fu la sua ultima opera rimasta, tra l’altro, incompiuta. G. VERDI (Roncole di Busseto 1813-Milano 1901) Fu la personalità che dominò l’Ottocento musicale in Italia dagli anni Quaranta fin quasi alla fine del secolo. La sua prima opera Oberto conte di San Bonifacio, ebbe un discreto successo. Gli fu commissionata quindi un’opera buffa, Il finto Stanislao, la quale, a causa di gravi lutti che colpirono il musicista, si rivelò un fiasco. Verdi, deluso fu tentato di abbandonare la musica per sempre. Cambiò idea leggendo i versi del coro del Nabucco sul libretto che un suo amico impresario gli aveva dato. L’opera Nabucco fu un trionfo e il suo coro divenne il simbolo musicale del Risorgimento italiano. A questo seguirono altre opere il cui argomento, pur trattando avvenimenti storici lontani nel tempo (La battaglia di Legnano, I Lombardi alla prima crociata, ecc.), alludevano alla situazione italiana del presente. Durante le rappresentazioni, quando il coro intonava parole come “o mia Patria sì bella e perduta” e come “o Signor che dal tetto natìo ci chiamasti all’invito di un pio”, il pubblico, dai palchi e dal loggione, applaudiva commosso e partecipe al grido di “Viva V.E.R.D.I.”. Dopo l’Unità d’Italia, il musicista fu nominato senatore a vita nel primo Parlamento italiano. Nel periodo della maturità, le opere di Verdi, Rigoletto, La Traviata, Il Trovatore, Luisa Miller, riflettono una più approfondita psicologia dei personaggi. Intanto anche la vita del musicista diventava più serena grazie all’incontro con Giuseppina Strapponi, cantante d’opera che divenne poi sua moglie e soprattutto ottima consigliera. Dopo un lungo periodo di silenzio, in cui Verdi scrisse solo la famosa Messa di Requiem, per la morte di Alessandro Manzoni, nacque l’opera Otello. L’autore aveva intanto affinato la sua arte tenendosi al corrente di quanto avveniva nel mondo musicale. E, se è vero che riteneva lontano dalla mentalità e dalla cultura italiana il melodramma wagneriano, è vero pure che, nella sua ultima opera in particolare, ha usato un linguaggio musicale scorrevole, continuo, dove non esiste quasi la divisione tra arie, concertati e dove la musica caratterizza psicologicamente il personaggio. Quest’ultima opera è il Falstaff scritta da Verdi ottantenne. Dopo tante opere serie, essa è l’unica opera comica scritta dal musicista. IL PASSAGGIO DALL’800 AL ’900: LA SPERIMENTAZIONE DEL ’900 E LE TECNICHE D’AVANGUARDIA. La crisi esistenziale nata, alla fine dell’800, dalla perdita dei valori e degli ideali, aveva provocato negli intellettuali e negli artisti una reazione alle forme e ai contenuti del passato. Questa reazione assunse aspetti molteplici e si svolse in più direzioni dando vita a diverse correnti artistiche: impressionismo, espressionismo, simbolismo, dadaismo, futurismo, surrealismo, ermetismo… Tra queste, alcune furono più significative, altre meno. Quelle più importanti, nel campo della ricerca musicale furono l’impressionismo e, soprattutto, l’espressionismo in cui, con la dodecafonia, si abbandona completamente l’armonia tradizionale. Notevole fu l’influenza esercitata dal jazz sulla musica colta (vedi Strawinsky e Gershwin) con una contaminazione che intendeva essere dissacrante nei riguardi della tradizione. L’ Impressionismo nasce in Francia, nel secondo ottocento, come fenomeno pittorico e prende il nome da un quadro di Monet intitolato Impression. Soleil levant. Viene teorizzato, contemporaneamente, dai poeti Velaine, Rimbaud e Mallarmè mentre in musica è rappresentato da Claude Debussy. Questa corrente artistica si basa sull’idea che la realtà è un fenomeno luminoso, coloristico, in cui è la luce a farci vedere le cose e i colori delle cose, in un certo modo. Il colore in sé, quindi non esiste; esiste invece “quel” particolare colore che viene fuori, in “quel” particolare momento, dall’incontro della luce con “quell’oggetto”. Dati questi principi, è chiaro che, cambiando la luce nel corso della giornata e delle stagioni, l’oggetto non sarà mai lo stesso. Il pittore può quindi, nella sua opera, cogliere solo l’impressione, il colore che l’oggetto ha in un certo momento e che potrà non avere mai più in altri momenti (alcuni artisti arrivarono addirittura a scrivere sul quadro l’ora del giorno in cui era stato dipinto). Nel campo musicale tutto ciò porta a dare sempre maggiore rilevanza al timbro degli strumenti, creare una certa sonorità, un certo colore piuttosto che a costruire ad a sviluppare un tema melodico secondo le formule tradizionali. Per rendere ancora di più questo senso del vago, dell’indefinito, Debussy non usa, per le sue costruzioni sonore, il sistema armonico basato sulle scale Magg. e min. bensì una scala arcaica e orientaleggiante basata su sei toni consecutivi e chiamata perciò scala esatonale. In essa non ci sono intervalli di semitono: DO – RE – MI - FA# - SOL# - LA# - DO Nella sua musica Debussy rende l’incertezza esistenziale usando un linguaggio fluido, scorrevole, dove non sembra esserci mai un punto fermo, dove i temi appaiono e scompaiono, dove ciò che acquista rilevanza ai nostri occhi è il colore dei timbri strumentali, usati da Debussy come un pittore impressionista usa i colori per creare le sue figure senza contorni netti. Dopo Debussy ricordiamo i francesi Maurice Ravel e Paul Dukas, lo spagnolo Manuel De Falla e l’italiano Ottorino Respighi. Tutti questi autori, pur con diverse finalità, hanno fatto uso delle nuove tecniche debussiane e, almeno in parte, possono essere considerati impressionisti. L’ Espressionismo nasce nel primo novecento e si sviluppa tra le due guerre mondiali. Dal disagio dell’individuo (già espresso musicalmente da Mahler) e dalle sue angosce esistenziali, portando ancora avanti il discorso dell’incertezza sulla realtà che ci circonda, nasce il completo rifiuto di questa realtà. Se gli impressionisti avevano accettato di rappresentare almeno l’apparenza, l’impressione suscitata dalla realtà in un dato momento e sotto una certa luce, gli espressionisti reagiscono rifugiandosi invece all’interno dell’individuo. E’ da qui infatti che deve nascere, in piena libertà di espressione, l’opera d’arte. La creazione viene ad essere quindi, in senso completo, espressione del mondo interiore dell’artista e non deve avere agganci con il mondo esterno né deve farsi condizionare dalle regole codificate di una tradizione ormai priva di significato. Per capire meglio, diciamo che l’opera espressionista non nasce dalla realtà che circonda l’artista, ma viene ad essere quasi un prodotto del suo sogno e, persino, dei suoi incubi. Per l’Espressionismo l’arte è la pura rappresentazione dell’anima. E attraverso l’anima viene trasfigurato anche l’oggetto reale fino a perdere la propria autonomia, ripresentandosi ai nostri occhi idealizzato dall’artista come un prodotto della sua visione. In questo rifiuto della logica tradizionale, è evidente che vanno abbandonati tutti i dati musicali tramandati dalla codificazione, avvenuta attraverso i secoli, dell’armonia tonale, dell’armonia cioè basata sulle scale magg. e min. e sui punti di riferimento importanti (I°, III°, e V° grado della scala) intorno ai quali veniva costruita sia la melodia che l’armonia di una composizione. Per reazione nasce la dodecafonia, il sistema cioè in cui i 12 suoni compresi nell’ottava hanno tutti la stessa importanza e tutti vanno usati senza che uno prevalga sull’altro. All’inizio della composizione il musicista espone la sua prima idea creativa, dando un ordine personale alla serie dodecafonica, in modo tale però che ciascuno dei 12 suoni non sia ripetuto per una seconda volta se prima non vengono usati tutti gli altri. Questa è la regola fondamentale per iniziare il brano ma, ovviamente, ce ne sono altre, piuttosto complesse, per elaborare poi l’idea creativa. Si può dire che, in pratica, la serie dodecafonica esposta all’inizio dall’autore corrisponde al tema delle composizioni tradizionali mentre l’elaborazione successiva corrisponde allo sviluppo. Gli esponenti dell’Espressionismo musicale furono Arnold Schönberg (Vienna 1874-Los Angeles 1951) considerato il padre dell’Espressionismo e autore di un importante saggio letterario (Manuale d’Armonia) dove, per la prima volta, furono esposti i principi della nuova corrente estetica. I suoi allievi furono Alban Berg e Anton Webern con i quali formò la scuola viennese che ebbe