Sbarco a Nettunia

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OPERAZIONE “SHINGLE”
“avevo sperato di lanciare sulla
spiaggia di Anzio un gatto selvatico,
mentre invece ci troviamo sulla riva
con una balena arenata.”
Sir Winston Leonard Spencer Churchill
Il Lazio fu certamente tra le regioni italiane più segnate dal passaggio della guerra.
Due fronti aperti - quello della “Linea Gustav”1 sul Garigliano e quello di Nettunia2
(Anzio/Nettuno) - sui quali si svolsero intensi combattimenti, l’altissima
concentrazione di truppe, la martellante attività aerea alleata, le evacuazioni forzate
e le difficoltà di approvvigionamento, travagliarono la vita della popolazione di questa
regione.
Ricordiamo le battaglie di Montecassino:
•
la prima (12 gennaio – 12 febbraio 1944),
1
Si tratta di una serie di opere fortificate che si dispiegano, per 120 km, da Minturno, a sud di Gaeta, fino alla
costa Adriatica, a sud di San Vito/Ortona.
2
Il regime fascista operò la unificazione del Comune di Nettuno con quello di Anzio sotto il nome di Nettunia che
tenne uniti amministrativamente dal 17 novembre 1939 al 3 marzo 1945.
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1
•
la seconda (Operazione Avenger 15-18 febbraio 1944)3
•
la terza (Operazione Dickens 15-24 marzo 1944 - si concluse con un altro
insuccesso per gli alleati)
•
la quarta (Operazione Diadem 11-18 maggio 1944)4
3
Alle 9 e 30 del 15 febbraio 1944 iniziò il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino. Con ondate successive
230 aerei di vario tipo sganciarono 380 tonnellate di bombe sul loro obbiettivo. Il bersaglio fu centrato in pieno
anche se molte bombe caddero fuori zona causando perdite anche alle truppe alleate. La distruzione fu totale e nel
disastro trovarono la morte molti civili (oltre 2.000) che si erano rifugiati tra le mura.
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I polacchi ebbero l’amara consolazione di occupare, non di conquistare, il sacro edificio solo dopo che i difensori
se ne erano andati. Le bandiere polacca e britannica sventolarono sulle rovine di Montecassino. Le battaglie per la
Linea Gustav erano finite, la guerra proseguiva il suo corso verso la testa di sbarco di Nettunia, raggiunta il 25
maggio, e Roma, raggiunta la sera del 4 giugno 1944.
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I quattro mesi di lotta intorno a Cassino erano costati ai tedeschi e agli alleati un
numero elevato di perdite tra morti feriti e dispersi. Nessuno ha mai calcolato il
numero delle altrettanto numerose vittime tra i civili italiani5.
5
Il generale Juin, al termine della battaglia di Cassino, diede ai suoi “goumiers” (da “goum”, reparto militare
marocchino arruolato nel medesimo villaggio e clan) carta bianca per due giorni, come premio della vittoria che
implicava il diritto di vita e di morte sulle popolazioni civili, il furto dei loro beni e la violenza sulle donne. "(…) oltre
quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra larga e ricca di donne, di vino, di case. Se voi
riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi
proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e
volontà. Per 50 ore. E potrete avere tutto, fare tutto, prendere tutto, distruggere e portare via, se avrete vinto,
se ve lo sarete meritato. Il vostro generale manterrà la promessa, se voi obbedirete per l’ultima volta fino alla
vittoria (…)". Ma di questo documento non è rimasta traccia. Era stato questo l’incentivo che aveva convinto i
marocchini a combattere per i francesi andando all’assalto delle posizioni nemiche alla testa dei reparti alleati. Così
per due giorni e due notti razziarono, violentarono, uccisero. Stuprarono donne e bambine, dagli otto agli
ottant’anni, obbligando padri e mariti ad assistervi. I risvolti della guerra, con le turpi appendici che si consumano
