TERAPIE ASSISTITE DA ANIMALI E DELFINOTERAPIA: METODOLOGIE E ESPERIENZE “La via degli spiriti animali”, S.I.T.A.C.A., Asti, 27-28.6.97 Cosa si intende per pet therapy Il termine pet therapy, ormai diffuso, per quanto non molto corretto, è venuto a indicare, nel linguaggio corrente, interventi molteplici, il cui fattore comune è la presenza di animali in rapporto a esseri umani in situazioni programmate e più o meno standardizzate. E’ un termine sotto il quale vengono classificate attività molto diverse tra loro, che comprendono, ad esempio, quelle svolte con l’ausilio di: animali da assistenza (l’esempio più noto è quello dei cani per ciechi) la cui presenza è finalizzata a compensare, soprattutto in termini pratici, lo svantaggio della persona handicappata ; animali che collaborano alla riabilitazione motoria, cui forniscono un supporto sia a livello fisico, sia a livello motivazionale (es. montare a cavallo stimola alcune fasce muscolari, e contemporaneamente dà al paziente una motivazione in più per impegnarsi a compiere determinati movimenti) animali che collaborano alla terapia o alla riabilitazione, fornendo al paziente sollecitazioni a livello psichico. Quest’ultimo punto è quello che mi riprometto di approfondire, esaminando in particolare gli interventi nel campo della terapia assistita da animali per persone sofferenti di handicap o disturbi psichici, e facendo riferimento alle esperienze maturate nel campo della terapia assistita dai delfini, di cui mi occupo da diversi anni, anche in qualità di presidente dell’Associazione Arion che la promuove in Italia, presso il Delfinario di Rimini. Terapie e attività assistite da animali Sono questi i termini più specifici e corretti, che indicano rispettivamente gli interventi finalizzati a curare la salute psicofisica dell’individuo e quelli orientati a migliorare la qualità della vita. Non sempre la linea di confine tra queste due tipologie di intervento risulta chiara. La ricerca ha infatti indicato che non solo le sessioni di terapia, ma anche altre modalità di contatto con gli animali, sono fonte di input emotivo/sensoriali gioiosi e rilassanti, che di per sé possono avere effetti terapeutici dal punto di vista psicofisiologico. E’ stato dimostrato, ad esempio, che la compagnia di un cane o di un gatto contribuisce a migliorare le condizioni fisiche di cardiopatici e ipertesi. Da questo punto di vista, anche la semplice adozione di un animale domestico, ha un risvolto “terapeutico”, che costituisce un apprezzabile plusvalore. A volte, questo ha indotto a definire “terapie” iniziative che, per l’assenza di una precisa intenzionalità terapeutica e delle necessarie figure professionali, si pongono piuttosto nel campo delle “attività” con animali. Si tratta comunque di esperienze preziose, che spesso permettono di individuare, nel contatto uomo-animale, potenzialità nuove e interessanti, che non sfuggono allo sguardo attento di chi, addestratore, veterinario, o proprietario di animali domestici, è strettamente coinvolto nel rapporto quotidiano con essi. L’équipe e la formazione professionale E’ tuttavia indispensabile un ulteriore sforzo in termini metodologici e organizzativi da parte di chi opera nel settore, per differenziare e specificare, anche a vantaggio di una utenza sempre più interessata, i diversi tipi di approccio, individuare gli obiettivi prioritari di intervento, garantire la presenza delle figure professionali necessarie. D’altro canto, soprattutto in questa fase, che si può definire ancora di scoperta delle possibilità della pet therapy, è necessario essere anche flessibili e aperti ad eventualità non previste, ma che possono aprire nuove e interessanti aree di intervento. Ad esempio, se nel corso di un lavoro programmato per migliorare le capacità motorie di un tetraplegico, si intuisce che, ai successi nell’ambito motorio, si accompagnano miglioramenti consistenti, ad esempio, nel campo dell’umore e della socialità, sarà opportuno non trascurare questo plusvalore che l’incontro con l’animale ha