ISSN: 2038-7296
POLIS Working Papers
[Online]
Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS
Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS
POLIS Working Papers n. 213
April 2014
OPAL
Osservatorio per le autonomie locali
N.4/2014
Andrea Patanè et al. (DRASD)
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
OPAL
OSSERVATORIO PER LE AUTONOMIE LOCALI
n. 4
aprile 2014
(a cura di Andrea Patanè )
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INDICE
Editoriale di Jörg Luther, La vastità delle aree e quella dei problemi della
loro sistemazione.............................................................................................................pag. 7
REGIONI, STATO, EUROPA
Giovanni Boggero, Referendum in Crimea e a Sebastopoli: Il diritto
all’autonomia non dà titolo alla secessione. Commento al parere adottato
dalla Commissione di Venezia nella sessione plenaria del 21-22 marzo
2014………………………………………………………………………………………………pag. 16
Andrea Patanè, E’ Illegittima la ricollocazione di fondi regionali destinati al
settore sanitario per funzioni diverse: Annotazione alla sentenza della Corte
Costituzionale n. 241/2013………………………………………………….………….pag. 21
Monica Bartimmo, Assunzioni nell’amministrazione regionale: concorso o
mobilità ? ……………………………………………………………………………………….pag. 25
Nicola Dessì, La legge regionale non può attribuire ai comuni il potere di
approvare, in via definitiva, i piani attuativi dello strumento urbanistico
generale (Corte costituzionale n. 272/2013)…………………...……………….pag. 28
FUNZIONI E SERVIZI
Maria Josè Zampano, La delega di funzioni amministrative per l’uso di un
bene demaniale non incide sulla titolarità delle stesse ………………........ pag. 30
Maria Josè Zampano, Escluso da procedure di gara per appalti chi si avvale
di procuratore speciale privo di onorabilità professionale…..……………pag. 34
Matteo Porricolo, L’inammissibilità costituzionale del referendum sul
“Taglia Tribunali” ………………………………………………………………………..…pag. 36
Elena Ponzo, Il diritto di subentro al familiare assegnatario nell’edilizia
residenziale pubblica. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n.
5579/2013………………………………………………………………………………..……pag. 40
Nicola Dessì, All’affidamento in house dei servizi di pubblica utilità, possono
ricorrere anche piccoli comuni con quota minima di capitale e privi di
rappresentante negli organi direttivi. Annotazione alla sentenza del T.A.R.
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Lombardia, sezione di Milano, n. 2588/2013………………………….…………pag. 42
Nicola Dessì, Solo i comuni possono individuare al loro interno le zone in cui
collocare le farmacie (Corte costituzionale n. 255/2013)..……………..…pag. 48
CITTADINI ED ENTI
Marco Comaschi, Il fragile sistema del t. p. l. piemontese rischia di essere
travolto dall'ordinanza n. 31-2014 del T.A.R. Piemonte…………..……..…pag. 51
Maria Bottiglieri, Le autonomie locali sono tenute ad attuare il diritto al cibo
adeguato dei cittadini europei ? Commento a risoluzione assemblea
parlamentare del Consiglio D’Europa n. 1957/2013 adottata il 3 ottobre
2013…….……………………………………………………………..……………..…………..pag. 60
Nicola Dessì, La legge statale non può imporre la gratuità degli incarichi
nelle comunità di valle delle province di Trento e Bolzano (Corte
costituzionale n. 263/2013)…...………………………………………………...……..pag. 78
ELEZIONI ED ORGANI
Luca Beccaria, I commissariamenti delle Province Regionali siciliane nella
sentenza del T.A.R. 9 gennaio 2014 n. 17…..……………………………….………pag. 81
FINANZA E CONTABILITA’
Elena Ponzo, Legittimo tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici senza
contratto collettivo. Annotazione a sentenza della Corte costituzionale n.
310/2013…….…………………………………………………………………………………..…pag. 88
Paolo Marta, Il danno erariale per spese di rappresentanza illegittime dei
consiglieri regionali. Annotazione a sentenza della Corte dei Conti, sez. reg.
Friuli Venezia Giulia, 3.2.2014, n. 11……………………………………………......pag. 91
SOTTO LA LENTE
Matteo Porricolo, La discussione sulle autonomie territoriali nella
commissione per le riforme costituzionali del Governo Letta………….…pag.97
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Andrea Patanè, a cura di, scheda riassuntiva dei progetti di legge di
revisione costituzionale……………………….………………………………………..pag. 101
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EDITORIALE
di Jörg Luther
La vastità delle aree e quella dei problemi della loro sistemazione
I libri dell’ANCI, pubblicati sotto le cure del Comitato di indirizzo scientifico
presieduto da Franco Pizzetti, parlano di un “nuovo sistema degli enti
territoriali, dopo le recenti riforme decretate, dal ‘Salva Italia’ ai decreti
‘Spending review 1’ e Spending review 2’” (F. Pizzetti / A. Rughetti (a cura
di), Il nuovo sistema degli enti territoriali dopo le recenti riforme, Maggioli
2012) ai quali si aggiungono ora i centocinquantun commi della legge 7
aprile 2014, n. 56 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni”), detta “Delrio” e certamente non estranea
alla cultura politica dello stesso ANCI. Dal punto di vista dei politici
dell’ANCI e di quelli dell’UPI, non si possono certo negare le innovazioni, ma
per il linguaggio giuridico tecnico pare ardito parlare di un “sistema” e per
di più di un “ sistema nuovo”, il tutto ancora prima dell’approvazione
incerta del d.d.l. Renzi/Boschi, scelto come testo base della riforma
costituzionale al senato e accompagnato da un ordine del giorno dell’ex
ministro Calderoli che recepisce un progetto alternativo delle opposizioni.
(1) Relativamente nuovo è il neologismo “area vasta”, termine con il quale
si intende evidentemente rilegittimare le istituzioni della provincia e la città
metropolitana, la prima specie notoriamente minacciata di eutanasia (A.C. n.
1543 “Abolizione delle Province”), la seconda specie legislativamente
concepita da decenni, ma mai amministrativamente partorita. Il termine,
emerso già nel. D.l. n. 95/2012, dichiarato incostituzionale dalla sentenza n.
220/2013, domina oramai la dottrina, ma non è mai stato definito con
precisione. Quindi che cosa significa “area vasta” ? La filologia comune
insegna che “vasto” non è solo una “voluminosa formazione muscolare”, ma
un aggettivo che “può riferirsi a dimensioni puramente astratte”, “oscillare
fra la nozione spaziale e l’idea di entità fino ai limiti di un rilievo
esclusivamente morale” e deriva dal latino “vastus”: devastato, vuoto,
spopolato, deserto” (Devoto Oli). Raramente il linguaggio giuridico riesce a
rallegrare i cittadini, ma un’analisi più attenta della carriera giuridica del
termine dimostra che proprio questa riconduzione della provincia a una
categoria di mera “geografia giuridica”, linguaggio dal quale proviene anche
il termine “regioni”, rischia di svuotare di senso e spirito l’istituzione, di fare
trionfare una sorta di nichilismo giuridico.
Viceversa, secondo una fonte anonima quotata su wikipedia, “quello di area
vasta è un concetto emergente, presente in una moltitudine di atti legislativi
regionali, utile per la riorganizzazione del territorio e dei rapporti tra Enti
locali e per la pianificazione delle politiche locali, oltre che per
l'ottimizzazione delle risorse a un livello sovra provinciale. La ragione
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principale di una lettura ed interpretazione del territorio per "aree vaste"
sta nel concetto di "rete di relazioni", viste come il superamento della
dimensione locale, da un lato, e la ricerca di una dimensione della
programmazione che supera gli ambiti amministrativi provinciali senza
arrivare al livello regionale. L'Area Vasta si configura, quindi, insieme come
chiave di lettura di relazioni più vaste quando si guarda alla
programmazione strategica del territorio.” La geografia si salda con
ingegneria amministrativa e la ricerca di sinonimi associa “vasto” a “più
ampio”, a “più grande” (Greater-Lond, Grossberlin) o anche semplicemente
a “super-“. Si intuisce allora come la percezione della maggiore grandezza
del territorio stimola ed esalta bisogni di pianificazione e di
programmazione, bisogni la cui proiezione era particolarmente sentito negli
anni settanta nelle regioni che cercavano di costituire comprensori. In
effetti le prime tracce del concetto sono rinvenibili nella dottrina
amministrativa degli anni settanta, quando U. Pototschnig distingue i servizi
personali di area ristretti dei comuni dai servizi di area vasta provinciali,
concettualmente già “spersonalizzati” (Per una nuova legislazione comunale
e provinciale, Le Regioni 1975, 1073ss.; cfr. ora S. Mangiameli (a cura di),
Province e funzioni di area vasta : dal processo storico di formazione alla
ristrutturazione istituzionale, Roma : Donzelli, 2012).
Se la pianificazione e programmazione appare ora nella legge n. 56/2014
come una sorta di cuore ringiovanito delle province, si potrebbero
dichiarare vincitori gli esperti della programmazione strategica del
territorio che avevano utilizzato il concetto paradossalmente per superare
la geografia attuale delle province. Negli anni ottanta si etichettavano aree
vaste semmai i parchi (Il parco nazionale dello Stelvio : la più vasta area
protetta d'Italia [s.l.] [s.n.], 1982). Ripercorrendo la storia del concetto nella
legislazione regionale, si trova ad es. la l.r. n. 53/1995 dell’Emilia-Romagna,
il cui art. 4 revisionato nel 2000 co. 2 aveva attribuito all’area
metropolitana di Bologna “g) in materia di sanità, scuola e formazione
professionale: 1) l'esercizio di funzioni di programmazione e
coordinamento e di gestione di area vasta.” In un’intesa delle province della
costa tirrenica della Toscana del 2002, l’Area Vasta veniva definita poi come
“ambito adeguato per l’analisi dei processi di sviluppo” e come “unità di
riferimento utile per la programmazione degli interventi a scala ampia ma
di livello sub-regionale” (F. Virgili, L’Area Vasta nell’esperienza della
Toscana. Una realtà a due dimensioni, da: http://www.astrid-online.it/--letrasf/Note-e-con/Virgili_area-vasta-toscana_26.6.06.pdf). Il concetto serviva
quindi a promuovere proprio quella riforma territoriale prospettata dall’art.
132 cost. che si è arenata in questa legislatura e che diventerà, semmai,
dopo la decostituzionalizzazione delle province un compito del nuovo
Senato. Quindi il nuovo “mantra” della vastità è alla fine solo un’invenzione
di alcuni ordinamenti regionali, anzi ?
Gli esperti del diritto degli enti locali ricorderanno che la l. 5 giugno 1990,
n. 142 aveva attribuito alla Provincia la funzione di mediare tra comuni e
regioni, di curare gli interessi e di promuovere lo sviluppo della “comunità
provinciale” (art. 2 co. 3, ora art. 3 co. 4 TUEL), riconoscendo alla provincia
“le funzioni amministrative che riguardino vaste zone intercomunali o
l’intero territorio provinciale” in determinati settori (art 14 co. 1, ora art. 19
co. 1 TUEL).
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Se queste disposizioni devono considerarsi non implicitamente abrogate
dalla legge n. 56/2014, che ne sarà della “comunità provinciale” ? Avrebbe
come base individuale solo più gli enti comunali o, con un po’ di fantasia,
una cittadinanza derivata da quella comunale o, istituzioni e cittadini “misti”
? Sul punto, la riforma degli organi di rappresentanza non si è fermata. Ma
anche la definizione legislativa della funzione complessiva dell’ente
provincia dovrebbe rileggersi ora più o meno come segue: “Spettano all’area
vasta provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che
riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio dell’area vasta.”
Una mission non proprio chiara, anche in un contesto di sussidiarietà.
Peraltro, proprio la storia del concetto dimostra che la vastità geografica
difficilmente può essere assunta a caratteristica giuridica solo della
provincia e dell’area metropolitana. Perché non sono aree vaste anche aree
infra- o interprovinciali e interregionali come il parco del Gran Paradiso,
perché non sono aree vaste anche le stesse Regioni, lo Stato e l’Unione
europea ?
Definire la stessa provincia come “area vasta” serve soprattutto a ridefinire
le funzioni fondamentali transitorie in un’ottica riduttiva. La provincia deve
pianificare e programmare il proprio territorio e gestire dei database, non
ha più funzioni fondamentali in materie ambientali e culturali, ad eccezione
dell’edilizia scolastica, una responsabilità solo indiretta per la cultura, e ad
eccezione del controllo sulla pari opportunità che è una funzione dai profili
giuridici incerti di garanzia di civiltà. Le aggiunte sembrano fatte proprio
per prevenire le censure del Consiglio d’Europa fondate sulla European
Charter of Local Self-Government, le province non sarebbero più enti di
autonomia locale, ma solo enti “multiutility” per area vasta, una sorta di
parchi nei quali i cittadini sono resi oggetti, ma non più soggetti committenti
della pianificazione e programmazione, esclusi dall’amministrazione
dell’ambiente. In effetti, solo le nuove provincie montane – si noti bene: non
anche le aree metropolitane montane come quella di Torino (!) – e quelle
frontaliere potranno tingere la vastità di verde.
(2) I nessi tra la l.n. 56/2014 e la riforma costituzionale del titolo V, ma
anche del titolo quarto e sesto, meritano ulteriore attenzione perché si
condizionano reciprocamente. Si tratta di una legge che riforma le strutture
e le funzioni delle province in una (non dolce) “attesa della riforma del titolo
V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di
attuazione”, non pronunciandosi sulla “abolizione delle province”.
A tal riguardo va ora tuttavia notato che l’o.d.g. Calderoli, approvato dalla
commissione affari costituzionali del sento in data 6 maggio 2014, richiede
di emendare il d.d.l. Renzi/Boschi, integrando “un elenco di materie di
competenza esclusiva regionale, con particolare riferimento alle seguenti:
ordinamento della Regione; governo del territorio e urbanistica;
pianificazione e dotazione infrastrutturale del territorio regionale e
mobilità al suo interno; promozione dello sviluppo economico locale,
scientifico e tecnologico nei diversi settori; mercato e politiche del lavoro;
turismo di ambito regionale; valorizzazione dei beni culturali e ambientali;
attività culturali; organizzazione dei servizi alle imprese; tutela della salute
e organizzazione dei servizi sanitari; protezione civile; servizi sociali;
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organizzazione dei servizi scolastici, salva l'autonomia delle istituzioni
scolastiche; diritto allo studio anche universitario; istruzione e formazione
professionale; coordinamento della finanza locale e forme associative degli
enti locali; ordinamento degli enti di area vasta.” In questo modo, il regime
transitorio diventerebbe probabilmente cedevole e le Regioni potrebbero
salvare o superare definitivamente le proprie province. Anche nel d.d.l.
Renzi/Boschi, la competenza in materia di province veniva inizialmente
regionalizzata, cancellando dall’art. 117 co. 2 lett. p il riferimento esplicito
alle province, ma la versione definitiva ha deciso di riservare allo Stato con
un potere di veto superabile del Senato “l’ordinamento degli enti di area
vasta”, quindi in ultima analisi il potere di decidere se tali enti restino solo le
aree metropolitane o anche le province.
L’esito del procedimento di revisione costituzionale non è prevedibile e una
decisione politica entro giugno 2014 appare poco probabile. Il regime
transitorio rischia quindi di fare la fine della transizione all’italienne,
trasformandosi di fatto da transitorio in finale, più per l’inerzia che per una
scelta della quale qualche rappresentante risponda democraticamente. Nel
frattempo si potranno prospettare tuttavia dubbi e questioni di
costituzionalità e di conformità alla Carta europea della legge Delrio, in
particolare sulla riforma della rappresentanza delle province che la riforma
costituzionale sembra voler fugare e prevenire, usando la loro
decostituzionalizzazione anche come uno strumento di sanatoria. La
querelle sulla elettività o non elettività (diretta) degli organi provinciali si
rispecchia notoriamente in quella dell’organo che dovrebbe prendere il
posto del Senato attuale. Se si passasse da una elezione indiretta della
seconda camera, analoga a quella degli organi collegiali della Provincia, a
un’elezione prevalentemente diretta, ancorché simultanea con le elezioni
regionali, una simile scelta della politica costituzionale potrebbe indurre
anche una revisione del “nuovo sistema” delle province ?
Il d.d.l. Renzi/Boschi concepisce il Senato delle autonomie come organo dello
Stato che “rappresenta le istituzioni territoriali” e i cui membri sono eletti
prevalentemente in Regione, cioè dal corpo elettorale regionale
(Presidente), dai consigli regionali e dall’assemblea dei “sindaci della
Regione” (rectius: assemblea regionale dei sindaci). La “rappresentanza
istituzionale” è certo un’idea non nuova, ben radicata nelle tradizioni del
corporativismo italiano sopravvissute nel CNEL. Potrebbe sembrare
impresa più difficile per senatori eletti come esponenti di partito che non
per senatori espressi dalle istituzioni la buona intenzione di integrare e
ricomporre in un’istituzione paritetica l’antagonismo storico tra l’antica
Italia
comunale
e
quella
nuova
delle
Regioni
(www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli
/allegati/II_Seminario_AIC_Luciani.pdf). Ma restano non pochi i punti deboli
e migliorabili della proposta di riforma costituzionale: l’insufficiente
legittimazione democratica del nuovo Senato, l’indebolimento complessivo
del parlamento rispetto al Governo, l’insufficiente coordinamento delle
procedure di legislazione urgente e di decretazione d’urgenza, la mancata
riforma della giustizia elettorale, anche la mancata valutazione dell’impatto
sulle Regioni e il possibile effetto di disincentivazione delle riforme
territoriali. Le criticità principali dal punto di vista del principio
democratico sono: 1) La modifica della Costituzione sarà approvata da un
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
parlamento bicamerale dotato di minore legittimazione democratica
complessiva della sola Camera dei deputati che approva le leggi ordinarie
(purché riceva una legge elettorale più democratica). 2) I ventuno senatori
nominati dal Presidente non rappresentano le autonomie territoriali, ma
rischiano di rieleggere il Presidente che a sua volta potrebbe rinominarli, un
meccanismo di cooptazione lontanissimo dal principio di democrazia. 3) I
senatori non risponderanno delle loro scelte senatoriali nei consigli
regionali e comunali, piuttosto nelle sedi dei partiti politici e dell’ANCI.1
In ogni caso restano molteplici problemi di impatto pratico della legge n.
56/2014 sulla riforma costituzionale in itinere e sulle leggi attuative della
stessa delle quali è possibile accennare solo ad alcuni. Innanzitutto bisogna
scegliere quanto meno in sede di legislazione attuativa sulle incompatibilità
se, a differenza dei sindaci delle città metropolitane, i sindaci presidenti di
provincia devono o possono essere esclusi dall’accesso alla nuova seconda
camera. Le province riformate a prima vista non sarebbero istituzioni
territoriali da rappresentare, dotate di autonomie proprie (cioè non
derivate da quelle comunali) da difendere in Senato, ma si potrebbe anche
argomentare che sono solo escluse dalla funzione di raccordo. Semmai
sarebbe il sovraccarico di lavoro a giustificare una scelta di incompatibilità,
ma nel caso della città metropolitana è stato ritenuto trascurabile tale
effetto.
Resta poi da verificare l’impatto della legge Delrio sull’autonomia statutaria
regionale, in particolare sulla disciplina del “Consiglio del autonomie locali”.
La riforma costituzionale non ritocca l’art. 123 co. 3 cost. che prevede tale
istituzione, pensata come “organo di consultazione fra la Regione e gli enti
locali” e non esclude necessariamente le province e le città metropolitane da
tale categoria, ora comprensiva anche degli enti di area vasta. La legge n.
