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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 3 – Marzo 2013
Diritto tributario italiano
Il tenore di vita come indizio di ricchezza non registrata:
il nuovo redditometro e lo spesometro
Reclamo e mediazione tributaria
Diritto tributario svizzero
L’applicabilità della CEDU alla procedura amministrativa
3
7
12
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Procedimenti tributari e garanzie processuali
dell’articolo 6 CEDU
17
Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE
Il cumulo delle sanzioni amministrative e penali
per lo stesso reato fiscale viola il principio ne bis in idem?
Offerta formativa
Seminari e corsi di diritto tributario
21
27
Introduzione
Novità fiscali
03/2013
Redazione
SUPSI
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tributarie
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Redattore responsabile
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Curzio Toffoli
Samuele Vorpe
Impaginazione e layout
Laboratorio cultura visiva
La prima parte della rivista è dedicata al diritto
tributario italiano, ed in particolare agli strumenti
di accertamento sintetico che, in via presuntiva,
consentono all’Amministrazione finanziaria di risalire al reddito ipotetico di un contribuente: redditometro, redditest e spesometro. Un secondo contributo approfondisce i presupposti di applicazione
dell’istituto del reclamo e della mediazione,
che si pone quale nuovo strumento deflattivo del
contenzioso tributario. Nella seconda parte della
rivista viene invece dato ampio spazio allo spinoso
tema delle garanzie processuali previste dall’articolo
6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(CEDU) in ambito tributario svizzero. Se, da un lato,
la Corte europea di Strasburgo ha ripetutamente
escluso la loro applicazione alla materia puramente
tributaria, ascrivendo la stessa al “nocciolo duro
delle prerogative della potestà pubblica”, d’altro lato,
le garanzie del giusto processo sono ormai da tempo riconosciute applicabili alle procedure contravvenzionali per sottrazione d’imposta, in virtù del
loro carattere “penale”. Come conciliare allora le diverse garanzie di queste due procedure, che spesso
viaggiano su binari paralleli? La tutela delle garanzie
previste dall’articolo 6 CEDU per le “accuse penali”
condiziona unicamente le procedure straordinarie
di ricupero d’imposta, che normalmente si sovrappongono alle procedure di contravvenzione per
sottrazione d’imposta, oppure anche le procedure
di tassazione ordinaria? Come interpretare l’ultima
sentenza Chambaz c. Svizzera del 5 aprile 2012?
Il privilegio di non contribuire alla propria incriminazione ha realmente oltrepassato i confini del
processo penale, affacciandosi come garanzia ineludibile nell’ambito di tutte le procedure di tassazione
ordinarie e straordinarie? Un ultimo contributo è
dedicato ad una recentissima sentenza della Corte
di giustizia sul principio “ne bis in idem”. Buona lettura!
Rocco Filippini
Diritto tributario italiano
Il tenore di vita come indizio
di ricchezza non registrata:
il nuovo redditometro e lo spesometro
Simone Covino
Avvocato
Dottore di ricerca in diritto tributario
Studio ACTA, Milano
Quando manca un soggetto segnalatore il Fisco, pressato da una parte dalle esigenze erariali e dall’altra
dall’opinione pubblica, non può che orientarsi su basi
empiriche o matematico statistiche. Ai fini di una ragionevole determinazione della capacità contributiva,
diviene allora fondamentale la fase del contraddittorio
col contribuente
1.
Premessa. La determinazione della ricchezza in base
al tenore di vita e alle spese personali
Nei sistemi tributari moderni l’individuazione della capacità economica avviene principalmente grazie al meccanismo
dell’autoaccertamento o autodeterminazione del tributo: il sistema, specialmente in Italia, si regge peraltro su una rete di
segnalazioni, provenienti per lo più da grandi enti, pubblici o
privati, che comunicano all’Amministrazione finanziaria tutti i
dettagli dei rapporti con lavoratori, consulenti e altri fornitori,
ovvero che provvedono direttamente alla riscossione delle imposte. Per certi versi non è azzardato affermare che, a partire
dalle riforme del 1973, il Fisco in Italia ha esternalizzato una
fetta notevole dei propri compiti, restando però sempre presente in funzione di assistenza del contribuente (attraverso gli
atti di prassi, i comunicati stampa, eccetera) e soprattutto di
deterrenza all’evasione (attraverso i controlli)[1].
Tuttavia, la tassazione “al centesimo” attraverso la contabilità e le conseguenti dichiarazioni fiscali funziona decisamente meno bene nei confronti degli operatori singoli e di quelle
imprese abbastanza piccole da potersi gestire in un regime di
totale autarchia contabile; storicamente infatti in Italia “piccolo è bello”, perché l’attività economica a dimensione padronale permette una disinvoltura contabile e nella gestione del
personale che diviene improponibile man mano che l’impresa
si struttura e si proceduralizza. Alla fine, la burocrazia interna
diviene infatti un ostacolo per lo stesso titolare che pretendesse di gestire direttamente i rapporti coi clienti (e quindi gli
incassi). Orbene, l’unico modo che ha il Fisco per intercettare i flussi reddituali in discorso sembrerebbe essere tornare a
stimare – preferibilmente in contraddittorio con l’operatore
economico – la capacità economica da questi prodotta; in
alternativa, si può risalire ad un reddito ipotetico sulla base
di certi consumi effettuati dal contribuente. Il tenore di vita,
la spesa personale dei lavoratori indipendenti possono essere
infatti indizi forti per stimare ex post il risultato dell’attività
economica esercitata.
Il cosiddetto “accertamento sintetico”[2] (articolo 38, comma
4, del Decreto Presidente della Repubblica [di seguito D.P.R.]
n. 600/73) viene così definito appunto perché non si basa sulle fonti di produzione del reddito (impresa, lavoro, capitale,
eccetera) ma utilizza un procedimento logico a ritroso, presumendo — salvo prova contraria — che “le spese di qualsiasi
genere sostenute nel corso del periodo d’imposta” siano state finanziate prima di tutto con il reddito del periodo medesimo.
Sempre salvo prova contraria, il comma 5 ammette l’utilizzo
di “elementi indicativi di capacità contributiva individuati mediante
l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in
funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza,
con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze”[3]: ecco il
redditometro propriamente detto.
Osserviamo che l’accertamento sintetico rappresenta uno
strumento di controllo molto spendibile dal legislatore nei confronti dell’opinione pubblica, specie se lo si invoca in fattispecie
ove sono evidenti le sproporzioni tra consumi di lusso e redditi
dichiarati. Da un lato, esso si dirige in modo indiscriminato verso tutte le categorie sociali, dai dipendenti ai professionisti, agli
artigiani, ai piccoli commercianti o agli industriali: il tenore di
vita consente di determinare la ricchezza senza guardare direttamente all’attività lavorativa, sparando invece nel mucchio
di una moltitudine indifferenziata, e disorganizzata, di contribuenti che hanno la colpa di “spendere tanto”. Per altro verso,
non di rado questo strumento viene presentato all’opinione
pubblica come il “vendicatore degli onesti”, colpendo chi segue
un tenore di vita incompatibile con la propria dichiarazione
dei redditi. L’ultima incarnazione del redditometro, cadendo in
una congiuntura di estrema difficoltà economica per l’Italia, ha
creato prima ancora di diventare operativa forte malessere in
varie categorie sociali, al punto da suggerire all’Agenzia delle
Entrate un comunicato rasserenante in cui si esentano dall’applicazione dello strumento i pensionati puri ed i casi in cui lo
scostamento tra reddito accertato sinteticamente e reddito
dichiarato non superi i 12’000 euro[4].
3
4
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Ora, visto che solo il contribuente conosce da dove ha ricavato le somme spese, è poi logico che la legge gli faccia carico di dimostrare il finanziamento delle spese con somme diverse da redditi non dichiarati. L’Amministrazione finanziaria
si limita qui a dimostrare il sostenimento delle spese (il che è
abbastanza facile quando si tratta di consumi o investimenti facilmente rilevabili, come il mantenimento di autovetture,
di residenze secondarie, di imbarcazioni da diporto, eccetera),
per poi quantificarle attraverso il cosiddetto “redditometro”,
superando de iure le incertezze di stima e le difficoltà degli
uffici di stabilire quanto costi mantenere — ad esempio —
un’imbarcazione da diporto, un cavallo da corsa o una villa in
montagna.
La stessa logica è alla base del cosiddetto “spesometro” (introdotto dall’articolo 21 del Decreto Legge [di seguito D.L.]
n. 78/2010), termine con cui si indica l’obbligo della comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA. I dati
acquisiti confluiscono in un’apposita banca dati e, tramite gli
incroci con le altre informazioni contenute nell’Anagrafe tributaria, per consentire “un’analisi del rischio finalizzata alla selezione
dei soggetti da sottoporre a controllo che potrà incidere in misura più
che efficace sulla proficuità degli accertamenti e, quindi, sul contrasto
all’evasione”[5]. Lo spesometro è in vigore per le operazioni rilevanti ai fini IVA (senza limite d’importo); non riguarda invece
le operazioni non superiori a 3’600 euro (inclusa IVA) senza
obbligo di fatturazione.
2.
Il redditometro e il “redditest”
L’articolo 38 del D.P.R. n. 600/1973 determina dunque i criteri
per determinare in via presuntiva il reddito, attraverso alcuni
elementi, circostanze e coefficienti (particolarmente il possesso
di beni, la formazione del patrimonio, quale risultante del flusso
di redditi) anche ulteriormente individuati da decreti ministeriali
come il D.L. n. 78/2010. Il punto di partenza del redditometro è
rappresentato dal presupposto che, a fronte di un certo livello di
spesa, vi deve essere almeno un'entrata di pari livello.
Si tratta del meccanismo attraverso il quale Fisco, faticando
a tassare i redditi nel momento in cui si formano, cerca di
individuarli all’atto della spesa, attraverso la valorizzazione di
elementi:
◆ che ordinariamente affluiscono nel Sistema Informativo
dell’Anagrafe Tributaria (inclusi quelli riferibili allo spesometro su cui torneremo subito);
◆ quelli acquisiti tramite scambi di informazioni con le altre
agenzie fiscali, enti ed autorità pubbliche (INPS, PRA, INAIL,
SIAE, Comuni);
◆ quelli acquisiti tramite specifiche e dedicate campagne di
raccolta sul territorio anche in collaborazione con la Guardia di Finanza (che proseguiranno per ottenere elementi
più specifici, non acquisibili in forma massiva).
Nell’ambito del nuovo redditometro vengono allo stato prese in considerazione oltre 100 voci, rappresentative di tutti gli
aspetti della vita quotidiana, indicative di capacità di spesa,
che contribuiscono congiuntamente alla stima del reddito. Le
voci si possono aggregare in 7 categorie:
◆abitazione;
◆ mezzi di trasporto;
◆ assicurazioni e contributi;
◆istruzione;
◆ attività sportive e ricreative e cura della persona;
◆ altre spese significative;
◆ investimenti immobiliari e mobiliari netti.
Non è il caso di tediare il lettore con l’indicazione analitica del
contenuto delle varie voci (di per sé facilmente intuibile): a titolo di curiosità, segnaliamo tra le “altre spese significative”
teoricamente espressive di capacità contributiva gli assegni
periodici corrisposti al coniuge (tra l’altro pacificamente deducibili per l’erogante), le donazioni a favore di Onlus (per altro
verso detraibili fino ad un massimo di 2’065 euro) e le spese
veterinarie.
La disponibilità di detti beni e il sostenimento di dette spese,
laddove comporti anche nella singola annualità uno scostamento del 20% tra il reddito ricostruito sinteticamente e quello
dichiarato, si tradurrà in un invito al contribuente a presentare
le opportune spiegazioni (articolo 38 comma 7, del D.P.R. n.
600/73), non solo dimostrando che i beni provengono dall’impiego di redditi già sottoposti a tassazione (ovvero esenti) ma
che il mantenimento dei medesimi è compatibile col reddito
dichiarato[6]. Si noti che la “disponibilità dei beni indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva contempla anche
le ipotesi di utilizzo a qualsiasi titolo, anche di fatto, da parte di terze
persone in quanto obiettivo della disciplina è l’individuazione di fonti
di reddito non dichiarate”[7]. In caso il contribuente non riesca
a scongiurare l’emissione dell’accertamento, è comunque obbligatorio l’invito dell’ufficio ad una composizione bonaria in
accertamento con adesione (articolo 38 comma 7, del D.P.R.
n. 600/73).
In un’ottica difensiva, è senz’altro utile tenere presente che sia
l’accertamento sintetico puro (ex comma 4) che quello redditometrico (ex comma 5) consistono nell’utilizzo di presunzioni
cosiddette “semplici” da parte del Fisco, che cioè per esser valide devono essere suffragate da “gravità precisione e concordanza”[8]. Tecnicamente quindi non vi è alcuna inversione dell’onere della prova a carico del contribuente e, una volta che questi
abbia fornito le sue “pezze d’appoggio”, la determinazione del
reddito dipenderà dagli equilibri del contraddittorio tra Fisco
e contribuente stesso, con eventuale successivo controllo da
parte dei Giudici tributari[9].
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Come noto, col D.L. già citato l’istituto è stato fortemente riformato attraverso l’analisi a campione di oltre 22 milioni di
famiglie ovvero circa 50 milioni di soggetti. Il processo è partito con l’individuazione di gruppi omogenei di famiglie, all’interno dei quali sono state selezionate quelle in condizione di
normalità: ciò si ottiene mediante appositi indicatori che rivelano eventuali, significative incoerenze tra le voci indicative di
capacità di spesa ed il reddito dichiarato. L’ultima fase – evidentemente la più delicata – prevede la stima della relazione
tra reddito e voci indicative della capacità di spesa, che avviene
applicando una funzione di regressione multivariata, dove per
ciascuno dei 55 gruppi omogenei le voci indicative della capacità di spesa contribuiscono in misura differenziata alla stima
del reddito della famiglia.
Il redditometro così riformulato è in vigore dal gennaio 2013;
il 20 novembre 2012 è avvenuta invece la pubblicazione di un
software (battezzato “redditest”), per consentire al contribuente di capire se il reddito che intende dichiarare al Fisco è in linea
o no con il proprio tenore di vita e la capacità di spesa sostenuta nel corso dell’anno. I contribuenti possono quindi utilizzare il redditest per orientarsi in vista della compilazione della
dichiarazione dei redditi; i risultati della verifica preventiva, in
ogni modo, non potranno essere in alcuna maniera acquisiti
dall’amministrazione finanziaria.
Il redditest si impernia, nel dettaglio, su 100 indicatori di spesa
suddivisi in 7 categorie: abitazioni, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi previdenziali, istruzione, attività sportive e
tempo libero, investimenti immobiliari e mobiliari e altre spese
significative. Si spazia dalle spese per la casa all’istruzione dei
figli, dagli investimenti agli abbonamenti allo stadio o al teatro,
dai viaggi alle cene al ristorante. A partire da questo mosaico
di uscite sarà ricostruito un reddito presunto che si potrà confrontare con il reddito da dichiarare. Di fronte a scostamenti
consistenti (oltre il 20%) si accenderà, come detto, il semaforo
rosso e si dovrà quindi valutare in un’ottica di compliance come
comportarsi in sede di dichiarazione dei redditi; con il semaforo verde si potrà stare più tranquilli, almeno nei confronti di
questa tipologia di accertamento.
3.
Lo spesometro
Il redditometro si basa, come accennato, anche sullo spesometro, introdotto dall’articolo 21 del D.L. n. 78/2010. Si tratta in
sostanza dell’obbligo di comunicazione telematica con riferimento alle operazioni rilevanti ai fini IVA e a quelle senza obbligo di fatturazione, il cui importo IVA inclusa è superiore a
3’600 euro. A partire dal 2012, le comunicazioni dei dati relativi
alle operazioni rilevanti ai fini IVA devono essere inviate entro il
30 aprile dell’anno successivo a quello in cui le operazioni sono
state effettuate. Nella comunicazione, che va redatta osservando le istruzioni contenute nel provvedimento del 29 dicembre 2011 (cosiddetto “tracciato record”), devono essere indicati:
◆
◆
◆
◆
i dati anagrafici del contribuente che ha sostenuto l’acquisto;
gli importi complessivi di ogni singola transazione;
la data in cui è stata effettuata la transazione;
il codice fiscale dell’operatore commerciale presso il quale è
avvenuto il pagamento elettronico.
Esattamente, va indicato il numero del codice fiscale dei soggetti associati con i quali è stato stipulato un contratto di installazione e utilizzo dei dispositivi POS (Point of sale) per la
ricezione di pagamenti effettuati con carte di debito, di credito o prepagate, comprese le eventuali cessazioni. Per ogni
terminale va evidenziato l’apposito codice identificativo. Ai fini
dei controlli, per le persone fisiche non titolari di partita IVA,
gli elementi acquisiti saranno posti a confronto, insieme agli
altri elementi di maggiore capacità contributiva, con i redditi dichiarati e, in caso di incongruenza, saranno come detto
utilizzati nell’ambito del nuovo procedimento di accertamento
sintetico. Per i soggetti titolari di partita IVA, le informazioni
acquisite consentiranno di verificare il volume d’affari e i ricavi,
nonché i costi e gli acquisti, indicati nella contabilità e nelle
relative dichiarazioni fiscali, ovvero, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, di ricostruire la base imponibile IVA
e la posizione reddituale del contribuente.
4.
Osservazioni finali
In conclusione, se da un lato l’accertamento sintetico ed il redditometro forniscono agli Uffici un sistema efficiente per rideterminare i redditi dei contribuenti, dotato di un impianto normativo che sicuramente facilita il lavoro dei funzionari, esso
per altro verso rischia di portare a risultati fuorvianti quanto
più la condizione economica delle famiglie dipende da fattori patrimoniali, redditi soggetti a imposta sostitutiva, risorse
provenienti dai genitori di entrambi i coniugi, ed altre circostanze non emergenti dal reddito ordinario IRPEF (Imposta sul
reddito delle persone fisiche). Non a caso il legislatore ha posto,
fin dalla riformulazione dell’articolo 38 in discorso, opportuni
argini rispetto ad una determinazione meramente statistica
del reddito sintetico: in questo senso va letto il duplice obbligatorio invito al contraddittorio da rivolgersi al contribuente,
rispettivamente al momento in cui si rileva uno scostamento
importante tra reddito sintetico e dichiarato (del 20% e non
inferiore a 12’000 euro) e dopo l’emissione dell’accertamento,
ai fini di una soluzione concordata della procedura.