nelle retrovie, son quelli di cui la storia perde volentieri nozione e li confina nel ripostiglio più nascosto e sudicio
della memoria. Non se ne parla volentieri, resta un capitolo ermeticamente chiuso, se ne conoscono spiragli di
dolore. È un capitolo che gli storici italiani delle seconda guerra mondiale ignorano, quelli anglosassoni appena
accennano e quelli francesi addirittura negano o riducono a episodi isolati e di poca importanza. Solo il grande
romanzo: "La Ciociara" (1957), di Alberto Moravia e poi il grande film omonimo di Vittorio De Sica (1960) hanno
avuto il coraggio di raccontarlo, dopo, negli anni del dopoguerra. Lo storico inglese Releigh Trevelyan, nel suo libro,
”Roma ’44”, scrive che “le truppe franco-algerine e i marocchini, nelle loro caratteristiche uniformi a strisce, erano
veri guerrieri delle montagne; ed i loro metodi spregiudicati e crudeli di fare la guerra terrorizzavano sia i
tedeschi sia la popolazione civile italiana”. Ma sull’argomento non si diffonde molto di più. I marocchini tagliavano il
naso e le orecchie ai tedeschi catturati e li mostravano come trofei di guerra, secondo i costumi di guerra delle
tribù primitive nelle lotte di predominio tra i clan. Vendevano i prigionieri tedeschi agli americani che poteva
vantare così di aver compiuto azioni eroiche senza troppo rischio. Nessuno prima d’allora aveva compiuto simili
atrocità, neppure i barbari dell’antichità. Le poche donne che si salvarono lo dovettero unicamente all’intervento
armato delle pattuglie americane. Furono loro a proteggerle e a trasferirle in luoghi sicuri al riparo dalle truppe di
colore. Le regole cavalleresche in vigore negli eserciti europei non appartenevano al codice d’onore del combattente
africano o arabo. Quando si diffuse la notizia che stavano arrivando i “liberatori”, il paese si preparò ad accoglierli
festosamente. Nessuno si aspettava di veder arrivare questi uomini dalle pelle scura, il volto butterato dal vaiolo,
gli occhi neri di brace, intabarrati nei “burnous” marroni, il turbante, i lunghi pugnali ricurvi alla cintura e sporchi. I
marocchini si portavano dietro un serraglio di prostitute marocchine per i loro quotidiani sfoghi, come branchi di
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L’”Operazione Shingle” ebbe in tutte le sue fasi, dalla progettazione all'attuazione
fino alla conclusione, un iter così travagliato e così diverso da quanto si
ripromettevano i contendenti tanto da essere diventato un caso unico e proverbiale
nella storia dell'ultimo conflitto mondiale.
E' un gelido 22 gennaio del 19446, 36.000 soldati anglo-americani sbarcarono a
Nettunia7 per prendere alle spalle i tedeschi, che ancora resistevano asserragliati
capre. I marocchini ignoravano tutto della guerra, sapevano solo che si combatteva in Europa, andavano all’attacco
salmodiando, (“Allah illah Allah! Mohammed Rassoud Allah”). Non solo uccidevano il nemico, lo mutilavano
orrendamente perché la vittoria fosse completa. Una indagine ministeriale posteriore accertò che le donne
violentate raggiungevano complessivamente la cifra di 60.000. Una nota del 25 giugno del 1944 del Comando
Generale dell’Arma dei Carabinieri dell’Italia liberata alla Presidenza del Consiglio, segnalava nei comuni di Giuliano
di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo, e Sgurgola, in soli tre giorni (dal 2 al 5 giugno), 418 violenze sessuali, di
cui 3 su uomini, 29 omicidi, 517 furti compiuti dai soldati marocchini, i quali “”(…) infuriarono contro quelle
popolazioni terrorizzandole. Numerosissime donne, ragazze e bambine (…) vennero violentate, spesso
ripetutamente, da soldati in preda a sfrenata esaltazione sessuale e sadica, che molte volte costrinsero con la
forza i genitori e i mariti ad assistere a tale scempio. Sempre ad opera dei soldati marocchini vennero rapinati
