‰ Il Barocco
Nella storia della musica il periodo che si colloca tra il
Rinascimento ed il Classicismo, cioè tra il 1600 e il 1750,
prende il nome di Barocco. Poiché in questo periodo nelle
composizioni vocali e strumentali è costantemente impiegato
il basso continuo1, fu detto anche “età del basso continuo”.
Così come le altre forme d'arte del periodo, la musica barocca
era votata al desiderio di stupire e divertire l'ascoltatore:
cambi repentini di tempo, passaggi di grande virtuosismo
strumentale o vocale, l'uso del contrappunto e della fuga,
sono gli elementi che più caratterizzano la produzione
musicale di questo periodo, insieme ad uno sviluppato senso
dell'improvvisazione.
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1Il basso continuo costituisce spiccatamente il contrassegno del barocco musicale. Esso costituiva il sostegno armonico‐strumentale che accompagnava le parti superiori della composizione dal principio alla fine (perciò detto continuo). Veniva improvvisato al clavicembalo o all’organo, spesso unito ad uno strumento ad arco (viola da gamba o violoncello) che suonava soltanto la linea fondamentale del basso
La musica del Barocco si distacca nettamente da
quella del Rinascimento perché a differenza di questa,
non impiega un solo stile, valido per la musica sacra e
profana, vocale e strumentale, ma più stili. Permane
l’uso della polifonia ma accanto ad essa nasce la
monodia, che a sua volta si modella diversamente
nelle composizioni vocali sacre e in quelle profane.
Un’altra caratteristica del Barocco musicale fu
l’affermazione di nuove forme e generi. Continuarono
ad esistere, pur subendo trasformazioni radicali, la
Messa, il Mottetto, e, per breve periodo, il Madrigale,
ma ad essi si affiancarono generi e forme nuove;
vocali: Opera, Oratorio, Cantata, Duetto;
strumentali: Fuga, Suite, Ciaccona, Sonata,
Concerto, Concerto Grosso, Sinfonia.
Lo svolgimento storico del Barocco musicale
difficilmente può configurarsi con visione storica unitaria
e con caratteri stilistici omogenei, perciò fu operata una
sua tripartizione temporale:
•la prima fase è rappresentata da:
Monteverdi, Frescobaldi, Schütz;
•la seconda fase da:
Carissimi, Lulli, Purcell;
•la terza fase da:
Vivaldi, i due Scarlatti, Couperin, Bach, Haendel.
FORME VOCALI E STRUMENTALI DEL PERIODO BAROCCO:
•Cantata – Composizione d’ispirazione profana o religiosa, scritta a una o più voci con accompagnamento, e destinata alla camera, al concerto e alla chiesa. L’accompagnamento strumentale era solitamente sintetizzato nel basso continuo realizzato dal clavicembalo. Derivato dal madrigale italiano del Rinascimento, questo genere musicale è il corrispondente vocale della Sonata. Alessandro de Grandi, di scuola veneziana, fu il primo ad usare il termine Cantata. Con il Carissimi in particolare, acquistò una forma definitiva, tra il recitativo e l’aria, con carattere profano. Passata in Germania, si sviluppò poi in Cantata sacra soprattutto con Bach.
•Ciaccona – Danza di probabile origine messicana che appare in Spagna alla fine del XVI°
secolo e si diffonde rapidamente in occidente nel primo quarto del XVII° secolo. Questa danza di origine popolare è assai vivace e in movimento ternario ed è caratterizzata da figure di basso ripetute continuamente, dette basso ostinato.
• Concerto – Composizione sinfonica di ampio sviluppo per strumento solista e orchestra. E’
diviso in tre tempi: Allegro, Adagio, Finale. Il Concerto Grosso è basato sulla contrapposizione del Concertino, formato da un trio di solisti (2 violini e violoncello) a tutta l’orchestra. Il Concerto Solista mette invece in evidenza uno strumento in contrapposizione a tutta l’orchestra.
•Fuga – E’ una composizione in stile contrappuntistico (vocale, strumentale o mista) fondata sull’uso dell’imitazione, ma con criteri molto rigidi. Ebbe grande sviluppo nella seconda metà
del XVII° secolo e nella prima del XVIII° soprattutto ad opera dei maestri tedeschi fra i quali spicca J.S. Bach che con L’Arte della Fuga e il Clavicembalo ben temperato contribuì in misura notevole a dare splendore e sviluppo alla Fuga. La Fuga scritta a 2, 3, 4, o più voci comprende generalmente tre parti: l’ esposizione, i divertimenti e gli stretti.
• Il Duetto da camera – Il Duetto da camera conservava lo spirito e lo schema della Cantata profana; vi persisteva tuttavia un gusto contrappuntistico. Ne scrissero Luigi Rossi e Benedetto Marcello.
• Sonata – In origine il termine Sonata indicava una composizione da camera per uno o più
strumenti in contrapposizione alla Cantata che era una composizione prevalentemente cantata. Si distingueva in Sonata da Chiesa, formata da una serie di brani di carattere piuttosto austero e Sonata da camera formata da una serie di danze o da brani derivanti dalla Canzone e dal Madrigale. Questo tipo di composizione si configurò secondo una struttura monotematica e bipartita. Particolare importanza, per l’evoluzione della Sonata, è da attribuirsi a Domenico Scarlatti le cui Sonate sono tutte in un unico tempo (Mosso o Allegro), la forma è bipartita ma, in alcuni casi, anziché essere monotematica è bitematica anticipando così, l’architettura della Sonata moderna. La Sonata, nella sua forma definitiva, rappresenta un modello strutturale che influenzerà le composizioni strumentali fino alla fine del 1800.
La Sonata è generalmente divisa in 4 tempi. La forma che la caratterizza è il 1° tempo. Questo è bitematco e tripartito, ossia comprende due temi ed è in tre parti.
• Suite – E’ una composizione strumentale costituita da una serie di pezzi diversi collegati fra loro tonalmente ed idealmente e divisi in tempi di danza. Nata dalla consuetudine delle corti di riunire più movimenti di danza, la Suite raggiunge la forma più elevata alla metà
del XVII° secolo. Le danze che la compongono sono distribuite in modo tale che ad una con movimento lento, ne succede un’altra con movimento rapido; ad una di carattere meditativo, un’altra di carattere brillante. La forma delle danze è semplice ed è costituita da due parti distinte (forma bipartita e monotematica).
‰ Il melodramma del ’600
Dalla polifonia alla monodia – All’inizio del secolo XVII°, la
polifonia, dopo un’egemonia durata diversi secoli, cedette il
campo alla monodia, che rispondeva alle necessità di
un’espressione più individualizzata, più nobile e più
profonda, che l’uomo formato dalla civiltà del Rinascimento
esigeva.
La monodia fece le prime prove importanti nel teatro con il
Dramma per musica, che successivamente si chiamò
Melodramma e Opera Musicale.
Il passaggio dalla polifonia alla monodia era stato favorito da:
a) la nascente sensibilità armonico-verticale;
b) dalla consuetudine di sostituire le voci inferiori di una
composizione con uno strumento polivoco che le
riassumesse tutte.
Origini del Melodramma – Il Melodramma è una
rappresentazione teatrale in cui convergono tutte le
arti. Musica, poesia, danza e arti figurative insieme
concorrono a rappresentare, sulla scena, un fatto, un
evento, sia storico che immaginario, sia drammatico
che sentimentale o brillante. Il Melodramma ebbe
origine dall’ intento di alcuni colti gentiluomini di
Firenze, i quali volevano far rivivere la musica greca.
Essi erano i musicisti Vincenzo Galilei, Giulio
Caccini, Emilio dé Cavalieri; i poeti Ottavio
Rinuccini, Jacopo Corsi ed altri. Questi nell’ultimo
ventennio del secolo XVI° si riunivano in casa del
Conte Giovanni dé Bardi per discutere intorno alla
poesia e musica della loro epoca posta in relazione a
quanto si conosceva della musica greca.
Durante queste riunioni il loro spirito colto ed irrequieto indagava
il modo di ricreare la musica greca che, a loro parere, era stata
più perfetta e più espressiva di quella della loro epoca; essi
muovevano aspre critiche alla polifonia, affermando che
l’intreccio delle parti, impedendo la comprensione delle parole, si
rivelava inefficace a riprodurre i sentimenti evocati dal testo. Si
propose di creare un particolare linguaggio musicale, definito
recitar cantando, in cui la musica aveva il compito di
accrescere il senso delle parole, secondo quanto si riteneva
fosse accaduto nell’antica Grecia.
Il vero animatore di questo salotto musicale letterario del tardo
Rinascimento fiorentino non fu tanto il conte dé Bardi, quanto
Vincenzo Galilei, il musicista e teorico che organicamente ha
tracciato nel famoso Dialogo della Musica antica e della
moderna (1581), i principi fondamentali del nuovo stile musicale
che sarebbe uscito per la prima volta da questo gruppo di dotti.
Dopo i greci ed i romani, che si occuparono di musica
soprattutto per quanto riguarda il teatro, si apre, secondo il
Galilei, quel lungo ed oscuro periodo di decadenza a causa delle
invasioni barbariche. La nuova musica, la monodia
accompagnata, non era altro, nella mente dei musicisti e dei
teorici del tempo, che la ripresa della genuina tradizione greca
che si riteneva fosse ad una sola voce o all’unisono. Il ritorno
ideale alla musica greca significava anzitutto l’individuazione del
Medioevo come lungo periodo storico di decadenza e oscurità. Il
fine principale della nuova musica era quello di “muovere gli
affetti”.
I primi drammi per musica furono: Dafne ed Eurudice di
Jacopo Peri su testo di Rinuccini; Euridice di Caccini su testo di
Rinuccini; Rappresentazione di Anima e di Corpo di E. dé
Cavalieri su testo di padre Agostino Manni.
Il fervore di esperimenti della nuova forma drammatico-musicale
sorto a Firenze, si spense a poco a poco e la città che l’aveva
tenuto a battesimo perse, ben presto, lo scettro dell’opera lirica.
Roma e Venezia erano chiamate a succederle.
La scuola Operistica Romana
La prima città nella quale il Melodramma, nato a Firenze, trovò ospitalità e
favore fu Roma. Qui, durante la prima metà del XVII° secolo si formò una
scuola Romana. Essa prese le mosse del recitar cantando che vi era stato
importato da Firenze da G. dé Bardi e da E. dé Cavalieri, interessò i maggiori
musicisti di Roma e segnò la strada agli operisti delle generazioni successive.
L’atto di nascita della scuola Romana è costituito da La Rappresentazione di
Anima e di Corpo, un “dramma per musica” di argomento spirituale messo in
scena nel 1600. la fortuna dell’opera a Roma fu dovuta alla simpatia
dimostrata verso il nuovo genere dai cardinali Barberini. Essi fecero costruire
nel loro palazzo il primo teatro d’opera che fu inaugurato nel 1632 con l’opera
S. Alessio di Stefano Landi. Questa opera fu importante in quanto contiene
tutti gli elementi che caratterizzarono l’opera romana in seguito. Si
approfondisce la distinzione tra il recitativo1 e l’ aria2. Il recitativo perde
l’originario ruolo di preminenza e l’aria acquista sempre maggiore importanza.
Anche il coro diventa più importante ed appaiono per la prima volta alcuni
personaggi comici, appartenenti per lo più alle classi umili. Questo prelude in
un certo senso all’ Opera Buffa che si sviluppa a Napoli.
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1Il Recitativo è un canto la cui melodia e il ritmo osservano, per quanto possibile, l’accentuazione naturale delle parole e le inflessioni della frase parlata. Poteva essere semplice o secco derivato dal recitar cantando veniva accompagnato da alcuni accordi realizzati con il liuto o il clavicembalo su basso continuo, ebbe larghissimo impiego fino all’epoca di Rossini; oppure accompagnato o obbligato, introdotto per la prima volta da S. Landi nel S. Alessio, fu impiegato frequentemente da Scarlatti. L’esecuzione era sorretta dall’orchestra. Nel Melodramma dell’inizio del XVIII° secolo era usato più frequentemente del recitativo secco. All’epoca di G. Verdi si chiamò scena.
2L’
Aria, nata come pezzo cantabile e successivamente come melodia artistica o popolare, nell’opera del 1600 ( la grande Aria), è stata l’elemento fondamentale di ogni composizione lirica. Era il momento più elaborato musicalmente e più interessante dal punto di vista virtuosistico. Infatti, mentre al declamato del “recitar cantando” venivano affidati i momenti narrativi dell’azione drammatica, con l’aria i personaggi esprimevano gli “affetti”. Nell’aria , inoltre, erano contenuti elementi virtuosistici tali da far risaltare le capacità interpretative e la bravura dei cantanti.
Generalmente al sua forma era tripartita con lo schema A, B, A con il da capo al fine.