5
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Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Il tenore di vita può insomma essere uno strumento integrativo, e non sostitutivo, degli accertamenti basati sull’attività.
Quand’anche si potessero determinare “al centesimo” le spese
sostenute dal contribuente, è infatti praticamente impossibile
perfino per lui stesso ricostruire la trama patrimoniale che le
ha rese possibili. Per quanto si tratti di presunzioni semplici, vi
è naturalmente una certa complessità insita nel doversi ricordare dei vari modi che consentono al contribuente di sopravvivere, per darne conto, documenti alla mano, a un potenziale
controllo di quello che a molti è sembrato una sorta di “grande
fratello fiscale”. Timore che ci pare ingiustificato, dato che il
Fisco offre tutte le garanzie derivanti dal fatto di essere una
pubblica autorità e che oltretutto quel che interessa ai funzionari accertatori è da “dove vengono i soldi”, non come questi
vengano spesi[10].
Elenco delle fonti fotografiche:
http://image.webmasterpoint.org/news/original/redditest-per-i-contribuenti-italiani.jpg [22.03.2013]
http://www.mercatodipisa.it/images/soldi.jpg [22.03.2013]
A margine, rileviamo come la percezione sociale di quello che
è uno strumento utile come altri ai fini della lotta all’evasione
(specie se l’Agenzia delle Entrate saprà valutare con saggezza
in fase di contraddittorio) rischi tuttavia di produrre effetti paradossali legati alla paura di rendersi troppo visibili. Se infatti
da un lato chi già era fiscalmente diligente vede aggravarsi gli
obblighi di compliance, dall’altro il rischio è di favorire il “nero”
nella misura in cui l’interesse del contribuente a non far figurare una determinata spesa per via del redditometro (e/o per
avere uno sconto) si sommi all’interesse del fornitore a non
fare emergere il relativo ricavo. Nello scenario peggiore, questa percezione sociale del redditometro potrebbe addirittura
deprimere ulteriormente i consumi in Italia. Molto dipenderà
da come l’Amministrazione finanziaria, pressata dalle esigenze
di gettito e dalle contrastanti pulsioni ed istanze di un’opinione
pubblica spaventata e confusa, saprà utilizzare lo strumento.
[1] Su questi temi si veda Lupi Raffaello, Dirittoamministrativo dei tributi, Dike, 2013, oppure
(dello stesso autore), Manuale giuridico di scienza
delle finanze, Dike, 2012.
[2] La denominazione è tutto sommato in se stessa poco autoesplicativa rispetto al procedimentologico che ricerca il reddito in base alla spesa: il
reddito non è distinto analiticamente in base alle
varie fonti di produzione, e quindi è “sintetico”,
perché la spesa è un dato di “sintesi”, purtroppo
influenzato spesso da entrate prive di natura reddituale. Si vedano Covino Simone/Lupi Raffaello,
L’insufficienza dell’accertamento sintetico per uncontrollo di massa: una conferma tra le tante, su
Dialoghi Tributari, n. 2/2010, pagina 35. Sull’accertamento sintetico vedasi Lupi Raffaello, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano 1988.
[3] Vedasi il Decreto del 24 dicembre 2012 “Contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità
contributiva sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito”.
[4] Si veda il Comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 20 gennaio 2013, dove si parla te-
stualmente di lotta alla “evasione spudorata”.
[5] Si veda l’audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Dottor Attilio Befera, “L’attività
dell’Agenzia delle Entrate: il nuovo redditometro
2012”, 31 gennaio 2012, Commissione finanze,
Camera dei deputati.
[6] Corte di Cassazione, sentenze n. 9549 del
29 aprile 2011, n. 13289 del 17 giugno 2011 e n.
23621 dell’11 novembre 2011.
[7] Corte di Cassazione, sentenza n. 12448 dell’8
giugno 2011.
[8] Corte di Cassazione, sentenza n. 23554 del 20
dicembre 2012.
[9] Del resto le famiglie non sono “aziende” e sarebbe incongruo pretendere una documentazione contabile al livello di accuratezza delle contabilità commerciali.
[10] Si veda la nota Ordinanza del Giudice di Napoli del 21 febbraio 2013. Ci pare che siamo qui
di fronte a un potere cautelare su una ritenuta
interpretazione della Costituzione, ma in assenza di un interesse ad agire, data l’assenza di ogni
attività della Guardia di Finanza: il ricorrente ha
infatti presentato un ricorso meramente ipote-
tico. In ambito tributario, del resto, si ritengono
impugnabili solo gli atti impositivi definitivi e non
anche quelli prodromici. Mancherebbero alla correttezza del processo l’impugnazione dell’atto
individuale e l’interesse ad agire, e forse anche la
giurisdizione del giudice civile trattandosi di materia eminentemente tributaria.
Diritto tributario italiano
Reclamo e mediazione tributaria
Roberto Ingrassia
Studio Legale Tributario Marino e Associati, Milano
Un concreto strumento deflattivo per la limitazione
del contenzioso tributario?
1.
Introduzione
L’articolo 39, comma 9, del D.L. del 6 luglio 2011, n. 98[1], contenente disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria, ha inserito nel Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) del
31 dicembre 1992, n. 546, l’articolo 17-bis, rubricato “Il reclamo
e la mediazione”, ampliando così l’elenco degli strumenti deflattivi del contenzioso.
Orbene, a partire dal 1997 si è affermata, con sempre maggiore forza, la necessità di instaurare una leale collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, al fine di
assicurare il giusto equilibrio tra pretesa erariale, da un lato,
e diritti del contribuente, dall’altro, nonché al fine di attuarequella deflazione del contenzioso, definita dalla stessa Agenzia delle Entrate come un obiettivo primario[2]. In specie, gli
istituti deflattivi rappresentano una concreta possibilità per il
contribuente e per l’Amministrazione finanziaria di addivenire
ad una rapida soluzione della controversia, evitando così l’instaurazione di un contenzioso ad oggi sempre più incerto e
prolungato.
L’istituto della mediazione tributaria prevede, nei confronti di
tutti quegli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati
a partire dal 1. aprile 2012, la presentazione di una preventiva istanza contenente la richiesta di annullamento parziale
o totale dell’atto e di tutti i motivi di fatto e le ragioni di diritto che si intenderanno far valere nell’eventuale successivo
ricorso, qualora la fase amministrativa non abbia sortito gli
effetti sperati. I motivi esposti nell’istanza dovranno coincidere, a pena di inammissibilità, con quelli proposti nel ricorso e
l’eventuale motivo proposto dinanzi la Commissione Tributaria
Provinciale, non esperito preventivamente nella procedura di
mediazione, dovrà essere dichiarato inammissibile. All’interno
dell’istanza di reclamo – da redigere obbligatoriamente, come
si vedrà meglio infra, qualora vengano rispettati tutti i requisiti
previsti – potrà, facoltativamente, essere formulata una proposta di mediazione contenente la mozione del contribuente
per definire in via extragiudiziale la controversia[3].
2.
I requisiti per l’applicazione del reclamo
Il comma 1, dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 nel prevedere che “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro,
relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, chi intende proporre
ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti […]”, ha individuato due specifici parametri che
rendono obbligatoria la formulazione dell’istanza di reclamo.
In particolare, il primo parametro individuato dalla norma in
commento attiene al valore della controversia. Per espressa
previsione normativa (cfr. comma 3 dell’articolo 17-bis) il valore della controversia “è determinato secondo le disposizioni di cui
al comma 5 dell’articolo 12”. Pertanto, una lettura del combinato
disposto dei commi 1 e 3 dell’articolo 17-bis e del comma 5
dell’articolo 12, porta a ritenere obbligatoria la presentazione
dell’istanza qualora il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro al netto degli interessi e delle eventuali
sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie
aventi ad oggetto esclusivamente l’irrogazione di sanzioni il
valore sarà costituito dalla somma di queste. Inoltre, richiedendo l’articolo 17-bis un valore della controversia distintamente indicato sono escluse dalla fase di mediazione tutte
quelle con valore indeterminabile.
Occorre vieppiù precisare che il valore della controversia va
determinato con riferimento a ciascun atto impugnato e che
qualora un unico atto si riferisca a più tributi, per determinare
il valore di quest’ultimo, e di conseguenza l’assoggettabilità o
meno alla procedura in commento, si dovrà fare riferimento
al totale delle imposte oggetto di contestazione da parte del
contribuente. Qualora invece oggetto della controversia sia il
rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore va
determinato tenendo conto dell’importo chiesto a rimborso
per singoli periodi d’imposta[4].
Il secondo parametro attiene, invece, alla tipologia di atto impugnato. Nello specifico, come supra evidenziato, l’applicazione
del nuovo istituto è subordinata alle controversie aventi ad oggetto “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”. Tale disposizione, insieme al richiamo operato dal successivo comma 6, all’articolo
19, porta, pertanto, a ritenere che il contribuente dovrà espe-
7
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Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
rire una preventiva fase amministrativa, qualora vi sia un atto
impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie, e tale atto
sia stato emesso dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza,
nell’elencazione degli atti autonomamente impugnabili di cui
all’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992, non potranno essere oggetto di mediazione tutti quelli non emessi dall’Agenzia delleEntrate, ossia:
◆ cartella di pagamento[5];
◆ avviso di mora;
◆iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del
D.P.R. n. 602 del 1973;
◆ fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del D.P.R.
n. 602 del 1973;
◆atti relativi alle operazioni catastali, indicate nell’articolo 2,
comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Per espressa previsione normativa (cfr. comma 4 dell’articolo
17-bis), inoltre, sono esclusi dalla mediazione tributaria anche
gli atti di recupero degli aiuti di Stato illegittimi di cui all’articolo 47-bis.
All’interno del novero delle procedure mediabili rientrano, altresì, le controversie ai fini delle imposte sui redditi di società
di persone e dei soci che, a livello giurisdizionale, configurano
un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Nelle predette fattispecie i rapporti tra le due parti andranno considerati autonomi
ed indipendenti[6], con la conseguenza che la società potrà
concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci. Di
rimando i soci della società potranno alternativamente (i) concludere la mediazione tenendo presente quella conclusa dalla
società; (ii) concludere autonomamente la mediazione anche
se la società non ha mediato in relazione al proprio rapporto;
(iii) costituirsi in giudizio a seguito dell’infruttuoso esperimento
della mediazione in relazione al proprio reddito; (iv) presentare
direttamente ricorso qualora il valore della propria controversia non rientri nella soglia per poter mediare, i.e. ventimila euro.
l’Agenzia delle Entrate dovesse respingere il reclamo in data
antecedente allo spirare dei novanta giorni, si ricorda che i termini per la costituzione in giudizio, sia per il ricorrente che per
la parte resistente, decorreranno dal giorno dell’avvenuto ricevimento del diniego[8]. Orbene, producendo l’istanza gli stessi effetti del ricorso, il termine di trenta giorni previsto per la
costituzione in giudizio del ricorrente, di cui all’articolo 22 del
D.Lgs. n. 546/1992, nonché quello di sessanta giorni previsto
per la parte resistente, ai sensi dell’articolo 23 del medesimo
decreto, andranno calcolati a partire dal giorno successivo: (i)
allo spirare dei novanta giorni senza che il contribuente abbia
ricevuto comunicazione dell’accoglimento dell’istanza ovvero
sia stato formulato accordo di mediazione; (ii) a quello di ricevimento del diniego all’accoglimento dell’istanza; (iii) a quello
di ricevimento di accoglimento parziale dell’istanza.
Riguardo al versamento del contributo unificato, che l’articolo
9 del D.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, ha esteso anche al
processo tributario, in sostituzione dell’imposta di bollo, si è
espresso il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Circolare del 21 settembre 2011, n. 1/DF, dove al punto 2.2 ha
affermato che il contributo unificato non è dovuto per il “reclamo con o senza proposta di mediazione di cui al comma 1 dell’art.
17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 nelle controversie di valore non superiore
a ventimila euro, al momento della sua presentazione alla Direzione
provinciale o alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che
ha emanato l’atto ai sensi del comma 5 dell’art. 17-bis del D.Lgs. n.
5 4 6/ 19 92”.
Pertanto, il versamento dello stesso si renderà obbligatorio
solo a seguito della mancata conclusione della procedura di
mediazione e solo al momento del deposito del ricorso presso
la Commissione Tributaria Provinciale.
Nel differente caso di soggetti coobbligati, invece, i procedimenti di mediazione dovranno essere condotti in modo coordinato nei confronti di tutti i coobbligati e qualora venga
perfezionata nei confronti di uno o più di essi, l’obbligazione
tributaria si estinguerà nei confronti di tutti.
3.
La presentazione dell’istanza
Una volta constatata la presenza dei requisiti che rendono obbligatoria la presentazione dell’istanza, la stessa, contenente
anche l’eventuale proposta di mediazione[7], dovrà essere notificata alla Direzione provinciale o regionale che ha emanato
l’atto, entro sessanta giorni dalla data di notifica dello stesso
o, in caso di rifiuto tacito opposto ad una domanda di rimborso, dopo il novantesimo giorno dalla domanda stessa. Occorre precisare che ai termini per la proposizione dell’istanza si
applicano le disposizioni sulla sospensione feriale dei termini,
sospensione che, invece, non trova applicazione una volta instaurata la procedura, la quale, ai sensi di quanto disposto dal
comma 7 dell’articolo in commento dovrà concludersi obbligatoriamente entro il termine di novanta giorni, trattandosi di
una fase amministrativa e non processuale. Tuttavia, qualora
4.
La proposta di mediazione
Come già supra precisato, la proposta di mediazione costituisce
una fase meramente eventuale, la cui mancata presentazione
non comporta pronuncia di inammissibilità. Tuttavia, qualora il
contribuente non abbia formulato nell’istanza un apposito accordo di mediazione, lo stesso potrà essere formulato dall’Ufficio, il quale provvederà a comunicare la proposta comprensiva di rideterminazione della pretesa tributaria e contenente, in
calce, il nominativo e i recapiti del funzionario incaricato, così
da consentire l’avvio dei contatti. Alternativamente il contribuente potrà essere direttamente invitato al contraddittorio al
fine di formulare una motivata proposta di mediazione.
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Per espressa previsione normativa, all’accordo di mediazione si
applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 48 del D.Lgs. n. 546/1992. Pertanto, in base a quanto
statuito dal comma 6 del predetto articolo, in caso di avvenuta
mediazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento delle somme irrogabili in relazione
all’ammontare del tributo risultante dalla mediazione. Inoltre,
in base a quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate con la
Circolare del 3 agosto 2012, n. 33/E, qualora in sede di mediazione la sanzione venga confermata o rideterminata, in nessun
caso potrà essere ammessa una riduzione differente dal quaranta per cento della sanzione confermata o rideterminata.
sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento ex
articolo 25 del D.P.R. n. 602/1973; (ii) decorsi novanta giorni
dalla notifica dell’accertamento esecutivo ex articolo 29 del
D.L. n. 78/2010. Invero, occorre rilevare che ai sensi del citato
articolo 29 l’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di
centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della
riscossione degli atti di cui alla lettera a) (i.e. avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate); tale sospensione, ad
ogni modo, non si applica con riferimento alle azioni cautelari
e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
Una volta raggiunto l’accordo, occorrerà sottoscrivere la proposta di mediazione da cui si evince in modo specifico il contenuto dell’intesa ed in particolare la rideterminazione delle
somme e le modalità di versamento delle stesse. Il perfezionamento avverrà con il successivo versamento dell’intero importo dovuto[9] o con il versamento della prima rata in caso
di versamento rateale[10], effettuato entro venti giorni dalla
conclusione dell’accordo.
Pur non essendo obbligatorio concludere l’accordo di mediazione, occorre precisare che il rifiuto del contribuente alla
sottoscrizione dello stesso, invero, potrebbe generare nei confronti di quest’ultimo, un ulteriore aggravio della pretesa tributaria. Difatti, il comma 10 dell’articolo 17-bis prevede che,
nel caso in cui la controversia giunga dinanzi alla Commissione
Tributaria e la parte risulti soccombente, la stessa “è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al
50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del
procedimento disciplinato dal presente articolo”. Qualora tuttavia
ricorrano giustificati motivi, da indicare esplicitamente nella
motivazione della sentenza, i Giudici potranno compensare
parzialmente o per intero le spese di lite.
5.
Le problematiche ancora irrisolte
Una problematica sottesa alla presentazione dell’istanza di
reclamo/mediazione che merita di essere menzionata, è quella inerente la riscossione del tributo oggetto di mediazione.
La presentazione dell’istanza, difatti, non sospende gli effetti
esecutivi dell’atto oggetto di impugnazione e, tale mancata
previsione, esplica, a fortiori, conseguenze ancor più negative
alla luce dell’entrata a regime dell’accertamento esecutivo[11]
che rende gli atti suscettibili di esecuzione immediata.
Ebbene, la sospensione di cui all’articolo 47 del D.Lgs. n.
546/1992 regolamenta la sola sospensione in pendenza di
controversia giurisdizionale e, pertanto, ad oggi, l’istanza di
sospensione dell’atto oggetto di mediazione potrà essere proposta solo in seguito alla conclusione della relativa fase amministrativa, non essendo presente alcuna norma che preveda,
durante il tempo utile per la mediazione, l’inibizione, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, all’adozione di apposite misure cautelari.