56/2014 rischia tuttavia di favorire una sovra-rappresentazione dei comuni
i cui sindaci sono presidenti di provincia e pertanto – ad es. in Piemonte –
ope legis regionalis anche membro del CAL. Deve essere escluso che un
sindaco cumuli la propria carica con una carica provinciale, una nel CAL e
una nel Senato delle autonomie ?
Infine occorre completamente valutare l’impatto della legge n. 56/2014 e
quello della successiva riforma costituzionale sul cd. sistema delle
conferenze (cfr. soltanto le prime preoccupazioni espresse dall’UPI in
http://www.upinet.it/docs/contenuti/2014/04/UPI_legge_entilocali_4april
e2014%20definitivo.pdf). La prospettata “integrazione” tra ANCI e UPI non
è ancora avvenuta. La rappresentanza delle città metropolitane sarà
contesa.
Un
ridimensionamento
numerico
della
conferenza
corrisponderebbe alle logiche della spending review. L’assorbimento delle
conferenze nella nuova seconda camera è auspicabile, ma non assicurato e
in sostanza rinviato a leggi di attuazione per le quali non è previsto alcun
calendario. Senza tali scelte attuative, l’unico sistema è quello della
navigazione a vista, in inglese: smuggling through.
1
Cfr. al riguardo http://www.formiche.net/2014/04/05/senato-renzi-bundesrat-confronto-profluther/
12
(3) Resterebbe infine la necessità di un’accurata valutazione dell’impatto
finanziario della legge e della riforma costituzionale. Non è che le riforme
istituzionali e costituzionali devono avere come scopo principale
l’economia, ma non si deve neanche cadere nell’estremo opposto secondo
non importa se recano danno alle finanze pubbliche. Nell’audizione del 16
gennaio 2014, la sezione autonomie della Corte dei conti aveva espresse
nuove perplessità sui costi delle riforme, ribadendo la necessità “che
sull’attuazione del d.d.l. all’esame si proceda ad un attento e continuo
monitoraggio - utilizzando gli strumenti previsti dall’art. 29, comma 8 –
sotto tre profili: 1. Rispetto dei termini previsti per gli adempimenti
esecutivi della riforma; 2. Effettivo concretizzarsi dei potenziali risparmi
attesi; 3. Rilevazione degli eventuali costi aggiuntivi emergenti che devono
trovare tempestiva adeguata copertura.”
(http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2014/01/Provinceaudizione_16_01_2014.pdf) In particolare la previsione della gratuità delle
cariche di rappresentanza degli enti locali (art. 1 co. 82 e 84) rischia di
essere giudicata in contrasto con l’art. 7 della citata Carta europea (“The
conditions of office of local elected representatives shall (…) shall allow for
appropriate financial compensation for expenses incurred in the exercise of
the office in question as well as, where appropriate, compensation for loss of
earnings or remuneration for work done and corresponding social welfare
protection.”).
Allegato I all’editoriale di Jörg Luther, pag. 7.
http://www.formiche.net/2014/04/05/senato-renzi-bundesrat-confrontoprof-luther/
Professor Luther, il sottosegretario Delrio ha detto che il Senato in Italia
“diventerà come in Germania”. E’ così? O il modello presentato da Renzi non
ha nulla a che vedere con il Bundesrat tedesco?
Non bisogna essere necessariamente costituzionalista per constatare che il
modello pubblicato dal Ministro delle riforme non imita quello tedesco.
Tuttavia contiene più tracce di elementi tedeschi che di elementi francesi,
ma anche qualche traccia statunitense. Certo dare alla Valle d’Aosta lo
stesso numero di senatori della Lombardia è un federalismo tanto
provocatorio da essere indigeribile per i federalisti lombardi. Il modello
tedesco pretenderebbe un riequilibrio a favore delle grandi Regioni che
avrebbero più rappresentanti o voti, anche secondo quel principio della cd.
proporzionalità degressiva che ispira la composizione del parlamento
europeo.
Il Bundesrat tedesco è consigliabile come modello da applicare in Italia?
Per i comparatisti nulla è da imitare o applicare senza modifiche, tutto è
utile solo se rielaborato bene. Tutto dipende da come si vuole adeguarlo al
contesto italiano. Nel panorama del bicameralismo comparato, il modello
del Bundesrat è unico e non è mai stato recepito altrove, quindi non
abbiamo esperienze che possano dare consiglio.
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
In base ai suoi studi, ci sono punti avvicinabili tra i due modelli?
Allo stato attuale dei miei studi, oserei dire:
1) La seconda camera non è elemento necessario di uno stato federale, ma il
Bundesrat è molto caratteristico per il federalismo esecutivo della Germania
che ha funzionato bene per moderare i conflitti tra nord e sud, ovest ed est e
potrebbe rafforzare la coesione nazionale.
2) I poteri della seconda camera crescono ogni volta che il centro pretende
di sottrarre competenze alla periferia, tendenza ben presente nel contesto
italiano.
3) A lungo termine, il potere di veto del Bundesrat è diminuito, tendenza
che potrebbe fare bene anche all’Italia.
4) Nel Bundesrat, i governi regionali rappresentano anche le esigenze delle
autonomie locali, mentre nel modello italiano si affianca al federalismo
regionale quello municipale, sperando forse che uno neutralizzi l’altro.
5) Nel Bundesrat, i governi regionali si fanno rappresentare anche da
esperti delle proprie amministrazioni, ragione per cui l’organo non
sostituisce, ma rafforza le conferenze intergovernative la cui funzione di
“raccordo” sembrerebbe passare al Senato delle autonomie (complicazione
tutta da chiarire).
6) Il Bundesrat è strumento di partecipazione degli enti territoriali al
parlamento federale, ma l’esperienza dimostra che la rappresentanza degli
interessi territoriali conta molto poco rispetto a quella degli interessi di
partito e alle dinamiche delle elezioni regionali, ragione questa forse non
sufficientemente ponderata nel progetto governativo.
In sintesi: non è detto che il modello tedesco non possa essere utile, ma il
diavolo sta nei dettagli, finora non sufficientemente studiati, del suo
adeguamento al contesto costituzionale italiano.
In Germania la Legge fondamentale è modificabile? Ci sono levate di scudi
come in Italia con appelli contro chi osa toccare la “Costituzione più bella
del mondo”?
La situazione tedesca è diversa perché le modifiche sono state più frequenti
e più circoscritte che in Italia. In Germania nessuno oserebbe proporre una
revisione radicale della Costituzione, anche perché si considera quella
tedesca – con non minore narcisismo – più bella di quella italiana. La
cancelliera non avrebbe remore di negoziare riforme costituzionali con i
grandi partiti anche se fossero all’opposizione, ma il Presidente federale
certo non oserebbe promuovere da parte sua riforme costituzionali non
ancora presentate al parlamento.
E’ vero che c’è interesse da parte della comunità internazionale per la
proposta renziana come dice il premier? Se sì, perché?
La proposta sarà considerata utile forse a Bruxelles, nelle ambasciate e
magari anche nella BCE di Francoforte, ma allo stato attuale non esiste
ancora un dibattito internazionale dei costituzionalisti in argomento, anche
perché non esiste ancora un testo ufficiale.
Se ci sarà interesse, varrà probabilmente per l’originalità di una
rappresentanza dei sindaci. Vorranno chiedere come farà un sindaco a
reggere un capoluogo e stare in parlamento, vorranno sapere come può
funzionare un tale organo se non è garantita la longevità dei governi esso
rappresentati, vorranno vedere un preventivo dei risparmi effettivi ecc.
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Quali i punti forti del disegno di legge?
I punti forti sono l’obiettivo del superamento del bicameralismo paritario, la
semplificazione del sistema delle competenze legislative e l’abolizione del
CNEL.
Quali i punti deboli?
I punti deboli sono l’insufficiente legittimazione democratica del nuovo
senato, l’indebolimento complessivo del parlamento rispetto al Governo,
l’insufficiente coordinamento delle procedure di legislazione urgente e di
decretazione d’urgenza, la mancata riforma della giustizia elettorale. Forse
anche la mancata valutazione dell’impatto sulle regioni e la
disincentivazione delle riforme territoriali. Sicuramente la mancanza di
motivazione e il mancato drafting di norme transitorie.
Condivide il rischio di “svolta autoritaria” evidenziato nel manifesto di
Libertà e giustizia?
Per quanto riguarda il problema democratico, giustamente sollevato anche
da altri professori, segnalo solo le criticità principali:
1) La modifica della Costituzione sarà approvata da un parlamento
bicamerale dotato di minore legittimazione democratica complessiva della
sola Camera dei deputati che approva le leggi ordinarie (purché riceva una
legge elettorale più democratica).
2) I ventun senatori nominati dal Presidente non rappresentano le
autonomie territoriali, ma rischiano di rieleggere il Presidente che a sua
volta potrebbe rinominarli, un meccanismo di cooptazione lontanissimo dal
principio di democrazia.
3) I senatori non risponderanno delle loro scelte senatoriali nei consigli
regionali e locali, piuttosto nelle sedi dei partiti politici e dell’ANCI.
Come renderlo più democratico dunque?
Se si preferisce un Senato con una legittimazione democratica maggiore,
nulla vieterebbe di fare eleggere anche i senatori che non sono già eletti
presidenti o sindaci. Oltre ai senatori espressi dal Consiglio regionale, due
senatori potrebbero essere eletti direttamente in Regione, limitando il
diritto di candidatura individuale a sindaci, assessori e consiglieri locali in
carica da almeno 5 anni e sostenuti da un numero adeguato di firme di
sostegno, con possibile rielezione per un’ulteriore legislatura
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
REGIONI STATO EUROPA
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Referendum in Crimea e a Sebastopoli: Il diritto all’autonomia non dà
titolo alla secessione. Commento al parere adottato dalla Commissione
di Venezia nella sessione plenaria del 21-22 marzo 2014.
di Giovanni Boggero
Parole chiave: Autonomia locale, Diritto di secessione, Crimea, Ucraina,
Russia, Forma di Stato
Riferimenti normativi: Costituzione dell'Ucraina 1996, Costituzione
dell'Ucraina 2004, Costituzione della Repubblica autonoma di Crimea del
1998
Massima riguardante il primo quesito referendario: The Ukrainian
Constitution prohibits any local referendum which would alter the
territory of Ukraine
Massima riguardante il secondo quesito referendario: The
Constitution of the Autonomous Republic has to be approved by the
Verkhovna Rada. A referendum that provides for a return to the 1992
Constitution of the Autonomous Republic of Crimea could only be
regarded as a consultative local referendum
Link al documento
In data 7 marzo 2014, il Segretario generale del Consiglio d'Europa,
Thorbjørn Jagland, ha richiesto un parere giuridico alla Commissione di
Venezia sulla compatibilità con “principi costituzionali” della risoluzione del
Consiglio supremo della Repubblica autonoma di Crimea di organizzare un
referendum sul quesito se aderire alla Federazione russa o restaurare la
Costituzione della Crimea del 1992.2 Secondo la Commissione di Venezia,
tanto la risoluzione quanto i quesiti referendari non sono conformi alla
Costituzione ucraina, ma anzi violano l'integrità territoriale dello Stato e
non rispettano gli standard europei in materia elettorale codificati dal
diritto del Consiglio d'Europa. In questa sede, si cercherà di verificare se la
ricostruzione operata dalla Commissione sia corretta.
1. Lo statuto di autonomia della Crimea e Sebastopoli nell'ordinamento
costituzionale ucraino
2 Opinion n. 762/2014 on “Whether the decision taken by the Supreme Council of the
Autonomous Republic of Crimea in Ukraine to organise a referendum on becoming a
constituent territory of the Russian Federation or restoring Crimea’s 1992 constitution is
compatible with constitutional principles” adopted by the Venice Commission at its 98th
Plenary Session (Venice, 21-22 March 2014), reperibile online sul sito della Commissione
di Venezia www.venice.coe.int
17
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Innanzitutto, occorre osservare che, nell'ordinamento costituzionale
ucraino, la Repubblica autonoma di Crimea gode di una autonomia speciale,
disciplinata dal Titolo X della Costituzione ucraina del 1996 e non
modificata anche nella versione emendata della Costituzione in vigore dal
2004 al 2010 e nuovamente in vigore a partire dal 22 febbraio 2014 (v.
infra). In particolare, la Regione si dota di una propria Costituzione, adottata
dal Consiglio supremo della Crimea e approvata dalla Verkhovna Rada
ucraina a maggioranza semplice (art. 135). La Costituzione regionale ha il
rango di una legge ordinaria nazionale, mentre il Consiglio supremo della
Crimea emana atti aventi natura regolamentare. In caso di contrasto tra
norme regolamentari della Regione autonoma e norme di legge nazionale, il
Presidente ucraino può sospendere con decreto l'applicazione delle prime e
impugnarle dinanzi alla Corte costituzionale (art. 137 co. 2). All'art. 134
della Costituzione ucraina e così anche all'art. 1 co. 1 della Costituzione della
Repubblica autonoma del 1998, è esplicitamente stabilito che la Crimea è
parte integrante inscindibile del territorio ucraino. Benché alla disciplina
costituzionale della Regione sia riservato un titolo ad hoc, diverso da quello
riservato alle garanzie di autonomia locale, l'Ucraina resta uno Stato
unitario (art. 2 co. 2) e la Crimea non può considerarsi stato di una
Federazione.3
Altrettanto sui generis è lo status della città di Sebastopoli, che, insieme con
la città di Kiev, gode di una particolare autonomia garantita dalla
Costituzione (art. 133 co. 3) e non fa parte del territorio della Repubblica
autonoma di Crimea. A questo proposito, occorre ricordare che sono stati
due i referendum tenutisi il 16 marzo 2014, l'uno relativo
all'autodeterminazione
della
Crimea
e
l'altro
relativo
all'autodeterminazione della città di Sebastopoli. Il parere della
Commissione di Venezia, alquanto curiosamente, si occupa soltanto del
primo. Secondo la Costituzione ucraina, Sebastopoli gode di un grado di
autonomia diversa rispetto a quella della Crimea. Mentre la Repubblica
autonoma ha una Costituzione ed un Consiglio Supremo, dotato del potere
di adottare atti regolamentari in un gran numero di materie (art. 137), la
città di Sebastopoli è un ente locale dotato, al pari della capitale Kiev, di una
autonomia amministrativa speciale (artt. 118 co. 2 e 140 co. 2), ma senza
una propria Costituzione e con poteri regolamentari limitati.
2. Un referendum su quesiti contrari alla Costituzione ucraina e alla
Costituzione della Repubblica autonoma di Crimea?
Secondo l'interpretazione delle autorità russe favorevoli all'ipotesi di indire
un referendum sull'autodeterminazione della Crimea, la delibera del
Consiglio supremo della Repubblica autonoma n. 1702 del 6 marzo 2014,
non avrebbe violato l'integrità territoriale garantita dalla Costituzione
ucraina, dal momento che il Consiglio supremo avrebbe il potere di
3 Sulle proposte attualmente in discussione sulla federalizzazione dell'Ucraina si veda
l'analisi politologica apparsa sul Washington Post di: G. Sasse e J. Hughes, Building a
Federal Ukraine?, 19 marzo 2014. www.washingtonpost.com
18
convocare e organizzare referendum rientranti tra le competenze della
Repubblica autonoma, sulla base del combinato disposto degli artt. 18 co. 1
per. 7 e 26 co. 2 per. 3 della Costituzione della Repubblica autonoma, i quali
stabiliscono che rientra tra le competenze regionali quella di convocare e
organizzare referendum repubblicani (locali) su questioni rientranti nei
poteri della Repubblica autonoma di Crimea e che il Consiglio Supremo può
approvare risoluzioni sull'indizione di referendum repubblicani (locali).
Tali disposizioni trovano a loro volta conferma all'art. 138 co. 2 della
Costituzione ucraina, la quale stabilisce che tra le competenze della
Repubblica autonoma di Crimea rientra l'indizione e organizzazione di
referendum locali.
Sia in base alla Costituzione del 1996, sia in base alla Costituzione del 2004, il
potere della Repubblica autonoma di Crimea di organizzare referendum a
livello locale, riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 38, 69 e 138 co. 2
della Costituzione ucraina e a sua volta specificato dagli artt. 18 co.1 per. 7 e
26 co. 2 per. 3 della Costituzione regionale della Crimea, va inteso come un
potere limitato alle materie di competenza della Crimea (art. 137) e non
come una norma autorizzatoria di consultazioni referendarie
sull'autodeterminazione della Regione, dal momento che gli atti adottati dal
Consiglio supremo della Crimea non possono essere adottati in contrasto con
la Costituzione ucraina e le leggi dell'Ucraina (art. 135 co. 2) 4. Tutt'al più
sarebbe stata lecita la convocazione di un referendum consultivo, ai sensi
dell'art. 48 co. 2 della Costituzione ucraina,5 ma non certo di un referendum
che recasse come primo quesito la secessione dall'Ucraina, dal momento che
la secessione viola il principio dell'indivisibilità dello Stato (artt. 1 e 2) e la
norma in base alla quale la Crimea è da considerarsi parte integrante
inscindibile del territorio dello Stato ucraino (art. 134). Le norme menzionate
non sono peraltro suscettibili di revisione costituzionale (art. 157). 6 Come ha
ricordato anche la Corte costituzionale ucraina nella sua sentenza risalente al
14 marzo 2014 sulla legittimità dell'indizione del referendum, il diritto della
Crimea ad indire il referendum in questione era poi puntualmente precluso
dall'art. 73 della Costituzione ucraina, il quale stabilisce che «questioni
inerenti la modifica del territorio dell'Ucraina devono essere risolte
esclusivamente da referendum nazionali», i quali, sulla base dell'art. 85 co. 2
della Costituzione ucraina, possono essere convocati soltanto dalla Verkhovna
Rada ucraina (Punto 4.4 del Considerato in Diritto).7
4. Autonomia locale e secessione. Cenni di diritto internazionale.
4 Commissione di Venezia - Punti 7-8 del parere.
5 Ibid. - Punto 20.
6 Ibid. - Punti 9-14.
7 Cfr. sul punto l'intervista a: O. Luchterhandt, Krim Referendum ist verfassungswidrig,
reperibile online all'indirizzo: www.dw.de, 28 febbraio 2014; C. Borgen, Can Crimea Secede
by Referendum?, reperibile online all'indirizzo: www.opiniojuris.org, 6 marzo 2014. Sui
problemi di natura costituzionale derivante dall'annessione si veda: C. Filippini, La Crimea:
da Repubblica autonoma dell'Ucraina a Repubblica della Federazione russa? in
www.federalismi.it n. 6/2014, 19 marzo 2014, 6 e sgg.