La scuola Operistica Veneziana e Claudio Monteverdi
L’ opera Veneziana nacque nel 1637, quando si inaugurò il
primo teatro pubblico a pagamento: il S. Cassiano di Venezia,
l’opera usciva dalle corti e si democratizzava. Questo fatto influì
notevolmente sui suoi caratteri: la favole pastorali furono
definitivamente abbandonate per soggetti mitologici e storici di
più intensa drammaticità; scomparso l’appoggio mecenatesco
dei principi, il gusto del pubblico che pagava fece valere i suoi
diritti: il virtuosismo canoro si affermò rapidamente e contribuì ad
allontanare l’opera dallo scrupoloso recitativo fiorentino. Per
economia si giunse a sopprimere i cori, ma non si badò a spese,
invece, per realizzare uno sfarzo inaudito di macchine sceniche.
I caratteri distintivi dell’Opera Veneziana furono:
a)un’imponente, ricco e vario apparato scenico (è in questo
periodo che nasce la scenotecnica);
b)l’amore per un virtuosismo canoro, che accrebbe l’importanza
dei cantanti;
c)l’introduzione di soggetti storici.
Nell’Opera Veneziana acquistò un peso maggiore l’ aria. I cori
che nell’opera Romana avevano avuto un ruolo importante,
appaiono con frequenza sempre minore. Il musicista sommo che
raccolse e concluse le esperienze operistiche dell’epoca,
collocandole su un piano di altissima arte, fu Claudio
Monteverdi da Cremona. Fu una delle personalità più ardite e
ricche di tensione espressiva di tutti i tempi. Vissuto nel periodo
che assistette al tramonto della polifonia sacra e profana e
all’affermarsi della monodia, contribuì in modo decisivo con la
sua opera ai nuovi orientamenti della musica del XVII° secolo.
Egli corona la sua epoca artistica in una sintesi equilibrata di
vecchio e di nuovo. Pur accogliendo lo stile recitativo dei
fiorentini, egli riscattò la musica dalla mortificante sottomissione
alle parole, cui quelli l’avevano costretta. Attraverso gli otto libri
di madrigali di Monteverdi si può seguire il graduale passaggio
dalla polifonia alla monodia.
Tra le opere teatrali ricordiamo: l’ Orfeo, l’ Arianna e l’ Incoronazione di
Poppea. L’Orfeo racchiude la miglior musica di Monteverdi; della seconda
opera, l’ Arianna, non è rimasto che un brano, ma sublime, il celebre
Lamento. Il processo di drammatizzazione monodica del madrigale culmina
nello straordinario Combattimento di Tancredi e di Clorinda. Instancabile
ricercatore d’innovazione tecnica, Monteverdi usò, qui, per la prima volta il
tremolo degli archi a rendere la vibrazione drammatica. Obbedendo al gusto
degli spettatori, Monteverdi ha affiancato agli episodi drammatici alcune
scene comiche o leggere; ha ridotto l’orchestra e soppresso i cori,
appagando invece, il gusto per il “meraviglioso” con costose macchine
teatrali e continui cambiamenti di scene.
I soggetti storici, introdotti accanto a quelli mitologici, danno maggiore
verosimiglianza al dramma. Il recitativo fiorentino è ormai lontano; le arie
sono molto meglio definite. La produzione di Monteverdi fu quasi
esclusivamente vocale. L’inclinazione a comprendere e svelare il significato
interiore delle parole è presente in tutta la produzione di Monteverdi, dalle
prime raccolte di madrigali alle ultime opere.
‰La musica strumentale tra il ’600 ed il ’700
Man mano che si procede verso la fine del ’500, la musica
strumentale è un genere ben definito. Tutti i compositori più
famosi del tardo ’500 scrivono musica vocale e musica
strumentale come generi diversi e ben distinti tra loro. Dalla
seconda metà del ’500 in poi, i due generi, pur essendo
avviati a una sempre più marcata autonomia e indipendenza,
sono largamente debitrici una all’altra: il loro sviluppo rivelerà
nel
’600-’700 una continua reciproca influenza
alimentandosi l’uno dell’altro, questo dovuto anche al fatto
che la grande maggioranza dei compositori dell’epoca sono
al tempo stesso sia musicisti vocali che strumentali. Tuttavia
è innegabile che il ’700 è anche il secolo in cui le ricerche dei
musicisti hanno mirato alla conquista di un linguaggio
strumentale pienamente autonomo.
L’evoluzione della musica strumentale è contrassegnata da vari
fenomeni: lo sviluppo degli strumenti a corda, a Cremona grandi
liutai come Antonio Stradivari e Bartolomeo Guarneri (detto
«del Gesù»), costruiscono meravigliosi violini, facendo, così
crescere l’interesse per questo strumento e quindi il sorgere
delle scuole violinistiche e la nascita del virtuosismo e, ancora,
l’invenzione del pianoforte da parte di Bartolomeo Cristofori.
In Italia fu particolarmente importante, ciò è testimoniato, nella
prima metà del ’700, dal sorgere di importanti scuole
strumentali, in particolare quella violinistica e quella
clavicembalistica oltre ad un pullulare di musicisti, alcuni eccelsi
come Antonio Vivaldi, Domenico Scarlatti, Alessandro e
Benedetto Marcello, Tommaso Albinoni, altri minori ma
sempre di buon livello, che hanno lasciato ai posteri
un’imponente produzione musicale. Grazie a questi artisti, la
musica acquista sempre più la capacità di dire, comunicare
immagini, di descrivere, di esprimere.
Lo stile concertante, nato con lo sviluppo degli strumenti (del
violino in particolare) e con la conseguente ricerca di sempre
nuovi effetti di contrasto e di alternanza , porta alla Sonata a tre
e al Concerto grosso, forme queste giunte con Arcangelo
Corelli ad un tale grado di perfezione da servire come modello
in Italia e all’estero per circa mezzo secolo. Con Vivaldi il
concerto del primo ’700 va acquistando i caratteri che
diventeranno poi definitivi in quanto, dall’insieme strumentale,
va emergendo uno strumento solista, uno strumento che viene
messo in evidenza. Inoltre si afferma la divisione in tre tempi
(chiamati anche movimenti, in quanto indicano l’andamento del
brano: Allegro-Adagio-Allegro).
Però, con il tracollo di Venezia e con il decadimento degli stati
italiani, la situazione cambia. Il contenimento della spesa
pubblica, fa sì che cantanti, compositori, violinisti e librettisti
italiani cerchino all’estero favore e fortuna. Comincia così un’
“esportazione” di forme e tecniche musicali che, trapiantate
all’estero, assumono aspetti nuovi e danno luogo a sviluppi che
toglieranno all’Italia la supremazia in campo musicale. In
Francia, la musica strumentale d’assieme finisce con
l’assumere alla corte di Luigi XIV, un aspetto galante e frivolo.
Priva di significati profondi, la musica accompagna tutti i
momenti della giornata regale. Si fa tanta musica, ma tutta
all’insegna della danza: Sarabanda, Allemanda, Giga, Bourrée,
Gavotta, Minuetto….le danze si susseguono, una dopo l’altra,
dando vita ad una nuova forma musicale, la Suite che le
comprende tutte.
Ma è in Germania e in Austria che le forme musicali nate col
Barocco italiano finiscono con l’avere uno sviluppo totalmente
autonomo e dal quale l’Italia viene lentamente esclusa. Ciò è
dovuto soprattutto alla forte personalità di musicisti come
Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Häendel (nati nel
1685), che si possono definire le glorie del barocco più maturo.
Troviamo, poi, nel pieno ’700, due grandi austriaci: Franz
Joseph Haydn, che sintetizza tutti i progressi fatti dai
compositori del secolo precedente, realizzando un perfetto
equilibrio nella costruzione delle forme musicali più importanti
(sinfonie, sonate, quartetti), e Wolfgang Amadeus Mozart, il
genio in assoluto, irripetibile miracolo del mondo dell’arte. Sarà
ancora tedesco l’uomo che costruirà, con la sua arte, un ponte
ideale tra ’700 e ’800: Ludving van Beethoven considerato
l’ultimo dei classici ed il primo dei romantici.
‰ J.S. BACH e G.F. HÄENDEL
ƒ Johann Sebastian BACH,
Si presenta a noi con l’autorità imponente di coloro che
concludono un’epoca e tutti i caratteri ne assommano in sé.
All’infuori del teatro egli praticò tutti i generi musicali in uso
nel suo tempo. Nella musica di Bach, confluiscono
armoniosamente le due scuole della Germania: nord e sud.
Inoltre, egli, fu sensibile alle voci musicali che pervennero da
altri paesi, soprattutto dall’Italia si nutrì delle esperienze
vocali e strumentali di musicisti come Corelli, Albinoni e
Vivaldi e del quale Bach si trascrisse numerosi concerti.
Dall’Italia Bach ereditò pure la forma dell’ aria col da capo.
Dopo un secolo, Bach realizza una musica che non ha
rinunciato al principio dell’imitazione, ma si è subordinata
definitivamente alle leggi dell’armonia, adottando la
modulazione attraverso le 24 tonalità dei due modi:
maggiore e minore.
La forma tipicamente bachiana, nella quale appare
simboleggiato
l’equilibrio
definitivo
tra
il
principio
contrappuntistico dell’imitazione ed il meccanismo armonico
della modulazione, è la Fuga, che Bach eternò nei 48 Preludi e
Fughe del “Clavicembalo ben Temperato” legato appunto al
temperamento1 della scala (cioè l’eliminazione convenzionale
della diversità di altezza che realmente intercorre, per esempio,
tra un Do diesis e un Re bemolle). Il Bach delle fughe, che è,
per molti, il vero Bach, presenta certi caratteri di geometrica
precisione, di gioia architettonica fine e sé stessa, che
sembrano escludere ogni possibilità di romantica espressione.
In realtà, anche nelle fughe Bach immette, inconsapevolmente,
la ricchezza della sua anima profondamente religiosa.
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1Il Sistema Temperato non è
altro che la suddivisione dell’ottava in 12 semitoni uguali, rendendo identici il semitono cromatico con il semitono diatonico. Questo sistema ci consente di evitare le complicazioni derivate dalla suddivisione del tono in 9 comma che stabiliva la diversità fra sem. crom. e sem. diat. Il Sistema Temperato definito equabile, quindi ci da l’ottava divisa in 12 semitoni uguali dandoci la possibilità di chiamare, per esempio, lo stesso suono SIb o LA#.
La vita di Bach fu quella di un onesto e laborioso organista.
Ebbe due mogli e una ventina di figli dei quali solo dieci
sopravvissuti, tutti musicisti e, almeno tre, tali da occupare un
posto nella storia. Egli ebbe la tranquillità dei grandi solitari, la
calma e la forza dei grandi creatori. Contraddetto nella sua arte
dall’indirizzo musicale dell’epoca, che andava verso lo stile
galante2 , con abolizione di ogni residuo contrappuntistico e
trionfo della monodia accompagnata, secondo il modello del
melodramma, si trasse sdegnosamente in disparte,
accentuando negli ultimi lavori il culto di quel passato polifonico,
dai fiamminghi al Rinascimento, di cui si sentiva l’erede
predestinato. Bach è dimenticato per oltre mezzo secolo: la sua
fortuna ha inizio coi Romantici, e oggi, nessun musicista del
passato è così presente ad indicare il difficile cammino della
musica contemporanea.
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2
Stile che, dal terzo decennio del ‘700, sostituì nel gusto musicale europeo l’ideale di scrittura dell’epoca barocca, accostabile , per certi aspetti, allo stile rococò delle arti figurative. Lo stile galante cominciò ad affermarsi verso il 1730, specialmente in Italia e in Francia. In esso prevale la melodia accompagnata, delicata nelle inflessioni, levigata nelle linee ma di corto respiro assieme a procedimenti armonici semplici, andamenti simmetrici, brevi frasi ripetute, imitazioni frequenti ed ariose. Espresso dapprima nella produzione clavicembalistica, lo spirito progressistico dello stile galante pervase poi ogni forma musicale dell’epoca, teatro compreso. Trovò generale accettazione in Europa verso il 1750, persino in Bach ed Häendel.
La sua produzione è vastissima e vede una produzione sia
vocale che strumentale. Le composizioni vocali furono
essenzialmente sacre si ricordano: «La Passione secondo S.
Giovanni», «La Passione secondo S. Matteo» ancora i «5
Mottetti Polifonici», la grande «Messa in SI minore»,
l’ «Oratorio di Natale» il «Magnificat».
Le composizioni strumentali di Bach nacquero tutte con precisa
destinazione occasionale. I sei «Concerti Brandeburghesi»
(1721) sono fra le sue opere che più rivelano l’ammirazione del
grande compositore per il nostro Vivaldi. Di questo periodo sono
anche le sei «Sonate e partite» per violino solo, fra cui quella
in RE min. contiene la celebre Ciaccona e la prima parte del
“Clavicembalo ben Temperato”.
Questo può annoverarsi fra le pochissime opere di didattica
musicale che abbiano pure un’indiscussa efficacia formativa
sull’educazione estetica e morale dell’allievo. Si annoverano
tra le opere strumentali le “Invenzioni a due e tre voci”, le
“Suites Inglesi e Francesi”. Una vetta altissima di tale
produzione è la famosa “Fantasia cromatica a fuga”.
