INCONTRI CON I CONTEMPORANEI Nuova Umanità XXIX (2007/2

INCONTRI CON I CONTEMPORANEI
Nuova Umanità
XXIX (2007/2) 170, pp. 277-281
LA MEMORIA CHE SALVA
«Soltanto tu sai custodire come un tesoro tutto ciò che è vero,
ogni cosa bella che ci dà la vita insieme a te». Questi concetti,
espressi in una canzone da me composta molti anni fa quasi per “fissare” l’inizio della mia conversione, mi sono tornati in mente leggendo in alcuni scritti del gesuita artista Marko Ivan Rupnik 1 certe
delucidazioni riguardanti la memoria eterna di Dio. È un tema affascinante, che ho ritrovato anche ne L’amore rimane, l’ultimo libro
di questo religioso sloveno formatosi alle ricchezze spirituali della
Chiesa d’Occidente e di quella d’Oriente: invece di un testo di teologia o di spiritualità, un’insolita raccolta di racconti incentrati sulla
figura del monaco Boguljub. Alla prima occasione, ne ho approfittato per intervistare padre Rupnik al Centro Aletti di Roma, dove ha
sede l’Atelier di arte spirituale da lui diretto.
***
«Senza il ricordo – ha affermato Mario Rigoni Stern, la cui
opera attinge in gran parte all’esperienza della guerra –, è come se
certi eventi non fossero avvenuti». Il ricordo, si direbbe, fa esistere?
1
Marko Ivan Rupnik è nato nel 1954 a Zadlog, in Slovenia. Sacerdote dal
1985, insegna al Pontificio Istituto Orientale e alla Pontificia Università Gregoriana. Vive a Roma presso il Centro Aletti dove dirige l’Atelier di arte spirituale con
il quale, nel 1999, ha concluso il rinnovo a mosaico della cappella Redemptoris
Mater affidatagli da Giovanni Paolo II. Tra i suoi libri (tutti editi da Lipa, e molti
tradotti in varie lingue): L’arte, memoria della comunione; Il discernimento; Il colore della luce.
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La memoria che salva
Sì, in qualche modo ciò che non rimane nella memoria giacché la qualità della vita di una persona si manifesta nella qualità
del suo ricordo è probabile che sia stato vissuto non in pienezza,
ma solo superficialmente. La memoria è una delle dimensioni più
profonde della persona umana perché è intrinsecamente legata all’amore e all’esperienza.
Memoria e amore sembrano coincidere, stando a quanto lei afferma: «Ciò che Dio ricorda è salvato». E più precisamente: «Dio è
la memoria vivente, perché è l’amore, e tutto ciò che l’amore abbraccia rimane in eterno».
La memoria da un lato è un’attività del tutto umana, perché
elaborata dalla nostra intelligenza sulla base dell’esperienza; dall’altro è aperta a quel mistero sconfinato a cui ci introduce la vita
stessa... In ultima istanza, il mistero di Dio, Signore della vita.
Noi conosciamo una memoria che realmente fa esistere: è la
memoria di Dio. Quando Dio si ricorda, le cose esistono: infatti
ciò che è amore non viene meno, non va in oblio, in quanto ha radice nella relazione intratrinitaria. È qui il fondamento di quella
che nella liturgia viene chiamata «eterna memoria» o anàmnesis,
dove la Pasqua di Cristo viene vissuta in eterno sia davanti al Padre, sia nel suo corpo mistico che è la Chiesa.
Come avviene questa anàmnesis nella vita quotidiana del credente?
Una cosa è se io ricordo con la mia memoria legata al corpo
carnale, e un’altra in quanto membro del corpo spirituale di Cristo.
Mediante il battesimo che ci innesta in esso grazie allo Spirito Santo facendoci diventare figli nel Figlio, noi partecipiamo fin da ora
di questa comunione trinitaria dove niente va dimenticato. In realtà
ogni sacramento ci dà modo di accedere all’eterna memoria di Dio.
Come oggi queste realtà siano decadute e si siano perse, lo si costata nei cimiteri, dove troviamo spesso scritto sulle tombe: tu vivrai
nella nostra memoria, noi ti ricorderemo per sempre... Tutte bugie,
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perché Cronos mangia i suoi figli, cioè il tempo cancella tutto. Invece questa eterna memoria non è nostra – lo afferma anche un
bellissimo canto liturgico della Chiesa d’Oriente –, ma è del Signore, e noi preghiamo affinché il defunto venga conservato in essa: di
qui il valore delle messe, dei suffragi, la convinzione che noi nell’Eucaristia, come membra di quest’unico corpo, possiamo vivere
una reale comunione con i nostri defunti; i quali, aiutati dalle nostre preghiere, possono a loro volta intercedere per noi.
Un’altra citazione letteraria, stavolta della poetessa Francesca
de’ Manzoni Boschini: «Ricordarsi non è fasciarsi / del bozzolo aureo del passato, / ma un ricreare l’esistenza, / far nascere un fiore
sul ramo morto. / E i ricordi tristi? / Su quelle notti far fiorire l’alba». Come commenta questi versi?
