Offerta aggregata: salari, prezzi e disoccupazione

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Macroeconomia 9/ed
R. Dornbusch, S. Fischer, R. Startz
Copyright © 2006 – The McGraw-Hill Companies srl
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Offerta aggregata:
salari, prezzi e disoccupazione
Problemi teorici
1.
La curva di offerta aggregata e la curva di Phillips descrivono relazioni sostanzialmente molto simili e
possono essere utilizzate per analizzare gli stessi fenomeni. La curva di offerta aggregata mette in rapporto
il livello dei prezzi e quello della produzione. La curva di Phillips mostra il legame tra i tassi di inflazione
e di disoccupazione, tenendo conto di determinate aspettative inflazionistiche. Uno spostamento lungo la
curva di offerta aggregata indica un incremento del livello dei prezzi associato a un aumento del livello di
produzione. Poiché quando la produzione cresce il tasso di disoccupazione diminuisce (si consideri la
legge di Okun), a un maggior incremento del livello dei prezzi (ossia a un più alto tasso di inflazione)
corrisponderà una riduzione del livello di disoccupazione: in tal modo si ottiene la curva di Phillips a
pendenza decrescente. Questa curva si sposta al variare delle aspettative di inflazione. Di conseguenza, se
si ipotizza che i lavoratori modifichino le richieste salariali quando mutano le loro aspettative riguardo
all’inflazione, si può concludere che una traslazione della curva di Phillips corrisponde a una traslazione
della curva di domanda aggregata, poiché salari accresciuti implicano costi di produzione più elevati.
2.
Nel brevissimo periodo, quando salari e prezzi vengono considerati fissi, non può esistere inflazione e, di
conseguenza, la curva di Phillips non ha senso. Nel medio periodo la curva di Phillips ha pendenza
decrescente, poiché si ipotizza che le aspettative di inflazione rimangano invariate. Nel lungo periodo la
curva di Phillips è verticale in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione e concorda con la curva
di offerta aggregata di lungo periodo, che è verticale al livello di produzione di piena occupazione.
3.
Nel corso del Capitolo 6 vengono fornite diverse spiegazioni riguardo al fenomeno della viscosità dei
salari nel breve e medio periodo.
Una teoria si basa sul concetto di informazione imperfetta dei lavoratori, che non sono a conoscenza del
livello effettivo dei prezzi. Essi non sanno se una variazione del salario nominale sia dovuta a un aumento
dei prezzi oppure se rifletta un incremento del salario reale previsto per il tipo di mansione che svolgono.
A causa di questa incertezza i mercati del lavoro raggiungono l’equilibrio lentamente.
Secondo un altro approccio esistono problemi di coordinamento tra le diverse imprese che operano in un
sistema economico, in quanto esse non sono in grado di concordare le variazioni dei prezzi in seguito alle
manovre di politica monetaria; le singole imprese sono restie a modificare i prezzi dei propri prodotti,
perché temono di perdere la propria quota di mercato.
La teoria dei salari di efficienza afferma che le imprese sono disposte a pagare un salario superiore a
quello in cui domanda e offerta di lavoro si eguagliano, al fine di incentivare i dipendenti ad aumentare il
proprio impegno. Al tempo stesso, però, le imprese sono riluttanti a modificare i prezzi a causa dei
cosiddetti “costi di listino” dell’inflazione che questo comporta (il concetto è chiarito nel Capitolo 7).
Poiché tra imprese e lavoratori si instaurano rapporti a lungo termine e in genere i salari
sono fissati in termini nominali in base a contratti che vengono rinegoziati solo periodicamente, i salari
reali variano nel corso del tempo al variare del livello dei prezzi.
Infine, secondo il cosiddetto modello “insider-outsider”, le imprese contrattano soltanto con i lavoratori
che sono già impiegati e non con quanti sono in cerca di lavoro. Poiché sostituire un lavoratore con un
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nuovo assunto comporta una serie di costi per le imprese, esse sono disposte a offrire ai propri dipendenti
un salario superiore a quello in cui domanda e offerta di lavoro si eguagliano piuttosto che assumere chi è
disoccupato e sarebbe disposto a percepire una retribuzione inferiore.