L’accanimento nel proposito di estrarre da un tema tutte le
combinazioni contrappuntistiche, culmina nella “Arte della
Fuga”.
ƒ Georg Friedrich HÄENDEL
Contemporaneo di Bach, riassume come esso, ma con diverso
orientamento spirituale, tutta la musica del suo tempo, cioè
l’età barocca. Questo compositore ebbe una natura musicale
ed aspirazioni artistiche del tutto differenti da quelle di Bach.
Fu anzitutto uno spirito cosmopolita anche nel senso che
riassunse e seppe amalgamare tutte le esperienze vocali e
strumentali con le quali era venuto a contatto, in Germania,
in Italia ed in Inghilterra.
Nel 1706 venne in Italia, conobbe Corelli, Marcello e strinse
amicizia con Domenico Scarlatti: l’opera italiana, da lui prima
disprezzata, lo conquistò. Häendel compose oltre 40 opere
teatrali tra le quali ricordiamo: “Agrippina”, “Serse”,
“Siroe”, “Rinaldo”, “Giulio Cesare”.
Le opere di Häendel appartengono al genere dell’opera seria
di stile italiano e ne applicano gli stili caratteristici: alternanza
di recitativi secchi e di arie col da-capo. Häendel deve
soprattutto la sua gloria agli oratori, genere al quale egli si
dedicò durante il periodo londinese negli anni della maturità. Al
centro della sua produzione si colloca l’opera seria italiana,
che costituiva un punto di riferimento costante della sua
carriera di compositore.
Il parallelo con Bach è inevitabile, viene comunemente
sintetizzato nella formula: Bach guarda dentro di sé ed Häendel
intorno a sé. Si potrebbe sintetizzare che Häendel possiede in
superfice, varietà e vastità quanto gli manca di profondità
rispetto a Bach. La melodia di Häendel è più diretta, quella di
Bach più riflessiva: una più interessata all’immediata
presentazione del suo tema, l’altra alla meditazione del suo
contenuto. Ancora, Häendel pensa armonicamente, Bach
pensa contrappuntisticamente. Bach riassume nella sua opera
tutta la musica che l’aveva preceduto ed incarnò in sé il
principio del contrappunto che stava allora cedendo il passo al
principio dell’armonia: i contemporanei lo giudicarono un
dottissimo e oscuro pedante; i posteri oggi non si stancano di
ritrovare in lui miracolosi germi dell’avvenire musicale.
Häendel, invece, fu esattamente figlio del suo tempo, eroe
dell’età barocca, conobbe il successo immediato e fu artista
alla moda. Conobbe la musica europea del suo tempo,
viaggiò, allargò i limiti delle sue esperienze artistiche quanto
allora possibile: tutto in contrasto con la chiusa, concentrata e
modesta vita di Bach. Naturalmente Häendel sconta, con la
minore attualità presente, la perfetta attualità che egli ebbe nel
suo tempo.
‰ IL CLASSICISMO:
F.J. HAYDN, W.A. MOZART, L. VAN BEETHOVEN.
Nella storia della musica il Classicismo è il periodo che
succede al Barocco e precede l’avvento del Romanticismo.
Il Classicismo dominò la musica europea tra il 1770 e il
1830 ed ebbe il suo centro in Vienna, città nella quale
vissero ed operarono i suoi rappresentanti più illustri: F.J.
Haydn, W.A. Mozart e L. van Beethoven, chiamati
appunto i “classici viennesi”.
Il periodo Classico non ha creato generi e forme musicali
nuove, in quanto, le forme e i generi musicali impiegati dai
compositori per l’attuazione dei loro intenti creativi sono
pressoché tutti esistenti fin dal grande avvicendamento
stilistico del Seicento. Il Classicismo li assume nello stadio
da essi raggiunto e li sviluppa verso una qualità classica in
senso normativo.
I precursori del Classicismo operavano tuttavia su incarico e la
loro musica si suddivideva ancora secondo la differente
destinazione in stile da chiesa, da camera e da teatro. Il
compositore classico tendeva, al contrario, ad una totale libertà
di vita e di attività, con autonoma responsabilità professionale.
Dal punto di vista armonico, si acquista una maggiore ricchezza
armonica riguardo ai singoli gradi della scala ed al tempo stesso
estende il circolo tonale. Si assiste ad una sontuosa cromaticità,
una crescente predilezione per i suoni alterati e le configurazioni
accordali di molti suoni (così l’accordo di 9a ), una modulazione
altamente raffinata sfruttando particolarmente le relazioni di 3a,
contrasti tonali violenti, tutto ciò caratterizza la tavolozza tonale
al servizio di un’espressività potenziata.
Il Classicismo musicale si realizzò soprattutto nella musica
strumentale, che conobbe in questo periodo una crescita
produttiva; ma toccò anche al teatro musicale, particolarmente
quello di Gluck.
ƒ FRANZ JOSEPH HAYDN
Nacque a Rohrau nel 1732, clavicembalista, violinista e
compositore, lavorò soprattutto al servizio del
principe Esterhazy come direttore d’orchestra. Fu
apprezzato ed ammirato in tutta Europa, ebbe
contatti con i maggiori musicisti dell’epoca (fu anche
uno dei maestri di Beethoven). La sua produzione si
divide in cinque gruppi: composizioni vocali, sonate
per pianoforte, quartetti, musica strumentale varia,
sinfonie.
I capolavori appartengono però all’ultimo periodo e
cioè: il gruppo delle sinfonie francesi, composte
intorno al 1786: La Gallina, La Caccia, L’Orso, La
Regina, Oxford;
Il gruppo londinese dal 1791 al 1795 circa, fra cui le più note
sono quelle della Campana, la Militare, del Rullo dei Timpani,
e quelle in DO min., in SIb e l’ultima in RE magg. Haydn fu
chiamato il padre della Sinfonia in quanto portò a perfezione
questa forma (nata in Italia) e ne scrisse un numero notevole.
Oggi sono riconosciute come autentiche 108 Sinfonie di Haydn.
Le prime sono in tre o quattro tempi, dalla 31a in poi sempre in
quattro tempi. La struttura tipica delle sinfonie di Haydn è: 1°
tempo Allegro (spesso preceduto da un Largo), 2° tempo
Andante, 3° tempo Minuetto con Trio1, 4° tempo Allegro in
forma di Rondò.
Haydn morì a Vienna nel 1809.
____________________________________________________________________________
1
Minuetto con Trio, in alcune delle danze stilizzate che compongono le suites del tardo Barocco, come minuetto, gavotta e bourrée, il termine trio indica l'episodio centrale B, situato fra la prima parte A e la sua ripresa A', secondo lo schema ABA'. Tale episodio utilizza in genere una semplice scrittura a tre parti che contrasta con le sezioni laterali per leggerezza e minor volume sonoro. Questo uso del termine permane anche in età classica, dove continua a indicare lo stesso elemento formale, ma non più il numero delle parti polifoniche, che ora risulta variabile.
ƒ WOLFGANG AMADEUS MOZART
Nato a Salisburgo, il 27 gennaio 1756, è stato un compositore e
pianista a cui è universalmente riconosciuta la creazione di
opere musicali di straordinario valore artistico. Mozart è
annoverato tra i più grandi geni della storia della musica,.
Dotato di raro talento, manifestatosi precocemente, morì a
trentacinque anni di età lasciando pagine indimenticabili di
musica classica di ogni genere: musica sinfonica, sacra, da
camera e operistica. La musica di Mozart è considerata la
"musica classica" per eccellenza; infatti egli è il principale
esponente del "Classicismo" settecentesco, i cui canoni
principali erano l'armonia, l'eleganza, la calma imperturbabile
e l'olimpica serenità. E Mozart raggiunge nella sua musica
divina vertici di perfezione adamantina, celestiale e
ineguagliabile, tanto che il filosofo Nietzsche lo considererà il
simbolo dello "Spirito Apollineo della Musica", in
contrapposizione a Wagner, che Nietzsche definirà
l'emblema dello "Spirito Dionisiaco della Musica".
Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo
sviluppo dello stile classico, ma senza dubbio contribuisce in
modo fondamentale a definirne le caratteristiche, in modo tale
da poter essere considerato esso stesso l'archetipo. Mozart fu
uno straordinario compositore che si dedicò con apparente
semplicità a tutti i principali generi dell'epoca: scrisse un gran
numero di sinfonie, opere, concerti per strumento solista, musica
da camera (fra cui quartetti d'archi e quintetti d'archi) e sonate
per pianoforte. Benché per nessuno di questi generi si possa
affermare che egli fu il "primo autore", per quanto riguarda il
concerto per pianoforte si deve riconoscere che esso deve a
Mozart, autore ed interprete delle proprie composizioni, il
grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe
caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso
Beethoven nutriva grande ammirazione per i concerti per
pianoforte mozartiani, che furono il modello dei suoi concerti, in
modo particolare i primi tre.
Mozart rinnova il genere musicale del concerto: il discorso
musicale si svolge come dialogo paritario fra due soggetti di
uguale importanza, il solista e l'orchestra.
Mozart scrisse concerti per pianoforte, violino, flauto, oboe,
corno, clarinetto, fagotto. Scrisse anche un gran numero di
composizioni sacre, fra cui messe, e composizioni più "leggere",
risalenti per lo più al periodo salisburghese, come le marce, le
danze, i divertimenti, le serenate.
I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati
senza difficoltà nella musica di Mozart: chiarezza, equilibrio e
trasparenza sono elementi distintivi di ogni sua composizione.
Tuttavia l'insistenza che a volte viene data agli elementi di
delicatezza e di grazia della sua musica non riesce a
nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi capolavori,
quali il concerto per pianoforte n. 24 in do minore K. 491, la
Sinfonia n. 40 in sol minore K. 550, e l'opera Don Giovanni.
Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere, egli passava
con grande facilità e naturalezza dalla scrittura strumentale a
quella vocale. Le sue opere appartengono ai tre generi
principali in voga alla fine del Settecento: l'opera buffa (Le
nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte), l'opera seria
(Idomeneo e La clemenza di Tito) e Singspiel (Il ratto dal
serraglio e Il flauto magico). In tutte le sue grandi opere Mozart
piega la scrittura strumentale per sottolineare lo stato
psicologico dei personaggi ed i cambiamenti di situazione
drammatica. La scrittura operistica e quella strumentale si
influenzano a vicenda: l'orchestrazione via via più sofisticata
che Mozart adotta per le composizioni strumentali (sinfonie e
concerti in primo luogo) viene adottata anche per le opere,
mentre l'uso particolare che egli fa del colore strumentale per
evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle ultime
composizioni non operistiche
Mozart morì in povertà a Vienna il 5 dicembre 1791, per cause
rimaste sconosciute (che hanno dato adito a leggende, come
quella dell'avvelenamento da parte di un invidioso Antonio
Salieri). Venne seppellito in una fossa comune. Lasciò
incompiuto il Requiem (che la tradizione vuole commissionato
da uno sconosciuto), il cui completamento fu affidato dalla
moglie del compositore in un primo tempo al musicista Joseph
von Eybler, il quale, tuttavia, ben presto si fece indietro. Fu
allora chiamato il giovane compositore Franz Xaver Süssmayr,
allievo e amico di Mozart che terminò il lavoro, completando le
parti non finite e scrivendo ex novo quelle inesistenti.
Mozart produsse più di 600 opere in un arco di tempo che va
dall'infanzia alla maturità, dando prova di una stupefacente
coerenza stilistica e di linguaggio.
Le sue doti musicali eccezionalmente feconde gli permettevano
di comporre di getto, come dimostrano i suoi manoscritti, e di
trascrivere sulla carta le proprie e le altrui improvvisazioni.
Sempre attento al lavoro dei suoi contemporanei, Mozart seppe
armonizzare in uno stile particolarissimo e inconfondibile le
tendenze dell'epoca.
In tutti i generi musicali che egli praticò, impiegò il linguaggio del
classicismo in modo personale, evitandone gli aspetti deteriori
come l'eccessiva regolarità e prevedibilità. L'apparente facilità
della sua musica è ingannevole: gli esecutori tendono infatti a
considerare le composizioni mozartiane tra le più difficili da
interpretare in modo adeguato.
ƒ LUDWIG VAN BEETHOVEN, (Bonn 1770 - Vienna 1827)
Compositore e pianista tedesco, per la sua potenza
creativa,
l'indipendenza
e
l'estrema
libertà
compositiva, Beethoven è considerato uno dei grandi
geni della storia della musica occidentale.
Figura cruciale nella transizione tra il classicismo e la
musica romantica, fu l'ultimo rappresentante di rilievo
del classicismo viennese.
Benché abbia avuto una vita segnata dalla sordità, egli
ha lasciato una produzione musicale fondamentale
nella storia della musica per la sua forza espressiva,
capace di evocare una gran mutevolezza di
emozioni.
Beethoven influenzò così fortemente il linguaggio
musicale del successivo romanticismo, che nel XIX
secolo e fino agli inizi del XX secolo fu un modello
Crebbe in tal modo il mito del Beethoven artista eroico, capace
di trasmettere attraverso la sua opera ogni sua emozione,
esperienza personale o sentimento.