determinato e lavorare anche sugli aspetti psicologici del rapporto. A questo scopo, l’équipe che segue la terapia con animali dovrebbe essere il più possibile completa, comprendere cioè tutti i professionisti, dal neurologo al fisiatra, dallo psicologo al pedagogista, che sono in grado di individuare e di sfruttare al meglio anche le potenzialità non evidenti in fase di programmazione. Specifiche competenze professionali e integrazione dei ruoli all’interno dell’équipe sono quindi elementi essenziali sia per ottenere risultati soddisfacenti, sia per ampliare e approfondire le conoscenze in questo campo e sviluppare nuove metodologie. La discussione sulle competenze solleva una questione di fondamentale importanza nel settore delle terapie assistite da animali, cioè quella della formazione professionale degli operatori. Se è vero che psicologo, medico, psichiatra, terapista, ecc. hanno una preparazione e un ruolo professionale ben definito che li autorizza a intervenire in “qualunque” forma di intervento terapeutico di loro competenza, è altrettanto vero che, fino ad oggi, la preparazione specifica per operare nel campo della terapia assistita da animali è stata frutto di percorsi individuali che tuttora non sono sottoposti ad alcun controllo, né danno diritto ad alcun riconoscimento. Una ulteriore specifica formazione per tutti i professionisti che lavorano in questo campo risulta necessaria nella misura in cui la presenza dell’animale, nel contesto terapeutico, rappresenta una variabile non solo nuova, ma spesso imprevedibile, se non si possiedono adeguate conoscenze biologiche ed etologiche. Per rimanere nel campo della psicoterapia, mediatori, quali ad esempio il gioco della sabbia, l’espressione grafica e quella corporea, la musica, ecc. vengono introdotti, con successo, sempre più di frequente. Ma un animale, sebbene sia anch’esso, in un certo senso, un mediatore, è in primo luogo un essere vivente, dotato di spontaneità e iniziativa e rappresenta quindi una variabile del processo terapeutico che non può essere tenuta totalmente sotto controllo. A questo punto la capacità del terapeuta di conoscere e prevedere le reazioni dell’animale in un determinato contesto, gli dà la possibilità di modulare il proprio intervento con il paziente ed anche di condizionare l’animale, direttamente o con l’aiuto dell’addestratore, per modificarne il comportamento, in caso di necessità. Per fare un esempio pratico : immaginiamo che io stia lavorando con un bambino che teme i rumori forti e con un cane che tende ad abbaiare in situazioni di eccitazione. Nel momento in cui mi rendo conto che il gioco tra i due si sta facendo eccitante e che il cane potrà abbaiare, posso intervenire in vari modi, ad esempio riportando l’animale, o il bambino o entrambi in una situazione più rilassata, oppure preparando il bambino ad affrontare il fatto che il cane abbaierà e a contenere la sua reazione di paura. Se, al contrario, non conosco le reazioni dell’animale, posso trovarmi in una situazione difficile da controllare, dove l’abbaiare del cane scatena la fuga e gli urli del bambino, che a loro volta eccitano il cane in un parossismo che non è certo terapeutico. D’altra parte, per chi conosce bene l’animale, come l’addestratore, il veterinario o il biologo, l’essere umano presente in terapia, soprattutto se ha problemi comportamentali , come è vero per gran parte dei pazienti che si rivolgono alle terapie assistite da animali, rappresenta una fonte di input imprevedibili, che possono modificare il comportamento dell’animale, e solo una certa familiarità con le patologie trattate gli permetterà di inserirsi correttamente nell’interazione uomo-animale. Gli animali in psicoterapia Il ruolo dell’animale nel contesto psicoterapeutico ed educativo è anch’esso da studiare e definire con chiarezza. La “scoperta”, se così possiamo definirla, della terapia assistita dagli animali, da parte di Levinson, ha posto le basi per una prima tipologia di approccio, quella in cui l’animale favorisce l’instaurarsi della