www.supsi.ch/fisco Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento scienze aziendali e sociali Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale N° 3 – Marzo 2013 Diritto tributario italiano Il tenore di vita come indizio di ricchezza non registrata: il nuovo redditometro e lo spesometro Reclamo e mediazione tributaria Diritto tributario svizzero L’applicabilità della CEDU alla procedura amministrativa 3 7 12 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Procedimenti tributari e garanzie processuali dell’articolo 6 CEDU 17 Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE Il cumulo delle sanzioni amministrative e penali per lo stesso reato fiscale viola il principio ne bis in idem? Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 21 27 Introduzione Novità fiscali 03/2013 Redazione SUPSI Centro di competenze tributarie Palazzo E 6928 Manno T +41 58 666 61 75 F +41 58 666 61 76 [email protected] www.supsi.ch/fisco ISSN 2235-4565 (Print) ISSN 2235-4573 (Online) Redattore responsabile Samuele Vorpe Comitato redazionale Elisa Antonini Paolo Arginelli Rocco Filippini Roberto Franzè Giordano Macchi Giovanni Molo Andrea Pedroli Sabina Rigozzi Curzio Toffoli Samuele Vorpe Impaginazione e layout Laboratorio cultura visiva La prima parte della rivista è dedicata al diritto tributario italiano, ed in particolare agli strumenti di accertamento sintetico che, in via presuntiva, consentono all’Amministrazione finanziaria di risalire al reddito ipotetico di un contribuente: redditometro, redditest e spesometro. Un secondo contributo approfondisce i presupposti di applicazione dell’istituto del reclamo e della mediazione, che si pone quale nuovo strumento deflattivo del contenzioso tributario. Nella seconda parte della rivista viene invece dato ampio spazio allo spinoso tema delle garanzie processuali previste dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in ambito tributario svizzero. Se, da un lato, la Corte europea di Strasburgo ha ripetutamente escluso la loro applicazione alla materia puramente tributaria, ascrivendo la stessa al “nocciolo duro delle prerogative della potestà pubblica”, d’altro lato, le garanzie del giusto processo sono ormai da tempo riconosciute applicabili alle procedure contravvenzionali per sottrazione d’imposta, in virtù del loro carattere “penale”. Come conciliare allora le diverse garanzie di queste due procedure, che spesso viaggiano su binari paralleli? La tutela delle garanzie previste dall’articolo 6 CEDU per le “accuse penali” condiziona unicamente le procedure straordinarie di ricupero d’imposta, che normalmente si sovrappongono alle procedure di contravvenzione per sottrazione d’imposta, oppure anche le procedure di tassazione ordinaria? Come interpretare l’ultima sentenza Chambaz c. Svizzera del 5 aprile 2012? Il privilegio di non contribuire alla propria incriminazione ha realmente oltrepassato i confini del processo penale, affacciandosi come garanzia ineludibile nell’ambito di tutte le procedure di tassazione ordinarie e straordinarie? Un ultimo contributo è dedicato ad una recentissima sentenza della Corte di giustizia sul principio “ne bis in idem”. Buona lettura! Rocco Filippini Diritto tributario italiano Il tenore di vita come indizio di ricchezza non registrata: il nuovo redditometro e lo spesometro Simone Covino Avvocato Dottore di ricerca in diritto tributario Studio ACTA, Milano Quando manca un soggetto segnalatore il Fisco, pressato da una parte dalle esigenze erariali e dall’altra dall’opinione pubblica, non può che orientarsi su basi empiriche o matematico statistiche. Ai fini di una ragionevole determinazione della capacità contributiva, diviene allora fondamentale la fase del contraddittorio col contribuente 1. Premessa. La determinazione della ricchezza in base al tenore di vita e alle spese personali Nei sistemi tributari moderni l’individuazione della capacità economica avviene principalmente grazie al meccanismo dell’autoaccertamento o autodeterminazione del tributo: il sistema, specialmente in Italia, si regge peraltro su una rete di segnalazioni, provenienti per lo più da grandi enti, pubblici o privati, che comunicano all’Amministrazione finanziaria tutti i dettagli dei rapporti con lavoratori, consulenti e altri fornitori, ovvero che provvedono direttamente alla riscossione delle imposte. Per certi versi non è azzardato affermare che, a partire dalle riforme del 1973, il Fisco in Italia ha esternalizzato una fetta notevole dei propri compiti, restando però sempre presente in funzione di assistenza del contribuente (attraverso gli atti di prassi, i comunicati stampa, eccetera) e soprattutto di deterrenza all’evasione (attraverso i controlli)[1]. Tuttavia, la tassazione “al centesimo” attraverso la contabilità e le conseguenti dichiarazioni fiscali funziona decisamente meno bene nei confronti degli operatori singoli e di quelle imprese abbastanza piccole da potersi gestire in un regime di totale autarchia contabile; storicamente infatti in Italia “piccolo è bello”, perché l’attività economica a dimensione padronale permette una disinvoltura contabile e nella gestione del personale che diviene improponibile man mano che l’impresa si struttura e si proceduralizza. Alla fine, la burocrazia interna diviene infatti un ostacolo per lo stesso titolare che pretendesse di gestire direttamente i rapporti coi clienti (e quindi gli incassi). Orbene, l’unico modo che ha il Fisco per intercettare i flussi reddituali in discorso sembrerebbe essere tornare a stimare – preferibilmente in contraddittorio con l’operatore economico – la capacità economica da questi prodotta; in alternativa, si può risalire ad un reddito ipotetico sulla base di certi consumi effettuati dal contribuente. Il tenore di vita, la spesa personale dei lavoratori indipendenti possono essere infatti indizi forti per stimare ex post il risultato dell’attività economica esercitata. Il cosiddetto “accertamento sintetico”[2] (articolo 38, comma 4, del Decreto Presidente della Repubblica [di seguito D.P.R.] n. 600/73) viene così definito appunto perché non si basa sulle fonti di produzione del reddito (impresa, lavoro, capitale, eccetera) ma utilizza un procedimento logico a ritroso, presumendo — salvo prova contraria — che “le spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta” siano state finanziate prima di tutto con il reddito del periodo medesimo. Sempre salvo prova contraria, il comma 5 ammette l’utilizzo di “elementi indicativi di capacità contributiva individuati mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze”[3]: ecco il redditometro propriamente detto. Osserviamo che l’accertamento sintetico rappresenta uno strumento di controllo molto spendibile dal legislatore nei confronti dell’opinione pubblica, specie se lo si invoca in fattispecie ove sono evidenti le sproporzioni tra consumi di lusso e redditi dichiarati. Da un lato, esso si dirige in modo indiscriminato verso tutte le categorie sociali, dai dipendenti ai professionisti, agli artigiani, ai piccoli commercianti o agli industriali: il tenore di vita consente di determinare la ricchezza senza guardare direttamente all’attività lavorativa, sparando invece nel mucchio di una moltitudine indifferenziata, e disorganizzata, di contribuenti che hanno la colpa di “spendere tanto”. Per altro verso, non di rado questo strumento viene presentato all’opinione pubblica come il “vendicatore degli onesti”, colpendo chi segue un tenore di vita incompatibile con la propria dichiarazione dei redditi. L’ultima incarnazione del redditometro, cadendo in una congiuntura di estrema difficoltà economica per l’Italia, ha creato prima ancora di diventare operativa forte malessere in varie categorie sociali, al punto da suggerire all’Agenzia delle Entrate un comunicato rasserenante in cui si esentano dall’applicazione dello strumento i pensionati puri ed i casi in cui lo scostamento tra reddito accertato sinteticamente e reddito dichiarato non superi i 12’000 euro[4]. 3 4 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Ora, visto che solo il contribuente conosce da dove ha ricavato le somme spese, è poi logico che la legge gli faccia carico di dimostrare il finanziamento delle spese con somme diverse da redditi non dichiarati. L’Amministrazione finanziaria si limita qui a dimostrare il sostenimento delle spese (il che è abbastanza facile quando si tratta di consumi o investimenti facilmente rilevabili, come il mantenimento di autovetture, di residenze secondarie, di imbarcazioni da diporto, eccetera), per poi quantificarle attraverso il cosiddetto “redditometro”, superando de iure le incertezze di stima e le difficoltà degli uffici di stabilire quanto costi mantenere — ad esempio — un’imbarcazione da diporto, un cavallo da corsa o una villa in montagna. La stessa logica è alla base del cosiddetto “spesometro” (introdotto dall’articolo 21 del Decreto Legge [di seguito D.L.] n. 78/2010), termine con cui si indica l’obbligo della comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA. I dati acquisiti confluiscono in un’apposita banca dati e, tramite gli incroci con le altre informazioni contenute nell’Anagrafe tributaria, per consentire “un’analisi del rischio finalizzata alla selezione dei soggetti da sottoporre a controllo che potrà incidere in misura più che efficace sulla proficuità degli accertamenti e, quindi, sul contrasto all’evasione”[5]. Lo spesometro è in vigore per le operazioni rilevanti ai fini IVA (senza limite d’importo); non riguarda invece le operazioni non superiori a 3’600 euro (inclusa IVA) senza obbligo di fatturazione. 2. Il redditometro e il “redditest” L’articolo 38 del D.P.R. n. 600/1973 determina dunque i criteri per determinare in via presuntiva il reddito, attraverso alcuni elementi, circostanze e coefficienti (particolarmente il possesso di beni, la formazione del patrimonio, quale risultante del flusso di redditi) anche ulteriormente individuati da decreti ministeriali come il D.L. n. 78/2010. Il punto di partenza del redditometro è rappresentato dal presupposto che, a fronte di un certo livello di spesa, vi deve essere almeno un'entrata di pari livello. Si tratta del meccanismo attraverso il quale Fisco, faticando a tassare i redditi nel momento in cui si formano, cerca di individuarli all’atto della spesa, attraverso la valorizzazione di elementi: ◆ che ordinariamente affluiscono nel Sistema Informativo dell’Anagrafe Tributaria (inclusi quelli riferibili allo spesometro su cui torneremo subito); ◆ quelli acquisiti tramite scambi di informazioni con le altre agenzie fiscali, enti ed autorità pubbliche (INPS, PRA, INAIL, SIAE, Comuni); ◆ quelli acquisiti tramite specifiche e dedicate campagne di raccolta sul territorio anche in collaborazione con la Guardia di Finanza (che proseguiranno per ottenere elementi più specifici, non acquisibili in forma massiva). Nell’ambito del nuovo redditometro vengono allo stato prese in considerazione oltre 100 voci, rappresentative di tutti gli aspetti della vita quotidiana, indicative di capacità di spesa, che contribuiscono congiuntamente alla stima del reddito. Le voci si possono aggregare in 7 categorie: ◆abitazione; ◆ mezzi di trasporto; ◆ assicurazioni e contributi; ◆istruzione; ◆ attività sportive e ricreative e cura della persona; ◆ altre spese significative; ◆ investimenti immobiliari e mobiliari netti. Non è il caso di tediare il lettore con l’indicazione analitica del contenuto delle varie voci (di per sé facilmente intuibile): a titolo di curiosità, segnaliamo tra le “altre spese significative” teoricamente espressive di capacità contributiva gli assegni periodici corrisposti al coniuge (tra l’altro pacificamente deducibili per l’erogante), le donazioni a favore di Onlus (per altro verso detraibili fino ad un massimo di 2’065 euro) e le spese veterinarie. La disponibilità di detti beni e il sostenimento di dette spese, laddove comporti anche nella singola annualità uno scostamento del 20% tra il reddito ricostruito sinteticamente e quello dichiarato, si tradurrà in un invito al contribuente a presentare le opportune spiegazioni (articolo 38 comma 7, del D.P.R. n. 600/73), non solo dimostrando che i beni provengono dall’impiego di redditi già sottoposti a tassazione (ovvero esenti) ma che il mantenimento dei medesimi è compatibile col reddito dichiarato[6]. Si noti che la “disponibilità dei beni indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva contempla anche le ipotesi di utilizzo a qualsiasi titolo, anche di fatto, da parte di terze persone in quanto obiettivo della disciplina è l’individuazione di fonti di reddito non dichiarate”[7]. In caso il contribuente non riesca a scongiurare l’emissione dell’accertamento, è comunque obbligatorio l’invito dell’ufficio ad una composizione bonaria in accertamento con adesione (articolo 38 comma 7, del D.P.R. n. 600/73). In un’ottica difensiva, è senz’altro utile tenere presente che sia l’accertamento sintetico puro (ex comma 4) che quello redditometrico (ex comma 5) consistono nell’utilizzo di presunzioni cosiddette “semplici” da parte del Fisco, che cioè per esser valide devono essere suffragate da “gravità precisione e concordanza”[8]. Tecnicamente quindi non vi è alcuna inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e, una volta che questi abbia fornito le sue “pezze d’appoggio”, la determinazione del reddito dipenderà dagli equilibri del contraddittorio tra Fisco e contribuente stesso, con eventuale successivo controllo da parte dei Giudici tributari[9]. Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Come noto, col D.L. già citato l’istituto è stato fortemente riformato attraverso l’analisi a campione di oltre 22 milioni di famiglie ovvero circa 50 milioni di soggetti. Il processo è partito con l’individuazione di gruppi omogenei di famiglie, all’interno dei quali sono state selezionate quelle in condizione di normalità: ciò si ottiene mediante appositi indicatori che rivelano eventuali, significative incoerenze tra le voci indicative di capacità di spesa ed il reddito dichiarato. L’ultima fase – evidentemente la più delicata – prevede la stima della relazione tra reddito e voci indicative della capacità di spesa, che avviene applicando una funzione di regressione multivariata, dove per ciascuno dei 55 gruppi omogenei le voci indicative della capacità di spesa contribuiscono in misura differenziata alla stima del reddito della famiglia. Il redditometro così riformulato è in vigore dal gennaio 2013; il 20 novembre 2012 è avvenuta invece la pubblicazione di un software (battezzato “redditest”), per consentire al contribuente di capire se il reddito che intende dichiarare al Fisco è in linea o no con il proprio tenore di vita e la capacità di spesa sostenuta nel corso dell’anno. I contribuenti possono quindi utilizzare il redditest per orientarsi in vista della compilazione della dichiarazione dei redditi; i risultati della verifica preventiva, in ogni modo, non potranno essere in alcuna maniera acquisiti dall’amministrazione finanziaria. Il redditest si impernia, nel dettaglio, su 100 indicatori di spesa suddivisi in 7 categorie: abitazioni, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi previdenziali, istruzione, attività sportive e tempo libero, investimenti immobiliari e mobiliari e altre spese significative. Si spazia dalle spese per la casa all’istruzione dei figli, dagli investimenti agli abbonamenti allo stadio o al teatro, dai viaggi alle cene al ristorante. A partire da questo mosaico di uscite sarà ricostruito un reddito presunto che si potrà confrontare con il reddito da dichiarare. Di fronte a scostamenti consistenti (oltre il 20%) si accenderà, come detto, il semaforo rosso e si dovrà quindi valutare in un’ottica di compliance come comportarsi in sede di dichiarazione dei redditi; con il semaforo verde si potrà stare più tranquilli, almeno nei confronti di questa tipologia di accertamento. 3. Lo spesometro Il redditometro si basa, come accennato, anche sullo spesometro, introdotto dall’articolo 21 del D.L. n. 78/2010. Si tratta in sostanza dell’obbligo di comunicazione telematica con riferimento alle operazioni rilevanti ai fini IVA e a quelle senza obbligo di fatturazione, il cui importo IVA inclusa è superiore a 3’600 euro. A partire dal 2012, le comunicazioni dei dati relativi alle operazioni rilevanti ai fini IVA devono essere inviate entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello in cui le operazioni sono state effettuate. Nella comunicazione, che va redatta osservando le istruzioni contenute nel provvedimento del 29 dicembre 2011 (cosiddetto “tracciato record”), devono essere indicati: ◆ ◆ ◆ ◆ i dati anagrafici del contribuente che ha sostenuto l’acquisto; gli importi complessivi di ogni singola transazione; la data in cui è stata effettuata la transazione; il codice fiscale dell’operatore commerciale presso il quale è avvenuto il pagamento elettronico. Esattamente, va indicato il numero del codice fiscale dei soggetti associati con i quali è stato stipulato un contratto di installazione e utilizzo dei dispositivi POS (Point of sale) per la ricezione di pagamenti effettuati con carte di debito, di credito o prepagate, comprese le eventuali cessazioni. Per ogni terminale va evidenziato l’apposito codice identificativo. Ai fini dei controlli, per le persone fisiche non titolari di partita IVA, gli elementi acquisiti saranno posti a confronto, insieme agli altri elementi di maggiore capacità contributiva, con i redditi dichiarati e, in caso di incongruenza, saranno come detto utilizzati nell’ambito del nuovo procedimento di accertamento sintetico. Per i soggetti titolari di partita IVA, le informazioni acquisite consentiranno di verificare il volume d’affari e i ricavi, nonché i costi e gli acquisti, indicati nella contabilità e nelle relative dichiarazioni fiscali, ovvero, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, di ricostruire la base imponibile IVA e la posizione reddituale del contribuente. 4. Osservazioni finali In conclusione, se da un lato l’accertamento sintetico ed il redditometro forniscono agli Uffici un sistema efficiente per rideterminare i redditi dei contribuenti, dotato di un impianto normativo che sicuramente facilita il lavoro dei funzionari, esso per altro verso rischia di portare a risultati fuorvianti quanto più la condizione economica delle famiglie dipende da fattori patrimoniali, redditi soggetti a imposta sostitutiva, risorse provenienti dai genitori di entrambi i coniugi, ed altre circostanze non emergenti dal reddito ordinario IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche). Non a caso il legislatore ha posto, fin dalla riformulazione dell’articolo 38 in discorso, opportuni argini rispetto ad una determinazione meramente statistica del reddito sintetico: in questo senso va letto il duplice obbligatorio invito al contraddittorio da rivolgersi al contribuente, rispettivamente al momento in cui si rileva uno scostamento importante tra reddito sintetico e dichiarato (del 20% e non inferiore a 12’000 euro) e dopo l’emissione dell’accertamento, ai fini di una soluzione concordata della procedura. 