Pio XII ei “silenzi” che salvarono gli ebrei

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La Chiesa durante la seconda guerra mondiale
Pio XII e i “silenzi”
che salvarono gli ebrei
Piersandro Vanzan S.J. - Redattore “La Civiltà Cattolica“, Roma
In tre recenti libri troviamo l’ennesima e ben documentata smentita
della «leggenda nera» che avvolse la figura e l’opera di quel grande
Pontefice, trovatosi a guidare la Chiesa
in un periodo storico tra i più critici dell’umanità
La storia degli ebrei in Europa
negli anni 1930-45 è «un dramma
tutto particolare e inspiegabile: la
Shoah. Perciò è difficile scrivere la
storia di qualcosa di poco decifrabile nell’ordine della ragione politica o economica, ma anche non interpretabile col senso comune di
umanità»1. Una tragedia su cui peraltro recentemente è calata
un’ombra assurda: il «negazionismo». Come ha scritto Anna Foa,
«il negazionismo non è un’interpretazione storiografica, né una
corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal
nazismo, né una forma sia pur radicale di revisionismo storico, bensì una tragica menzogna che si copre del velo della storia, che prende un’apparenza scientifica per coprire il vero movente: l’antisemitismo». L’odio antiebraico, infatti, è
all’origine di questa negazione e
riaffiora già nel primo dopoguerra, «riallacciandosi idealmente al
progetto stesso dei nazisti, quando
coprivano le tracce dei campi di
sterminio, radevano al suolo le camere a gas e schernivano i deportati dicendo loro che, se anche fossero riusciti a sopravvivere, nessuno al mondo li avrebbe creduti»2.
E invece ci pensò la storia a vanificare, tragicamente ma alla grande, quelle previsioni. Così, quando
il generale D. Eisenhower, coman-
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dante delle Forze alleate, vide l’orrore dei lager, ordinò non solo di riprendere il maggior numero possibile di foto e filmati, ma anche di
portare i tedeschi di quelle zone a
seppellire tutti quei morti cosicché,
proprio toccando con mano quella
barbarie, ne riportassero una memoria incancellabile. Quella che si
ha ancor oggi leggendo i mille documenti giunti fino a noi3 per dirci
che solo ricordando l’umanità potrà evitare il ripetersi di tali orrori.
L’oblio della memoria, infatti genera mostri! Una memoria che però,
insieme alle tenebre della follia nazifascista, deve ricordare le tante
stelle che brillarono in quella notte, opponendo alle perversioni dei
carnefici e alle omissioni dei pavidi
la solidarietà dei «giusti»4, che prepararono una nuova alba. Tra quelle stelle brilla l’opera caritativa della Chiesa in genere e di Pio XII in
particolare, su cui la bibliografia è
ormai immensa5. Ma nel 1963 comincia una strana inversione di
tendenza, accusandolo di gravi silenzi o, peggio, di complicità.
La questione dei silenzi pacelliani, nata in ambito comunista subito dopo la guerra – quando il mondo si andava dividendo nei blocchi
contrapposti della guerra fredda6 –,
esplose però alla grande la sera del
20 febbraio 1963 quando, al teatro
Kurfürstendamm di Berlino, fu
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rappresentato il dramma di Rolf
Hochhunt, Il Vicario, che accusava
il Papa di viltà o, peggio, di complicità. Ciò in base a un rapporto dell’ambasciatore tedesco presso la
Santa Sede, von Weizsäcker, che diceva: «Benché sollecitato da ogni
parte, il Papa non si è lasciato trascinare in nessuna censura dimostrativa della deportazione degli
ebrei di Roma»7. Da allora le tesi
più fantasiose sono nate intorno ai
«silenzi» di Pio XII – a opera di
una storiografia partigiana, ideologicamente orientata, e di una stampa costantemente alla ricerca dello
scoop – , ma chiediamoci: era opportuno in quei frangenti pronunciare condanne solenni dell’antisemitismo nazista? E, se sì, a quale
prezzo tanto dei cattolici quanto
degli stessi ebrei? Parlando anacronisticamente, col senno di poi, è facile dire che tale pronunciamento
darebbe oggi alla Chiesa un attestato di grandezza morale, non valutando però che allora esso avrebbe
causato danni peggiori. Pacelli preferì, alla grandezza delle parole –
che non mancarono: radiomessaggi, allocuzioni e discorsi vari –, la
concretezza dei fatti e salvando così molti ebrei. Come documentano
i tre libri che presentiamo, di ciascuno però evidenziando gli apporti specifici, onde evitare troppe
ripetizioni.
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Pio XII. La verità ti farà libero
Il libro di Margherita Marchione8 riunisce il meglio delle sue ricerche precedenti, con l’obiettivo di
mostrare come quella dei «silenzi»
fosse l’unica tattica per evitare il
peggio. Nella prefazione il card.