La sua adesione alle regole dell'armonia nelle modulazioni e il
rigetto dei cromatismi nelle melodie lo collocano a metà strada
fra Classicismo e Romanticismo.
Nel vasto catalogo di composizioni beethoveniane, i ruoli di
maggior rilievo e importanza sono occupati dalla sua
produzione cameristica, dalle opere per pianoforte e dalla sua
produzione sinfonica; quest'ultima è forse ancora oggi il simbolo
principale della sua universale popolarità.
Recatosi a studiare a Vienna, nel 1792, divenne allievo di F. J.
Haydn. Nella capitale dell'impero asburgico Beethoven seppe
conquistarsi il favore dell'aristocrazia con esibizioni private che
gli permisero di far apprezzare le sue virtuosistiche
improvvisazioni al pianoforte e nel contempo pervenne ad
allacciare buoni rapporti con le case editrici.
Grazie a tali relazioni e all'ampliamento del mercato delle
edizioni musicali, egli riuscì là dove molti altri musicisti prima di
lui, tra cui Wolfgang Amadeus Mozart, avevano fallito:
trasformare la musica in un'attività indipendente e redditizia.
Beethoven è universalmente riconosciuto come uno dei più
influenti musicisti e compositori della musica classica
occidentale: occasionalmente riferito come uno delle "tre B"
(insieme a Bach e Brahms) che hanno consolidato questa
tradizione. È anche una figura cardine nel passaggio tra il
classicismo del XVIII secolo e il romanticismo del XIX secolo, la
sua influenza sulle generazioni successive di compositori sarà
profonda.
Pur rimanendo aderente alle forme e ai modelli del classicismo,
per via della sua variegata complessità stilistica, Haydn
trovandosi a discorrere della sua personalità di compositore,
ebbe a dirgli:
«Voi mi avete dato l’impressione di essere un uomo con molte
teste, molti cuori, molte anime»
La vastissima produzione musicale di Beethoven viene
tradizionalmente considerata una sorta di ponte tra classicismo
e romanticismo; nel corso dei secoli, la critica musicale ha
spesso suddiviso, forse un po' troppo semplicisticamente, il
percorso musicale del compositore in tre periodi: la formazione
1770-1802 dove subì l’influenza di Haydn e Mozart, gli anni del
classicismo 1803-1814 cominciato subito dopo la crisi personale
del compositore centrata intorno allo sviluppo della progressiva
sordità. Infine il cosiddetto tardo Beethoven 1815-1827
caratterizzato da lavori che mostrano profondità intellettuale,
un'alta e intensa personalità espressiva e innovazioni formali.
Più recentemente, si è preferito considerare l'autore come
l'ultimo grande rappresentante del classicismo viennese: la sua
musica, in cui viene dato particolare risalto all'espressione dei
sentimenti, rimane infatti nell'ambito di un profondo riesame
della tradizione di Haydn e Mozart.
Le opere del cosiddetto "ciclo eroico" (1802-1812) ampliano e
modificano le forme rigorose di Haydn e Mozart. Ciò è
particolarmente evidente in capolavori grandiosi e inconcepibili
prima di allora, come la sinfonia Eroica e il Quinto concerto per
pianoforte “Imperatore” (1809) o in opere di struttura formale più
controllata, come la Quinta sinfonia (1808) e la Sonata per
pianoforte op. 57, nota anche col titolo di Appassionata (1805).
L'incisività dei temi, i contrasti drammatici e le novità armoniche
conferiscono a queste opere un'espressività in un certo senso
sconosciuta agli illustri predecessori di Beethoven.
Nel 1812, il completamento dell'Ottava sinfonia e la disillusione
nei confronti dell‘ "amata immortale" (identificata in Josephine
von Brunswick, moglie di un mercante di Francoforte con cui il
compositore ebbe una relazione problematica e frustrante)
lasciarono Beethoven in uno stato di travaglio e di incertezza
creativa. La fecondità del decennio precedente si attenuò.
Nel 1818 Beethoven iniziò una nuova fase creativa che
viene solitamente designata come "terzo periodo".
La svolta è segnata dalla Sonata per pianoforte in Sib
magg. op. 106 “Hammerklavier”, di ampiezza e
difficoltà tecniche senza precedenti. Le opere
dell'ultimo periodo beethoveniano non sono più
raggruppabili in cicli, in quanto ognuna di loro si
presenta con una propria fortissima individualità.
Quello che non venne mai meno nelle composizioni di
Beethoven fu l'anelito agli ideali umanitari e il richiamo
alla libertà e alla fratellanza; ciò rimane vero sia per
temi universali, come nella Nona sinfonia e nella Missa
solennis, sia per motivi più individuali e legati alle
relazioni familiari, come nel Fidelio (1814).
La dimensione intima emerge talvolta nell'ultima
produzione, rappresentata soprattutto da sonate per
pianoforte e dai cinque quartetti per archi del 18241826, gli ultimi due dei quali scritti senza committenza.
In queste opere Beethoven raggiunse una
straordinaria
concentrazione
espressiva,
accompagnata da radicali novità nel linguaggio che ne
hanno fatto un punto di riferimento per i compositori
nei due secoli successivi.
Con il passare degli anni, l'abitudine di Beethoven di
stendere schizzi preliminari delle sue opere acquistò
crescente importanza: realizzate su piccoli blocchi o
su fogli singoli, le 7000 pagine giunte sino a noi
gettano luce sull'immenso lavoro intellettuale che
accompagnò le creazioni del maestro.
L'importanza della figura di Beethoven riguarda anche
la trasformazione del ruolo del compositore. Da
artigiano al servizio della Chiesa o dell'aristocrazia, il
compositore diviene con lui un artista che crea per
necessità interiore, finanziariamente indipendente
grazie ai proventi ottenuti dalla pubblicazione ed
esecuzione delle sue opere.
L'influenza di Beethoven sui compositori successivi fu
enorme: ammirato da Franz Schubert e dai romantici
come l'iniziatore di un'età nuova, è considerato dai
compositori del Novecento come figura cardine
dell'evoluzione musicale di ogni tempo, nonché una
delle tappe storiche più importanti verso il linguaggio e
le tecniche della musica contemporanea.
‰ IL ROMANTICISMO
Il Romanticismo fu un vasto movimento del pensiero
dell’arte, sviluppatosi in Germania alla fine del ‘700 e
che si propagò in Europa all’inizio del secolo
successivo. La musica per i romantici era la condizione
ideale perfetta dell’arte, il punto a cui tendono tutte le
arti, in cui esse trovano la loro unità. Una riflessione da
parte di alcuni filosofi del tempo denotava: “Di tutte le
arti belle, la musica è quella che agisce più
immediatamente sull’animo. Essa muta radicalmente la
nostra disposizione interiore, la sua indeterminatezza si
presta a tutti i movimenti dell’anima”. Ciò, chiaramente,
più che una teoria filosofica si potrebbe chiamare uno
stato d’animo verso la musica.
In musica il Romanticismo consiste nell’annullamento degli
schemi formali classici, dell’ordine e del raziocinio che
aveva portato, durante il Classicismo, alla costruzione di
forme regolate da norme fisse; valga per tutte l’esempio
della forma-sonata dove la composizione segue uno
schema ben preciso articolato in tre o più movimenti (es.
Allegro-Andante-Allegro vivace). Nell’800, viceversa,
l’affermazione della libertà dell’individuo rompe gli argini e
l’artista, liberamente, crea nuove forme, oltre che nuovi
contenuti. L’opera del Romanticismo, agì, infatti, prima sul
contenuto e poi sulla forma, fondamentalmente come
bisogno crescente di libertà e intensificazione dei mezzi
espressivi.
Le nuove forme musicali nate da questo movimento
furono: Notturni, Ballate, Improvvisi, Romanze, Poemi
sinfonici, ed erano forme indefinite, senza regole, forme
mai determinate prima ma costruite, volta per volta,
intorno al contenuto. Non esisteranno più forme vuote, in
attesa di essere riempite. Esisterà il contenuto, sempre
più tormentato, perché sempre più espressione dell’uomo
e dei suoi contrasti. E, per esprimere questo contenuto,
l’artista inventerà le forme più adatte e gliele cucirà
addosso.
Nella musica vocale si sentì la necessità di una più stretta
unità tra parola e suono; fu così ripudiata la concezione
belcantistica e ciò è evidente nei Lieder e nell’opera di
Richard Wagner (in cui la parola s’intesse nel tessuto
orchestrale).
Nel campo strumentale, il Romanticismo porta ad un
concetto dell’orchestra sempre più timbrico, coloristico.
Infatti, il perfezionamento del gusto timbrico e di
conseguenza
di
quello
strumentale
portano
l’esecuzione musicale ad essere espressione netta
delle vicende umane. In poche parole, l’orchestra è
vista, sempre più, come una tavolozza di colori
attraverso i quali attingere per esprimere al meglio
stati d’animo e situazioni ambientali. Concetto questo
che porterà alla nascita di una nuova forma musicale:
il Poema sinfonico. Questa forma è una
composizione orchestrale che si ispira alla natura, a
miti e leggende, a opere letterarie o pittoriche.
In precedenza Vivaldi aveva lavorato su una forma simile
definita “musica descrittiva”: le “Quattro stagioni” ne sono la
testimonianza. Però a differenza delle “Quattro stagioni” le
quali avevano vita all’interno della forma-concerto, il “Poema
sinfonico” dell’800, non aveva alcuna forma stabilita e la sua
struttura era assolutamente libera. Naturalmente tutte e due le
forme fanno parte della musica a programma.
Un elemento di fondamentale importanza della musica
romantica fu il suono nella sua essenza fonica, tanto che, in
seguito, si arrivò al rumore allo stato puro. Da ciò derivano
l’arricchimento del linguaggio armonico (nuovi accordi
dissonanti, modulazioni improvvise ecc.) e lo sviluppo della
tecnica strumentale con la creazione di nuovi timbri. Tutto
questo porta ad un lento ma costante processo di modifiche
armonico-tonali che decreteranno, nel ‘900, la crisi
dell’armonia tradizionale.
In campo strumentale, sempre nell’ ’800 si ha un
grande sviluppo della tecnica pianistica e di quella
violinistica. Pianoforte e violino divengono infatti le
due voci più importanti attraverso le quali il
romanticismo musicale si esprime e queste voci si
impersoneranno
soprattutto
in
due
grandi
compositori: Fryderyk Chopin e Niccolò Paganini.
Con essi verrà raggiunta una perfetta simbiosi tra
musicista e strumento. Ma tanti altri grandissimi
musicisti ci ha dato l’ ’800; a parte i compositori di
opere si ricordano: Franz Liszt, Franz Schubert,
Robert Schumann, Felix Mendelssohn, Johannes
Brahms, Carl Maria von Weber.
L’ideale della musica e del musicista romantico
trovano in Beethoven il modello più perfetto e la sua
arte è stata considerata per molti decenni come il
punto culminante della storia della musica. Beethoven,
vissuto nell’epoca di passaggio tra l’ Illuminismo ed il
Romanticismo, ha raccolto con la sua pronta
sensibilità e con la sua vasta cultura gli echi del
profondo travaglio della sua età. Egli si ispirò
filosoficamente a Kant e Schelling; dal primo accolse il
rigorismo morale: “la legge morale in noi ed il cielo
stellato sopra di noi”. Da Schelling trasse il concetto
dell’arte come rivelazione dell’Assoluto, come
incarnazione dell’infinito. Alla musica Beethoven
riconosce la più alta funzione unificatrice, il valore di
messaggio eterno.
‰ LE GIOVANI SCUOLE NAZIONALI
Il sentimento nazionale risvegliatosi in tutti gli stati
europei dopo il Congresso di Vienna, nato dal
desiderio di libertà proprio dell’ideologia romantica, se
dal punto di vista politico portò in alcuni paesi alle
guerre di indipendenza, dal punto di vista artisticoletterario portò ogni nazione ad affermare le proprie
tradizioni culturali liberandosi dalle influenze straniere.
(Nel campo musicale fino a quel momento era stata
preponderante l’influenza italiana prima e tedesca
poi).
Fu nella seconda metà dell’ ‘800 che nacquero così in
ogni nazione scuole musicali dove si attingeva al
patrimonio popolare ed al folklore nazionale perché la
musica acquistasse una sua vita propria ed
indipendente dalle influenze esterne.
Tutto questo si verificò soprattutto in quei paesi che fino
all’avvento del Romanticismo erano rimasti lontani dal
grande movimento della cultura musicale, ma che
appunto, per tale isolamento serbarono un capitale di
musica popolare propria, con caratteri melodici, ritmici ed
armonici propri.
Dopo un Brahms e un Reger pareva non si potesse più
approfondire un linguaggio musicale così perfezionato e
ricco, unica via d’uscita pareva quella di rinsanguare la
lingua dotta con nuove locuzioni tratte dai dialetti
musicali, scale diverse, per lo più di cinque toni di
derivazione bizantina in uso nell’oriente russo, saporiti
incontri armonici provocati da strumenti locali, vivacità e
freschezza di ritmi, profumo di melodie paesane, rapidi
contrasti espressivi.