5 6 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Il tenore di vita può insomma essere uno strumento integrativo, e non sostitutivo, degli accertamenti basati sull’attività. Quand’anche si potessero determinare “al centesimo” le spese sostenute dal contribuente, è infatti praticamente impossibile perfino per lui stesso ricostruire la trama patrimoniale che le ha rese possibili. Per quanto si tratti di presunzioni semplici, vi è naturalmente una certa complessità insita nel doversi ricordare dei vari modi che consentono al contribuente di sopravvivere, per darne conto, documenti alla mano, a un potenziale controllo di quello che a molti è sembrato una sorta di “grande fratello fiscale”. Timore che ci pare ingiustificato, dato che il Fisco offre tutte le garanzie derivanti dal fatto di essere una pubblica autorità e che oltretutto quel che interessa ai funzionari accertatori è da “dove vengono i soldi”, non come questi vengano spesi[10]. Elenco delle fonti fotografiche: http://image.webmasterpoint.org/news/original/redditest-per-i-contribuenti-italiani.jpg [22.03.2013] http://www.mercatodipisa.it/images/soldi.jpg [22.03.2013] A margine, rileviamo come la percezione sociale di quello che è uno strumento utile come altri ai fini della lotta all’evasione (specie se l’Agenzia delle Entrate saprà valutare con saggezza in fase di contraddittorio) rischi tuttavia di produrre effetti paradossali legati alla paura di rendersi troppo visibili. Se infatti da un lato chi già era fiscalmente diligente vede aggravarsi gli obblighi di compliance, dall’altro il rischio è di favorire il “nero” nella misura in cui l’interesse del contribuente a non far figurare una determinata spesa per via del redditometro (e/o per avere uno sconto) si sommi all’interesse del fornitore a non fare emergere il relativo ricavo. Nello scenario peggiore, questa percezione sociale del redditometro potrebbe addirittura deprimere ulteriormente i consumi in Italia. Molto dipenderà da come l’Amministrazione finanziaria, pressata dalle esigenze di gettito e dalle contrastanti pulsioni ed istanze di un’opinione pubblica spaventata e confusa, saprà utilizzare lo strumento. [1] Su questi temi si veda Lupi Raffaello, Dirittoamministrativo dei tributi, Dike, 2013, oppure (dello stesso autore), Manuale giuridico di scienza delle finanze, Dike, 2012. [2] La denominazione è tutto sommato in se stessa poco autoesplicativa rispetto al procedimentologico che ricerca il reddito in base alla spesa: il reddito non è distinto analiticamente in base alle varie fonti di produzione, e quindi è “sintetico”, perché la spesa è un dato di “sintesi”, purtroppo influenzato spesso da entrate prive di natura reddituale. Si vedano Covino Simone/Lupi Raffaello, L’insufficienza dell’accertamento sintetico per uncontrollo di massa: una conferma tra le tante, su Dialoghi Tributari, n. 2/2010, pagina 35. Sull’accertamento sintetico vedasi Lupi Raffaello, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano 1988. [3] Vedasi il Decreto del 24 dicembre 2012 “Contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito”. [4] Si veda il Comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 20 gennaio 2013, dove si parla te- stualmente di lotta alla “evasione spudorata”. [5] Si veda l’audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Dottor Attilio Befera, “L’attività dell’Agenzia delle Entrate: il nuovo redditometro 2012”, 31 gennaio 2012, Commissione finanze, Camera dei deputati. [6] Corte di Cassazione, sentenze n. 9549 del 29 aprile 2011, n. 13289 del 17 giugno 2011 e n. 23621 dell’11 novembre 2011. [7] Corte di Cassazione, sentenza n. 12448 dell’8 giugno 2011. [8] Corte di Cassazione, sentenza n. 23554 del 20 dicembre 2012. [9] Del resto le famiglie non sono “aziende” e sarebbe incongruo pretendere una documentazione contabile al livello di accuratezza delle contabilità commerciali. [10] Si veda la nota Ordinanza del Giudice di Napoli del 21 febbraio 2013. Ci pare che siamo qui di fronte a un potere cautelare su una ritenuta interpretazione della Costituzione, ma in assenza di un interesse ad agire, data l’assenza di ogni attività della Guardia di Finanza: il ricorrente ha infatti presentato un ricorso meramente ipote- tico. In ambito tributario, del resto, si ritengono impugnabili solo gli atti impositivi definitivi e non anche quelli prodromici. Mancherebbero alla correttezza del processo l’impugnazione dell’atto individuale e l’interesse ad agire, e forse anche la giurisdizione del giudice civile trattandosi di materia eminentemente tributaria. Diritto tributario italiano Reclamo e mediazione tributaria Roberto Ingrassia Studio Legale Tributario Marino e Associati, Milano Un concreto strumento deflattivo per la limitazione del contenzioso tributario? 1. Introduzione L’articolo 39, comma 9, del D.L. del 6 luglio 2011, n. 98[1], contenente disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria, ha inserito nel Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) del 31 dicembre 1992, n. 546, l’articolo 17-bis, rubricato “Il reclamo e la mediazione”, ampliando così l’elenco degli strumenti deflattivi del contenzioso. Orbene, a partire dal 1997 si è affermata, con sempre maggiore forza, la necessità di instaurare una leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, al fine di assicurare il giusto equilibrio tra pretesa erariale, da un lato, e diritti del contribuente, dall’altro, nonché al fine di attuarequella deflazione del contenzioso, definita dalla stessa Agenzia delle Entrate come un obiettivo primario[2]. In specie, gli istituti deflattivi rappresentano una concreta possibilità per il contribuente e per l’Amministrazione finanziaria di addivenire ad una rapida soluzione della controversia, evitando così l’instaurazione di un contenzioso ad oggi sempre più incerto e prolungato. L’istituto della mediazione tributaria prevede, nei confronti di tutti quegli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati a partire dal 1. aprile 2012, la presentazione di una preventiva istanza contenente la richiesta di annullamento parziale o totale dell’atto e di tutti i motivi di fatto e le ragioni di diritto che si intenderanno far valere nell’eventuale successivo ricorso, qualora la fase amministrativa non abbia sortito gli effetti sperati. I motivi esposti nell’istanza dovranno coincidere, a pena di inammissibilità, con quelli proposti nel ricorso e l’eventuale motivo proposto dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale, non esperito preventivamente nella procedura di mediazione, dovrà essere dichiarato inammissibile. All’interno dell’istanza di reclamo – da redigere obbligatoriamente, come si vedrà meglio infra, qualora vengano rispettati tutti i requisiti previsti – potrà, facoltativamente, essere formulata una proposta di mediazione contenente la mozione del contribuente per definire in via extragiudiziale la controversia[3]. 2. I requisiti per l’applicazione del reclamo Il comma 1, dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 nel prevedere che “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti […]”, ha individuato due specifici parametri che rendono obbligatoria la formulazione dell’istanza di reclamo. In particolare, il primo parametro individuato dalla norma in commento attiene al valore della controversia. Per espressa previsione normativa (cfr. comma 3 dell’articolo 17-bis) il valore della controversia “è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12”. Pertanto, una lettura del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’articolo 17-bis e del comma 5 dell’articolo 12, porta a ritenere obbligatoria la presentazione dell’istanza qualora il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie aventi ad oggetto esclusivamente l’irrogazione di sanzioni il valore sarà costituito dalla somma di queste. Inoltre, richiedendo l’articolo 17-bis un valore della controversia distintamente indicato sono escluse dalla fase di mediazione tutte quelle con valore indeterminabile. Occorre vieppiù precisare che il valore della controversia va determinato con riferimento a ciascun atto impugnato e che qualora un unico atto si riferisca a più tributi, per determinare il valore di quest’ultimo, e di conseguenza l’assoggettabilità o meno alla procedura in commento, si dovrà fare riferimento al totale delle imposte oggetto di contestazione da parte del contribuente. Qualora invece oggetto della controversia sia il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore va determinato tenendo conto dell’importo chiesto a rimborso per singoli periodi d’imposta[4]. Il secondo parametro attiene, invece, alla tipologia di atto impugnato. Nello specifico, come supra evidenziato, l’applicazione del nuovo istituto è subordinata alle controversie aventi ad oggetto “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”. Tale disposizione, insieme al richiamo operato dal successivo comma 6, all’articolo 19, porta, pertanto, a ritenere che il contribuente dovrà espe- 7 8 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 rire una preventiva fase amministrativa, qualora vi sia un atto impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie, e tale atto sia stato emesso dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, nell’elencazione degli atti autonomamente impugnabili di cui all’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992, non potranno essere oggetto di mediazione tutti quelli non emessi dall’Agenzia delleEntrate, ossia: ◆ cartella di pagamento[5]; ◆ avviso di mora; ◆iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del D.P.R. n. 602 del 1973; ◆ fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del D.P.R. n. 602 del 1973; ◆atti relativi alle operazioni catastali, indicate nell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992. Per espressa previsione normativa (cfr. comma 4 dell’articolo 17-bis), inoltre, sono esclusi dalla mediazione tributaria anche gli atti di recupero degli aiuti di Stato illegittimi di cui all’articolo 47-bis. All’interno del novero delle procedure mediabili rientrano, altresì, le controversie ai fini delle imposte sui redditi di società di persone e dei soci che, a livello giurisdizionale, configurano un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Nelle predette fattispecie i rapporti tra le due parti andranno considerati autonomi ed indipendenti[6], con la conseguenza che la società potrà concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci. Di rimando i soci della società potranno alternativamente (i) concludere la mediazione tenendo presente quella conclusa dalla società; (ii) concludere autonomamente la mediazione anche se la società non ha mediato in relazione al proprio rapporto; (iii) costituirsi in giudizio a seguito dell’infruttuoso esperimento della mediazione in relazione al proprio reddito; (iv) presentare direttamente ricorso qualora il valore della propria controversia non rientri nella soglia per poter mediare, i.e. ventimila euro. l’Agenzia delle Entrate dovesse respingere il reclamo in data antecedente allo spirare dei novanta giorni, si ricorda che i termini per la costituzione in giudizio, sia per il ricorrente che per la parte resistente, decorreranno dal giorno dell’avvenuto ricevimento del diniego[8]. Orbene, producendo l’istanza gli stessi effetti del ricorso, il termine di trenta giorni previsto per la costituzione in giudizio del ricorrente, di cui all’articolo 22 del D.Lgs. n. 546/1992, nonché quello di sessanta giorni previsto per la parte resistente, ai sensi dell’articolo 23 del medesimo decreto, andranno calcolati a partire dal giorno successivo: (i) allo spirare dei novanta giorni senza che il contribuente abbia ricevuto comunicazione dell’accoglimento dell’istanza ovvero sia stato formulato accordo di mediazione; (ii) a quello di ricevimento del diniego all’accoglimento dell’istanza; (iii) a quello di ricevimento di accoglimento parziale dell’istanza. Riguardo al versamento del contributo unificato, che l’articolo 9 del D.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, ha esteso anche al processo tributario, in sostituzione dell’imposta di bollo, si è espresso il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Circolare del 21 settembre 2011, n. 1/DF, dove al punto 2.2 ha affermato che il contributo unificato non è dovuto per il “reclamo con o senza proposta di mediazione di cui al comma 1 dell’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 nelle controversie di valore non superiore a ventimila euro, al momento della sua presentazione alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che ha emanato l’atto ai sensi del comma 5 dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 5 4 6/ 19 92”. Pertanto, il versamento dello stesso si renderà obbligatorio solo a seguito della mancata conclusione della procedura di mediazione e solo al momento del deposito del ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale. Nel differente caso di soggetti coobbligati, invece, i procedimenti di mediazione dovranno essere condotti in modo coordinato nei confronti di tutti i coobbligati e qualora venga perfezionata nei confronti di uno o più di essi, l’obbligazione tributaria si estinguerà nei confronti di tutti. 3. La presentazione dell’istanza Una volta constatata la presenza dei requisiti che rendono obbligatoria la presentazione dell’istanza, la stessa, contenente anche l’eventuale proposta di mediazione[7], dovrà essere notificata alla Direzione provinciale o regionale che ha emanato l’atto, entro sessanta giorni dalla data di notifica dello stesso o, in caso di rifiuto tacito opposto ad una domanda di rimborso, dopo il novantesimo giorno dalla domanda stessa. Occorre precisare che ai termini per la proposizione dell’istanza si applicano le disposizioni sulla sospensione feriale dei termini, sospensione che, invece, non trova applicazione una volta instaurata la procedura, la quale, ai sensi di quanto disposto dal comma 7 dell’articolo in commento dovrà concludersi obbligatoriamente entro il termine di novanta giorni, trattandosi di una fase amministrativa e non processuale. Tuttavia, qualora 4. La proposta di mediazione Come già supra precisato, la proposta di mediazione costituisce una fase meramente eventuale, la cui mancata presentazione non comporta pronuncia di inammissibilità. Tuttavia, qualora il contribuente non abbia formulato nell’istanza un apposito accordo di mediazione, lo stesso potrà essere formulato dall’Ufficio, il quale provvederà a comunicare la proposta comprensiva di rideterminazione della pretesa tributaria e contenente, in calce, il nominativo e i recapiti del funzionario incaricato, così da consentire l’avvio dei contatti. Alternativamente il contribuente potrà essere direttamente invitato al contraddittorio al fine di formulare una motivata proposta di mediazione. Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Per espressa previsione normativa, all’accordo di mediazione si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 48 del D.Lgs. n. 546/1992. Pertanto, in base a quanto statuito dal comma 6 del predetto articolo, in caso di avvenuta mediazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento delle somme irrogabili in relazione all’ammontare del tributo risultante dalla mediazione. Inoltre, in base a quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare del 3 agosto 2012, n. 33/E, qualora in sede di mediazione la sanzione venga confermata o rideterminata, in nessun caso potrà essere ammessa una riduzione differente dal quaranta per cento della sanzione confermata o rideterminata. sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento ex articolo 25 del D.P.R. n. 602/1973; (ii) decorsi novanta giorni dalla notifica dell’accertamento esecutivo ex articolo 29 del D.L. n. 78/2010. Invero, occorre rilevare che ai sensi del citato articolo 29 l’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a) (i.e. avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate); tale sospensione, ad ogni modo, non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. Una volta raggiunto l’accordo, occorrerà sottoscrivere la proposta di mediazione da cui si evince in modo specifico il contenuto dell’intesa ed in particolare la rideterminazione delle somme e le modalità di versamento delle stesse. Il perfezionamento avverrà con il successivo versamento dell’intero importo dovuto[9] o con il versamento della prima rata in caso di versamento rateale[10], effettuato entro venti giorni dalla conclusione dell’accordo. Pur non essendo obbligatorio concludere l’accordo di mediazione, occorre precisare che il rifiuto del contribuente alla sottoscrizione dello stesso, invero, potrebbe generare nei confronti di quest’ultimo, un ulteriore aggravio della pretesa tributaria. Difatti, il comma 10 dell’articolo 17-bis prevede che, nel caso in cui la controversia giunga dinanzi alla Commissione Tributaria e la parte risulti soccombente, la stessa “è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo”. Qualora tuttavia ricorrano giustificati motivi, da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, i Giudici potranno compensare parzialmente o per intero le spese di lite. 5. Le problematiche ancora irrisolte Una problematica sottesa alla presentazione dell’istanza di reclamo/mediazione che merita di essere menzionata, è quella inerente la riscossione del tributo oggetto di mediazione. La presentazione dell’istanza, difatti, non sospende gli effetti esecutivi dell’atto oggetto di impugnazione e, tale mancata previsione, esplica, a fortiori, conseguenze ancor più negative alla luce dell’entrata a regime dell’accertamento esecutivo[11] che rende gli atti suscettibili di esecuzione immediata. Ebbene, la sospensione di cui all’articolo 47 del D.Lgs. n. 546/1992 regolamenta la sola sospensione in pendenza di controversia giurisdizionale e, pertanto, ad oggi, l’istanza di sospensione dell’atto oggetto di mediazione potrà essere proposta solo in seguito alla conclusione della relativa fase amministrativa, non essendo presente alcuna norma che preveda, durante il tempo utile per la mediazione, l’inibizione, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, all’adozione di apposite misure cautelari. In conseguenza di ciò, sembra pertanto potersi affermare che, in costanza dei presupposti di legge, l’Amministrazione finanziaria potrà procedere, mediante fermi e ipoteche (i) decorsi Con la Circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E, l’Agenzia delle Entrate cerca, ad ogni modo, di trovare una soluzione alla mancata previsione, all’interno dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, di una disposizione volta a regolare la sospensione dell’atto oggetto di procedura amministrativa, al fine di bloccare l’eventuale azione dell’Agente della riscossione. La soluzione prospettata si concentra nella possibilità riconosciuta dall’articolo 2-quater, comma 1-bis del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazione dalla Legge del 30 novembre 1994, n. 656, di ricomprendere all’interno del potere di annullamento o di revoca anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato. Alla luce di ciò, il contribuente anche all’interno del procedimento in commento potrà chiedere, mediante istanza formulata contestualmente all’atto introduttivo del reclamo/mediazione, ovvero separatamente, la sospensione degli effetti dell’atto che, ove risulti fondata, potrà essere sospeso dalla Direzione (provinciale o regionale) fino al termine della fase di mediazione. Il rimedio prospettato dall’Agenzia delle Entrate, invero, non sembra offrire adeguate garanzie al contribuente in quanto, la possibilità di richiedere la sospensione dell’atto oggetto di reclamo mediante istanza di autotutela, rimetterebbe il potere di concedere o meno la sospensione degli effetti dell’atto ad una mera valutazione dello stesso soggetto contro cui è rivolto il 9 10 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 reclamo, con conseguente palese carenza di tutela eccepibile alla stregua degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. L’auspicio, pertanto, è quello di ottenere per il futuro una maggiore garanzia, nei confronti del contribuente, così da rispettare quei principi fondamentali di eguaglianza, terzietà, imparzialità e giusto processo su cui si impernia la nostra carta costituzionale. 