Biografie - Il mondo antico le vite dei protagonisti Collana diretta da Lorenzo Braccesi Luca Antonelli Nerone Autocrazia, arte e delirio Nerone. Autocrazia, arte e delirio Copyright © 2013, EdiSES S.r.l. – Napoli 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 2017 2016 2015 2014 2013 Le cifre sulla destra indicano il numero e l’anno dell’ultima ristampa effettuata A norma di legge è vietata la riproduzione, anche parziale, del presente volume o di parte di esso con qualsiasi mezzo. L’Editore Grafica di copertina: Progetto grafico e fotocomposizione: EdiSES S.r.l. Fotoincisione: PrintSprint – Napoli Stampato presso la Litografia di Enzo Celebrano – Pozzuoli (NA) Per conto della EdiSES – Via Nuova San Rocco, 62/A – Napoli ISBN 978 88 7959 770 8 www.edises.it [email protected] A Maddalena, Margherita e Flavio e alla loro mamma biografie Il mondo antico le vite dei protagonisti Collana diretta da Lorenzo Braccesi Non irrilevante sul mercato librario è oggi la richiesta di biografie sia da parte della comunità di studenti, sempre più insofferente dei manuali, sia da parte del pubblico più adulto, che ama il confronto tra le realtà di ieri e di oggi attraverso la lettura delle ‘vite’ dei grandi protagonisti della storia. Dunque a una platea di lettori ampiamente variegata si rivolge la presente collana che intende offrire agili monografie biografiche di personaggi del mondo antico che hanno inciso profondamente sulle vicende storiche della loro età. Monografie che, anzitutto, si prefiggono di essere vivaci nell’esposizione e rigorose nel contenuto. Scrivere per un vasto pubblico, senza cedere a tentazioni giornalistiche o – peggio ancora – a paludamenti accademici, non è facile, e per questo, a redigere le singole biografie, sono stati chiamati studiosi di prestigio, con riconosciute esperienze di ricerca, ma non digiuni dall’arte della comunicazione. Indice Capitolo 1 L’infanzia del piccolo Lucio Una famiglia particolare Il principato e il problema della successione Fra Caligola e Claudio L’ingresso nella vita ufficiale Capitolo 2 Optima mater L’ascesa al potere Il difficile rapporto con la madre Il ‘quinquennio di Nerone’ L’eliminazione di Britannico La fine di Agrippina Capitolo 3 La tirannide Angosce di un matricida La passione per l’arte Il tramonto della clemenza Scandali e depravazioni Dal grande incendio alla ricostruzione 1 4 6 11 17 19 22 25 29 35 37 43 47 50 X Indice Capitolo 4 Il principe e l’impero Budicca e la rivolta in Britannia57 La questione partica62 La rivolta in Giudea67 Capitolo 5 Intellettuali e potere La nuova età dell’oro73 Letteratura e dissenso78 La congiura di Pisone84 Il tramonto della libertà89 Capitolo 6 Morte di un artista L’avventura artistica in Grecia97 Gli ultimi giorni105 Fortuna di un tiranno110 Cronologia 119 Fonti storiografiche e bibliografia 123 Capitolo 1 L’infanzia del piccolo Lucio Una famiglia particolare In un limpido mattino di dicembre dell’anno 37, nella città di Anzio, pochi chilometri a sud di Roma, una giovane donna di nome Agrippina dava alla luce un bimbo: il parto era stato piuttosto complesso, perché il feto si presentava podalico, ma tutto andò poi per il meglio, tanto che si poté dire che i raggi del sole appena sorto avevano illuminato il neonato ancor prima di toccare la terra. Nove giorni dopo la nascita, tuttavia, quando secondo l’uso romano il bambino venne asperso con l’acqua nel corso di un rituale di purificazione, cominciarono a manifestarsi alcuni segnali che gettarono una luce sinistra sul suo futuro. Nel ricevere le congratulazioni di amici e parenti, il padre, Gneo Domizio Enobarbo, se ne uscì con una battuta infelice, chiaro sintomo di quanto poco sincero fosse l’affetto che legava i due coniugi, unitisi in matrimonio quasi dieci anni prima per ragioni di pura opportunità familiare: da lui e da Agrippina – così egli avrebbe detto, secondo quanto ci racconta Svetonio, nella sua Vita di Nerone (6) – non poteva che nascere un figlio che si sarebbe rivelato un male per tutti. A dire di Dione Cassio, nella Storia romana (LXI 2), inoltre, alcuni si erano addirittura spinti a profetizzare che il piccolo avrebbe un giorno regnato, giungendo però a uccidere sua madre: al che Agrippina avrebbe soggiunto che la uccidesse pure, purché divenisse davvero re. Assumevano quindi consistenza le funeste previsioni formulate da chi, sulla base degli oroscopi, riteneva che un giorno quel bambino avrebbe segnato la rovina della città di Roma. 2 Nerone. Autocrazia, arte e delirio Alla cerimonia era presente anche l’imperatore Gaio Caligola, il quale, al momento di imporre il nome al piccolo, propose di chiamarlo Claudio, come suo zio, il futuro principe, allora considerato da tutti lo zimbello di casa per i suoi modi schivi e la salute cagionevole: quasi a dire che il bimbo, come il bizzarro parente, non avrebbe mai potuto aspirare a divenire imperatore. Gli fu posto il nome di Lucio, come richiedeva la tradizione della famiglia, nella quale, da generazioni ormai, i maschi, di padre in figlio, si chiamavano alternativamente Lucio e Gneo. Quella dei Domizi Enobarbi era una gens assai in vista già nella Roma repubblicana – molti suoi esponenti nei due secoli precedenti avevano ricoperto la carica consolare –, che amava far risalire il proprio nome a un episodio avvolto da un’aura mitica: si raccontava infatti che un Lucio Domizio avesse un giorno incontrato due fratelli dal maestoso portamento che gli annunciarono un’importante vittoria romana di cui né il senato né il popolo avevano ancora avuto notizia. I due, riconosciuti poi come i Dioscuri, Castore e Polluce, per dargli un segno della loro divinità, gli accarezzarono la barba, che da nera si fece d’improvviso rossa, del colore del bronzo: da quel momento l’intera discendenza avrebbe assunto il cognome di Enobarbi, ‘dalla barba color del bronzo’. Il riferimento al bronzo alludeva senz’altro anche all’arroganza e alla violenza di cui avevano dato prova vari esponenti della famiglia, nel corso delle generazioni. Di uno Gneo Domizio Enobarbo, console nel 96 a.C., l’oratore Licinio Crasso soleva infatti dire che non era strano avesse la barba di bronzo, se era vero che la sua faccia era di ferro e il cuore di piombo. Altri avevano più tardi dimostrato il loro carattere truce e i loro modi spietati nel corso delle guerre civili e all’epoca della svolta augustea, sino a quel Lucio, console nel 16 a.C., che era stato più tardi governatore in Germania, ampliando le conquiste effettuate in quegli anni da Tiberio, il futuro imperatore, e da suo fratello Druso. Lucio aveva preso in moglie Antonia, la figlia che il triumviro Marco Antonio aveva avuto da Ottavia, sorella di Ottaviano Augusto: Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 3 dal matrimonio era nato lo Gneo Domizio Enobarbo, padre del bimbo venuto alla luce in quel mattino di dicembre del 37. Le figure di Lucio, con la moglie Antonia, e del piccolo Gneo, con la sorellina Domizia, campeggiano ancor oggi nel ‘ritratto di famiglia’, immortalato più di quarant’anni prima dallo stesso Augusto nel fregio dell’Ara Pacis, a Roma. Pur avendo da poco rivestito la carica consolare, tuttavia, Gneo non godeva di grande reputazione: violento e spietato con i propri avversari (aveva tra l’altro ordinato di accecare un tale che gli aveva mosso una critica), dimostrò un giorno tutta la sua sconsideratezza investendo di proposito con il cavallo un fanciullo che attraversava la strada, sulla via Appia. Negli ultimi mesi del governo di Tiberio, inoltre, egli venne anche coinvolto in un’accusa di tradimento e di incesto con la sorella Lepida: da entrambe si salvò solo per la provvidenziale morte del principe. Se perciò (nonostante l’indole tutt’altro che moderata dei suoi diretti ascendenti) dal lato paterno il piccolo Lucio vantava natali assai illustri, che lo ricollegavano in linea femminile alla famiglia dei Giulii cui era appartenuto lo stesso Augusto, non meno prestigiosa era l’ascendenza per parte di madre. La bella Agrippina, poco più che ventenne al momento del parto, era sorella dell’imperatore Caligola e figlia di quella Agrippina ‘maggiore’, che discendeva direttamente da Augusto per essere nata dal matrimonio di sua figlia Giulia con il generale Marco Vipsanio Agrippa, vittorioso nella battaglia navale di Azio (31 a.C.), che segnò la definitiva sconfitta di Antonio e l’inizio del principato. Il padre di