innumerevoli cittadini di tutti i loro averi e del bestiame. Numerose abitazioni vennero saccheggiate e spesso
devastate e incendiate (…)”””. La magistratura militare francese avviò 160 procedimenti giudiziari che riguardavano
360 individui. Il tribunale francese emise alcune condanne a morte e ai lavori forzati. Una quindicina di marocchini
erano stati colti sul fatto e fucilati sul posto. In complesso lo stato francese fu reticente e non riconobbe la
vastità dei casi denunciati dagli italiani. Le richieste di indennizzo furono accolte solo in numero esiguo. I francesi
pagarono da un minimo di 30.000 lire a un massimo di 150.000 lire una tantum fino al l° agosto 1947, cifre che
apparvero inadeguate anche allora. Le domande di risarcimento fino al dicembre 1949 erano state non più di
20.000, un terzo dei casi accertati, solo perché la maggioranza delle donne aveva preferito nascondere lo stupro e
parecchie non erano sopravvissute alle violenza. Nelle piazze dei paesi ciociari, ad Ausonia e Esperia, sorgono le
lapidi che ricordano le vittime della violenza selvaggia dei “marocchi”, come li chiamano da queste parti. Ma nessuno
ama parlarne. I testimoni, e insieme le vittime di quella tragedia, sono morti da tempo. Da quelle violenze non
nacquero figli. I marocchini erano affetti da gravi malattie veneree che trasmisero alle donne e alle bambine
violentate. Malattie che provocarono interruzioni e aborti spontanei nella maggioranza dei casi. Solo pochi bambini
meticci sopravvissero e le madri li allevarono amorevolmente rinunciando a sposarsi. Ma parecchie donne, specie le
più giovani, non ressero alla vergogna e abbandonarono il paese per trasferirsi in città dove sarebbe stato più
facile dimenticare e farsi dimenticare. Alla rievocazione di queste vicende - tra le più dolorose e umilianti della vita
nazionale- storici e divulgatori si sono dedicati poco, e di malavoglia. Le sorti delle «marocchinate» furono ritenute
politicamente poco corrette. Così accadde a lungo anche per le mattanze di fascisti o presunti tali dopo il 25 aprile
1945 o per gli eccidi di prigionieri italiani disarmati di cui furono responsabili reparti statunitensi dopo lo sbarco in
Sicilia del luglio 1943. La convenzione storica consolidata e in buona sostanza accettata ed avallata dalle Alte
Autorità vuole che il ruolo dei cattivi spetti sempre e comunque, quando si ripercorre quel tempo, ai tedeschi. Loro
i fucilatori, loro i massacratori, loro i violenti. E noi, gli italiani, dalla parte dei buoni e perfino, pensate un pò, dalla
parte dei vincitori. Il 15 marzo del 2004 la più alta carica dello Stato italiano l'allora presidente Ciampi e
l'associazione nazionale dei reduci marocchini hanno ricordato le vittime degli stupri e del bombardamento di
Montecassino.
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La flotta salpò da Napoli il 21/01/1944 ed era composta da: 4 navi da trasporto Liberty; - 8 LSI; 84 LST; 96
LCI; 90 LCT; 5 incrociatori e 25 cacciatorpediniere. Arrivò ad Anzio alle prime ore del 22/01/1944 e alle 01.50 un
paio di mezzi Britannici iniziarono un fuoco di sbarramento contro le spiagge senza alcuna reazione dalla costa. La
3° Divisione di fanteria Americana sbarcò a sud di Anzio insieme al 751 Battaglione carri. La 1° Divisione Britannica
prese terra a nord di Anzio. I 3 Battaglioni di Ranger USA di DARBY presero il porto di Anzio e il 509° Battaglione
di fanteria paracadutista Americano occupò Nettuno. L’unica minaccia fu rappresentata dalle mine. Nel primo
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Nettunia 22 gennaio 1944
giorno di sbarco le perdite Alleate ammontavano a 13 caduti, 97 feriti e 44 dispersi; furono catturati 227 soldati
nemici e sbarcarono 36000 uomini e 3200 mezzi.