6. La questione di legittimità costituzionale della mediazione tributaria Occorre rilevare come in merito alla mediazione tributaria è stata recentemente sollevata questione di legittimità costituzionale con riferimento, in particolare, al fatto che l’omessa presentazione del reclamo comporta inevitabilmente l’inammissibilità del ricorso. Ebbene il caso affrontato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia nell’ordinanza n. 18/02/13, pronunciata addì 1. febbraio 2013 e depositata il successivo 7 febbraio 2013, verte sulla proposizione di un ricorso avverso una cartella esattoriale di importo inferiore a 20'000 euro, nei cui confronti non era stata preventivamente esperita istanza di mediazione/reclamo. L’Amministrazione finanziaria, rilevata la suddetta omessa presentazione chiedeva che il ricorso fosse dichiarato inammissibile. Ebbene il Consesso, rilevati seri dubbi di costituzionalità, ha deciso di rimettere gli atti alla Consulta, in quanto a giudizio della Commissione adita, la mediazione tributaria viola i principi costituzionali sanciti dagli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione. Orbene i Giudici di prime cure hanno in primis rilevato come la proposizione del reclamo come condizione di ammissibilità dell’eventuale successivo ricorso lede il diritto di difesa del contribuente in quanto, condizionando il ricorso giurisdizionale al previo esperimento di una fase amministrativa, impedisce a quest’ultimo di adire immediatamente la giustizia tributaria ricevendone la necessaria tutela. Ma vi è di più. I Giudici rilevano inoltre come l’organo deputato ad esaminare l’istanza di mediazione/reclamo è pur sempre un organo dell’Amministrazione che seppur diverso da quello che ha emanato l’atto oggetto di reclamo è, invero, sempre parte della stessa Amministrazione. La Commissione sottolinea come sia pertanto evidente l’utilizzo erroneo ed illogico dell’istituto in commento, ed a tal proposito richiama il diritto dell’Unione europea, già evocato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2012[12], nella parte in cui disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato (“può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro” ai sensi dell’articolo 3, lettera a, della direttiva n. 2008/52/CE del 21 maggio 2008). Alla luce di quanto detto “l’organo della mediazione deve essere estraneo alle parti, in sostanza non può essere mediatore una delle parti, anche se costituito in ufficio autonomo”. L’ordinanza affronta altresì il tema della carente tutela cautelare del contribuente prima della costituzione in giudizio, ovvero prima della decorrenza dei novanta giorni dalla notifica del reclamo, posto che il contribuente non potrebbe chiedere nessuna sospensione dell’atto ai sensi dell’articolo 47 del D.Lgs. n. 546/1992 in quanto non potrebbe depositare il proprio ricorso presso la Commissione se non al termine della preventiva fase di reclamo. Di poi, la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia rileva l’incostituzionalità della mediazione per violazione dell’articolo 3 della Costituzione, laddove prevede che l’istituto della mediazione si applica “solo ai tributi imposti dall’Agenzia delle Entrate e non ai tributi provenienti da altri Enti impositori, talché i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi si troverebbero ad avere maggiore tutela giuridica rispetto ad i contribuenti cui pervengono atti dell’Amministrazione finanziaria che devono attenersi all’iter procedurale previsto dalla norma di cui si dubita della costituzionalità”. Infine i Giudici perugini eccepiscono la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, nel punto in cui la mediazione si applica solo alle controversie che hanno un valore non superiore a 20’000 euro, in quanto pone i contribuenti debitori dello Stato per importi più elevati in una posizione di tutela maggiore, potendo essi adire direttamente l’autorità giudiziaria ed ottenere l’immediata sospensione dell’atto. Orbene confidando, o meglio sperando, in una rapida e concreta soluzione delle problematiche supra esposte inerenti la sospensione dell’atto oggetto di mediazione/reclamo nonché le sollevate questioni di legittimità costituzionale, si rileva, tuttavia, come l’istituto in esame, nei primi periodi di applicazione ha già permesso di evitare numerosi liti e, pertanto, di ridurre il contenzioso pendente dinanzi le Commissioni Tributarie. Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Per maggiori informazioni: Agenzia delle Entrate, Circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E, in: http://www. agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/79375b004a91a92c990bd9f99 946a13b/cir9e+del+19+03+12+_3_.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=7 9375b004a91a92c990bd9f99946a13b [22.03.2013] Agenzia delle Entrate, Circolare del 3 agosto 2012, n. 33/E, in: http://www. agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/9777e5804c36fb518667a6ce3 12dbf81/circolare+33e+_2_.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=9777e58 04c36fb518667a6ce312dbf81 [22.03.2013] Agenzia delle Entrate, Risoluzione del 19 aprile 2012, n. 37/E, in: http://www. agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/7f5834004af190ee8de98da8b 297458c/--+Ris37e+del+19+04+12x.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID= 7f5834004af190ee8de98da8b297458c [22.03.2013] Elenco delle fonti fotografiche: http://www.lavorofacile.eu/writable/mod_news/201206302106292012-92804-NDP.jpg [22.03.2013] http://www.studiolosiferrari.it/cms_rc/allegati/1203221710_mediatore-marka-258.jpg [22.03.2013] http://st atic .fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2012/01/Si-pu%C3%B2-fare-a-meno-di-Equitalia-e-risparmiare20-mila-euro-Certo-che-s%C3%AC-638x425.jpg [22.03.2013] [1] Convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge del 15 luglio 2011, n. 211. [2] L’importanza del ricorso agli strumenti deflattivi del contenzioso è stata evidenziata oltre che dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Circolare del 26 maggio 2011, n. 22/E, anche nella Convenzione triennale con il Ministro dell’Economia e delle Finanze per gli esercizi 2011-2013, ove si legge “L’azione dell’Agenzia continuerà ad essere prioritariamente orientata verso la diminuzione del contenzioso, attraverso il pieno utilizzo degli strumenti deflattivi”. [3] In caso di formulazione di una proposta di mediazione, il comma 8, dell’articolo 17-bis rimanda, per quanto compatibili, alle disposizioni di cui all’articolo 48 del D.Lgs. n. 546/1992. [4] Nei confronti delle controversie aventi ad oggetto il rifiuto tacito alla restituzione delle imposte, la procedura di mediazione si applica solo se alla data del 1. aprile 2012 non siano decorsi novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso. [5] Purché il contribuente sollevi contestazioni attinenti esclusivamente a vizi propri della cartella di pagamento. [6] A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza dell'11 aprile 2011, n. 8168, in tema di conciliazione, cui rinvia l’articolo 17-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ha statuito che “è da rilevare che […] gran parte della giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) ha ripetutamente avuto modo di evidenziare che i soci della società di persone sono titolari di una soggettività tributaria autonoma rispetto a quella della società e le vicende del loro accertamento restano insensibili alle determinazioni che la società autonomamente assuma in relazione all’accertamento che la riguardi”. [7] Si ricorda che la proposta di mediazione rappresenta una fase meramente eventuale, e pertanto la mancata formulazione della stessa non costituisce motivo di inammissibilità dell’istanza. [8] Qualora l’istanza di mediazione/reclamo non vada a buon fine ed il termine spiri durante la sospensione feriale dei termini, si precisa che il termine per la costituzione in giudizio, decorre dal 16 settembre, in quanto trattasi di termine processuale e non amministrativo. [9] Per i codici tributo da utilizzare per il versamento, tramite F24, delle somme dovute per i tributi derivanti dagli atti oggetto del reclamo o della mediazione si rimanda alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 19 aprile 2012, n. 37/ E . [10] Il richiamo all’articolo 48, comporta che, ai sensi del comma 3, il versamento delle somme può avvenire “in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali, se le somme dovute superano i 50.000 euro”. [11] L’accertamento esecutivo è stato introdotto dall’articolo 29 del D.L. del 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni dalla Legge del 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. [12] Corte Costituzionale, sentenza 24 ottobre-6 dicembre 2012, n. 272, con la quale la Consulta ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del D.Lgs. del 4 marzo 2010, n. 28, nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione civile. 11 12 Diritto tributario svizzero L’applicabilità della CEDU alla procedura amministrativa Matteo Gamboni Esperto fiscale diplomato Manager area fiscale MDR Advisory Group SA, Lugano Il 5 aprile 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sconfessato il Tribunale federale dichiarando applicabili le garanzie previste dall’articolo 6 CEDU alle procedure amministrative Nel passato, in due casi concernenti la Svizzera, la Corte europea ha riconosciuto che i procedimenti di contravvenzione per sottrazione d’imposta sono da considerare procedure a carattere penale ai sensi dell’articolo 6 CEDU[3]. 1. Introduzione Il 5 aprile 2012, la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte europea) ha infranto un tabù, dichiarando applicabili le garanzie processuali dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (di seguito CEDU) alle procedure amministrative[1], sconfessando di riflesso il Tribunale federale che nella stessa causa le aveva dichiarate non applicabili[2]. Grazie all’applicazione, nella procedura di sottrazione, delle garanzie processuali previste dall’articolo 6 CEDU, il contribuente è protetto dalla coercizione abusiva delle autorità. Infatti, ancorata nell’articolo 6 CEDU troviamo la nozione di processo equo, dalla quale si deduce il diritto di non contribuire alla propria incriminazione (principio “nemo tenetur se ipsum accusare”), che impone alle autorità fiscali di cercare di fondare le loro argomentazioni senza ricorrere a elementi di prova ottenuti mediante costrizione o pressioni, contro la volontà dell’accusato. Tale garanzia mira quindi ad evitare errori giudiziari ed a perseguire il risultato voluto dall’articolo 6 CEDU. Pertanto, l’articolo 6 CEDU tutela il contribuente contro l’utilizzazione nella procedura penale di informazioni ottenute nel quadro della procedura ordinaria di tassazione e di ricupero d’imposta, nella quale egli ha l’obbligo di collaborare alla definizione dei suoi elementi imponibili[4]. Sebbene la decisione della Corte europea non è stata presa all’unanimità dai setti giudici (due hanno espresso parere dissenziente), è importante trarre i dovuti insegnamenti, soprattutto alla luce delle prossime modifiche legislative in campo penale fiscale. 2. La prassi attuale La sottrazione d’imposta racchiude in sé due procedure: (i) una procedura penale di sottrazione ed (ii) una procedura amministrativa di ricupero d’imposta. La procedura di ricupero si caratterizza per il fatto che non è altro che una tassazione a posteriori, essenzialmente a carattere oggettivo, di elementi sfuggiti in precedenza al fisco. Si tratta quindi di una pura procedura amministrativa che ha lo scopo di tassare il contribuente secondo la propria capacità contributiva. Nella procedura di ricupero il contribuente gode degli stessi diritti ed obblighi valevoli durante la procedura di tassazione. Al contrario della procedura di ricupero, la procedura di sottrazione ha lo scopo di stabilire l’importo della multa da infliggere al contribuente per il suo comportamento colpevole. In particolare vi è sottrazione consumata d’imposta quando il contribuente, intenzionalmente o per negligenza, fa in modo che una tassazione sia indebitamente omessa o che una tassazione cresciuta in giudicato sia incompleta. La multa equivale, di regola, all’importo dell’imposta sottratta. 3. La sentenza Chambaz 3.1. I fatti Il 10 gennaio 1990, Yves Chambaz inoltrò all’autorità fiscale vodese la propria dichiarazione dei redditi per il periodo fiscale 1989-1990. In sede di tassazione, l’autorità fiscale riscontrò un’evoluzione della sostanza non in linea con gli elementi di reddito dichiarati, motivo per il quale fu emessa una tassazione d’ufficio che stabilì il reddito imponibile in 750’000 franchi contro gli 81’000 dichiarati. Il 25 giugno 1991, il contribuente interpose tempestivamente reclamo contro la notifica di tassazione 1989-1990. Durante la procedura di reclamo, l’autorità fiscale chiese al contribuente – inutilmente – di produrre della documentazione bancaria. Nell’agosto 1994, di fronte alla mancata collaborazione, l’autorità fiscale respinse il reclamo e spiccò due multe all’indirizzo del contribuente (una di 2’000 franchi per l’imposta federale diretta e l’altra di 3’000 franchi per l’imposta cantonale e comunale) per essersi rifiutato di dar Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 seguito ad un ordine dell’autorità, ossia di non aver prodotto la documentazione bancaria richiesta. Contro le predette decisioni, il contribuente interpose tempestivamente ricorso al Tribunale amministrativo vodese. Nel frattempo che la procedura di ricorso era pendente, il 25 febbraio 1999 il Capo del Dipartimento federale delle finanze ordinò l’apertura di un’inchiesta fiscale speciale ai sensi degli articoli 190 e seguenti della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) contro Yves Chambaz, sospettato di aver commesso gravi infrazioni fiscali. I mandati di perquisizione firmati il 3 marzo 1999 dal Direttore dell’Amministrazione federale delle contribuzioni, autorizzavano gli ispettori inquirenti della Divisione inchieste fiscali speciali (oggi Divisione affari penali ed inchieste; di seguito DAPI) a sequestrare tutti i documenti utili all’inchiesta per il periodo dal 1989 al 1998, come pure documenti anteriori al 1989 o posteriori al 1998 sempreché pertinenti. Il 15 marzo 1999, in seguito all’apertura dell’inchiesta condotta dalla DAPI, l’Amministrazione cantonale vodese comunicò al contribuente di aver aperto nei suoi confronti una procedura di sottrazione d’imposta per i periodi fiscali 1995-1996 e seguenti. Grazie alle perquisizioni svolte dagli inquirenti della DAPI, l’Amministrazione cantonale vodese entrò in possesso della documentazione bancaria necessaria, così da stabilire con maggiore precisione il reddito imponibile per il periodo 19891990. Infatti, il 7 febbraio 2002, l’Amministrazione cantonale vodese scrisse al Tribunale amministrativo comunicando che il reddito imponibile per l’imposta federale diretta per il periodo in esame era di 1’570’200 franchi. di 3’000 franchi all’indirizzo di Yves Chambaz. Nei suoi consideranti, il Tribunale amministrativo affermò inoltre che il ricupero d’imposta, ossia la tassazione d’ufficio, poteva aver luogo indipendentemente dalla procedura di sottrazione, nonostante gli elementi su cui si fondava derivassero dalla procedura penale istruita dagli inquirenti federali. Ricorrendo al Tribunale federale, Yves Chambaz lamenta una violazione dei suoi diritti fondamentali, quali la violazione della nozione di processo equo (articoli 29 capoverso 1 della Costituzione federale [di seguito Cost.] e 6 capoverso 1 CEDU), del principio di presunzione d’innocenza (articoli 32 capoverso 1 Cost. e 6 capoverso 2 CEDU) e del diritto di essere sentiti (articoli 29 capoverso 2 Cost. e 6 capoverso 1 CEDU). 