Bertone scrive: «È chiaro che Papa
Pacelli non era favorevole al silenzio ma, al contrario, era di una parola intelligente e strategica, come
dimostrato nel radiomessaggio per
il Natale del 1942, che fece infuriare Hitler» (p. 16). Perciò «è ingiusto stendere un velo di pregiudizio
sull’opera di Pio XII, dimenticando non soltanto il contesto storico
ma anche l’immensa opera caritativa che egli promosse […]. Le direttive date da Pio XII per radio, attraverso la stampa e i canali diplomatici, erano chiare: “Azione, non
lamento, è il precetto dell’ora”» (p.
21). E nonostante il processo di
beatificazione in corso abbia fugato ogni dubbio, alcuni gruppi di
ebrei continuano a sostenere quella «leggenda nera»9, trascurando
questo punto fondamentale: Pio
XII, visto l’inutilità delle proteste,
scelse di aiutare i perseguitati, ma
lavorando silenziosamente, attraverso i Nunzi apostolici, esortando
tutti i cattolici alla solidarietà cristiana e ordinando, nel 1943, ai conventi di Roma di aprire le porte ai
braccati, specie ebrei. Non a caso
Golda Meir, Ministro degli Esteri e
Primo Ministro dello Stato di Israele, alla notizia della sua morte diffuse questo messaggio: «Partecipiamo al cordoglio dell’umanità […].
Quando un tremendo martirio si
abbatté sul nostro popolo, la voce
del Papa si levò in nome delle vittime. La nostra vita fu illuminata dal
suono di quella voce, rivelatrice di
grandi verità morali, facendole germogliare dai tumulti bellici quotidiani. Piangiamo la scomparsa di
un grande servo della pace». E il
rabbino Joachim Pinz, presidente
nazionale del Congresso Americano Ebraico, disse: «Tra i suoi grandi contributi all’umanità, il ponte-
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fice sarà ricordato […] per la sua
profonda devozione alla causa della pace e per gli sforzi nel salvare
migliaia di ebrei dalla persecuzione
nazista» (p. 26)10.
L’interesse di Pacelli per la questione ebraica risale al 1915 quando, in seguito alla richiesta di condannare l’antisemitismo presentata
a Benedetto XV da un gruppo di
ebrei americani, nel febbraio 1916
il card. Gasparri, Segretario di Stato, firmò questo documento preparato da mons. Pacelli: «La Chiesa
Cattolica, fedele alla sua dottrina
divina, considera tutti gli uomini
come fratelli e insegna loro ad
amarsi […] e non cessa mai di inculcare tra gli individui, come pure
tra i popoli, l’osservanza dei princìpi della legge naturale e di condannare tutto ciò che è contrario.
Questa legge dev’essere osservata e
rispettata nei riguardi dei figli
d’Israele, come pure di tutti gli uomini» (p. 31). Eletto al soglio pontificio, il giorno dopo (2 marzo
1939) nel suo primo radiomessaggio ammoniva: «La pace, un dono
di Dio desiderato da tutti gli uomini giusti, è il frutto di amore e di
giustizia» (p. 42), e nei mesi successivi continuò sia a raccomandare la
pace, anche con interventi diplomatici presso i Paesi belligeranti, sia
a difendere i perseguitati e le vittime della guerra, anche con interventi risoluti e non proprio canonici11. Tanto che il 12 marzo 1944
poté dire: «Non vi è sforzo che non
facessimo, né premura che tralasciassimo, perché le popolazioni
non incorressero negli orrori della
deportazione e dell’esilio; e quando la dura realtà venne a deludere
le Nostre attese, mantenemmo tutto in azione per attenuarne almeno
il rigore» (p. 33).
Quando nel giugno 1940 Mussolini si unì a Hitler e i giornali furono censurati, la Radio Vaticana
denunciò nelle varie lingue quanto
succedeva in Polonia, avvertendo i
cattolici sulla persecuzione degli
ebrei con queste parole: «Chi fa distinzioni tra ebrei e gli altri uomini
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non è fedele a Dio ed è in conflitto
con i comandamenti di Dio» (p.
34). Il 29 giugno 1941 il Papa interviene denunciando le sofferenze inflitte a «persone anziane, donne,
bambini […] e le persecuzioni religiose», usando questa formula
criptica ma rivelatrice: «La stessa
preoccupazione per quelli che soffrono non permette di rivelare pienamente tutto il dettaglio doloroso
e commovente». E nel messaggio
natalizio del 1942 torna sulla persecuzione contro «quelle centinaia
di migliaia che, senza colpa, qualche volta solamente per ragione
della loro nazionalità o razza, sono
state designate alla morte o all’estinzione progressiva» (p. 43),
esortando i cristiani a fare qualcosa12. In breve, «non si può negare
che il Vaticano abbia salvato centinaia di migliaia di ebrei e di altri rifugiati in Europa. […] Né si possono ignorare gli sforzi da lui compiuti, gli aiuti finanziari dati […] e
di ogni genere offerti nei conventi
e nei monasteri di tutta Europa,
compreso il Vaticano e Castel Gandolfo» (p. 46)13.