Da questo punto di vista la Russia fu il massimo esponente
per quanto riguarda l’espressione delle scuole nazionali. In
questo paese l’opera italiana aveva spadroneggiato
durante il ‘700, quella francese, invece, nel secolo
successivo; mentre per quanto riguarda la forma
strumentale classica la scuola tedesca aveva lasciato
trapelare qualcosa del grande romanticismo musicale.
Michail Glinka, con una solida formazione italiana, con le
sue due opere “La vita per lo Zar” e “Ruslan e Ljudmila”
aprì le due vie maestre del teatro nazionale russo: il
realismo nazionalistico e tradizionale di Modest Petrovic
Mussorgski, e il colorito orientale e fiabesco di Nikolay
Rimskij Korsakov. Questi due compositori facevano parte
di un gruppo di giovani musicisti detto il Gruppo dei
Cinque, del quale facevano parte anche Cesar Cui, Milij
Alekseevic Balakirev, Alexander Borodin.
Il gruppo, smanioso di verità, di libera originalità nazionale
e teso all’esplorazione del canto popolare, fu instradato
da Aleksandr Sergeevic Dargomyzskij.
Questo canto popolare russo era un patrimonio
inestimabile, nel quale trovavano sfogo le pene di
quell’immensa
nazione
contadina,
spietatamente
oppressa al più basso grado di livello culturale,
superstiziosa e religiosa, devota a Dio e allo zar. La
liturgia ortodossa vi ha conservato il senso delle antiche
modalità bizantine e la sua armonia suona strana,
naturalmente originale, ad orecchie moderne ed
occidentali. Altri grandi esponenti della musica russa
furono il celebre pianista ed operista Anton Rubinstein;
Pëtr Il’ic Ciajkovskij, il quale è considerato il più
occidentalizzato di tutti, in quanto fu il più sensibile alla
cultura musicale dell’Occidente.
Insieme a Dvorak forma la coppia dei principali epigoni
del sinfonismo ottocentesco.
Ma i veri capolavori della sua produzione musicale
vanno ricercati nei tre balletti: “Il lago dei cigni”, “La bella
addormentata”, “Lo schiaccianoci”, legati alla rinascita del
balletto classico per le coreografie di Marius Petipa.
Tra le altre scuole nazionali ricordiamo quella della
Cecoslovacchia, di cui il maggiore esponente fu
Bedrich Smetana. Il suo commovente amore per la
terra, della patria individuata nei suoi aspetti fisici: fiumi,
montagne, pianure, laghi ecc., si manifesta nel ciclo di sei
poemi sinfonici intitolato “Ma Vlast” dei quali è
particolarmente apprezzato il secondo: “Vltava”, che
poeticamente descrive il corso ora selvaggio e bizzarro,
ora solenne, del fiume boemo, la Moldava.
Altro grande esponente fu Antonin Dvorak, formato
sul romanticismo elegiaco e diffuso di Brahms e di
Ciajkovskij. Il profumo della terra slava non manca
neppure nelle sue maggiori architetture sinfoniche, tra
cui quella 5^ Sinfonia op. 95 del 1894, intitolata “Dal
nuovo Mondo” perché composta in America e si
avvale anche di elementi sincopati del canto afroamericano, curiosamente assimilati però, ai frammenti
di folklore musicale boemo riconoscibile in ogni altra
opera di Dvorak.
In Ungheria i due maggiori esponenti della tradizione
nazionale magiara, la quale per la sua originalità
spiccatissima si è imposta all’ammirazione di tutto il mondo
musicale d’oggi, furono Bela Bartok, e Zoltan Kodaly.
Entrambi, raccolti i canti dei contadini magiari e quelli dei
popoli confinanti (rumeni e cecoslovacchi), ne fecero
motivo di studio e soprattutto d’assimilazione, rendendosi
capaci di darci una musica di un sapore tutto nuovo, di una
fisionomia originalissima. La melodia di Bartok è immersa
nel sistema “dodecafonico”, quindi ne risulta un’innegabile
durezza di armonie e di combinazioni sonore; mentre è
meno aspra la musica di Kodaly che pure, come si è detto,
attinse alla stessa fonte popolaresca del Bartok tenendo in
comune con esso l’impeto ritmico e le robuste espressioni,
ma nell’armonia si attiene scrupolosamente al “tonalismo”.
La musica nazionale in Norvegia si identifica in Edvrd
Hagerup Grieg. Amoroso e attento osservatore della melodia
popolare, egli ha saputo conservare in pezzi brevi e in
frammenti di opere maggiori la freschezza e la vita di tale
ingenuo materiale musicale. Fra il repertorio di Grieg spiccano
le due suites sinfoniche per il “Peer Gynt” di Ibsen. A queste
espressioni popolari, Grieg ha opposto un’armonizzazione
tenue, ma assai evocatrice e ingegnosa.
Anche la scuola nazionale finlandese si riconosce, come quella
norvegese, in un unico compositore che è Jean Sibelius;
l’esempio di Grieg non gli passò inosservato: in molte opere
descrittive egli interpreta le malinconiche bellezze della natura
finnica. Ma più di Grieg egli possiede la lena per ampie
costruzioni sinfoniche. Nell’arte di Sibelius si riconosce una
nobiltà di esecuzione musicale che la solleva sopra il comune
folclorismo caratteristico, anche se però, le toglie il sapore acuto
e sanamente paesano che si ammira nei piccoli quadretti di
Grieg.
La Spagna riconosce come il suo più grande musicista
Manuel de Falla; egli iniziò con un’opera di carattere
verista “La vida breve”, ma a Parigi, nel contatto con
Debussy, Ravel, Dukas, affinò la propria arte, che
interpreta nel modo più profondo e originale l’anima
spagnola. Altri musicisti spagnoli si individuano in
Turina e Espla i quali preferirono indugiare in coloriti
compiacimenti folkloristici.
‰ IL MELODRAMMA TRA IL ’700 E ’800
Con l’apertura dei teatri pubblici a pagamento, il melodramma
diviene il genere musicale più seguito e più popolare. Da
spettacolo per pochi eletti, diviene spettacolo per tutti. Quindi
deve meravigliare non solo dal punto di vista della poetica o
della raffinatezza musicale, ma deve soprattutto colpire
l’immaginazione dell’ascoltatore e creargli uno stato d’animo
in grado di dimenticare, seppur per poco, le miserie della vita
quotidiana. A tal proposito, vengono, dunque, presentate
scenografie fastose, costumi brillanti, trame sempre più
elaborate. Ai soggetti mitologici si aggiungono quelli storici,
agli elementi drammatici quelli comici, alle storie
aristocratiche si mescolano storie popolaresche. In questo
modo il melodramma diviene spettacolo per tutti. Nobili e
popolani si ritrovano insieme a teatro, anche se i primi
assistono allo spettacolo occupando comodi, eleganti e
costosi palchi, mentre i secondi sono ammassati nei loggioni
in un clima quasi da mercato rionale.
La grande partecipazione del pubblico a questi eventi, porta
sempre più compositori a seguire le tracce dell’opera, anche se,
a questo punto, dovevano tener conto soprattutto del gusto degli
spettatori, i quali si aspettavano sempre più trame irreali,
scenografie fantastiche, virtuosismi da parte dei cantanti.
Quest’ultimi, d’altro canto, ritenendosi indispensabili alla buona
riuscita dello spettacolo, pretendono sempre maggiori riguardi;
chiedono al compositore di adattare addirittura, sia il testo che la
musica alle loro caratteristiche tecniche per far sì che si metta in
risalto soprattutto la loro bravura, tralasciando in secondo piano
quella che era l’essenza del significato che il poeta e il
compositore intendevano porre in scena. Poco ci si interessava
alla convenienza del dramma. Le puerili falsificazioni del fatto
storico nei libretti erano frequenti, spesso le vicende più
tragiche, che l’argomento comportava, si mutavano in situazioni
a lieto fine.
Il musicista si trovò a comporre musica dove doveva inserire
parti virtuosistiche, spesso al di fuori del contesto semantico
dell’opera, che mettessero in luce il cantante di turno. Spesso i
cantanti si prendevano la libertà di variare, direttamente sulla
scena, l’aria che stavano cantando, infarcendola di acuti, note
tenute a lungo per dimostrare la loro potenza canora, gorgheggi
inutili, abbellimenti vari ecc. Essendo divenuti la maggiore
attenzione dello spettacolo, essi, non si vergognavano
d’introdurre in un melodramma d’argomento storico romano o
greco, una o più arie tolte da un altro melodramma di diverso
argomento e origine solo perché in esse risaltavano meglio le
particolari doti della loro voce. Il pubblico, ovviamente, era
estasiato da tali performance, restava indifferente a quanto si
svolgeva sulla scena, non prestava attenzione né all’azione né
all’attore: gli interessava solo il cantante, il virtuoso. Non badava
al significato del recitativo, durante il quale, anzi, chiacchierava
ad alta voce, degustava dolci e corteggiava le donne.
Solo quando si arrivava all’aria si faceva attento e si mostrava
soddisfatto dal sensualismo canoro che l’animava. Mentre i
musicisti e i poeti facevano buon viso a cattivo gioco, anche
perché a questo punto erano i cantanti, soprattutto i sopranisti
o castrati con le loro assurde pretese, a decidere quali musicisti
dovevano comporre (naturalmente quelli più accondiscendenti
alle loro richieste) le parti musicali, i testi dei poeti che
dovevano essere messi in scena ecc. In sostanza il cantante
non era fatto per il melodramma ma il contrario. Questa
situazione chiaramente coinvolse anche i musicisti più
importanti i quali si cimentarono a confezionare un “prodotto”
decente che potesse accontentare le parti interessate alla
rappresentazione.
Tutto ciò portò ad una inevitabile decadenza, dal punto di vista
artistico, del melodramma; ed è per porre fine a questi abusi ed
a queste sconvenienze drammatiche che si sentì la necessità in
Italia e fuori di fare una radicale riforma dell’opera.
La riforma dell’opera italiana, sollecitata da trattatisti e scrittori,
fu attuata da Cristoph Willibald Gluck con la collaborazione
del librettista Ranieri dè Calzabigi. Nella prefazione dell’
“Alceste”, furono esposti gli ideali della riforma che
consistevano nel voler rinunciare a tutti gli abusi che avevano
fino allora deformato l’opera italiana, ricondurre la musica al suo
vero compito di servire la poesia per mezzo della sua
espressione e seguire le situazioni dell’intreccio, senza
interrompere l’azione. Rivendicava all’ouverture la funzione di
preparare il clima espressivo dell’opera, proponeva semplicità e
chiarezza, una naturalezza che puntasse sul “linguaggio del
cuore, le passioni forti, le situazioni interessanti”.
In pratica la riforma puntò a ridurre tutto, funzionalmente, ad
unità: ricondotto il testo alla semplicità dell’azione principale
utilizzare aria,
recitativo, cori, danza e orchestra, come
elementi di un tutto omogeneo che non conosce parentesi o
divagazioni. La conseguenza di ciò determinò che mentre nel
’700 l’opera era un passatempo musicale, fondato
principalmente sulla bravura dei cantanti, nell ’800 il dramma
non sarà più soltanto uno svago mondano. Si va a teatro
d’opera per partecipare intensamente alle appassionate
vicende della scena, per mettersi nei panni dei personaggi,
soffrire e vibrare con loro, confrontarne idealmente le sventure
e il comportamento con le proprie esperienze sentimentali. Il
“dramma” è penetrato del melodramma. Nella storia della
musica questo fenomeno si chiama Gluck.
Durante il ’700 la diffusione europea del melodramma
italiano aveva avuto carattere di colonizzazione. Gli
operisti italiani andavano all’estero per guadagnare
tanto, poco preoccupandosi dell’ambiente in cui
avrebbero dovuto lavorare. Con il passaggio dall’ ’700
all’ ’800 la penetrazione degli operisti italiani all’estero
perde il carattere trionfale di colonizzazione per
assumere quello, meno comodo, di emigrazione. Gluck
aveva insegnato ai paesi europei a fare essi stessi il
teatro musicale, invece di importarlo già fatto dall’Italia.
Ed ora i musicisti italiani che vanno all’estero debbono
fare i conti con la concorrenza.
Nello stesso periodo in cui il melodramma in stile
italiano comincia a diffondersi all’estero, a Napoli si
trova A. Scarlatti, fondatore della Scuola Napoletana
e autore di numerosi melodrammi. Egli fu il principale
operista italiano del suo tempo ed esercitò
un’influenza notevole sulla musica teatrale e vocale
non solo italiana ma europea. Il melodramma acquisì
attraverso le sue opere alcuni elementi che divennero
tipici e di impiego costante fino a Gluck. Diciamo
anzitutto che l’opera era divisa in due o tre parti
chiamate atti, all’interno dei quali ci potevano essere
più scene.