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
L'ordinamento costituzionale ucraino riconosce la cd. autodeterminazione
interna della Crimea e della città di Sebastopoli, ma non autorizza alla
secessione (cd. autodeterminazione esterna) delle sue unità amministrative,
neanche di quelle aventi una autonomia speciale.8 Nell'ordinamento del
Consiglio d'Europa, infatti, soltanto la Costituzione del Principato del
Liechtenstein reca una norma che autorizza esplicitamente la dissoluzione
dello Stato in nuovi soggetti indipendenti (art. 4 co. 2 Cost. Liechtenstein),
mentre la Costituzione dei Paesi Bassi autorizza esclusivamente la
secessione dell'isola di Aruba dal Regno (artt. 58-60 della Carta del Regno
dei Paesi Bassi). A questo proposito, vale la pena sottolineare che il
consiglio della città di Sebastopoli, nella risoluzione del 6 marzo 2014 che
ha indetto un referendum sull'autodeterminazione della città, ha fatto
esplicito riferimento, tra gli altri, anche alla Carta europea dell'autonomia
locale (CEAL) e, presumibilmente, all'art. 3 par. 2 della Carta, il quale
stabilisce che il diritto all'autonomia locale possa essere esercitato anche
attraverso l'istituto referendario.9 In altre parole, secondo i rappresentanti
della città di Sebastopoli, il diritto di secessione di un ente locale troverebbe
fondamento in un trattato internazionale, negoziato e ratificato da Stati
sovrani. E' appena il caso di rilevare quanto bizzarra sia una ricostruzione
di questo tipo. In primo luogo, come rilevato anche dalla Corte costituzione
ucraina, la Carta si limita a stabilire uno standard minimo di garanzie per
l'autonomia locale negli Stati parte e non contiene alcun riferimento al
diritto degli enti locali di secedere dallo Stato. Sarebbe anzi assai
controintuitivo che Stati sovrani avessero trovato un accordo per
disciplinare casi e modalità della dissoluzione della propria integrità
territoriale, ribadito invece quale principio di diritto internazionale
generale all'art. 2 par. 4 della Carta delle Nazioni Uniti e nell'Atto finale della
Conferenza di Helsinki del 1975. Peraltro, la Carta non propone nemmeno
un concetto di autonomia locale inteso come diritto fondamentale delle
collettività territoriali da opporre allo Stato, qual era ad esempio il caso
nella Costituzione di Weimar e prima ancora nella Paulskircheverfassung.
L'autonomia locale non è cioè il diritto di ogni ente locale di godere di una
sfera di amministrazione intangibile dallo Stato. Al contrario essa va intesa
come semplice garanzia istituzionale di una categoria di enti (e più
limitatamente anche di garanzia soggettiva di un singolo ente) finalizzata
all'esercizio di una parte importante di funzioni pubbliche. Tali enti esistono
però solo e soltanto se pensati nel loro rapporto con lo Stato.10
Se quindi il diritto di secedere dallo Stato non esiste nel diritto
internazionale pattizio, occorre brevemente verificare lo stato del diritto
8 Per i concetti di autodeterminazione interna ed esterna si veda: A. Falzea, P. Grossi, E.
Cheli, U. Breccia, Autodeterminazione dei popoli (voce), in Enciclopedia del Diritto – Annali,
2007, 114 e sgg.
9 La notizia è stata riportata dall'agenzia di stampa Ria Novosti. Cf. Stadtrat von Sewastopol
stimmt für Beitritt zu Russland, 7 marzo 2014. A questo proposito si veda la posizione
ufficiale del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa: Declaration of
Congress President on Proposed Crimean Referendum, reperibile online all'indirizzo:
www.coe.int/congress, 7 marzo 2014.
10 Cfr. sul punto B. Schaffarzik, Handbuch der Europäischen Charta der kommunalen
Selbstverwaltung, 2002, 357 e sgg.
20
internazionale consuetudinario in materia. Esso riconosce tale diritto in casi
molto limitati e ancora oggi dai confini non del tutto acclarati, dal momento
che la Corte internazionale di Giustizia (CIG) nel suo parere consultivo sul
Kosovo si espresse soltanto sulla conformità al diritto internazionale della
dichiarazione unilaterale di indipendenza – che nel caso della Crimea è
avvenuta l'11 marzo 2014 – e non sull'esistenza di un diritto a secedere
under international law.11 In sintesi, si può dire che il diritto
all'autodeterminazione dei popoli non coincida di per sè con il diritto alla
secessione, ma esprima il diritto di ogni popolo di determinare la propria
organizzazione politico-istituzionale innanzitutto all'interno dei confini
statuali e lo speculare obbligo degli Stati di non negare questa aspirazione,
ossia di garantire, all'interno della cornice istituzionale dello Stato,
autonomia, rappresentatività e diritti di partecipazione ad ogni popolo o
minoranza di cui lo Stato è composto. Nel caso in cui queste condizioni non
siano rispettate, alla nazionalità sarebbe allora concesso secedere dallo
Stato (remedial secession).12 Come si è visto, la Costituzione ucraina
riconosce il diritto alla cd. autodeterminazione interna alla Repubblica
autonoma di Crimea, i cui cittadini non erano discriminati rispetto agli altri
cittadini ucraini (il russo è anzi costituzionalmente riconosciuto quale
prima lingua officiale della Regione autonoma),13 né era stato loro impedito
di esercitare i diritti di partecipazione e di autogoverno previsti dalla
Costituzione. Anche la tesi secondo la quale l'approvazione di una legge di
iniziativa governativa da parte della Verkhovna Rada che aboliva il russo
come lingua officiale dello Stato avrebbe legittimato l'indizione di un
referendum sull'autodeterminazione della Regione, pur potendosi
considerare come spia di un rapporto molto teso tra comunità ucraina e
comunità russofona, non può considerarsi all'origine dell'acquisto da parte
del popolo della Crimea di un diritto alla secessione, dal momento che tale
legge non è mai stata controfirmata dal Presidente ucraino ad interim e non
è quindi mai entrata in vigore.14
11 ICJ, Accordance with international law of the unilateral declaration of independence in
respect of Kosovo, 22 July 2010, http://www.icj-cij.org/docket/files/141/16010.pdf
12 Cfr. sul punto Supreme Court of Canada, In Re Secession of Quebec, 1998, 2 S.C.R. 217,
222.
13 Si veda il rapporto di monitoraggio del Consiglio d'Europa pubblicato ufficialmente il 1
maggio 2014.
14 Ukraine’s parliament-appointed acting president says language law to stay effective, in
www.en.itar-tass.com, 1 marzo 2014.
21
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
E’ Illegittima la ricollocazione di fondi regionali destinati al settore
sanitario per funzioni diverse: Annotazione alla sentenza della Corte
Costituzionale n. 241/2013.
di Andrea Patanè
Parole Chiave: Legge del bilancio, Regione Abruzzo, Piani di
rientro.
Riferimenti normativi: Articolo 7 comma 4, 16, 19, 27 e 29 della
legge regionale n. 2/2013 del 10 gennaio 2013, articolo 81 co. 4
Costituzione, articolo 117 co. 3 Costituzione.
Massima: La legge regionale recante le disposizioni finanziarie per
la redazione del bilancio annuale non può estrapolare somme dalle
risultanze degli esercizi precedenti per singole partite ai fini della
loro applicazione al bilancio successivo. L’eventuale indicazione di
queste somme nel bilancio viola il principio costituzionale di
coordinamento della finanza pubblica.
Link al documento
Con la sentenza n. 241/2013 la Corte Costituzionale ha accolto un ricorso
presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle «Disposizioni
finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 20132015 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2013)» dopo che la
difesa erariale aveva censurato le disposizioni in contrasto con gli articoli
117, terzo comma, e 81, quarto comma, della Costituzione.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha presentato ricorso avverso l’articolo 7
comma 4, 16, 19, 27 e 29 della legge regionale n. 2/2013 del 10 gennaio
2013. Le questioni poste all’attenzione della Corte possono essere
ricondotte a due ordini di violazioni. La prima inerente l’articolo 7 co. 4, 16,
19, 27 e 29, per violazione dell’articolo 81 co. 4 Cost.
La seconda violazione è inerente il solo articolo 7 co. 415 e consisterebbe nel
l’utilizzo di fondi trasferiti dallo Stato alla Regione nell’anno 2012 vincolati
L’articolo 7 co. 4 prevede che «Le economie di stanziamento relative agli importi iscritti
in bilancio per il rimborso dell'anticipazione di cui al comma 98, dell'art. 2, della L. 23
dicembre 2009, n. 191 recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)" non utilizzata dalla Regione Abruzzo e per
la quale non è sorto nell'anno 2012 alcun obbligo di rimborso, sono riprogrammate e
destinate nel bilancio di previsione del 2013 al finanziamento delle spese relative al
servizio di trasporto pubblico locale regionale nell'ambito della riprogrammazione delle
economie di cui "Allegato 3"».
15
22
in virtù del Piano di rientro 16 sottoscritto dall’Abruzzo17 all’estinzione dei
debiti sanitari, ed attributi dalla legge di bilancio 2013 ad impegni differenti.
L’articolo 7 co.4 violerebbe l’articolo 117 co. 3 e 81 co. 4. Cost. Il ricorrente
lamenta la violazione dell’articolo 81 co. 4 e dell’articolo 117 co. 3 Cost.
perché la disposizione contenuta nella legge di bilancio violerebbe un
principio di coordinamento della finanza pubblica, norma interposta
stabilita ai sensi dell’articolo 117, terzo comma Cost. con l’articolo 2,
comma 98, della legge n. 191 del 2009.18
La difesa della Regione Abruzzo, si è incentrata solamente sul punto del
ricorso inerente l’articolo 7 comma 4, che, nel prevedere l’utilizzo di somme
per scopi differenti da quelli per cui erano stati trasferiti alla Regione
Abruzzo, rappresenta il punto di maggior interesse della questione in
oggetto.
I punti in diritto 1 e 1. 3 della sentenza focalizzano pertanto la problematica
dell’utilizzo di fondi destinati alla «spesa sanitaria» ed invece utilizzati dalla
Regione per il «trasporto pubblico». La difesa erariale aveva posto anzitutto
l’accento sugli obblighi derivanti dal Piano di rientro firmato dalla Regione,
in particolare l’utilizzo dei fondi statali inutilizzati (200.000.000.00 di euro)
nell’anno precedente (2012) per scopi differenti da quelli per cui lo Stato li
aveva trasferiti alla Regione. L’Avvocatura Generale dello Stato aveva
ritenuto violato l’articolo 117 co. 3 Cost.:
«La legge reg. Abruzzo n. 2 del 2013 (…) avrebbe destinato al finanziamento
delle spese relative al servizio di trasporto pubblico gli importi iscritti in
bilancio per il rimborso dell’anticipazione di liquidità finalizzata al
pagamento dei debiti sanitari (…) In tal modo, sebbene la Regione non abbia
Sul finanziamento dello Stato nei confronti delle Regioni per il sistema sanitario cfr. M.
Bellentani, L. Bugliari Armenio, La Logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra
autonomia e responsabilità, in Manuale di diritto Sanitario, a cura di R. Balduzzi, G.
Carpani, Bologna, Il mulino, 2013
17 Piano di rientro sottoscritta dal Presidente della Regione Abruzzo con il Ministro della
Salute e dell’Economia e delle Finanze l’otto marzo 2007 ai sensi dell’articolo 1 comma 180
della legge n. 311/2004.
18 L’articolo 2 comma 98 prevede che «Lo Stato è autorizzato ad anticipare alle regioni
interessate dai piani di rientro dai disavanzi sanitari per squilibrio economico, fino a un
massimo di 1.000 milioni di euro, la liquidità necessaria per l'estinzione dei debiti sanitari
cumulativamente registrati fino al 31 dicembre 2005 anche a seguito di accertamenti in
sede contenziosa, con contestuale estinzione entro il 31 maggio 2010 dei relativi
procedimenti pendenti. All'erogazione si provvede, fermi restando gli equilibri
programmati dei trasferimenti di cassa al settore sanitario, anche in tranche successive, a
seguito dell'accertamento definitivo e completo del debito sanitario non coperto da parte
della regione, con il supporto dell’Advisor contabile, in attuazione del citato Piano di
rientro, e della predisposizione, da parte regionale, di misure legislative di copertura
dell'ammortamento della predetta liquidità, idonee e congrue. La regione interessata è
tenuta, in funzione delle risorse trasferite dallo Stato, alla relativa restituzione,
comprensiva di interessi, in un periodo non superiore a trent'anni. Gli importi così
determinati sono acquisiti in appositi capitoli del bilancio dello Stato. Con apposito
contratto tra il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione interessata sono
definite le modalità di erogazione e di restituzione delle somme, prevedendo, qualora la
regione non adempia nei termini ivi stabiliti al versamento delle rate di ammortamento
dovute, sia le modalità di recupero delle medesime somme da parte del Ministero
dell'economia e delle finanze, sia l'applicazione di interessi moratori.»
16
23
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
concretamente utilizzato le somme anticipate dallo Stato – e, dunque, ad
avviso del ricorrente, non sia sorto a carico della Regione un corrispondente
obbligo di rimborso – essa avrebbe violato il principio fondamentale in
materia di coordinamento della finanza pubblica – di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost. (…) sicuro che non rileva il testo omesso? impropriamente
sottraendo risorse al settore sanitario nonostante non sia stata puntualmente
definita la situazione del debito pregresso che ancora inciderebbe sullo stato
del patrimonio e sulla corretta gestione della liquidità delle aziende
sanitarie».
La Corte costituzionale, nel pronunciare la sentenza che ha dichiarato
l’incostituzionalità dell’articolo 7 co. 4, ha premesso al proprio
ragionamento che la Regione Abruzzo «è assoggettata a Piano di rientro dal
disavanzo nel settore sanitario e che il suo Presidente pro tempore è stato
nominato Commissario ad acta per la relativa realizzazione». Ciò detto, la
Corte ha però statuito che la violazione dei principi costituzionali sussista
«indipendentemente» dal fatto che la stessa Regione Abruzzo sia
assoggettata a tale disciplina. L’argomentazione della Corte si incentra sulla
violazione da parte della legge regionale del principio di tutela
dell’equilibrio di bilancio che è contenuto nell’articolo 81 co. 4 Cost. Il
Giudice delle leggi nel richiamare la sua precedente sentenza (n. 192/2012)
ricorda di aver già statuito che «il principio di tutela degli equilibri di bilancio
impedisce di estrapolare dalle risultanze degli esercizi precedenti singole
partite ai fini della loro applicazione al bilancio successivo».19 La Corte
conclude dichiarando fondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata in relazione all’articolo 7 co. 4, in violazione dell’articolo 81 co. 4 e
statuendo altresì come questa violazione «determina l’assorbimento di
quella sollevata in riferimento all’articolo 117 terzo comma Cost.».
La Corte, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’articolo 7 co. 4 non fonda la
propria decisione sulla violazione dell’articolo 117 co. 3, Cost. ma si limita a
dichiarare “assorbito” questo profilo dalla violazione dell’articolo 81 co. 4.
Tuttavia il giudice delle leggi, pur non entrando nel merito, sembra voler
confermare una particolare attenzione alla problematica dei piani di rientro
e alla necessità che le Regioni, che hanno sottoscritto l’accordo per il rientro
dal deficit sanitario, non possano con una legge regionale disattendere gli
obblighi che da questo ne derivano.20 La Corte costituzionale nel ricondurre
La Corte Costituzione nella sentenza 192/2012 sancisce come «Al di fuori di questa
fattispecie, il principio di tutela degli equilibri di bilancio contenuto nell’art. 81, quarto
comma, Cost., impedisce di estrapolare dalle risultanze degli esercizi precedenti singole
partite ai fini della loro applicazione al bilancio successivo. Si tratta di una regola posta a
presidio della sana gestione finanziaria, dal momento che la sottrazione di componenti
attive dall’aggregato complessivo (il quale determina il risultato di amministrazione),
effettuata senza la previa verifica di sussistenza dell’avanzo, può aggravare gli eventuali
saldi negativi del conto consuntivo. Essa viene infatti a ridurre il saldo economico
(risultante dall’aggregato complessivo costituito dai residui attivi, dai residui passivi e dal
fondo di cassa) in misura pari alla risorsa sottratta per la reiscrizione nell’esercizio
successivo».
20 In merito ad un più approfondito studio sulla giurisprudenza della Corte in merito ai
Piani di Rientro si veda D. PARIS, Il Titolo V dopo la giurisprudenza costituzionale sui piani
di rientro:
la delegificazione dei principi fondamentali e l’asimmetria fra Stato e Regioni
19
24
la violazione della legge al solo articolo 81 co. 4 Cost. e dichiarando
assorbita in questa la violazione dell’articolo 117 co. 3 sembra ragionare
secondo gli schemi di economia processuale, per cui raggiunto il risultato di
annullare la disposizione impugnata, non occorre pronunciarsi nel merito
del secondo motivo di censura dell’articolo 7 co. 4 in virtù di una violazione
dei principi costituzionali come il coordinamento della finanza pubblica.
Sul punto è condivisibile la tesi dell’Avvocatura Generale dello Stato per cui
il Piano di rientro, anche alla luce dell’interpretazione della Corte,21 vincola
la Regione che non può imputare a capitoli diversi da quello sanitario
somme di denaro che lo Stato ha trasferito alla Regione per capitoli di spesa
inerenti i servizi del sistema sanitario. L’articolo 7 co. 4 della legge
finanziaria 2013, nel prevedere l’utilizzo dei fondi per il sistema di
trasporto pubblico ha violato quel principio di coordinamento della finanza
pubblica ex art. 117 co. 3 perché ha realizzato una previsione che non
rispetta quanto stabilito dalla legge 191/2009 art. 2 co. 98.
nel rispetto delle procedure di leale collaborazione, in corso di pub.
La Corte costituzionale si è in più occasioni espressa a tal proposito, cfr. sentenze nn.
104/2013, 77/2011, il vincolo e l’incostituzionalità 163/2011, 91/2012 e 180/2013,
131/2012 e 79/2013, 77 e 123/2011, 32/2012 e 104/2013.
21
25
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Assunzioni nell' amministrazione regionale:
concorso o mobilità ?
Di Monica Bartimmo
Parole chiave: Pubblico impiego - reclutamento - dipendenti regionali concorso pubblico - mobilità volontaria
Riferimenti normativi: Art. 30 comma 1 e 2 bis D.lgs. 165/2001; art. 49
comma 1 D.lgs. 150/2009.
Massima: I principi dell'art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 in tema di mobilità
volontaria si applicano anche alle Regioni.
Nel caso di vacanza di posti in organico deve riconoscersi
all'Amministrazione regionale il potere di determinare quanti posti
vacanti coprire con mobilità volontaria e quanti con concorso. La scelta
deve essere congruamente motivata.
La sentenza in esame affronta la questione della sussistenza in capo alla
Regione di un potere discrezionale circa le modalità di copertura dei posti
resisi vacanti in pianta organica e, in particolare, chiarisce se l'ente pubblico
abbia un potere di scelta tra l'esperimento della mobilità volontaria e l'avvio
delle procedure concorsuali.
Il caso. La Regione Lazio promuove alcuni concorsi pubblici per l'assunzione
di diverse figure dirigenziali facendo precedere i bandi da un avviso di
mobilità limitato, però, al 20% dei posti vacanti. Sia i bandi di concorso che
l'avviso di mobilità vengono impugnati innanzi al giudice amministrativo in
quanto ritenuti lesivi della disciplina sulla mobilità volontaria contenuta
nell'art. 30 d.lgs. 165/2001 così come modificato dall'art. 49 del d.lgs. 150
del 2009. Secondo le ricorrenti, infatti, dal combinato disposto del comma
2-bis "le amministrazioni prima di procedere all'espletamento di procedure
concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono
attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1" e dell'inciso del comma 1
"le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei
posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale" si
evincerebbe il dovere per l'amministrazione di far precedere i bandi di
concorso dall'attivazione delle procedure di mobilità per la totalità dei posti
vacanti, dei quali l'amministrazione deve preventivamente rendere
pubblica la disponibilità.
26
Diversa la posizione della Regione Lazio, secondo la quale spetterebbe alla
propria competenza esclusiva scegliere il numero dei posti da ricoprire
mediante mobilità volontaria riconoscendo, così, all'art. 30 del d.lgs. 165 del
2001 mero valore di principio. Infatti, secondo la Regione, la disciplina del
pubblico impiego regionale non apparterrebbe in toto alla competenza
esclusiva dello Stato, ma ne farebbe parte solo per gli aspetti privatizzati.