In conseguenza di ciò, sembra pertanto potersi affermare che,
in costanza dei presupposti di legge, l’Amministrazione finanziaria potrà procedere, mediante fermi e ipoteche (i) decorsi
Con la Circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E, l’Agenzia delle Entrate cerca, ad ogni modo, di trovare una soluzione alla mancata
previsione, all’interno dell’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992,
di una disposizione volta a regolare la sospensione dell’atto oggetto di procedura amministrativa, al fine di bloccare l’eventuale azione dell’Agente della riscossione. La soluzione prospettata
si concentra nella possibilità riconosciuta dall’articolo 2-quater,
comma 1-bis del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito con
modificazione dalla Legge del 30 novembre 1994, n. 656, di ricomprendere all’interno del potere di annullamento o di revoca
anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato. Alla luce di ciò, il contribuente anche all’interno del procedimento in commento potrà
chiedere, mediante istanza formulata contestualmente all’atto
introduttivo del reclamo/mediazione, ovvero separatamente, la
sospensione degli effetti dell’atto che, ove risulti fondata, potrà
essere sospeso dalla Direzione (provinciale o regionale) fino al
termine della fase di mediazione.
Il rimedio prospettato dall’Agenzia delle Entrate, invero, non
sembra offrire adeguate garanzie al contribuente in quanto, la
possibilità di richiedere la sospensione dell’atto oggetto di reclamo mediante istanza di autotutela, rimetterebbe il potere di
concedere o meno la sospensione degli effetti dell’atto ad una
mera valutazione dello stesso soggetto contro cui è rivolto il
9
10
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
reclamo, con conseguente palese carenza di tutela eccepibile
alla stregua degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. L’auspicio, pertanto, è quello di ottenere per il futuro una maggiore
garanzia, nei confronti del contribuente, così da rispettare quei
principi fondamentali di eguaglianza, terzietà, imparzialità e
giusto processo su cui si impernia la nostra carta costituzionale.
6.
La questione di legittimità costituzionale
della mediazione tributaria
Occorre rilevare come in merito alla mediazione tributaria è
stata recentemente sollevata questione di legittimità costituzionale con riferimento, in particolare, al fatto che l’omessa presentazione del reclamo comporta inevitabilmente l’inammissibilità del ricorso. Ebbene il caso affrontato dalla Commissione
Tributaria Provinciale di Perugia nell’ordinanza n. 18/02/13,
pronunciata addì 1. febbraio 2013 e depositata il successivo 7
febbraio 2013, verte sulla proposizione di un ricorso avverso
una cartella esattoriale di importo inferiore a 20'000 euro, nei
cui confronti non era stata preventivamente esperita istanza
di mediazione/reclamo. L’Amministrazione finanziaria, rilevata
la suddetta omessa presentazione chiedeva che il ricorso fosse
dichiarato inammissibile. Ebbene il Consesso, rilevati seri dubbi
di costituzionalità, ha deciso di rimettere gli atti alla Consulta,
in quanto a giudizio della Commissione adita, la mediazione tributaria viola i principi costituzionali sanciti dagli articoli 3, 24
e 25 della Costituzione. Orbene i Giudici di prime cure hanno
in primis rilevato come la proposizione del reclamo come condizione di ammissibilità dell’eventuale successivo ricorso lede
il diritto di difesa del contribuente in quanto, condizionando il
ricorso giurisdizionale al previo esperimento di una fase amministrativa, impedisce a quest’ultimo di adire immediatamente
la giustizia tributaria ricevendone la necessaria tutela.
Ma vi è di più. I Giudici rilevano inoltre come l’organo deputato
ad esaminare l’istanza di mediazione/reclamo è pur sempre
un organo dell’Amministrazione che seppur diverso da quello
che ha emanato l’atto oggetto di reclamo è, invero, sempre
parte della stessa Amministrazione. La Commissione sottolinea come sia pertanto evidente l’utilizzo erroneo ed illogico
dell’istituto in commento, ed a tal proposito richiama il diritto
dell’Unione europea, già evocato dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 272 del 2012[12], nella parte in cui disciplina
le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato
(“può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro” ai
sensi dell’articolo 3, lettera a, della direttiva n. 2008/52/CE del
21 maggio 2008). Alla luce di quanto detto “l’organo della mediazione deve essere estraneo alle parti, in sostanza non può essere
mediatore una delle parti, anche se costituito in ufficio autonomo”.
L’ordinanza affronta altresì il tema della carente tutela cautelare del contribuente prima della costituzione in giudizio, ovvero prima della decorrenza dei novanta giorni dalla notifica
del reclamo, posto che il contribuente non potrebbe chiedere
nessuna sospensione dell’atto ai sensi dell’articolo 47 del D.Lgs.
n. 546/1992 in quanto non potrebbe depositare il proprio ricorso
presso la Commissione se non al termine della preventiva fase
di reclamo.
Di poi, la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia rileva
l’incostituzionalità della mediazione per violazione dell’articolo
3 della Costituzione, laddove prevede che l’istituto della mediazione si applica “solo ai tributi imposti dall’Agenzia delle Entrate
e non ai tributi provenienti da altri Enti impositori, talché i contribuenti obbligati al pagamento di questi ultimi si troverebbero ad avere maggiore tutela giuridica rispetto ad i contribuenti cui pervengono
atti dell’Amministrazione finanziaria che devono attenersi all’iter procedurale previsto dalla norma di cui si dubita della costituzionalità”.
Infine i Giudici perugini eccepiscono la violazione dell’articolo
3 della Costituzione, nel punto in cui la mediazione si applica solo alle controversie che hanno un valore non superiore a
20’000 euro, in quanto pone i contribuenti debitori dello Stato
per importi più elevati in una posizione di tutela maggiore, potendo essi adire direttamente l’autorità giudiziaria ed ottenere
l’immediata sospensione dell’atto.
Orbene confidando, o meglio sperando, in una rapida e concreta soluzione delle problematiche supra esposte inerenti la
sospensione dell’atto oggetto di mediazione/reclamo nonché
le sollevate questioni di legittimità costituzionale, si rileva, tuttavia, come l’istituto in esame, nei primi periodi di applicazione
ha già permesso di evitare numerosi liti e, pertanto, di ridurre il
contenzioso pendente dinanzi le Commissioni Tributarie.
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Per maggiori informazioni:
Agenzia delle Entrate, Circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E, in: http://www.
agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/79375b004a91a92c990bd9f99
946a13b/cir9e+del+19+03+12+_3_.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=7
9375b004a91a92c990bd9f99946a13b [22.03.2013]
Agenzia delle Entrate, Circolare del 3 agosto 2012, n. 33/E, in: http://www.
agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/9777e5804c36fb518667a6ce3
12dbf81/circolare+33e+_2_.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=9777e58
04c36fb518667a6ce312dbf81 [22.03.2013]
Agenzia delle Entrate, Risoluzione del 19 aprile 2012, n. 37/E, in: http://www.
agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/7f5834004af190ee8de98da8b
297458c/--+Ris37e+del+19+04+12x.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=
7f5834004af190ee8de98da8b297458c [22.03.2013]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.lavorofacile.eu/writable/mod_news/201206302106292012-92804-NDP.jpg [22.03.2013]
http://www.studiolosiferrari.it/cms_rc/allegati/1203221710_mediatore-marka-258.jpg [22.03.2013]
http://st atic .fanpage.it/socialmediafanpage/wp-content/uploads/2012/01/Si-pu%C3%B2-fare-a-meno-di-Equitalia-e-risparmiare20-mila-euro-Certo-che-s%C3%AC-638x425.jpg [22.03.2013]
[1] Convertito in legge, con modificazioni, dalla
Legge del 15 luglio 2011, n. 211.
[2] L’importanza del ricorso agli strumenti deflattivi del contenzioso è stata evidenziata oltre che
dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Circolare
del 26 maggio 2011, n. 22/E, anche nella Convenzione triennale con il Ministro dell’Economia e delle Finanze per gli esercizi 2011-2013, ove si legge
“L’azione dell’Agenzia continuerà ad essere prioritariamente orientata verso la diminuzione del contenzioso,
attraverso il pieno utilizzo degli strumenti deflattivi”.
[3] In caso di formulazione di una proposta di mediazione, il comma 8, dell’articolo 17-bis rimanda,
per quanto compatibili, alle disposizioni di cui
all’articolo 48 del D.Lgs. n. 546/1992.
[4] Nei confronti delle controversie aventi ad oggetto il rifiuto tacito alla restituzione delle imposte, la procedura di mediazione si applica solo se
alla data del 1. aprile 2012 non siano decorsi novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso.
[5] Purché il contribuente sollevi contestazioni attinenti esclusivamente a vizi propri della cartella
di pagamento.
[6] A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza dell'11 aprile 2011, n. 8168, in
tema di conciliazione, cui rinvia l’articolo 17-bis,
comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ha statuito
che “è da rilevare che […] gran parte della giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio
intende dare continuità in assenza di valide ragioni per
discostarsene) ha ripetutamente avuto modo di evidenziare che i soci della società di persone sono titolari di
una soggettività tributaria autonoma rispetto a quella
della società e le vicende del loro accertamento restano
insensibili alle determinazioni che la società autonomamente assuma in relazione all’accertamento che la
riguardi”.
[7] Si ricorda che la proposta di mediazione rappresenta una fase meramente eventuale, e pertanto la mancata formulazione della stessa non
costituisce motivo di inammissibilità dell’istanza.
[8] Qualora l’istanza di mediazione/reclamo non
vada a buon fine ed il termine spiri durante la sospensione feriale dei termini, si precisa che il termine per la costituzione in giudizio, decorre dal 16
settembre, in quanto trattasi di termine processuale e non amministrativo.
[9] Per i codici tributo da utilizzare per il versamento, tramite F24, delle somme dovute per i
tributi derivanti dagli atti oggetto del reclamo
o della mediazione si rimanda alla Risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate del 19 aprile 2012, n.
37/ E .
[10] Il richiamo all’articolo 48, comporta che, ai
sensi del comma 3, il versamento delle somme
può avvenire “in un massimo di otto rate trimestrali
di pari importo ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali, se le somme dovute superano i 50.000 euro”.
[11] L’accertamento esecutivo è stato introdotto
dall’articolo 29 del D.L. del 31 maggio 2010, n. 78,
convertito in legge, con modificazioni dalla Legge
del 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.
[12] Corte Costituzionale, sentenza 24 ottobre-6
dicembre 2012, n. 272, con la quale la Consulta ha
dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del D.Lgs. del 4 marzo
2010, n. 28, nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione civile.
11
12
Diritto tributario svizzero
L’applicabilità della CEDU alla procedura
amministrativa
Matteo Gamboni
Esperto fiscale diplomato
Manager area fiscale MDR Advisory Group SA, Lugano
Il 5 aprile 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
sconfessato il Tribunale federale dichiarando applicabili le garanzie previste dall’articolo 6 CEDU alle procedure amministrative
Nel passato, in due casi concernenti la Svizzera, la Corte europea ha riconosciuto che i procedimenti di contravvenzione per
sottrazione d’imposta sono da considerare procedure a carattere penale ai sensi dell’articolo 6 CEDU[3].
1.
Introduzione
Il 5 aprile 2012, la Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte europea) ha infranto un tabù, dichiarando applicabili le garanzie processuali dell’articolo 6 della Convenzione
europea sui diritti dell’uomo (di seguito CEDU) alle procedure
amministrative[1], sconfessando di riflesso il Tribunale federale
che nella stessa causa le aveva dichiarate non applicabili[2].
Grazie all’applicazione, nella procedura di sottrazione, delle garanzie processuali previste dall’articolo 6 CEDU, il contribuente è protetto dalla coercizione abusiva delle autorità. Infatti,
ancorata nell’articolo 6 CEDU troviamo la nozione di processo equo, dalla quale si deduce il diritto di non contribuire alla
propria incriminazione (principio “nemo tenetur se ipsum accusare”), che impone alle autorità fiscali di cercare di fondare le loro
argomentazioni senza ricorrere a elementi di prova ottenuti
mediante costrizione o pressioni, contro la volontà dell’accusato. Tale garanzia mira quindi ad evitare errori giudiziari ed
a perseguire il risultato voluto dall’articolo 6 CEDU. Pertanto,
l’articolo 6 CEDU tutela il contribuente contro l’utilizzazione
nella procedura penale di informazioni ottenute nel quadro
della procedura ordinaria di tassazione e di ricupero d’imposta, nella quale egli ha l’obbligo di collaborare alla definizione
dei suoi elementi imponibili[4].
Sebbene la decisione della Corte europea non è stata presa
all’unanimità dai setti giudici (due hanno espresso parere dissenziente), è importante trarre i dovuti insegnamenti, soprattutto alla luce delle prossime modifiche legislative in campo
penale fiscale.
2.
La prassi attuale
La sottrazione d’imposta racchiude in sé due procedure: (i) una
procedura penale di sottrazione ed (ii) una procedura amministrativa di ricupero d’imposta.
La procedura di ricupero si caratterizza per il fatto che non è altro che una tassazione a posteriori, essenzialmente a carattere
oggettivo, di elementi sfuggiti in precedenza al fisco. Si tratta
quindi di una pura procedura amministrativa che ha lo scopo di
tassare il contribuente secondo la propria capacità contributiva. Nella procedura di ricupero il contribuente gode degli stessi
diritti ed obblighi valevoli durante la procedura di tassazione.
Al contrario della procedura di ricupero, la procedura di sottrazione ha lo scopo di stabilire l’importo della multa da infliggere
al contribuente per il suo comportamento colpevole. In particolare vi è sottrazione consumata d’imposta quando il contribuente, intenzionalmente o per negligenza, fa in modo che
una tassazione sia indebitamente omessa o che una tassazione cresciuta in giudicato sia incompleta. La multa equivale, di
regola, all’importo dell’imposta sottratta.
3.
La sentenza Chambaz
3.1.
I fatti
Il 10 gennaio 1990, Yves Chambaz inoltrò all’autorità fiscale
vodese la propria dichiarazione dei redditi per il periodo fiscale
1989-1990. In sede di tassazione, l’autorità fiscale riscontrò
un’evoluzione della sostanza non in linea con gli elementi di
reddito dichiarati, motivo per il quale fu emessa una tassazione d’ufficio che stabilì il reddito imponibile in 750’000 franchi
contro gli 81’000 dichiarati. Il 25 giugno 1991, il contribuente
interpose tempestivamente reclamo contro la notifica di tassazione 1989-1990. Durante la procedura di reclamo, l’autorità
fiscale chiese al contribuente – inutilmente – di produrre della documentazione bancaria. Nell’agosto 1994, di fronte alla
mancata collaborazione, l’autorità fiscale respinse il reclamo
e spiccò due multe all’indirizzo del contribuente (una di 2’000
franchi per l’imposta federale diretta e l’altra di 3’000 franchi
per l’imposta cantonale e comunale) per essersi rifiutato di dar
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
seguito ad un ordine dell’autorità, ossia di non aver prodotto
la documentazione bancaria richiesta. Contro le predette decisioni, il contribuente interpose tempestivamente ricorso al
Tribunale amministrativo vodese.
Nel frattempo che la procedura di ricorso era pendente, il 25
febbraio 1999 il Capo del Dipartimento federale delle finanze
ordinò l’apertura di un’inchiesta fiscale speciale ai sensi degli
articoli 190 e seguenti della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) contro Yves Chambaz, sospettato
di aver commesso gravi infrazioni fiscali. I mandati di perquisizione firmati il 3 marzo 1999 dal Direttore dell’Amministrazione federale delle contribuzioni, autorizzavano gli ispettori inquirenti della Divisione inchieste fiscali speciali (oggi Divisione
affari penali ed inchieste; di seguito DAPI) a sequestrare tutti
i documenti utili all’inchiesta per il periodo dal 1989 al 1998,
come pure documenti anteriori al 1989 o posteriori al 1998
sempreché pertinenti.
Il 15 marzo 1999, in seguito all’apertura dell’inchiesta condotta dalla DAPI, l’Amministrazione cantonale vodese comunicò
al contribuente di aver aperto nei suoi confronti una procedura di sottrazione d’imposta per i periodi fiscali 1995-1996
e seguenti.
Grazie alle perquisizioni svolte dagli inquirenti della DAPI,
l’Amministrazione cantonale vodese entrò in possesso della documentazione bancaria necessaria, così da stabilire con
maggiore precisione il reddito imponibile per il periodo 19891990. Infatti, il 7 febbraio 2002, l’Amministrazione cantonale
vodese scrisse al Tribunale amministrativo comunicando che il
reddito imponibile per l’imposta federale diretta per il periodo
in esame era di 1’570’200 franchi.
di 3’000 franchi all’indirizzo di Yves Chambaz. Nei suoi consideranti, il Tribunale amministrativo affermò inoltre che il ricupero d’imposta, ossia la tassazione d’ufficio, poteva aver luogo
indipendentemente dalla procedura di sottrazione, nonostante gli elementi su cui si fondava derivassero dalla procedura
penale istruita dagli inquirenti federali.
Ricorrendo al Tribunale federale, Yves Chambaz lamenta una
violazione dei suoi diritti fondamentali, quali la violazione della
nozione di processo equo (articoli 29 capoverso 1 della Costituzione federale [di seguito Cost.] e 6 capoverso 1 CEDU), del
principio di presunzione d’innocenza (articoli 32 capoverso 1
Cost. e 6 capoverso 2 CEDU) e del diritto di essere sentiti (articoli 29 capoverso 2 Cost. e 6 capoverso 1 CEDU).
3.2.
La decisione del Tribunale federale
Il Tribunale federale ha innanzitutto constatato che gli elementi raccolti dalla DAPI durante le perquisizioni e trasmessi
all’autorità cantonale in virtù dell’assistenza amministrativa
tra autorità (articolo 111 LIFD), non trasformano la procedura
di tassazione d’ufficio per il periodo fiscale 1989-1990 in procedura penale[5]. La procedura di sottrazione si riferisce infatti
ai periodi fiscali 1995-1996 e seguenti.
Essendo la procedura di tassazione d’ufficio una pura procedura amministrativa, le lamentele dell’insorgente circa la violazione delle garanzie previste dall’articolo 6 CEDU (processo
equo, presunzione d’innocenza e diritto di essere sentiti) sono
state giudicate non pertinenti. Secondo l’Alta Corte federale il
contribuente era tenuto a collaborare e non poteva prevalersi
del suo diritto al silenzio. Infatti, l’articolo 6 CEDU protegge
il contribuente contro l’utilizzo di informazioni ottenute nel
quadro della normale procedura di tassazione, dove ha l’obbligo di collaborare, per poi approfittarne nella procedura penale,
e non il contrario. Nel caso in esame, si tratterebbe di informazioni raccolte nell’ambito della procedura penale, che sono poi
state trasmesse all’autorità amministrativa. Nessun elemento
comunicato dal contribuente è stato utilizzato per definire il
suo debito d’imposta.