enorme influenza sullo sviluppo musicale del secondo dopoguerra. L’opera di Schönberg è il Pierrot Lunaire (1912) considerata il manifesto dell’espressionismo musicale e che rappresenta una svolta nella storia musicale. In questa composizione, scritta per 8 strumenti, viene espressa la crisi dell’individuo in una società alienante che lo trascina verso la guerra. Un’altra corrente del Novecento è il Neoclassicismo. Tra il 1920 e il 1930 c’è stato chi, nel rinnegare idee e forme del Romanticismo, piuttosto che cercare nuove strade ha tentato il ritorno alla purezza delle forme classiche del periodo preromantico, facendo uso però di tecniche nuove. Forse di nessuna delle suddette correnti si può dire che sia stata caratterizzante per il secolo interessato, ma di tutte si può affermare che sono nate dal bisogno di sperimentare il nuovo, lasciando il noto per l’ignoto, il “già detto” per il “da dire”. Grandi musicisti del tempo come Igor Strawinskij, Paul Hindemith, Béla Bartòk, Arthur Honegger e gli italiani Francesco Malipiero e Goffredo Petrassi, hanno aderito, in momenti diversi, sia al neoclassicismo che alla dodecafonia o ad altre correnti musicali. Ciò non fa che confermare come il Novecento sia un periodo di ricerca e di incertezza in cui si è sicuri di una sola cosa, che occorre cioè uscire dalla nostra armonia tradizionale se si vuole che la musica trovi la sua dimensione futura. Abbandonata la tradizione tonale-armonica del passato, i musicisti di oggi lavorano in più direzioni: La sperimentazione timbrica è quella che si fa sugli strumenti tradizionali usandoli però in modo anticonvenzionale per ricavarne effetti diversi e inusitati. La sperimentazione timbrica si fa anche usando, come strumenti musicali, oggetti destinati ad altri usi (carta, macchina per scrivere ecc.). A questa sperimentazione si collega la seguente. La musica concreta che consiste nell’usare suoni dell’ambiente circostante registrati su nastro e manipolati poi in vario modo fino a far perdere loro i connotati originali. La manipolazione può avvenire sia facendo un collage con parti di registrazioni diverse, sia tramite il modificatore e il miscelatore elettronico. La musica seriale è quella che applica il principio della serie (che la dodecafonia usa per l’altezza dei suoni) anche alle altre caratteristiche del suono e cioè: intensità, durata e timbro. Esperimenti di musica seriale sono stati fatti da Pierre Boulez, Karl Stockhausen, Bruno Maderna, Luciano Berio. La ricerca e l’uso di tutto il territorio sonoro compreso nell’ambito di una ottava. Con la dodecafonia si era già notevolmente allargato il “campo di azione” di cui usufruire in ciascuna composizione musicale. Non essendo più vincolato alla scala, il musicista poteva usare 12 suoni e non più 7. Ora, con le nuove tecniche strumentali, ma soprattutto con la sperimentazione elettronica, lo spazio sonoro a disposizione del musicista si è ancora di più allargato. Nell’ambito di un’ottava non sono più soltanto dodici i suoni recuperabili, ma molti di più. Con le apparecchiature elettroniche e soprattutto con il computer si può entrare all’interno del semitono producendo frequenze corrispondenti a suoni intermedi. La musica aleatoria è quella che accetta e prevede l’ alea , la casualità, la possibilità, cioè, che il risultato dell’esecuzione musicale non sia sempre lo stesso, ma dipenda da fattori variabili (l’esecutore, il luogo, il pubblico ecc.) La ricerca di una nuova scrittura musicale è ovviamente un problema connesso con la sperimentazione musicale. Se infatti per la dodecafonia era ancora possibile l’uso del pentagramma e dei segni tradizionali, in quanto i suoni rientravano nella gamma dei semitoni e quindi con l’ausilio dei segni di alterazione erano collocati sul pentagramma, nella musica sperimentale odierna, invece, la nuova gamma di frequenze ottenute elettronicamente all’interno del semitono e i vari usi non convenzionali degli strumenti musicali usati, non permettono l’uso di una scrittura diventata del tutto insufficiente. Quindi anche per la scrittura si apre la sperimentazione. Ogni compositore cerca la sua strada, il modo di fissare su carta ciò che compone e