Nella specie, pertanto, l'istituto della mobilità rientrerebbe nella materia
dell'ordinamento civile (art. 117 Cost. c. 2 lett. l) solo per la disciplina della
cessione del contratto (profilo sostanziale) mentre gli aspetti organizzativi tra cui la determinazione del numero dei posti da coprire mediante mobilità
volontaria - resterebbero in capo alle regioni, pena la compromissione della
autonomia riconosciuta agli enti locali dalla riforma del Titolo V e la
conseguente violazione degli artt. 114, 117 e 123 Cost..
Il Consiglio di Stato respinge l'appello ed afferma che permane in capo alla
regione "un potere di organizzazione che si estrinseca attraverso l'uso di un
potere discrezionale nel determinare la quantità dei posti riservati alla
mobilità volontaria rispetto a quelli riservati a pubblico concorso" così
condividendo la tesi della regione secondo la quale l'art. 30 del d.lgs. 165 del
2001 è norma di mero principio. Sicché, il comportamento della pubblica
amministrazione è legittimo anche qualora la stessa decida di coprire solo
una parte dei posti vacanti tramite l’istituto della mobilità volontaria.
L'unico obbligo all'esercizio di tale potere discrezionale è rappresentato
dalla congrua motivazione dell'atto con cui l'amministrazione opera la
scelta che dovrà esplicitare le ragioni per le quali si è preferito reperire
nuove professionalità sul mercato del lavoro piuttosto che attingere tra
quelle già in servizio presso altre amministrazioni.
La sentenza si segnala perché contiene una battuta d'arresto verso il favore
espresso all’istituto de quo, favore dovuto al fatto che la mobilità consente,
all'amministrazione che ne ha bisogno, di reperire sul mercato le
professionalità necessarie senza aumentare la spesa complessiva per il
personale grazie ad una migliore allocazione delle risorse umane già in
servizio.
I costi del personale, infatti, non sono un problema esclusivo dell’ente che
deve coprire la vacanza, ma riguardano più in generale la finanza pubblica
costituendo una voce della spesa corrente. A tal proposito, la Corte
costituzionale ha affermato che l’aumento della spesa per il personale, senza
una contestuale riduzione della spesa in altri settori, viola il principio
fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica22
contenuto nella legge finanziaria per il 200723 ai sensi del quale le
autonomie regionali e locali sono obbligate dal patto di stabilità interno ad
assicurare il “contenimento della dinamica retributiva ed occupazionale” (C.
Cost. 30 luglio 2012 n. 212).
Si ricorda che il coordinamento della finanza pubblica è materia di competenza
concorrente Stato-regione ai sensi del comma 3 dell’art. 117 Cost. Cost.
23 Art. 1 c. 557 L. 27 dicembre 2006 n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato”.
22
27
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
L’importanza dell’equilibrio di bilancio e del rispetto ad esso propedeutico
dei principi di coordinamento della finanza pubblica è stato, in un
recentissimo arresto della Consulta24, considerato titolo legittimo per la
compressione degli spazi in cui possono esercitarsi le competenze
legislative e amministrative delle regioni. La finanza regionale ha precisato,
infatti, la Corte, fa parte della finanza pubblica allargata e quindi concorre al
rispetto dell’equilibrio complessivo di bilancio e, più in generale, al rispetto
dei vincoli che l’Italia ha assunto entrando a far parte dell’Unione europea,
secondo quanto precisato dalla risoluzione del Consiglio europeo del 17
giugno 1997 relativa al “patto di stabilità e crescita”.
In tale ottica, pertanto, devono leggersi le numerose novelle intervenute
sull’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 volte a rendere obbligatorio e facilitare il
ricorso alla mobilità per il reperimento delle risorse umane necessarie.25
Infine, si segnala un preciso collegamento tra finanza pubblica e mobilità
contenuto nella legge di stabilità finanziaria per il 201126 il cui art. 1,
dedicato alla riduzione della spesa pubblica fa venir meno, alla luce della
neutralità finanziaria di cui gode l’istituto, il requisito dell’appartenenza alla
medesima area quale presupposto per la mobilità.
C. cost. 13 marzo 2014 n. 44.
Si ricordano, in proposito, le modifiche apportate nel 2005 dall’art. 5 del D.L. 31.01.2005
n. 7 che aggiungendo il comma 2 bis all’art. 30 del D.lgs. 165 del 2001 ha reso obbligatorio
il previo esperimento della mobilità volontaria prima dell’espletamento delle procedure
concorsuali; dall’art. 16 della L. 28.11.2005 n. 246 che ha introdotto la sanzione della
nullità degli accordi, atti o clausole volte ad eludere il previo esperimento della mobilità
rispetto al reclutamento di nuovo personale; dall’art. de D.lgs. 150 del 2009 che ha
introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere pubbliche le disponibilità
dei posti in organico da ricoprire con passaggio diretto
26 Si tratta del D.L. 13 agosto 2011 n. 138 convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre
2011 n. 148.
24
25
28
La legge regionale non può attribuire ai comuni il potere di approvare,
in via definitiva, i piani attuativi dello strumento urbanistico generale
(Corte costituzionale n. 272/2013)
di Nicola Dessì
Parole chiave: Urbanistica; piani attuativi; strumenti urbanistici generali.
Riferimenti normativi: Art. 117, co. 3, Cost. Art. 24 legge 28 febbraio
1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie). Art. 1 co. 1 legge della
Regione Molise 7 agosto 2012, n. 18 (Disposizioni in merito
all’approvazione dei piani attuativi conformi alle norme degli strumenti
urbanistici generali vigenti). Art. 1, co. 3 legge della Regione Molise 2
gennaio 2013, n. 1 (Abrogazione e modifiche urgenti di norme e leggi
regionali).
Massima: La legge regionale può prevedere che i Comuni approvino i
piani attuativi degli strumenti urbanistici generali, precedentemente
approvati con legge regionale; deve però prevedere che il Comune, in
seguito all’approvazione, invii copia dei piani attuativi alla Regione, e
risponda alle sue eventuali osservazioni. In caso contrario, verrebbe
violata la norma statale di principio di cui all’art. 24, l. 47/1985 e per suo
tramite la competenza dello Stato a dettare i principi fondamentali della
materia “governo del territorio” ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost
Link al documento
La sentenza decide alcune questioni di legittimità costituzionale, promosse
in via principale dal Presidente del Consiglio dei Ministri, contro alcune
disposizioni della l.r. 18/2012 del Molise. Solo una delle questioni oggetto
del ricorso è stata ritenuta ammissibile dalla Corte, che l’ha accolta.
L’art. 1, co. 1, della l.r. 18/2012 del Molise prevede che i piani attuativi degli
strumenti urbanistici generali siano approvati dalle Giunte comunali, in via
definitiva. Le Regioni dettano norme in materia di urbanistica – gli
“strumenti urbanistici”, appunto – che devono essere attuate dai Comuni.
La Corte ritiene che questa disposizione sia costituzionalmente illegittima.
In base all’art. 117 Cost., co. 3, la materia del “governo del territorio” rientra
nella competenza legislativa “concorrente” dello Stato e delle Regioni; ne
consegue che è il legislatore statale a dettare i principi fondamentali in
questo ambito. Tali principi sono contenuti, fra l’altro, nella l. 47/1985:
all’art. 24 si afferma che i piani attuativi di strumenti urbanistici generali
approvati dal Comune non sono soggetti ad ulteriore approvazione della
29
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Regione; i Comuni, però, debbono trasmettere alla Regione, entro sessanta
giorni dall’approvazione, copia dei piani attuativi approvati, e devono dare
risposta ad eventuali osservazioni formulate dalla Regione.
La legge della Regione Molise prevede un iter che si conclude con
l’approvazione dei piani attuativi da parte dei Comuni, senza che la Regione
debba esserne informata e senza che possa muovere alcun rilievo a
riguardo. Di conseguenza, la disposizione censurata si pone chiaramente in
contrasto con la l. 47/1985, che la Corte Costituzionale ha già qualificato
come “principio fondamentale” in tema di governo del territorio: la legge in
questione è considerata un “parametro interposto” la cui violazione
comporta automaticamente una lesione dell’art. 117 Cost., co. 3.
Va ricordato che il Consiglio regionale del Molise ha approvato, dopo che il
Presidente del Consiglio ha presentato ricorso alla Corte, la legge 2 gennaio
2013, n. 1, con la quale è stato aggiunto all’art. 1 l.r. 18/2012 il comma 1-bis:
i Comuni, ora, devono inviare copia dei piani attuativi alla Regione Molise, in
osservanza della l. 47/1985. Senonché, la Corte non ha dichiarato estinta la
materia del contendere perché la normativa impugnata era comunque
suscettibile di spiegare la propria efficacia anche prima che la successiva
modifica legislativa entrasse in vigore. Conseguentemente, il co. 1 è
dichiarato illegittimo “nel testo vigente anteriormente all’aggiunta del
comma 1-bis”
30
FUNZIONI E SERVIZI
31
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
La delega di funzioni amministrative per l'uso di un bene demaniale non
incide sulla titolarità delle stesse.
di Maria-Josè Zampano
Consiglio di Stato, sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5532.
Parole chiave: servizi pubblici locali- bene demaniale- demanio
marittimo- gestione stabilimenti balneari- delega di funzioni
amministrative
Riferimenti normativi:
art. 13 D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. l. 4 agosto 2006, n. 248- art. 112
d.lgs. n. 267/2000
Massima 1: La delega di funzioni amministrative per l’uso di un bene
demaniale non incide sulla titolarità dello stesso. Di conseguenza, il
bene demaniale non appartiene al patrimonio giuridico dei Comuni.
Massima 2: Il servizio pubblico locale, in quanto volto al
perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della comunità, è
finalizzato al soddisfacimento diretto di esigenze collettive della stessa
con effetto generalizzato sul suo assetto socioeconomico. Di
conseguenza, riguarda un’utenza indifferenziata, anche se fruibile
individualmente, ed è sottoposto a obblighi di esercizio imposti
dall’ente pubblico perché gli scopi suddetti siano garantiti, inclusa la
determinazione del corrispettivo sotto forma di tariffe.
Massima 3: La gestione di stabilimenti balneari non è un servizio
pubblico locale: manca, in particolare, la rilevanza di un effetto
generalizzato sull’assetto della comunità a soddisfacimento di una sua
esigenza collettiva, con obblighi connessi, e l’elemento del pagamento di
una tariffa in senso proprio, quale misura determinata dall’ente locale
in corrispettivo di un servizio.
Link al documento
Risulta vincitore di un bando per l’assentimento di una concessione
demaniale marittima un raggruppamento temporaneo d’imprese la cui
società mandataria ha il capitale sociale interamente posseduto dal Comune
appaltante. La società seconda classificata impugna l’aggiudicazione e tutti
gli atti della procedura.
32
Il T.A.R. Veneto accoglie il ricorso, anche con riguardo al risarcimento del
danno, ritenendo violato l’art. 13 del D.L. n. 223/2006, secondo cui le
società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate
dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni
e di servizi strumentali all’attività di tali enti, con esclusione dei servizi
pubblici locali, nonché per lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o
partecipanti o affidanti. Nel caso di specie, l’attività della mandataria si
rivolge nei confronti dello Stato e non del Comune che ne possiede
interamente il capitale sociale, dato che il bene oggetto della gara è di
proprietà demaniale; la gestione delle strutture balneari, essendo presente
l’elemento imprenditoriale, non è lo svolgimento di un servizio pubblico.
In appello viene dedotto che: la controparte contrattuale della società
aggiudicataria non è lo Stato ma il Comune in quanto la gestione del litorale
non è una mera delega di funzioni statali ma, nella sostanza, una
successione nella loro titolarità; il concessionario svolge un servizio
pubblico economico a beneficio del Comune appaltante, poiché favorisce lo
sviluppo della comunità locale ed è utilizzato da un numero indeterminato
di utenti.
Il Consiglio di Stato respinge l’appello. Ad avviso dei giudici di Palazzo
Spada è la concessione d’uso del bene che determina il contenuto proprio
del rapporto giuridico ed individua lo Stato, proprietario del bene, come
parte del relativo rapporto; ne deriva che la convenzione che impegna il
concessionario nei confronti del Comune è eccessiva al rapporto
concessorio, e non viceversa. L’essenziale e prioritaria rilevanza della
proprietà demaniale dei beni emerge anche nella giurisprudenza della
Consulta, secondo la quale le competenze regionali in ordine al demanio
marittimo non possono incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in
quanto proprietario. Le funzioni amministrative, seppur delegate, sono
esercitate per la concessione di un bene che resta demaniale. La subdelega
delle funzioni amministrative non comporta, pertanto, che il bene
demaniale sia parte del patrimonio giuridico dei Comuni.
Il Consiglio di Stato, inoltre, esclude lo svolgimento di un servizio pubblico
locale e osserva che questo è finalizzato al soddisfacimento diretto di
esigenze collettive della comunità con effetto generalizzato sull'assetto
socioeconomico della medesima: di conseguenza, riguarda un’utenza
indifferenziata ed è sottoposto a obblighi di esercizio imposti dall’ente
pubblico, inclusa la determinazione del corrispettivo in forma di tariffe. La
gestione di stabilimenti balneari manca, da un lato, di un effetto
generalizzato sull’assetto della comunità a soddisfacimento di una sua
esigenza collettiva, data l’incidenza limitata e settoriale del servizio;
dall’altro, dell’elemento del pagamento di una tariffa in senso proprio, quale
misura determinata dall’ente locale in corrispettivo di un servizio, indice
della natura pubblica di un servizio pur se erogato da un soggetto privato.
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
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Escluso da procedure di gara per appalti chi si avvale di procuratore
speciale privo di onorabilità professionale
di Maria-Josè Zampano
Parole chiave: appalti pubblici- ammissione alla gara- cause di
esclusione- procuratore ad negotia- requisiti di onorabilità
Riferimenti normativi:
art. 38, primo comma, lett. c), d.lgs. n. 163/2006- art. 45 della direttiva
2004/18/CE
Massima 1: Il procuratore speciale rientra a pieno titolo nella figura
cui si richiama l’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006,
poiché da un lato si connota come amministratore di fatto ai sensi
dell’art. 2639 cod. civ. e, dall’altro, in forza della procura rilasciatagli,
cumula in sé il ruolo di rappresentante della società, sia pure
eventualmente solo per una serie determinata di atti.
Massima 2: Nel caso in cui la lex specialis non contenga una specifica
comminatoria di esclusione questa potrà essere disposta soltanto se è
effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito di onorabilità e
non per la mera omessa dichiarazione ex art. 38.
Link al documento
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato affronta la questione ex art. 38
del d.lgs. n. 163/2006 relativa agli obblighi di dichiarazione dell’impresa
partecipante alla gara in ordine ai requisiti di moralità di soggetti che non
rivestono la qualifica formale di amministratore o di direttore tecnico, ma
che, in virtù di procura conferita, sono in grado di impegnare la compagine
sociale nei confronti dei terzi.
Sul punto si sono formati due orientamenti giurisprudenziali. Un primo
orientamento,27 di tipo formale, sulla base del tenore letterale della
disposizione, limita l’obbligo di dichiarazione ai soli amministratori muniti
di potere di rappresentanza e ai direttori tecnici. Un secondo
orientamento,28mdi tipo sostanziale, invece, lo estende anche ai procuratori
adnegotia.
Cons. Stato, 16 marzo 2013, n. 1471; Cons. Stato, 10 gennaio 2013, n. 95; Cons. Stato, 6
giugno 2012, n. 3340; Cons. Stato, 22 maggio 2012, n. 2970; Cons. Stato, 21 novembre
2011, n. 6163; Cons. Stato, 25 gennaio 2011, n. 513.
28 Cons. Stato, 18 gennaio 2012, n. 178; Cons. Stato, 12 dicembre 2012, n. 6374; Cons. Stato,
28 settembre 2012, n. 5150; Cons. Stato, 21 dicembre 2012, n. 6664.
27
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
L'Adunanza Plenaria aderisce all'interpretazione sostanziale ritenendola in
linea all'orientamento generale del diritto dell'Unione Europea. L'ottica
garantista dell'art. 38 impone di evitare che l'amministrazione contratti con
persone giuridiche governate in sostanza, per scelte organizzative interne,
da persone fisiche sprovviste dei necessari requisiti di onorabilità ed
affidabilità morale e professionale, che si giovino dello schermo di chi per
statuto riveste la qualifica formale di amministratore con potere di
rappresentanza. La figura del procuratore speciale, pertanto, rientra nella
figura di cui all'art. 38, primo comma, lett. c), d.lgs. n. 163/2006 trattandosi,
da un lato, di un amministratore di fatto ex art. 2630, comma primo, cod.
civ., dall'altro, di un rappresentante della società, sia pure eventuale, in
forza della procura rilasciatagli.
L'Adunanza Plenaria precisa, inoltre, che, in mancanza di una esplicita
previsione della lex specialis, la comminatoria di esclusione dalla gara non
deriva automaticamente dalla mera omessa dichiarazione ex art. 38;
l’assenza del requisito di onorabilità deve essere effettivamente
riscontrabile.29
In tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 2 maggio 2012, n. 10 in Nuovo not. giur. 2012, 2, 410
con nota di Barbieri.
29
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L’inammissibilità costituzionale del referendum sul “Taglia Tribunali”
di Matteo Porricolo
Parole chiave: Revisione delle circoscrizioni giudiziarie, referendum
abrogati, leggi costituzionalmente necessarie, reviviscenza.
Riferimenti normativi: Legge 14 settembre 2011, n. 148; Decreto
legislativo 7 settembre 2012, n. 155; Decreto legislativo 7 settembre
2012 n. 156.
Massime: 1) Il referendum come “atto libero e sovrano di legislazione
negativa” non produce reviviscenza di normativa già espunta
dall’ordinamento. 2) Il principio della libertà di voto dell’elettore
esclude l’ammissibilità di quesiti referendari aventi a oggetto interi
testi legislativi complessi, o ampie porzioni di essi, comprendenti una
pluralità di proposizioni normative eterogenee tra di loro, occorrendo
che i quesiti posti agli elettori siano tali da esaltare e non coartare le
loro possibilità di scelta.
Link al documento
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, depositata il 29
gennaio, dichiara l’inammissibilità della richiesta di referendum popolare
avanzata dalle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, FriuliVenezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte avente a oggetto l’abrogazione
dell’art. 1 -dai commi 2 a 5 bis- della legge 148/2011 (di conversione del d.l.
13 agosto 2011, n. 148, recante, tra l’altro, una “Delega al Governo per la
riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”)
nonché l’abrogazione dei conseguenti decreti legislativi 155/2012 (“Nuova
organizzazione dei Tribunali ordinari e degli uffici del Pubblico ministero”) e
156/2012 (in tema di uffici dei Giudici di pace).
Inserendosi nell’ampio contesto della cosiddetta spending review, con tale
normativa il legislatore intendeva mettere mano all’annosa questione della
revisione e razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie, puntando a
risparmiare oltre 50 milioni di euro entro il 2014. La legge delega imponeva
a tale scopo i seguenti principi direttivi:
-ridefinire l’assetto generale degli uffici giudiziari, secondo una serie di
criteri oggettivi (quali la estensioni del territorio e le sue specificità,
l’impatto della criminalità organizzata su questo, il numero di abitanti
serviti, i carichi di lavoro, ecc.), anche mediante l’attribuzione di porzioni di
territori a circondari limitrofi;
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
-ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, fatti salvi in ogni caso i Tribunali
ordinari aventi sede nei capoluoghi di provincia;
-sopprimere o comunque ridurre le sezioni distaccate di Tribunale;
-ridefinire l’assetto territoriale degli uffici del Pubblico ministero, anche in
questo caso tenuta ferma la presenza di quelli istituiti presso i Tribunali
aventi sede in capoluoghi di provincia;
-garantire che al seguito della riforma permangano almeno tre Tribunali,
con annesse Procure della Repubblica, per ogni distretto di Corte d’Appello;
-ridurre gli uffici del Giudice di pace dislocati in sedi diverse da quella
circondariale; con la facoltà, però, per gli Enti locali, anche in consorzio tra
di loro, di <<richiedere e ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di
pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale
accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e
di erogazione del servizio giustizia>>.