I momenti salienti musicalmente erano:
¾L’Ouverture o Sinfonia d’apertura: un brano eseguito
dall’orchestra prima che si alzasse il sipario. Essa serviva per
preparare l’atmosfera entro il quale si svolgeva il dramma, per
cui aveva carattere attinente. Per questo essa riprendeva
spesso temi e motivi che successivamente si incontravano
nell’opera. Era scritta per ultima dall’autore anche se veniva
eseguita all’inizio dell’opera. Era ordinata nella forma tripartita
(detta all’italiana o scarlattiana) Allegro-Grave-Presto.
¾L’Aria, la Cavatina, la Romanza: pezzi in cui uno dei
personaggi cantava da solo. Da una parte rappresentavano il
momento di bravura in cui il cantante faceva sfoggio del proprio
virtuosismo; dall’altra erano determinanti per caratterizzare i
personaggi, svelandone, con la musica, anche gli aspetti più
intimi.
¾ Il duetto, il terzetto, il quartetto ….: parti in cui, due, tre,
quattro personaggi cantavano insieme, in un dialogo canoro
dove spesso si sovrapponevano voci e melodie diverse con
effetti armonici e teatrali interessanti.
¾ Il recitativo: frase, per lo più breve, detta con una leggera
intonazione quasi simile ad un discorso parlato. Serviva
talvolta ad allentare la tensione emotiva, ma più spesso a
chiarire meglio un concetto o a drammatizzare un momento
particolare.
¾ Il coro: insieme di voci che rappresentava sulla scena un
gruppo di persone, la folla o il popolo (saranno famosi nell’
‘800 i cori di G. Verdi).
¾ Il concertato: si aveva quando tanti personaggi cantavano
insieme in momenti di particolare concitazione o
drammaticità.
¾ L’intermezzo: brano eseguito dalla sola orchestra prima che
iniziava il secondo atto.
¾ Il finale: insieme di voci, coro, strumenti e cantanti. Si
trovava alla fine di ogni atto.
‰ L’OPERA BUFFA
Nasce a Napoli ove per i primi decenni i testi furono
normalmente in dialetto. Opere di soggetto comico
si erano avute tuttavia, sebbene isolatamente,
anche nel ‘600. L’opera buffa fu fenomeno
complessivamente italiano, di cui Napoli fu il centro
più fecondo, ma anche Venezia ebbe grande
importanza, sia nella forma propria che in quella
degli intermezzi. L’opera buffa fu l’antitesi
dell’opera seria sotto quasi ogni riguardo. Mentre
l’opera seria metteva in scena gli eroi della
mitologia o della storia greco-romana, l’opera buffa
rappresentava borghesi e popolani contemporanei,
colti realisticamente nella vita quotidiana.
L’opera buffa tendeva all’azione. Non solo ridusse
quasi completamente il recitativo o il recitativo secco,
ma accolse accanto alle arie pezzi d’insieme che
aumentarono continuamente d’importanza.
Nella seconda metà del secolo vi emerse, con
originale rilievo, la funzione dell’orchestra che in certe
scene divenne la vera portatrice dell’idea musicale,
limitando la voce ad una sillabazione quasi parlata.
La funzione storica dell’opera buffa si svela
compiutamente nei due massimi capolavori italiani di
Mozart e che di fatto concludono il ‘700 operistico
italiano: “Il Don Giovanni” e le “Nozze di Figaro”.
‰ L’OPERA NELL’ ’800
Con il sorgere del nazionalismo, l’opera italiana che aveva
avuto il predominio in tutta Europa subì una drastica
perdita d’importanza in quei paesi in cui cominciò un
proprio movimento di sviluppo dell’opera.
In Italia, G. Rossini le cui opere sono splendidi prodotti
dell’opera buffa, nata e sviluppatasi nel ‘700, rappresenta il
ponte ideale che, dall’età classica, si va verso il
Romanticismo. Se nel Guglielmo Tell infatti si trovano temi
prettamente romantici, già nella figura del Barbiere di
Siviglia traffichino e malizioso, che con intelligente fantasia
dirige uomini e cose intorno a sé, si trova in embrione
l’ideale vagheggiato dai romantici, secondo il quale non
sarà più la classe nobile, né quella borghese, a dirigere le
cose ma sarà il popolo stesso a divenire un giorno artefice
dei propri destini.
Tre aspetti fondamentali caratterizzano
melodramma italiano dell’ ‘800:
il
mondo
del
¾La librettistica: la dignità letteraria dei libretti andava
decadendo, per cui il musicista iniziò ad interessarsi egli stesso
della scelta degli argomenti, il librettista doveva solo verseggiare
il materiale, ciò creò un maggiore legame fra i due. Più tardi
furono gli operisti a provvedere ai loro libretti.
¾La vocalità: si diede una nuova espressività alla vocalità
abolendo l’improvvisazione. L’ accentuamento e l’adesione ai
caratteri espressivi del linguaggio ottocentesco si ebbe
soprattutto con Bellini, Donizetti e il grande G. Verdi.
¾Il costume: il teatro è ormai diventato un luogo di relazioni
pubbliche di vita sociale: in esso la gente cercava modelli di
comportamento e motivo di conforto alle delusioni e alle
frustrazioni della vita. Nell’ 800 quindi, si ebbe una forte
incidenza dell’opera sulla vita civile, anche nelle città di
provincia.
In seguito durante il Verismo con la mescolanza che si farà di
opere grandiose e di drammi di piccoli personaggi comuni,
nasceranno nelle città piccoli teatri minori e popolari.
Anche in Germania , intanto, sia pure in modo diverso, si cerca
di creare un’opera nazionale. Già Mozart aveva gettato le
fondamenta con l’opera in tedesco “Il flauto magico” e un altro
contributo era stato apportato da Beethoven col “Fidelio”.
Sarà Richard Wagner però, che porterà alla dissoluzione
totale degli schemi tradizionali e alla creazione di un “dramma
musicale tedesco”.
Il dramma musicale tedesco si differenziò dall’opera italiana
soprattutto da:
a) Poesia, musica e scena erano intese come un’unità
indissolubile entro cui nessuna doveva sovrastare l’altra.
b) Nessuna distinzione tra aria e recitativi. Il flusso melodico
doveva essere continuo e infinito, con una intensa
declamazione drammatica delle parole.
c) Uso del letiv-moitv, cioè di un tema conduttore che
caratterizzava un personaggio o che richiamava un’idea
o un sentimento. Uso dell’orchestra come qualcosa di
determinante per la costruzione del dramma. E quindi aggiunta di numerosi strumenti, soprattutto tra i fiati.
d) La continua tensione viene portata all’estremo anche con
l’uso dei cambiamenti continui di tonalità. Questi, tra
l’altro, portano al cosiddetto cromatismo. Infatti, nel
continuo passaggio di tonalità, si finisce con l’usare tutte
le note comprese nell’ambito di un’ottava.
Wagner fu autore di numerosi melodrammi tra i quali
ricordiamo:
Parsifal,
Il
vascello
fantasma,
Tannhäuser, Tristano e Isotta. La sua opera più
importante fu la tetralogia su L’anello del Nibelungo,
ispirata alla mitologia tedesca, composta da: L’oro del
Reno, La Walkiria, Sigfrido e il Crepuscolo degli dei.
Anche in Italia il teatro wagneriano ebbe notevole
influenza. Si può affermare che, alla fine dell’800, le
tendenze musicali italiane oscillavano tra Verdi,
Wagner e una nuova corrente che troviamo anche in
letteratura con G. Verga: il Verismo.
Rappresentanti del verismo e fondatori della
cosiddetta Giovane scuola furono: P. Mascagni, R.
Leoncavallo, G. Puccini, senz’altro il più importante
dei tre. Di Mascagni ricordiamo Cavalleria Rusticana,
il cui libretto è tratto dall’omonima novella di G. Verga.
Leoncavallo è invece autore della altrettanto nota
opera I Pagliacci. Le principali opere di Puccini,
attente alla percezione dei mutamenti armonici in atto
nel mondo musicale del primo ‘900, furono Tosca,
Madama Butterfly, La Bohème, Manon Lescaut.
Turandot fu la sua ultima opera rimasta, tra l’altro,
incompiuta.
‰ G. VERDI (Roncole di Busseto 1813-Milano 1901)
Fu la personalità che dominò l’Ottocento musicale in Italia
dagli anni Quaranta fin quasi alla fine del secolo.
La sua prima opera Oberto conte di San Bonifacio, ebbe un
discreto successo. Gli fu commissionata quindi un’opera
buffa, Il finto Stanislao, la quale, a causa di gravi lutti che
colpirono il musicista, si rivelò un fiasco. Verdi, deluso fu
tentato di abbandonare la musica per sempre. Cambiò idea
leggendo i versi del coro del Nabucco sul libretto che un
suo amico impresario gli aveva dato. L’opera Nabucco fu un
trionfo e il suo coro divenne il simbolo musicale del
Risorgimento italiano. A questo seguirono altre opere il cui
argomento, pur trattando avvenimenti storici lontani nel
tempo (La battaglia di Legnano, I Lombardi alla prima
crociata, ecc.), alludevano alla situazione italiana del
presente.
Durante le rappresentazioni, quando il coro intonava
parole come “o mia Patria sì bella e perduta” e come “o
Signor che dal tetto natìo ci chiamasti all’invito di un
pio”, il pubblico, dai palchi e dal loggione, applaudiva
commosso e partecipe al grido di “Viva V.E.R.D.I.”.
Dopo l’Unità d’Italia, il musicista fu nominato senatore
a vita nel primo Parlamento italiano.
Nel periodo della maturità, le opere di Verdi, Rigoletto,
La Traviata, Il Trovatore, Luisa Miller, riflettono una più
approfondita psicologia dei personaggi. Intanto anche
la vita del musicista diventava più serena grazie
all’incontro con Giuseppina Strapponi, cantante
d’opera che divenne poi sua moglie e soprattutto
ottima consigliera.
Dopo un lungo periodo di silenzio, in cui Verdi scrisse
solo la famosa Messa di Requiem, per la morte di
Alessandro Manzoni, nacque l’opera Otello. L’autore
aveva intanto affinato la sua arte tenendosi al corrente
di quanto avveniva nel mondo musicale. E, se è vero
che riteneva lontano dalla mentalità e dalla cultura
italiana il melodramma wagneriano, è vero pure che,
nella sua ultima opera in particolare, ha usato un
linguaggio musicale scorrevole, continuo, dove non
esiste quasi la divisione tra arie, concertati e dove la
musica caratterizza psicologicamente il personaggio.
Quest’ultima opera è il Falstaff scritta da Verdi
ottantenne. Dopo tante opere serie, essa è l’unica
opera comica scritta dal musicista.
‰ IL PASSAGGIO DALL’800 AL ’900:
LA SPERIMENTAZIONE DEL ’900 E LE TECNICHE
D’AVANGUARDIA.
La crisi esistenziale nata, alla fine dell’800, dalla perdita dei
valori e degli ideali, aveva provocato negli intellettuali e negli
artisti una reazione alle forme e ai contenuti del passato.
Questa reazione assunse aspetti molteplici e si svolse in più
direzioni dando vita a diverse correnti artistiche:
impressionismo, espressionismo, simbolismo, dadaismo,
futurismo, surrealismo, ermetismo… Tra queste, alcune
furono più significative, altre meno. Quelle più importanti, nel
campo della ricerca musicale furono l’impressionismo e,
soprattutto, l’espressionismo in cui, con la dodecafonia, si
abbandona completamente l’armonia tradizionale. Notevole fu
l’influenza esercitata dal jazz sulla musica colta (vedi
Strawinsky e Gershwin) con una contaminazione che
intendeva essere dissacrante nei riguardi della tradizione.
L’ Impressionismo nasce in Francia, nel secondo ottocento,
come fenomeno pittorico e prende il nome da un quadro di
Monet intitolato Impression. Soleil levant. Viene teorizzato,
contemporaneamente, dai poeti Velaine, Rimbaud e Mallarmè
mentre in musica è rappresentato da Claude Debussy. Questa
corrente artistica si basa sull’idea che la realtà è un fenomeno
luminoso, coloristico, in cui è la luce a farci vedere le cose e i
colori delle cose, in un certo modo. Il colore in sé, quindi non
esiste; esiste invece “quel” particolare colore che viene fuori, in
“quel” particolare momento, dall’incontro della luce con
“quell’oggetto”. Dati questi principi, è chiaro che, cambiando la
luce nel corso della giornata e delle stagioni, l’oggetto non sarà
mai lo stesso. Il pittore può quindi, nella sua opera, cogliere solo
l’impressione, il colore che l’oggetto ha in un certo momento e
che potrà non avere mai più in altri momenti (alcuni artisti
arrivarono addirittura a scrivere sul quadro l’ora del giorno in cui
era stato dipinto).