perciò inventa via via nuovi segni da usare sia sul pentagramma ma molto più spesso in campo aperto. Affinché queste partiture possano essere lette dall’esecutore, l’autore allega ad esse una “legenda” con l’elenco dei nuovi simboli e il loro significato. Quando non tutto è spiegato nella legenda entra in gioco l’alea, prevista nella sperimentazione moderna. In questo caso l’esecutore può interpretare a modo suo alcuni segni; ha così un proprio spazio di carattere creativo. Per quanto riguarda la musica elettronica, quella concreta e la musica da computer, spesso non si pone il problema della scrittura in quanto il brano viene fissato o su nastro magnetico o nel caso del computer su un hard disk. ELEMENTI DI MUSICOTERAPIA COSA È LA MUSICOTERAPIA APPLICAZIONE E AMBITI DI SUA Porsi la domanda cos’è la musicoterapia, ad una prima analisi potrebbe risultare molto ardua per quanto essa è ampia a complessa, come peraltro lo è la disciplina di cui tratta. Infatti il concetto di musicoterapia è vasto, ha implicazioni molto estese, si riferisce ad ambiti operativi profondamente differenziati tra loro. Il primo grosso problema nella definizione della Mt è che essa è transdisciplinare per natura. Cioè, la musicoterapia non è una disciplina singola, isolata con limiti ben definiti e immodificabili. Piuttosto è la dinamica combinazione di molte discipline attorno a due grosse aree: la musica e la terapia. Tra le discipline collegate alla musica si includono: •Psicologia della Musica •Sociologia della Musica •Antropologia della Musica •Filosofia della Musica •Biologia della Musica •Acustica •Educazione Musicale •Esecuzione e Composizione musicale •Teoria e Storia della Musica •Arte, Danza, Teatro, Poesia, Letteratura. Tra le discipline collegate alle terapia si trovano: •Psicologia – Psicoterapia – Psichiatria •Lavoro sociale •Arti curative •Ricreazione Terapeutica •Medicina, Chirurgia •Terapie Occupazionali e fisiche •Linguaggio •Terapia Comunicativa, audiologia •Educazione Speciale •Terapie di Arti Creative Ciò che rende difficile definire e delimitare la Mt è che è un ibrido di molte discipline. Sia la musica che la terapia hanno per sé stesse delimitazioni poco chiare, ci sono molte e diverse filosofie musicali e più teorie terapeutiche. Ma volendo dare una definizione generale o meglio una sintesi che rappresenti in modo globale il panorama di situazioni teoriche e pratiche che costituiscono la musicoterapia si potrebbe affermare che la musicoterapia è una tecnica, mediante la quale varie figure professionali, attive nel campo della educazione, della riabilitazione e della psicoterapia, facilitano l’attuazione di progetti d’integrazione spaziale, temporale e sociale dell’individuo, attraverso strategie di armonizzazione della struttura funzionale dell’handicap, per mezzo dell’impiego del parametro musicale; tale armonizzazione viene perseguita con un lavoro di sintonizzazioni affettive, le quali sono possibili e facilitate grazie a strategie specifiche della comunicazione non verbale. (Postacchini, 1995). Tali strategie possono essere attive, in cui si richiede all’individuo o al gruppo di produrre musica coltivando l’espressione creativa; passive, in cui predomina l’ascolto o l’assunzione individuale di stimoli ritmico-musicali provenienti dall’esterno. Il termine “passive” è usato esclusivamente per una distinzione dei due tipi di esperienze; è da precisare, però, che anche le esperienze passive richiedono durante l’ascolto una presenza attiva. Molti intendevano, in passato, la musicoterapia positiva in quanto faceva dimenticare pene e fatiche mentre permanevano le situazioni che le creavano. Oggi, invece, ci si è avvicinati a delineare un recupero della musicoterapia sulle basi della pedagogia, della sociologia, della medicina, della psicologia ecc., come scienza nuova; considerando il suo uso in senso operativo-dinamico-creativo, tale da non offrire coperture consolatorie. Relativamente alle ricerche, agli studi e alle esperienze che attualmente si praticano, possiamo individuare oggi tre indirizzi particolari della musicoterapia, che pur sovrapponendosi e completandosi, sono contraddistinti da diverse impostazioni e