-altri principi riguardanti il movimento di organico dei magistrati e del
personale amministrativo.
I decreti legislativi successivi n. 155 e 156 dell’anno successivo, il primo in
riferimento ai Tribunali e alle Procure, il secondo agli uffici del Giudice di
pace disponevano l’accorpamento di 37 tribunali sui 165 esistenti e di 38
procure, nonché la soppressione di tutte le 220 sezioni distaccate d’Italia e
di oltre 300 uffici del Giudice di pace. La Corte, in passato, aveva già avuto
modo di pronunciarsi su tali decreti. In particolare, con la sentenza
234/2013 aveva giudicato inammissibile una questione di legittimità
costituzionale su alcune parti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.
155. La Regione autonoma Friuli-Venezia, eccepiva il conferimento della
delega legislativa in sede di conversione del decreto n. 138 del 13 agosto
2011, vizio che a giudizio della Corte non si risolveva «in violazioni o
menomazioni delle competenze [regionali]». A nulla, quindi, erano valse le
deduzioni della parte ricorrente, secondo cui la revisione delle
circoscrizioni giudiziarie avrebbe colpito l’«infrastrutturazione civile della
comunità regionale», compiendo «un processo che va esattamente nella
direzione contraria a quella desiderabile e a quella prospettata dall'art. 5
Cost.» In altri due giudizi in via incidentale la Consulta si era occupata del
medesimo tema, però, in giudizi in via incidentale (sentenza 237/2013 e
ordinanza 15/2014), sollevati da giudici appartenenti a tribunali oggetto di
revisione e accorpamento. Anche in queste occasioni i giudizi si erano risolti
o con la dichiarazione di non fondatezza o di inammissibilità, eccezion fatta
per il solo caso del Tribunale di Urbino, “salvato” in quanto avente sede in
uno dei due capoluoghi della provincia di Pesaro-Urbino.
Dopo l’esaurimento della via giudiziaria, sull’onda dell’ampia protesta che
stava investendo tutta Italia, ben nove Consigli regionali -partendo
dall’iniziativa dell’Abruzzo- tentavano il percorso del referendum
abrogativo, esercitando la loro prerogativa prevista dall’art. 75 Cost. co.1
L’ufficio centrale presso la Corte di cassazione aveva dichiarato la richiesta
conforme alla legge con ordinanza del 28 novembre 2013.
38
A fronte delle memorie presentate per i Consigli regionali, l’Avvocatura
dello Stato sosteneva, data l’impossibilità della reviviscenza della normativa
precedente e rientravano le nome in questione la loro l’eventuale
eliminazione della norma avrebbe determinato un vuoto normativo
incolmabile e avrebbe causato una paralisi della funzione giudiziaria.
In più, la legge avrebbe effetti diretti sulla legge di bilancio, espressamente
prevista dall’art. 75, secondo comma, fra le materie sottratte alla possibilità
di abrogazione mediante referendum.
La Corte ritiene l’ultimo assunto infondato. Pur avendo in passato
dall’ammissibilità leggi che avevano effetti strettamente collegati alla legge
di bilancio, tale criterio ribadisce che tale criterio non «consente di sottrarre
a referendum qualunque legge di spesa, analogamente non è sufficiente che
una legge, come quella in esame, persegua obiettivi o produca effetti di
contenimento della spesa pubblica in vista del riequilibrio del bilancio statale,
perché essa sia attratta nell'ambito delle leggi di bilancio, espressamente
escluse dal referendum..». In caso contrario ben poche leggi potrebbero
essere sottoposte al voto referendario.
In secondo luogo la Corte accoglie tuttavia l’eccezione sotto il profilo
dell’eliminazione integrale di una legge costituzionalmente necessaria. Il
referendum, infatti, avrebbe «ad oggetto un insieme di provvedimenti
legislativi, la cui abrogazione priverebbe totalmente l'ordinamento
dell'assetto organizzativo indispensabile all'esercizio di una funzione
fondamentale dello Stato, qual è quella giurisdizionale, in violazione degli
artt. 101 e seguenti Cost., con irrimediabile lesione del diritto fondamentale di
agire e di difendersi in giudizio, ex art. 24 Cost.».
Il costante orientamento del Giudice delle leggi, peraltro non consente la
riviviscenza della legislazione precedente, come invece aveva suggerito la
difesa regionale dei decreti nn. 155 e 156 del 2012, che hanno sostituito le
vecchie tabelle sulla geografia giudiziaria con altre nuove, lascerebbe
nell’ordinamento un vuoto normativo non colmabile in via interpretativa,
che colpirebbe in modo fatale l’amministrazione della giustizia in effetti
avrebbe fatto perdere il giudice prestabilito per la legge abrogata presso il
quale già pendevano da più di quattro mesi le nuove cause e avrebbe
obbligato il legislatore, eventualmente mediante decreto legge di disporre la
riapertura di sedi di tribunale appartenenti agli enti locali già dismessi e
potenzialmente alienate o destinate ad altri servizi pubblici.
A tal proposito la Corte richiama la precedente sentenza 28/2011 secondo
cui «l'abrogazione, a seguito dell'eventuale accoglimento della proposta
referendaria, di una disposizione abrogativa è [...] inidonea a rendere
nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già
espunte dall'ordinamento». In sostanza, il referendum non sarebbe
concepibile se non come un “atto libero e sovrano di legislazione negativa”
(C. Cost. 29/1987), teso quindi alla mera abrogazione della normativa
vigente e pertanto incapace di ricostituire, nemmeno in via presuntiva, la
disciplina anteriore abrogata dalla legge oggetto del referendum, come
proponevano invece i promotori.
39
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Infine la Corte nega l’omogeneità del quesito. La giurisprudenza
costituzionale ha da sempre censurato i referendum aventi a oggetto interi
testi legislativi complessi, o ampie porzioni di essi, comprendenti una
pluralità di proposizioni normative eterogenee. L’obiettivo è la libertà di
voto dell’elettore: un unico quesito articolato su molteplici questioni può
incidere sul libero convincimento del cittadino (Sent. 16/1978).
La proposta in esame difetterebbe di omogeneità in quanto sottoporrebbe a
referendum, in un unico quesito, gli articoli di delega della l. n. 148/2011 e i
due decreti legislativi citati i quali, pur essendo legati dall’intento di una
revisione complessiva dell’organizzazione giudiziaria, si occupano di una
pluralità di aspetti organizzativi ad permettendo all’elettore di potersi ad
esempio esprimere su ogni singolo obiettivo della legge delega e a favore
dell’accorpamento di alcune o del mantenimento di altre strutture
individuate dai decreti.
Non essendo offerte soluzioni intermedie, l’elettore si troverebbe, per così
dire, di fronte ad un aut aut, “prendere o lasciare l’intera riforma”
incompatibile col principio democratico. Le grandi riforme quindi non
possono più essere rigettate in blocco dal corpo elettorale ma solo
picchettate puntualmente.
40
Il diritto di subentro al familiare assegnatario nell’edilizia residenziale
pubblica. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5579/2013
di Elena Ponzo
Parole chiave: Comuni – edilizia popolare ed economica –
assegnazione – subentro
Riferimenti normativi: art. 11, art. 12, art. 13 L.R. Lazio n. 12/1999
(“Disciplina delle funzioni amministrative regionali e locali in materia di
Edilizia Residenziale Pubblica”).
Massima: Ai sensi della Legge reg. Lazio n. 12/1999, tra i requisiti per il
subentro al familiare nell’assegnazione di un alloggio di edilizia
residenziale pubblica va verificata anche l’insussistenza di cause di
decadenza in capo all’istante, tra le quali il non aver abitato stabilmente
nell'alloggio assegnato, senza aver informato e chiesto autorizzazione
all’Ente gestore.
Link al documento
A seguito della rinuncia del regolare assegnatario, il discendente aveva
richiesto al Comune di Roma la voltura a proprio nome dell’alloggio gestito
a titolo di edilizia residenziale pubblica, di cui all’art. 10 della L.R. Lazio n.
12/1999. Il rifiuto veniva motivato con la mancanza dei requisiti previsti
per il diritto di subentro: l’istante, infatti, già parte del nucleo familiare,
aveva mutato la propria residenza dal 2001 al 2004, senza autorizzazione
dell’amministrazione.
In primo grado il T.A.R. del Lazio accoglieva l’impugnativa avverso il diniego
del Comune.
Con sentenza n. 5579/2013 il Consiglio di Stato riforma la decisione di
primo grado stabilendo la legittimità del diniego alla voltura opposto
dall’Ente.
Il C.S. procede anzitutto a una ricognizione della normativa in merito ai
requisiti per l’esercizio del diritto di subentro, cui sono ammessi i
componenti del nucleo familiare originario o ampliato ai sensi dell’art. 12,
comma 4, della L.R. Lazio n. 12/1999. Tra le ipotesi di ampliamento
espressamente previste è contemplato il “rientro dei figli”, purché in
possesso di tutti i requisiti per l’assegnazione . L’art. 13 della stessa legge
prevede tra le cause di decadenza il “non abitare stabilmente l’alloggio
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
assegnato, salvo il caso in cui l’ente gestore non lo autorizzi per gravi
motivi” (lett. b).
Il C.S. rileva l’errore interpretativo in cui è incorso il T.A.R. che avrebbe
dovuto verificare il possesso dei requisiti avendo riguardo anche
all’insussistenza delle cause di decadenza di cui all’art. 13 sopra citato e non
solo a quelli per l’accesso all’alloggio popolare di cui all’art. 11 della stessa
legge. Nel caso de quo la ricorrente aveva lasciato l’abitazione del padre nel
periodo compreso tra il 2001 e il 2004 per recarsi presso la dimora della
madre separata omettendo di informare l’ente gestore.
I giudici di Palazzo Spada affermano che esiste in questi casi un obbligo di
informazione dell’amministrazione motivato da ragioni di verifica in ordine
alla permanenza dei requisiti per l’occupazione dell’alloggio, i quali, a loro
volta, sarebbero stati ricollegabili alle finalità che presiedono alla gestione
di alloggi popolari.
Il Consiglio di Stato precisa inoltre che la decadenza dall’assegnazione di un
alloggio di edilizia residenziale pubblica rileva in ogni caso, a prescindere
dalla presentazione della domanda di subentro in quanto attiene alla
permanenza dei requisiti necessari a conservare l’assegnazione dell’alloggio
popolare. Tale ricostruzione sarebbe avvalorata anche dal complessivo
tenore letterale dell’art. 12 della L.R. Lazio 12/1999.
42
All’affidamento in house dei servizi di pubblica utilità, possono ricorrere
anche piccoli comuni con quota minima di capitale e privi di
rappresentante negli organi direttivi. Annotazione alla sentenza del
T.A.R. Lombardia, Sezione di Milano, N. 2588/2013
di Nicola Dessì
Parole chiave: Servizi pubblici, affidamento in house, gestione dei
rifiuti.
Riferimenti normativi: Art. 117 co. 3 Cost. Artt. 3, co. 1, lett. b), 4
legge della Provincia autonoma di Trento 4 ottobre 2012, n. 21
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento provinciale in
materia di servizi pubblici, di revisione della spesa pubblica, di
personale e di commercio); art. 2, co. 1 e 2 legge della Provincia
autonoma di Bolzano 11 ottobre 2012, n. 16 (Assistenza farmaceutica).
Massima: Un Comune può affidare direttamene a una società c.d. in
house la gestione di un servizio pubblico di rilevanza economica anche
se non è direttamente rappresentato negli organi direttivi della società,
nonostante una recente decisione della Corte di Giustizia europea
risalente al 2012 – la c.d. sentenza Econord- ritenga possibile
l’affidamento diretto solo quando l’amministrazione aggiudicatrice
partecipa “sia al capitale sia agli organi direttivi” della società
affidataria. A tale proposito, si richiamano le conclusioni dell’Avvocato
generale nella sentenza Econord: l’effettiva partecipazione societaria
dell’ente pubblico va valutata in base alla sua popolazione e al suo
volume di bilancio. Poiché il Comune coinvolto nel cado di specie è di
piccole dimensioni, l’assenza dei suoi rappresentanti nel Consiglio di
amministrazione è giustificata, tenendo presente che lo statuto della
società affidataria assegna ai Comuni coinvolti poteri propulsivi e di
indirizzo nei confronti del Consiglio di amministrazione.
Link al documento
Caso concreto.
Una società a responsabilità limitata, operante nel settore dei rifiuti,
presentava ricorso per chiedere al T.A.R. della Lombardia, sezione di
Milano, l'annullamento di una deliberazione consiliare di un Comune in
Provincia di Pavia. Il Comune resistente aveva affidato direttamente a una
società c.d. "in house" - senza una previa procedura concorsuale - la
gestione del servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti. La
deliberazione impugnata era datata 30 settembre 2011; il ricorso contro di
essa veniva depositato il 2 dicembre 2011. In primo luogo, la società
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
ricorrente invocava la violazione di alcune disposizioni del decreto-legge
138/2011, convertito con modificazioni con legge 148/2011. Infatti, non
sarebbe stato osservato l'art. 4 del decreto: il Comune avrebbe dovuto
procedere a un'istruttoria, volta a verificare l'eventuale possibilità di gestire
il servizio in un regime concorrenziale, e solo in caso di esito negativo
avrebbe potuto affidare il servizio a una società "in house". Al di là di questo
aspetto - avente sostanzialmente natura procedurale - la ricorrente
censurava, nel merito, l'insussistenza delle condizioni oggettive che gli artt.
2 e 18 della direttiva europea 2004/18 richiedono per consentire
l'affidamento
diretto.
In conseguenza di tutto ciò, il Comune avrebbe agito in contrasto con il
principio comunitario della libertà di concorrenza, nonché con gli artt. 3, 11,
41 e 97 Cost.
Decisione
Il collegio giudicante rigettava il ricorso.
Innanzitutto si menziona la sentenza n. 199, depositata il 20 luglio 2012,
con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 4 del decretolegge
138/2011.
Tale
disposizione
non
faceva
che
riproporre, in materia di servizi pubblici locali, il dettato di quelle norme
che erano state abrogate con il referendum popolare del 15 giugno 2011, e
che
limitavano
fortemente
il
ricorso
all'
in
house
providing. Il ricorso in esame, dunque, fondava parte delle sue censure su
una disposizione che in seguito, successivamente alla presentazione del
ricorso, è stata dichiarata illegittima.
La questione più rilevante, però, consiste nella verifica, nel caso concreto,
dei requisiti necessari per l'affidamento diretto, alla luce dell'orientamento
giurisprudenziale della Corte di Giustizia europea.
Com'è noto, una società può essere diretta affidataria della gestione di un
servizio di pubblica utilità solo quando l'ente affidante esercita su di essa un
“controllo analogo” a quello che eserciterebbe sui propri servizi, e sempre
che la società affidataria svolga la parte più importante della propria attività
per
conto
dell'ente
affidante. Questo principio è stato elaborato a partire dalla sentenza Teckal
del1999.Una recente decisione della Corte di Giustizia, però, apporta alcuni
elementi di novità nella definizione di “controllo analogo”. Per la sentenza
Econord, C 183/2011, il “controllo analogo” rileva “qualora ciascuna delle
autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell'entità
suddetta”.
Nel caso di specie, il Comune resistente detiene una partecipazione
azionaria - ancorché decisamente irrisoria - all'interno della società
affidataria; nessuno dei cinque consiglieri d'amministrazione della
società, però, è espressione del Comune.
Nominalmente, quindi, il Comune non partecipa negli “organi direttivi” della
società. Resta da stabilire se questa circostanza impedisce, o no, l'esercizio
del “controllo analogo”.
44
Nelle conclusioni dell'avvocato generale Villalón nella causa Econord sono
contenute alcune indicazioni utili a riguardo. Si afferma che il requisito del
“controllo analogo” è soddisfatto quando è effettivo il controllo esercitato
congiuntamente con gli altri enti partecipanti; per valutare la
partecipazione dell'ente alla gestione della società, occorre tenere conto del
suo “peso relativo”, in base a indicatori come “il volume di bilancio dell'ente
locale, la popolazione di tale ente o le sue necessità in relazione al servizio
gestito dalla società”.
Dal canto suo, la V Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8970 del
2009, aveva già affermato che “affinché il controllo sussista anche nel caso di
una
pluralità
di
soggetti
pubblici
partecipanti
al
capitale della società affidataria non è (...) indispensabile che ad esso
corrisponda simmetricamente un 'controllo' della governance societaria”.
Il collegio giudicante del T.A.R. di Milano ne deduce che la partecipazione
alla gestione della società affidataria non va intesa in senso "formale": va
compiuta un'indagine nel caso concreto, in modo da accertare se l'ente
pubblico influenzi effettivamente l'operato dell'ente, considerando il suo
effettivo potere di influenza in base alle sue risorse finanziarie, e - se è un
ente territoriale - alla sua demografia. Evidentemente, è difficile che un
piccolo Comune abbia la possibilità di esprimere un consigliere
d'amministrazione, all'interno di una società nella quale il "controllo
analogo" è esercitato anche da molti altri enti. Tanto più che, in base al d.l.
95/2012 - c.d. spending review, poi convertito con legge 135/2012 - i
consigli di amministrazione delle società a totale partecipazione pubblica
non possono essere più di cinque. Se si accogliesse la tesi “formale”, che
richiede la partecipazione dei Comuni agli “organi direttivi” delle società,
l'affidamento in house sarebbe praticabile solo per le società cui non
partecipano più di cinque Amministrazioni: tale soluzione, secondo il T.A.R.
di Milano, "condurrebbe a conseguenze peggiori del problema che intende
risolvere".
In sostanza, la presenza formale nei Consigli di amministrazione non è
l'unico strumento a disposizione di un ente per gestire la società in house.
Infatti, lo statuto della società alla quale, nel caso qui in esame, è stato
affidato il servizio, assegna a tutti i Comuni partecipanti il potere di
formulare
proposte
al
Consiglio
di
amministrazione, e di porre un veto sulle deliberazioni che vi si discostino;
in più, i Sindaci dei Comuni interessati, riuniti in un’Assemblea, possono
formulare indirizzi operativi sulla gestione del servizio.
Risulta dunque effettivamente arduo sostenere che il Comune resistente
non eserciti un "controllo analogo" sull'attività societaria, a prescindere dal
dato formale. Come afferma il T.A.R. di Milano, l'affidamento in house è
legittimo “ove risulti provato il perseguimento di uno scopo di carattere
consortile, cioè la risultante, o una degna sintesi, di quello delle singole
Amministrazioni che ne fanno parte”. D'altronde, nella stessa sentenza
Econord - che richiama a sua volta la sentenza Coditel Brabant, C 324/07 - si
legge che “nel caso in cui venga fatto ricorso ad un'entità posseduta in
comune
da
più
autorità
pubbliche,
il
'controllo
45
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
analogo' può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, senza che sia
indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da
ciascuna di esse”. Il rigetto del ricorso è la logica conseguenza del percorso
argomentativo qui descritto.