Il Tribunale federale conferma inoltre la multa di 2’000 franchi
(e di 3’000 franchi) inflitta al contribuente poiché pronunciata
durante la procedura di tassazione e non durante la procedura di sottrazione, come fu invece il caso della causa giudicata
dalla Corte europea il 3 maggio 2001[6].
Più in generale, il Tribunale federale conclude affermando che
l’articolo 6 CEDU non è applicabile nel caso in questione in
quanto procedura di carattere meramente amministrativo.
Onde statuire sul ricorso, fu indetta un’udienza dinnanzi ai
Giudici del Tribunale amministrativo vodese alla quale presero
parte i difensori di Yves Chambaz ed alcuni funzionari (tra cui
un funzionario della DAPI), i quali misero agli atti ulteriori elementi di prova a carico del contribuente.
Nella sua decisione del 21 ottobre 2002, il Tribunale amministrativo vodese fissò il reddito imponibile per l’imposta federale diretta in 1’537’300 franchi. Furono pure confermate le due
multe pronunciate nell’agosto 1994 di 2’000, rispettivamente
3.3.
La decisione della Corte europea
La Corte europea ribadisce innanzitutto che l’applicazione
dell’articolo 6 CEDU non si limita ai casi in cui una multa per
sottrazione d’imposta è stata effettivamente pronunciata. Se
la procedura è tesa a determinare dei montanti dovuti a titolo
d’imposta, senza escludere categoricamente la pronuncia di
una sanzione, l’articolo 6 CEDU è comunque applicabile anche se, in fin dei conti, le autorità rinunciano ad infliggere una
13
14
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
sanzione[7]. La Convenzione deve essere infatti interpretata
in modo tale da garantire il carattere concreto dei diritti che
protegge[8].
In particolare la Corte europea non esclude a priori l’applicabilità dell’articolo 6 CEDU allorquando più procedure sono
condotte parallelamente, così che i rimproveri mossi al contribuente lo spingano inevitabilmente a determinarsi su degli
atti o dei frammenti di procedura ai quali l’articolo 6 CEDU non
sarebbe applicabile, ma che se combinati in una stessa procedura diventa impossibile distinguere le fasi penali dalle altre[9].
L’applicabilità dell’articolo 6 CEDU può quindi essere ammessa
quando un insieme di procedure sono sufficientemente legate
tra di loro, sia per quanto attiene i fatti, sia per il modo con cui
le procedure sono state istruite dall’autorità fiscale.
Ritornando al caso concreto, la Corte europea ha identificato
il nesso di causalità tra la procedura amministrativa e quella
penale, nell’obbligo di assistenza tra autorità fiscali (articoli 111 e 195 capoverso 1 LIFD); la procedura penale istruita
dalla DAPI ha fornito assistenza, ergo informazioni e documenti, alla procedura amministrativa condotta dalle autorità
cantonali. In particolare, l’inchiesta della DAPI non aveva raccolto informazioni attinenti ai soli periodi fiscali per i quali fu
aperta una procedura di sottrazione (1995-1996 e seguenti),
ma la cernita dei documenti mirava anche a documenti risalenti al periodo 1989-1990. Sulla base di questi elementi, la
Corte europea è giunta alla conclusione che l’inchiesta istruita
dalla DAPI non era altro che il prolungamento della procedura
condotta dinnanzi al Tribunale amministrativo vodese, tant’è
che le due procedure erano talmente legate che il carattere
manifestamente penale dell’inchiesta si era esteso alla procedura amministrativa, soggiogandola[10].
Ne discende che le multe di 2’000 e 3’000 franchi pronunciate
dall’autorità cantonale vodese all’indirizzo di Yves Chambaz e
confermate dalle istanze giudiziarie svizzere, violerebbero le
garanzie processuali di cui all’articolo 6 CEDU.
3.3.1.
La violazione del diritto di non contribuire alla propria
incriminazione
Dinnanzi alla Corte europea, Yves Chambaz ha lamentato
anche la violazione del diritto di non contribuire alla propria
incriminazione allorquando, in sede di reclamo, l’autorità fiscale chiese al contribuente di produrre documenti bancari
che avrebbero potuto spalancare le porte ad una procedura
di sottrazione.
La Corte europea ha dapprima constatato che il diritto di non
contribuire alla propria incriminazione, presuppone che le autorità cerchino di fondare le loro argomentazioni senza ricorrere ad elementi di prova ottenuti mediante pressioni o contro
la volontà dell’accusato. Infliggendo due multe, l’autorità fiscale ha esercitato pressioni sul contribuente mettendolo nella
posizione di non poter escludere che tutte le informazioni che
avesse trasmesso, non l’avrebbero esposto ad una procedura
penale per sottrazione d’imposta[11].
Confermando le multe e, di riflesso, l’obbligo di fornire i documenti bancari richiesti, è stato violato il diritto di non rispondere e di non contribuire alla propria incriminazione (articolo
6 capoverso 1 CEDU).
3.3.2.
La violazione del principio della parità delle armi
Yves Chambaz lamenta inoltre di non aver avuto pieno accesso ai dossier d’inchiesta poiché, nonostante esplicite richieste,
sia il Tribunale amministrativo vodese che il Tribunale federale
hanno confermato che l’attitudine particolarmente ostruzionistica adottata in corso d’istruttoria, nella quale ha omesso
di “fornire le più elementari spiegazioni che potrebbero far dubitare
quanto alla versione dei fatti adottata nella decisione attaccata”, sia
da censurare.
La Corte europea osserva che non essendoci interessi vitali
nazionali o diritti fondamentali di altre persone da proteggere,
l’atteggiamento adottato dalle autorità svizzere ha violato il
principio della parità alle armi, come garantito dall’articolo 6
capoverso 1 CEDU.
4.
Commento
La sentenza in esame contrappone due interessi fondamentali. Da un lato, il diritto dello Stato ad imporre il contribuente
in funzione della propria capacità economica, dall’altro i diritti
fondamentali dell’individuo ad un processo equo, così come
definiti all’articolo 6 CEDU.
Ovviamente si tratta di situazioni difficili da conciliare, soprattutto in ambito fiscale dove la procedura di tassazione impone che Stato e contribuente collaborino fattivamente affinché quest’ultimo sia tassato in funzione della propria capacità
economica (cosiddetta “procedura mista”). Ma cosa succede
se il contribuente omette di dichiarare fattori di reddito e non
collabora all’accertamento? È possibile che la CEDU difenda gli
evasori fiscali anche durante le normali procedure di tassazione?
Nel caso in esame, l’oggetto della richiesta alla Corte europea non furono le procedure di sottrazione d’imposta, bensì le
due multe per violazione degli obblighi procedurali con le quali
Yves Chambaz veniva punito per non aver dato seguito alle
richieste dell’autorità fiscale di presentare della documentazione bancaria. Le multe si riferivano al periodo fiscale 19891990, periodo per il quale non fu mai aperta una procedura di
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
sottrazione d’imposta, ma che fu oggetto d’inchiesta, come lo
dimostrano i mandati di perquisizione grazie ai quali la DAPI
ha sequestrato documentazione rilevante.
La violazione dell’articolo 6 CEDU affiora in particolare quando l’inchiesta penale istruita dalla DAPI si è estesa su periodi
fiscali per i quali non fu aperta una procedura di sottrazione,
ma parallelamente si chiedeva al contribuente, proprio in virtù
dell’assenza di una procedura penale di tentativo di sottrazione d’imposta, di produrre della documentazione bancaria sotto comminatoria di pena. In questo caso, i giudici della Corte
europea hanno ritenuto applicabili le garanzie dell’articolo 6
CEDU, poiché in seguito al sovrapporsi delle multe per violazione degli obblighi procedurali con la procedura d’inchiesta della DAPI, non si poteva categoricamente escludere che
una multa per sottrazione d’imposta non venisse pronunciata[12]. Infatti, in virtù degli obblighi di collaborazione e mutua
assistenza tra autorità fiscali (articoli 111 e 195 capoverso 1
LIFD), sussisteva il rischio che le informazioni rilevanti che la
DAPI avesse raccolto durante l’inchiesta, avrebbero permesso all’autorità fiscale cantonale di aprire un procedimento per
tentativo di sottrazione d’imposta. Non si poteva nemmeno escludere il contrario, ossia che le informazioni richieste
dall’autorità cantonale a Yves Chambaz non contribuissero ad
aggravare la sua posizione nei periodi fiscali successivi, oggetto tra l’altro d’inchiesta e procedura penale per sottrazione e/o
tentativo di sottrazione d’imposta.
notificare senza indugio al contribuente l’avvio di un procedimento penale per tentativo di sottrazione, informandolo dei
suoi diritti[14]; una notificazione tardiva, voluta per carpire
informazioni facendo leva sull’obbligo di collaborazione, violerebbe il principio della buona fede.
La sentenza pone in risalto un altro annoso problema legato
alle procedure di sottrazione e tentativo di sottrazione d’imposta. Sebbene il legislatore abbia recentemente stabilito che
i mezzi di prova raccolti durante una procedura di ricupero
d’imposta (o di tassazione) possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta (o
tentativo di sottrazione) soltanto se non sono stati ottenuti
sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione
dell’onere della prova, né sotto comminatoria di una multa per
violazione degli obblighi procedurali (articolo 183 capoverso
1bis LIFD), non è facile per il contribuente distinguere le fasi amministrative e penali della procedura ed appellarsi alle garanzie
di cui all’articolo 6 CEDU, soprattutto quando le due procedure
sono condotte parallelamente.
Dalla sentenza traspare che l’impossibilità di distinguere le fasi
procedurali e quindi il rischio di una possibile violazione dell’articolo 6 CEDU, prevale sul principio dell’imposizione secondo
la capacità economica, corollario del principio della parità di
trattamento, qualora le procedure penali, da un lato, e fiscali,
dall’altro, sono condotte parallelamente e legate in modo tale
da rendere impossibile un’identificazione chiara ed univoca
dell’una o dell’altra[15].
Allo scopo di scongiurare ogni e qualsiasi violazione dell’articolo 6 CEDU, l’autorità fiscale dovrebbe, qualora avesse il dubbio di trovarsi confrontata con un reato fiscale, comunicare
subito l’apertura di una procedura di sottrazione o tentativo di
sottrazione ed informare il contribuente del suo diritto di non
rispondere e di non collaborare al procedimento (articolo 183
capoverso 1 LIFD).
La conseguenza di questa stretta interconnessione tra la procedura penale e la procedura amministrativa e l’eventualità
che le informazioni così fornite contribuissero ad aggravare
la situazione del contribuente, ha spinto i Giudici della Corte
europea a ritenere che, nel caso concreto, le autorità cantonali
si erano basate su di un’inchiesta penale per definire il debito
d’imposta di Yves Chambaz, tant’è che il carattere manifestamente penale dell’inchiesta della DAPI, si è esteso alla procedura ordinaria di tassazione[13].
Se, per ipotesi, l’inchiesta della DAPI non fosse stata avviata,
non ci sarebbe stata una violazione dell’articolo 6 CEDU se il
rifiuto di collaborazione, una volta sanzionato mediante una
multa d’ordine e una tassazione d’ufficio, non fosse sfociato
in una multa per tentativo di sottrazione d’imposta basata su
elementi carpiti con la “forza”. D’altronde, se l’autorità fiscale, durante la procedura di tassazione, venisse a conoscenza
dell’esistenza di fattori imponibili non dichiarati, dovrebbe
La procedura amministrativa di tassazione o ricupero d’imposta dovrebbe quindi venir sospesa, in attesa che si definiscano
i contorni della procedura penale, nella quale il contribuente
può avvalersi di tutti i suoi diritti, obbligando l’autorità fiscale
a fondare le proprie accuse senza far leva sull’obbligo di collaborazione del contribuente.
Una volta che l’autorità fiscale ha terminato l’istruttoria ed ha
emesso la propria decisione (articolo 182 LIFD), che può essere
di colpevolezza o di non luogo a procedere, l’aspetto penale
del procedimento dovrebbe considerarsi cristallizzato, sebbene risulterebbe ancora necessario attendere la crescita in
giudicato della decisione penale che, se impugnata, potrebbe
provocare una notevole dilatazione dei tempi.
A questo punto, una volta definito l’aspetto penale, l’autorità fiscale potrebbe tornare sulla procedura amministrativa ed
obbligare il contribuente a collaborare, anche raccogliendo
elementi di prova sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova, oppure di una multa
per violazione degli obblighi procedurali.
15
16
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
In questo caso, sia che il contribuente collaborasse, fornendo
gli elementi richiesti, sia che rifiutasse ancora la sua collaborazione, non potrà più essere oggetto di una procedura penale
di sottrazione o tentativo di sottrazione d’imposta, ma dovrà
sopportare le conseguenze del suo agire solo nella procedura
amministrativa. Infatti, secondo il principio ne bis in idem, nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla
giurisdizione di uno Stato per un’infrazione per cui è già stato
scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva
conforme alla legge.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.generazionezeroitalia.org/wp-content/uploads/esteri.jpg
[22.03.2013]
ht tp://m e di a5. n ew s . ch/n ew s/6 8 0/255 615-DA027.02611_4 0. jp g
[22.03.2013]
ht tp://m e dia9. news .ch/news/6 8 0/272919 -KE2010 0320_0 02 .jpg
[22.03.2013]
Questo modus operandi di affrontare le procedure penali fiscali,
sostenuto anche dalla dottrina di riferimento[16], risponderebbe alle critiche mosse dalla Corte europea. L’unico aspetto
negativo riguarda il rischio di prescrizione del debito d’imposta, poiché se i tempi della procedura penale si dilatassero oltremodo, il contribuente potrebbe speculare su questo fattore per sottrarsi ai propri impegni verso la collettività. Sarebbe
comunque sufficiente una lieve modifica per introdurre nella
legge una sospensione dei termini di prescrizione (articolo 120
LIFD) in caso di apertura di una procedura di sottrazione o di
tentativo di sottrazione d’imposta.
La recente decisione del Consiglio federale di rivedere il diritto
penale fiscale svizzero deve essere finalmente l’occasione per
mettere un po’ di ordine nel ginepraio delle procedure penali
fiscali, in modo da garantire un’effettiva e percepibile tutela del
contribuente.
[1] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n.
11663/04, del 5 aprile 2012, disponibile al seguente link: http://hudoc.echr.coe.int/sites/fra/pages/
s e a r c h . a s p x ? i = 0 0 1-1 1 0 2 4 0 # { " i t e m i d " :
["001-110240"]} [22.03.2013].
[2] Decisione TF n. 2P.278/2002 e 2A.572/2002,
del 2 ottobre 2003, consid. 4.
[3] Sentenze A.P., M.P. e T.P. contro Svizzera, n.
19958/92 e n. 20919/92, del 29 agosto 1997 e
sentenza J.B. contro Svizzera, n. 31827/96, del 3
maggio 2001.
[4] Decisione TF n. 2A.67/2004, del 17 febbraio
2005, consid. 4.2.
[5] Decisione TF n. 2P.278/2002 e 2A.572/2002,
del 2 ottobre 2003, consid. 4.1.
[6] Sentenza J.B. contro Svizzera, n. 31827/96.
[7] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n.
11663/04, del 5 aprile 2012, § 40 e riferimenti citati.
[8] Ibidem, § 41 e riferimenti citati.
[9] Ibidem, § 42 e riferimenti citati.
[10] Ibidem, § 45-49.
[11] Ibidem, § 53-55.
[12] Ibidem, § 40 e riferimenti citati.
[13] Ibidem, § 48.
[14] RtiD I-2012 n. 13t.
[15] Sentenza Chambaz contro Svizzera, n.
11663/04, del 5 aprile 2012, § 42 e 43.
[16] Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/
Meuter Hans Ulrich, Handkommentar zum DBG,
Zurigo 2009, N 16 ad art. 183 LIFD.
Rassegna di giurisprudenza di diritto
tributario svizzero
Procedimenti tributari e garanzie processuali
dell’articolo 6 CEDU
Rocco Filippini
Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Vicecancelliere della Camera di diritto tributario
del Tribunale d’appello del Cantone Ticino
Sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, del 28 marzo 2011, n. 80.2009.179, in:
RtiD II-2011, n. 14t, e in: www.sentenze.ti.ch [22.03.2013]
Sentenza del Tribunale federale, del 6 dicembre 2011, n.
2C_395/2011
Articoli 6 CEDU, 151 capoverso 1 LIFD, 175 capoverso 1 LIFD,
236 capoverso 1 LT, 258 capoverso 1 LT – Sottrazione e recupero
d’imposta: garanzie processuali, applicazione articolo 6 CEDU,
in dubio pro reo, stima degli elementi sottratti, diritto di tacere,
valutazione anticipata delle prove
1.
Considerazioni introduttive
Il diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, non trova – ad oggi – applicazione nei procedimenti di carattere tributario.
In una sentenza del 12 luglio 2001, chiamata a confrontarsi
con il quesito della sua applicabilità ai procedimenti tributari
italiani, la Corte europea dei diritti dell’uomo l’ha espressamente negata, ascrivendo la materia fiscale al “nocciolo duro
delle prerogative della potestà pubblica”[1]. In Svizzera, lo stesso
ha fatto il Tribunale federale, argomentando ancora recentemente che nel caso della determinazione dei crediti d’imposta
non si tratta di diritti e doveri di carattere civile, bensì di obblighi di diritto pubblico[2].
Le procedure di contravvenzione per sottrazione d’imposta, per contro, ricadono già oggi nel campo di applicazione
dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU. La Corte europea dei diritti
dell’uomo ed il Tribunale federale definiscono infatti la multa per sottrazione d’imposta come un’autentica pena, con la
conseguenza che tali procedimenti – seppure svolti dinanzi ad
un’autorità amministrativa – sottostanno ai principi del diritto
materiale e del diritto processuale penale.
La giurisprudenza della Corte europea è tuttavia in continua evoluzione in tema di procedimenti tributari e garanzie
processuali, come dimostra la recente sentenza Chambaz c.