Agrippina maggiore era invece Germanico, figlio di Druso e fratello dell’imperatore Tiberio: egli discendeva perciò dalla famiglia dei Claudii, unitasi a quella dei Giulii nella successione di Tiberio al principato, dopo la morte di Augusto. Non era perciò un caso la presenza dell’imperatore Caligola alla cerimonia di purificazione del piccolo Lucio Domizio Enobarbo, in quel luminoso mattino dell’anno 37. Nonostante i cattivi auspici, infatti, il neonato apparteneva alla strettissima cerchia della casata 4 Nerone. Autocrazia, arte e delirio imperiale e appariva perciò un potenziale aspirante a una futura, sebbene lontana, successione. Il principato e il problema della successione Nel momento in cui Ottaviano, divenuto Augusto nel 27 a.C., si apprestò a ricostituire l’assetto dello stato dopo la tremenda stagione delle guerre civili, scelse di farlo nella forma del principato: un princeps, letteralmente un singolo che ‘primeggiasse’ pur non ricoprendo alcuna particolare funzione istituzionale che lo ponesse gerarchicamente più in alto rispetto agli altri, godeva del prestigio e dell’autorevolezza (si tratta dell’auctoritas, donde il titolo onorifico di Augusto) concordemente tributatagli da tutti, senato e popolo romano: in base alla auctoritas egli garantiva il corretto funzionamento dello stato, formalmente tornato a essere una repubblica. Nessuno si illudeva, tuttavia, che la ripresa della prassi istituzionale significasse realmente il ritorno a quella libertà di cui si godeva prima dell’inizio del lungo conflitto interno che insanguinò Roma a partire dalla metà del I secolo a.C.; proprio la stagione delle guerre civili, del resto, aveva dimostrato che la situazione in cui versava lo stato era tale da dichiarare infranto quel delicato equilibrio tra poteri che per quasi cinquecento anni, a partire dalla caduta della monarchia dei Tarquinii, aveva permesso a Roma di controllare l’intero Mediterraneo. Il principato, perciò, inaugurò una forma piuttosto sottile di autocrazia, che segnò la vita politica e culturale di Roma, nel tentativo di legittimare i presupposti del proprio potere. La rappresentazione che Augusto fornì del proprio governo come di una repubblica ‘restituita’ ai suoi antichi splendori grazie all’autorevolezza del principe implicava tuttavia che egli, approssimandosi l’età avanzata e con essa il pensiero della morte, non potesse in alcun modo pensare a una trasmissione del potere Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 5 nei termini di un’eredità, come se lo stato fosse in suo esclusivo possesso: troppo evocativo ciò sarebbe stato di quella forma monarchica che i Romani aborrivano quale simbolo di tirannide. La soluzione che egli intravvide come l’unica percorribile fu quella di legare all’ambito familiare il prestigio su cui si basava il potere. Non potendo egli tuttavia contare su una discendenza maschile – l’unica nata dal matrimonio con Scribonia era una figlia femmina, di nome Giulia –, scelse il meccanismo giuridico dell’adozione: il medesimo, per altro, che il suo prozio Cesare aveva impiegato per indicare lui stesso – Ottaviano – quale ‘erede’ della singolare posizione che egli aveva guadagnato prima delle Idi di Marzo del 44 a.C., giorno in cui era stato assassinato. La sorte non fu tuttavia benevola nei confronti di chi Augusto aveva immaginato come proprio erede: scomparsi prematuramente i nipoti Gaio e Lucio Cesare (i figli di Giulia e di Agrippa, che egli aveva adottato nel 17 a.C.), nonché Druso, figlio di primo letto di sua moglie Livia, la scelta non poté che cadere su Tiberio, figlio maggiore della stessa Livia, che la madre aveva sapientemente favorito: appena salito al potere, egli, quale primo atto del nuovo governo, fece uccidere l’ultimo nipote maschio di Augusto, Agrippa Postumo, che pur non essendo stato ricordato nel testamento del nonno, costituiva ciò nonostante un potenziale rivale nella linea di successione. Gli anni di Tiberio, divenuto principe nel 14, rivelarono i tratti più oscuri della sua personalità: cosciente di non possedere il carisma di Augusto, egli tentò in ogni modo di garantire il delicato equilibrio del principato attraverso un sapiente rapporto con il senato; ma