metodologie: a) il primo indirizzo, che potremo definire “psicopedagogico”, trova la sua esplicitazione nell’ambito delle strutture scolastiche, educative e rieducative. Esso prevede: lo sviluppo della creatività; l’uso del corpo per una perfetta realizzazione dello schema corporeo; la strutturazione di una salda ed equilibrata personalità data esclusivamente dalla conoscenza interiore; nonché l’ampliarsi dei rapporti interpersonali e di socializzazione. b) accanto all’indirizzo psicopedagogico si concretizza un secondo indirizzo che trova la sua più ampia applicazione negli ospedali, negli ambulatori, nelle cliniche. In tali sedi la musicoterapia può contribuire al superamento di condizioni patologiche o pre-patologiche che determinano situazioni di chiusura e di emarginazione. c) il terzo indirizzo, riscontrabile nelle comunità, nei gruppi, nei quartieri, è dato da quei fenomeni musicali che accomunano gruppi etnici o “ideologici” e che assumono un potenziale espressivo e culturale nel contesto sociopolitico e socio-culturale in cui nascono. Quindi, sulla scia delle considerazioni fin qui esposte, si può organizzare un tentativo di risposta al quesito di partenza: 1la musicoterapia è una modalità pedagogicoterapeutica atta a favorire la costruzione delle relazioni, nelle quali vengono messe in gioco, da parte degli operatori, competenze tecniche, culturali ed umane, mentre da parte di coloro che ricevono viene messa in gioco la disponibilità a farsi conoscere. E’ bene ricordare che, il compito degli operatori, è quello 2di cercare, se già c’è, o altrimenti favorire un’armonia interna della persona sintonizzandosi ad essa, per consentire, laddove la comunicazione dell’altro è interrotta, che qualche forma di relazione possa instaurarsi. La musicoterapia si occupa dunque della costruzione intenzionale di relazioni comunicative a fini terapeutici, attraverso l’impiego di due distinti elementi: •la relazione: per lo sviluppo di questa ci si può avvalere di attività musicali e anche di altre pratiche espressive. •la musica: l’obiettivo sarà quello di realizzare attraverso di essa una forma di comunicazione non verbale. _____________________________________________________________________ 1 Postacchini-Ricciotti-Borghesi Lineamenti di Musicoterapia La Nuova Italia Scientifica. 2 Idem MODELLO “BENENZON” Definizione di MT Secondo R.O. Benenzon1 la definizione (attuale) più adatta per indicare la Musicoterapia è la seguente: la Musicoterapia è una psicoterapia che utilizza il suono, la musica, il movimento e gli strumenti corporeosonoro-musicali per sviluppare, elaborare e analizzare un vincolo o una relazione fra musicoterapeuta e paziente (o gruppo di pazienti) con l’obiettivo di migliorarne la qualità di vita e riabilitarlo e recuperarlo per l’inserimento sociale METODOLOGIA GENERALE Il metodo benenzoniano è di tipo psicoterapeutico basato sulla comunicazione verbale e non verbale sonoro-musicale. Si articola in due parti essenziali: la prima di carattere diagnostico e la seconda di carattere terapeutico. Nella parte diagnostica l’obiettivo è di scoprire il principio dell’ ISO3 del paziente o del gruppo con il quale si lavorerà, l’oggetto intermediario4 e l’oggetto integratore5 che faciliteranno la terapia. La seconda parte è costituita da sedute di Mt in cui paziente e musicoterapeuta lavorano attivamente. Si tratta di istituire canali di comunicazione di livello regressivo6, per mezzo dell’identità sonora e di aprirne dei nuovi. Generalmente è in questa fase che si instaura il trasfert e il controransfert7 e si da atto al fenomeno totemico8. 