3.2. La decisione del Tribunale federale Il Tribunale federale ha innanzitutto constatato che gli elementi raccolti dalla DAPI durante le perquisizioni e trasmessi all’autorità cantonale in virtù dell’assistenza amministrativa tra autorità (articolo 111 LIFD), non trasformano la procedura di tassazione d’ufficio per il periodo fiscale 1989-1990 in procedura penale[5]. La procedura di sottrazione si riferisce infatti ai periodi fiscali 1995-1996 e seguenti. Essendo la procedura di tassazione d’ufficio una pura procedura amministrativa, le lamentele dell’insorgente circa la violazione delle garanzie previste dall’articolo 6 CEDU (processo equo, presunzione d’innocenza e diritto di essere sentiti) sono state giudicate non pertinenti. Secondo l’Alta Corte federale il contribuente era tenuto a collaborare e non poteva prevalersi del suo diritto al silenzio. Infatti, l’articolo 6 CEDU protegge il contribuente contro l’utilizzo di informazioni ottenute nel quadro della normale procedura di tassazione, dove ha l’obbligo di collaborare, per poi approfittarne nella procedura penale, e non il contrario. Nel caso in esame, si tratterebbe di informazioni raccolte nell’ambito della procedura penale, che sono poi state trasmesse all’autorità amministrativa. Nessun elemento comunicato dal contribuente è stato utilizzato per definire il suo debito d’imposta. Il Tribunale federale conferma inoltre la multa di 2’000 franchi (e di 3’000 franchi) inflitta al contribuente poiché pronunciata durante la procedura di tassazione e non durante la procedura di sottrazione, come fu invece il caso della causa giudicata dalla Corte europea il 3 maggio 2001[6]. Più in generale, il Tribunale federale conclude affermando che l’articolo 6 CEDU non è applicabile nel caso in questione in quanto procedura di carattere meramente amministrativo. Onde statuire sul ricorso, fu indetta un’udienza dinnanzi ai Giudici del Tribunale amministrativo vodese alla quale presero parte i difensori di Yves Chambaz ed alcuni funzionari (tra cui un funzionario della DAPI), i quali misero agli atti ulteriori elementi di prova a carico del contribuente. Nella sua decisione del 21 ottobre 2002, il Tribunale amministrativo vodese fissò il reddito imponibile per l’imposta federale diretta in 1’537’300 franchi. Furono pure confermate le due multe pronunciate nell’agosto 1994 di 2’000, rispettivamente 3.3. La decisione della Corte europea La Corte europea ribadisce innanzitutto che l’applicazione dell’articolo 6 CEDU non si limita ai casi in cui una multa per sottrazione d’imposta è stata effettivamente pronunciata. Se la procedura è tesa a determinare dei montanti dovuti a titolo d’imposta, senza escludere categoricamente la pronuncia di una sanzione, l’articolo 6 CEDU è comunque applicabile anche se, in fin dei conti, le autorità rinunciano ad infliggere una 13 14 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 sanzione[7]. La Convenzione deve essere infatti interpretata in modo tale da garantire il carattere concreto dei diritti che protegge[8]. In particolare la Corte europea non esclude a priori l’applicabilità dell’articolo 6 CEDU allorquando più procedure sono condotte parallelamente, così che i rimproveri mossi al contribuente lo spingano inevitabilmente a determinarsi su degli atti o dei frammenti di procedura ai quali l’articolo 6 CEDU non sarebbe applicabile, ma che se combinati in una stessa procedura diventa impossibile distinguere le fasi penali dalle altre[9]. L’applicabilità dell’articolo 6 CEDU può quindi essere ammessa quando un insieme di procedure sono sufficientemente legate tra di loro, sia per quanto attiene i fatti, sia per il modo con cui le procedure sono state istruite dall’autorità fiscale. Ritornando al caso concreto, la Corte europea ha identificato il nesso di causalità tra la procedura amministrativa e quella penale, nell’obbligo di assistenza tra autorità fiscali (articoli 111 e 195 capoverso 1 LIFD); la procedura penale istruita dalla DAPI ha fornito assistenza, ergo informazioni e documenti, alla procedura amministrativa condotta dalle autorità cantonali. In particolare, l’inchiesta della DAPI non aveva raccolto informazioni attinenti ai soli periodi fiscali per i quali fu aperta una procedura di sottrazione (1995-1996 e seguenti), ma la cernita dei documenti mirava anche a documenti risalenti al periodo 1989-1990. Sulla base di questi elementi, la Corte europea è giunta alla conclusione che l’inchiesta istruita dalla DAPI non era altro che il prolungamento della procedura condotta dinnanzi al Tribunale amministrativo vodese, tant’è che le due procedure erano talmente legate che il carattere manifestamente penale dell’inchiesta si era esteso alla procedura amministrativa, soggiogandola[10]. Ne discende che le multe di 2’000 e 3’000 franchi pronunciate dall’autorità cantonale vodese all’indirizzo di Yves Chambaz e confermate dalle istanze giudiziarie svizzere, violerebbero le garanzie processuali di cui all’articolo 6 CEDU. 3.3.1. La violazione del diritto di non contribuire alla propria incriminazione Dinnanzi alla Corte europea, Yves Chambaz ha lamentato anche la violazione del diritto di non contribuire alla propria incriminazione allorquando, in sede di reclamo, l’autorità fiscale chiese al contribuente di produrre documenti bancari che avrebbero potuto spalancare le porte ad una procedura di sottrazione. La Corte europea ha dapprima constatato che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione, presuppone che le autorità cerchino di fondare le loro argomentazioni senza ricorrere ad elementi di prova ottenuti mediante pressioni o contro la volontà dell’accusato. Infliggendo due multe, l’autorità fiscale ha esercitato pressioni sul contribuente mettendolo nella posizione di non poter escludere che tutte le informazioni che avesse trasmesso, non l’avrebbero esposto ad una procedura penale per sottrazione d’imposta[11]. Confermando le multe e, di riflesso, l’obbligo di fornire i documenti bancari richiesti, è stato violato il diritto di non rispondere e di non contribuire alla propria incriminazione (articolo 6 capoverso 1 CEDU). 3.3.2. La violazione del principio della parità delle armi Yves Chambaz lamenta inoltre di non aver avuto pieno accesso ai dossier d’inchiesta poiché, nonostante esplicite richieste, sia il Tribunale amministrativo vodese che il Tribunale federale hanno confermato che l’attitudine particolarmente ostruzionistica adottata in corso d’istruttoria, nella quale ha omesso di “fornire le più elementari spiegazioni che potrebbero far dubitare quanto alla versione dei fatti adottata nella decisione attaccata”, sia da censurare. La Corte europea osserva che non essendoci interessi vitali nazionali o diritti fondamentali di altre persone da proteggere, l’atteggiamento adottato dalle autorità svizzere ha violato il principio della parità alle armi, come garantito dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU. 4. Commento La sentenza in esame contrappone due interessi fondamentali. Da un lato, il diritto dello Stato ad imporre il contribuente in funzione della propria capacità economica, dall’altro i diritti fondamentali dell’individuo ad un processo equo, così come definiti all’articolo 6 CEDU. Ovviamente si tratta di situazioni difficili da conciliare, soprattutto in ambito fiscale dove la procedura di tassazione impone che Stato e contribuente collaborino fattivamente affinché quest’ultimo sia tassato in funzione della propria capacità economica (cosiddetta “procedura mista”). Ma cosa succede se il contribuente omette di dichiarare fattori di reddito e non collabora all’accertamento? È possibile che la CEDU difenda gli evasori fiscali anche durante le normali procedure di tassazione? Nel caso in esame, l’oggetto della richiesta alla Corte europea non furono le procedure di sottrazione d’imposta, bensì le due multe per violazione degli obblighi procedurali con le quali Yves Chambaz veniva punito per non aver dato seguito alle richieste dell’autorità fiscale di presentare della documentazione bancaria. Le multe si riferivano al periodo fiscale 19891990, periodo per il quale non fu mai aperta una procedura di Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 sottrazione d’imposta, ma che fu oggetto d’inchiesta, come lo dimostrano i mandati di perquisizione grazie ai quali la DAPI ha sequestrato documentazione rilevante. La violazione dell’articolo 6 CEDU affiora in particolare quando l’inchiesta penale istruita dalla DAPI si è estesa su periodi fiscali per i quali non fu aperta una procedura di sottrazione, ma parallelamente si chiedeva al contribuente, proprio in virtù dell’assenza di una procedura penale di tentativo di sottrazione d’imposta, di produrre della documentazione bancaria sotto comminatoria di pena. In questo caso, i giudici della Corte europea hanno ritenuto applicabili le garanzie dell’articolo 6 CEDU, poiché in seguito al sovrapporsi delle multe per violazione degli obblighi procedurali con la procedura d’inchiesta della DAPI, non si poteva categoricamente escludere che una multa per sottrazione d’imposta non venisse pronunciata[12]. Infatti, in virtù degli obblighi di collaborazione e mutua assistenza tra autorità fiscali (articoli 111 e 195 capoverso 1 LIFD), sussisteva il rischio che le informazioni rilevanti che la DAPI avesse raccolto durante l’inchiesta, avrebbero permesso all’autorità fiscale cantonale di aprire un procedimento per tentativo di sottrazione d’imposta. Non si poteva nemmeno escludere il contrario, ossia che le informazioni richieste dall’autorità cantonale a Yves Chambaz non contribuissero ad aggravare la sua posizione nei periodi fiscali successivi, oggetto tra l’altro d’inchiesta e procedura penale per sottrazione e/o tentativo di sottrazione d’imposta. notificare senza indugio al contribuente l’avvio di un procedimento penale per tentativo di sottrazione, informandolo dei suoi diritti[14]; una notificazione tardiva, voluta per carpire informazioni facendo leva sull’obbligo di collaborazione, violerebbe il principio della buona fede. La sentenza pone in risalto un altro annoso problema legato alle procedure di sottrazione e tentativo di sottrazione d’imposta. Sebbene il legislatore abbia recentemente stabilito che i mezzi di prova raccolti durante una procedura di ricupero d’imposta (o di tassazione) possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta (o tentativo di sottrazione) soltanto se non sono stati ottenuti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova, né sotto comminatoria di una multa per violazione degli obblighi procedurali (articolo 183 capoverso 1bis LIFD), non è facile per il contribuente distinguere le fasi amministrative e penali della procedura ed appellarsi alle garanzie di cui all’articolo 6 CEDU, soprattutto quando le due procedure sono condotte parallelamente. Dalla sentenza traspare che l’impossibilità di distinguere le fasi procedurali e quindi il rischio di una possibile violazione dell’articolo 6 CEDU, prevale sul principio dell’imposizione secondo la capacità economica, corollario del principio della parità di trattamento, qualora le procedure penali, da un lato, e fiscali, dall’altro, sono condotte parallelamente e legate in modo tale da rendere impossibile un’identificazione chiara ed univoca dell’una o dell’altra[15]. Allo scopo di scongiurare ogni e qualsiasi violazione dell’articolo 6 CEDU, l’autorità fiscale dovrebbe, qualora avesse il dubbio di trovarsi confrontata con un reato fiscale, comunicare subito l’apertura di una procedura di sottrazione o tentativo di sottrazione ed informare il contribuente del suo diritto di non rispondere e di non collaborare al procedimento (articolo 183 capoverso 1 LIFD). La conseguenza di questa stretta interconnessione tra la procedura penale e la procedura amministrativa e l’eventualità che le informazioni così fornite contribuissero ad aggravare la situazione del contribuente, ha spinto i Giudici della Corte europea a ritenere che, nel caso concreto, le autorità cantonali si erano basate su di un’inchiesta penale per definire il debito d’imposta di Yves Chambaz, tant’è che il carattere manifestamente penale dell’inchiesta della DAPI, si è esteso alla procedura ordinaria di tassazione[13]. Se, per ipotesi, l’inchiesta della DAPI non fosse stata avviata, non ci sarebbe stata una violazione dell’articolo 6 CEDU se il rifiuto di collaborazione, una volta sanzionato mediante una multa d’ordine e una tassazione d’ufficio, non fosse sfociato in una multa per tentativo di sottrazione d’imposta basata su elementi carpiti con la “forza”. D’altronde, se l’autorità fiscale, durante la procedura di tassazione, venisse a conoscenza dell’esistenza di fattori imponibili non dichiarati, dovrebbe La procedura amministrativa di tassazione o ricupero d’imposta dovrebbe quindi venir sospesa, in attesa che si definiscano i contorni della procedura penale, nella quale il contribuente può avvalersi di tutti i suoi diritti, obbligando l’autorità fiscale a fondare le proprie accuse senza far leva sull’obbligo di collaborazione del contribuente. Una volta che l’autorità fiscale ha terminato l’istruttoria ed ha emesso la propria decisione (articolo 182 LIFD), che può essere di colpevolezza o di non luogo a procedere, l’aspetto penale del procedimento dovrebbe considerarsi cristallizzato, sebbene risulterebbe ancora necessario attendere la crescita in giudicato della decisione penale che, se impugnata, potrebbe provocare una notevole dilatazione dei tempi. A questo punto, una volta definito l’aspetto penale, l’autorità fiscale potrebbe tornare sulla procedura amministrativa ed obbligare il contribuente a collaborare, anche raccogliendo elementi di prova sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova, oppure di una multa per violazione degli obblighi procedurali. 15 16 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 In questo caso, sia che il contribuente collaborasse, fornendo gli elementi richiesti, sia che rifiutasse ancora la sua collaborazione, non potrà più essere oggetto di una procedura penale di sottrazione o tentativo di sottrazione d’imposta, ma dovrà sopportare le conseguenze del suo agire solo nella procedura amministrativa. Infatti, secondo il principio ne bis in idem, nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione di uno Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.generazionezeroitalia.org/wp-content/uploads/esteri.jpg [22.03.2013] ht tp://m e di a5. n ew s . ch/n ew s/6 8 0/255 615-DA027.02611_4 0. jp g [22.03.2013] ht tp://m e dia9. news .ch/news/6 8 0/272919 -KE2010 0320_0 02 .jpg [22.03.2013] Questo modus operandi di affrontare le procedure penali fiscali, sostenuto anche dalla dottrina di riferimento[16], risponderebbe alle critiche mosse dalla Corte europea. L’unico aspetto negativo riguarda il rischio di prescrizione del debito d’imposta, poiché se i tempi della procedura penale si dilatassero oltremodo, il contribuente potrebbe speculare su questo fattore per sottrarsi ai propri impegni verso la collettività. Sarebbe comunque sufficiente una lieve modifica per introdurre nella legge una sospensione dei termini di prescrizione (articolo 120 LIFD) in caso di apertura di una procedura di sottrazione o di tentativo di sottrazione d’imposta. La recente decisione del Consiglio federale di rivedere il diritto penale fiscale svizzero deve essere finalmente l’occasione per mettere un po’ di ordine nel ginepraio delle procedure penali fiscali, in modo da garantire un’effettiva e percepibile tutela del contribuente. [1] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n. 11663/04, del 5 aprile 2012, disponibile al seguente link: http://hudoc.echr.coe.int/sites/fra/pages/ s e a r c h . a s p x ? i = 0 0 1-1 1 0 2 4 0 # { " i t e m i d " : ["001-110240"]} [22.03.2013]. [2] Decisione TF n. 2P.278/2002 e 2A.572/2002, del 2 ottobre 2003, consid. 4. [3] Sentenze A.P., M.P. e T.P. contro Svizzera, n. 19958/92 e n. 20919/92, del 29 agosto 1997 e sentenza J.B. contro Svizzera, n. 31827/96, del 3 maggio 2001. [4] Decisione TF n. 2A.67/2004, del 17 febbraio 2005, consid. 4.2. [5] Decisione TF n. 2P.278/2002 e 2A.572/2002, del 2 ottobre 2003, consid. 4.1. [6] Sentenza J.B. contro Svizzera, n. 31827/96. [7] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n. 11663/04, del 5 aprile 2012, § 40 e riferimenti citati. [8] Ibidem, § 41 e riferimenti citati. [9] Ibidem, § 42 e riferimenti citati. [10] Ibidem, § 45-49. [11] Ibidem, § 53-55. [12] Ibidem, § 40 e riferimenti citati. [13] Ibidem, § 48. [14] RtiD I-2012 n. 13t. [15] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n. 11663/04, del 5 aprile 2012, § 42 e 43. [16] Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/ Meuter Hans Ulrich, Handkommentar zum DBG, Zurigo 2009, N 16 ad art. 183 LIFD. Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Procedimenti tributari e garanzie processuali dell’articolo 6 CEDU Rocco Filippini Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law Vicecancelliere della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Cantone Ticino Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, del 28 marzo 2011, n. 80.2009.179, in: RtiD II-2011, n. 14t, e in: www.sentenze.ti.ch [22.03.2013] Sentenza del Tribunale federale, del 6 dicembre 2011, n. 2C_395/2011 Articoli 6 CEDU, 151 capoverso 1 LIFD, 175 capoverso 1 LIFD, 236 capoverso 1 LT, 258 capoverso 1 LT – Sottrazione e recupero d’imposta: garanzie processuali, applicazione articolo 6 CEDU, in dubio pro reo, stima degli elementi sottratti, diritto di tacere, valutazione anticipata delle prove 1. Considerazioni introduttive Il diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, non trova – ad oggi – applicazione nei procedimenti di carattere tributario. In una sentenza del 12 luglio 2001, chiamata a confrontarsi con il quesito della sua applicabilità ai procedimenti tributari italiani, la Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha espressamente negata, ascrivendo la materia fiscale al “nocciolo duro delle prerogative della potestà pubblica”[1]. In Svizzera, lo stesso ha fatto il Tribunale federale, argomentando ancora recentemente che nel caso della determinazione dei crediti d’imposta non si tratta di diritti e doveri di carattere civile, bensì di obblighi di diritto pubblico[2]. Le procedure di contravvenzione per sottrazione d’imposta, per contro, ricadono già oggi nel campo di applicazione dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU. La Corte europea dei diritti dell’uomo ed il Tribunale federale definiscono infatti la multa per sottrazione d’imposta come un’autentica pena, con la conseguenza che tali procedimenti – seppure svolti dinanzi ad un’autorità amministrativa – sottostanno ai principi del diritto materiale e del diritto processuale penale. La giurisprudenza della Corte europea è tuttavia in continua evoluzione in tema di procedimenti tributari e garanzie processuali, come dimostra la recente sentenza Chambaz c. Svizzera del 5 aprile 2012. Pur riaffermando l’esclusione – per quel che concerne la determinazione dei diritti e dei doveri di carattere civile – dell’applicazione dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU alla materia tributaria, i giudici di Strasburgo sembrano concludere che un procedimento amministrativo, come quello di fronte all’autorità fiscale, debba in ogni caso rispettare i principi generali posti a tutela dell’accusato, qualora questo procedimento sia legato alla possibilità per la persona interessata di essere esposta ad un’indagine penale. Ma andiamo con ordine. 