Senza dimenticare che all’Ufficio Informazioni, istituito dal Vaticano per aiutare le famiglie, le donne sole, i bambini abbandonati a ricercare i parenti dispersi o prigionieri di guerra – attivo dal 1939 al
’47 – , giunsero oltre 20 milioni di
richieste di assistenza che la Santa
Sede, tramite le Nunziature e le Delegazioni apostoliche presenti nei
Paesi europei, cercò di soddisfare
(p. 85)». Un’operazione che richiedeva interventi molto abili, per non
insospettire gli uffici competenti
nazifascisti. Un’abilità che, insieme
a quella della cautela nei pronunciamenti ufficiali vaticani, era tanto più necessaria in quanto, come
sappiamo proprio da A. von Kessel,
citato ne Il Vicario quale collaboratore dell’Ambasciatore tedesco in
Vaticano von Weizsächer: «Hitler
era capace di ogni isterismo. Aveva
sempre ventilato la possibilità di far
prigioniero il Papa e di deportarlo
nel Grande Reich. […] Noi erava-
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mo, senza eccezione, d’accordo su
un punto: una protesta solenne di
Pio XII, contro la persecuzione degli ebrei, avrebbe esposto lui e tutta
la Curia Romana al massimo pericolo e certamente, nell’autunno del
1943, non avrebbe salvato la vita a
un solo ebreo» (p. 124).
La Santa Sede e la questione
ebraica (1933-1945)
Il libro di Alessandro Duce14 rivisita l’opera svolta dalla Santa Sede e dalle sue strutture diplomatiche nel periodo che va dall’avvento
di Hitler al 1945, ma approfondendo quanto già visto nel libro precedente circa l’attenzione riservata da
Pio XI al problema ebraico. Fin da
quando cioè Hitler, ormai al potere
(1933), faceva dichiarazioni rassicuranti verso le confessioni cristiane, ma Edith Stein15 profeticamente scriveva a Papa Ratti: «La guerra
contro il cattolicesimo si svolge in
sordina e con sistemi meno brutali
che contro il giudaismo, ma non
meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perché nessun
cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta
senza condizioni al nuovo corso»
(p. 35). Di lì a poco, la Santa Sede
per tutelare i diritti dei cattolici
– compresi gli ebrei battezzati –
avrebbe firmato un Concordato
con la Germania nazista ma, di
fronte alla mancata applicazione
delle norme relative agli ebrei, il Segretario di Stato, card. Pacelli, denunciava «l’ignobile comportamento tedesco» e lamentava che ormai il Concordato, «senza garantire ciò che si era auspicato e sottoscritto, può evitare soltanto sviluppi peggiori, cioè una vera e propria
persecuzione» (p. 43). È qui abbozzato il difficile equilibrio che diventerà essenziale nel pontificato di Pio
XII: affermare con forza i princìpi
cristiani di uguaglianza, carità e
giustizia, ma insieme procedere
cautamente per non scatenare la furia nazista.
Molto dotato culturalmente e
32
preparato anche teologicamente,
Pacelli fece una lunga esperienza diplomatica: prima come Nunzio in
Baviera e in Germania (1917-1929),
poi come Segretario di Stato di Pio
XI. Eletto al soglio pontificio in piena crisi europea, si prodigò nell’estremo tentativo sia di favorire
una pace ormai compromessa, sia
di fronteggiare l’aberrazione delle
leggi razziali. E quando tutto risultò vano, a Pio XII non restò che tentare di ridurre i danni mediante
l’opera assistenziale consentita dalla neutralità vaticana e i contatti ufficiali col Reich, proprio in funzione di quell’opera umanitaria16. Ciò
tuttavia non gli impedì di affrontare ripetutamente «il dramma della
guerra e la necessità di farvi fronte
con il ritorno a valori morali cristiani, con un’azione caritativa di
largo respiro e con un’immediata
riduzione della violenza bellica».
Così, nel marzo del 1940, primo anniversario della sua elezione, «ricorda la vocazione alla vera libertà del
genere umano e riafferma le basi
della dottrina cristiana fondata sulla fraternità e sulla carità universale» (p. 180). E il 21 dicembre 1940
scrive al Segretario di Stato, card.
Maglione, di potenziare i soccorsi
alle vittime della guerra e nel 1941
interviene ripetutamente contro le
atrocità del conflitto e richiama i
belligeranti alla necessità di ristabilire una pace giusta. In particolare,
nel radiomessaggio pasquale scongiura le potenze occupanti a trattare le popolazioni in modo umano,
e in quello natalizio torna a denunciare gli orrori della guerra e chiede di agire «secondo i valori della
Civiltà Cristiana» (p. 251)17.