3Principio dell’ISO: ISO=Identità sonora. Si tratta dell’insieme infinito delle energie sonore, acustiche e di movimento che appartengono ad un individuo e che lo caratterizzano. Questo flusso interno di energie è formato dall’eredità sonora: dalle esperienze sonore intrauterine del periodo gestazionale e dalle esperienze sonore fatte dalla nascita fino al presente. Benenzon distingue cinque strutture dinamiche di ISO: ISO Gestaltico, ISO Universale, ISO Culturale, ISO Complementare, ISO Gruppale. L’ISO Universale Include le energie sonore di base ereditate da millenni. Queste energie sonore sono caratteristiche di tutto il genere umano, con le varianti dei patrimoni ereditari più recenti: d’occidente e d’oriente, delle zone fredde, di quelle tropicali ecc. Per esempio, nell’uomo occidentale della zona a clima variabile troviamo, fra le altre, le seguenti energie sonore: il ritmo binario che imita il battito cardiaco, il suono e il movimento dell’acqua (liquido amniotico), i suoni dell’inspirazione e dell’espirazione, la scala pentafonica, l’accordo perfetto, l’ostinato, il canone, il silenzio. L’ISO Gestaltico include nell’inconscio le energie sonore che si producono a partire dal concepimento di ciascun individuo. Queste energie potranno modificare o influenzare quelle che si trovano nell’ISO Universale. Ciò significa, che sebbene un ritmo binario, una ninnananna ad intervalli di seconda e terza producano uno stato di tranquillità, di prevedibilità, di equilibrio perché vengono riconosciuti, trovandosi nella memoria del non-verbale, questo dipenderà anche dalla storia del soggetto in questione. Se nella storia di un individuo compare un’esperienza conflittuale grave, come ad esempio quella di una guerra, in cui il ritmo binario primitivo si è combinato con il ritmo delle marce militari, quest’ultimo modificherà il precedente e lo porterà a livelli di turbamento e imprevedibilità. L’ISO Culturale è formato da flussi di energie sonoro-musicali formatesi a partire dalla nascita e dal momento in cui l’individuo riceve gli stimoli sonori dell’ambiente che lo circonda. L’ISO Complementare è l’insieme di piccole modifiche che si attuano ogni giorno o in ogni seduta di Mt sotto l’effetto di circostanze ambientali e dinamiche. L’ISO Complementare rappresenta la fluttuazione momentanea dell’Iso Gestaltico sotto l’effetto di circostanze ambientali specifiche. L’ISO Gruppale è intimamente connesso allo schema sociale all’interno del quale l’individuo evolve. Occorre un certo lasso di tempo affinché l’ISO Gruppale si instauri e si strutturi: dipenderà spesso dalla buona composizione del gruppo e dalla conoscenza dell’ISO individuale di ciascun paziente da parte del terapeuta. L’ISO Gruppale è fondamentale allo scopo di raggiungere un’unità di integrazione in un gruppo terapeutico in un contesto non verbale. Esso è una dinamica che pervade il gruppo come sintesi stessa di tutte le identità sonore. Pertanto si può affermare che la produzione sonora di un individuo contiene implicitamente la somma di tutti gli ISO menzionati. Possiamo individuare nei fenomeni sonoro-musicali i diversi ISO che lo compongono. Un ritmo binario proviene dall’ISO Universale, la voce della madre proviene dall’ISO Gestaltico, un frammento melodico dall’ISO Culturale. 4L’oggetto intermediario. E’ chiamato così qualunque oggetto capace di permettere la comunicazione da un soggetto all’altro. Il primo strumento a favorire questa comunicazione è il corpo stesso della madre che con la pelle, le sue vibrazioni, la sua voce, i movimenti dei muscoli, le carezze, la pulsazione ritmica, trasmette al neonato l’energia sonora. 5Benenzon chiama oggetto integratore, uno strumento corporeo-sonoro-musicale, quando questo permette il passaggio di energia comunicativa fra più di due persone e quindi rende simultaneamente attivi più di due canali comunicativi. 6Si tratta di un concetto molto importante in MT. La regressione è il ritorno del comportamento ad un antico modo di appagamento. Secondo Winnicott la regressione è un meccanismo organizzato di difesa dell’io, una specie di protezione del self. Questo concetto consente di utilizzare gli effetti regressivi di certi fenomeni sonoro-musicali in Mt. Il contesto nonverbale stimola nell’individuo la regressione. Lo porta immediatamente a sperimentare situazioni maternoinfantili o paterno-infantili il più delle volte gratificanti. 7Il trasfert in Mt è la tendenza del paziente a rivivere, insieme alla figura del terapeuta, gli stessi episodi occorsi agli inizi della storia della sua relazione materno-paterno-infantile, ossi a collocare il passato nel presente. Il controtrasfert è una ricerca oggettiva sulla soggettività. E’ il trasfert del paziente più le esperienze passate proprie del terapeuta. Questa sensazione controtrasferenziale si può solo percepire e rendere cosciente, se il terapeuta ha permesso a sé stesso di regredire, insieme al paziente, al quel passato che torna in quel momento della seduta. In caso contrario il terapeuta non potrebbe mai riconoscere ciò che sta succedendo con il suo paziente. 