relazione terapeutica con il paziente ma, una volta che questa si è stabilita, viene allontanato, o comunque non viene più attivamente coinvolto. Attualmente sono più frequenti attività in cui la presenza dell’animale è costante nel corso del processo terapeutico o rieducativo. La sua funzione, e l’eventuale addestramento necessario per espletarla, variano a seconda del suo ruolo e dell’approccio del terapeuta. Poniamo, ad esempio, che l’interazione con l’animale venga utilizzata come ricompensa per l’effettuazione, da parte del paziente, di azioni considerate corrette. In questo caso è indispensabile un preventivo addestramento dell’animale, in modo che sia pronto a rinforzare la prestazione del paziente. Ad esempio, quando il bambino articola correttamente una frase, il cane riceverà dall’addestratore l’ordine di avvicinarsi, accucciarsi e lasciarsi accarezzare. E perché la sessione sia efficace, è necessario che questo avvenga solo, e sempre, quando viene richiesto. Diversamente, se l’ipotesi di lavoro è che il contatto con l’animale produca di per sé effetti che si ritiene facilitino l’intervento terapeutico o educativo (apertura di canali di comunicazione, rilassamento, continuità dell’attenzione) la situazione potrà essere meno strutturata e privilegiare gli scambi spontanei. In questo caso, l’animale può essere utilizzato come modello dell’”altro” con cui il paziente verrà invitato a sperimentare vari tipi di approccio. La sua risposta spontanea alle iniziative del paziente e le interazioni che ne derivano, insieme con gli interventi e, dove possibile, le interpretazioni del terapeuta, rappresenteranno l’aspetto terapeutico dell’incontro. In questo caso si cercheranno di valorizzare le doti caratteriali del singolo animale, che verrà scelto in base alla sua disponibilità al contatto con l’uomo, scarsa aggressività, tolleranza a situazioni nuove. Le reazioni dell’animale dovranno essere controllate solo qualora si rendano pericolose per le persone coinvolte, quindi, piuttosto che un addestramento specifico, sarà necessaria la creazione di un buon rapporto di reciproca conoscenza e collaborazione tra l’animale e i membri dell’èquipe. L’esperienza della terapia assistita dai delfini La via della spontaneità è quella che si è seguita nei programmi di delfinoterapia, sia per motivi a carattere teorico e metodologico, sia per motivi etici. A livello metodologico, si è ritenuto che l’interazione spontanea, la cui importanza è stata più volte sottolineata sia nella letteratura scientifica, sia nelle narrazioni in prima persona di chi ha avuto l’opportunità di immergersi con i delfini, costituisca un fattore fondamentale. L’incontro non strutturato viene percepito, molto più di qualunque attività programmata, come un evento eccezionale e profondamente coinvolgente. La persona immersa si sente accettata e apprezzata da queste creature così grandi e potenti. Ne risulta, in molti casi, uno stabile rafforzamento dell’autostima, della vitalità e della serenità. Anche nei casi in cui i pazienti non sono in grado di descrivere verbalmente le loro sensazioni, l’osservazione ha permesso di rilevare, durante gli incontri spontanei, una riduzione dei comportamenti sintomatici molto superiore a quella registrata nel corso di sessioni strutturate. Le considerazioni di carattere etico sono di per sé evidenti. I delfini si trovano in un ambiente molto circoscritto e, sebbene a Rimini i rapporti all’interno del gruppo e con gli addestratori siano ottimi, gli animali sono già sottoposti ad altre forme di addestramento. Riteniamo perciò importante non imporre, insieme alla nostra presenza, una ulteriore limitazione alla loro libertà, ma lasciar loro la possibilità di scegliere se e come interagire con le persone immerse. Sono stati finora prioritariamente inserite nei programmi persone affette da autismo e depressione. Queste patologie, caratterizzate entrambe da una grave ritrazione sintomatica dalla realtà circostante, hanno mostrato di reagire positivamente al lavoro con i delfini anche