Va ricordato che, secondo una decisione più risalente della V Sezione del
Consiglio di Stato, non sussiste il “controllo analogo” quando, in base allo
statuto della società affidataria, “i poteri appartengono agli organi sociali, e
non è previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali e la
costituzione degli anzidetti organi”. Si tratta della sentenza n. 5 dell’8
gennaio 2007: la Corte di Giustizia non aveva ancora emesso le sentenze
Coditel Brabant ed Econord. Se ne potrebbe dedurre, a contrario, che per
ravvisare l’esistenza del “controllo analogo” sia sufficiente che tale raccordo
vi sia, al di là della formula concretamente adottata allo scopo di porlo in
essere.
Brevi considerazioni conclusive.
È interessante rilevare che il collegio giudicante ha riconosciuto la
legittimità di una delibera, con cui si affida in house un servizio di pubblica
utilità e di rilevanza economica direttamente e senza una preventiva
istruttoria. Effettivamente, la disposizione che imponeva una valutazione
comparativa all’ente aggiudicante, prima di procedere all’affidamento
diretto, era l’art. 4 della l. 138/2011, e la Corte Costituzionale l’ha espunta
dall’ordinamento giuridico. Rimane l’art. 34, comma 20, del d.l. 179/2012,
convertito con la l. 221/2012: l’ente locale, prima di scegliere una forma di
affidamento del servizio, deve verificare la sussistenza dei relativi requisiti
richiesti dalla disciplina europea, e darne conto in un’apposita relazione;
tale disposizione, però, non era in vigore alla data del 30 settembre 2011,
quando il Comune coinvolto nel caso qui esaminato aveva adottato la
delibera.
Se, dunque, un Comune adottasse, oggi, una simile delibera, senza una
previa istruttoria e senza una motivazione, tale delibera sarebbe annullabile
in sede di ricorso giurisdizionale, perché adottata in violazione di quanto
disposto dal d.l. 179/2012. In effetti, se si qualifica la delibera che affida la
gestione di un servizio come un “provvedimento” – e non si capisce perché
non lo si dovrebbe considerare tale, vista la sua incidenza nella sfera
giuridica degli operatori economici eventualmente interessati alla gestione
– allora essa non può sottrarsi all’obbligo di motivazione previsto dalla
legge 241/1990.
Resta semmai da chiarire se l’istruttoria e l’obbligo di motivazione siano gli
unici adempimenti necessari per l’affidamento in house del servizio, o se la
scelta di questa modalità incontri altre limitazioni. Si tratta in sostanza di
stabilire se l’affidamento diretto è da considerarsi equiparabile al
procedimento di evidenza pubblica, o se quest’ultimo debba ritenersi la
46
modalità principale di scelta, come affermato talora in dottrina 39 . Ebbene,
né l’art. 113 del Testo unico degli Enti locali né l’art. 106 TFUE stabiliscono
un ordine di priorità fra le varie modalità di affidamento. Vero è che
secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (ad. plen., sentenza n.
1/2008) l’in house providing è “un’eccezione alle regole generali del diritto
comunitario, le quali richiedono la previa gara”. Si tratta di una vexata
quaestio, per affrontare la quale occorrerebbe andare ben al di là di questa
nota; il nodo tutto principale risiede nell’interpretazione dell’art. 106 TFUE
e nella necessità, o meno, di dimostrare che le regole a tutela della libera
concorrenza ostacolino la “missione” affidata all’ente pubblico. Un dato è
certo: con il referendum abrogativo del 2011, la volontà popolare si è
espressa contro la previsione di limitazioni ad hoc all’affidamento diretto.
Quanto alla principale questione affrontata in sentenza, sembra
condivisibile la ricostruzione operata dal T.A.R. di Milano, in ordine al
riconoscimento del “controllo analogo” anche in mancanza di una presenza
formale dell’ente affidante negli organi direttivi della società affidataria.
Valgono in proposito le argomentazioni avanzate dal collegio giudicante. Si
può eventualmente aggiungere alcune considerazioni, anche considerando
le novità apportate dalla recente direttiva 2014/24, la quale - a partire dal
2016 - si sostituirà alla storica direttiva del 2004.
L’articolo 18 della direttiva 2004/18 disciplina l’ipotesi in cui la gestione di
un servizio viene affidato a un’amministrazione aggiudicatrice; non
menziona apertamente, però, la nozione di “controllo analogo”, né
tantomeno la definisce. Non la definisce con precisione nemmeno l’art. 113
del Testo unico degli Enti locali. In un simile quadro normativo, il “controllo
analogo” viene così a configurarsi come una situazione di fatto, i cui confini
devono necessariamente essere individuati di volta in volta, nel concreto,
dalla giurisprudenza. Dopodiché, nel momento in cui il “controllo analogo”
si manifesta come una situazione di fatto, caratterizzata da un effettivo
potere d’indirizzo detenuto dall’amministrazione aggiudicatrice nei
confronti del soggetto affidatario, non può ritenersi ragionevole applicare
una diversa disciplina a seconda che questa influenza avvenga, o non
avvenga, per mezzo di rappresentanti nei Consigli di amministrazione,
direttamente facenti capo all’ente affidante.
A decorrere dal 18 aprile 2016, la direttiva 2004/18 sarà abrogata ed
entrerà in vigore la direttiva 2014/24. Quest’ultima si preoccupa di dare
una descrizione dettagliata del rapporto che deve intercorrere fra affidante
e affidatario, perché si possa procedere all’affidamento diretto. L’articolo 12
della nuova direttiva prevede, al paragrafo 3, la possibilità che
l’Amministrazione aggiudicatrice eserciti sull’ente un controllo analogo
assieme ad altre Amministrazioni aggiudicatrici. Il secondo comma del
Cfr. ad esempio C. VOLPE, La “nuova normativa” sui servizi pubblici locali di rilevanza
economica. Dalle ceneri ad un nuovo effetto “Lazzaro”. Ma è vera resurrezione?,
in giustamm.it, n. 1-2013. La nuova normativa sui servizi pubblici locali “corrobora l’idea
che il ricorso all’in house non sia ‘liberalizzato’ ed equiordinato agli altri modelli di gestione
(…) dovendosi, invece, ai fini dell’affidamento, necessariamente valutare, e conseguentemente
motivare, sulla convenienza, soprattutto economica e finanziaria, rispetto al modello
dell’evidenza pubblica”.
39
47
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
paragrafo, al numero I), richiede a tal fine che negli organi decisionali
dell’ente affidatario siano presenti i rappresentanti di tutte le
Amministrazioni partecipanti. Non è agevole stabilire come si sarebbe
potuto risolvere la vicenda qui analizzata, se fossero già state in vigore le
nuove norme comunitarie; ad ogni modo, va notato che la stessa direttiva
2014/24 consente a singoli componenti degli organi decisionali di
rappresentare più Amministrazioni, e che non necessariamente gli “organi
decisionali” di una persona giuridica devono coincidere con il solo consiglio
di amministrazione. Una lettura rigorosa della direttiva potrebbe rendere
necessario che i piccoli Comuni si raggruppino, per esprimere, quantomeno,
un rappresentante comune, che faccia direttamente e specificamente
riferimento ad essi, con riferimento a tutti gli organi decisionali: compreso,
dunque, il consiglio di amministrazione.
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Solo i comuni possono individuare al loro interno le zone in cui collocare
le farmacie (Corte costituzionale n. 255/2013)
di Nicola Dessì
Parole chiave: Commercio, tutela della salute
Riferimenti normativi: Art. 117, co. 3 Cost. Artt. 3, co. 1, lett. b), 4 legge
della Provincia autonoma di Trento 4 ottobre 2012, n. 21 (Disposizioni
per l’adeguamento dell’ordinamento provinciale in materia di servizi
pubblici, di revisione della spesa pubblica, di personale e di
commercio); art. 2, co. 1 e 2 legge della Provincia autonoma di Bolzano
11 ottobre 2012, n. 16 (Assistenza farmaceutica)
Massima: In virtù della legge statale, spetta ai Comuni indicare le zone
in cui devono essere collocate le farmacie. Il legislatore regionale e
provinciale non può disporre diversamente, tenuto conto che, ai sensi
dell’art. 117, comma 3, Cost.,la definizione dei principi fondamentali in
materia di tutela della salute è riservata al legislatore statale
Link al documento
La sentenza decide alcune questioni di legittimità costituzionale, promosse
in via principale dal Presidente del Consiglio dei Ministri, contro alcune
disposizioni della legge 21/2012 della Provincia autonoma di Trento e della
legge 16/2012 della Provincia autonoma di Bolzano. Le questioni, alcune
delle quali interessano le funzioni dei Comuni, sono state promosse con due
separati ricorsi, che la Corte ha deciso con un unico giudizio. La Corte ha
riconosciuto la fondatezza di alcune delle questioni.
La legge 21/2012 della Provincia di Trento, all’art. 3, comma 1, lettera b),
modifica la legge provinciale 29/1983. Viene introdotto all’art. 58 il comma
2-bis, il quale assegna alla Provincia il compito di determinare “il numero
delle farmacie ubicate nei singoli Comuni” e di identificare le zone in cui le
farmacie dovranno essere collocate. Inoltre, l’art. 4 della legge provinciale
introduce un art. 59-bis, in base al quale, nel procedimento di localizzazione
delle farmacie, “non sono utilizzati” gli atti che il Comune ha
precedentemente adottato in materia: la Provincia, dunque, non tiene conto
di questi atti.
La legge 16/2012 della Provincia di Bolzano contiene una disposizione
analoga. Infatti, secondo l’art. 2, co. 1, la Giunta provinciale determina il
numero delle farmacie nei singoli Comuni, nonché le “zone ove collocare le
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
nuove farmacie”; in base al comma 2, la Giunta provinciale dovrà sentire i
Comuni interessati.
Secondo la Corte, queste disposizioni sono illegittime.
Le norme impugnate attengono senz’altro alla materia della tutela della
salute, attribuita dall’art. 117 Cost., comma 3, alla potestà legislativa
concorrente dello Stato e delle Regioni. Spetta allo Stato, dunque, dettare i
principi fondamentali in questo ambito.
Nel caso di specie, la legge statale assegna ai Comuni la funzione di
individuare, al loro interno, le zone in cui collocare le nuove farmacie: così
l’art. 11, commi 1 e 2, del d.l. 1/2012, convertito con modificazioni dall’art.
1, comma 1, della legge 27/2012. La Corte rinviene nella scelta del
legislatore statale la risposta all’esigenza di “assicurare un ordinato assetto
del territorio corrispondente agli effettivi bisogni della collettività”, nel
quadro più generale dell’attribuzione dei compiti di pianificazione
urbanistica ai Comuni, cioè all’ente più vicino ai cittadini; le due Province
autonome, invece, hanno scelto di attribuire tale compito alle Giunte
provinciali.
Va inoltre notato che il legislatore statale, se – da un lato – ha inteso
attribuire la competenza a localizzare le farmacie al Comune, lo stesso
legislatore ha – al contempo – assegnato alle Regioni e alle Province
autonome il compito di rivedere le piante organiche, in caso di mutamenti
nella distribuzione della popolazione comunale: così dispone l’art. 5, comma
1, della l. 362/1991. Il legislatore statale ha dunque conferito a due enti
diversi la funzione di determinazione della pianta organica e quella della sua
revisione. Le disposizioni impugnate, invece, non operano questa
differenziazione, prevedendo che un solo ente si occupi di svolgere
entrambe le funzioni.
Il contrasto delle norme impugnate con il principio contenuto nella predetta
norma statale implica l’illegittimità delle stesse.
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CITTADINI ED ENTI
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Il fragile sistema del t. p. l. piemontese rischia di essere travolto
dall'ordinanza n. 31-2014 del T.A.R. Piemonte.
Di Marco Comaschi
Parole chiave: trasporto pubblico locale, livelli minimi essenziali, lep
(livelli essenziali prestazioni), programmazione regionale del t.p.l.,
razionalizzazione dei servizi, potere sostitutivo statale.
Riferimenti normativi: art. 120 Cost.; art. 8 L. 5.6.2003, n. 131; art.
11 D. L. 8.4.2013, n. 35; art. 13, c.4, D. Lgs. 6.5.2011, n. 68.
Massima: La Regione non può pregiudicare i livelli minimi essenziali
delle prestazioni in materia di trasporto pubblico locale, anche
qualora vi sia la concreta esigenza economica di “razionalizzare” il
servizio
Link al documento
Con l'ordinanza in oggetto il TAR Piemonte, chiamato a pronunciarsi in via
cautelare sull'efficacia di una serie di atti – regionali ed attuativi degli enti
soggetti di delega – con cui veniva drasticamente ridimensionato il servizio
di t.p.l. nelle Province di Biella e Vercelli, ha, in estrema sintesi, infranto il
precario equilibrio su cui si reggeva il sistema del t.p.l. Regionale, creando
non pochi dilemmi circa il futuro di tale fondamentale servizio nel corso del
2014.
Peraltro è bene sin da subito precisare come non si possa certamente
accollare al G.A. la responsabilità di una crisi – profonda e sistemica – del
t.p.l. piemontese, la quale trova in realtà origine nella convergenza di
alcuni fattori negativi, quali l'emergenza economico-finanziaria che ha
travolto l'Ente Regione nonché le oggettive difficoltà di comprimere
ulteriormente la spesa per il servizio di trasporto pubblico locale.
Per tale ragione, quindi, prima di analizzare la pronuncia interinale in
questione è necessario descrivere sinteticamente il critico quadro in cui
questa viene ad innestarsi.
Va infatti ricordato come, nel corso degli ultimi anni, si siano susseguiti
numerosi interventi volti a ridurre la contribuzione regionale per il t.p.l.
tanto che, nel suo complesso, rispetto alla spesa sostenuta nell'anno 2010 si
è avuta una contrazione delle risorse assegnate agli Enti soggetti di delega
52
per il trasporto pubblico locale su gomma nei successivi tre anni
rispettivamente del 3%, del 9 % e del 15%.40
A ciò si aggiunga che, nonostante le citate riduzioni fossero già state
previste in sede di programmazione, la Regione ha destinato al t.p.l. nel
triennio 2011-2013 risorse inferiori a quelle previste nel piano triennale,
generando così un disavanzo per i servizi su gomma di circa 159 Milioni di
Euro, ponendo così in serio pericolo la concreta erogazione del servizio.41
La drammaticità della situazione creatasi è stata quindi portata
all'attenzione del Governo che, all'interno del D.L. 8.4.2013 n. 35, portante
disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché
in materia di versamento di tributi degli enti locali, ha specificamente
previsto per la Regione Piemonte la possibilità di utilizzare – in deroga – per
il ripiano del deficit sul t.p.l. 150 Milioni di € dei fondi Fas, subordinando
tale opportunità all'approvazione di un piano di rientro regionale che
individui le necessarie azioni di razionalizzazione e di incremento
dell'efficienza da conseguire.42
40 Per un approfondimento si veda la D.G.R. 14.5.2012, n. 13-3852, portante approvazione
del Piano Triennale dei servizi di TPL per il periodo 1.1.2011-31.12.2013, così come
modificata dalla D.G.R. 24.9.2012, n. 12-4591. Quanto al reale impatto dei tagli sul sistema
integrato del t.p.l. si tenga però presente che, parallelamente, è stata prevista a partire dal
1.7.2012 una riduzione annuale del 10% delle risorse per i servizi ferroviari (D.G.R.
28.11.2011, n. 35-2942). Una lettura obbiettiva e scientificamente corretta delle vicende
inerenti i tagli regionali sul t.p.l. impone di ricordare come, per buona parte, questi siano
dipesi da presupposte riduzioni dei finanziamenti statali a tali spese.
41 Al debito regionale maturato nei confronti degli enti soggetti di delega per il t.p.l. su
gomma dev'essere sommato anche quello creato per i servizi su ferro (161 M€), per un
deficit complessivo di 350 M€. Volendo quindi sintetizzare, i principali fattori scatenanti la
crisi del t.p.l. sono i seguenti:
- la previsione, già a livello di programmazione regionale triennale, di riduzioni dei
trasferimenti agli enti soggetti di delega (ossia le Province, alcuni Città piemontesi nonché
l'Agenzia per la Mobilità Metropolitana);
- la circostanza per cui, in più di un occasione, gli enti soggetti di delega - e
conseguentemente le aziende del t.p.l. - abbiano dovuto porre in essere le predette
riduzioni ad attività avviata, se non ad anno quasi concluso, con la conseguenza di dover
“spalmare” le riduzioni su periodi più brevi, pregiudicando quindi maggiormente i servizi e
creando maggiore incertezza;
- l'ulteriore incapacità della Regione di far fronte alle previsioni di spesa per il t.p.l., così
come definite a seguito delle predette riduzioni, ha portato ad una grave crisi di liquidità
del sistema: il mancato o insufficiente trasferimento delle risorse necessarie agli enti
soggetti di delega ha spinto inizialmente questi ad anticipare le somme dovute alle aziende
di t.p.l. ma, una volta che i Comuni e soprattutto le Province sono stati a loro volta oggetto
di tagli insostenibili, si è arrivati non solo alla momentanea impossibilità di pagare il deficit
accumulato ma, anche, al rischio di non remunerare la parte corrente del servizio.
42 Più precisamente l'art. 11 del d.l. 35/2013 ha previsto che “Omissis...6. Per consentire la
rimozione dello squilibrio finanziario derivante da debiti pregressi a carico del bilancio
regionale inerenti ai servizi di trasporto pubblico locale su gomma e di trasporto
ferroviario regionale, la Regione Piemonte predispone un piano di rientro, da sottoporre,
entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, all'approvazione del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze. Il
piano di rientro dovrà individuare le necessarie azioni di razionalizzazione e di incremento
dell'efficienza da conseguire attraverso l'adozione dei criteri e delle modalità di cui
all'articolo 16-bis, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con
53
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Stante, quindi, la necessità di poter utilizzare tali risorse per ripianare il
disavanzo, nonché la congiunta esigenza di operare comunque nuove
riduzioni del servizio di t.p.l. per equilibrare la spesa di parte corrente, la
Regione Piemonte ha approvato con la D.G.R. 6.5.2013, n.25-5760 un Piano
di rientro in materia di Trasporto Pubblico Locale in attuazione dell'art. 11
del D.L. 8.4.2013, n.35, delibera in seguito revocata – salvi comunque gli
effetti del piano approvato – dalla D.G.R. 29.7.2013, n. 11-6177.
Come ben può immaginarsi la riprogrammazione operata per il 2013, così
come le conseguenti previsioni per i due anni successivi, è andata ad
incidere ulteriormente sui servizi erogati, tanto da far ritenere al G.A. essere
stati pregiudicati i livelli minimi essenziali del t.p.l.43
Ed è infatti proprio da tali delibere che scaturisce, in poche parole, il
giudizio amministrativo nel corso del quale è stata adottata l'ordinanza di
sospensione in oggetto.
A proporre il ricorso r.g.r. n. 662/2013 innanzi al TAR Piemonte è stata
l'A.T.A.P. - Azienda Trasporti Automobilistici Pubblici Biella e Vercelli S.p.A.
- la quale dapprima ha impugnato direttamente le D.G.R. sopracitate ed in
seguito, con motivi aggiunti, ha chiesto l'annullamento degli atti
conseguentemente assunti a livello locale per dare attuazione alla
riprogrammazione regionale così come delle intervenute delibere regionali
con cui è stato riprogrammato definitivamente il t.p.l.44
Peraltro è doveroso segnalare come la Regione Piemonte avesse convenuto,
con tutti i soggetti interessati, che nessuno di essi proponesse ricorso
avverso la riprogrammazione assunta ai sensi e per gli effetti dell'art. 11
D.L. 35/2013, e ciò in quanto l'intento comune e prevalente era quello di
poter finalmente destinare i 150 Milioni di Euro dei fondi FAS al ripiano del
deficit pregresso.