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Per meglio comprendere l’intensità dei combattimenti avvenuti a Anzio e Nettuno si deve osservare innanzitutto
l’esigua ampiezza della testa di ponte alleata, la quale misurava una larghezza di circa 20 Km. Per una lunghezza di
15 Km. In questo esiguo spazio si concentrano in quattro mesi di cruenti combattimenti ben nove divisioni alleate,
mentre intorno a queste in un semicerchio che aveva come base le spiagge del Mar Tirreno, i tedeschi schierarono
altrettante divisioni, molte di queste tra le migliori dell’esercito. Nel corso dei quattro mesi si ebbero sanguinosi
attacchi e contrattacchi da ambo le parti, concentrati soprattutto nei mesi da fine Gennaio a inizio Marzo,
dopodichè sul campo di battaglia scese una relativa calma dove si ricrearono le stesse condizioni del fronte della Iª
Guerra Mondiale, azioni di pattuglia, piccoli ma sanguinosi attacchi locali, per la conquista di avamposti e trincee da
ambedue le parti. L’artiglierie campali e navali numerosissime trasformarono la vita dei già provati soldati in un
inferno in terra. Si costruirono rifuggi sotterranei, l’unico modo per sopravvivere al fuoco tambureggiante dei
pezzi d’artiglieria messi in campo dalle opposte forze. Per complicare ancora di più la vita dei soldati ci fu l’inverno,
freddo e piovoso, che trasformò ben presto l’intera testa di ponte in un pantano fangoso, che se da una parte
evitava l’assalto dei mezzi corazzati a causa del terreno cedevole, da l’altra rendeva altamente drammatica la
sopravvivenza di chi doveva vivere a l’addiaccio nelle buche e tane di volpe, causandogli gravi malattie polmonari.
Come se non bastasse ci fu anche la malaria, malattia tipica dei luoghi paludosi quale era allora la pianura Pontina,
incrementata anche dall’allagamento di vaste aree bonificate da parte delle truppe tedesche, questo per rendere
impossibile il movimento di truppe e carri armati nemici. L’aviazione dei due schieramenti ebbe una parte
importantissima nella battaglia di Anzio-Nettuno, è stato calcolato che nel solo giorno del 16 Febbraio (Operazione
Fish Fang), entrarono in azione ben 600 aerei alleati, sul terreno agricolo di Anzio Nettuno, ossia un aereo ogni
10mq. Le bombe alleate sganciate sulle formazioni italo tedesche raggiunsero 1200 Kg. per ogni mq. di zona di
combattimento. Nel territorio dello sbarco e su un fronte di 40 Km, i tedeschi approntarono 73.000 mine contro le
121.000 alleate. Le perdite umane furono enormi, ci sono testimonianze di G.I. americani che videro interi
battaglioni tedeschi che certi della vittoria attaccavano le loro posizioni cantando inni germanici. Di fronte alle
linee di un battaglione americano dopo un assalto furono contati ben 500 caduti tedeschi. Soltanto durante il
grande attacco tedesco iniziato il 16 e conclusosi il 19 Febbraio ambedue gli schieramenti persero 19.000 uomini.
In quattro mesi ad Anzio e Nettuno caddero 50.000 uomini.
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lungo la “Linea Gustav”’ sul Monte Cassino, e giungere a Roma. Secondo i generali
anglo-americani, da Nettunia le truppe alleate avrebbero dovuto tagliare la strada a
quelle germaniche in eventuale rotta da Cassino verso il nord inseguite dalla “5a
Armata americana”.
Ma a questo punto sopravvenne il disastro, che fece fallire il primo e principale
obiettivo dell’impresa. Il generale Lucas8 si limitò al rafforzamento della testa di
sbarco, preoccupandosi soprattutto che venissero sbarcati gli automezzi e i materiali.
Il generale Penney, che comandava la 1ª Divisione britannica, desiderava spingersi
nell’entroterra, ma la sua brigata di riserva fu tenuta indietro insieme ai servizi di
corpo d’armata.
Le difese della testa di ponte si rafforzavano di continuo9, Kesselring reagì con
prontezza alla critica situazione in cui si era venuto a trovare. Il grosso delle sue
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Il 23 febbraio Lucas veniva rimpiazzato dal gen. Truscott. Ma ormai la situazione operativa era compromessa e
non più risolvibile in breve tempo. Fino a maggio, le forze contrapposte, in stallo, si fronteggiarono senza incidere
sul quadro strategico. Occorrerà conquistare Cassino, per sbloccare la situazione, assurda dal punto di vista
tattico per gli Alleati, di Anzio.
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Il Comando Tedesco non si aspettava uno sbarco di questo genere, per loro fu una sorpresa ssoluta venne così
attuato il piano “RICHARD” (22-23 gennaio). Il piano RICHARD prevedeva il trasferimento verso la linea del fronte
di Anzio di numerose unità: 715° Divisione fanteria motorizzata; 988° Battaglione artiglieria; 1° Battaglione del 4°
Reggimento Panzer; 301 Panzer Abt; 114 Divisione leggera Jager.