Intanto l’occupazione nazista
mostrava tutta la sua ferocia, specie
in Olanda, dove furono eseguite deportazioni in massa degli ebrei. I
vescovi olandesi reagirono denunciando il fatto con lettera pastorale18, ma ciò scatenò un’altra retata
di ebrei, l’occupazione di edifici religiosi e la deportazione di preti e
suore. Appreso ciò Pio XII, che stava preparando un radiomessaggio
di protesta, optò per il silenzio, onN. 69-70/09
de evitare ulteriori violenze. Tuttavia non mancarono le denunce19,
tanto che la sua voce «fu la più autorevole, se non l’unica, che con insistenza si levò in loro difesa. Fu una
testimonianza forte della coscienza
umana e cristiana di fronte alla violenza bellica e alle più moderne degenerazioni.» (p. 255). Ma senza
mai alzare i toni, come raccomandò al Collegio Cardinalizio il 2 giugno 1943, ribadendo l’impegno
della Chiesa nell’aiutare tutti, ebrei
e non20, ma insieme raccomandando di evitare reazioni peggiori21. In
breve, Pio XII denunciò i misfatti e
aiutò i perseguitati, ma sempre con
toni e forme che evitassero il peggio. Certo, questa strategia «ha
comportato dei prezzi da pagare,
delle rinunce da compiere, dei compromessi da gestire e ha reso meno
splendente l’immagine della Chiesa». Ma non è lecito sostenere che
«a espressioni più forti, esplicite e
pubbliche sarebbero seguite reazioni più convinte da parte del mondo
cattolico e una maggiore prudenza
da parte del mondo tedesco: poteva verificarsi l’opposto» (p. 394).
Pio XII tra storia, politica e fede
Nel libro di Alexandra von Teuffenbach22 è ricostruita l’opera di
Pacelli nei 19 anni di pontificato,
ma risalendo ai suoi tratti di base:
la preparazione avuta, la serietà con
la quale intraprese la via del sacerdozio e poi ogni altro impegno. Per
quanto riguarda la giovinezza, troviamo l’amicizia si Pacelli con un
compagno di classe ebreo, Guido
Mendes – che ricorda: «Il temperamento mite lo rendeva, naturalmente alieno alla lotta. Ma seppe essere impavido, combattente, ogni
volta che lo richiedessero la tutela
della verità, della giustizia e il bene
delle anime» (p. 27) – ; le visite all’immagine della Madonna della
Strada; la meticolosità nello studio,
la riservatezza nei rapporti personali e, infine, la decisione (estate
1894) di farsi sacerdote. Finiti gli
studi teologici all’Università Grego-
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riana e ordinato sacerdote nel 1899,
grazie alle sue doti fu chiamato alla
Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari. Consacrato arcivescovo il 13 maggio 1917, Benedetto XV lo inviò Nunzio a Monaco di Baviera in piena guerra mondiale, dove apprese come la neutralità vaticana potesse servire un
obiettivo fondamentale: «Ottenere
la fiducia delle potenze belligeranti
per poter così facilmente costruire
la base necessaria per offrire un valido aiuto a coloro che soffrivano a
causa della guerra» (p. 67), specialmente i prigionieri di guerra e le
vittime civili, che andò più volte a
visitare23.
Nel dicembre 1929, il nuovo Papa Pio XI lo richiamò a Roma e lo
nominò Segretario di Stato. Dal 19
ottobre 1933 al 12 marzo 1937,
quindi mentre il nazismo e la folle
teoria della razza pura si affermavano in Germania, Pacelli inviò ben
70 lettere di protesta al governo tedesco, denunciando le ripetute violazioni del Concordato, e partecipò
attivamente alla stesura dell’enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI
che, letta nelle chiese tedesche malgrado i divieti del regime la domenica delle Palme 1937, affermava:
«La Chiesa di Cristo non può gemere e a deplorare solo quando gli altari vengono spogliati e mani sacrileghe mandano in fiamme i santuari. Quando si cerca di profanare il
tabernacolo dell’anima del fanciullo, santificata dal battesimo, con
l’educazione anticristiana, quando
viene strappata da questo vivo tempio di Dio la fiaccola della fede,
[…], allora la profanazione del
tempio è vicina e ogni credente deve scindere la sua responsabilità da
quella della parte contraria e la sua
coscienza da qualsiasi peccaminosa
collaborazione e tale nefasta distruzione» (p. 142).
Eletto al soglio pontificio (1
marzo 1939), i fautori della «leggenda nera» obiettano che nel primo radiomessaggio avrebbe dovuto essere più coraggioso, dimenticando però che «ogni sua parola
poteva provocare ulteriori difficol-
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tà a coloro che vivendo sotto differenti dittature riponevano in lui la
propria fiducia» (p. 161)24. Perciò
preferì mettere l’accento sul tema
della pace e il 24 agosto 1939, appreso che Hitler voleva invadere la
Polonia, attraverso la Radio Vaticana disse «ai Governanti e ai popoli
che nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra» (p.