i suoi tentativi per varie ragioni non giunsero a buon fine. Preoccupato prima della grande popolarità raggiunta dal nipote Germanico, figlio di suo fratello Druso, che aveva riportato vittorie tali da oscurare il proprio prestigio, lo incaricò di una spedizione militare in Oriente, nel corso della quale il giovane cadde malato e morì. La voce che Germanico fosse stato avvelenato su incarico dello stesso Tiberio fu alimentata dal fatto che 6 Nerone. Autocrazia, arte e delirio l’imperatore non presenziò alla cerimonia funebre: le ceneri del generale defunto vennero portate a Roma dalla moglie Agrippina e sepolte alla presenza dei figli (tra i quali l’Agrippina, madre di Lucio Domizio Enobarbo, allora appena bambina) nel Mausoleo di Augusto. Negli anni successivi Tiberio, amareggiato per la perdita del figlio Druso minore e addolorato per l’ostilità dell’ambiente cittadino, scelse di abbandonare Roma, ritirandosi nella propria villa di Capri. In città, nel frattempo, sempre maggiore era il potere dello spietato Seiano, il comandante della guardia imperiale dei Pretoriani, il quale riuscì a eliminare alcuni dei potenziali rivali che avrebbero potuto ostacolare le sue ambizioni di potere: Agrippina, moglie di Germanico, venne spedita in esilio nell’isola di Ventotene, dove morì di stenti nel 33; infausta sorte toccò anche ai suoi due figli maschi maggiori, Nerone Cesare e Druso Cesare, che scomparvero ben presto di scena, il primo costretto al suicidio e il secondo incarcerato nel palazzo imperiale. Il solo Gaio Cesare, soprannominato Caligola per essere sin da piccolo vissuto al sèguito del padre negli accampamenti militari (caligae erano dette le calzature indossate dai soldati), venne chiamato da Tiberio a Capri e da lui indicato come proprio successore (sebbene insieme all’altro nipote, Tiberio gemello), dopoché il principe ebbe scoperto il ruolo di Seiano nella persecuzione della famiglia di Germanico e ordinato al senato l’arresto e l’esecuzione capitale del potente prefetto pretorio. Fra Caligola e Claudio In quel mattino di dicembre Caligola era salito al potere da pochi mesi. La morte di Tiberio, avvenuta nel marzo del medesimo 37, era stata salutata in Roma come la fine di un incubo: ci si augurava che ora un giovane principe – Caligola era solo venticinquenne, mentre Tiberio si era spento all’età di settantotto anni –, Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 7 immensamente popolare grazie alla sua discendenza dal grande Germanico, fosse finalmente in grado di restituire al principato nuova dinamicità. A quasi cent’anni dalla riforma augustea, del resto, il nuovo imperatore poteva forse permettersi di esplorare una strada diversa nell’interpretare il suo ruolo, gestendo in modo più autonomo l’amministrazione dello stato. Fu però a tutti da subito chiaro che, al di là della pietà e del rispetto dimostrato in quei primi mesi nei confronti dei familiari (le ceneri di sua madre e dei suoi fratelli, morti in sèguito alle vessazioni subite da Seiano, furono solennemente trasportate nel Mausoleo di Augusto; lo zio Claudio, allora solo cavaliere, fu elevato alla carica consolare, mentre il fratellastro Tiberio gemello, nipote del principe da poco scomparso, venne adottato, salvo poi farlo uccidere l’anno successivo), Caligola avrebbe abbandonato sì la via augustea dell’ambiguo compromesso con il senato e le istituzioni repubblicane, per intraprendere tuttavia quella della scelta apertamente autocratica, spesso caratterizzata da tratti di stravagante ferocia che sfociarono ben presto in un’odiosa tirannide. Lo dovette comprendere in fretta Agrippina stessa, la quale, madre da soli due anni, fu accusata di aver tradito il marito con un Marco Emilio Lepido, che stava ordendo un complotto contro l’imperatore. Insieme alla sorella Giulia Livilla, perciò, ella venne costretta a prendere la via dell’esilio, dopo aver visto confiscati tutti i propri beni. Non meno difficile fu il destino del piccolo Lucio, rimasto con il padre Gneo, che tuttavia solo un anno più tardi, nel 40, terminò i suoi giorni: privato da Caligola della parte del patrimonio che gli spettava in eredità, il bimbo fu allevato in casa della tanto ricca quanto