Svizzera del 5 aprile 2012. Pur riaffermando l’esclusione – per
quel che concerne la determinazione dei diritti e dei doveri di
carattere civile – dell’applicazione dell’articolo 6 capoverso 1
CEDU alla materia tributaria, i giudici di Strasburgo sembrano
concludere che un procedimento amministrativo, come quello di fronte all’autorità fiscale, debba in ogni caso rispettare
i principi generali posti a tutela dell’accusato, qualora questo
procedimento sia legato alla possibilità per la persona interessata di essere esposta ad un’indagine penale.
Ma andiamo con ordine.
2.
La sentenza J. B. c. Svizzera del 3 maggio 2001
In questa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
ribadito e chiarito che il tentativo delle autorità svizzere di costringere un contribuente a dare informazioni nell’ambito di
un procedimento per sottrazione d’imposta costituisce una
violazione della CEDU. La Corte ha dapprima sottolineato che
il diritto di tacere e di non contribuire alla propria incriminazione costituiscono norme internazionali generalmente riconosciute, al centro della nozione di processo equo garantita
dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, aggiungendo poi che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione presuppone che le autorità cerchino di fondare la loro argomentazione
senza ricorrere a mezzi di prova ottenuti con la costrizione o
con pressioni. Ponendo l’accusato al riparo da una coercizione
abusiva da parte dell’autorità, la garanzia in questione si prefigge sostanzialmente di evitare errori giudiziari e tutelare così
il risultato voluto dall’articolo 6 CED[3].
3.
La nuova procedura di contravvenzione per sottrazione
d’imposta
In seguito a tale sentenza, il 1. gennaio 2008 è entrata in vigore la Legge federale sulla modifica della procedura di ricupero
d’imposta e del procedimento penale per sottrazione d’imposta in materia di imposizione diretta del 20 dicembre 2006. In
primo luogo, all’avvio del procedimento penale, l’accusato deve
essere informato del suo diritto di non rispondere e di non collaborare al procedimento (nuovi articoli 183 capoverso 1 LIFD e
57a capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle
imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni [di seguito LAID]).
17
18
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Inoltre, i mezzi di prova raccolti per una procedura di ricupero
d’imposta possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta soltanto se non sono
stati ottenuti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio
con inversione dell’onere della prova, né sotto comminatoria
di una multa per violazione degli obblighi procedurali (nuovi
articoli 183 capoverso 1bis LIFD e 57a capoverso 2 LAID).
Il legislatore federale ha così stabilito che, per conformarsi alle
esigenze che discendono dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU, i
mezzi di prova raccolti nell’ambito di una procedura di ricupero d’imposta possono essere riutilizzati nell’ambito di un procedimento per sottrazione d’imposta soltanto se tali mezzi di
prova non sono stati raccolti sotto comminatoria di una tassazione d’ufficio con inversione dell’onere della prova né tanto
meno di una multa per violazione degli obblighi procedurali.
4.
La giurisprudenza della Camera di diritto tributario
del Tribunale d’appello
In una recente sentenza del 28 marzo 2011, confermata dal
Tribunale federale il 6 dicembre 2011, la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello (di seguito CDT) ha avuto modo
di ribadire tali concetti: le garanzie processuali dell’articolo 6
capoverso 1 CEDU si applicano nell’ambito di un procedimento
contravvenzionale per sottrazione d’imposta; non si applicano
invece nella procedura straordinaria di ricupero d’imposta, a
meno che la stessa non si svolga parallelamente al procedimento contravvenzionale[4].
4.1.
La procedura straordinaria del ricupero d’imposta
L’autorità fiscale può ritornare su una propria decisione passata in giudicato se sono adempiuti i presupposti per il ricupero d’imposta, cioè se esistono fatti o prove sconosciute al
momento della tassazione, che permettono di stabilire che a
torto una tassazione non è stata eseguita, o che la tassazione
definitiva era incompleta (articoli 236 capoverso 1 della Legge
tributaria del Cantone Ticino [di seguito LT] e 151 capoverso
1 LIFD). Questa norma consente di rivedere una tassazione
definitiva indipendentemente dall’esistenza di una sottrazione
di imposta, vale a dire indipendentemente da una colpa (intenzione o negligenza nell’indurre in errore l’autorità fiscale)
del contribuente.
Trattandosi di un procedimento di carattere puramente fiscale, il ricupero d’imposta non ricade – in quanto tale – nel campo di applicazione dell’articolo 6 capoverso 1 CEDU. Come già
sottolineato dal Tribunale federale, tale procedura costituisce
la riscossione a posteriori di imposte che a torto non si sono
potute percepire nel quadro della procedura ordinaria di tassazione. Avendo la stessa natura del credito d’imposta primitivo, essa non ha in particolare carattere penale[5].
4.2.
La procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta
La sottrazione d’imposta è regolata dagli articoli 258 capoverso 1 LT e 175 capoverso 1 LIFD. Il contribuente che, intenzionalmente o per negligenza, fa in modo che una tassazione sia indebitamente omessa o che una tassazione cresciuta
in giudicato sia incompleta, è punito con la multa. La multa
equivale di regola all’importo dell’imposta sottratta. In caso di
colpa lieve, può essere ridotta fino a un terzo e, in caso di colpa
grave, aumentata fino al triplo dell’imposta sottratta (articoli
258 capoverso 2 LT e 175 capoverso 2 LIFD). Se il contribuente
denuncia spontaneamente la sottrazione prima che essa sia
nota all’autorità fiscale, è esentato dalla multa, se è la sua prima autodenuncia, in ogni caso la multa è ridotta a un quinto
dell’imposta sottratta (articolo 258 capoverso 3 LT e articolo
175 capoverso 3 LIFD).
In virtù del suo carattere “penale”, le garanzie del giusto processo trovano applicazione nella procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta. Nella menzionata sentenza del
3 maggio 2001, la Corte europea ha in particolare ricordato
che il contribuente ha il diritto di tacere e di non contribuire
alla propria incriminazione, sottolineando che tali diritti costituiscono norme internazionali generalmente riconosciute, al
centro della nozione di processo equo garantito dall’articolo 6
capoverso 1 CEDU.
4.3.
Cosa succede in caso di sovrapposizione delle due procedure?
Nel caso sottoposto al giudizio della CDT, l’insorgente sosteneva, fra le altre cose, che la procedura che aveva condotto
alla decisione impugnata fosse una “procedura istruttoria di carattere penale”, nel cui ambito dovevano trovare applicazione i
diritti garantiti dall’articolo 6 capoverso 1 CEDU. Le procedure
di ricupero d’imposta e di contravvenzione erano infatti state
congiunte fin dall’inizio e le decisioni dell’autorità fiscale, in cui
esse erano per finire sfociate, concernevano sia l’aspetto puramente fiscale sia quello penale.
La sentenza della CDT ha il merito di chiarire, una volta per
tutte, che la tutela dell’articolo 6 CEDU deve essere pienamente garantita anche in questi casi, poiché altrimenti basterebbe
affiancare al procedimento penale quello finalizzato al ricupero dell’imposta sottratta per far venir meno la protezione
prevista dalla CEDU. Pur trattandosi di un procedimento di carattere puramente fiscale, ai contribuenti deve pertanto essere
garantito il principio “nemo tenetur se ipsum accusare” e “in dubio
pro reo” anche nell’ambito della procedura straordinaria del ricupero d’imposta, che normalmente anticipa oppure affianca
la procedura di contravvenzione per sottrazione d’imposta.
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
4.4.
Il principio “nemo tenetur se ipsum accusare”
Il diritto di non contribuire alla propria incriminazione (principio
“nemo tenetur se ipsum accusare”) impone alle autorità di cercare
di fondare le loro argomentazioni senza ricorrere a elementi di prova ottenuti mediante costrizione o pressioni, contro
la volontà dell’accusato. Pertanto, l’articolo 6 CEDU tutela il
contribuente contro l’utilizzazione nella procedura penale di
informazioni ottenute nel quadro della procedura ordinaria di
tassazione e di ricupero d’imposta, nella quale egli ha l’obbligo
di collaborare alla definizione dei suoi elementi imponibili[6].
Per evitare che l’autorità possa eludere le garanzie previste da
quest’ultimo articolo, avviando dapprima un procedimento di
ricupero, nel quale può esigere la collaborazione del contribuente, per poi impiegare i mezzi di prova così raccolti ai fini di
una successiva punizione del contribuente per contravvenzione d’imposta, la nuova legge stabilisce, come visto, che:
◆ se non viene aperto un procedimento penale per sottrazione d’imposta quando si apre il procedimento di ricupero,
il contribuente deve essere informato che la procedura penale può essere avviata in seguito (articoli 238 capoverso
1bis LT e 153 capoverso 1bis LIFD);
◆ i mezzi di prova raccolti per una procedura di ricupero d’imposta possono essere impiegati nell’ambito di un procedimento penale per sottrazione d’imposta soltanto se non
sono stati ottenuti sotto comminatoria di una tassazione
d’ufficio con inversione dell’onere della prova né sotto comminatoria di una multa per violazione degli obblighi procedurali (articoli 266 capoverso 2bis LT e 183 capoverso 1bis LIFD).
Una domanda sorge allora spontanea: se ai contribuenti deve
essere garantito il principio “nemo tenetur se ipsum accusare” e “in
dubio pro reo” anche nell’ambito della procedura straordinaria
del ricupero d’imposta, come stabilire i fattori di reddito e di
sostanza sottratti all’imposizione? L’autorità inquirente deve
fondarsi su una stima prodotta dallo stesso contribuente?
No. Nonostante l’applicazione dell’articolo 6 CEDU, solo i
mezzi di prova rilevanti vanno ammessi e, soprattutto, il diritto
di tacere dei contribuenti non ha portata assoluta: se le prove
a carico impongono una spiegazione che l’accusato dovrebbe
essere in grado di fornire, l’assenza di chiarimenti può permettere di concludere per una sua colpa.
5.
La sentenza Chambaz c. Svizzera del 5 aprile 2012
La sentenza del 5 aprile 2012 appare a prima vista rivoluzionaria. Fino ad allora, la giurisprudenza aveva considerato le
garanzie processuali dell’articolo 6 CEDU unicamente quale
difesa contro l’utilizzo di informazioni ottenute nel quadro di
una procedura di tassazione (ordinaria o straordinaria), dove
vige l’obbligo di collaborare, per trarne profitto nella procedura
penale. Con quest’ultima sentenza, la Corte europea si è invece spinta oltre, giudicando contraria alla CEDU anche la semplice pronuncia di multe disciplinari a carico di un contribuente
che si sottrae dal produrre i documenti richiesti dall’autorità di
tassazione, se questi ultimi potrebbero costituire la prova di
una sottrazione d’imposta e portare conseguentemente alla
sua condanna penale.
5.1.
Le conclusioni della Corte europea
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte europea, come detto, il ricorrente sosteneva che la minaccia – poi realizzatasi –
di infliggergli una multa disciplinare per mancato adempimento all’obbligo di fornire informazioni suscettibili di accusarlo
nell’ambito di una successiva procedura penale fosse contraria
all’articolo 6 capoverso 1 CEDU.
4.5.
Il principio “in dubio pro reo”
Il principio “in dubio pro reo”, ricavato dalla presunzione d’innocenza, è una regola concernente anzitutto l’onere della prova,
che impone all’autorità d’accusa di comprovare la colpevolezza dell’accusato, al quale per contro non può essere imposto
di dimostrare il contrario. Quale regola concernente la valutazione delle prove, essa implica inoltre che l’autorità penale non
possa dichiararsi convinta di una ricostruzione dei fatti sfavorevole all’imputato quando, secondo una valutazione oggettiva del materiale probatorio, sussistono ancora dubbi.
4.6.
Quali considerazioni trarre dall’attuale prassi in tema
di procedure di ricupero e sottrazione d’imposta?
Come sottolineato dalla CDT, la tutela delle garanzie previste
dall’articolo 6 CEDU per le “accuse penali” condiziona inevitabilmente anche le procedure di ricupero d’imposta che si sovrappongono alle procedure contravvenzionali.
Nella propria decisione, la Corte sottolinea dapprima che un
insieme di procedure va esaminato nel suo complesso, perlomeno quando esiste un sufficiente legame fra le diverse
procedure, in ragione dei fatti trattati oppure del modo in cui
sono istruite dalle autorità nazionali. Con particolare riguardo
alla legislazione federale, pone quindi l’accento sull’esistenza
di un obbligo di assistenza tra autorità fiscali (articolo 111
LIFD), concludendo per l’esistenza di un rapporto di dipendenza reciproca fra la procedura di tassazione e quella penale.
Osserva poi che i documenti bancari per la cui mancata produzione il contribuente si era visto infliggere una multa disciplinare erano gli stessi menzionati nel procedimento penale
per sottrazione d’imposta aperto nei suoi confronti quattro
anni più tardi, aggiungendo infine che le nuove tassazioni delle autorità cantonali si fondavano sostanzialmente sulle relazioni intrattenute con due società panamensi, a proposito
delle quali il contribuente era pure stato interrogato nel corso
dell’inchiesta penale.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte europea conclude per l’esistenza di uno stretto legame tra le due procedure,
19
20
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
giudicando la procedura penale successivamente aperta nei
confronti del contribuente quale prolungamento di quella amministrativa.
In tutti questi casi, a ben vedere, il comportamento del contribuente è potenzialmente suscettibile di provocare l’apertura di
una successiva procedura contravvenzionale per sottrazione
d’imposta. Se così fosse, basterebbe quindi ritardare l’inoltro
della dichiarazione fiscale per ottenere l’estensione delle garanzie processuali poste dall’articolo 6 CEDU.
Una simile conclusione appare già a prima vista inaccettabile.
Come sostenuto dal giudice Power-Forde nella seconda dissenting opinion, il grosso limite della sentenza è quello di non
approfondire ulteriormente quali sono le prove potenzialmente coperte da queste garanzie.
5.2.
Quali conseguenze trarre?
Il tema centrale della decisione della Corte europea si fonda,
come visto, sull’effettiva dimostrazione del legame esistente
tra la procedura di tassazione in cui sono state inflitte le multe disciplinari ed il successivo procedimento per sottrazione
d’imposta aperto nei confronti del contribuente.
Questo cosa significa concretamente? L’estensione del privilegio di non contribuire alla propria incriminazione alla procedura di tassazione (ordinaria o straordinaria) nasce ogniqualvolta viene prospettata al contribuente una sanzione – nella
forma di una multa disciplinare o addirittura in quella di una
tassazione d’ufficio con inversione dell’onere probatorio – per
l’ipotesi in cui non dia seguito alla richiesta di collaborazione?
La semplice multa disciplinare per mancato inoltro della dichiarazione fiscale (articoli 257 LT e 174 LIFD) – o addirittura
la semplice intimazione di una diffida (articoli 198 capoverso 3
LT e 124 capoverso 3 LIFD) – può comportare da sola l’estensione delle garanzie processuali previste dall’articolo 6 CEDU
alla procedura di tassazione?
[1] Pedroli Andrea, La garanzia dei diritti umani nei
procedimenti tributari, in: Diritto senza devianza,
Studi in onore di Marco Borghi per il suo 60° compleanno, RtiD 2006, pagina 589.
[2] ASA 68 pagina 669, consid. 1.
[3] Sentenza n. 31827/96 del 3 maggio 2001 del-
Se l’estensione del privilegio di non auto incriminarsi al procedimento di tassazione può valere di fronte alla richiesta di
produrre gli stessi documenti bancari che nell’ambito di un
successivo procedimento contravvenzionale costituiscono la
prova di una sottrazione d’imposta consumata, è infatti più
difficile immaginare che la semplice diffida/multa a presentare la dichiarazione fiscale oppure una generica richiesta
di informazioni – seppure sotto minaccia di una tassazione
d’ufficio con inversione dell’onere della prova – possa estendere al procedimento amministrativo le garanzie processuali
dell’articolo 6 CEDU, anche se nei confronti del contribuente è
successivamente aperta una procedura contravvenzionale per
sottrazione d’imposta.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.stefanogiantin.net/wp-content/uploads/2011/11/echrphoto-580x382.jpg [22.03.2013]
http://www.fbls.net/cedhtv5.jpg [22.03.2013]
http://wissen.dradio.de/media/thumbs/9/9fba0456bfe1306a4fa92d67
3300fdd6v1_max_440x330_b3535db83dc50e27c1bb1392364c95a2.jpg
[22.03.2013]
la Corte europea dei diritti dell’uomo; cfr. Pedroli
Andrea, Novità e tendenze legislative nel campo
del diritto tributario, in: RtiD II-2008, pagina 543.
[4] Decisione CDT n. 80.2009.179 del 28 marzo 2011, in: RtiD II-2011, n. 14t; decisione TF n.
2C_395/2011 del 6 dicembre 2011.
[5] DTF 121 II 257 consid. 4b.
[6] Decisione TF n. 2A.67/2004 del 17 febbraio
2005, consid. 4.2.
Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE
Il cumulo delle sanzioni amministrative
e penali per lo stesso reato fiscale viola
il principio ne bis in idem?
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze tributarie
della SUPSI
Sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione), procedimento C-617/10, del 26 febbraio 2013, in:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:
62010CJ0617:IT:HTML [22.03.2013]
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Ambito di
applicazione – Articolo 51 – Attuazione del diritto dell’Unione – Repressione di comportamenti lesivi di una risorsa propria
dell’Unione – Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Sistema
nazionale che comporta due procedimenti distinti, amministrativo e penale, per sanzionare la medesima infrazione – Compatibilità
1.
Riassunto
Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che
uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di
obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto,
una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale.
Il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre
nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione
ed una norma di diritto nazionale.
Il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina
l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare
pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte di
giustizia dell’Unione europea, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesim[1].
2.