166). Purtroppo furono parole al
vento. Scoppiata la guerra, Pio XII
– memore dell’importanza della
neutralità, almeno tattica, imparata da Benedetto XV – da un lato
non volle «rischiare la vita dei cattolici di mezza Europa facendo dichiarazioni altisonanti contro la
dittatura tedesca» e, dall’altro, «preferì l’azione. E dal momento che
quella sua personale avrebbe dato
troppo nell’occhio, lasciò fare al gesuita Robert Leiber25, suo fedele
collaboratore» (p. 178), ch aveva
molti contatti in Germania, anche
con gli esponenti della resistenza tedesca impegnati nel trattare con gli
Alleati. Ricorda padre Leiber: «Pio
XII ha voluto inoltrare, per non lasciare nulla d’intentato, alcune richieste della resistenza tedesca ai responsabili in Inghilterra e le loro risposte ai responsabili tedeschi. Tutto ciò si svolse in assoluto silenzio,
coinvolgendo pochissime persone»,
anche perché «il Papa avrebbe corso notevoli rischi nel caso in cui fosse trapelato anche solo qualcosa di
questi contatti […]. Sarebbe venuta a mancare, infatti, la neutralità
della Santa Sede e Hitler avrebbe
avuto un pretesto molto comodo
per “inghiottire” il piccolo Stato e
con esso tutti i cattolici fedeli al Papa» (176 s)26.
Di fatto, molti scampati al rastrellamento tedesco del ghetto romano, il 16 ottobre 194327, riuscirono a salvarsi grazie all’ospitalità
di amici e soprattutto di conventi e
altre istituzioni cattoliche, nonostante Radio Roma ripetesse l’annuncio della pena di morte per chi
aiutava i fuggitivi e sui muri i bandi ribadivano quella minaccia. In
particolare ricordiamo il Laterano
– la cui extraterritorialità favorì nuN. 69-70/09
merosi e rocamboleschi maxisalvataggi28 – ; l’Università Gregoriana,
su esplicita richiesta del Pio XII al
rettore padre Dezza; l’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, che
protesse gli ebrei ricoverandoli per
la cosiddetta «Sindrome K» – dove K stava per Kesserling: analoga
tattica utilizzò l’Istituto Dermatologico Italiano, dei religiosi dell’Immacolata Concezione – ; il convento francescano di San Bartolomeo,
dove i rifugiati vestivano il saio come gli altri; le case salesiane (in particolare quella alle Catacombe di
San Calisto); le Suore di Sion e quelle di Nostra Signora di Namur: la
cittadella del Granicolo e il monastero camaldolese di San Gregorio
e altri, cui il Papa tolse la clausura
per favorire quell’accoglienza29.
Finita la guerra, Pio XII continuò nella sua campagna di aiuti
verso tutti i dispersi e prigionieri di
guerra, e anche quando si acuì la
guerra fredda non smise di parlare
di pace, rimanendo fedele alle responsabilità che Cristo gli aveva
imposto. «Sapeva che cosa gli
avrebbero addebitato, come lo
avrebbero aggredito. Era conscio
dell’epoca difficile in cui era vissuto e sapeva che non era riuscito ad
accontentare tutti. Ma questo non
era neanche il suo compito. Non
doveva, infatti, rendere conto agli
uomini, ma solo a Dio» (p. 293).
Perciò nel testamento spirituale (15
maggio 1956, due anni prima di
morire) scrisse: «Miserere mei
Deus, secundum (magnam) misericordiam tuam. Queste parole che,
conscio di esserne immeritevole,
pronunciai nel momento in cui
diedi tremando il mio sì all’elezione a Sommo Pontefice, con tanto
maggior fondamento le ripeto ora
in cui la consapevolezza delle deficienze, delle manchevolezze, delle
colpe commesse durante un così
lungo pontificato e in un’epoca così grave ha reso più chiara alla mia
mente la mia insufficienza e indegnità. E chiedo umilmente perdono a quanti ho potuto offendere,
danneggiare con parole e con opere» (p. 294).
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NOTE
1 A. RICCARDI, L’inverno più lungo.
1943-44:Pio XII gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma-Bari, 2008, 5 e Civ.
Catt. 2009 II, 620-622.
2 Cfr. Oss. Rom., 26-27 gennaio 2009;
cfr. anche la ricostruzione della complessiva tragedia degli ebrei nel sec. XX in A.
FOA, Diaspora. Storia degli ebrei nel ’900,
Bari-Roma, Laterza, 2009 (Civ. Catt.
2009 II 629-631).
3 Cfr. Storia della Shoah, a cura di M.
CATTARUZZA - M. FLORES - S.L. SULLAM E. TRAVERSO, Torino, Utet, 2005, voll. 5:
in particolare vol. III, 86-165, «La prova
visiva», e vol. II, 744-806, «L’atteggiamento delle Chiese», con lo zoom su Pio
XII.