avara zia Domizia e affidato alle cure di un barbiere e di un ballerino in qualità di pedagoghi. La tirannide di Caligola aveva tuttavia il tempo contato: nel gennaio del 41, nel corso di una congiura, il principe venne assassinato: ad armare la mano di uno dei tribuni militari, che prima trafisse l’imperatore e poi insieme a diversi compagni infierì sul 8 Nerone. Autocrazia, arte e delirio suo cadavere, fu l’esasperazione per la sua crudeltà, che ormai aveva raggiunto livelli difficilmente sopportabili persino dai soldati a lui più legati. Nella concitazione del momento, i consoli in carica, assunto in fretta il controllo della città, convocarono immediatamente il senato. L’assemblea dei padri avviò un’accesa discussione fra chi suggeriva di ripristinare il governo repubblicano e chi invece pensava che il potere dovesse continuare a restare nelle mani di uno solo: discussione puramente accademica, questa, dal momento che i giochi, da almeno cent’anni, non passavano più per l’assemblea dei padri, ma si compivano in altre sedi e per intervento di altri soggetti. La potenza dell’apparato militare di Roma, nella persona della guardia imperiale dei Pretoriani, in prima istanza, ma anche delle numerose legioni che presidiavano i vari territori provinciali in cui più difficile era mantenere la pace a ridosso dei confini con il mondo barbaro, svolgeva e avrebbe svolto un ruolo sempre più centrale nel sancire il potere di un principe e garantirne la stabilità dopoché egli si era insediato. Mentre dunque il senato dissertava sulla migliore forma di governo da adottare, i Pretoriani valutavano come la situazione potesse essere sfruttata a proprio vantaggio, ora che la morte dell’imperatore aveva eliminato chi sinora aveva generosamente ricompensato la loro devozione. Durante la perquisizione del palazzo imperiale essi scovarono Claudio, zio di Caligola, nascosto dietro un tendaggio, che tremava come una foglia, atterrito dallo spettacolo cui aveva assistito: il pover’uomo, che aveva trascorso i primi cinquant’anni della sua vita immerso negli studi, cercando in ogni modo di restare lontano dal centro della scena, data la sua naturale inettitudine alla politica, non sospettava che di lì a poco i Pretoriani, anziché eliminarlo come egli temeva, lo avrebbero invece proclamato nuovo principe. L’inattesa ascesa al potere di Claudio – egli era da tutti considerato un minorato, data anche la sua balbuzie e la difficoltà nel camminare regolarmente – segnò una svolta nell’infanzia di Lucio, sul quale si erano sinora abbattuti gli strali di un destino Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 9 nient’affatto propizio. Tra i primi gesti ufficiali con cui il nuovo imperatore intendeva marcare una netta cesura rispetto alle follie di Caligola vi fu la decisione di richiamare Agrippina e la sorella Giulia dall’esilio, restituendo al piccolo Lucio la porzione di patrimonio che la morte del padre gli aveva lasciato in eredità. All’epoca Claudio era sposato in terze nozze con la giovane Messalina, figlia di quella Domizia Lepida che aveva ospitato in casa propria Lucio, dopo la morte del padre, suo fratello Gneo Domizio Enobarbo. Da Messalina Claudio ebbe due figli: la maggiore, Ottavia, nata nel 40, e un maschio di poco più giovane, cui fu posto il nome di Cesare, ma che fu in sèguito detto Britannico, per commemorare la conquista dell’isola da parte dell’imperatore. Ritornata a Roma, Agrippina, ormai donna matura, rivelò quanto le difficili esperienze vissute l’avvessero forgiata: ci appare ora la sua ferrea determinazione a difendere a ogni costo il ruolo suo e del figlio Lucio in un contesto familiare nel quale le ambizioni di potere si dimostrano fortissime. Mentre Claudio è impegnato negli studi, delegando molte delle funzioni pubbliche a un ristretto numero di suoi potentissimi liberti, tra lei e Messalina affiora un sentimento di rivalità e di odio reciproco, che ben si spiega con il fatto che le due donne sono attente a progettare gli equilibri futuri, determinati in misura sostanziale dalle scelte del principe circa la propria successione. E per il momento Messalina, sebbene più giovane e discendente da un casato meno illustre, appare in