Nel campo musicale tutto ciò porta a dare sempre maggiore
rilevanza al timbro degli strumenti, creare una certa sonorità, un
certo colore piuttosto che a costruire ad a sviluppare un tema
melodico secondo le formule tradizionali. Per rendere ancora di
più questo senso del vago, dell’indefinito, Debussy non usa, per
le sue costruzioni sonore, il sistema armonico basato sulle scale
Magg. e min. bensì una scala arcaica e orientaleggiante basata
su sei toni consecutivi e chiamata perciò scala esatonale. In
essa non ci sono intervalli di semitono:
DO – RE – MI - FA# - SOL# - LA# - DO
Nella sua musica Debussy rende l’incertezza esistenziale
usando un linguaggio fluido, scorrevole, dove non sembra
esserci mai un punto fermo, dove i temi appaiono e scompaiono,
dove ciò che acquista rilevanza ai nostri occhi è il colore dei
timbri strumentali, usati da Debussy come un pittore
impressionista usa i colori per creare le sue figure senza
contorni netti.
Dopo Debussy ricordiamo i francesi Maurice Ravel e Paul
Dukas, lo spagnolo Manuel De Falla e l’italiano Ottorino
Respighi. Tutti questi autori, pur con diverse finalità, hanno
fatto uso delle nuove tecniche debussiane e, almeno in parte,
possono essere considerati impressionisti.
L’ Espressionismo nasce nel primo novecento e si sviluppa
tra le due guerre mondiali. Dal disagio dell’individuo (già
espresso musicalmente da Mahler) e dalle sue angosce
esistenziali, portando ancora avanti il discorso dell’incertezza
sulla realtà che ci circonda, nasce il completo rifiuto di questa
realtà. Se gli impressionisti avevano accettato di
rappresentare almeno l’apparenza, l’impressione suscitata
dalla realtà in un dato momento e sotto una certa luce, gli
espressionisti reagiscono rifugiandosi invece all’interno
dell’individuo. E’ da qui infatti che deve nascere, in piena
libertà di espressione, l’opera d’arte.
La creazione viene ad essere quindi, in senso completo,
espressione del mondo interiore dell’artista e non deve avere
agganci con il mondo esterno né deve farsi condizionare dalle
regole codificate di una tradizione ormai priva di significato.
Per capire meglio, diciamo che l’opera espressionista non nasce
dalla realtà che circonda l’artista, ma viene ad essere quasi un
prodotto del suo sogno e, persino, dei suoi incubi. Per
l’Espressionismo l’arte è la pura rappresentazione dell’anima. E
attraverso l’anima viene trasfigurato anche l’oggetto reale fino a
perdere la propria autonomia, ripresentandosi ai nostri occhi
idealizzato dall’artista come un prodotto della sua visione.
In questo rifiuto della logica tradizionale, è evidente che vanno
abbandonati tutti i dati musicali tramandati dalla codificazione,
avvenuta attraverso i secoli, dell’armonia tonale, dell’armonia
cioè basata sulle scale magg. e min. e sui punti di riferimento
importanti (I°, III°, e V° grado della scala) intorno ai quali veniva
costruita sia la melodia che l’armonia di una composizione.
Per reazione nasce la dodecafonia, il sistema cioè in cui i 12
suoni compresi nell’ottava hanno tutti la stessa importanza e tutti
vanno usati senza che uno prevalga sull’altro. All’inizio della
composizione il musicista espone la sua prima idea creativa,
dando un ordine personale alla serie dodecafonica, in modo tale
però che ciascuno dei 12 suoni non sia ripetuto per una seconda
volta se prima non vengono usati tutti gli altri. Questa è la regola
fondamentale per iniziare il brano ma, ovviamente, ce ne sono
altre, piuttosto complesse, per elaborare poi l’idea creativa. Si
può dire che, in pratica, la serie dodecafonica esposta all’inizio
dall’autore corrisponde al tema delle composizioni tradizionali
mentre l’elaborazione successiva corrisponde allo sviluppo. Gli
esponenti dell’Espressionismo musicale furono Arnold
Schönberg (Vienna 1874-Los Angeles 1951) considerato il
padre dell’Espressionismo e autore di un importante saggio
letterario (Manuale d’Armonia) dove, per la prima volta, furono
esposti i principi della nuova corrente estetica.
I suoi allievi furono Alban Berg e Anton Webern con i quali
formò la scuola viennese che ebbe enorme influenza sullo
sviluppo musicale del secondo dopoguerra. L’opera di
Schönberg è il Pierrot Lunaire (1912) considerata il manifesto
dell’espressionismo musicale e che rappresenta una svolta nella
storia musicale. In questa composizione, scritta per 8 strumenti,
viene espressa la crisi dell’individuo in una società alienante che
lo trascina verso la guerra.
Un’altra corrente del Novecento è il Neoclassicismo.
Tra il 1920 e il 1930 c’è stato chi, nel rinnegare idee e forme del
Romanticismo, piuttosto che cercare nuove strade ha tentato il
ritorno alla purezza delle forme classiche del periodo preromantico, facendo uso però di tecniche nuove. Forse di
nessuna delle suddette correnti si può dire che sia stata
caratterizzante per il secolo interessato, ma di tutte si può
affermare che sono nate dal bisogno di sperimentare il nuovo,
lasciando il noto per l’ignoto, il “già detto” per il “da dire”.
Grandi musicisti del tempo come Igor Strawinskij,
Paul Hindemith, Béla Bartòk, Arthur Honegger e gli
italiani Francesco Malipiero e Goffredo Petrassi,
hanno aderito, in momenti diversi, sia al
neoclassicismo che alla dodecafonia o ad altre correnti
musicali.
Ciò non fa che confermare come il Novecento sia un
periodo di ricerca e di incertezza in cui si è sicuri di
una sola cosa, che occorre cioè uscire dalla nostra
armonia tradizionale se si vuole che la musica trovi la
sua dimensione futura.
Abbandonata la tradizione tonale-armonica del passato, i
musicisti di oggi lavorano in più direzioni:
ƒLa sperimentazione timbrica è quella che si fa sugli
strumenti
tradizionali
usandoli
però
in
modo
anticonvenzionale per ricavarne effetti diversi e inusitati. La
sperimentazione timbrica si fa anche usando, come
strumenti musicali, oggetti destinati ad altri usi (carta,
macchina per scrivere ecc.). A questa sperimentazione si
collega la seguente.
ƒLa musica concreta che consiste nell’usare suoni
dell’ambiente circostante registrati su nastro e manipolati poi
in vario modo fino a far perdere loro i connotati originali. La
manipolazione può avvenire sia facendo un collage con parti
di registrazioni diverse, sia tramite il modificatore e il
miscelatore elettronico.
ƒ La musica seriale è quella che applica il principio della serie
(che la dodecafonia usa per l’altezza dei suoni) anche alle
altre caratteristiche del suono e cioè: intensità, durata e
timbro. Esperimenti di musica seriale sono stati fatti da Pierre
Boulez, Karl Stockhausen, Bruno Maderna, Luciano
Berio.
ƒ La ricerca e l’uso di tutto il territorio sonoro compreso
nell’ambito di una ottava. Con la dodecafonia si era già
notevolmente allargato il “campo di azione” di cui usufruire in
ciascuna composizione musicale. Non essendo più vincolato
alla scala, il musicista poteva usare 12 suoni e non più 7. Ora,
con le nuove tecniche strumentali, ma soprattutto con la
sperimentazione elettronica, lo spazio sonoro a disposizione
del musicista si è ancora di più allargato. Nell’ambito di
un’ottava non sono più soltanto dodici i suoni recuperabili, ma
molti di più. Con le apparecchiature elettroniche e soprattutto
con il computer si può entrare all’interno del semitono
producendo frequenze corrispondenti a suoni intermedi.
ƒ La musica aleatoria è quella che accetta e prevede l’ alea , la
casualità, la possibilità, cioè, che il risultato dell’esecuzione
musicale non sia sempre lo stesso, ma dipenda da fattori
variabili (l’esecutore, il luogo, il pubblico ecc.)
ƒ La ricerca di una nuova scrittura musicale è ovviamente un
problema connesso con la sperimentazione musicale. Se
infatti per la dodecafonia era ancora possibile l’uso del
pentagramma e dei segni tradizionali, in quanto i suoni
rientravano nella gamma dei semitoni e quindi con l’ausilio dei
segni di alterazione erano collocati sul pentagramma, nella
musica sperimentale odierna, invece, la nuova gamma di
frequenze ottenute elettronicamente all’interno del semitono e
i vari usi non convenzionali degli strumenti musicali usati, non
permettono l’uso di una scrittura diventata del tutto
insufficiente. Quindi anche per la scrittura si apre la
sperimentazione.
Ogni compositore cerca la sua strada, il modo di fissare su
carta ciò che compone e perciò inventa via via nuovi segni da
usare sia sul pentagramma ma molto più spesso in campo
aperto. Affinché queste partiture possano essere lette
dall’esecutore, l’autore allega ad esse una “legenda” con
l’elenco dei nuovi simboli e il loro significato. Quando non tutto
è spiegato nella legenda entra in gioco l’alea, prevista nella
sperimentazione moderna. In questo caso l’esecutore può
interpretare a modo suo alcuni segni; ha così un proprio spazio
di carattere creativo. Per quanto riguarda la musica elettronica,
quella concreta e la musica da computer, spesso non si pone il
problema della scrittura in quanto il brano viene fissato o su
nastro magnetico o nel caso del computer su un hard disk.
‰ ELEMENTI DI MUSICOTERAPIA
COSA È LA MUSICOTERAPIA
APPLICAZIONE
E
AMBITI
DI
SUA
Porsi la domanda cos’è la musicoterapia, ad una prima
analisi potrebbe risultare molto ardua per quanto essa è
ampia a complessa, come peraltro lo è la disciplina di
cui tratta. Infatti il concetto di musicoterapia è vasto, ha
implicazioni molto estese, si riferisce ad ambiti operativi
profondamente differenziati tra loro. Il primo grosso
problema nella definizione della Mt è che essa è
transdisciplinare per natura. Cioè, la musicoterapia non
è una disciplina singola, isolata con limiti ben definiti e
immodificabili. Piuttosto è la dinamica combinazione di
molte discipline attorno a due grosse aree: la musica e
la terapia.
Tra le discipline collegate alla musica si includono:
•Psicologia della Musica
•Sociologia della Musica
•Antropologia della Musica
•Filosofia della Musica
•Biologia della Musica
•Acustica
•Educazione Musicale
•Esecuzione e Composizione musicale
•Teoria e Storia della Musica
•Arte, Danza, Teatro, Poesia, Letteratura.
Tra le discipline collegate alle terapia si trovano:
•Psicologia – Psicoterapia – Psichiatria
•Lavoro sociale
•Arti curative
•Ricreazione Terapeutica
•Medicina, Chirurgia
•Terapie Occupazionali e fisiche
•Linguaggio
•Terapia Comunicativa, audiologia
•Educazione Speciale
•Terapie di Arti Creative
Ciò che rende difficile definire e delimitare la Mt è che è un
ibrido di molte discipline. Sia la musica che la terapia hanno per
sé stesse delimitazioni poco chiare, ci sono molte e diverse
filosofie musicali e più teorie terapeutiche.
Ma volendo dare una definizione generale o meglio una sintesi
che rappresenti in modo globale il panorama di situazioni
teoriche e pratiche che costituiscono la musicoterapia si
potrebbe affermare che la musicoterapia è una tecnica,
mediante la quale varie figure professionali, attive nel campo
della educazione, della riabilitazione e della psicoterapia,
facilitano l’attuazione di progetti d’integrazione spaziale,
temporale e sociale dell’individuo, attraverso strategie di
armonizzazione della struttura funzionale dell’handicap, per
mezzo dell’impiego del parametro musicale; tale armonizzazione
viene perseguita con un lavoro di sintonizzazioni affettive, le
quali sono possibili e facilitate grazie a strategie specifiche della
comunicazione non verbale. (Postacchini, 1995).
Tali strategie possono essere attive, in cui si richiede
all’individuo o al gruppo di produrre musica coltivando
l’espressione creativa; passive, in cui predomina l’ascolto o
l’assunzione individuale di stimoli ritmico-musicali provenienti
dall’esterno.
Il termine “passive” è usato esclusivamente per una distinzione
dei due tipi di esperienze; è da precisare, però, che anche le
esperienze passive richiedono durante l’ascolto una presenza
attiva.
Molti intendevano, in passato, la musicoterapia positiva in
quanto faceva dimenticare pene e fatiche mentre permanevano
le situazioni che le creavano. Oggi, invece, ci si è avvicinati a
delineare un recupero della musicoterapia sulle basi della
pedagogia, della sociologia, della medicina, della psicologia
ecc., come scienza nuova; considerando il suo uso in senso
operativo-dinamico-creativo, tale da non offrire coperture
consolatorie.
Relativamente alle ricerche, agli studi e alle esperienze che
attualmente si praticano, possiamo individuare oggi tre
indirizzi
particolari
della
musicoterapia,
che
pur
sovrapponendosi e completandosi, sono contraddistinti da
diverse impostazioni e metodologie:
a) il primo indirizzo, che potremo definire “psicopedagogico”,
trova la sua esplicitazione nell’ambito delle strutture
scolastiche, educative e rieducative.