4 Cfr. I. GUTMAN - B. RIVLIN (edd.), I
Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono
gli ebrei 1943-1945, Milano, Mondadori,
2005 (Civ. Catt. 2006 IV 515 s); M. GILBERT, I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, Roma, Città Nuova, 2007
(Civ. Catt. 2007 IV 259-266); H. MOLL
(ed.), Testimoni di Cristo. I martiri tedeschi sotto il nazismo, San Paolo, Cinisello
B. (Mi) 2007 (Civ. Catt. 2008 I 50-59).
5 Cfr. una visione complessiva in G.
SALE, Hitler, la Santa Sede e gli Ebrei, Milano, Jaca Book, 2004, mentre P. E. LAPIDE, Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del nazismo, Milano, Mondatori, 1967, calcola in oltre
500.000 gli ebrei salvati dalla Chiesa in
Europa. Per quelli salvati a Roma (circa
4.500) cfr. A. GASPARI, Nascosti in convento, Ancora, Milano, 1999; ID., Gli Ebrei
salvati da Pio XII, Logos, Roma, 2001; A.
FALIFIGLI, Salvàti dai conventi. L’aiuto della Chiesa agli ebrei di Roma durante l’occupazione nazista, Cinisello B. (Mi), San
Paolo, 2005, con in Appendice interviste
ai sopravissuti e resoconti dei principali
salvataggi.
6 Cfr. G. SALE, «La nascita della “leggenda nera” su Pio XII», in Civ. Catt.
2009 I 591-543, e G. M. Vian, che spiega
in questi termini l’avversione comunista
verso Papa Pacelli: «La linea assunta negli anni del conflitto dal Papa e dalla Santa Sede, avversa ai totalitarismi ma tradizionalmente neutrale, nei fatti fu invece favorevole all’alleanza antihitleriana e
si caratterizzò per uno sforzo umanitario senza precedenti, che salvò moltissime vite umane. Ma questa linea fu comunque anticomunista e perciò, già durante la guerra, il Papa cominciò a essere additato dalla propaganda sovietica
come complice del nazismo e dei suoi or-
34
rori» (In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia, a cura di G. M. VIAN, Venezia,
Marsilo, 2009, 8 e recensione in
Civ.Catt…).
17 A. TORNIELLI, Pio XII. Il papa degli
ebrei, Casale M. (Al), Piemme, 2001, cit.,
8. A parte la falsità oggettiva dell’affermazione, come vedremo, quell’atteggiamento non fu «silenzio pavido» bensì
«doppio gioco strategico». Come mai
nessuno rimprovera i silenzi degli USA
o dell’URSS o della Gran Bretagna, che
pure sapevano del genocidio in atto ma
non fecero nulla per impedirlo? Cfr. R.
F. ESPOSITO, Processo al Vicario. Pio XII e
gli ebrei secondo la testimonianza della
storia, Torino, SIAE, 1964.
18 M. MARCHIONE, Pio XII. La verità
ti farà libero, Città del Vaticano, Lev,
2008. La Marchione ha già pubblicato:
Pio XII e gli ebrei, Roma, Logos, 1999; Pio
XII architetto di pace, Roma, Pantheon,
2000; Il silenzio di Pio XII, Milano, Sperling & Kupfer, 2002; Crociata di carità.
L’impegno di Pio XII per i prigionieri della seconda guerra mondiale, ivi, 2006.
19 Come ha fatto I. Herzog, Ministro
per gli Affari sociali d’Israele, nel quotidiano Hareetz, contestando la beatificazione di Pio XII perché non vi sarebbero prove «di provvedimenti presi dal Papa in favore degli ebrei durante il secondo conflitto mondiale» (Avvenire, 18 ottobre 2008). In risposta il card. Bertone
ha fatto notare che il processo canonico
in atto prova il contrario e conferma
quanto disse nel 1965 Paolo VI, annunciando in Concilio l’avvio delle cause di
Pio XII e Giovanni XXIII: «Sarà così assicurato alla storia il patrimonio della loro eredità spirituale; sarà evitato che alcun altro motivo, che non sia il culto della vera santità e cioè la gloria di Dio e
l’edificazione della sua Chiesa, ricomponga le loro autentiche e care figure per
la nostra venerazione e quella dei secoli
futuri». E Benedetto XVI, celebrando in
San Pietro la memoria di Pio XII, ha
esortato a pregare «perché prosegua felicemente la causa di beatificazione»
(Oss. Rom., 7 novembre 2008).
10 Sono soltanto due tra le molte testimonianze pubblicata dal New York Times, insieme all’elenco di quanti vollero
esprimere il loro cordoglio per la morte
del Papa.