schiacciante vantaggio per il fatto di essere moglie dell’imperatore e di avergli generato l’unico figlio maschio Britannico. Istruita dall’esperienza della madre, che dopo la morte di Germanico aveva scontato con l’esilio la debolezza della sua condizione di vedovanza, Agrippina decise di prendere immediatamente marito, legandosi a un ricco e prestigioso senatore di nome Sallustio Passieno Crispo, ormai non più giovane: per consolidare la posizione da poco recuperata nell’ambito dell’aristocrazia romana, ella aveva approfittato del proconsolato ricoperto dal marito per accompagnarlo nella provincia d’Asia dove era stata omag- 10 Nerone. Autocrazia, arte e delirio giata con una statua, eretta in suo onore nell’isola di Cos. Della morte di Crispo, avvenuta entro il 48, ella si consolò comunque in fretta, grazie alle abbondanti ricchezze che il facoltoso consorte le aveva lasciato in eredità. In quegli anni, mentre Agrippina pianificava il futuro e la bella Messalina passava di amante in amante, Lucio ebbe a partecipare insieme al fratello acquisito Britannico alla celebrazione dei Giochi secolari, spettacolo che commemorava l’ottocentesimo anniversario della fondazione di Roma, con una rappresentazione di giovani aristocratici che gareggiavano nei panni di cavalieri troiani. Racconta Tacito nei suoi Annali (XI 11-12) che la cerimonia, svoltasi sotto gli occhi di Claudio, vide Lucio riscuotere le simpatie del pubblico, che in lui ritrovava i tratti del nonno Germanico; il sentimento traeva senz’altro origine anche da un certo senso di solidarietà nei confronti del ragazzo che, insieme a sua madre, si trovava a essere oggetto delle insidie tramate da Messalina, la quale – così racconta Svetonio nella Vita di Nerone (6) – aveva più volte tentato di assassinarlo. Ma l’acerrima rivalità fra Agrippina e Messalina giunse al suo culmine quando la giovane moglie di Claudio, invaghitasi pazzamente del nobile e prestante Gaio Silio, console designato per l’anno 47, ne divenne l’amante, dando inizio a una relazione che giorno dopo giorno assumeva evidenza pubblica. I due, con un gesto che Tacito negli Annali (XI 27) definisce di ‘sfacciata impudenza’, giunsero al punto da celebrare pubblicamente le nozze, mentre Claudio era impegnato in una cerimonia religiosa a Ostia. A tacer d’altro, è evidente che il matrimonio fra colei che era tuttora moglie dell’imperatore e madre del legittimo aspirante alla successione con un giovane magistrato in procinto di ricoprire la carica consolare si configurava come un evidente tentativo di spodestare il principe, creando le condizioni per l’usurpazione del suo potere. Quale parte abbia avuto Agrippina nell’architettare la trappola in cui Messalina poi cadde non è dato sapere: non è escluso, tuttavia, che ella abbia in qualche misura favorito la relazione o Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 11 almeno gli eccessi cui essa si spinse: a suo tempo i genitori di Silio erano stati in rapporti di amicizia con Germanico e con sua moglie al punto da destare il sospetto di Tiberio e l’ostilità del potente Seiano. La spudoratezza di Messalina, di fronte alla quale la debolezza di Claudio rischiava di manifestarsi con sempre maggiore evidenza, spinse tuttavia i suoi più stretti collaboratori a fare pressioni affinché il principe punisse nel modo più severo i responsabili del misfatto. E così di fatto avvenne: dopo il suo amante, anche la donna venne giustiziata nel 48, ponendo così fine a un tradimento che rischiava di avere pesantissime ripercussioni politiche. Racconta Svetonio nella Vita di Claudio (39) che l’imperatore, afflitto dalla sua consueta e patologica smemoratezza, subito dopo aver fatto uccidere la moglie, si sia seduto a tavola e, stupito per l’assenza della donna, abbia chiesto: “Perché l’imperatrice ancora non viene?”