Questi modelli non si escludono a vicenda e il giudizio sul loro grado di plausibilità è soggettivo. Le varie
spiegazioni presentate si differenziano soprattutto per le diverse ipotesi sulla rapidità con cui i mercati
raggiungono l’equilibrio e sull’esistenza di disoccupazione volontaria e frizionale.
4.
(a) Il termine stagflazione indica un periodo in cui un alto livello di disoccupazione è accompagnato
da un elevato tasso di inflazione.
(b) Il fenomeno della stagflazione può verificarsi quando il tasso di inflazione attesa è elevato. Se
l’economia entrasse in una fase di recessione, il tasso di inflazione effettivo scenderebbe al di
sotto di quello atteso, ma rimarrebbe comunque molto alto, mentre il livello di disoccupazione
aumenterebbe. Se, poniamo, in passato la Banca Centrale ha lasciato crescere l’offerta di moneta
in modo troppo rapido, ci si attende un tasso di inflazione rilevante. In presenza di uno shock dal
lato dell’offerta si verifica un incremento della disoccupazione, mentre il tasso di inflazione atteso
e quello effettivo si mantengono molto alti. Questo è ciò che accadde negli Stati Uniti durante gli
anni Settanta. In una situazione del genere è necessario elaborare politiche volte a ridurre
l’inflazione attesa (per esempio provvedimenti in grado di rallentare la crescita monetaria oppure
misure di controllo dei salari e dei prezzi) per far spostare nuovamente la curva di Phillips verso
sinistra.
5.
Supponiamo che l’economia sia soggetta a una perturbazione e la curva di domanda aggregata si sposti
verso destra. Ne consegue che la disoccupazione diminuisce e l’inflazione aumenta, ovvero ci si sposta
verso sinistra lungo la curva di Phillips di breve periodo. Tuttavia, non appena gli operatori economici si
rendono conto che l’inflazione effettiva è superiore a quella attesa, le loro aspettative di inflazione si
adeguano verso l’alto e la curva di Phillips di breve periodo si muove verso destra, riportando infine il
livello di disoccupazione al tasso naturale. In altre parole, si verifica un processo di aggiustamento
attraverso il quale l’economia ritorna al livello di reddito di piena occupazione.
Se si verifica uno shock negativo dal lato dell’offerta (la curva di offerta aggregata si muove verso sinistra)
la disoccupazione e l’inflazione aumentano contemporaneamente, il che corrisponde a uno spostamento
della curva di Phillips di breve periodo verso destra. Tuttavia, quando gli operatori economici si rendono
conto che l’inflazione effettiva è inferiore a quella attesa, la curva di Phillips di breve periodo comincia a
spostarsi nella direzione opposta e, attraverso un processo di aggiustamento, nel lungo periodo l’economia
ritorna al tasso naturale di disoccupazione.
6.
La curva di Phillips adattata alle aspettative d’inflazione prevede che l’inflazione aumenti oltre il livello
atteso quando la disoccupazione scende al di sotto del suo tasso naturale. Tuttavia, se le persone sanno che
ciò accadrà, perché non si adeguano immediatamente? E se lo facessero, ciò non comporterebbe
l’inefficacia della politica monetaria anticipata nell'allontanarsi dal livello di produzione di pieno impiego?
In realtà, anche se le persone hanno aspettative razionali, possono non essere in grado di adeguarvisi
immediatamente. Una delle ragioni sono i contratti di lavoro che, spesso, fissano i salari per lunghi periodi
di tempo; i cambiamenti necessari al raggiungimento di un nuovo equilibrio di lungo periodo non potranno
pertanto essere realizzati rapidamente. Analogamente, non sempre le imprese modificano immediatamente
i prezzi, perché il costo di tali cambiamenti può essere superiore ai benefici. Infine, anche le persone
razionali compiono errori di previsione ed hanno bisogno di tempo per accorgersene.
In altre parole, la posizione della curva di Phillips adattata alle aspettative d’inflazione è determinata dal
livello di inflazione attesa. Il modello delle aspettative razionali ipotizza che la curva di Phillips di breve
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periodo si sposti quasi istantaneamente all’arrivo di nuove informazioni relative al prossimo futuro. Per
contro, molti economisti ritengono che l’inflazione attesa dipenda dall’esperienza storica recente e che uno
spostamento della curva di Phillips di breve periodo provocata da una variazione delle aspettative
inflazionistiche non possa che avvenire con gradualità.
