Alessandro Pagnini (a cura di) Filosofia della medicina

RECENSIONI&REPORTS recensione Alessandro Pagnini (a cura di) Filosofia della medicina. Epistemologia, ontologia, etica, diritto Carocci, Roma 2010, pp. 584, € 42,50 L’opera collettanea Filosofia della medicina nasce da un gruppo di lavoro, organizzato da Alessandro Pagnini, con l’idea di rendere conto della complessità del dibattito odierno su una delle scienze, la medicina, che maggiormente pone non soltanto problemi di statuto epistemologico – la posizione che occupa all’interno delle scienze “naturali” e delle scienze “sociali”, ma anche di ordine filosofico, giuridico ed etico. Come sostiene lo stesso curatore nella Premessa si tratta di delineare, giocando con un famoso “motto” di Woody Allen, «tutto quello che avreste voluto sapere di filosofia per discutere correttamente dei problemi filosofici della medicina e non avete mai osato chiedere» (p. 15). L’opera si compone di un’Introduzione, che ha la precisa funzione di porre il problema e di definire eventuali percorsi all’interno di una concezione della medicina come scienza, e di diciassette contributi a opera di studiosi italiani delle più differenti estrazioni “culturali”, da filosofi della mente a scienziati sociali, passando per psicologi e filosofi della scienza. Quello che viene presentato come una sorta di manuale, di cui si auspica che possa essere “utilizzato” anche da non specialisti del settore, si divide in quattro parti tematiche: la prima analizza il metodo e i fondamenti delle scienze mediche – al centro vi sono le questioni della definizione di salute e malattia, di cosa bisogna intendere per “medicina 342
S&F_n. 13_2015 scientifica”, qual è la dimensione della “spiegazione” e quali le forme di ragionamento e di generalizzazione scientifica che investono la medicina; la seconda si concentra sulla clinica e approfondisce le questioni della relazione tra metodologia e diagnostica, il problema della decisione e dell’errore in medicina; la terza affronta le questioni riguardanti lo statuto specifico e complesso della “malattia mentale” attraverso l’analisi e la storia dei concetti propri del sapere psichiatrico; la quarta, infine, apre a tutta una serie di problematizzazioni di carattere giuridico ed etico che accompagnano il sapere medico e che lo informano, dalla questione della deontologia professionale a quella della responsabilità del medico fino ai dibattiti odierni che vanno sotto la categoria di “bioetica”. Si tratta, dunque, di un’opera che intende presentare lo stato dell’arte negli studi che riguardano le scienze mediche con una precisa attitudine filosofica. In questo senso, risultano importanti le indicazioni che lo stesso Pagnini ha lasciato a mo’ di introduzione e che vertono sulla questione dello statuto scientifico della medicina. Il punto di partenza sembra essere quello della cosiddetta “disputa sui metodi” (Methodenstreit) che nel tardo Ottocento tedesco pose la questione del rapporto tra le Naturwissenschaften e le Geisteswissenshaften e che ha lasciato in eredità la distinzione tra “spiegazione” e “comprensione”. Si tratta, insomma, sulla scorta di von Wright, di mostrare l’opposizione “tipologica” tra un certo positivismo meccanicistico, basato sul monismo metodologico e l’idea che la fisica matematica sia il modello da applicare a tutte le scienze che pretendano avere questo nome, e un certo antipositivismo finalistico che, oltre a negare i presupposti positivisti, ritiene di poter opporre il comprendere (verstehen) allo spiegare (erklären) come due modalità differenti di costruzione “scientifica”. Anche Jaspers, in questo senso, rientrerebbe in una dimensione antipositivista nella misura in cui oppone, nella sua 343
RECENSIONI&REPORTS recensione analisi dei sintomi psichiatrici, quelli oggettivi e quelli soggettivi. Secondo Pagnini, la “disputa sui metodi” ha agito in profondità all’interno dell’intera storia delle scienze del XX secolo: «il percorso cronologico della distinzione tra spiegare e comprendere va dunque dall’originaria “disputa sui metodi” in seno allo storicismo tedesco […] alle accezioni che, dopo la “svolta linguistica”, se ne sono date nell’ambito della filosofia analitica angloamericana […] un ulteriore sviluppo del tema è maturato nell’ambito dell’ermeneutica» (p. 25). È anche vero, però, che i più recenti sviluppi della filosofia delle scienza tendono a stemperare questa suddivisione, che sembra sempre di più risentire della sua stratificazione storica e di una certa intransigenza metodologica, per cui il vero e proprio punto di partenza sulla questione della medicina come “scienza” sta nel definire «una prospettiva metodologica pluralistica» e «una visione generale della scienza che accoglie considerazioni “pragmatiche” e “regionali”, senza che ciò comporti necessariamente né forme di relativismo assoluto, né un’ammissione incondizionata a priori dei limiti della spiegazione scientifica, né la negazione della possibilità di parlare in modo filosoficamente interessante della scienza in generale» (pp. 26‐