. L’ingresso nella vita ufficiale La morte della rivale costituì per Agrippina un formidabile tassello nella realizzazione dei disegni che da tempo ella andava concependo: non restava ora che suggellare l’opera attraverso il matrimonio con Claudio. Vedova ormai da un anno, ella seppe vincere la sfida rispetto alle altre concorrenti, mettendo a frutto la nobiltà dei suoi natali anche a fronte delle obiezioni di carattere religioso, che vietavano l’unione fra zio e nipote. Convinto dalle insistenze di un senato abilmente pilotato, nei primi mesi del 49 Claudio ‘cedette’ a ratificare la propria unione incestuosa che nei fatti era cominciata poco dopo l’eliminazione di Messalina. Da questo momento in avanti, osserva Tacito negli Annali (XII 7), l’ordine in città fu sovvertito: Tutto si piegò di fronte a una donna che non si prendeva tuttavia gioco delle cose di Roma con dissolutezza, come aveva fatto 12 Nerone. Autocrazia, arte e delirio Messalina. Agrippina impose una schiavitù con energia quasi virile: in pubblico austera e più spesso arrogante; tra le mura di casa nient’affatto spudorata, se non allo scopo di rafforzare il suo potere. Giustificava il suo immenso desiderio di ricchezza col pretesto di procurare risorse per lo stato. Il matrimonio con Claudio collocò Agrippina in posizione di assoluta centralità: si trattava ora di completare il quadro con un’azione mirata, che, vincendo la concorrenza di Britannico, erede legittimo, conferisse al figlio Lucio un ruolo di sempre maggiore rilievo nella prospettiva di una successione al principe. La prima mossa fu l’eliminazione del giovane Silano Torquato, cui era stata promessa in sposa Ottavia, la figlia maggiore di Claudio: Torquato, già da tempo oggetto delle calunnie pilotate da Agrippina, si tolse la vita il giorno stesso delle nozze incestuose, prevedendo forse cosa gli sarebbe toccato se fosse rimasto in vita. Un matrimonio tra i due, infatti, avrebbe moltiplicato gli aspiranti alla successione, poiché Torquato, oltreché nobile e lontano discendente di Augusto, godeva delle simpatie della folla. Allo stesso tempo gli amici di Agrippina in senato suggerirono a Claudio di formalizzare la promessa di matrimonio tra sua figlia Ottavia, che allora aveva solo nove anni, e Lucio, che ne aveva appena compiuti undici. Si realizzava così il presupposto necessario a garantire al figlio di Agrippina piena legittimità alle proprie aspirazioni alla futura successione. Il progetto giunse tuttavia a compimento solo con l’adozione di Lucio da parte di Claudio, avvenuta nel febbraio del 50, l’anno successivo al matrimonio. Il ragazzo abbandonò così il suo nome, e con esso il riferimento talvolta imbarazzante alla famiglia dei Domizi Enobarbi, per assumere quello di Nerone Claudio Druso Germanico: egli entrava perciò a tutti gli effetti nella famiglia Claudia, come indica il ‘gentilizio’ al secondo posto della serie onomastica, riallacciandosi ai propri avi attraverso il nome Nerone e i cognomi Druso e Germanico, portati tra gli altri da quel Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 13 Druso maggiore, padre di Claudio e di Germanico, che diveniva ora suo nonno, pur essendo già, in quanto nonno di Agrippina, suo antenato. Agrippina, unica a ottenere tale privilegio in vita tra le spose di un imperatore, assunse il titolo di Augusta, indicando così con evidente chiarezza che d’ora in avanti il governo sarebbe stato nelle sue mani non meno di quanto lo fosse in quelle di Claudio. Completata la struttura del mosaico, si trattava ora di definirne i dettagli. Il giovane Nerone, sino a quel momento cresciuto distante da adeguati stimoli culturali, necessitava di un’educazione degna di un rampollo della famiglia imperiale. Con grande intelligenza Agrippina era riuscita a procurargli un precettore di straordinario livello, che tuttavia seguisse una linea pedagogica nuova rispetto al consueto modello proposto dagli istitutori di origine greca: la scelta era caduta su Seneca, stimato senatore e figlio di uno dei massimi oratori dell’epoca, oltreché valente oratore lui stesso, che tuttavia si trovava allora in esilio in Corsica. Il provvedimento gli era stato comminato da Claudio, poco dopo l’ascesa al potere: con l’accorta regia di Messalina, accecata dalle proprie gelosie, Seneca era stato coinvolto, forse solo strumentalmente, nell’accusa di adulterio che aveva colpito Giulia Livilla, sorella di Agrippina. Si trattava ora di richiamarlo e di reintegrarlo nella vita pubblica, sfruttandone a vantaggio dei propri fini la straordinaria preparazione culturale e la fama