nelle esperienze e ricerche effettuate all’estero. L'ipotesi da cui si è partiti, infatti, condivisa da gran parte della letteratura al riguardo, è che il contatto con i delfini possa contribuire a stimolare le capacità di comunicazione, di espressione e, in definitiva, l'attenzione e l'interesse per l'”altro” e per il mondo esterno, in individui la cui tendenza all’isolamento è una componente significativa della patologia. La descrizione dei vissuti in delfinario deriva principalmente dalle testimonianze di pazienti in grado di esprimersi verbalmente e dalle interpretazioni, da parte dei genitori e di educatori esperti, delle espressioni e dei comportamenti dei bambini autistici. Il confronto incrociato delle osservazioni di persone diverse e l’analisi di quanto rilevato tramite osservazioni scientifiche e testimonianze dirette, raccolte in Italia e all’estero, mi fanno ritenere che il quadro presentato possa rispecchiare, con una certa accuratezza, anche le esperienze dei bambini privi di capacità linguistiche. Alcune caratteristiche dell’esperienza con i delfini mi sono sembrate rilevanti dal punto di vista terapeutico. Prima fra tutte la forte sollecitazione a livello emotivo e sensoriale determinata dal contatto con questi animali, che genera vissuti profondi a livello pre-logico e pre-concettuale. Tali sollecitazioni sono in parte dovute all’immersione nell’acqua, che di per sé sostiene il peso e accresce la percezione dei limiti del corpo e la fluidità dei movimenti, ma soprattutto al clima emotivo determinato dalla presenza dei delfini. Infatti, come vedremo in seguito parlando del caso di F., le attività in piscina hanno effetti di gran lunga meno significativi di quelle in delfinario. In delfinario il bambino, ma anche il paziente adulto, hanno la percezione di essere al centro di un evento eccezionale, che contribuisce ad accrescere l’autostima. I delfini sono creature grandi e potenti, che in un primo momento possono incutere timore. Ma proprio questa apprensione iniziale ha l’effetto di galvanizzare l’attenzione di chi è immerso, che si mantiene anche quando l’aspetto “sorridente” e il comportamento giocoso del delfino portano rassicurazione e rilassamento. Durante i programmi di terapia assistita dai delfini, inoltre, il paziente si trova in un ambiente profondamente diverso da quello medicalizzato, dello studio professionale o dell’ospedale, e percepisce che l’altro essere con cui entra in contatto, il delfino, non gli richiede certo prestazioni particolari né è lì per valutarlo o giudicarlo. Lo scambio si basa sul rispetto reciproco e sulla giocosa capacità dei delfini di difendere la propria autonomia e di rispettare quella altrui, ad esempio mantenendo una distanza interpersonale di solito adeguata al clima emotivo dell’incontro. Si è supposto perciò che la presenza dell'animale potesse accrescere nei pazienti l'interesse per l'interazione, che inizialmente si sarebbe rivolta verso l'animale stesso, e che successivamente si sarebbe allargata, anche grazie all’intervento dell’operatore, alle persone significative per il paziente, evolvendosi in forme differenti a seconda della patologia, del carattere del paziente, e dell'intervento terapeutico/educativo. Nel 1996 è stato effettuato un programma di ricerca cui hanno collaborato con interesse e competenza i componenti dell’équipe dell’associazione Arion, che colgo l’occasione per ringraziare calorosamente. I dati raccolti tramite test, videoregistrazioni e osservazioni, sono molti, e sono ancora in corso di elaborazione. Tra poco una delle operatrici che ne ha approfondito lo studio, presenterà alcuni aspetti del caso di F., un bambino autistico di 12 anni che ha partecipato al programma. Terapie con animali e integrazione L’integrazione nel percorso evolutivo individuale delle modificazioni del comportamento, acquisite nel corso di programmi di terapia assistita non solo dai delfini, ma anche da altri animali, rimane infatti un tema aperto agli ulteriori necessari contributi degli psicologi, e degli