Esso prevede: lo sviluppo della creatività; l’uso del corpo per
una perfetta realizzazione dello schema corporeo; la
strutturazione di una salda ed equilibrata personalità data
esclusivamente dalla conoscenza interiore; nonché l’ampliarsi
dei rapporti interpersonali e di socializzazione.
b) accanto all’indirizzo psicopedagogico si
concretizza un secondo indirizzo che trova la sua più
ampia applicazione negli ospedali, negli ambulatori, nelle
cliniche.
In tali sedi la musicoterapia può contribuire al
superamento di condizioni patologiche o pre-patologiche
che determinano situazioni di chiusura e di
emarginazione.
c) il terzo indirizzo, riscontrabile nelle comunità, nei
gruppi, nei quartieri, è dato da quei fenomeni musicali che
accomunano gruppi etnici o “ideologici” e che assumono
un potenziale espressivo e culturale nel contesto sociopolitico e socio-culturale in cui nascono.
Quindi, sulla scia delle considerazioni fin qui esposte, si
può organizzare un tentativo di risposta al quesito di
partenza: 1la musicoterapia è una modalità pedagogicoterapeutica atta a favorire la costruzione delle relazioni,
nelle quali vengono messe in gioco, da parte degli
operatori, competenze tecniche, culturali ed umane,
mentre da parte di coloro che ricevono viene messa in
gioco la disponibilità a farsi conoscere.
E’ bene ricordare che, il compito degli operatori, è quello
2di cercare, se già c’è, o altrimenti favorire un’armonia
interna della persona sintonizzandosi ad essa, per
consentire, laddove la comunicazione dell’altro è
interrotta, che qualche forma di relazione possa
instaurarsi.
La musicoterapia si occupa dunque della costruzione
intenzionale di relazioni comunicative a fini terapeutici,
attraverso l’impiego di due distinti elementi:
•la relazione: per lo sviluppo di questa ci si può avvalere di
attività musicali e anche di altre pratiche espressive.
•la musica: l’obiettivo sarà quello di realizzare attraverso di essa
una forma di comunicazione non verbale.
_____________________________________________________________________
1
Postacchini-Ricciotti-Borghesi Lineamenti di Musicoterapia La Nuova Italia Scientifica.
2
Idem
‰ MODELLO “BENENZON”
Definizione di MT
Secondo R.O. Benenzon1 la definizione (attuale) più
adatta per indicare la Musicoterapia è la seguente: la
Musicoterapia è una psicoterapia che utilizza il suono,
la musica, il movimento e gli strumenti corporeosonoro-musicali per sviluppare, elaborare e
analizzare un vincolo o una relazione fra
musicoterapeuta e paziente (o gruppo di pazienti) con
l’obiettivo di migliorarne la qualità di vita e riabilitarlo e
recuperarlo per l’inserimento sociale
METODOLOGIA GENERALE
Il metodo benenzoniano è di tipo psicoterapeutico basato sulla
comunicazione verbale e non verbale sonoro-musicale. Si
articola in due parti essenziali: la prima di carattere
diagnostico e la seconda di carattere terapeutico. Nella
parte diagnostica l’obiettivo è di scoprire il principio dell’ ISO3
del paziente o del gruppo con il quale si lavorerà, l’oggetto
intermediario4 e l’oggetto integratore5 che faciliteranno la
terapia.
La seconda parte è costituita da sedute di Mt in cui paziente e
musicoterapeuta lavorano attivamente. Si tratta di istituire
canali di comunicazione di livello regressivo6, per mezzo
dell’identità sonora e di aprirne dei nuovi. Generalmente è in
questa fase che si instaura il trasfert e il controransfert7 e si
da atto al fenomeno totemico8.
3Principio
dell’ISO: ISO=Identità sonora.
Si tratta dell’insieme infinito delle energie sonore,
acustiche e di movimento che appartengono ad un
individuo e che lo caratterizzano. Questo flusso
interno di energie è formato dall’eredità sonora: dalle
esperienze
sonore
intrauterine
del
periodo
gestazionale e dalle esperienze sonore fatte dalla
nascita fino al presente. Benenzon distingue cinque
strutture dinamiche di ISO:
ISO Gestaltico, ISO Universale, ISO Culturale, ISO
Complementare, ISO Gruppale.
L’ISO Universale
Include le energie sonore di base ereditate da
millenni. Queste energie sonore sono caratteristiche
di tutto il genere umano, con le varianti dei patrimoni
ereditari più recenti: d’occidente e d’oriente, delle
zone fredde, di quelle tropicali ecc. Per esempio,
nell’uomo occidentale della zona a clima variabile
troviamo, fra le altre, le seguenti energie sonore: il
ritmo binario che imita il battito cardiaco, il suono e il
movimento dell’acqua (liquido amniotico), i suoni
dell’inspirazione e dell’espirazione, la scala
pentafonica, l’accordo perfetto, l’ostinato, il canone, il
silenzio.
L’ISO Gestaltico
include nell’inconscio le energie sonore che si producono a
partire dal concepimento di ciascun individuo. Queste energie
potranno modificare o influenzare quelle che si trovano
nell’ISO Universale. Ciò significa, che sebbene un ritmo
binario, una ninnananna ad intervalli di seconda e terza
producano uno stato di tranquillità, di prevedibilità, di equilibrio
perché vengono riconosciuti, trovandosi nella memoria del
non-verbale, questo dipenderà anche dalla storia del soggetto
in questione. Se nella storia di un individuo compare
un’esperienza conflittuale grave, come ad esempio quella di
una guerra, in cui il ritmo binario primitivo si è combinato con il
ritmo delle marce militari, quest’ultimo modificherà il
precedente e lo porterà a livelli di turbamento e
imprevedibilità.
L’ISO Culturale
è formato da flussi di energie sonoro-musicali
formatesi a partire dalla nascita e dal momento in cui
l’individuo riceve gli stimoli sonori dell’ambiente che lo
circonda.
L’ISO Complementare
è l’insieme di piccole modifiche che si attuano ogni
giorno o in ogni seduta di Mt sotto l’effetto di
circostanze
ambientali
e
dinamiche.
L’ISO
Complementare
rappresenta
la
fluttuazione
momentanea dell’Iso Gestaltico sotto l’effetto di
circostanze ambientali specifiche.
L’ISO Gruppale
è intimamente connesso allo schema sociale all’interno del
quale l’individuo evolve. Occorre un certo lasso di tempo
affinché l’ISO Gruppale si instauri e si strutturi: dipenderà
spesso dalla buona composizione del gruppo e dalla
conoscenza dell’ISO individuale di ciascun paziente da parte
del terapeuta. L’ISO Gruppale è fondamentale allo scopo di
raggiungere un’unità di integrazione in un gruppo terapeutico in
un contesto non verbale. Esso è una dinamica che pervade il
gruppo come sintesi stessa di tutte le identità sonore.
Pertanto si può affermare che la produzione sonora di un
individuo contiene implicitamente la somma di tutti gli ISO
menzionati. Possiamo individuare nei fenomeni sonoro-musicali
i diversi ISO che lo compongono. Un ritmo binario proviene
dall’ISO Universale, la voce della madre proviene dall’ISO
Gestaltico, un frammento melodico dall’ISO Culturale.
4L’oggetto
intermediario. E’ chiamato così qualunque
oggetto capace di permettere la comunicazione da un
soggetto all’altro. Il primo strumento a favorire questa
comunicazione è il corpo stesso della madre che con la
pelle, le sue vibrazioni, la sua voce, i movimenti dei
muscoli, le carezze, la pulsazione ritmica, trasmette al
neonato l’energia sonora.
5Benenzon
chiama oggetto integratore, uno strumento
corporeo-sonoro-musicale, quando questo permette il
passaggio di energia comunicativa fra più di due persone
e quindi rende simultaneamente attivi più di due canali
comunicativi.
6Si
tratta di un concetto molto importante in MT. La
regressione è il ritorno del comportamento ad un
antico modo di appagamento. Secondo Winnicott la
regressione è un meccanismo organizzato di difesa
dell’io, una specie di protezione del self. Questo
concetto consente di utilizzare gli effetti regressivi di
certi fenomeni sonoro-musicali in Mt. Il contesto nonverbale stimola nell’individuo la regressione. Lo porta
immediatamente a sperimentare situazioni maternoinfantili o paterno-infantili il più delle volte gratificanti.
7Il
trasfert in Mt è la tendenza del paziente a rivivere,
insieme alla figura del terapeuta, gli stessi episodi
occorsi agli inizi della storia della sua relazione
materno-paterno-infantile, ossi a collocare il passato
nel presente. Il controtrasfert è una ricerca
oggettiva sulla soggettività. E’ il trasfert del paziente
più le esperienze passate proprie del terapeuta.
Questa sensazione controtrasferenziale si può solo
percepire e rendere cosciente, se il terapeuta ha
permesso a sé stesso di regredire, insieme al
paziente, al quel passato che torna in quel momento
della seduta. In caso contrario il terapeuta non
potrebbe mai riconoscere ciò che sta succedendo
con il suo paziente.
8Benenzon
definisce fenomeno totemico la messa in
atto di rituali in una situazione di trattamento di Mt, al
fine di modificare e contenere positivamente le
scariche di energia pericolose per l’integrità
dell’individuo e il suo inserimento in società. Il
contesto non-verbale permette la comparsa e la
ripetizione all’infinito dei rituali, quindi in questo caso
ed attraverso il trasfert ed il controtrasfert, si cerca di
favorire la comparsa e la ripetizione dei rituali
attraverso i qiali il terapeuta può percepire e
prevedere il manifestarsi di scene primarie, primitive,
che risultano proibite in altri contesti.
Benenzon, nelle sedute di Mt, considera di fondamentale
importanza il lavoro di coppia terapeutica (meglio se di
diverso sesso) soprattutto nel trattamento di casi
patologici gravi, di psicosi, di autismo, ecc.
Questo tipo di lavoro è considerato conveniente da
Benenzon in quanto evita il verificarsi dell’ acting-out9,
permette un incontro di riflessione in seguito alle sedute,
consente lo scambio d’informazione per compilare i
protocolli di osservazione, costituisce una cornice di
contenimento forte e sicura per il paziente, riduce l’effetto
del burn-out dei terapeuti. Inoltre la coppia terapeutica
rappresenta uno schermo proiettivo per i diversi aspetti del
trasfert del paziente.
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9Benenzon definisce acting‐out
l’impulso che si produce nel musicoterapeuta di portare sul piano dell’azione la confusione delle sensazioni di trasfert e controtrasfert
TECNICA
Benenzon, durante la seduta di Mt, predilige un ordine “tecnico”
per condurre il trattamento che si articola in tre punti ritenuti
fondamentali:
a) l’ osservazione;
b) le associazioni corporeo-sonoro-musicali;
c) l’isolamento riflessivo attivo.
Secondo Benenzon nei primi momenti di una seduta di Mt il
musicoterapeuta deve evitare di agire, produrre o esprimersi,
ponendosi in una situazione di completa ricettività durante la
quale ascolta, comprende, riceve, accetta. Egli in questa fase
già mette in gioco il suo corpo, sebbene rimanga fermo. Infatti fa
parte dell’insieme degli strumenti e consentirà la ripresentazione
dell’oggetto intermediario corporale costituito una volta dal corpo
della madre.
Questa tecnica, di saper aspettare ed osservare, evita
che il corpo del musicoterapeuta risponda alle ansie
suscitate dal primo impatto di trasfert del paziente. In
questa fase la sola espressione importante da parte del
musicoterapeuta è la presentazione di una data
consegna.
In un secondo momento il paziente comincerà ad
esprimersi liberamente e nel musicoterapeuta questo
primo stadio ricettivo di osservazione attiva permetterà la
comparsa di associazioni corporeo-sonoro-musicali.
Queste associazioni sono il risultato dell’impatto del
trasfert. Il musicoterapeuta sente il suo corpo entrare in
movimento coinvolgendolo alla scelta di uno strumento o
comunque ad un’espressione vocale o sonoro-musicale.
Durante l’isolamento riflessivo-attivo il musicoterapeuta smette di
attuare e scinde la sua attenzione fra ciò che sta succedendo fuori
e ciò che sta succedendo in sé stesso. E’ il maggior contatto con le
sensazioni di controtrasfert, in cui si distingue ciò che proviene dal
paziente e ciò che invece proviene dalle proprie sensazioni.
Benenzon, per quanto riguarda le sequenze tecniche del non
verbale in un processo di comunicazione non-verbale, consiglia di
percorrere le seguenti tappe:
Imitazione: il musicoterapeuta risponde in modo uguale a ciò che
esprime il paziente, utilizzando lo stesso strumento o uno simile
facendo capire al paziente che lo ha ascoltato e compreso.
Imitazione parziale: il terapeuta accompagna la performance del
paziente imitandolo, ma in un’altra tonalità o modificando in parte la
struttura sonora.
Domande e risposte: il paziente si esprime ed il terapeuta
risponde con altre strutture sonore utilizzando un altro strumento.