27). A detta di Pagnini, però, in Italia c’è una sorta di resistenza al superamento di questa dicotomia, dovuta a una tradizione di pensiero che ha attinto prima dallo spiritualismo e poi dall’ermeneutica e dal postmodernismo, e che fa sì che la medicina venga considerata primariamente e definitivamente una “scienza umana” o, semplicemente, un’arte o una tecnica. Questo libro ha anche la funzione di dimostrare non soltanto la complessa scientificità della medicina, ma proprio la necessità di “aggiornamento” su cosa si debba intendere in generale ed essenzialmente per “scienza”. Se questi sono i presupposti di natura generale da cui ha preso le mosse il gruppo di studio di Pagnini, la ricchezza di questioni 344
S&F_n. 13_2015 affrontate all’interno dei singoli saggi è talmente vasta da essere pressoché impossibile il renderne conto all’interno di una recensione. Si attuerà, dunque, un “semplice” attraversamento dei problemi che i singoli capitoli pongono, senza poterne discutere approfonditamente e nel merito. La parte prima, quella dedicata ai metodi e ai fondamenti delle scienze mediche, si apre con un saggio di Giovanni Federspil, Pierdaniele Giaretta e Nadia Oprandi sui concetti di salute e malattia: dopo un’attenta ricognizione nelle varie prospettive (analitica, olistica, normativista, naturalista, evoluzionista, sociologiche) e nella storia della “classificazione” nosologica, si afferma che «le astrazioni si ottengono sempre in congiunzione con generalizzazioni e principi che sono rivedibili e che, in quanto tali, rendono problematica la precisazione di come essi colgano aspetti importanti della realtà» (p. 79). Insomma, ogni generalizzazione può essere rivista sulla base dei controlli dell’esperienza, come a dire che ogni “erklären”, anche in ambito classificatorio‐descrittivo, per essere veramente tale, necessita di un “verstehen”. Il secondo saggio è di Stefano Canali e riguarda la ricostruzione di cosa si debba intendere per “medicina scientifica”: dopo aver discusso dei limiti di una concezione meccanicistica e riduzionista propria di certo atteggiamento scientifico, ci si chiede se sia possibile giungere a una “nuova logica della malattia” (pp. 114‐116). L’intervento di Festa, Crupi e Giaretta, invece, indaga le forme fondamentali che assumono il ragionamento e le ipotesi all’interno delle scienze mediche partendo dal presupposto che «quasi nessuno dei più importanti filosofi della scienza del XX secolo ha discusso dettagliatamente esempi illustrativi delle forme di ragionamento usate dai ricercatori medici» (p. 140); l’intervento è particolarmente efficace nel determinare il ruolo del metodo ipotetico‐deduttivo all’interno delle scienze mediche. Il saggio di Raffaella Campaner e Andrea Cavanna si incentra su un problema: «la definizione precisa di cosa sia una legge scientifica continua 345
RECENSIONI&REPORTS recensione a essere oggetto di un’ampia controversia filosofica, che investe anche le varie discipline scientifiche» (p. 143); in questo senso risulta particolarmente interessante la discussione del ruolo del trial clinico controllato come strumento della ricerca scientifica. Margherita Benzi e Raffaella Campaner, invece, nel penultimo intervento della parte dedicata all’epistemologia della medicina, discutono quali debbano essere le caratteristiche logiche che una spiegazione deve possedere per essere ritenuta valida e quali debbano essere i criteri causali da ammettere in una procedura di verificazione. A chiudere la sezione è il saggio di Marraffa che intende volgere «l’attenzione ai principali tentativi di offrire una teoria naturalistica della nozione teleologica di funzione» in maniera tale da “salvare” l’attribuzione funzionale dalle accuse di «essere una forma di criptovitalismo, compromessa con la retrocausazione e il mentalismo» (p. 204). La seconda parte, dedicata al metodo e alla clinica, dunque al contesto proprio della pratica medica, si apre con il saggio di Cesare Scandellari che attua una ricognizione all’interno dei fondamenti di quella che può essere definita “metodologia clinica” partendo dal presupposto che «l’impossibilità pratica di osservare tutto, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, rappresenta quindi un ostacolo teorico, compensato dalla possibilità di procedere a un perfezionamento continuo dell’esame del paziente secondo le esigenze del caso e del momento» (p. 254). L’intervento di Carlo Gabbani, invece, analizza la relazione complessa – sia dal punto di vista epistemologico sia dal punto di vista di una prassi medica – tra la generalizzazione e la determinazione della singolarità del caso clinico; l’idea di fondo è che sia necessaria «un’attitudine che valorizzi anche gli aspetti personali e soggettivi» (p. 271) in quanto «in contesto medico i caratteri individuali distintivi e la pratica dello studio sul caso singolo sembrano avere rilevanza maggiore che in altre discipline 346