altri specialisti che operano in questo campo. La domanda fondamentale a cui è necessario dare una risposta esauriente è : quali strategie di intervento si rendono necessarie perché il cambiamento indotto dall’incontro con l’animale diventi una acquisizione stabile ? Appare accertato che il contatto con l'animale è un'esperienza emotivamente significativa e rasserenante per gli esseri umani, è ora necessario individuare percorsi ben determinati per ottenere che l'apertura che si determina nei confronti dell'animale venga estesa ai rapporti con gli esseri umani. Bisogna definire e verificare metodologie che rispettino la novità dell’approccio, pur garantendone il rigore e la correttezza, e che siano generalizzabili a diversi tipi di terapie con animali, consentendo un ampio confronto tra gli operatori. Il problema si pone soprattutto con pazienti gravi e con scarse capacità di astrazione simbolica, generalizzazione e verbalizzazione. Infatti, sempre facendo riferimento all’esperienza con i delfini, gli adulti depressi, nelle sedute terapeutiche, individuali e di gruppo, che seguono le immersioni, sono di solito in grado di rievocare l’esperienza e di collegarla ad altre circostanze della loro vita, raggiungendo spesso insight significativi, o comunque rendendo consapevoli problematiche relazionali suscettibili di essere elaborate nel successivo percorso terapeutico. Per i bambini autistici, invece, anche nei casi in cui lo spontaneo contatto con i delfini ha portato alla luce capacità di comunicazione adeguate al contesto e insospettabili in altre circostanze, è indispensabile un’ampia collaborazione delle famiglie e degli educatori, per elaborare strumenti di integrazione ed evitare che il comportamento comunicativo rimanga per lo più circoscritto alla situazione specifica. In questi casi è infatti necessario un percorso educativo prolungato, atto a colmare il gap determinato dalla difficoltà del bambino a essere pienamente consapevole delle sue esperienze e dei suoi vissuti ed a comunicarli. Attualmente, stiamo sottoponendo a verifica l’efficacia di un programma educativi individuali, messi a punto con la Cattedra di Pedagogia Speciale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, e volti a sfruttare le specifiche potenzialità di ogni bambino. Questi programmi prevedono che, nel corso delle sedute riabilitative, che si svolgono fuori del delfinario, si riescano a riprodurre, anche in assenza dell’animale, alcuni degli stimoli usualmente convogliati dall’animale stesso, che facilitano la comunicazione. Viene perciò utilizzato il potere evocativo che hanno le immagini (anche videoregistrate) e i suoni emessi dai delfini e, nelle sessioni in piscina, vengono riprodotti dall’educatore alcuni dei comportamenti interattivi usuali nei delfini. Si ritiene sia possibile, in questo modo, ricreare nei bambini lo stato di rilassamento e concentrazione indotto dai delfini, che favorisce la riduzione dei comportamenti sintomatici e la continuità dell’attenzione, facilitando l’apprendimento. Le prospettive della terapia con i delfini, come di quelle con altri animali, sono incoraggianti. A livello emotivo, e nell’immaginario della specie umana, l’animale riflette fantasie e aspettative legate a una parte profonda del nostro essere. Gli animali sono esseri potenti, primitivi, istintuali, che possono incutere timore ma che, una volta diventati nostri alleati, possono aiutarci a ritrovare, ad esempio in momenti di lutto, di isolamento, di calo delle energie e dell’autostima, quel istinto vitale, primitivo, non razionale e non verbale, che ci apre al mondo e ci stimola a nuove esperienze. La lupa, predatore per eccellenza per il popolo di pastori che fondò l’antica Roma, può diventare nutrice affettuosa, e aiutare Romolo e Remo a sopravvivere. La Bestia della fiaba, all’inizio percepita come pericolosa e aggressiva, diventa poi il miglior aiuto e sostegno per la Bella, una volta che quest’ultima ne ha compreso la natura profonda : impetuosa e istintuale ma anche ricca e generosa.