di uomo politico di solide radici repubblicane. Nella primavera del 49 Seneca tornò a Roma, fu insignito del ruolo di pretore e si vide affidare l’educazione di Nerone: il giovane, già incline alla passione per la musica e per le corse dei carri, andava infatti cresciuto attraverso gli strumenti forniti dalla retorica, senza lasciare troppo spazio alla filosofia, poco adatta, a dire della madre, a chi aspirasse a divenire imperatore. I tempi erano ormai maturi per l’ingresso di Nerone nella vita ufficiale. Ci informa Tacito negli Annali (XII 41) che nel 51, non ancora quattordicenne e dunque un anno prima della data tradizionale, egli ricevette la toga virile, simbolo del passaggio alla 14 Nerone. Autocrazia, arte e delirio condizione adulta; il senato, esprimendo così la sua servile adulazione nei confronti di chi si prefigurava come prossimo principe, propose anche che egli venisse designato a un futuro consolato non appena avesse raggiunto i vent’anni; per il momento egli avrebbe goduto di poteri militari e sarebbe stato insignito del titolo onorifico di principe della gioventù, cioè capo e rappresentante dei giovani aristocratici. Quell’anno Nerone e Britannico sfilarono insieme nel corso dei giochi del circo: la differenza nell’abbigliamento dei due giovani – Nerone vestiva le insegne del comando, mentre Britannico era ancora abbigliato come ragazzino – rese chiaro a tutti il diverso destino che li aspettava. Racconta Svetonio nella Vita di Nerone (7) che Britannico, più piccolo di qualche anno, ma non certo così sprovveduto da non capire che il fratello adottivo gli aveva ormai rubato la scena, schernisse Nerone, continuando a chiamarlo Enobarbo e ponendo così implicitamente in discussione la legittimità della sua adozione. Il perentorio intervento di Agrippina presso Claudio fece sì che l’insolenza venisse punita: i precettori del ragazzo furono allontanati e sostituiti con altri, di gradimento della matrigna. Allo stesso tempo Agrippina ottenne che venissero cacciati i membri della guardia pretoriana che avevano espresso i loro favori per Britannico, sostituendo persino i prefetti con un unico uomo di fiducia, quel Sesto Afranio Burro che tanta parte avrà nella prima fase del principato neroniano. Negli anni a seguire il giovane Nerone consolidò la sua posizione pubblica, presentandosi più di una volta in senato a perorare, tanto in greco quanto in latino, le richieste di varie comunità che chiedevano l’aiuto dell’imperatore. Ma fu solo nel 53 che egli ricevette la consacrazione definitiva attraverso il matrimonio con Ottavia, la figlia di Claudio, che aveva appena compiuto tredici anni: l’unione, caldeggiata ovviamente da Agrippina, lo poneva ora in posizione di indiscutibile superiorità rispetto a qualsiasi pretesa avanzata da Britannico. Era dunque ormai tempo che Claudio morisse. Il suo affetto per Britannico, che in quegli ultimi tempi sembrava mostrare Capitolo 1 - L’infanzia del piccolo Lucio 15 qualche ‘recrudescenza’ – si diceva che l’imperatore avesse fatto testamento, anche se non era chiaro in favore di chi –, rischiava infatti di indebolire la posizione di Nerone, e ciò non era tollerabile per Agrippina. Durante la notte tra il 12 e il 13 ottobre 54, nel corso di un lauto banchetto accompagnato da uno spettacolo di pantomimi, il principe accusò un forte malore e dopo qualche ora morì. Sebbene con alcune non trascurabili varianti, le nostre fonti attestano concordemente la responsabilità di Agrippina nei fatti: dopo essersi procurata un potente veleno, ella l’avrebbe versato su un piatto di funghi che stava per essere servito all’imperatore; Claudio, ormai ubriaco, ne avrebbe mangiato senza rendersi conto di nulla, per poi cadere preda di atroci dolori sino a morirne. Comunque siano andate le cose, lo stesso Nerone soleva riferirsi con la consueta sprezzante ironia ai fatti di quella notte. Come ricorda Dione Cassio nella sua Storia romana (LX 35), a un tale che tempo dopo, sedendo con lui a banchetto, lodava i funghi come un cibo divino, egli avrebbe risposto, alludendo alla recente divinizzazione dell’imperatore appena morto: “È vero, anche mio padre Claudio, dopo aver mangiato un fungo, è diventato un dio!”.