L’oggetto della controversia fiscale
Il signor Åkerberg Fransson è stato chiamato a comparire il 9
giugno 2009 dinanzi allo Haparanda tingsrätt (il tribunale di
primo grado di Haparanda in Svezia), in particolare per rispondere dell’imputazione di frode fiscale aggravata. Egli era accusato di aver fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni
fiscali per gli esercizi 2004 e 2005, con conseguente rischio
per l’erario di perdere entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA), pari a SEK (la Corona svedese) 319’143 per l’esercizio
2004, di cui SEK 60’000 a titolo dell’IVA, e a SEK 307’633 per
l’esercizio 2005, di cui SEK 87’550 al medesimo titolo. Il signor
Åkerberg Fransson era altresì imputato per aver omesso di
presentare alcune dichiarazioni relative ai contributi sociali dei
datori di lavoro per i periodi di riferimento dei mesi di ottobre
2004 e di ottobre 2005, con conseguente pericolo per gli enti
previdenziali di perdere introiti pari a SEK 35’690 e SEK 35’862
rispettivamente. Secondo l’atto di citazione, gli illeciti erano da
considerare aggravati, da un lato, per la rilevanza degli importi
di cui trattasi e, dall’altro, per il fatto di essere stati compiuti
nell’ambito di un’attività criminale abituale su vasta scala.
Con decisione del 24 maggio 2007, la Skatteverket (l’autorità fiscale svedese) ha inflitto al signor Åkerberg Fransson, per
l’esercizio fiscale 2004, una sovrattassa di SEK 35’542 a titolo
dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di SEK 4’872
a titolo dell’IVA e di SEK 7’138 a titolo dei contributi sociali dei
datori di lavoro. Con la stessa decisione gli ha parimenti inflitto, per l’esercizio fiscale 2005, una sovrattassa di SEK 54’240
a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di
SEK 3’255 a titolo dell’IVA e di SEK 7’172 a titolo dei contributi
sociali dei datori di lavoro. Le sovrattasse erano maggiorate
di interessi. Esse non sono state oggetto di ricorso dinanzi al
giudice amministrativo, essendo il termine a tal fine scaduto il
31 dicembre 2010, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2004,
e il 31 dicembre 2011, per quanto riguarda l’esercizio fiscale
2005. La decisione di imposizione delle sovrattasse si fonda
sulla stessa comunicazione di dati inesatti che è alla base della
descrizione del reato formulata dal Pubblico Ministero nel procedimento penale principale.
21
22
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
3.
Il procedimento penale svedese viola il divieto
del principio ne bis in idem?
Dinanzi al giudice a quo sorge la questione a sapere se il procedimento penale nei confronti del signor Åkerberg Fransson
debba essere considerato inammissibile in quanto egli è già
stato condannato per lo stesso reato nell’ambito di un altro
procedimento, circostanza che violerebbe il divieto del ne bis in
idem sancito all’articolo 4 del protocollo n. 7 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (di seguito protocollo n. 7 della CEDU) e all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
(di seguito Carta).
4) Nel quadro del principio del ne bis in idem, poiché in alcune
circostanze è ammesso infliggere ulteriori sanzioni in un
nuovo procedimento per uno stesso fatto, che sia già stato
oggetto di esame e che abbia comportato sanzioni a carico
della persona, se, in caso di risposta affermativa alla seconda questione, le condizioni previste da siffatto principio per
l’applicazione di più sanzioni in procedimenti distinti siano
soddisfatte qualora nel secondo procedimento sia svolto
un esame dei fatti nuovo e autonomo rispetto a quello avvenuto nel primo procedimento.
4.
Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte
nel quadro del principio del ne bis in idem
Alla luce di ciò, lo Haparanda tingsrätt ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
5.
Le diverse questioni sottoposte alla Corte sono davvero
di sua competenza?
I governi svedese, ceco e danese, l’Irlanda ed il governo olandese, nonché la Commissione europea, contestano la ricevibilità delle questioni pregiudiziali. La Corte sarebbe competente a rispondere solo qualora le sovrattasse inflitte al signor
Åkerberg Fransson, nonché i procedimenti penali nei suoi confronti, che costituiscono oggetto del procedimento principale,
risultassero da un’attuazione del diritto dell’Unione. Orbene,
ciò non si verificherebbe né nel caso del testo nazionale sulla
cui base sono state inflitte le sovrattasse né di quello su cui si
fondano i procedimenti penali. Conformemente all’articolo 51,
paragrafo 1, della Carta, tali sovrattasse e procedimenti non
sarebbero quindi ricompresi nell’ambito di applicazione del
principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta.
1) Considerato che, conformemente alla legislazione svedese,
il giudice nazionale deve rinvenire un chiaro fondamento
nella CEDU oppure nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per poter disapplicare disposizioni
nazionali che potrebbero essere in contrasto con il principio del ne bis in idem di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7
della CEDU e, quindi, in contrasto anche con l’articolo 50
della Carta, se siffatta condizione contenuta nella legislazione nazionale per la disapplicazione delle disposizioni
nazionali sia compatibile con il diritto dell’Unione e, in particolare, con i suoi principi generali, fra tutti, i principi del
primato e dell’efficacia diretta.
2) Se sia ammessa l’imputazione per reati fiscali, nell’ambito
di applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e all’articolo 50 della
Carta, qualora all’imputato sia già stata inflitta una pena
pecuniaria (sovrattassa) nell’ambito di un precedente procedimento amministrativo, a seguito di una stessa comunicazione di dati inesatti.
3) Se sia rilevante ai fini della soluzione della seconda questione la circostanza che dette sanzioni debbano essere
coordinate in modo che un giudice ordinario possa ridurre la sanzione nel procedimento penale tenendo conto che
all’imputato sono già state applicate sovrattasse a seguito
del medesimo atto di comunicazione di dati inesatti.
5) Poiché il sistema svedese, che prevede l’imposizione di sovrattasse e l’esame della responsabilità per frode fiscale in
procedimenti distinti, si basa su una serie di motivi di interesse generale, in caso di risposta affermativa alla seconda questione, se sia compatibile con il principio del ne
bis in idem un regime come quello svedese, qualora fosse
possibile introdurre un sistema non rientrante nell’ambito
di applicazione di detto principio, senza necessità di astenersi né dall’imposizione di sovrattasse né dal pronunciarsi sulla responsabilità per frode fiscale, mediante trasferimento, nell’ambito di procedimenti penali, della decisione
sull’imposizione di sovrattasse dall’autorità fiscale svedese,
ed eventualmente dal giudice amministrativo, a un giudice
ordinario.
A tale riguardo, occorre ricordare che l’ambito di applicazione
della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri,
è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati
membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.
Tale articolo della Carta conferma pertanto la giurisprudenza della Corte relativa alla misura in cui l’operato degli Stati
membri deve conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti
fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione.
Da una costante giurisprudenza della Corte risulta infatti sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni
disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse.
A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto
riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale
che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per con-
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
tro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di
applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale,
deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per
la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità
di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto[2].
Tale definizione dell’ambito di applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione è confermata dalle spiegazioni relative
all’articolo 51 della Carta, le quali, conformemente all’articolo
6, paragrafo 1, terzo comma, del Trattato sull’Unione europea
(di seguito TUE) e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, debbono essere prese in considerazione per l’interpretazione di
quest’ultima[3]. Secondo tali spiegazioni, “l’obbligo di rispettare
i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati
membri soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione”.
Di conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti dalla
Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non
possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione
senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.
Ove, per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera
d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente
richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza[4]. Tali considerazioni corrispondono a quelle sottese all’articolo 6, paragrafo 1, TUE, ai sensi del quale le disposizioni della
Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione come definite nei trattati. Allo stesso modo, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, essa non estende l’ambito
di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze
dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi
per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei
trattati[5].
Nel caso di specie, occorre anzitutto rilevare che le sovrattasse
e i procedimenti penali di cui il signor Åkerberg Fransson è o
è stato oggetto sono in parte collegati a violazioni dei suoi
obblighi dichiarativi in materia di IVA.
Orbene, in materia di IVA, risulta, da un lato, dagli articoli 2,
250, paragrafo 1, e 273 della direttiva n. 2006/112/CE del
Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune
d’imposta sul valore aggiunto, che riprendono, in particolare,
le disposizioni dell’articolo 2 della sesta direttiva n. 77/388/CEE
del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme (di seguito Sesta direttiva) e dell’articolo 22, paragrafi 4 e 8, della medesima, nel testo modificato dall’articolo
28nonies di quest’ultima, e, dall’altro, dall’articolo 4, paragrafo 3,
TUE che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le
misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA
sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro la
frode[6].
Inoltre l’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (di seguito TFUE) obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione
con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, li obbliga ad adottare le stesse misure che adottano per combattere la
frode lesiva dei loro interessi[7]. Orbene, poiché le risorse proprie
dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi dell’articolo 2,
paragrafo 1, della decisione n. 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie
delle Comunità europee, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati
determinati secondo regole dell’Unione, sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione
del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, poiché
qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde[8].
Ne risulta che sovrattasse e procedimenti penali per frode fiscale, del tipo di quelli di cui è o è stato oggetto l’imputato nel
procedimento principale a causa dell’inesattezza delle informazioni fornite in materia di IVA, costituiscono un’attuazione degli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva n.
2006/112 (già articoli 2 e 22 della Sesta direttiva) e dell’articolo 325 TFUE e, pertanto, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.
Il fatto che le normative nazionali che fungono da base a tali
sovrattasse e procedimenti penali non siano state adottate
per trasporre la direttiva n. 2006/112 non può essere tale da
rimettere in discussione detta conclusione, dal momento che
la loro applicazione mira a sanzionare una violazione delle disposizioni della direttiva summenzionata e pertanto ad attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in modo effettivo i comportamenti lesivi degli interessi
finanziari dell’Unione.
Ciò posto, quando un giudice di uno Stato membro sia chiamato a verificare la conformità ai diritti fondamentali di una
disposizione o di un provvedimento nazionale che, in una situazione in cui l’operato degli Stati membri non è del tutto
determinato dal diritto dell’Unione, attua tale diritto ai sensi
dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, resta consentito alle
autorità e ai giudici nazionali applicare gli standards nazionali
di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione
non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come
23
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Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del
diritto dell’Unione[9]. A tal fine, quando i giudici nazionali sono
chiamati ad interpretare le disposizioni della Carta, essi hanno
la possibilità e, se del caso, il dovere di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
Dai suesposti rilievi risulta che la Corte è competente a rispondere alle questioni sollevate e a fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice del rinvio, della conformità della normativa nazionale con
il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta.
6.
Il principio ne bis in idem osta a che siano avviati
nei confronti dell’imputato procedimenti
penali se ad esso è già stata inflitta una sanzione
amministrativa per i medesimi fatti?
Con tali questioni, alle quali occorre rispondere congiuntamente, lo Haparanda tingsrätt chiede sostanzialmente alla
Corte se occorra interpretare il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta nel senso che esso osta a che
siano avviati nei confronti di un imputato procedimenti penali
per frode fiscale, una volta che gli è già stata inflitta una sovrattassa per gli stessi fatti di falsa dichiarazione.
Per quanto riguarda l’applicazione del principio del ne bis in
idem, sancito all’articolo 50 della Carta, a procedimenti penali
per frode fiscale come quelli oggetto della controversia principale, essa presuppone che i provvedimenti già adottati nei
confronti dell’imputato ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale.
A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che l’articolo 50 della
Carta non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una
combinazione di sovrattasse e sanzioni penali. Infatti, per assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA e
tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati
membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili[10]. Esse possono quindi essere inflitte sotto forma di
sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due. Solo qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva,
tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi
fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona.
Occorre inoltre ricordare che, ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri[11]:
◆ il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel
diritto nazionale,
◆ il secondo nella natura dell’illecito e
◆ il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere.
Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se
occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standards nazionali suesposti, circostanza che potreb-
be eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario
a detti standards, a condizione che le rimanenti sanzioni siano
effettive, proporzionate e dissuasive[12].
Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere
alle questioni seconda, terza e quarta dichiarando che il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta non osta
a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni
di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima
sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere
verificata dal giudice nazionale.
7.
Vi è compatibilità con il principio del ne bis in idem
quando un ordinamento autorizza il cumulo delle sanzioni
amministrative e penali inflitte dallo stesso giudice?
Con la sua quinta questione, lo Haparanda tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa la compatibilità con il principio del ne bis in idem, garantito dall’articolo 50 della Carta,
di una legislazione nazionale che, in caso di frode fiscale, autorizza il cumulo di sovrattasse e sanzioni penali inflitte dallo
stesso giudice.
A tale proposito, si deve rammentare anzitutto che, nell’ambito del procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta
soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari
circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza,
se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto
dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire[13].
La presunzione di rilevanza connessa alle domande di pronuncia pregiudiziale proposte dai giudici nazionali può essere
esclusa soltanto in via eccezionale, qualora appaia in modo
manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto
della causa principale, qualora la questione sia di tipo teorico,
oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e
di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni
che le sono sottoposte[14].
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la legislazione nazionale cui si riferisce il giudice a quo non è quella
applicabile alla controversia principale e che, per il momento,
non esiste nell’ordinamento giuridico svedese.
Occorre pertanto dichiarare irricevibile la quinta questione,
poiché la funzione assegnata alla Corte, nell’ambito dell’articolo 267 TFUE, è quella di contribuire all’amministrazione della
giustizia negli Stati membri, e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o teoriche[15].
8.
Che relazione esiste tra il diritto nazionale, diritto
dell’Unione e la CEDU?
Con la sua prima questione, lo Haparanda tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa la compatibilità con il diritto
dell’Unione di una prassi giudiziaria nazionale che subordina
l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla CEDU e dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dai testi interessati o dalla relativa
giurisprudenza.
Per quanto riguarda, anzitutto, le conseguenze che il giudice
nazionale deve trarre da un conflitto tra il diritto nazionale e la
CEDU, occorre ricordare che, anche se, come conferma l’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi
generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli
garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di
quelli loro conferiti dalla suddetta convenzione, quest’ultima
non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un
atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Di conseguenza, il diritto dell’Unione non
disciplina i rapporti tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli
Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un
giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti
garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale[16].
Per quanto riguarda poi le conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra disposizioni del proprio
diritto interno e diritti garantiti dalla Carta, secondo una costante giurisprudenza il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di
tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa,
qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la
previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro
procedimento costituzionale[17].
Infatti, sarebbe incompatibile con le esigenze inerenti alla
natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente parte di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi
prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, che porti ad
una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione
per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare
tale diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione,
tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente siano d’ostacolo alla piena
efficacia delle norme dell’Unione[18].
Peraltro, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, un giudice nazionale,
adito in una controversia concernente il diritto dell’Unione il
cui significato o la cui portata non gli siano chiari, può, o eventualmente deve, adire la Corte su questioni interpretative relative alla disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi[19].
Ne risulta che il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria
che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare
ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla
relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice
nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la
collaborazione della Corte, la compatibilità di tale disposizione
con la Carta medesima.
Alla luce dei suesposti rilievi, occorre rispondere alla prima
questione dichiarando che:
◆
il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la CEDU
e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno
determina le conseguenze che un giudice nazionale deve
trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale
convenzione ed una norma di diritto nazionale;
◆ il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni
disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto
risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice
nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso
con la collaborazione della Corte, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima.
25
26
Novità fiscali / n.3 / marzo 2013
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.adiantum.it/public/news/211201022552a.jpg [22.03.2013]
http://www.cn24.tv/public/images/201112/corte-europea-diritti-delluomo.jpg [22.03.2013]
http://parrocchiagt.files.wordpress.com/2012/09/bandie-svezia.jpg
[22.03.2013]
http://cdn.politicalive.com/wp-content/uploads/2009/11/crocifissocorte-europea-uomo.jpg [22.03.2013]
[1] Le conclusioni dell'avvocato generale Cruz Villalón, del 12 giugno 2012, sono state le seguenti:
“Allo stato attuale del processo di integrazione europea, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che non impedisce agli Stati membri di perseguire
dinanzi alla giurisdizione penale i medesimi fatti già
sanzionati con decisione definitiva in via amministrativa, sempreché il giudice penale sia in grado di
prendere in considerazione la previa esistenza di una
sanzione amministrativa al fine di mitigare la pena
che sarà inflitta in sede penale. Spetta al giudice nazionale stabilire se, nel presente caso e alla luce delle
disposizioni nazionali che disciplinano la materia, sia
possibile prendere in considerazione la previa sanzione
amministrativa in modo tale da mitigare la decisione
emessa dal giudice penale. La Corte di giustizia non è
competente a pronunciarsi circa la compatibilità con
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo di un requisito del diritto svedese che esige
l’esistenza di un “chiaro fondamento” affinché i giudici
nazionali possano disapplicare una norma interna. Il
diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso
che non osta a che un giudice nazionale verifichi, prima
di disapplicare una norma nazionale, se una disposizione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea sia “chiara”, sempreché tale requisito non renda difficile l’esercizio dei poteri di interpretazione e di
disapplicazione che il diritto dell’Unione attribuisce ai
giudici nazionali”. Si veda: http://eur-lex.europa.eu/
LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62010CC06
17:IT:HTML [22.03.2013].
[2] Sentenze del 18 giugno 1991, ERT, C-260/89,
punto 42; del 29 maggio 1997, Kremzow,
C-299/95, punto 15; del 18 dicembre 1997, Annibaldi, C-309/96, punto 13; del 22 ottobre 2002,
Roquette Frères, C-94/00, punto 25; del 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07, punto 34; del
15 novembre 2011, Dereci e a., C-256/11, punto
72, nonché del 7 giugno 2012, Vinkov, C-27/11,
punto 58.
[3] Sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C-279/09,
punto 32.
[4] Sentenza del 12 luglio 2012, Currà e a.,
C-466/11, punto 26.
[5] Sentenza Dereci e a., punto 71.
[6] Sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Italia, C‑132/06, punti 37 e 46.
[7] Sentenza del 28 ottobre 2010, SGS Belgium e
a., C‑367/09, punti 40‑42.
[8] Sentenza del 15 novembre 2011, Commissione/Germania, C‑539/09, punto 72.
[9] Per quest’ultimo aspetto si rimanda alla sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11,
punto 60.
[10] Sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88, punto 24; del 7 dicembre 2000,
de Andrade, C‑213/99, punto 19, e del 16 ottobre
2003, Hannl-Hofstetter, C‑91/02, punto 17.
[11] Sentenza del 5 giugno 2012, Bonda, C‑489/10,
punto 37.