S&F_n. 13_2015 sperimentali» (p. 255). Il saggio di Giovanni Federspil si incentra, anch’esso, sulla relazione tra generalizzazione e caso singolo, ma a partire dalla dimensione della diagnostica: fondamentale la ricostruzione storica del concetto e delle pratiche. Il contributo di Vincenzo Crupi e Roberto Festa pone l’attenzione su «gli aspetti centrali dello studio delle decisioni applicandoli a problemi illustrativi della medicina clinica» (p. 291) e prende le mosse dalla “teoria della scelta razionale”, in un percorso che muove da Blaise Pascal, passa per Jeremy Bentham, e arriva fino alla “teoria dei giochi” di von Neumann e Morgenstern. A chiudere la seconda parte, è il contributo di Giacomo Delvecchio e Paola Cherubini che analizzano l’annosa questione dell’errore in medicina: dopo aver distinto “epistemologicamente” l’errore della medicina dall’errore del medico, la parte più interessante riguarda la questione dei “costi” materiali e immateriali dell’errore dal momento che la medicina, nei suoi aspetti pragmatici, si fonda su un confronto continuo tra esigenze economiche (di bilancio) ed esigenze etiche: «nonostante un’attribuzione di normatività, i criteri di efficienza economici non chiudono il campo alle decisioni, ma obbligano il medico ad attrezzarsi per risolvere problemi una volta impensati» (p. 332). La terza parte è invece dedicata alla specificità della malattia mentale nella complessità del suo statuto epistemologico e ontologico. Il primo saggio è di Alfredo Civita e rappresenta un’importante ricognizione all’interno delle specificità della malattia mentale: si sottolinea, quali sono i limiti nella loro stessa definizione e quali nella loro determinazione e “riconoscimento”. L’intervento di Massimiliano Aragona rappresenta un’interessante incursione all’interno dei paradigmi nosografici che nella storia sono stati messi in campo per la determinazione delle patologie mentali: si parte da Pinel, si passa per Esquirol e Kraepelin, e si giunge fino alle varie versioni del DSM (il 347
RECENSIONI&REPORTS recensione Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders); la questione, però, riguarda proprio la crisi del DSM e «la necessità di un ripensamento radicale sul futuro della psicopatologia» (p. 390). Il saggio che chiude la sezione è di Cristina Meini e Michele Di Francesco e cerca di rispondere ad alcune domande, forse tra le più “assolute” se è possibile utilizzare questa espressione, e cioè quelle che riguardano il “chi sono” e il “che cosa sono” dell’identità personale; il percorso è sia di carattere storico sia di analisi di precisi casi clinici che richiamano da vicino le “patologie della coscienza”, il tutto a partire da un presupposto, che sia necessario «immaginare modelli misti che riconoscano le basi sociali dell’identità personale senza entrare in rotta di collisione con i risultati delle scienze della mente» (p. 404). La quarta parte analizza questioni di carattere giuridico ed etico. Il saggio di Mario Ricciardi affronta la questione della deontologia professionale del medico e, sulla scorta di Rawls, si ritiene che «il dovere di rispetto esclude che il medico possa trattare la persona che ha in cura come il soggetto passivo di un intervento terapeutico di cui non conosce la ragione, anche se il paziente si trova in condizioni difficili o è privo della piena capacità di valutare la propria situazione» (p. 451). Il contributo di Luca Pelliccioli e Maddalena Rabitti verte proprio sulla responsabilità del medico, questione quanto mai delicata e perennemente a cavallo tra dimensione etica e dimensione giuridica, soprattutto per quanto riguarda i trattamenti di fine vita. L’ultimo saggio è di Sergio Filippo Magni e Armando Massarenti e rappresenta una mappa concettuale fondamentale per orientarsi all’interno dei dibattiti di bioetica; i casi specifici trattati riguardano, in questo caso, l’inizio vita e la riflessione verte sulla distinzione tra due concezioni differenti di vita – «da un lato si tratta di un concetto definito dalle leggi della biologia; dall’altro di un concetto definito in base a 348
S&F_n. 13_2015 quelle capacità tipicamente umane di ragione, di autoconsapevolezza, di relazioni affettive con gli altri» (p. 518) – e sulla necessità di mettere in campo «un bilanciamento tra il bene e il male che consegue da una certa scelta o azione» (p. 519). In conclusione, si tratta di un volume che permette non soltanto un “aggiornamento” sulle questioni tecniche riguardanti le scienze mediche, ma anche la possibilità di entrare all’interno di dibattiti tra i più importanti della contemporaneità. Anche perché l’ambito della medicina, nel suo essere una scienza complessa e articolata, naturale, umana e sociale, incrocia costantemente e sfiora tangenzialmente qualsiasi ambito della vita e del pensiero umano. DELIO SALOTTOLO 349