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truppe era già impegnato contro gli Alleati sul fronte di Cassino, ma egli raccolse
tutte le forze che poté racimolare e, nel giro di 48 ore, concentrò l’equivalente di due
divisioni per fronteggiare ulteriormente l’avanzata del nemico.
Alle prime ore del mattino del 4 giugno forze speciale con unità corrazzate americane
entrarono nei sobborghi di Roma, dove incontrarono una resistenza che si protrasse
per 9 ore dando la possibilità agli elementi tedeschi rimasti di ritirarsi. Nella giornata
del 5 giugno gli Alleati sfilavano per le vie della città di Roma10.
Anzio fu una fabbrica di delusioni per tutti, anche per i tedeschi. La testa di ponte
divenne un campo trincerato e le truppe di entrambi gli schieramenti dimostrarono in
ogni circostanza alto spirito combattivo e tenace volontà di resistenza. Anche i
reparti messi in campo dalla neo Repubblica Sociale11, nonostante il loro inadeguato
armamento, non sfigurarono nel confronto12. Nel complesso, i generali tedeschi
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Si sa che il 4 giugno gli “alleati” entrarono a Roma accolti da tutti i romani in festa; in realtà nell’Urbe vi erano
ancora alcuni piccoli reparti germanici e civili italiani, che riuscirono a far fronte agli “alleati” per due giorni e ai
militari italo-tedeschi si unirono anche molti romani, che con mitragliatrici e moschetti dettero loro man forte.
Solo il 5 giugno Roma fu conquistata, ma, nonostante ciò, alcuni cecchini italiani continuarono la battaglia sino al 6
giugno, provocando perdite considerevoli alle truppe alleate.
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Secondo molte fonti, i militari della R.S.I., appartenenti ai reparti logistici e a quelli combattenti, che si
avvicenderanno sul fronte di Anzio Nettuno dal gennaio al giugno 44, saranno circa 10.000. Di questi italiani ben
576 resteranno sul suolo della pianura pontina, mentre altri 765 saranno i feriti.
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Battaglione F.M. Barbarigo - Decima Flottiglia Mas; 2° battaglione “Vedetta 1° Sturmbrigade italiana”, I Gruppo
di artiglieria da campagna “San Giorgio; 1° Reggimento Paracadutisti “Folgore”; Battaglione volontari Paracadutisti
“Nembo” (4 Fallschirm Division), III Btg. “Azzurro”; Btg. Genio 2° Pionieri101°,102°,104°,105° e 107°; Btg.
LL/Ispettorato Militare del lavoro (52° Roma/Bis/Ter/Quater/Quinter, 53° Littoria,56°Rieti, 58°
Viterbo,/Bis/Ter/Quater/Quinter, 59°Terni); Cmp. OP 655°- 121 Legione CC.NN. – GNR; Battaglione IX
Settembre GNR; Elementi 1° Battaglione Granatieri di Sardegna; Legione d’Assalto SS Italiane - II Btg. “Degli
Oddi”; 200° Cmp. Di sanità 200° CMR; 64° Cmp. Littoria 58° Comando Militare di Zona 58°DM; Cmp. ENR operative,
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dimostrarono più abilità e prontezza dei loro parigrado avversari nello sfruttare
tatticamente le occasioni favorevoli che si verificavano nel corso delle azioni.
L'operato del Comando alleato fu deludente anche dopo che vennero infrante la linea
Gustav e la morsa attorno a Nettunia. Il maresciallo Alexander, diplomatico e poco
militare, non ebbe la volontà di imporre al generale Clark, (ossessionato dalla smania di
conquistare Roma), il rispetto della direttrice di attacco a suo tempo programmata
mirante a sbarrare il ripiegamento del XIV Corpo d'Armata tedesco in ritirata dal
fronte di Cassino. La sola presa di Roma, senza la distruzione di una gran parte delle
forze avversarie che non fu conseguita per un eccesso di ambizione di una sola
persona, non fu certamente compenso adeguato alle perdite ed ai sacrifici subiti
durante i lunghi mesi passati nel fango di Nettunia e tra le rocce di Cassino.