8Benenzon definisce fenomeno totemico la messa in atto di rituali in una situazione di trattamento di Mt, al fine di modificare e contenere positivamente le scariche di energia pericolose per l’integrità dell’individuo e il suo inserimento in società. Il contesto non-verbale permette la comparsa e la ripetizione all’infinito dei rituali, quindi in questo caso ed attraverso il trasfert ed il controtrasfert, si cerca di favorire la comparsa e la ripetizione dei rituali attraverso i qiali il terapeuta può percepire e prevedere il manifestarsi di scene primarie, primitive, che risultano proibite in altri contesti. Benenzon, nelle sedute di Mt, considera di fondamentale importanza il lavoro di coppia terapeutica (meglio se di diverso sesso) soprattutto nel trattamento di casi patologici gravi, di psicosi, di autismo, ecc. Questo tipo di lavoro è considerato conveniente da Benenzon in quanto evita il verificarsi dell’ acting-out9, permette un incontro di riflessione in seguito alle sedute, consente lo scambio d’informazione per compilare i protocolli di osservazione, costituisce una cornice di contenimento forte e sicura per il paziente, riduce l’effetto del burn-out dei terapeuti. Inoltre la coppia terapeutica rappresenta uno schermo proiettivo per i diversi aspetti del trasfert del paziente. ____________________ 9Benenzon definisce acting‐out l’impulso che si produce nel musicoterapeuta di portare sul piano dell’azione la confusione delle sensazioni di trasfert e controtrasfert TECNICA Benenzon, durante la seduta di Mt, predilige un ordine “tecnico” per condurre il trattamento che si articola in tre punti ritenuti fondamentali: a) l’ osservazione; b) le associazioni corporeo-sonoro-musicali; c) l’isolamento riflessivo attivo. Secondo Benenzon nei primi momenti di una seduta di Mt il musicoterapeuta deve evitare di agire, produrre o esprimersi, ponendosi in una situazione di completa ricettività durante la quale ascolta, comprende, riceve, accetta. Egli in questa fase già mette in gioco il suo corpo, sebbene rimanga fermo. Infatti fa parte dell’insieme degli strumenti e consentirà la ripresentazione dell’oggetto intermediario corporale costituito una volta dal corpo della madre. Questa tecnica, di saper aspettare ed osservare, evita che il corpo del musicoterapeuta risponda alle ansie suscitate dal primo impatto di trasfert del paziente. In questa fase la sola espressione importante da parte del musicoterapeuta è la presentazione di una data consegna. In un secondo momento il paziente comincerà ad esprimersi liberamente e nel musicoterapeuta questo primo stadio ricettivo di osservazione attiva permetterà la comparsa di associazioni corporeo-sonoro-musicali. Queste associazioni sono il risultato dell’impatto del trasfert. Il musicoterapeuta sente il suo corpo entrare in movimento coinvolgendolo alla scelta di uno strumento o comunque ad un’espressione vocale o sonoro-musicale. Durante l’isolamento riflessivo-attivo il musicoterapeuta smette di attuare e scinde la sua attenzione fra ciò che sta succedendo fuori e ciò che sta succedendo in sé stesso. E’ il maggior contatto con le sensazioni di controtrasfert, in cui si distingue ciò che proviene dal paziente e ciò che invece proviene dalle proprie sensazioni. Benenzon, per quanto riguarda le sequenze tecniche del non verbale in un processo di comunicazione non-verbale, consiglia di percorrere le seguenti tappe: Imitazione: il musicoterapeuta risponde in modo uguale a ciò che esprime il paziente, utilizzando lo stesso strumento o uno simile facendo capire al paziente che lo ha ascoltato e compreso. Imitazione parziale: il terapeuta accompagna la performance del paziente imitandolo, ma in un’altra tonalità o modificando in parte la struttura sonora. Domande e risposte: il paziente si esprime ed il terapeuta risponde con altre strutture sonore utilizzando un altro strumento.