2. La sentenza J. B. c. Svizzera del 3 maggio 2001 In questa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito e chiarito che il tentativo delle autorità svizzere di costringere un contribuente a dare informazioni nell’ambito di un procedimento per sottrazione d’imposta costituisce una violazione della CEDU. La Corte ha dapprima sottolineato che il diritto di tacere e di non contribuire alla propria incriminazione costituiscono norme internazionali generalmente riconosciute, al centro della nozione di processo equo garantita dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, aggiungendo poi che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione presuppone che le autorità cerchino di fondare la loro argomentazione senza ricorrere a mezzi di prova ottenuti con la costrizione o con pressioni. Ponendo l’accusato al riparo da una coercizione abusiva da parte dell’autorità, la garanzia in questione si prefigge sostanzialmente di evitare errori giudiziari e tutelare così il risultato voluto dall’articolo 6 CED[3]. 3. La nuova procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta In seguito a tale sentenza, il 1. gennaio 2008 è entrata in vigore la Legge federale sulla modifica della procedura di ricupero d’imposta e del procedimento penale per sottrazione d’imposta in materia di imposizione diretta del 20 dicembre 2006. In primo luogo, all’avvio del procedimento penale, l’accusato deve essere informato del suo diritto di non rispondere e di non collaborare al procedimento (nuovi articoli 183 capoverso 1 LIFD e 57a capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni [di seguito LAID]). 17 18 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Inoltre, i mezzi di prova raccolti per una procedura di ricupero d’imposta possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta soltanto se non sono stati ottenuti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova, né sotto comminatoria di una multa per violazione degli obblighi procedurali (nuovi articoli 183 capoverso 1bis LIFD e 57a capoverso 2 LAID). Il legislatore federale ha così stabilito che, per conformarsi alle esigenze che discendono dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, i mezzi di prova raccolti nell’ambito di una procedura di ricupero d’imposta possono essere riutilizzati nell’ambito di un procedimento per sottrazione d’imposta soltanto se tali mezzi di prova non sono stati raccolti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova né tanto meno di una multa per violazione degli obblighi procedurali. 4. La giurisprudenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello In una recente sentenza del 28 marzo 2011, confermata dal Tribunale federale il 6 dicembre 2011, la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello (di seguito CDT) ha avuto modo di ribadire tali concetti: le garanzie processuali dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU si applicano nell’ambito di un procedimento contravvenzionale per sottrazione d’imposta; non si applicano invece nella procedura straordinaria di ricupero d’imposta, a meno che la stessa non si svolga parallelamente al procedimento contravvenzionale[4]. 4.1. La procedura straordinaria del ricupero d’imposta L’autorità fiscale può ritornare su una propria decisione passata in giudicato se sono adempiuti i presupposti per il ricupero d’imposta, cioè se esistono fatti o prove sconosciute al momento della tassazione, che permettono di stabilire che a torto una tassazione non è stata eseguita, o che la tassazione definitiva era incompleta (articoli 236 capoverso 1 della Legge tributaria del Cantone Ticino [di seguito LT] e 151 capoverso 1 LIFD). Questa norma consente di rivedere una tassazione definitiva indipendentemente dall’esistenza di una sottrazione di imposta, vale a dire indipendentemente da una colpa (intenzione o negligenza nell’indurre in errore l’autorità fiscale) del contribuente. Trattandosi di un procedimento di carattere puramente fiscale, il ricupero d’imposta non ricade – in quanto tale – nel campo di applicazione dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU. Come già sottolineato dal Tribunale federale, tale procedura costituisce la riscossione a posteriori di imposte che a torto non si sono potute percepire nel quadro della procedura ordinaria di tassazione. Avendo la stessa natura del credito d’imposta primitivo, essa non ha in particolare carattere penale[5]. 4.2. La procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta La sottrazione d’imposta è regolata dagli articoli 258 capoverso 1 LT e 175 capoverso 1 LIFD. Il contribuente che, intenzionalmente o per negligenza, fa in modo che una tassazione sia indebitamente omessa o che una tassazione cresciuta in giudicato sia incompleta, è punito con la multa. La multa equivale di regola all’importo dell’imposta sottratta. In caso di colpa lieve, può essere ridotta fino a un terzo e, in caso di colpa grave, aumentata fino al triplo dell’imposta sottratta (articoli 258 capoverso 2 LT e 175 capoverso 2 LIFD). Se il contribuente denuncia spontaneamente la sottrazione prima che essa sia nota all’autorità fiscale, è esentato dalla multa, se è la sua prima autodenuncia, in ogni caso la multa è ridotta a un quinto dell’imposta sottratta (articolo 258 capoverso 3 LT e articolo 175 capoverso 3 LIFD). In virtù del suo carattere “penale”, le garanzie del giusto processo trovano applicazione nella procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta. Nella menzionata sentenza del 3 maggio 2001, la Corte europea ha in particolare ricordato che il contribuente ha il diritto di tacere e di non contribuire alla propria incriminazione, sottolineando che tali diritti costituiscono norme internazionali generalmente riconosciute, al centro della nozione di processo equo garantito dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU. 4.3. Cosa succede in caso di sovrapposizione delle due procedure? Nel caso sottoposto al giudizio della CDT, l’insorgente sosteneva, fra le altre cose, che la procedura che aveva condotto alla decisione impugnata fosse una “procedura istruttoria di carattere penale”, nel cui ambito dovevano trovare applicazione i diritti garantiti dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU. Le procedure di ricupero d’imposta e di contravvenzione erano infatti state congiunte fin dall’inizio e le decisioni dell’autorità fiscale, in cui esse erano per finire sfociate, concernevano sia l’aspetto puramente fiscale sia quello penale. La sentenza della CDT ha il merito di chiarire, una volta per tutte, che la tutela dell’articolo 6 CEDU deve essere pienamente garantita anche in questi casi, poiché altrimenti basterebbe affiancare al procedimento penale quello finalizzato al ricupero dell’imposta sottratta per far venir meno la protezione prevista dalla CEDU. Pur trattandosi di un procedimento di carattere puramente fiscale, ai contribuenti deve pertanto essere garantito il principio “nemo tenetur se ipsum accusare” e “in dubio pro reo” anche nell’ambito della procedura straordinaria del ricupero d’imposta, che normalmente anticipa oppure affianca la procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta. Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 4.4. Il principio “nemo tenetur se ipsum accusare” Il diritto di non contribuire alla propria incriminazione (principio “nemo tenetur se ipsum accusare”) impone alle autorità di cercare di fondare le loro argomentazioni senza ricorrere a elementi di prova ottenuti mediante costrizione o pressioni, contro la volontà dell’accusato. Pertanto, l’articolo 6 CEDU tutela il contribuente contro l’utilizzazione nella procedura penale di informazioni ottenute nel quadro della procedura ordinaria di tassazione e di ricupero d’imposta, nella quale egli ha l’obbligo di collaborare alla definizione dei suoi elementi imponibili[6]. Per evitare che l’autorità possa eludere le garanzie previste da quest’ultimo articolo, avviando dapprima un procedimento di ricupero, nel quale può esigere la collaborazione del contribuente, per poi impiegare i mezzi di prova così raccolti ai fini di una successiva punizione del contribuente per contravvenzione d’imposta, la nuova legge stabilisce, come visto, che: ◆ se non viene aperto un procedimento penale per sottrazione d’imposta quando si apre il procedimento di ricupero, il contribuente deve essere informato che la procedura penale può essere avviata in seguito (articoli 238 capoverso 1bis LT e 153 capoverso 1bis LIFD); ◆ i mezzi di prova raccolti per una procedura di ricupero d’imposta possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta soltanto se non sono stati ottenuti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova né sotto comminatoria di una multa per violazione degli obblighi procedurali (articoli 266 capoverso 2bis LT e 183 capoverso 1bis LIFD). Una domanda sorge allora spontanea: se ai contribuenti deve essere garantito il principio “nemo tenetur se ipsum accusare” e “in dubio pro reo” anche nell’ambito della procedura straordinaria del ricupero d’imposta, come stabilire i fattori di reddito e di sostanza sottratti all’imposizione? L’autorità inquirente deve fondarsi su una stima prodotta dallo stesso contribuente? No. Nonostante l’applicazione dell’articolo 6 CEDU, solo i mezzi di prova rilevanti vanno ammessi e, soprattutto, il diritto di tacere dei contribuenti non ha portata assoluta: se le prove a carico impongono una spiegazione che l’accusato dovrebbe essere in grado di fornire, l’assenza di chiarimenti può permettere di concludere per una sua colpa. 5. La sentenza Chambaz c. Svizzera del 5 aprile 2012 La sentenza del 5 aprile 2012 appare a prima vista rivoluzionaria. Fino ad allora, la giurisprudenza aveva considerato le garanzie processuali dell’articolo 6 CEDU unicamente quale difesa contro l’utilizzo di informazioni ottenute nel quadro di una procedura di tassazione (ordinaria o straordinaria), dove vige l’obbligo di collaborare, per trarne profitto nella procedura penale. Con quest’ultima sentenza, la Corte europea si è invece spinta oltre, giudicando contraria alla CEDU anche la semplice pronuncia di multe disciplinari a carico di un contribuente che si sottrae dal produrre i documenti richiesti dall’autorità di tassazione, se questi ultimi potrebbero costituire la prova di una sottrazione d’imposta e portare conseguentemente alla sua condanna penale. 5.1. Le conclusioni della Corte europea Nel caso sottoposto al giudizio della Corte europea, come detto, il ricorrente sosteneva che la minaccia – poi realizzatasi – di infliggergli una multa disciplinare per mancato adempimento all’obbligo di fornire informazioni suscettibili di accusarlo nell’ambito di una successiva procedura penale fosse contraria all’articolo 6 capoverso 1 CEDU. 4.5. Il principio “in dubio pro reo” Il principio “in dubio pro reo”, ricavato dalla presunzione d’innocenza, è una regola concernente anzitutto l’onere della prova, che impone all’autorità d’accusa di comprovare la colpevolezza dell’accusato, al quale per contro non può essere imposto di dimostrare il contrario. Quale regola concernente la valutazione delle prove, essa implica inoltre che l’autorità penale non possa dichiararsi convinta di una ricostruzione dei fatti sfavorevole all’imputato quando, secondo una valutazione oggettiva del materiale probatorio, sussistono ancora dubbi. 4.6. Quali considerazioni trarre dall’attuale prassi in tema di procedure di ricupero e sottrazione d’imposta? Come sottolineato dalla CDT, la tutela delle garanzie previste dall’articolo 6 CEDU per le “accuse penali” condiziona inevitabilmente anche le procedure di ricupero d’imposta che si sovrappongono alle procedure contravvenzionali. Nella propria decisione, la Corte sottolinea dapprima che un insieme di procedure va esaminato nel suo complesso, perlomeno quando esiste un sufficiente legame fra le diverse procedure, in ragione dei fatti trattati oppure del modo in cui sono istruite dalle autorità nazionali. Con particolare riguardo alla legislazione federale, pone quindi l’accento sull’esistenza di un obbligo di assistenza tra autorità fiscali (articolo 111 LIFD), concludendo per l’esistenza di un rapporto di dipendenza reciproca fra la procedura di tassazione e quella penale. Osserva poi che i documenti bancari per la cui mancata produzione il contribuente si era visto infliggere una multa disciplinare erano gli stessi menzionati nel procedimento penale per sottrazione d’imposta aperto nei suoi confronti quattro anni più tardi, aggiungendo infine che le nuove tassazioni delle autorità cantonali si fondavano sostanzialmente sulle relazioni intrattenute con due società panamensi, a proposito delle quali il contribuente era pure stato interrogato nel corso dell’inchiesta penale. Alla luce di queste considerazioni, la Corte europea conclude per l’esistenza di uno stretto legame tra le due procedure, 19 20 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 giudicando la procedura penale successivamente aperta nei confronti del contribuente quale prolungamento di quella amministrativa. In tutti questi casi, a ben vedere, il comportamento del contribuente è potenzialmente suscettibile di provocare l’apertura di una successiva procedura contravvenzionale per sottrazione d’imposta. Se così fosse, basterebbe quindi ritardare l’inoltro della dichiarazione fiscale per ottenere l’estensione delle garanzie processuali poste dall’articolo 6 CEDU. Una simile conclusione appare già a prima vista inaccettabile. Come sostenuto dal giudice Power-Forde nella seconda dissenting opinion, il grosso limite della sentenza è quello di non approfondire ulteriormente quali sono le prove potenzialmente coperte da queste garanzie. 5.2. Quali conseguenze trarre? Il tema centrale della decisione della Corte europea si fonda, come visto, sull’effettiva dimostrazione del legame esistente tra la procedura di tassazione in cui sono state inflitte le multe disciplinari ed il successivo procedimento per sottrazione d’imposta aperto nei confronti del contribuente. Questo cosa significa concretamente? L’estensione del privilegio di non contribuire alla propria incriminazione alla procedura di tassazione (ordinaria o straordinaria) nasce ogniqualvolta viene prospettata al contribuente una sanzione – nella forma di una multa disciplinare o addirittura in quella di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere probatorio – per l’ipotesi in cui non dia seguito alla richiesta di collaborazione? La semplice multa disciplinare per mancato inoltro della dichiarazione fiscale (articoli 257 LT e 174 LIFD) – o addirittura la semplice intimazione di una diffida (articoli 198 capoverso 3 LT e 124 capoverso 3 LIFD) – può comportare da sola l’estensione delle garanzie processuali previste dall’articolo 6 CEDU alla procedura di tassazione? [1] Pedroli Andrea, La garanzia dei diritti umani nei procedimenti tributari, in: Diritto senza devianza, Studi in onore di Marco Borghi per il suo 60° compleanno, RtiD 2006, pagina 589. [2] ASA 68 pagina 669, consid. 1. [3] Sentenza n. 31827/96 del 3 maggio 2001 del- Se l’estensione del privilegio di non auto incriminarsi al procedimento di tassazione può valere di fronte alla richiesta di produrre gli stessi documenti bancari che nell’ambito di un successivo procedimento contravvenzionale costituiscono la prova di una sottrazione d’imposta consumata, è infatti più difficile immaginare che la semplice diffida/multa a presentare la dichiarazione fiscale oppure una generica richiesta di informazioni – seppure sotto minaccia di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova – possa estendere al procedimento amministrativo le garanzie processuali dell’articolo 6 CEDU, anche se nei confronti del contribuente è successivamente aperta una procedura contravvenzionale per sottrazione d’imposta. Elenco delle fonti fotografiche: http://www.stefanogiantin.net/wp-content/uploads/2011/11/echrphoto-580x382.jpg [22.03.2013] http://www.fbls.net/cedhtv5.jpg [22.03.2013] http://wissen.dradio.de/media/thumbs/9/9fba0456bfe1306a4fa92d67 3300fdd6v1_max_440x330_b3535db83dc50e27c1bb1392364c95a2.jpg [22.03.2013] la Corte europea dei diritti dell’uomo; cfr. Pedroli Andrea, Novità e tendenze legislative nel campo del diritto tributario, in: RtiD II-2008, pagina 543. [4] Decisione CDT n. 80.2009.179 del 28 marzo 2011, in: RtiD II-2011, n. 14t; decisione TF n. 2C_395/2011 del 6 dicembre 2011. [5] DTF 121 II 257 consid. 4b. [6] Decisione TF n. 2A.67/2004 del 17 febbraio 2005, consid. 4.2. Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE Il cumulo delle sanzioni amministrative e penali per lo stesso reato fiscale viola il principio ne bis in idem? Samuele Vorpe Responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI Sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione), procedimento C-617/10, del 26 febbraio 2013, in: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX: 62010CJ0617:IT:HTML [22.03.2013] Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Ambito di applicazione – Articolo 51 – Attuazione del diritto dell’Unione – Repressione di comportamenti lesivi di una risorsa propria dell’Unione – Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Sistema nazionale che comporta due procedimenti distinti, amministrativo e penale, per sanzionare la medesima infrazione – Compatibilità 1. Riassunto Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale. Il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale. Il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesim[1]. 