11 È quanto sottolinea anche Paolo
Mieli che, tra l’altro, ricorda come già all’inizio della guerra il Papa criticò l’apatia della Chiesa francese nei confronti del
regime di Vichy e l’antisemitismo dello
slovacco mons. Jozef Tiso, mentre nel
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1939-40 appoggiò i progetti di cospirazione contro Hitler. Poi, nel giugno 1941,
quando l’invasione tedesca dell’Unione
Sovietica non trovò pronto il mondo occidentale a stringere accordi con l’Urss
– data la precedente alleanza con la Germania – , Pio XII condannò quei tentennamenti e si adoperò per favorirne l’alleanza con Gran Bretagna e Stati Uniti
(cfr. In difesa di Pio XII. Le ragioni della
storia, cit., 20).
12 Tanto che il New York Times scrive: «In questo Natale più che mai, il Papa è una voce solitaria che grida nel silenzio di un continente» (p. 44). Già il 23
dicembre 1940 A. Einstein aveva scritto,
in Time Magazine: «Soltanto la Chiesa ha
osato opporsi alla campagna di Hitler,
tesa a sopprimere la verità. Non ho mai
avuto uno speciale interesse verso la
Chiesa prima, ma ora sento generale affetto e ammirazione perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la forza costante di stare dalla parte della verità intellettuale e della libertà morale» (p. 38).
13 Come osserva Paolo Mieli, tale accoglienza gli ebrei non l’incontrarono
«in nessun luogo del modo, neanche negli Stati Uniti» (In difesa di Pio XII…, cit.,
19).
14 A. DUCE, La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), Roma, Studium, 2006. Cfr. anche M.L. NAPOLITANO - A. TORNIELLI, Il Papa che salvò gli
ebrei, Casale M. (Al), Piemme, 2004.
15 Edith Stein morì il 9 agosto 1942
nelle camere a gas di Auschwitz, dopo essere stata prelevata dal Convento del
Carmelo di Echt in Olanda insieme alla
sorella Rosa, anche lei convertita al cattolicesimo. La filosofa ebrea, carmelitana fin dal 1933, affrontò quella morte
violenta esplicitamente offrendo la sua
vita per redimere l’umanità dal baratro
in cui l’aveva precipitata il nazismo. Cfr.
M. GILBERT, I Giusti. Gli eroi sconosciuti
dell’Olocausto, cit., 611s.
16 Contatti grazie ai quali la Santa Sede ottenne molti visti per trasferire in
America Latina non pochi ariani braccati nei Paesi occupati dai nazisti.
17 A. TORNIELLI, Pio XII. Il papa degli
ebrei, cit., 171. L’8 settembre 1941, in una
lettera ai vescovi tedeschi, sottolineato il
martirio della Chiesa tedesca – «Attualmente in Germania si verifica piuttosto
un lento martirio dei confessori che non
l’uccisione violenta e subitanea dei martiri» – , raccomanda: «Siate baluardo agli
assalti nemici, con costanza e valore, senza esitare davanti alla fatica».
18 Letta in tutte le chiese domenica
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STUDI
26 luglio 1942, affermava: «Due fatti
molto dolorosi attirano soprattutto la
nostra attenzione: il triste destino degli
ebrei e la sorte di quelli che sono stati addetti ai lavori forzati all’estero. Tutti devono essere consapevoli delle penosissime condizioni e degli uni e degli altri»
(203s). Il Gauleiter nazista reagì pronunciando all’Aja un infuocato discorso e
ordinando di rastrellare nei conventi e
negli istituti cattolici tutti gli ebrei cristiani fino allora lasciati in pace. Tra loro c’era anche la ricordata Edith Stein,
che morì ad Auschwitz il 9 agosto.
19 Così, nel radiomessaggio del Natale 1942 afferma: «La Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se
si rendesse sorda al grido angoscioso che
tutte le classi dell’umanità fanno arrivare
al suo orecchio». E rinnovata la condanna
di qualsiasi teoria razzista, esorta «i magnanimi e gli onesti a non darsi riposo finché non sarà ristabilita una convivenza tra
tutti i popoli e le nazioni» (p. 251).
20 La Santa Sede infatti era coinvolta
in interveti diretti, domande di aiuto, attività diplomatica. In particolare, riceveva
molte lettere con richieste di aiuto, alle
quali cercava di rispondere sia tenendo
contatti diretti con le comunità ebraiche,
sia attraverso rappresentanti vaticani e
singoli religiosi (p. 257s). Continui furono anche gli interventi presso le autorità
tedesche del nunzio a Berlino, che si prodigò in ogni modo per aiutarli. Cfr. M.M.
BIFFI, Il cavalletto per la tortura. Cesare Orsenigo ambasciatore del papa nella Germania di Hitler, Roma, Città Nuova, 2006,
181s.