Profondamente veri! Vede, negli ultimi secoli abbiamo sviluppato una razionalità empirica, oggettuale, analitica, e sotto questo
aspetto abbiamo considerato una sola dimensione della memoria.
Oggi sappiamo perfino riprodurla: è la memoria digitale del computer, capace soltanto di registrare elenchi di fatti e di cose: una
memoria diciamo meno personale, mentre nella sua dimensione
più profonda (in quanto legata al principio agapico, dell’amore) essa è capace di trasfigurare l’esperienza ricordata. Perciò concordo
con la poetessa: anche nel caso di eventi tristi del passato la memoria – purché illuminata dall’amore o almeno aperta ad esso – è in
grado di attuare questo passaggio dal brutto al bello, dal tragico all’esito positivo, dalla morte alla pentecoste. Chi invece non possiede questa memoria trasformante è come inchiodato su episodi, persone, luoghi e soffre di un vero blocco della creatività.
Il fatto è che nel caso di un ricordo negativo, io non posso
semplicemente cancellarlo con la volontà o convincendomi che
non è stato così: no, la memoria è una realtà troppo profonda per
essere gestibile dalla nostra razionalità analitica. Purtroppo per
secoli questo argomento è stato trascurato nel campo teologico e
spirituale: basti pensare che dopo sant’Agostino, il grande teologo della memoria, dobbiamo arrivare alla metà del XX secolo per
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recuperare un po’ queste tematiche (almeno in Occidente). E
quando finalmente le riscopriamo, difficilmente vi giungiamo per
le vie della spiritualità e della teologia, ma facendo appello piuttosto alla nostra razionalità moderna, ricorrendo alla psicoanalisi...
Questo però non funziona: lo spirituale non può essere una semplice proiezione del mondo psicologico!
Nella psicologia più recente si parla anche di “guarigione della
memoria”...
Ma la guarigione della memoria, spiritualmente parlando,
non consiste nel dimenticare ciò che è sgradevole, e viceversa ricordare ciò che piace: solo arrivando, nella luce dello Spirito, a
vedere il proprio vissuto di drammi, peccati commessi o subiti in
rapporto al Mistero – ossia l’amore di Dio che salva nella Pasqua
di Cristo – soltanto allora si è guariti.
È quanto avviene nel sacramento della riconciliazione. L’uomo dopo il peccato in qualche modo si concentra su di esso e la
sua memoria rimane fissa lì, producendo sensi di colpa, nevrosi
ecc. Con la riconciliazione, invece, l’uomo peccatore incontrando
Cristo che ha assunto su di sé il suo peccato, non ricorda più questo peccato in se stesso, con tutto il suo peso, ma al suo posto
contempla il volto della misericordia che salva. Da questo nesso
tra ricordo e amore risulta una vera e propria trasfigurazione della memoria, non solo una guarigione.
A proposito dell’esame di coscienza, questa pratica della memoria, lei parla di «rivivificare il vissuto»... Qual è la sua importanza?
Anche l’esame di coscienza è un esercizio della contemplazione perché consiste nel saper vedere quanto del mio vissuto
corrisponde alla mia identità di uomo liberato, salvato da Cristo,
e quanto invece fa resistenza alla redenzione. Ma allora è necessario aver conservato in qualche modo una memoria del mio “io”
vero. Ora con il battesimo Cristo mi ha reso e visto tale: dunque
l’immagine del mio uomo nuovo ce l’ha solo lui.
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Citando il famoso verso in cui Goethe vorrebbe fermare la bellezza dell’attimo, lei si sofferma su questa memoria, nel campo psicologico, che cerca di trattenere, di rendere presenti le cose. E accenna alla nostalgia come ad una patologia a cui può giungere questa
tendenza esagerata...
Dal dato di fatto che il nostro è un corpo carnale, destinato a
corrompersi, scaturiscono la paura della morte e l’ansia di rimanere, di salvarsi; ha radice qui quest’ansia di trattenere la vita
benché essa ci scivoli tra le mani. È la nostalgia, l’aspetto patologico della memoria, questo tentativo vano di rendere presente un
passato di cui si soffre la mancanza. Esso può creare non pochi
problemi: i nostalgici infatti difficilmente sono persone malleabili;
bloccati nella loro creatività, in genere impongono le proprie idee
agli altri, un fenomeno che la storia registra in ambito culturale,
sociale, politico ed anche ecclesiale.
Cosa intende dire scrivendo: «II bene dimenticato è un bene
vero»?
Qui sulla terra, a causa del peccato, la memoria del bene è
piuttosto problematica, così come problematico risulta ogni giudizio se non è fatto con discernimento e con una memoria purificata. Sarebbe ingenuo pensare che l’amore susciti immediatamente una risposta d’amore. Esemplare in questo senso è la vicenda
di Giuseppe in Egitto che, proprio perché ha fatto del bene, viene messo in prigione e lì dimenticato. Molto spesso l’uomo non
scorge il vero bene, non lo apprezza, lo calpesta o lo scorda. Per
l’uomo spirituale invece, non aver ricevuto ringraziamenti né applausi diventa quasi una conferma della bontà del suo operato. A
lui infatti interessa il bene che Dio ricorda, conscio che solo quello che rimane in lui è vero bene.
ORESTE PALIOTTI