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni. (59)7 Per il
finanziamento del piano di cui al comma precedente, la Regione Piemonte è autorizzata ad
utilizzare, per l'anno 2013, le risorse ad essa assegnate del Fondo per lo sviluppo e la
coesione di cui alla delibera del CIPE n. 1 dell'11 gennaio 2011(pubblicata nella G.U. n. 80
del 7 aprile 2011), nel limite massimo di 150 milioni di euro. La Regione Piemonte propone
conseguentemente al CIPE per la presa d'atto, la nuova programmazione nel limite delle
risorse disponibili.
43 Nel Piano di rientro allegato alla citata delibera la Regione sottolinea a più riprese come
la stessa sia obbligata a dotarsi di un piano di riprogrammazione dei servizi di t.p.l. che,
sulla base delle linee di indirizzo ivi tracciate, ed alla luce del quadro finanziario previsto
sia per il rientro del deficit che per il riequilibrio della spesa per gli anni 2013-2015, sarà
assunto formalmente attraverso il Programma Triennale regionale dei servizi di t.p.l. 20132015, da approvarsi d'intesa con gli enti soggetti di delega aggregati per bacino.
44 Il giudizio è, nel suo oggetto, particolarmente complesso dato che interessa numerosi
atti emanati da enti differenti. Le D.G.R. impugnate con motivi aggiunti sono la n. 12-6607
del 4.11.2013, recante "Approvazione della bozza di Accordo sul piano di rientro in materia
di TPL e sul programma triennale regionale dei servizi di trasporto pubblico locale 20132015 tra la Regione Piemonte, l'A.N.A.V. e la Confservizi" e la n. 19-6537 del 22.10.2013
recante "Approvazione del Piano di Riprogrammazione del trasporto pubblico locale e di
trasporto ferroviario regionale ai sensi dell'art. 16 bis comma 4 del D.L. 6 luglio 2012 n.
95".
54
Tale accordo è stato definito in prima battuta in seno alla Conferenza
permanente Regione – Autonomie Locali, ove è stata approvata la bozza del
programma triennale per il t.p.l. e, in un secondo momento, stipulato anche
con l'Associazione nazionale aziende di trasposto (A.N.A.V.) e la Confservizi.
Sotto questo punto di vista, quindi, si può dire che l'impugnativa proposta
dall'A.T.A.P.– a prescindere dalle eventuali conseguenze che, come si vedrà,
rischiano di essere particolarmente nefaste – è stata assunta, oltre che per
certi aspetti imprudentemente, anche in violazione del suddetto impegno
che, nel bene o nel male, era stato concertato dalla Regione con tutti i
soggetti interessati a fronte di precise garanzie attinenti alla gestione del
servizio.45
Rivolgendo invece lo sguardo al petitum del giudizio si può immediatamente
notare come i numerosi provvedimenti attuativi gravati siano stati
impugnati “nella parte in cui incidono sulla quantità dei servizi minimi di
trasporto pubblico programmati ed affidati”.46
Questa puntualizzazione non è di secondaria importanza in quanto fa capire
come il ricorrente abbia sostanzialmente chiesto al G.A. di pronunciarsi sul
tema dei servizi minimi essenziali nel t.p.l., ossia una questione che, pur
essendo oggigiorno di grande importanza, presenta ancora contorni
alquanto sfumati, i quali rendono tutt'altro che agevole esprimere un
giudizio di legittimità senza correre il rischio di sconfinare nella
discrezionalità politico-amministrativa.
Ed infatti è bene ricordare come, a livello nazionale, non sia stato ancora
emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri cui l’art. 13,
comma 4, del decreto legislativo n. 68 del 2011 demanda la ricognizione dei
livelli essenziali delle prestazioni nelle materie dell’assistenza,
dell’istruzione e del trasporto pubblico locale, nonché dei livelli adeguati del
servizio, anche nella materia da ultimo richiamata, previsti all’articolo 8,
comma 1, lettera c), della citata legge n. 42 del 2009.47
45 L'Assessore regionale ai Trasporti Bonino ha a tal riguardo affermato che “Avevamo
bisogno di queste risorse come dell’aria. I ricorrenti, in maniera irresponsabile, nonostante
il lungo periodo di condivisione hanno impugnato anche gli atti inerenti il piano di rientro.
Infatti, l’ordinanza sospende pure la delibera del maggio 2013 con cui è stato approvato il
piano di rientro e che, insieme al piano triennale, ci aveva consentito di ottenere dal
Governo 150 milioni di fondi Fas da destinare alle aziende del tpl”
46 Gli atti impugnati sono numerosi in quanto l'ATAP è affidataria del servizio di t.p.l. per
più enti soggetti di delega, ossia il Comune di Biella e le Province di Vercelli di Biella.
47 L’intero processo di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia che
le Regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, nonché degli
obiettivi di servizio, sulla base della determinazione dei costi e fabbisogni standard, è poi
rimesso, dal successivo comma 6 dello stesso art. 13 del d.lgs. n. 68 del 2011, alla Società
per gli studi di settore – SOSE s.p.a., in collaborazione con l’ISTAT e avvalendosi della
Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
presso il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO) delle Regioni,
secondo la metodologia e il procedimento di determinazione di cui agli articoli 4 e 5 del
decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione
dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province).
55
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Quanto, poi, al caso de quo la Regione Piemonte, pur facendosi carico nel suo
Programma Triennale del t.p.l. di definire il concetto di servizi minimi
essenziali, espressamente dichiara che “La determinazione del fabbisogno
dei servizi di TPL non è di facile individuazione in quanto i fattori di cui tener
conto sono numerosi e non sempre correlabili tra loro (es.: popolazione e sua
articolazione per età, sesso e attività; territorio e sue caratteristiche;
accessibilità presente; carattteristiche della mobilità, etc...) né esiste una
metodologia univoca per la sua definizione”.48
In particolare nel Programma triennale regionale il concetto di servizi
minimi essenziali nel t.p.l. trova in parte concretizzazione nella definizione
del fabbisogno dei servizi per le aree cosiddette a domanda debole (ADD), le
quali risultano caratterizzate da una domanda di trasporto di entità ridotta,
dispersa nel territorio e nel tempo, così come nella conformazione
territoriale che causa difficoltà di esercizio con servizi convenzionali.49
In disparte, però, a questo specifico ragionamento la Regione afferma in via
generale che il fabbisogno per i servizi minimi del t.p.l. su gomma equivale
al trasferimento operato nell'anno 2010 diminuito del 15%.
Così definiti e garantiti – a detta della Regione – i servizi minimi essenziali, il
Giudice adito ha però espressamente accolto su questo punto, in sede
cautelare, l'istanza di sospensione avanzata dal ricorrente, affermando
essere opportuno per la Regione “...riesaminare i provvedimenti impugnati
alla luce delle censure formulate dalla ricorrente in relazione agli effetti
particolarmente negativi dei tagli previsti sul sistema dei trasporti delle due
province di Biella e di Vercelli che sarebbero pesantemente penalizzate e
all’incidenza delle misure adottate sulla possibilità stessa in tali province di
garantire i servizi minimi”.
Inoltre – ed è un dettaglio da non trascurare – il TAR Piemonte ha
contestualmente provveduto, come di rito, a fissare l'udienza per la
discussione del merito della causa che, però, è stata fissata ben oltre i
termini consueti di trattazione, ossia a distanza di quasi 6 mesi dalla
sospensione dell'efficacia dei provvedimenti.
Anche questo ulteriore elemento, a ben vedere, giustifica una lettura
particolarmente favorevole al ricorrente della pronuncia in oggetto: sembra
infatti che il TAR Piemonte abbia così voluto dire alla Regione di rivedere la
propria programmazione del t.p.l., fornendole a tal scopo il tempo
necessario, perché diversamente si giungerebbe ad un accoglimento nel
merito del ricorso.
In merito al corretto riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni in materia di servizi
minimi essenziali, nonché sulle modalità di finanziamento statale dei servizi pubblici locali
si veda Corte Cost., sent. 14.11.2013, n. 273.
48 Si veda pag. 29 del Programma Triennale Regionale dei servizi di t.p.l. 2013-2015.
49 Peraltro va anche rilevato come, in concreto, le risorse destinate nel complesso alle ADD
ammontino a soli 8 Milioni di Euro per tutta la Regione, con ciò perdendo ogni vigore il pur
apprezzabile iter logico-giuridico di tutela dei servizi su aree aventi caratteristiche sociali e
morfologiche deboli.
56
Così definita la fase cautelare, occorre però comprendere se la Regione
abbia, in concreto, gli spazi necessari per riformulare – secondo gli indirizzi
del TAR – la programmazione triennale del t.p.l.
Ed infatti la pronuncia in analisi afferma, in poche parole, che la
riprogrammazione elaborata dalla Regione ha inciso eccessivamente sul
trasporto pubblico locale delle Province di Vercelli e Biella, mettendo così a
rischio l'erogazione dei servizi minimi essenziali in questi territori.
Per poter quindi ricondurre la propria azione amministrativa nell’alveo
della legittimità, così come individuata dal giudice adito, la Regione
potrebbe limitarsi a potenziare il servizio di t.p.l. su queste due aree del
Piemonte – che, peraltro, hanno un peso economico alquanto limitato
all'interno della programmazione del t.p.l. - operando una redistribuzione di
risorse tra i diversi enti soggetti di delega e potendo pertanto mantenere
invariati i saldi della spesa, così come ridefinita, per il t.p.l..
Invero tale ipotetico intervento non solo appare di difficile attuazione ma,
sotto certi punti di vista, giuridicamente non praticabile dato che, se da un
lato verrebbero superati i vizi individuati dal TAR, dall’altro il nuovo atto
potrebbe risultare illegittimo per altri aspetti.
Ed infatti occorre tenere presente come, nel riprogrammare il t.p.l., la
Regione abbia inciso pesantemente su tutti gli enti soggetti di delega, tanto
che una mera ridistribuzione delle somme complessivamente destinate al
servizio in questione potrebbe condurre al paradossale risultato di tornare
a garantire il livello minimo essenziale del t.p.l. nella Province di Vercelli e
Biella ma, al contempo, farlo venire meno su altri territori che, a quel punto,
non staranno certamente a guardare e, a loro volta, impugneranno la nuova
riprogrammazione.
Inoltre è bene evidenziare come il TAR si sia limitato a censurare la
riprogrammazione del t.p.l. esclusivamente su queste aree del Piemonte in
ossequio ai precisi limiti oggettivi del giudicato: ciò, ovviamente, non vuole
affatto dire che il G.A. abbia accertato che per gli altri territori sono stati
garantiti i livelli minimi essenziali del servizio.
Così stando le cose, quindi, la Regione si troverebbe– in linea teorica – nella
condizione di poter rivedere i tagli operati solamente destinando ulteriori
risorse economiche al t.p.l., specie sulle aree marginali del suo territorio, per
potersi così porre al riparo da un'eventuale annullamento giudiziale della
propria pianificazione.
Qui, però, subentrano i problemi di natura economica che, va ricordato,
sono gli stessi che hanno costretto la Regione Piemonte ad operare la
riprogrammazione di cui si tratta, e ciò al precipuo fine di poter utilizzare in
deroga 150 Milioni di Euro dei fondi FAS per ripianare il deficit accumulato
negli scorsi anni.
Ed infatti risulta difficile poter comprendere come l'Ente Regione possa
reperire ulteriori fondi da destinare al t.p.l. dato che è proprio il deficit
strutturale di bilancio ad aver causato le descritte conseguenze sul settore
57
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
dei trasporti pubblici: a tal riguardo basti infatti vedere come nella stessa
riprogrammazione triennale del t.p.l. la Regione abbia chiaramente
affermato che “ Il disavanzo finanziario che negli ultimi anni sta interessando
anche il settore del t.p.l., non è derivato da cause strutturali di sistema, ma da
manovre finanziarie regionali necessarie per far fronte ai deficit di bilancio in
ambito sanitario”.50
Quest'ultima affermazione, se da un lato lascia pochi spazi alla speranza di
poter vedere destinare ulteriori fondi regionali al t.p.l., dall'altro pone però
con forza, in virtù di tutto quanto precede, un'importante riflessione: se il
settore del t.p.l. non presenta deficit strutturali di sistema, è
costituzionalmente legittima l’azione della Regione laddove continui ad
operare dei tagli su questi servizi per far fronte ad un debito maturato
diversamente, sino a pregiudicarne i livelli minimi essenziali?
Svolte queste brevi considerazioni circa la possibilità – o meno – per la
Regione di intervenire medio tempore sulla programmazione del t.p.l. per
evitare un'eventuale accoglimento nel merito del ricorso a luglio, occorre
però riflettere su come – pendente la sospensione dell'efficacia della
pianificazione – gli enti soggetti di delega debbano assumere i propri atti
consequenziali al fine di organizzare i servizi sul territorio.
Se, infatti, dal punto di vista giuridico la riprogrammazione approvata dalla
Regione risulta allo stato inefficace, è pur vero che le Province ed i Comuni
delegati rischiano di autorizzare - sulla base della precedente
programmazione - servizi per cui, in seguito, potrebbe non esserci la
necessaria copertura finanziaria, con il risultato di dover eventualmente
concentrare i tagli su alcuni mesi dell'anno e non su tutto il 2014 e, quindi,
pregiudicare ancor più gravemente i servizi minimi essenziali.
Nel complesso traspare chiaramente come la gestione del trasporto
pubblico locale piemontese presenta enormi difficoltà, con l'evidente rischio
che l'intero sistema giunga ad una vera e propria paralisi o, al più, si arrivi
ad erogare servizi totalmente insufficienti.
D'altronde la gravità della situazione è tale che, nelle scorse settimane, è
stata indirizzata un'interrogazione parlamentare al Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti51 con la quale si è chiesto di valutare la possibilità
di esercitare i poteri sostitutivi statali ai sensi dell'art. 120 Cost.52
50 Cfr., pag. 50 dell'allegato alla D.G.R. 29.7.2013, n. 11-6177.
51 Il Senatore piemontese Daniele Borioli ha presentato un'interrogazione al Ministero dei
Trasporti per avere chiarimenti in merito alla posizione che il Governo intende assumere
sul problema e chiedendo apertamente un commissariamento temporaneo della Regione in
materia di t.p.l..
52 L'art. 120, c.2 della Cost. Prevede che “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni,
delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di
norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per
l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei
58
A prescindere dalle considerazioni politiche eventualmente sottese al
quesito formulato al Ministero è evidente che il caso di specie impone
comunque una riflessione giuridica in tal senso, tanto più se si considera
che a seguito del recente annullamento delle elezioni del 2010 la Regione
Piemonte dovrà, per alcuni mesi e non senza difficoltà, limitare il proprio
operato all'ordinaria amministrazione.
A tal riguardo, pur dovendo qui soprassedere dallo svolgere un'indagine
approfondita circa la natura giuridica, l'abito di operatività nonché le
modalità di esercizio del suddetto potere sostitutivo,53 è utile ricordare
come la giurisprudenza costituzionale abbia più volte adottato
un'interpretazione piuttosto ampia dei “livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali”.54
Ed in effetti, nonostante la Corte non si sia mai dovuta esprimere
direttamente a proposito dei livelli minimi essenziali del t.p.l., dalle
numerose pronunce si può desumere il principio per cui laddove si sia in
presenza di interessi pressanti e bisognosi di un'adeguata risposta lo Stato
può efficacemente sostituirsi alla Regione, e ciò non solo nell'ipotesi di
un'inerzia di quest'ultima ma anche a fronte di un'inadeguatezza del suo
operato.
Nel caso in questione, pertanto, l'insieme delle sfavorevoli circostanze sopra
descritte ed il concreto rischio di una paralisi del sistema di t.p.l. dovrebbe
richiamare nell'immediato l'attenzione del competente Ministero e, nel caso
in cui non si riuscisse a sostenere in via indiretta la gestione da parte della
Regione del problema, pensare concretamente alla possibilità di esercitare
il potere sostitutivo di cui si tratta. Peraltro, se è pur vero che a livello
teorico un intervento sostitutivo sembra possibile, altrettanto non può dirsi
governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano
esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
La suddetta disciplina legislativa è poi stata introdotta dall'art. 8 della L. n. 131/2003.In
particolare al c.4 viene previsto che “Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento
sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo
120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche
su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono
immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e
autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono
chiederne il riesame”.
53 Fra i contributi forniti dalla dottrina circa la nuova formulazione del 2° comma dell'art.
120 Cost. si possono citare:
FONTANA G., I poteri sostitutivi nella Repubblica delle autonomie, novembre 2005,
pubblicato on line su www.issirfa.cnr.it; MAINARDIS C., Il nuovo regionalismo italiano ed i
poteri sostitutivi statali: una riforma con (poche) luci e (molte) ombre, pubblicato on line
su www.forumcostituzionale.it; Michetti M., Titolo V e potere sostitutivo statale. Profili
ricostruttivi ed applicativi, ottobre 2012, pubblicato on line su www.giurcost.org; RUGGERI
A., “Livelli essenziali” delle prestazioni relative ai diritti e ridefinizione delle sfere di
competenza di Stato e Regioni in situazioni di emergenza economica, 24.2.2010, pubblicato
on line su www.giurcost.org; Scaccia G., Il potere di sostituzione in via normativa nella
legge n. 131/2003. Prime note, in Regioni, 4/2004;
54 Si vedano le sentt. della Corte Costituzionale nn. 282/2002, 83/2003, 6/2004, 43/2004,
383/2005, 10/2010 e 121/2010.
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
a livello pratico, dato che la riprogrammazione regionale è stata deliberata
anche per rispondere a precisi vincoli imposti dallo Stato.
Non bisogna infatti dimenticare come sia stato il legislatore statale a
chiedere alla Regione di adottare il censurato piano di riprogrammazione
regionale del t.p.l., subordinando all'approvazione di tale atto la possibilità
di utilizzare 150 M€ dei fondi FAS per il ripiano del deficit pregresso.
Ed inoltre è stato esplicitamente imposto alla Regione Piemonte di operare
un'ulteriore “razionalizzazione” del servizio tanto che l'art. 11 del d.l.
131/2013, recita testualmente“...Il piano di rientro dovrà individuare le
necessarie azioni di razionalizzazione e di incremento dell'efficienza da
conseguire attraverso l'adozione dei criteri e delle modalità di cui all'articolo
16-bis, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95”.
A ciò si aggiunga che la riprogrammazione triennale del t.p.l. di cui si tratta è
stata, sempre secondo il dettato normativo, preventivamente approvata dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e
delle finanze.
Ciò, a ben vedere, renderebbe paradossale un eventuale intervento
sostitutivo diretto dello Stato volto a porre rimedio ad un
ridimensionamento eccessivo del servizio di t.p.l. operato sì dalla Regione,
ma comunque da lui sollecitato ed approvato.
In conclusione, quindi, si può dire che l'esaminata ordinanza del TAR
Piemonte, se da un lato ha il merito di aver riportato l'attenzione sulla
necessità di garantire un adeguato servizio di t.p.l., esigenza che i continui
tagli succedutisi negli ultimi anni avevano fatto in qualche modo sbiadire,
dall'altro rischia però di diventare “la goccia che fa traboccare il vaso” di un
sistema di trasporto pubblico locale in seria difficoltà.
60
Le autonomie locali sono tenute ad attuare ad attuare il diritto al cibo
adeguato dei cittadini europei ? Commento a risoluzione assemblea
parlamentare del Consiglio D’Europa n. 1957/2013 adottata Il 3 Ottobre
2013
di Maria Bottiglieri
Parole-chiave: Enti locali, Regioni, Autonomie locali, Stato, Europa;
diritti di cittadinanza; diritti fondamentali; diritto al cibo adeguato.