[12] Sentenze Commissione/Grecia, 68/88, punto
24; del 10 luglio 1990, Hansen, C-326/88, punto 17;
del 30 settembre 2003, Inspire Art, C-167/01, pun-
to 62; del 15 gennaio 2004, Penycoed, C-230/01,
punto 36, nonché del 3 maggio 2005, Berlusconi e
a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, punto 65.
[13] Sentenza dell’8 settembre 2011, Paint
Graphos e a., da C‑78/08 a C‑80/08, punto 30 e
giurisprudenza ivi citata.
[14] Sentenza citata Paint Graphos e a., punto 31
e giurisprudenza ivi citata.
[15] Sentenza citata Paint Graphos e a., punto 32
e giurisprudenza ivi citata.
[16] Sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj,
C‑571/10, punto 62.
[17] Sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal,
106/77, punti 21 e 24; del 19 novembre 2009, Filipiak, C‑314/08, punto 81, nonché del 22 giugno
2010, Melki e Abdeli, C‑188/10 e C‑189/10, punto
43.
[18] Sentenza citata Melki e Abdeli, punto 44 e
giurisprudenza ivi citata.
[19] Sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a.,
283/81.
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Sabina Rigozzi
Collaboratrice scientifica SUPSI
Sono aperte le iscrizioni alla settima edizione del Master in Tax
Law della SUPSI
Lo zucchero è un ingrediente presente in quasi tutti i dessert, così come il sale sta praticamente in qualunque tipo di
pietanza. Non bisogna essere cuochi per esserne coscienti.
Analogamente, la fiscalità è un elemento presente in qualsiasi
ambito, famigliare e professionale che sia e coinvolge qualsiasi persona, fisica o giuridica (o “mista”, si pensi ad esempio
al Trust, alle associazioni ed alle società di persone). Anche in
questo caso, non occorre essere esperti in materia per intuirlo. In questi ultimi anni, che si tratti di sgravi, di amnistia, di
evasione o di frode fiscale, oppure di imposte di successione, di
donazione e sugli utili immobiliari, nonché, nel contesto internazionale, di accordi bilaterali o multilaterali (gli ultimi, in ordine cronologico, i cosiddetti accordi “Rubik” e “FATCA”) come
pure dei delicati rapporti con l’Italia in ambito di tassazione
dei lavoratori frontalieri e delle black lists, una certa competenza in questo ambito è ormai richiesta a tutti. Nel contesto
professionale, la formazione nel ramo fiscale è pagante, poiché apre a molteplici sbocchi: dal settore pubblico al settore
privato, dalla professione indipendente a quella dipendente. Le
regole fiscali, sempre più complesse, obbligano anche i privati
cittadini a pensare e ad eseguire efficacemente una minima
pianificazione fiscale.
In questo ampio contesto, il Centro di competenze tributarie
della SUPSI di Lugano-Manno, offre da molti anni un master in
diritto tributario, il Master of Advanced Studies in Tax Law. Questo ciclo di studi, articolato in tre corsi annuali della durata di
200 ore-lezione ciascuno, è offerto nell’ambito della formazione post-universitaria e permette ai partecipanti di sviluppare una competenza nel diritto fiscale ad ampio raggio, ma
anche sufficientemente articolata e approfondita: dal diritto
tributario svizzero a quello italiano, senza tralasciare il diritto tributario internazionale e quello dell’Unione europea. Le
lezioni si svolgono nell’intera giornata di venerdì e il sabato
mattina, a settimane alterne, permettendo così ai partecipanti
di non interrompere la loro attività professionale. Al termine
dei tre corsi annuali, Fondamenti di diritto tributario (1. anno),
Approfondimenti di diritto tributario (2. anno) e Diritto tributario internazionale (3. anno), gli studenti devono elaborare e
Questo articolo è stato pubblicato
su La Regione Ticino del 12 marzo 2013 a pagina 11
difendere una tesi di master che, se accolta, permette il conseguimento del titolo, riconosciuto dal Dipartimento federale
dell’Economia, di Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law.
La prossima edizione del Master, la settima, avrà inizio il 6
settembre 2013, con il corso Fondamenti di diritto tributario.
Parallelamente si concluderà la sesta edizione, con il corso Diritto tributario internazionale, avente pure inizio il prossimo 6
settembre e al quale è possibile iscriversi. In effetti, un’ulteriore
esclusività del Master in Tax Law è che i partecipanti possono
frequentare anche solo uno dei tre corsi annuali, nonché solamente i singoli moduli che compongono i corsi medesimi.
Infatti, per ognuno dei corsi annuali, sono previste due sessioni
d’esame che, se superate, permettono il conseguimento del
relativo diploma, denominato Certificate of Advanced Studies,
valorizzando in questo modo non solo l’intero Master, bensì
ogni singolo corso frequentato. Il corso del primo anno Fondamenti di diritto tributario, è composto da sette moduli, il
corso del secondo anno Approfondimenti di diritto tributario,
è composto da cinque moduli, mentre l’ultimo corso, Diritto
tributario internazionale, è composto da sei moduli. Per coloro
che si iscrivono solamente ai singoli moduli di ciascun corso e
che non sostengono gli esami, è previsto il rilascio di un attestato di frequenza.
Per maggiori informazioni:
L’opuscolo informativo del Master of Advanced Studies in Tax Law è disponibile al seguente link: http://www.supsi.ch/fc/dms/fc/docs/prodotti/taxlaw/2013-16/MAS/MAS_Tax_Law_2013-16.pdf [22.03.2013]
L’opuscolo informativo del Certificate of Advanced Studies in Fondamenti
di diritto tributario è disponibile al seguente link: http://www.supsi.ch/fc/
dms/fc/docs/prodotti/tax-law/2013-16/H-00/CAS_fondamenti_2013-14.
pdf [22.03.2013]
L’opuscolo informativo del Certificate of Advanced Studies in Diritto tributario internazionale è disponibile al seguente link: http://www.supsi.
ch/fc/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/2013-16/J-00/CAS_internazionale_2013-14.pdf [22.03.2013]
Ulteriori informazioni sono disponibili sul seguente sito internet: www.
supsi.ch/tax-law [22.03.2013]
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Lavori di tesi MAS in Tax Law
L’imposizione alla fonte per i frontalieri in Svizzera:
verso un’imposizione ordinaria?
Luogo
SUPSI
Palazzo E, Aula 111
CH-6928 Manno
Data e orario
Martedì 9 aprile 2013
18.00-19.00
La legalità dell’imposta alla fonte in Svizzera per i frontalieri è stata messa in discussione dal Tribunale federale con una sentenza
del 26 gennaio 2010, sulla base della quale il frontaliere si trova
discriminato rispetto al lavoratore residente in Svizzera, a causa delle diseguaglianze presenti tra il sistema di imposizione alla
fonte e il sistema ordinario di tassazione. Il seminario vuole presentare un lavoro di tesi del Master of Advanced Studies in Tax
Law della SUPSI improntato sulla problematica in oggetto.
I frontalieri, in quanto residenti all’estero, sono
imposti in Svizzera in modo limitato, unicamente sui redditi percepiti in Svizzera. In particolare il salario che conseguono tramite un’attività lucrativa dipendente esercitata in Svizzera
è soggetto ad un’imposta ritenuta alla fonte.
Il frontaliere non è quindi tenuto a presentare
nessuna dichiarazione d’imposta.
Per questa ed altre caratteristiche di tale sistema di tassazione, la situazione personale del
frontaliere-contribuente, che potrebbe influenzare positivamente la sua imposizione fiscale, è
presa in considerazione in modo limitato. Una
perfetta parità di trattamento tra il sistema di
imposizione alla fonte, al quale sono assoggettati i salari percepiti in Svizzera dai frontalieri
residenti all’estero, ed il sistema ordinario di
tassazione, al quale sono assoggettati i medesimi salari, ma conseguiti da contribuenti residenti in Svizzera, è quindi esclusa. Tuttavia il Tribunale federale ha sempre giustificato la natura
discriminatoria dell’imposizione alla fonte e non
ha mai osato precisare dove si trova il punto oltre il quale la discriminazione non è più giustificabile. Fino alla storica sentenza del 26 gennaio
2010, quando i giudici, sulla base del principio
di non discriminazione statuito all’articolo 2
dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea, hanno
stabilito che un lavoratore frontaliere residente
all’estero ma che consegue almeno il 90% della
totalità del suo reddito in Svizzera deve essere
trattato fiscalmente come un lavoratore residente in Svizzera. In particolare devono essergli
accordate le stesse deduzioni previste per i lavoratori residenti in regime di tassazione ordinaria. Ciò che l’attuale legislazione in materia di
imposta alla fonte non permette, risultando in
tal modo discriminatoria.
Il seminario ha come oggetto la presentazione
di un lavoro di tesi del Master of Advanced Studies in Tax Law della SUPSI improntato all’analisi sulle conseguenze e sull’applicabilità in futuro
del sistema dell’imposizione alla fonte in Svizzera, in particolare per i frontalieri, alla luce della
citata sentenza.
Come potrebbe evolvere questo particolare sistema di prelevamento dell’imposta ordinaria
sul reddito?
Ci sarà ancora spazio per questo tipo di tassazione in Svizzera?
Questi sono i quesiti principali ai quali si cercherà di dare risposta durante il seminario.
Programma
Brevi cenni sul sistema di imposizione
alla fonte in Svizzera
Principali divergenze rispetto all’imposizione ordinaria
Conseguenze derivanti dalla sentenza
del Tribunale federale del 26 gennaio
2010
Proposte di soluzione e ultimi sviluppi
Relatrice
Sabina Rigozzi
Master of Advanced Studies SUPSI in
Tax Law, collaboratrice scientifica SUPSI
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità.
Luogo
SUPSI
Palazzo E, Aula 111
CH-6928 Manno
Data e orario
Martedì 9 aprile 2013
18.00-19.00
Termine di iscrizione
Entro venerdì 5 aprile 2013
Costo
Gratuito
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
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Cooperazione amministrativa internazionale
I diversi modelli di assistenza amministrativa
tra Stati in materia fiscale
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Data e orario
Lunedì 15 aprile 2013
14.00-18.00
Un confronto tra i diversi modelli di assistenza amministrativa
in materia fiscale volti a garantire l’efficacia dell’accertamento tributario ed a contrastare fenomeni di evasione e frode fiscale: (i)
FATCA, (ii) Rubik, (iii) scambio di informazioni in base al Modello
OCSE, (iv) direttiva 2011/16/UE sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, (v) convenzione di Strasburgo sulla mutua
assistenza amministrativa in materia fiscale.
Negli ultimi anni la necessità, per la maggior
parte dei paesi industrializzati, di tenere sotto controllo i debiti sovrani e di ridurre i deficit
di bilancio ha aumentato la pressione sul lato
delle entrate pubbliche, in particolare quelle di
natura tributaria, la quale, di riflesso, ha portato
i governi di tali paesi a perseguire una maggiore efficacia ed efficienza nella riscossione delle
imposte. Nel tentativo di contrastare più efficacemente i fenomeni di elusione, evasione e frode fiscale in ambito internazionale, molti paesi
hanno intensificato la collaborazione intergovernativa ed amministrativa in materia fiscale,
facendo pressione in tal senso anche sugli Stati
meno collaborativi.
Questo processo, tuttavia, non è nato e progredito organicamente ed ha pertanto condotto
ad una varietà di strumenti che oggi convivono
nell’ordinamento giuridico internazionale (e, di
riflesso, nell’ordinamento giuridico interno degli
Stati aderenti ai diversi strumenti).
Lo scopo della presente giornata di studio è di
inquadrare e comparare tali diversi strumenti
giuridici, evidenziandone i meccanismi applicativi, nonché i punti di forza e debolezza, in considerazione della rilevanza che gli stessi presentano per i contribuenti e le amministrazioni
fiscali di Svizzera e Italia.
Programma e relatori
Il Foreign Account Tax Compliance
Act (FATCA) – Aspetti generali
Carlo Lorusso
Avvocato, PWC Tax & Legal Services
(TLS), Milano
Il Foreign Account Tax Compliance
Act (FATCA) – La prospettiva svizzera
Giovanni Molo
Avvocato, Studio Bolla,
Bonzanigo & Associati, Lugano
Il modello Rubik
Sonia Del Boca
Financial Planner, BSI SA, Lugano
Lo scambio di informazioni
in base al modello OCSE
Paolo Arginelli
Professore a contratto di diritto
tributario, Università Cattolica
Collaboratore scientifico, SUPSI
Dottore commercialista
e consulente fiscale, Lugano
Direttiva 2011/16/UE
sulla cooperazione amministrativa
nel settore fiscale
Francesco Avella
Dottore commercialista, Studio Maisto
e Associati, Milano
Convenzione di Strasburgo sulla mutua
assistenza amministrativa in materia
fiscale
Stefano Dorigo
Avvocato, Studio Cordeiro Guerra
e Associati, Firenze
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati
e notai, consulenti fiscali, consulenti
bancari e assicurativi, dirigenti
aziendali, collaboratori attivi nel settore
fiscale di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità.
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Data e orario
Lunedì 15 aprile 2013,
14.00-18.00
Termine di iscrizione
Entro giovedì 11 aprile 2013
Costo
CHF 350.–
Rinunce
Nel caso in cui il partecipante rinunci
al corso, la fattura inerente la quota
di iscrizione sarà annullata a condizione
che la rinuncia sia presentata entro
il termine d’iscrizione.
Chi fosse impossibilitato a partecipare
può proporre un’altra persona previa
comunicazione a SUPSI e accettazione
da parte del responsabile del corso.
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
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Scambio di informazioni su richiesta e domande raggruppate
Analisi delle novità introdotte nel testo
e nel commentario dell’articolo 26 del Modello
di Convenzione OCSE sulla base di casi pratici
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Le novità introdotte dal Comitato dell’OCSE prevedono per lo
Stato richiedente la possibilità di ottenere delle informazioni fiscali anche per gruppi di contribuenti sulla base di un modello
comportamentale, senza che questo conosca i nomi dei suoi contribuenti. Con questo seminario si vuole cercare di comprendere
con la presentazione e discussione di diversi casi pratici la differenza tra “fishing expedition”, vietata dall’OCSE, e domanda verosimilmente pertinente, per contro ammessa.
Data e orario
Lunedì 29 aprile 2013
14.00-18.00
In data 17 luglio 2012, il Consiglio
dell’OCSE ha approvato le modifiche al
testo e al commentario dell’articolo 26
del Modello di Convenzione OCSE proposte dal Comitato per gli Affari Fiscali.
In particolare, le novità introdotte nel
commentario all’articolo 26 sono volte
a chiarire l’ambito oggettivo dell’obbligazione, gravante sugli Stati contraenti,
di fornire informazioni utili all’applicazione della convenzione o della disciplina fiscale dell’altro Stato contraente.
In tale prospettiva, l’OCSE ha cercato di
chiarire in quali circostanze la richiesta
di informazioni presentata da uno Stato
contraente si debba considerare una “fishing expedition” e, pertanto, non comporti per lo Stato destinatario alcun obbligo di fornire le informazioni richieste.
Inoltre, l’emendato commentario chiarisce che le richieste di informazioni per
gruppi omogenei di contribuenti possono soddisfare i requisiti posti dall’articolo
26 ai fini dello scambio di informazioni
anche qualora i contribuenti non siano
identificati nominativamente.
L’impegno assunto dalla Confederazione elvetica di rinegoziare le proprie
convenzioni per evitare le doppie imposizioni al fine di includervi un articolo sullo scambio di informazioni conforme all’articolo 26 del Modello OCSE
e, in particolare la probabile, prossima
rinegoziazione in tali termini della sua
convenzione con la Repubblica italiana,
rende l’approfondimento di questo tema
particolarmente pressante.
Durante il pomeriggio di studio verranno presentate e commentate diverse
casistiche di domande raggruppate che
potrebbero coinvolgere direttamente la
piazza finanziaria svizzera. In particolare
si cercherà di approfondire il confine tra
una ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni e una domanda verosimilmente pertinente, facendo il riferimento al commentario dell’OCSE, alla
giurisprudenza esistente e, soprattutto,
all’esperienza dei relatori.
Relatori
Renata Fontana
Global Forum on Transparency
and Exchange of Information
for Tax Purposes (OCSE), Parigi
Paolo Arginelli
Professore a contratto di diritto
tributario, Università Cattolica, Piacenza
Collaboratore scientifico, SUPSI
Mauro Manca
Esperto tributario in Milano
Sebastiano Garufi
Avvocato fiscalista, Lugano
Professore a contratto di diritto tributario, Università L. Bocconi, Milano
Giordano Macchi
Direttore presso il reparto fiscale
di KPMG SA, Lugano
Martino Pinelli
Master of Advanced Studies in Tax Law
Wealth Planner Patrimony 1873 SA,
Lugano
Programma
Il presente convegno, che idealmente
e funzionalmente fa seguito a quello
organizzato il 27 settembre 2012,
si sviluppa attraverso la presentazione
di una serie di casi pratici, afferenti
ipotetiche richieste di informazioni
in base all’articolo 26 del Modello di
Convenzione OCSE, in relazione ai quali
i vari relatori proporranno la propria
soluzione, argomentandola sulla base
del Commentario OCSE e della giurisprudenza e prassi applicativa svizzera
e italiana.
I casi pratici riguarderanno:
◆ le richieste di informazioni individuali
in base all’articolo 26 del Modello
di Convenzione OCSE,
◆ le richieste di informazioni per gruppi
omogenei di contribuenti in base
all’articolo 26 del Modello di Convenzione OCSE,
◆ l’interrelazione tra la disciplina recata dall’articolo 26 del Modello di
Convenzione OCSE e talune norme
contenute negli accordi Rubik
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità.
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Data e orario
Lunedì 29 aprile 2013,
14.00-18.00
Termine di iscrizione
Entro giovedì 25 aprile 2013
Costo
CHF 350.–
Rinunce
Nel caso in cui il partecipante rinunci
al corso, la fattura inerente la quota
di iscrizione sarà annullata a condizione
che la rinuncia sia presentata entro
il termine d’iscrizione.
Chi fosse impossibilitato a partecipare
può proporre un’altra persona previa
comunicazione a SUPSI e accettazione
da parte del responsabile del corso.