2. L’oggetto della controversia fiscale Il signor Åkerberg Fransson è stato chiamato a comparire il 9 giugno 2009 dinanzi allo Haparanda tingsrätt (il tribunale di primo grado di Haparanda in Svezia), in particolare per rispondere dell’imputazione di frode fiscale aggravata. Egli era accusato di aver fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni fiscali per gli esercizi 2004 e 2005, con conseguente rischio per l’erario di perdere entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), pari a SEK (la Corona svedese) 319’143 per l’esercizio 2004, di cui SEK 60’000 a titolo dell’IVA, e a SEK 307’633 per l’esercizio 2005, di cui SEK 87’550 al medesimo titolo. Il signor Åkerberg Fransson era altresì imputato per aver omesso di presentare alcune dichiarazioni relative ai contributi sociali dei datori di lavoro per i periodi di riferimento dei mesi di ottobre 2004 e di ottobre 2005, con conseguente pericolo per gli enti previdenziali di perdere introiti pari a SEK 35’690 e SEK 35’862 rispettivamente. Secondo l’atto di citazione, gli illeciti erano da considerare aggravati, da un lato, per la rilevanza degli importi di cui trattasi e, dall’altro, per il fatto di essere stati compiuti nell’ambito di un’attività criminale abituale su vasta scala. Con decisione del 24 maggio 2007, la Skatteverket (l’autorità fiscale svedese) ha inflitto al signor Åkerberg Fransson, per l’esercizio fiscale 2004, una sovrattassa di SEK 35’542 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di SEK 4’872 a titolo dell’IVA e di SEK 7’138 a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Con la stessa decisione gli ha parimenti inflitto, per l’esercizio fiscale 2005, una sovrattassa di SEK 54’240 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di SEK 3’255 a titolo dell’IVA e di SEK 7’172 a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Le sovrattasse erano maggiorate di interessi. Esse non sono state oggetto di ricorso dinanzi al giudice amministrativo, essendo il termine a tal fine scaduto il 31 dicembre 2010, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2004, e il 31 dicembre 2011, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2005. La decisione di imposizione delle sovrattasse si fonda sulla stessa comunicazione di dati inesatti che è alla base della descrizione del reato formulata dal Pubblico Ministero nel procedimento penale principale. 21 22 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 3. Il procedimento penale svedese viola il divieto del principio ne bis in idem? Dinanzi al giudice a quo sorge la questione a sapere se il procedimento penale nei confronti del signor Åkerberg Fransson debba essere considerato inammissibile in quanto egli è già stato condannato per lo stesso reato nell’ambito di un altro procedimento, circostanza che violerebbe il divieto del ne bis in idem sancito all’articolo 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito protocollo n. 7 della CEDU) e all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito Carta). 4) Nel quadro del principio del ne bis in idem, poiché in alcune circostanze è ammesso infliggere ulteriori sanzioni in un nuovo procedimento per uno stesso fatto, che sia già stato oggetto di esame e che abbia comportato sanzioni a carico della persona, se, in caso di risposta affermativa alla seconda questione, le condizioni previste da siffatto principio per l’applicazione di più sanzioni in procedimenti distinti siano soddisfatte qualora nel secondo procedimento sia svolto un esame dei fatti nuovo e autonomo rispetto a quello avvenuto nel primo procedimento. 4. Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nel quadro del principio del ne bis in idem Alla luce di ciò, lo Haparanda tingsrätt ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 5. Le diverse questioni sottoposte alla Corte sono davvero di sua competenza? I governi svedese, ceco e danese, l’Irlanda ed il governo olandese, nonché la Commissione europea, contestano la ricevibilità delle questioni pregiudiziali. La Corte sarebbe competente a rispondere solo qualora le sovrattasse inflitte al signor Åkerberg Fransson, nonché i procedimenti penali nei suoi confronti, che costituiscono oggetto del procedimento principale, risultassero da un’attuazione del diritto dell’Unione. Orbene, ciò non si verificherebbe né nel caso del testo nazionale sulla cui base sono state inflitte le sovrattasse né di quello su cui si fondano i procedimenti penali. Conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, tali sovrattasse e procedimenti non sarebbero quindi ricompresi nell’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta. 1) Considerato che, conformemente alla legislazione svedese, il giudice nazionale deve rinvenire un chiaro fondamento nella CEDU oppure nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per poter disapplicare disposizioni nazionali che potrebbero essere in contrasto con il principio del ne bis in idem di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e, quindi, in contrasto anche con l’articolo 50 della Carta, se siffatta condizione contenuta nella legislazione nazionale per la disapplicazione delle disposizioni nazionali sia compatibile con il diritto dell’Unione e, in particolare, con i suoi principi generali, fra tutti, i principi del primato e dell’efficacia diretta. 2) Se sia ammessa l’imputazione per reati fiscali, nell’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e all’articolo 50 della Carta, qualora all’imputato sia già stata inflitta una pena pecuniaria (sovrattassa) nell’ambito di un precedente procedimento amministrativo, a seguito di una stessa comunicazione di dati inesatti. 3) Se sia rilevante ai fini della soluzione della seconda questione la circostanza che dette sanzioni debbano essere coordinate in modo che un giudice ordinario possa ridurre la sanzione nel procedimento penale tenendo conto che all’imputato sono già state applicate sovrattasse a seguito del medesimo atto di comunicazione di dati inesatti. 5) Poiché il sistema svedese, che prevede l’imposizione di sovrattasse e l’esame della responsabilità per frode fiscale in procedimenti distinti, si basa su una serie di motivi di interesse generale, in caso di risposta affermativa alla seconda questione, se sia compatibile con il principio del ne bis in idem un regime come quello svedese, qualora fosse possibile introdurre un sistema non rientrante nell’ambito di applicazione di detto principio, senza necessità di astenersi né dall’imposizione di sovrattasse né dal pronunciarsi sulla responsabilità per frode fiscale, mediante trasferimento, nell’ambito di procedimenti penali, della decisione sull’imposizione di sovrattasse dall’autorità fiscale svedese, ed eventualmente dal giudice amministrativo, a un giudice ordinario. A tale riguardo, occorre ricordare che l’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Tale articolo della Carta conferma pertanto la giurisprudenza della Corte relativa alla misura in cui l’operato degli Stati membri deve conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Da una costante giurisprudenza della Corte risulta infatti sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per con- Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 tro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto[2]. Tale definizione dell’ambito di applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione è confermata dalle spiegazioni relative all’articolo 51 della Carta, le quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, del Trattato sull’Unione europea (di seguito TUE) e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, debbono essere prese in considerazione per l’interpretazione di quest’ultima[3]. Secondo tali spiegazioni, “l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati membri soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”. Di conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Ove, per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza[4]. Tali considerazioni corrispondono a quelle sottese all’articolo 6, paragrafo 1, TUE, ai sensi del quale le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione come definite nei trattati. Allo stesso modo, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, essa non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati[5]. Nel caso di specie, occorre anzitutto rilevare che le sovrattasse e i procedimenti penali di cui il signor Åkerberg Fransson è o è stato oggetto sono in parte collegati a violazioni dei suoi obblighi dichiarativi in materia di IVA. Orbene, in materia di IVA, risulta, da un lato, dagli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, che riprendono, in particolare, le disposizioni dell’articolo 2 della sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (di seguito Sesta direttiva) e dell’articolo 22, paragrafi 4 e 8, della medesima, nel testo modificato dall’articolo 28nonies di quest’ultima, e, dall’altro, dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro la frode[6]. Inoltre l’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, li obbliga ad adottare le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi[7]. Orbene, poiché le risorse proprie dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione n. 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione, sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, poiché qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde[8]. Ne risulta che sovrattasse e procedimenti penali per frode fiscale, del tipo di quelli di cui è o è stato oggetto l’imputato nel procedimento principale a causa dell’inesattezza delle informazioni fornite in materia di IVA, costituiscono un’attuazione degli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva n. 2006/112 (già articoli 2 e 22 della Sesta direttiva) e dell’articolo 325 TFUE e, pertanto, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Il fatto che le normative nazionali che fungono da base a tali sovrattasse e procedimenti penali non siano state adottate per trasporre la direttiva n. 2006/112 non può essere tale da rimettere in discussione detta conclusione, dal momento che la loro applicazione mira a sanzionare una violazione delle disposizioni della direttiva summenzionata e pertanto ad attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in modo effettivo i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione. Ciò posto, quando un giudice di uno Stato membro sia chiamato a verificare la conformità ai diritti fondamentali di una disposizione o di un provvedimento nazionale che, in una situazione in cui l’operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell’Unione, attua tale diritto ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standards nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come 23 24 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione[9]. A tal fine, quando i giudici nazionali sono chiamati ad interpretare le disposizioni della Carta, essi hanno la possibilità e, se del caso, il dovere di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Dai suesposti rilievi risulta che la Corte è competente a rispondere alle questioni sollevate e a fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice del rinvio, della conformità della normativa nazionale con il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta. 6. Il principio ne bis in idem osta a che siano avviati nei confronti dell’imputato procedimenti penali se ad esso è già stata inflitta una sanzione amministrativa per i medesimi fatti? Con tali questioni, alle quali occorre rispondere congiuntamente, lo Haparanda tingsrätt chiede sostanzialmente alla Corte se occorra interpretare il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta nel senso che esso osta a che siano avviati nei confronti di un imputato procedimenti penali per frode fiscale, una volta che gli è già stata inflitta una sovrattassa per gli stessi fatti di falsa dichiarazione. Per quanto riguarda l’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 della Carta, a procedimenti penali per frode fiscale come quelli oggetto della controversia principale, essa presuppone che i provvedimenti già adottati nei confronti dell’imputato ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale. A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che l’articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una combinazione di sovrattasse e sanzioni penali. Infatti, per assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili[10]. Esse possono quindi essere inflitte sotto forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due. Solo qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona. Occorre inoltre ricordare che, ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri[11]: ◆ il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, ◆ il secondo nella natura dell’illecito e ◆ il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standards nazionali suesposti, circostanza che potreb- be eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standards, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive[12]. Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere alle questioni seconda, terza e quarta dichiarando che il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale. 7. Vi è compatibilità con il principio del ne bis in idem quando un ordinamento autorizza il cumulo delle sanzioni amministrative e penali inflitte dallo stesso giudice? Con la sua quinta questione, lo Haparanda tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa la compatibilità con il principio del ne bis in idem, garantito dall’articolo 50 della Carta, di una legislazione nazionale che, in caso di frode fiscale, autorizza il cumulo di sovrattasse e sanzioni penali inflitte dallo stesso giudice. A tale proposito, si deve rammentare anzitutto che, nell’ambito del procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire[13]. La presunzione di rilevanza connessa alle domande di pronuncia pregiudiziale proposte dai giudici nazionali può essere esclusa soltanto in via eccezionale, qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo teorico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte[14]. Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la legislazione nazionale cui si riferisce il giudice a quo non è quella applicabile alla controversia principale e che, per il momento, non esiste nell’ordinamento giuridico svedese. Occorre pertanto dichiarare irricevibile la quinta questione, poiché la funzione assegnata alla Corte, nell’ambito dell’articolo 267 TFUE, è quella di contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri, e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o teoriche[15]. 8. Che relazione esiste tra il diritto nazionale, diritto dell’Unione e la CEDU? Con la sua prima questione, lo Haparanda tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa la compatibilità con il diritto dell’Unione di una prassi giudiziaria nazionale che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla CEDU e dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dai testi interessati o dalla relativa giurisprudenza. Per quanto riguarda, anzitutto, le conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra il diritto nazionale e la CEDU, occorre ricordare che, anche se, come conferma l’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Di conseguenza, il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale[16]. Per quanto riguarda poi le conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra disposizioni del proprio diritto interno e diritti garantiti dalla Carta, secondo una costante giurisprudenza il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale[17]. Infatti, sarebbe incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente parte di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, che porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare tale diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente siano d’ostacolo alla piena efficacia delle norme dell’Unione[18]. Peraltro, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, un giudice nazionale, adito in una controversia concernente il diritto dell’Unione il cui significato o la cui portata non gli siano chiari, può, o eventualmente deve, adire la Corte su questioni interpretative relative alla disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi[19]. Ne risulta che il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima. Alla luce dei suesposti rilievi, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che: ◆ il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale; ◆ il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima. 25 26 Novità fiscali / n.3 / marzo 2013 Elenco delle fonti fotografiche: http://www.adiantum.it/public/news/211201022552a.jpg [22.03.2013] http://www.cn24.tv/public/images/201112/corte-europea-diritti-delluomo.jpg [22.03.2013] http://parrocchiagt.files.wordpress.com/2012/09/bandie-svezia.jpg [22.03.2013] http://cdn.politicalive.com/wp-content/uploads/2009/11/crocifissocorte-europea-uomo.jpg [22.03.2013] [1] Le conclusioni dell'avvocato generale Cruz Villalón, del 12 giugno 2012, sono state le seguenti: “Allo stato attuale del processo di integrazione europea, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che non impedisce agli Stati membri di perseguire dinanzi alla giurisdizione penale i medesimi fatti già sanzionati con decisione definitiva in via amministrativa, sempreché il giudice penale sia in grado di prendere in considerazione la previa esistenza di una sanzione amministrativa al fine di mitigare la pena che sarà inflitta in sede penale. Spetta al giudice nazionale stabilire se, nel presente caso e alla luce delle disposizioni nazionali che disciplinano la materia, sia possibile prendere in considerazione la previa sanzione amministrativa in modo tale da mitigare la decisione emessa dal giudice penale. La Corte di giustizia non è competente a pronunciarsi circa la compatibilità con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo di un requisito del diritto svedese che esige l’esistenza di un “chiaro fondamento” affinché i giudici nazionali possano disapplicare una norma interna. Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che un giudice nazionale verifichi, prima di disapplicare una norma nazionale, se una disposizione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sia “chiara”, sempreché tale requisito non renda difficile l’esercizio dei poteri di interpretazione e di disapplicazione che il diritto dell’Unione attribuisce ai giudici nazionali”. Si veda: http://eur-lex.europa.eu/ LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62010CC06 17:IT:HTML [22.03.2013]. [2] Sentenze del 18 giugno 1991, ERT, C-260/89, punto 42; del 29 maggio 1997, Kremzow, C-299/95, punto 15; del 18 dicembre 1997, Annibaldi, C-309/96, punto 13; del 22 ottobre 2002, Roquette Frères, C-94/00, punto 25; del 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07, punto 34; del 15 novembre 2011, Dereci e a., C-256/11, punto 72, nonché del 7 giugno 2012, Vinkov, C-27/11, punto 58. [3] Sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C-279/09, punto 32. [4] Sentenza del 12 luglio 2012, Currà e a., C-466/11, punto 26. [5] Sentenza Dereci e a., punto 71. [6] Sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Italia, C‑132/06, punti 37 e 46. [7] Sentenza del 28 ottobre 2010, SGS Belgium e a., C‑367/09, punti 40‑42. [8] Sentenza del 15 novembre 2011, Commissione/Germania, C‑539/09, punto 72. [9] Per quest’ultimo aspetto si rimanda alla sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, punto 60. [10] Sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88, punto 24; del 7 dicembre 2000, de Andrade, C‑213/99, punto 19, e del 16 ottobre 2003, Hannl-Hofstetter, C‑91/02, punto 17. [11] Sentenza del 5 giugno 2012, Bonda, C‑489/10, punto 37. [12] Sentenze Commissione/Grecia, 68/88, punto 24; del 10 luglio 1990, Hansen, C-326/88, punto 17; del 30 settembre 2003, Inspire Art, C-167/01, pun- to 62; del 15 gennaio 2004, Penycoed, C-230/01, punto 36, nonché del 3 maggio 2005, Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, punto 65. [13] Sentenza dell’8 settembre 2011, Paint Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, punto 30 e giurisprudenza ivi citata. [14] Sentenza citata Paint Graphos e a., punto 31 e giurisprudenza ivi citata. [15] Sentenza citata Paint Graphos e a., punto 32 e giurisprudenza ivi citata. [16] Sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, punto 62. [17] Sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, punti 21 e 24; del 19 novembre 2009, Filipiak, C‑314/08, punto 81, nonché del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C‑188/10 e C‑189/10, punto 43. [18] Sentenza citata Melki e Abdeli, punto 44 e giurisprudenza ivi citata. [19] Sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81. Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario Offerta formativa A tutto fisco! Sabina Rigozzi Collaboratrice scientifica SUPSI Sono aperte le iscrizioni alla settima edizione del Master in Tax Law della SUPSI Lo zucchero è un ingrediente presente in quasi tutti i dessert, così come il sale sta praticamente in qualunque tipo di pietanza. Non bisogna essere cuochi per esserne coscienti. Analogamente, la fiscalità è un elemento presente in qualsiasi ambito, famigliare e professionale che sia e coinvolge qualsiasi persona, fisica o giuridica (o “mista”, si pensi ad esempio al Trust, alle associazioni ed alle società di persone). Anche in questo caso, non occorre essere esperti in materia per intuirlo. In questi ultimi anni, che si tratti di sgravi, di amnistia, di evasione o di frode fiscale, oppure di imposte di successione, di donazione e sugli utili immobiliari, nonché, nel contesto internazionale, di accordi bilaterali o multilaterali (gli ultimi, in ordine cronologico, i cosiddetti accordi “Rubik” e “FATCA”) come pure dei delicati rapporti con l’Italia in ambito di tassazione dei lavoratori frontalieri e delle black lists, una certa competenza in questo ambito è ormai richiesta a tutti. Nel contesto professionale, la formazione nel ramo fiscale è pagante, poiché apre a molteplici sbocchi: dal settore pubblico al settore privato, dalla professione indipendente a quella dipendente. Le regole fiscali, sempre più complesse, obbligano anche i privati cittadini a pensare e ad eseguire efficacemente una minima pianificazione fiscale. In questo ampio contesto, il Centro di competenze tributarie della SUPSI di Lugano-Manno, offre da molti anni un master in diritto tributario, il Master of Advanced Studies in Tax Law. Questo ciclo di studi, articolato in tre corsi annuali della durata di 200 ore-lezione ciascuno, è offerto nell’ambito della formazione post-universitaria e permette ai partecipanti di sviluppare una competenza nel diritto fiscale ad ampio raggio, ma anche sufficientemente articolata e approfondita: dal diritto tributario svizzero a quello italiano, senza tralasciare il diritto tributario internazionale e quello dell’Unione europea. Le lezioni si svolgono nell’intera giornata di venerdì e il sabato mattina, a settimane alterne, permettendo così ai partecipanti di non interrompere la loro attività professionale. Al termine dei tre corsi annuali, Fondamenti di diritto tributario (1. anno), Approfondimenti di diritto tributario (2. anno) e Diritto tributario internazionale (3. anno), gli studenti devono elaborare e Questo articolo è stato pubblicato su La Regione Ticino del 12 marzo 2013 a pagina 11 difendere una tesi di master che, se accolta, permette il conseguimento del titolo, riconosciuto dal Dipartimento federale dell’Economia, di Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law. La prossima edizione del Master, la settima, avrà inizio il 6 settembre 2013, con il corso Fondamenti di diritto tributario. Parallelamente si concluderà la sesta edizione, con il corso Diritto tributario internazionale, avente pure inizio il prossimo 6 settembre e al quale è possibile iscriversi. In effetti, un’ulteriore esclusività del Master in Tax Law è che i partecipanti possono frequentare anche solo uno dei tre corsi annuali, nonché solamente i singoli moduli che compongono i corsi medesimi. Infatti, per ognuno dei corsi annuali, sono previste due sessioni d’esame che, se superate, permettono il conseguimento del relativo diploma, denominato Certificate of Advanced Studies, valorizzando in questo modo non solo l’intero Master, bensì ogni singolo corso frequentato. Il corso del primo anno Fondamenti di diritto tributario, è composto da sette moduli, il corso del secondo anno Approfondimenti di diritto tributario, è composto da cinque moduli, mentre l’ultimo corso, Diritto tributario internazionale, è composto da sei moduli. Per coloro che si iscrivono solamente ai singoli moduli di ciascun corso e che non sostengono gli esami, è previsto il rilascio di un attestato di frequenza. Per maggiori informazioni: L’opuscolo informativo del Master of Advanced Studies in Tax Law è disponibile al seguente link: http://www.supsi.ch/fc/dms/fc/docs/prodotti/taxlaw/2013-16/MAS/MAS_Tax_Law_2013-16.pdf [22.03.2013] L’opuscolo informativo del Certificate of Advanced Studies in Fondamenti di diritto tributario è disponibile al seguente link: http://www.supsi.ch/fc/ dms/fc/docs/prodotti/tax-law/2013-16/H-00/CAS_fondamenti_2013-14. pdf [22.03.2013] L’opuscolo informativo del Certificate of Advanced Studies in Diritto tributario internazionale è disponibile al seguente link: http://www.supsi. ch/fc/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/2013-16/J-00/CAS_internazionale_2013-14.pdf [22.03.2013] Ulteriori informazioni sono disponibili sul seguente sito internet: www. supsi.ch/tax-law [22.03.2013] se m in ar io Lavori di tesi MAS in Tax Law L’imposizione alla fonte per i frontalieri in Svizzera: verso un’imposizione ordinaria? Luogo SUPSI Palazzo E, Aula 111 CH-6928 Manno Data e orario Martedì 9 aprile 2013 18.00-19.00 La legalità dell’imposta alla fonte in Svizzera per i frontalieri è stata messa in discussione dal Tribunale federale con una sentenza del 26 gennaio 2010, sulla base della quale il frontaliere si trova discriminato rispetto al lavoratore residente in Svizzera, a causa delle diseguaglianze presenti tra il sistema di imposizione alla fonte e il sistema ordinario di tassazione. Il seminario vuole presentare un lavoro di tesi del Master of Advanced Studies in Tax Law della SUPSI improntato sulla problematica in oggetto. I frontalieri, in quanto residenti all’estero, sono imposti in Svizzera in modo limitato, unicamente sui redditi percepiti in Svizzera. In particolare il salario che conseguono tramite un’attività lucrativa dipendente esercitata in Svizzera è soggetto ad un’imposta ritenuta alla fonte. Il frontaliere non è quindi tenuto a presentare nessuna dichiarazione d’imposta. Per questa ed altre caratteristiche di tale sistema di tassazione, la situazione personale del frontaliere-contribuente, che potrebbe influenzare positivamente la sua imposizione fiscale, è presa in considerazione in modo limitato. Una perfetta parità di trattamento tra il sistema di imposizione alla fonte, al quale sono assoggettati i salari percepiti in Svizzera dai frontalieri residenti all’estero, ed il sistema ordinario di tassazione, al quale sono assoggettati i medesimi salari, ma conseguiti da contribuenti residenti in Svizzera, è quindi esclusa. Tuttavia il Tribunale federale ha sempre giustificato la natura discriminatoria dell’imposizione alla fonte e non ha mai osato precisare dove si trova il punto oltre il quale la discriminazione non è più giustificabile. Fino alla storica sentenza del 26 gennaio 2010, quando i giudici, sulla base del principio di non discriminazione statuito all’articolo 2 dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea, hanno stabilito che un lavoratore frontaliere residente all’estero ma che consegue almeno il 90% della totalità del suo reddito in Svizzera deve essere trattato fiscalmente come un lavoratore residente in Svizzera. In particolare devono essergli accordate le stesse deduzioni previste per i lavoratori residenti in regime di tassazione ordinaria. Ciò che l’attuale legislazione in materia di imposta alla fonte non permette, risultando in tal modo discriminatoria. Il seminario ha come oggetto la presentazione di un lavoro di tesi del Master of Advanced Studies in Tax Law della SUPSI improntato all’analisi sulle conseguenze e sull’applicabilità in futuro del sistema dell’imposizione alla fonte in Svizzera, in particolare per i frontalieri, alla luce della citata sentenza. Come potrebbe evolvere questo particolare sistema di prelevamento dell’imposta ordinaria sul reddito? Ci sarà ancora spazio per questo tipo di tassazione in Svizzera? Questi sono i quesiti principali ai quali si cercherà di dare risposta durante il seminario. Programma Brevi cenni sul sistema di imposizione alla fonte in Svizzera Principali divergenze rispetto all’imposizione ordinaria Conseguenze derivanti dalla sentenza del Tribunale federale del 26 gennaio 2010 Proposte di soluzione e ultimi sviluppi Relatrice Sabina Rigozzi Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law, collaboratrice scientifica SUPSI Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità. Luogo SUPSI Palazzo E, Aula 111 CH-6928 Manno Data e orario Martedì 9 aprile 2013 18.00-19.00 Termine di iscrizione Entro venerdì 5 aprile 2013 Costo Gratuito Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] se m in ar io Cooperazione amministrativa internazionale I diversi modelli di assistenza amministrativa tra Stati in materia fiscale Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Data e orario Lunedì 15 aprile 2013 14.00-18.00 Un confronto tra i diversi modelli di assistenza amministrativa in materia fiscale volti a garantire l’efficacia dell’accertamento tributario ed a contrastare fenomeni di evasione e frode fiscale: (i) FATCA, (ii) Rubik, (iii) scambio di informazioni in base al Modello OCSE, (iv) direttiva 2011/16/UE sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, (v) convenzione di Strasburgo sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale. Negli ultimi anni la necessità, per la maggior parte dei paesi industrializzati, di tenere sotto controllo i debiti sovrani e di ridurre i deficit di bilancio ha aumentato la pressione sul lato delle entrate pubbliche, in particolare quelle di natura tributaria, la quale, di riflesso, ha portato i governi di tali paesi a perseguire una maggiore efficacia ed efficienza nella riscossione delle imposte. Nel tentativo di contrastare più efficacemente i fenomeni di elusione, evasione e frode fiscale in ambito internazionale, molti paesi hanno intensificato la collaborazione intergovernativa ed amministrativa in materia fiscale, facendo pressione in tal senso anche sugli Stati meno collaborativi. Questo processo, tuttavia, non è nato e progredito organicamente ed ha pertanto condotto ad una varietà di strumenti che oggi convivono nell’ordinamento giuridico internazionale (e, di riflesso, nell’ordinamento giuridico interno degli Stati aderenti ai diversi strumenti). Lo scopo della presente giornata di studio è di inquadrare e comparare tali diversi strumenti giuridici, evidenziandone i meccanismi applicativi, nonché i punti di forza e debolezza, in considerazione della rilevanza che gli stessi presentano per i contribuenti e le amministrazioni fiscali di Svizzera e Italia. Programma e relatori Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) – Aspetti generali Carlo Lorusso Avvocato, PWC Tax & Legal Services (TLS), Milano Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) – La prospettiva svizzera Giovanni Molo Avvocato, Studio Bolla, Bonzanigo & Associati, Lugano Il modello Rubik Sonia Del Boca Financial Planner, BSI SA, Lugano Lo scambio di informazioni in base al modello OCSE Paolo Arginelli Professore a contratto di diritto tributario, Università Cattolica Collaboratore scientifico, SUPSI Dottore commercialista e consulente fiscale, Lugano Direttiva 2011/16/UE sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale Francesco Avella Dottore commercialista, Studio Maisto e Associati, Milano Convenzione di Strasburgo sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale Stefano Dorigo Avvocato, Studio Cordeiro Guerra e Associati, Firenze Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati e notai, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità. Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Data e orario Lunedì 15 aprile 2013, 14.00-18.00 Termine di iscrizione Entro giovedì 11 aprile 2013 Costo CHF 350.– Rinunce Nel caso in cui il partecipante rinunci al corso, la fattura inerente la quota di iscrizione sarà annullata a condizione che la rinuncia sia presentata entro il termine d’iscrizione. Chi fosse impossibilitato a partecipare può proporre un’altra persona previa comunicazione a SUPSI e accettazione da parte del responsabile del corso. Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] se m in ar io Scambio di informazioni su richiesta e domande raggruppate Analisi delle novità introdotte nel testo e nel commentario dell’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE sulla base di casi pratici Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Le novità introdotte dal Comitato dell’OCSE prevedono per lo Stato richiedente la possibilità di ottenere delle informazioni fiscali anche per gruppi di contribuenti sulla base di un modello comportamentale, senza che questo conosca i nomi dei suoi contribuenti. Con questo seminario si vuole cercare di comprendere con la presentazione e discussione di diversi casi pratici la differenza tra “fishing expedition”, vietata dall’OCSE, e domanda verosimilmente pertinente, per contro ammessa. Data e orario Lunedì 29 aprile 2013 14.00-18.00 In data 17 luglio 2012, il Consiglio dell’OCSE ha approvato le modifiche al testo e al commentario dell’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE proposte dal Comitato per gli Affari Fiscali. In particolare, le novità introdotte nel commentario all’articolo 26 sono volte a chiarire l’ambito oggettivo dell’obbligazione, gravante sugli Stati contraenti, di fornire informazioni utili all’applicazione della convenzione o della disciplina fiscale dell’altro Stato contraente. In tale prospettiva, l’OCSE ha cercato di chiarire in quali circostanze la richiesta di informazioni presentata da uno Stato contraente si debba considerare una “fishing expedition” e, pertanto, non comporti per lo Stato destinatario alcun obbligo di fornire le informazioni richieste. Inoltre, l’emendato commentario chiarisce che le richieste di informazioni per gruppi omogenei di contribuenti possono soddisfare i requisiti posti dall’articolo 26 ai fini dello scambio di informazioni anche qualora i contribuenti non siano identificati nominativamente. L’impegno assunto dalla Confederazione elvetica di rinegoziare le proprie convenzioni per evitare le doppie imposizioni al fine di includervi un articolo sullo scambio di informazioni conforme all’articolo 26 del Modello OCSE e, in particolare la probabile, prossima rinegoziazione in tali termini della sua convenzione con la Repubblica italiana, rende l’approfondimento di questo tema particolarmente pressante. Durante il pomeriggio di studio verranno presentate e commentate diverse casistiche di domande raggruppate che potrebbero coinvolgere direttamente la piazza finanziaria svizzera. In particolare si cercherà di approfondire il confine tra una ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni e una domanda verosimilmente pertinente, facendo il riferimento al commentario dell’OCSE, alla giurisprudenza esistente e, soprattutto, all’esperienza dei relatori. Relatori Renata Fontana Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes (OCSE), Parigi Paolo Arginelli Professore a contratto di diritto tributario, Università Cattolica, Piacenza Collaboratore scientifico, SUPSI Mauro Manca Esperto tributario in Milano Sebastiano Garufi Avvocato fiscalista, Lugano Professore a contratto di diritto tributario, Università L. Bocconi, Milano Giordano Macchi Direttore presso il reparto fiscale di KPMG SA, Lugano Martino Pinelli Master of Advanced Studies in Tax Law Wealth Planner Patrimony 1873 SA, Lugano Programma Il presente convegno, che idealmente e funzionalmente fa seguito a quello organizzato il 27 settembre 2012, si sviluppa attraverso la presentazione di una serie di casi pratici, afferenti ipotetiche richieste di informazioni in base all’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE, in relazione ai quali i vari relatori proporranno la propria soluzione, argomentandola sulla base del Commentario OCSE e della giurisprudenza e prassi applicativa svizzera e italiana. I casi pratici riguarderanno: ◆ le richieste di informazioni individuali in base all’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE, ◆ le richieste di informazioni per gruppi omogenei di contribuenti in base all’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE, ◆ l’interrelazione tra la disciplina recata dall’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE e talune norme contenute negli accordi Rubik Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità. Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Data e orario Lunedì 29 aprile 2013, 14.00-18.00 Termine di iscrizione Entro giovedì 25 aprile 2013 Costo CHF 350.– Rinunce Nel caso in cui il partecipante rinunci al corso, la fattura inerente la quota di iscrizione sarà annullata a condizione che la rinuncia sia presentata entro il termine d’iscrizione. Chi fosse impossibilitato a partecipare può proporre un’altra persona previa comunicazione a SUPSI e accettazione da parte del responsabile del corso. Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] se m in ar io Gli aspetti fiscali legati ai casi di risanamento aziendale Approfondimento della Circolare n. 32 dell’Amministrazione federale delle contribuzioni sul “Risanamento di società di capitali e di società cooperative” Luogo Sala Aragonite Via ai Boschetti CH-6928 Manno Data e orario Lunedì 13 maggio 2013 14.00-17.30 La crisi economica che ha colpito il Cantone Ticino negli ultimi anni ha indubbiamente aumentato i casi in cui è necessariooperare un risanamento aziendale. L’Amministrazione federale delle contribuzioni ha preso posizione su questo tema con la Circolare n. 32, che sarà oggetto del presente seminario, in particolare per quanto riguarda l’esame delle misure di risanamento da adottare e il trattamento fiscale delle rinunce di credito da parte dei soci, di società consorelle e/o società figlie e terze persone indipendenti, la possibilità di ottenere il condono della tassa di emissione e le conseguenze della fusione per risanamento. La crisi economica che ha colpito il Cantone Ticino negli ultimi anni ha indubbiamente aumentato le operazioni di risanamento aziendale. Le società si considerano da risanare quando sono in perdita e non dispongono di sufficienti riserve per compensare le perdite accumulate. Con risanamento si devono intendere tutte le misure adottate per ottenere un ristabilimento economico e finanziario dell’impresa. Le operazioni di risanamento aziendale possono essere sia di natura economica e organizzativa sia di natura finanziaria e, soprattutto dal profilo fiscale, vanno esaminate attentamente poiché a dipendenza della situazione in cui si trova l’impresa e a seconda del tipo di risanamento, ci possono essere diverse conseguenze fiscali. L’Amministrazione federale delle contribuzioni ha emanato su questo tema la Circolare n. 32, del 23 dicembre 2010, intitolata “Risanamento di società di capitali e di società cooperative”. Questo documento di prassi verrà esaminato nel corso del pomeriggio di studio, in particolare per quanto riguarda le misure di risanamento da adottare e il trattamento fiscale riguardanti le rinunce di credito da parte dei soci, di società consorelle e/o società figlie e terze persone indipendenti. Verranno inoltre esaminate le possibilità di condonare la tassa di bollo di emissione per le società da risanare. Infine, si porrà l’accento sulla cosiddetta fusione per risanamento, vale a dire l’incorporazione di una società figlia e la fusione per risanamento tra società consorelle. Le diverse relazioni oggetto del seminario tratteranno le conseguenze fiscali delle diverse operazioni dal punto di vista delle imposte dirette, dell’imposta preventiva e della tassa di bollo di emissione presso le società risanate e presso i soci. Programma e relatori La nozione e le misure di risanamento aziendale Giancarlo Lafranchi Vicedirettore della Divisione delle contribuzioni del Cantone Ticino, Bellinzona Le conseguenze fiscali delle rinunce di credito per società, azionisti e terze persone Francesco Marenghi Ispettore fiscale presso l’Ufficio di tassazione delle persone giuridiche, Bellinzona Il condono della tassa di bollo di emissione nei casi di risanamento Fabio Riva Esperto fiscale diplomato federale; ispettore presso la Divisione Controllo Esterno della Divisione principale imposta federale diretta, imposta preventiva, tasse di bollo dell’Amministrazione federale delle contribuzioni, Berna La fusione per risanamento Sharon Guggiari Salari Avvocato e notaio, Studio Legale BMA, Lugano Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati e notai, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità. Luogo Sala Aragonite Via ai Boschetti CH-6928 Manno Data e orario Lunedì 13 maggio 2013 14.00-17.30 Termine di iscrizione Entro mercoledì 8 maggio 2013 Costo CHF 350.– Rinunce Nel caso in cui il partecipante rinunci al corso, la fattura inerente la quota di iscrizione sarà annullata a condizione che la rinuncia sia presentata entro il termine d’iscrizione. Chi fosse impossibilitato a partecipare può proporre un’altra persona previa comunicazione a SUPSI e accettazione da parte del responsabile. Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] se m in ar io Il trasferimento della sede delle persone giuridiche dall’Italia verso la Svizzera Esame dei diversi trattamenti fiscali applicabili nei casi di trasferimento della sede della società secondo il diritto tributario italiano, svizzero e dell’UE Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Data e orario Martedì 4 giugno 2013 14.00-17.30 Negli ultimi tempi, molte società italiane, vuoi per l’instabilità politica, vuoi per l’elevata pressione fiscale e per le questioni burocratiche, stanno concretamente prendendo in considerazione l’idea di trasferirsi nel Canton Ticino. Dal profilo fiscale quali sono le soluzioni ottimali e i pericoli da non sottovalutare per queste aziende e per i loro azionisti? Questo convegno cercherà di fornire una panoramica significativa sugli elementi da considerare sia sul versante italiano e dell’UE, sia su quello svizzero. In Italia, negli ultimi mesi, l’instabilità politica e la crisi economica stanno mettendo a dura prova molti imprenditori, i quali si trovano pure confrontati con una pressione fiscale tra le più alte d’Europa. Proprio per questi motivi, la Svizzera, e per essa il Canton Ticino per evidenti questioni di vicinanza geografica, rappresenta un territorio molto attrattivo per delocalizzare l’attività d’impresa. Per molti imprenditori-azionisti si pone dunque la questione di sapere quali sono le conseguenze fiscali riguardanti l’eventuale trasferimento della sede della società di capitali dall’Italia alla Svizzera. In particolare è opportuno sapere se le plusvalenze non realizzate sui beni societari, vale a dire la differenza tra il valore contabile-fiscale e il valore di mercato, debbano essere tassate dall’Italia al momento del trasferimento in Svizzera e, in caso affermativo, se vi siano dei meccanismi per evitare tale imposizione. È qui importante esaminare innanzitutto la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE concernente il principio della libertà di stabilimento, con particolare riferimento alla tassazione delle plusvalenze non realizzate nei casi di trasferimento dell’impresa da uno Stato membro dell’UE verso un altro Stato membro UE, rispettivamente verso un Paese terzo, come la Svizzera. Trasferita la sede in Svizzera, è poi opportuno capire a quale valore contabile-fiscale iscrivere a bilancio i beni societari per una efficiente pianificazione fiscale, nonché conoscere il trattamento fiscale in Italia concernente i dividendi e i capital gains di fonte svizzera percepiti dai soci della società, residenti in Italia. Il pomeriggio di studio si pone l’obiettivo di illustrare le principali conseguenze fiscali del trasferimento di sede della persona giuridica dall’Italia alla Svizzera, valutandole sia dal profilo del diritto tributario italiano e dell’UE, sia dal profilo del diritto tributario svizzero. Programma e relatori Il principio della libertà di stabilimento secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE con particolare riferimento al trasferimento della residenza fiscale delle persone giuridiche Paolo Arginelli Collaboratore scientifico SUPSI, Professore a contratto di Diritto Tributario dell’Impresa e di International Law and Business Ethic presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore Il regime fiscale applicabile in Italia al trasferimento di sede all’estero. Il caso della Svizzera Raul Angelo Papotti Avvocato e dottore commercialista in Milano, LL.M. (Leiden); Chiomenti Studio Legale, Londra-Milano La determinazione dei valori contabilifiscali secondo il diritto tributario svizzero delle società in arrivo dall’Italia Massimo Bianchi Esperto fiscale diplomato, titolare di uno studio di consulenza fiscale a Lugano Il trattamento fiscale dei soci residenti in Italia: imposizione dei dividendi e dei capital gains relativi a società fiscalmente residenti in Svizzera Siegfried Mayr Dottore commercialista, titolare di uno studio di consulenza tributaria a Milano Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati e notai, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità. Luogo Centroeventi Via Industria 2 CH-6814 Cadempino Data e orario Martedì 4 giugno 2013 14.00-17.30 Termine di iscrizione Entro venerdì 31 maggio 2013 Costo CHF 350.– Rinunce Nel caso in cui il partecipante rinunci al corso, la fattura inerente la quota di iscrizione sarà annullata a condizione che la rinuncia sia presentata entro il termine d’iscrizione. Chi fosse impossibilitato a partecipare può proporre un’altra persona previa comunicazione a SUPSI e accettazione da parte del responsabile del corso. Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Il sistema fiscale italiano La disciplina tributaria delle operazioni straordinarie Il seminario ha ad oggetto l’analisi degli aspetti tributari e applicativi conseguenti alle operazioni di ristrutturazione aziendale (fusioni, scissioni, conferimenti di attivo e scambi di partecipazioni). Particolare enfasi è attribuita all’analisi degli aspetti tributari delle diverse modalità di trasferimento di complessi aziendali (asset dealings vs. share dealings). Programma Il regime tributario delle operazioni straordinarie coinvolgenti i soggetti: fusione, scissione, trasformazioni e trasferimenti di sede Il regime tributario delle operazioni straordinarie coinvolgenti le aziende: i conferimenti e le cessioni di aziende, i conferimenti e le cessioni di titoli partecipativi Relatore Roberto Franzè, ricercatore di Diritto tributario, Università della Valle D’Aosta Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Date e orari Venerdì 12 aprile 2013, 13.30-17.00 Sabato 13 aprile 2013, 8.30-12.00 Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Iscrizioni Entro mercoledì 10 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 400.– Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Il sistema fiscale italiano L’imposta di successione e donazione Nell’ambito del corso si esamineranno dapprima i presupposti di applicazione soggettivi e oggettivi dell’imposta sulle successioni e donazioni. In particolare sono analizzati i criteri di territorialità dell’imposta, anche alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità. Sono altresì esaminati i criteri per la determinazione della base imponibile. In tale ottica è data molta rilevanza anche al trasferimento di aziende e di partecipazioni. Infine, si studieranno le norme interne sul credito per le imposte assolte all’estero. Per rendere più chiari i temi trattati durante il corso, verranno esaminati alcuni casi pratici. Programma Evoluzione dell’imposta italiana sulle successioni e donazioni Ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’imposta Territorialità dell’imposta Determinazione della base imponibile (con particolare riferimento ai beni situati all’estero) Profili internazionali dell’imposta sulle successioni e donazioni Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Relatore Gabriele Paladini, dottore commercialista in Milano; dottore di ricerca in Diritto tributario delle società presso l’Università LUISS di Roma; esperto di fiscalità internazionale; associato Chiomenti Studio Legale Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Data e orario Venerdì 26 aprile 2013, 8.30-12.00 Iscrizioni Entro mercoledì 24 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 200.– Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Il sistema fiscale italiano L’accertamento delle imposte, il processo tributario e le sanzioni amministrative e penali Il complesso panorama normativo fiscale italiano presenta, accanto alle norme impositrici che, con strumenti più o meno articolati, definiscono il presupposto del tributo, una serie di norme sostanziali e strumentali dirette a consentire l’attuazione del prelievo e a verificare che esso sia stato applicato concretamente e correttamente in ragione della capacità contributiva. In questa prospettiva, oggetto dell’attività di accertamento delle imposte è l’individuazione delle dimensioni qualitative e quantitative del presupposto di fatto posto in essere dal contribuente: tale attività si snoda nel procedimento istruttorio e di verifica che conduce alla sostituzione della “verità” del Fisco alla “verità” dichiarata dal contribuente, con contestuale irrogazione delle sanzioni amministrative e penali, strumenti principe per assicurare l’osservanza del precetto fiscale e prevenire e reprimere condotte evasive d’imposta. In tale contesto, importanza fondamentale riveste il tema della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente, destinatario dell’atto impositivo, dal momento che si assiste a un processo tributario dove il Legislatore, sovente, si preoccupa di garantire prevalentemente la tutela dell’interesse pubblico al prelievo, limitando la tutela del contribuente e la stessa ricostruzione probatoria del fatto controverso. Programma L’attività istruttoria mediante indagini d’ufficio e mediante accessi, ispezioni e verifiche. Le indagini finanziarie. Le me­todologie di accertamento. L’avviso di accertamento. La tutela nella fase ammini­strativa Il processo tributario La riscossione dei tributi Le sanzioni amministrative e penali Finalità Fornire l’adeguato supporto teorico e pratico, a vantaggio del contribuente, durante le verifiche fiscali condotte dalla Guardia di Finanza o dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate Illustrare tutte le possibili azioni, stragiudiziali e contenziose, a disposizione del soggetto passivo d’imposta e tese a contrastare la pretesa fiscale illegittima Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Relatrice Barbara Nigro, laurea in Giurisprudenza, Università degli Studi di Firenze; avvocato; master in Diritto Tributario, Ipsoa; dottore di ricerca in Finanza Pubblica e Privata Comunitaria, Seconda Università degli Studi di Napoli Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Date e orari Venerdì 26 aprile 2013, 13.30-17.00 Sabato 27 aprile 2013, 8.30-12.00 Iscrizioni Entro mercoledì 24 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 400.– Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Fondamenti dell’IVA comunitaria Direttiva europea in materia di IVA Lezione introduttiva che analizza i principi generali previsti dalla Direttiva europea in materia di IVA. Sono analizzate le nozioni di soggetto passivo, le diverse categorie di operazioni rilevanti ai fini dell’imposta e le regole di territorialità. Programma Ambito di applicazione Soggetti passivi Operazioni imponibili Luogo delle operazioni imponibili Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Relatrice Sara Montalbetti, laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano); dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia di diritto tributario dell’impresa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Data e orario Venerdì 12 aprile 2013, 8.30-17.00 Iscrizioni Entro mercoledì 10 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 400.– Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Fondamenti dell’IVA comunitaria Commercio internazionale di beni Esame approfondito delle diverse tipologie di operazioni che possono essere effettuate nell’ambito del commercio internazionale di beni (cessioni intracomunitarie, importazioni ed esportazioni, cessioni a catena, operazioni triangolari). Programma Cessioni intracomunitarie Importazioni ed esportazioni Cessioni a catena Operazioni triangolari Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Relatrice Sara Montalbetti, laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano); dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia di diritto tributario dell’impresa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Date e orari Sabato 13 aprile 2013, 8.30-12.00 Venerdì 26 aprile 2013, 8.30-12.00 Iscrizioni Entro giovedì 11 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 400.– Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Fondamenti dell’IVA comunitaria Base imponibile; aliquote; diritto di detrazione Obblighi dei soggetti passivi Analisi delle regole previste dalla Direttiva europea in materia di IVA per la determinazione della base imponibile. Illustrazione delle aliquote vigenti negli Stati membri dell’UE. Esame dei principi generali che governano il diritto di detrazione dell’imposta. Rassegna dei principali obblighi a carico dei soggetti passivi. Programma Base imponibile Aliquote Diritto di detrazione Obblighi dei soggetti passivi ◆ Obbligo di pagamento ◆Identificazione ◆Fatturazione ◆Contabilità ◆Dichiarazione ◆ Elenchi riepilogativi ◆ Operazioni di importazione e esportazione Destinatari Fiduciari, commercialisti, avvocati, consulenti fiscali, consulenti bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale di aziende pubbliche e private, persone interessate alla fiscalità Relatrice Sara Montalbetti, laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano); dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia di diritto tributario dell’impresa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati Luogo SUPSI Dipartimento scienze aziendali e sociali Palazzo A CH-6928 Manno Date e orari Base imponibile; aliquote; diritto di detrazione venerdì 26 aprile 2013, 13.30-17.00 Obblighi dei soggetti passivi sabato 27 aprile 2013, 8.30-12.00 Iscrizioni Entro mercoledì 24 aprile 2013 Il numero di posti è limitato a 30 partecipanti Costo CHF 200.– per singola lezione Informazioni amministrative SUPSI Centro competenze tributarie www.supsi.ch/fisco [email protected] Offerta formativa Iscrizione ai corsi di diritto tributario Sì, mi iscrivo al seguente corso: Seminari Il sistema fiscale italiano Fondamenti dell'IVA comunitaria □ L’imposizione alla fonte □ La disciplina tributaria □ Direttiva europea in materia di IVA per i frontalieri in Svizzera: verso un’imposizione ordinaria? □ Cooperazione amministrativa internazionale □ Scambio di informazioni su richiesta delle operazioni straordinarie □ L’imposta di successione e donazione □ L’accertamento delle imposte, il processo tributario e le sanzioni amministrative e penali □ Commercio internazionale di beni □ Base imponibile; aliquote; diritto di detrazione □ Obblighi dei soggetti passivi e domande raggruppate □ Gli aspetti fiscali legati ai casi di risanamento aziendale □ Il trasferimento della sede delle persone giuridiche dall’Italia verso la Svizzera Dati personali NomeCognome TelefonoE-mail Indicare l’indirizzo per l’invio delle comunicazioni e l’addebito della tassa di iscrizione Azienda/Ente Via e N. NAP Località DataFirma Inviare il formulario di iscrizione Per posta SUPSI Centro competenze tributarie Palazzo E Via Cantonale 16e CH-6928 Manno Via e-mail [email protected] Via fax +41 (0)58 666 61 76