Operazione “Shingle”, ne valeva la pena? A parte ogni altra considerazione, gli errori
spaventosi compiuti durante gli sbarchi in Sicilia, a Salerno e ad Anzio insegnarono
all’esercito alleato una lezione che, ignorata, forse non avrebbe mai reso possibile lo
sbarco in Normandia, una volta giunto il momento13.
Oggi, ad Anzio14, a Nettuno15-16, a Pomezia17, migliaia di lapidi ci ricordano i tanti
giovani che persero la vita nella loro età più bella. Lottarono allora per ideali e valori
servizi presidiari; Volontari italiani nei Flak Rgt. 5°,57°,131°,149°. Servizio Ausiliario Femminile; e numerosi altri
reparti minori.
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Lo storico Roberto Battaglia disse, "Solo dopo il fallimento dello sbarco di Anzio si provvide seriamente ad
organizzare l'operazione "Overlord", rimasta fino a quel momento soltanto allo stadio di un piano di stato
Maggiore". Nel dopoguerra, il maresciallo Kesselring dichiarò a dei giornalisti americani: "Se non aveste messo a
prova la vostra forza contro di noi ad Anzio-Nettuno, non sareste mai passati nella Francia settentrionale".
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"Beach Head War Cemetery" e si trova sulla Via Nettunese. In questo cimitero sono raccolti circa 2.312 caduti
di cui 288 sono ignoti: tra le nazioni che hanno combattutto affianco degli Inglesi troviamo il Canada, Australia,
Nuova Zelanda, Sud Africa e India.
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"Sicily/Rome American Cemetery and Memorial" il quale originariamente era considerato un cimitero temporaneo
che venne stabilito durante la guerra il 24 Gennaio 1944, due giorni appena dopo lo sbarco. Molti dei morti
provengono dalle battaglie per liberare la Sicilia (Operazione Husky - 10 Luglio 1943) e Salerno (Operazione
Avalanche - 9 Settembre 1943) sino alla liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno del 1944.
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Nel 1993 l’Associazione X° MAS ha costruito a Nettuno, a proprie spese, un sacrario privato, meglio conosciuto
con il nome di “Campo della Memoria”. L’’Associazione è riuscita a traslare all’interno del sacrario i resti dei caduti
del “Barbarigo”. La traslazione è stata possibile solo cedendo il Campo stesso ad Onor Caduti del Ministero della
Difesa, cessione questa che ha trasformato il sacrario privato in un Cimitero Militare. Nel 1999, il Campo della
Memoria viene inserito per la prima volta nelle cerimonie ufficiali di commemorazione dei caduti in guerra e il 20
giugno del 2000, sette Caduti ignoti del fronte di Nettunia sono stati interrati nel Campo. Il 16 giugno 2005, con
solenne cerimonia militare vi vengono trasportati i resti di sessantacinque caduti della Decima Mas tra cui il
capitano Umberto Bardelli, Medaglia d’oro al valor militare. Il 22 gennaio 2007, una delegazione di ufficiali della
marina Britannica rende solennemente omaggio in forma ufficiale ai caduti della R.S.I. sepolti a Nettuno, ed infine
l’8 maggio 2009, cinquecento Penne Nere dell’Associazione Nazionale Alpini si ritrovano al Campo della Memoria per
una suggestiva cerimonia in onore dei caduti della R.S.I., presenti anche dei rappresentanti delle truppe da
montagna spagnole; un picchetto della Brigata “Taurinense” in assetto di guerra presenzia alla manifestazione in
occasione dell’82° Raduno Nazionale degli Alpini a Latina.
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diversi: il comune destino li ha affratellati nella pace che supera qualunque ideologia.
Tutti, americani, inglesi, italiani, tedeschi, hanno compiuto con onore il loro dovere,
lasciandoci un messaggio: far sì che il loro sacrificio non sia stato inutile, ma sia di
esempio e di sprone per operare in maniera che in futuro la ragione e la tolleranza
prevalgano sempre sulla forza e la violenza.
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A Pomezia è invece situato il Cimitero Militare Germanico, il secondo per grandezza fra quelli realizzati in Italia,
dopo quello della Futa nel comune di Fiorenzuola. Complessivamente vi riposano 27.443 caduti germanici di cui
3.770 sono senza nome.
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