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
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Gli aspetti fiscali legati ai casi di risanamento aziendale
Approfondimento della Circolare n. 32 dell’Amministrazione
federale delle contribuzioni sul “Risanamento di società
di capitali e di società cooperative”
Luogo
Sala Aragonite
Via ai Boschetti
CH-6928 Manno
Data e orario
Lunedì 13 maggio 2013
14.00-17.30
La crisi economica che ha colpito il Cantone Ticino negli ultimi anni ha indubbiamente aumentato i casi in cui è necessariooperare un risanamento aziendale. L’Amministrazione federale
delle contribuzioni ha preso posizione su questo tema con
la Circolare n. 32, che sarà oggetto del presente seminario, in
particolare per quanto riguarda l’esame delle misure di risanamento da adottare e il trattamento fiscale delle rinunce di credito da
parte dei soci, di società consorelle e/o società figlie e terze persone indipendenti, la possibilità di ottenere il condono della tassa di
emissione e le conseguenze della fusione per risanamento.
La crisi economica che ha colpito il Cantone
Ticino negli ultimi anni ha indubbiamente aumentato le operazioni di risanamento aziendale. Le società si considerano da risanare
quando sono in perdita e non dispongono di
sufficienti riserve per compensare le perdite accumulate. Con risanamento si devono
intendere tutte le misure adottate per ottenere un ristabilimento economico e finanziario
dell’impresa. Le operazioni di risanamento
aziendale possono essere sia di natura economica e organizzativa sia di natura finanziaria
e, soprattutto dal profilo fiscale, vanno esaminate attentamente poiché a dipendenza della
situazione in cui si trova l’impresa e a seconda
del tipo di risanamento, ci possono essere diverse conseguenze fiscali.
L’Amministrazione federale delle contribuzioni ha emanato su questo tema la Circolare n.
32, del 23 dicembre 2010, intitolata “Risanamento di società di capitali e di società cooperative”. Questo documento di prassi verrà
esaminato nel corso del pomeriggio di studio,
in particolare per quanto riguarda le misure di
risanamento da adottare e il trattamento fiscale riguardanti le rinunce di credito da parte
dei soci, di società consorelle e/o società figlie
e terze persone indipendenti. Verranno inoltre
esaminate le possibilità di condonare la tassa
di bollo di emissione per le società da risanare.
Infine, si porrà l’accento sulla cosiddetta fusione
per risanamento, vale a dire l’incorporazione di
una società figlia e la fusione per risanamento
tra società consorelle.
Le diverse relazioni oggetto del seminario
tratteranno le conseguenze fiscali delle diverse operazioni dal punto di vista delle imposte
dirette, dell’imposta preventiva e della tassa di
bollo di emissione presso le società risanate e
presso i soci.
Programma e relatori
La nozione e le misure di risanamento
aziendale
Giancarlo Lafranchi
Vicedirettore della Divisione
delle contribuzioni del Cantone Ticino,
Bellinzona
Le conseguenze fiscali delle rinunce
di credito per società, azionisti e terze
persone
Francesco Marenghi
Ispettore fiscale presso l’Ufficio di
tassazione delle persone giuridiche,
Bellinzona
Il condono della tassa di bollo
di emissione nei casi di risanamento
Fabio Riva
Esperto fiscale diplomato federale;
ispettore presso la Divisione Controllo
Esterno della Divisione principale
imposta federale diretta, imposta
preventiva, tasse di bollo dell’Amministrazione federale delle contribuzioni,
Berna
La fusione per risanamento
Sharon Guggiari Salari
Avvocato e notaio, Studio Legale BMA,
Lugano
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati e
notai, consulenti fiscali, consulenti
bancari e assicurativi, dirigenti aziendali, collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private, persone
interessate alla fiscalità.
Luogo
Sala Aragonite
Via ai Boschetti
CH-6928 Manno
Data e orario
Lunedì 13 maggio 2013
14.00-17.30
Termine di iscrizione
Entro mercoledì 8 maggio 2013
Costo
CHF 350.–
Rinunce
Nel caso in cui il partecipante rinunci
al corso, la fattura inerente la quota di
iscrizione sarà annullata a condizione
che la rinuncia sia presentata entro il
termine d’iscrizione.
Chi fosse impossibilitato a partecipare
può proporre un’altra persona previa
comunicazione a SUPSI e accettazione
da parte del responsabile.
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
se
m
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Il trasferimento della sede delle persone giuridiche
dall’Italia verso la Svizzera
Esame dei diversi trattamenti fiscali applicabili nei casi
di trasferimento della sede della società secondo il diritto
tributario italiano, svizzero e dell’UE
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Data e orario
Martedì 4 giugno 2013
14.00-17.30
Negli ultimi tempi, molte società italiane, vuoi per l’instabilità politica, vuoi per l’elevata pressione fiscale e per le questioni burocratiche, stanno concretamente prendendo in considerazione
l’idea di trasferirsi nel Canton Ticino. Dal profilo fiscale quali sono
le soluzioni ottimali e i pericoli da non sottovalutare per queste
aziende e per i loro azionisti? Questo convegno cercherà di fornire una panoramica significativa sugli elementi da considerare sia
sul versante italiano e dell’UE, sia su quello svizzero.
In Italia, negli ultimi mesi, l’instabilità politica e la
crisi economica stanno mettendo a dura prova
molti imprenditori, i quali si trovano pure confrontati con una pressione fiscale tra le più alte d’Europa. Proprio per questi motivi, la Svizzera, e per
essa il Canton Ticino per evidenti questioni di vicinanza geografica, rappresenta un territorio molto
attrattivo per delocalizzare l’attività d’impresa.
Per molti imprenditori-azionisti si pone dunque
la questione di sapere quali sono le conseguenze
fiscali riguardanti l’eventuale trasferimento della
sede della società di capitali dall’Italia alla Svizzera. In particolare è opportuno sapere se le plusvalenze non realizzate sui beni societari, vale a
dire la differenza tra il valore contabile-fiscale e il
valore di mercato, debbano essere tassate dall’Italia al momento del trasferimento in Svizzera e,
in caso affermativo, se vi siano dei meccanismi
per evitare tale imposizione. È qui importante
esaminare innanzitutto la giurisprudenza della
Corte di giustizia dell’UE concernente il principio della libertà di stabilimento, con particolare
riferimento alla tassazione delle plusvalenze non
realizzate nei casi di trasferimento dell’impresa
da uno Stato membro dell’UE verso un altro Stato membro UE, rispettivamente verso un Paese
terzo, come la Svizzera.
Trasferita la sede in Svizzera, è poi opportuno
capire a quale valore contabile-fiscale iscrivere
a bilancio i beni societari per una efficiente pianificazione fiscale, nonché conoscere il trattamento fiscale in Italia concernente i dividendi e
i capital gains di fonte svizzera percepiti dai soci
della società, residenti in Italia.
Il pomeriggio di studio si pone l’obiettivo di illustrare le principali conseguenze fiscali del trasferimento di sede della persona giuridica dall’Italia alla Svizzera, valutandole sia dal profilo del
diritto tributario italiano e dell’UE, sia dal profilo
del diritto tributario svizzero.
Programma e relatori
Il principio della libertà di stabilimento
secondo la giurisprudenza della Corte
di giustizia dell’UE con particolare
riferimento al trasferimento della residenza fiscale delle persone giuridiche
Paolo Arginelli
Collaboratore scientifico SUPSI, Professore a contratto di Diritto Tributario
dell’Impresa e di International Law
and Business Ethic presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore
Il regime fiscale applicabile in Italia
al trasferimento di sede all’estero.
Il caso della Svizzera
Raul Angelo Papotti
Avvocato e dottore commercialista
in Milano, LL.M. (Leiden); Chiomenti
Studio Legale, Londra-Milano
La determinazione dei valori contabilifiscali secondo il diritto tributario svizzero delle società in arrivo dall’Italia
Massimo Bianchi
Esperto fiscale diplomato, titolare
di uno studio di consulenza fiscale
a Lugano
Il trattamento fiscale dei soci residenti
in Italia: imposizione dei dividendi
e dei capital gains relativi a società
fiscalmente residenti in Svizzera
Siegfried Mayr
Dottore commercialista, titolare
di uno studio di consulenza tributaria
a Milano
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati
e notai, consulenti fiscali, consulenti
bancari e assicurativi, dirigenti
aziendali, collaboratori attivi nel settore
fiscale di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità.
Luogo
Centroeventi
Via Industria 2
CH-6814 Cadempino
Data e orario
Martedì 4 giugno 2013
14.00-17.30
Termine di iscrizione
Entro venerdì 31 maggio 2013
Costo
CHF 350.–
Rinunce
Nel caso in cui il partecipante rinunci
al corso, la fattura inerente la quota
di iscrizione sarà annullata a condizione
che la rinuncia sia presentata entro
il termine d’iscrizione.
Chi fosse impossibilitato a partecipare
può proporre un’altra persona previa
comunicazione a SUPSI e accettazione
da parte del responsabile del corso.
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Il sistema fiscale italiano
La disciplina tributaria delle operazioni straordinarie
Il seminario ha ad oggetto l’analisi degli aspetti tributari e applicativi conseguenti
alle operazioni di ristrutturazione aziendale (fusioni, scissioni, conferimenti di attivo e
scambi di partecipazioni). Particolare enfasi è attribuita all’analisi degli aspetti tributari delle diverse modalità di trasferimento di complessi aziendali (asset dealings vs.
share dealings).
Programma
Il regime tributario delle operazioni
straordinarie coinvolgenti i soggetti:
fusione, scissione, trasformazioni
e trasferimenti di sede
Il regime tributario delle operazioni
straordinarie coinvolgenti le aziende:
i conferimenti e le cessioni di aziende, i conferimenti e le cessioni di titoli
partecipativi
Relatore
Roberto Franzè, ricercatore di Diritto
tributario, Università della Valle D’Aosta
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Date e orari
Venerdì 12 aprile 2013, 13.30-17.00
Sabato 13 aprile 2013, 8.30-12.00
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Iscrizioni
Entro mercoledì 10 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 400.–
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Il sistema fiscale italiano
L’imposta di successione e donazione
Nell’ambito del corso si esamineranno dapprima i presupposti di applicazione soggettivi e oggettivi dell’imposta sulle successioni e donazioni. In particolare sono analizzati i criteri di territorialità dell’imposta, anche alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità. Sono altresì esaminati i criteri per la determinazione della base
imponibile. In tale ottica è data molta rilevanza anche al trasferimento di aziende e
di partecipazioni. Infine, si studieranno le norme interne sul credito per le imposte
assolte all’estero. Per rendere più chiari i temi trattati durante il corso, verranno esaminati alcuni casi pratici.
Programma
Evoluzione dell’imposta italiana
sulle successioni e donazioni
Ambito soggettivo e oggettivo
di applicazione dell’imposta
Territorialità dell’imposta
Determinazione della base imponibile (con particolare riferimento ai beni
situati all’estero)
Profili internazionali dell’imposta
sulle successioni e donazioni
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Relatore
Gabriele Paladini, dottore commercialista
in Milano; dottore di ricerca in Diritto
tributario delle società presso l’Università LUISS di Roma; esperto di fiscalità
internazionale; associato Chiomenti
Studio Legale
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Data e orario
Venerdì 26 aprile 2013, 8.30-12.00
Iscrizioni
Entro mercoledì 24 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 200.–
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Il sistema fiscale italiano
L’accertamento delle imposte, il processo tributario
e le sanzioni amministrative e penali
Il complesso panorama normativo fiscale italiano presenta, accanto alle norme impositrici che, con strumenti più o meno articolati, definiscono il presupposto del tributo, una
serie di norme sostanziali e strumentali dirette a consentire l’attuazione del prelievo e a
verificare che esso sia stato applicato concretamente e correttamente in ragione della
capacità contributiva. In questa prospettiva, oggetto dell’attività di accertamento delle
imposte è l’individuazione delle dimensioni qualitative e quantitative del presupposto di
fatto posto in essere dal contribuente: tale attività si snoda nel procedimento istruttorio
e di verifica che conduce alla sostituzione della “verità” del Fisco alla “verità” dichiarata dal
contribuente, con contestuale irrogazione delle sanzioni amministrative e penali, strumenti principe per assicurare l’osservanza del precetto fiscale e prevenire e reprimere
condotte evasive d’imposta. In tale contesto, importanza fondamentale riveste il tema
della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente, destinatario dell’atto impositivo,
dal momento che si assiste a un processo tributario dove il Legislatore, sovente, si preoccupa di garantire prevalentemente la tutela dell’interesse pubblico al prelievo, limitando
la tutela del contribuente e la stessa ricostruzione probatoria del fatto controverso.
Programma
L’attività istruttoria mediante indagini
d’ufficio e mediante accessi, ispezioni e verifiche. Le indagini finanziarie.
Le me­todologie di accertamento.
L’avviso di accertamento. La tutela
nella fase ammini­strativa
Il processo tributario
La riscossione dei tributi
Le sanzioni amministrative e penali
Finalità
Fornire l’adeguato supporto teorico
e pratico, a vantaggio del contribuente,
durante le verifiche fiscali condotte
dalla Guardia di Finanza o dai funzionari
dell’Agenzia delle Entrate
Illustrare tutte le possibili azioni, stragiudiziali e contenziose, a disposizione
del soggetto passivo d’imposta e tese
a contrastare la pretesa fiscale illegittima
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Relatrice
Barbara Nigro, laurea in Giurisprudenza,
Università degli Studi di Firenze; avvocato; master in Diritto Tributario, Ipsoa;
dottore di ricerca in Finanza Pubblica
e Privata Comunitaria, Seconda Università degli Studi di Napoli
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Date e orari
Venerdì 26 aprile 2013, 13.30-17.00
Sabato 27 aprile 2013, 8.30-12.00
Iscrizioni
Entro mercoledì 24 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 400.–
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Fondamenti dell’IVA comunitaria
Direttiva europea in materia di IVA
Lezione introduttiva che analizza i principi generali previsti dalla Direttiva europea in
materia di IVA. Sono analizzate le nozioni di soggetto passivo, le diverse categorie di
operazioni rilevanti ai fini dell’imposta e le regole di territorialità.
Programma
Ambito di applicazione
Soggetti passivi
Operazioni imponibili
Luogo delle operazioni imponibili
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Relatrice
Sara Montalbetti, laurea in Economia e
Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano);
dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia
di diritto tributario dell’impresa presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore
(sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Data e orario
Venerdì 12 aprile 2013, 8.30-17.00
Iscrizioni
Entro mercoledì 10 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 400.–
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Fondamenti dell’IVA comunitaria
Commercio internazionale di beni
Esame approfondito delle diverse tipologie di operazioni che possono essere effettuate nell’ambito del commercio internazionale di beni (cessioni intracomunitarie,
importazioni ed esportazioni, cessioni a catena, operazioni triangolari).
Programma
Cessioni intracomunitarie
Importazioni ed esportazioni
Cessioni a catena
Operazioni triangolari
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Relatrice
Sara Montalbetti, laurea in Economia e
Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano);
dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia
di diritto tributario dell’impresa presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore
(sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Date e orari
Sabato 13 aprile 2013, 8.30-12.00
Venerdì 26 aprile 2013, 8.30-12.00
Iscrizioni
Entro giovedì 11 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 400.–
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Fondamenti dell’IVA comunitaria
Base imponibile; aliquote; diritto di detrazione
Obblighi dei soggetti passivi
Analisi delle regole previste dalla Direttiva europea in materia di IVA per la determinazione della base imponibile. Illustrazione delle aliquote vigenti negli Stati membri
dell’UE. Esame dei principi generali che governano il diritto di detrazione dell’imposta. Rassegna dei principali obblighi a carico dei soggetti passivi.
Programma
Base imponibile
Aliquote
Diritto di detrazione
Obblighi dei soggetti passivi
◆ Obbligo di pagamento
◆Identificazione
◆Fatturazione
◆Contabilità
◆Dichiarazione
◆ Elenchi riepilogativi
◆ Operazioni di importazione
e esportazione
Destinatari
Fiduciari, commercialisti, avvocati,
consulenti fiscali, consulenti bancari
e assicurativi, dirigenti aziendali,
collaboratori attivi nel settore fiscale
di aziende pubbliche e private,
persone interessate alla fiscalità
Relatrice
Sara Montalbetti, laurea in Economia e
Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano);
dottore commercialista e revisore contabile in Milano; cultore della materia
di diritto tributario dell’impresa presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore
(sede di Piacenza); associato dello studio Maisto e Associati
Luogo
SUPSI
Dipartimento scienze aziendali e sociali
Palazzo A
CH-6928 Manno
Date e orari
Base imponibile; aliquote;
diritto di detrazione
venerdì 26 aprile 2013, 13.30-17.00
Obblighi dei soggetti passivi
sabato 27 aprile 2013, 8.30-12.00
Iscrizioni
Entro mercoledì 24 aprile 2013
Il numero di posti
è limitato a 30 partecipanti
Costo
CHF 200.– per singola lezione
Informazioni amministrative
SUPSI
Centro competenze tributarie
www.supsi.ch/fisco
[email protected]
Offerta formativa
Iscrizione ai corsi di diritto tributario
Sì, mi iscrivo al seguente corso:
Seminari
Il sistema fiscale italiano
Fondamenti dell'IVA comunitaria
□ L’imposizione alla fonte
□ La disciplina tributaria
□ Direttiva europea in materia di IVA
per i frontalieri in Svizzera: verso
un’imposizione ordinaria?
□ Cooperazione amministrativa
internazionale
□ Scambio di informazioni su richiesta
delle operazioni straordinarie
□ L’imposta di successione e donazione
□ L’accertamento delle imposte,
il processo tributario
e le sanzioni amministrative e penali
□ Commercio internazionale di beni
□ Base imponibile; aliquote;
diritto di detrazione
□ Obblighi dei soggetti passivi
e domande raggruppate
□ Gli aspetti fiscali legati ai casi
di risanamento aziendale
□ Il trasferimento della sede
delle persone giuridiche dall’Italia
verso la Svizzera
Dati personali
NomeCognome
TelefonoE-mail
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