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Problemi tecnici
1.
Una riduzione dell’offerta nominale di moneta comporta un eccesso di domanda di moneta e un
incremento dei tassi d’interesse, facendo scendere il livello della spesa privata (soprattutto gli
investimenti). Ne consegue che la curva di domanda aggregata si sposta verso sinistra (Figura 1),
determinando un eccesso di offerta di beni e servizi in corrispondenza del livello dei prezzi iniziale,
cosicché il livello dei prezzi inizia a scendere. Poiché la curva di offerta aggregata di breve periodo è
crescente, il sistema raggiunge un nuovo equilibrio di breve periodo in corrispondenza di un livello
inferiore sia dei prezzi sia della produzione (e perciò di un tasso di disoccupazione più elevato).
L’accresciuto tasso di disoccupazione alla fine determina una diminuzione dei salari e quindi una riduzione
dei costi di produzione: pertanto la curva di offerta di breve periodo si sposta verso destra. In alternativa,
poiché il livello di produzione di equilibrio è inferiore a quello di pieno impiego, i prezzi continueranno a
scendere e la curva di offerta aggregata di breve periodo inizia a muoversi verso destra. Finché il livello di
produzione è al di sotto di quello di piena occupazione (Y*), la curva di offerta aggregata di breve periodo
continua a spostarsi verso destra, indicando che il livello dei prezzi continua a scendere. Alla fine il
sistema raggiunge un nuovo equilibrio di lungo periodo in corrispondenza di Y* (il livello di produzione di
pieno impiego) e di un livello dei prezzi inferiore.
2.
La teoria delle aspettative razionali afferma che un cambio preannunciato nella politica monetaria
modificherà immediatamente le aspettative delle persone sul tasso di inflazione. Se le persone si potessero
adeguare subito a questo cambiamento nelle aspettative sull’inflazione, il tasso di disoccupazione
rimarrebbe a un livello di occupazione totale. In questa situazione ipotetica, qualunque cambiamento
annunciato nella politica monetaria non avrebbe influenze sul tasso di disoccupazione. In altre parole,
passeremmo direttamente dal punto 1 al punto 3 del diagramma usato per spiegare la domanda precedente.
In realtà, tuttavia, persino le persone che hanno aspettative razionali e che possono anticipare correttamente
gli effetti dei cambiamenti di politica monetaria, potrebbero non essere immediatamente in grado di
adeguarsi agli accordi salariali, ecc. Quindi, ci sarà sempre una qualche deviazione dal livello Y* di piena
occupazione.
3.
(a) Una riduzione del prezzo delle materie prime fa spostare la curva di offerta aggregata di breve
periodo verso destra, determinando un eccesso di offerta al livello dei prezzi esistente. Nel breve
periodo il sistema raggiunge un nuovo equilibrio in corrispondenza di un livello di produzione più
elevato e di un livello dei prezzi più basso. Tuttavia, poiché la produzione si trova ora al di sopra
del livello di pieno impiego (Y*), si verifica un incremento dei salari e dei prezzi e la curva di
offerta aggregata di breve periodo inizia a spostarsi verso sinistra (Figura 2). Il sistema raggiunge
un nuovo equilibrio di lungo periodo quando ritorna nella posizione di partenza (Y*) e al livello
dei prezzi iniziale (nell’ipotesi che tale variazione del prezzo delle materie prime non abbia
influito sul valore del prodotto di piena occupazione). Poiché i salari nominali (W) saranno
cresciuti, ma il livello dei prezzi (P) sarà rimasto invariato, i salari reali (W/P) risulteranno
aumentati.
(b) Se i prezzi delle materie prime diminuiscono, scendono anche i costi di produzione e la curva di
offerta aggregata si sposta verso destra (Figura 2), determinando un incremento della produzione e
una riduzione del livello dei prezzi. Poiché il livello di disoccupazione è inferiore al suo tasso
naturale, si verifica una carenza di lavoro e i salari aumentano. Questo processo determina un
nuovo incremento dei costi di produzione, cosicché alla fine la curva di offerta aggregata ritorna
nella posizione iniziale di equilibrio di lungo periodo (nell’ipotesi che il valore del PIL potenziale
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sia rimasto invariato).
Figura 2
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