21 E senza farsi illusioni, come sperimentò egli stesso nel novembre 1944
quando, ricevuto il cosiddetto Protocollo
Auschwitz, redatto da due ebrei slovacchi,
intervenne direttamente presso l’ambasciata tedesca in favore degli ebrei nei lager, ma con nessun risultato.
22 A. VON TEUFFENBACH, Pio XII tra
storia, politica e fede, Roma, ART, 2008.
23 «Queste visite erano molto gradite
ai soldati, anche perché Pacelli sapeva parlare varie lingue e quindi riusciva spesso a
trovare parole di conforto nella stessa madrelingua dei soldati. Poi, in pacchi confezionati singolarmente per ogni prigioniero, distribuiva a ognuno in dono, a nome del Papa, viveri di vario genere e anche sigarette, sapone, cioccolato, tè e zucchero» (p. 70).
24 Il 17 gennaio 1969 J. Maritain scrive a Chouraqui, intellettuale ebreo, sostenitore della pacifica convivenza tra ebrei,
cristiani e musulmani: «Quanto a Pio XII,
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sarebbe ingiusto attribuire a indifferenza
il suo silenzio nell’ora della persecuzione
hitleriana. Non solo ha contribuito con i
suoi sforzi a salvare molti perseguitati, ma
quando ero a Roma mi sono informato in
alto loco sulle ragioni di questo silenzio, e
so che fu dovuto solo alla paura di aumentare la persecuzione, se avesse alzato la voce. Il Papa aveva consultato alcune comunità ebraiche tedesche, ed è proprio questo che esse avevano risposto. Che abbia
avuto torto o ragione […], astenendosi da
una testimonianza che sarebbe stata a sua
gloria, ma che sarebbe costata miglia di vite umane in sovrappiù, chi di noi può giudicare? Il suo motivo è stato quello che ha
ritenuto un obbligo di coscienza, ed era un
motivo profondamente umano» (A.
CHOURAQUI, Il destino di Israele. Corrispondenza con Jules Isaac, Jacques Ellul, Jacques
Maritain e Marc Chagall, Milano, Paoline,
2009).
25 Padre Leiber fu con Pacelli già nella Nunziatura a Monaco di Baviera, seguendolo poi in quella di Berlino (1925),
nel decennio in Segreteria di Stato e quindi durante tutto il pontificato, fino alla
morte.
26 In sintesi, l’azione umanitaria del
Papa si articolò sia per mezzo delle Nunziature, sia elogiando le azioni coraggiose, come quella del vescovo di Münster, C.
A. Graf von Galen – al quale, saputo che
aveva denunciato le uccisioni dei malati di
mente e degli handicappati operate dai nazisti, scriveva: «È per noi una consolazione ogniqualvolta veniamo a conoscenza di
una parola chiara e coraggiosa da parte di
un singolo vescovo tedesco o dell’episcopato tedesco» (p. 194) – , sia aprendo i
conventi per accogliere gli ebrei.
27 Furono arrestati e poi deportati
1.024 ebrei, nonostante che per evitare tale razzia gli ebrei avessero consegnato ai
tedeschi 50 kg d’oro, trovato anche grazie
a Pio XII. Per questo nessuno, compreso
il Pontefice, si aspettava il rastrellamento
del 16 ottobre. Di quei 1.024, soltanto 16
sono tornati.
28 Nel vol. In difesa di Pio XII…, cit.,
33-43, struggente è la testimonianza di
Saul Israel, ebreo di Salonicco (18971981), trasferitosi a Roma in giovane età
e cittadino italiano dal 1919. Saul fu amico del poeta e critico letterario cristiano
G. Salvadori e negli anni della persecuzione si rifugiò prima nel convento di Sant’Antonio in via Merulana, e poi a San
Giovanni in Laterano. Proprio a quel periodo (aprile 1944) risale l’inedito pubblicato nel libro, che testimonia come quell’accoglienza, col via vai di partigiani in
aiuto dei rifugiati, poteva farsi solo con
l’assenso del Papa.
29 «Tantissimi furono ospitati anche in
Vaticano e a Castel Gandolfo dove, per far
loro posto, fu aperto anche l’appartamento privato di Pio XII» (p. 202). Cfr. anche
G. SALE, «I rifugiati in Laterano al tempo
dell’occupazione nazista di Roma», Civ.
Catt. 2008 IV 539-552, mentre in un Memoriale delle agostiniane al Celio (fine
1943) leggiamo: «Con l’entrata dei tedeschi a Roma inizia una caccia spietata agli
ebrei che si vogliono sterminare mediante
la più nera barbarie […]. In queste dolorose situazioni, il Santo Padre vuole salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che
nei monasteri si dia loro ospitalità». Complessivamente furono 4.500 gli ospitati nelle case religiose e ville pontificie (cfr. 30
GIORNI, luglio/agosto 2006, 32-45).
VENEZIA – CANALETTO, Fantasia palladiana, Parma, Galleria Nazionale
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