Principali riferimenti normativi: Ris. n. 1957 del 3 ottobre 2013
dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa; Art. 25 DUDU
(Dichiarazione Universale Diritti dell’Uomo); art. 11 ICESCR (Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali ); artt. 4,12, 16
Carta sociale europea; artt. 3 e 9 CEDU; Art. 117.7 Costituzione; Artt. 13,
272 T.U.EE.LL.; Art. 6 co. 7 L. 131 del 2003; L. 26 febbraio 1987 n. 49
Massime 1. Il cibo è il nostro più fondamentale bisogno e diritto (Food
is our most basic need and right).
2. L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa raccomanda agli
Stati membri di prendere misure che rendano effettivo il diritto al cibo
adeguato.
Link al documento: Inglese – Francese
1. “Food is our most basic need and right”
Il diritto al cibo adeguato è il diritto di ogni essere umano «ad avere un accesso
regolare, permanente, libero, sia direttamente sia tramite acquisti monetari, a
cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato e sufficiente,
corrispondente alle tradizioni culturali della popolazione di cui fa parte il
consumatore e in grado di assicurare una vita psichica e fisica, individuale e
collettiva, priva di angoscia, soddisfacente e degna».55
Il diritto al cibo adeguato è garantito da fonti internazionali di diverso livello.
Innanzitutto, esso è riconosciuto in fonti di scala globale di tipo universale,
come l’articolo 25 DUDU56 e l'articolo 11 ICESCR57 così come interpretato dal
J. Ziegler, Dalla parte dei deboli. Il diritto all'alimentazione, Milano, 2004 (Le droit à
l'aliméntation, Paris, -, 2003), 49. C. Golay evidenzia che la definizione di Ziegler aggiunge a
quella dei documenti onusiani la nozione di "dignità umana", centrale in ogni approccio che
si fonda sui diritti dell'uomo. Cfr. C. Golay, Droit à l'alimentation et accès à la justice,
Bruxelles, 2011, 69 (dello stesso autore e sullo stesso tema ma in lingua inglese e più
risalente cfr. The Right to Food and Access to Justice , Roma, FAO 2009).
56 Art. 25 DUDU: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la
salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo
55
61
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
General Comment n. 12.58 In secondo luogo, in coerenza con una generale linea
di tendenza alla settorializzazione e regionalizzazione dei diritti, anche il
diritto al cibo adeguato è stato declinato sia in carte di scala globale che
proteggono categorie specifiche di individui59, sia in carte di livello
regionale60.
all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali
necessari (...)».
57 Art. 11 ICESCR: «Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo
ad un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione,
vestiario, ed alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni
di vita... Gli Stati Parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni
individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione
internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano
necessarie: a) per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione
delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e
scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la
riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l'accrescimento e l'utilizzazione più
efficaci delle risorse naturali; b) per assicurare un'equa distribuzione delle risorse
alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi
importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari».
58 General comment n. E/C. 12/1999/5 del 5/12/1999. Tale documento specifica che il cibo
è "adeguato" quando è esente da sostanze nocive ed è assunto in una quantità sufficiente di
calorie, proteine e altri nutrienti specifici, misurati conformemente ai bisogni fisiologici
dell'essere umano in tutti gli stadi del ciclo di vita e in funzione del sesso e della professione e
perché risulta accettabile in una determinata cultura e religione. Il cibo è "disponibile" quando
può essere ottenuto sia direttamente dalla terra, sia beneficiando di un sistema di distribuzione
che porti l'alimento fino alla persona che ne ha bisogno (la disponibilità di risorse produttive
come acqua - mare, terra, sementi è in tal senso strumentale e propedeutica all'accessibilità
economica). Il cibo è "accessibile", in senso economico, quando i costi finanziari personali o
familiari connessi all'acquisizione di cibo per una dieta adeguata sono a un livello tale che il
raggiungimento e la soddisfazione di altri bisogni fondamentali (salute, istruzione, abitazione)
non siano minacciati o compromessi. L'accessibilità fisica implica invece che il cibo sia
accessibile a tutti, compresi i soggetti fisicamente vulnerabili, come i neonati, i bambini piccoli,
gli anziani, i portatori di handicap, i malati terminali e le persone con persistenti problemi di
salute, tra cui i malati di mente.
59 Tra le convenzioni universali che tutelano il diritto al cibo delle persone più vulnerabili
si ricordano:
1) a tutela del diritto al cibo adeguato delle donne vi è il par. 26 del General comment n.
12; l'art. 12, l'art. 14 comma 2, l'art. 16 della Convenzione sull’eliminazione di tutte le
forme di discriminazione nei confronti delle donne, nonché l' art. 89 ultimo comma della
Convenzione IV di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra;
2) a garanzia del diritto al cibo adeguato dei fanciulli vi sono gli artt. 27, 24 e 6 della
Convenzione sui diritti dell'infanzia nonché l’art. 89 ultimo comma della Convenzione IV di
Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra;
3) il diritto al cibo adeguato di contadini e pescatori è tutelato, oltre che dall'art. 11
ICESCR, da: il par. n. 12 del General comment n. 12, l'art. 14 comma 2 della Convenzione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, gli Obiettivi
1.2. e 2.1. della Dichiarazione di Roma sulla Sicurezza alimentare nel mondo del 1996, il
Codice di condotta per una pesca responsabile adottato nel 1995 dalla Conferenza della
FAO, le nuove Direttive Volontarie per una Governance Responsabile dei Regimi di
Proprietà Applicabili alla Terra, alla Pesca e alle Foreste nel Contesto della Sicurezza
Alimentare Nazionale adottato nel 2012 dalla Commissione sulla Sicurezza Alimentare
Mondiale (CFS);
4) il diritto al cibo adeguato dei popoli indigeni è garantito da: la Convenzione n. 169
dell'ILO, il par. n. 13 del General Comment n. 12, le Direttive Volontarie per una Governance
Responsabile dei Regimi di Proprietà;
62
Con riguardo a queste ultime, il diritto al cibo adeguato è tutelato in modo
esplicito dalle seguenti carte internazionali di scala regionale:
- le carte dei diritti elaborate dall'Unione africana, in particolare la Carta
Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli – CADUP (adottata a Nairobi nel
1981)61, il Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli
relativo ai diritti delle donne (adottata il 2003 a Maputo)62, la Carta africana
dei diritti e del benessere dei bambini (adottata nel 1990);63
- le carte elaborate dall'Organizzazione degli Stati americani: La Carta
dell'Organizzazione degli stati americani (adottata a Bogotà nel 1948), 64 la
Convenzione americana sui diritti umani o Patto di San José (del 1969) 65, il
Protocollo aggiuntivo alla Convenzione americana dei diritti dell'uomo,
detto anche Protocollo di San Salvador (adottata nel 1988).66
5) il diritto al cibo dei civili che si trovano in luoghi ove si svolgono conflitti armati è
garantito da: gli artt. 14 e 17 del II Protocollo della Convenzione di Ginevra, l'art. 49 della IV
Convenzione di Ginevra di Protezione dei civili in tempo di guerra, l'art. 54 del Protocollo I
addizionale alle Convenzioni di Ginevra, relativo ai conflitti armati internazionali e l'art. 8
dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.
60 Si ricorda che il termine “regionale” nel diritto internazionale si riferisce alla scala
continentale (Africa, Americhe, Asia, Europa, Oceania).
61 Art. 29 CADUP: «L'individu a en outre le devoir: 1. De préserver le développement
harmonieux de la famille et d'oeuvrer en faveur de la cohésion et du respect de cette
famille ; de respecter à tout moment ses parents, de les nourrir, et de les assister en cas de
nécessité».
62 Art.15 Right to Food Security. «States Parties shall ensure that women have the right to
nutritious and adequate food. In this regard, they shall take appropriate measures to: a)
provide women with access to clean drinking water, sources of domestic fuel, land, and the
means of producing nutritious food; b) establish adequate systems of supply and storage to
ensure food security».
63 Art. 14: «Every child shall have the right to enjoy the best attainable state of physical,
mental and spiritual health. States Parties to the present Charter shall undertake to pursue
the full implementation of this right and in particular shall take measures: (c) to ensure the
provision of adequate nutrition and safe drinking water; (d) to combat disease and
malnutrition within the framework of primary health care through the application of
appropriate technology; (e) to ensure appropriate health care for expectant and nursing
mothers (h) to ensure that all sectors of the society, in particular, parents, children,
community leaders and community workers are informed and supported in the use of basic
knowledge of child health and nutrition». Art. 20: «Parents or other persons responsible for
the child shall have the primary responsibility of the upbringing and development the child
and shall have the duty: ... (b) to secure, within their abilities and financial capacities,
conditions of living necessary to the child's development; ... States Parties to the present
Charter shall in accordance with their means and national conditions the all appropriate
measures; (a) to assist parents and other persons responsible for the child and in case of
need provide material assistance and support programmes particularly with regard to
nutrition, health, education, clothing and housing (...)».
64 Art. 34. «Les Etats membres conviennent que l'égalité des chances, l'élimination de la
pauvreté absolue et la répartition équitable des richesses et des revenus, ainsi que la
participation totale de leurs peuples à la prise des décisions relatives à leur propre
développement sont, entre autres, des objectifs essentiels du développement intégral. A ces
fins, ils conviennent également de déployer tous les efforts possibles pour atteindre les
objectifs essentiels suivants: j. Alimentation équilibrée, grâce surtout à l'intensification des
efforts nationaux en vue d'augmenter la production et les disponibilités alimentaires». Cfr.
in particolare gli art. XI, art. VII art. XIV, art. XVI, art. XXIII, art. XVIII e art. XXX della
Convenzione americana sui diritti umani.
65 Cfr. in particolare gli art. XI, art. VII art. XIV, art. XVI, art. XXIII, art. XVIII e art. XXX della
Convenzione americana sui diritti umani.
66 Art.12. Diritto al cibo. «Ognuno ha il diritto ad un nutrimento adeguato che garantisca la
possibilità di godere del più alto livello di sviluppo fisico, emotivo e intellettuale. 2. Al fine
63
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Tra le due organizzazioni regionali considerate, il sistema di tutela del
diritto al cibo è molto differente: mentre l'Organizzazione interamericana
segue lo stesso metodo adottato dalle Nazioni Unite, che ha sancito i diritti
civili e politici in un documento diverso da quello che tutela i diritti
economici, sociali e culturali, il sistema africano li ha enunciati in una
medesima convenzione.67
In Europa il diritto a un cibo adeguato non è, invece, riconosciuto
esplicitamente né in sede di Consiglio d’Europa né in sede di Unione
europea:68 la dottrina più risalente aveva ipotizzato che nel processo postbellico di elaborazione della protezione dei diritti umani, gli Stati europei
avessero ritenuto che, una volta tutelato il diritto al lavoro e alla sicurezza
sociale, non ci fossero ragioni per garantire anche il diritto al cibo adeguato,
il quale poteva essere indirettamente garantito attraverso la piena tutela
degli altri due diritti o del più ampio diritto alla sussistenza.69
Tuttavia, oggi anche in Europa sembra essersi spezzato il nesso tra
sussistenza e lavoro70: il trend crescente della disoccupazione europea
(seppur diversificata da Paese a Paese e con punte più preoccupanti per
di promuovere l'esercizio di tale diritto e sradicare la malnutrizione, gli Stati Parti si
impegno a migliorare i metodi di produzione, fornitura e distribuzione del cibo e, a tal fine,
concordano di promuovere una maggiore cooperazione internazionale a sostegno delle
politiche nazionali in materia».
67 Si è sostenuto che tale differenza rileva anche dal punto di vista della giustiziabilità,
atteso che la Carta africana, a differenza di quelle analoghe dei sistemi interamericano e
onusiano, riconosce i diritti in essa consacrati come diritti immediatamente realizzabili,
non contenendo clausole simili a quella di cui all'art. 2 ICESCR che limitano la realizzazione
dei medesimi in funzione delle risorse disponibili. Così C. Golay, op. cit., 189. Sui casi di
giustiziabilità di diritto al cibo nei due sistemi regionali cfr. C. Golay op. cit., 213-229.
68 Si specifica che in questa sede non si intende affrontare la questione del riconoscimento
del diritto al cibo adeguato nell’Unione Europea, che presenta profili specifici e particolari;
questa organizzazione regionale, infatti, pur avendo istituito una delle più avanzate
legislazioni alimentari del mondo, qualifica il cibo come merce, non come un “bene sociale”
(su questa definizione cfr. L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia.
Vol. II Teoria della democrazia¸ Roma - Bari, 2007, 599) e si occupa dei diritti del
consumatore, non dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto tale. La dottrina ritiene
tuttavia che una tutela del diritto al cibo adeguato è desumibile implicitamente anche
nell’ordinamento dell’Unione europea. Per un primo approfondimento su questo tema cfr.
J. Desrutins, Existe-t-il un droit communautaire à l’alimentation?, Mémoire Master II
Recherche de droit public approfondi, Université Panthéon-Assas Paris II, 2007; cfr. anche
S. Rodotà Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, Laterza 2012, 127-130, che costituisce una
rielaborazione di S. Rodotà, Il diritto al cibo, 26 luglio 2011 in
http://www.alfabeta2.it/2011/07/26/il-diritto-al-cibo/
69 P. Alston, International Law and the Human Right to Food, in P. Alston, K Tomasevski (a
cura di), The Right to Food, Leiden, 1984, 17. L'autore, inoltre, ritiene che potrebbero
essere state considerate anche ragioni politiche di sicurezza nazionale: riconoscere
esplicitamente il diritto al cibo infatti avrebbe potuto significare riconoscere il diritto del
disoccupato a rubare per poter ottenere il nutrimento minimo necessario o a riconoscere ai
contadini il diritto di organizzarsi per rivendicare la terra: e non tutti gli ordinamenti
europei del dopoguerra erano disposti ad accettare tali rischi (cfr. ibidem p. 18).
70 Cfr. in tal senso L. Ferrajoli Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia. Vol. II.
cit., 406.
64
l’occupazione giovanile e femminile)71 unitamente ai crescenti flussi
migratori, rende sempre più slegato il problema del diritto alla sussistenza
dai diritti del lavoratore. Ecco perché diventa sempre più necessario
immaginare garanzie che consentano anche agli inoccupati e ai disoccupati
di non veder pregiudicata, oltre che la loro dignità, anche la loro sussistenza.
La dottrina più recente si è dunque posta il problema di individuare i
fondamenti normativi del diritto al cibo anche su scala europea; tutela che è
stata individuata, in via indiretta, sia nelle norme predisposte dalla Carta
sociale europea72 sia in quelle della Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo73
La Carta Sociale europea non riconosce esplicitamente il diritto al cibo
adeguato ma tutela diritti che, una volta realizzati, assicurerebbero il
godimento del diritto ad accedere a un nutrimento adeguato: il diritto al
lavoro e a una remunerazione equa ex art. 4, il diritto alla protezione sociale
ex art. 12, all'assistenza sociale e a ogni tipo di aiuto che sia «necessario per
prevenire, eliminare o alleviare lo stato di bisogno personale e familiare»
(art. 13 ).74 A differenza delle norme della Cedu, direttamente azionabili
dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le norme tutelate nella Carta
Sociale non sono oggetto di controllo giurisdizionale da parte della Corte,
ma sono sottoposte al meccanismo di controllo di natura para
giurisdizionale del Comitato di esperti indipendenti (dal 1998 “Comitato
Europeo dei Diritti Sociali”).75
Il diritto fondamentale a nutrirsi in modo adeguato non è rinvenibile solo
tra i c.d. diritti sociali ma è implicitamente tutelato attraverso alcune norme
della Convenzione.76
Secondo la dottrina una norma che implicitamente tutela il diritto al cibo
adeguato è l’art. 2 della Convenzione, sul diritto alla vita,77 attraverso il
Sui dati della disoccupazione europea a dicembre 2013, distinta per Paese e con i dati di
disoccupazione giovanile e femminile cfr. December 2013 Euro area unemployment rate at
12.0%. EU28 at 10.7% in Eurostat newsrelease – Euroindicators 17/2014 - 31 January
2014.
72 Cfr. Il testo della Carta Sociale europa.
73 Cfr. Il testo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
74 Cfr. C. Golay, op. cit., 200-201.
75 Sulla Carta sociale cfr. E. Straziuso, La Carta sociale del Consiglio d’Europa e l’organo di
controllo: il Comitato europeo dei diritti sociali (2012). Sui 150 anni della Carta cfr. J.
Luther, La Carta Sociale Europea e la tutela dei diritti sociali. Resoconto del convegno di
Milano del 18 gennaio 2013, in Opal 1/2013; gli atti di tale convegno sono ora pubblicati
su: M. D’Amico, G. Guiglia, B. Liberali (a cura di), La Carta Sociale Europea e la tutela dei
diritti sociali. Atti del convegno del 18 gennaio 2013. Università degli Studi di Milano,
Napoli 2013. Sulla tutela del diritto al cibo nella carta sociale cfr. C. Golay, op. cit., 211-213:
l’autore passando in rassegna i reclami collettivi del Comitato europeo evidenzia che
nessuno di questi si occupa di diritto all’alimentazione, mentre molti concernono il diritto
all’abitazione o alla salute (cfr. ivi, p. 213 nota 875).
76 Sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo cfr. S. Bartole; P. De Sena, V. Zagrebelsky,
Commentario breve alla convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova, 2012.
77 K. Garcia, Existe-t-il un droit à l''alimentation au regard de la convention européenne des
droits de l’homme?, in "De la terre aux aliments, des valeurs aux règles. From land to food,
from values to rules», Nantes, France, 2010, 4 e 6.
71
65
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
quale risulterebbe protetto, ad esempio, il diritto a una pensione sufficiente
a garantire la sopravvivenza.78
In base all’art. 3 CEDU negare il cibo adeguato a un detenuto rientra invece
tra le pene o trattamenti inumani o degradanti vietate dalla Convenzione, già
sanzionate dalla Corte europea in diverse occasioni79. Come pure negare a
un detenuto mussulmano di cibarsi in modo adeguato alle regole alimentari
proprie della sua religione o vietare a un detenuto buddista di alimentarsi
secondo una dieta vegetariana costituisce violazione dell’art. 9 CEDU.80
In maniera insolita, il problema del diritto all’alimentazione è stato toccato
dalla Corte anche con riguardo all’art. 8 CEDU, relativamente al diritto del
rispetto del domicilio81 e al diritto di rispetto della corrispondenza.82
Cfr. la decisione Budina contro Russia in cui il ricorrente denuncia la presunta violazione
dell'articolo 2 della Convenzione, perché la pensione sociale era stata insufficiente, in
determinati periodi, a garantire un adeguato livello di sussistenza. In questo caso la Corte
dichiara inammissibile tale richiesta atteso che: « la ricorrente non è riuscita a dimostrare
la sua affermazione, ovvero che la mancanza di fondi si traduce in sofferenza concreta. Al
contrario, nelle sue osservazioni la ricorrente ha spiegato che nel 2008 la sua pensione era
sufficiente per l’affitto, il cibo e gli articoli per l'igiene , ma non lo era abbastanza per i
vestiti, beni non alimentari, servizi sanitari e culturali, la salute e il trattamento sanitario.
Per questi ultimi elementi, risulta che la ricorrente era infatti beneficiare di cure mediche
gratuite» (traduzione a cura dell’autrice). Tuttavia questa decisione significa, a contrario,
che la Corte avrebbe potuto sanzionare lo Stato se l’ammontare della pensione non avesse
permesso di coprire le spese vitali destinate alla nutrizione (così K. Garcia, cit., 3).
79 Su questo aspetto del diritto al cibo adeguato sussistono dei precedenti: cfr. Golay, op.cit.,
199-200 che ricorda i seguenti casi: 1) Irlanda- Regno Unito, Sentenza del 18/1/1978
(nella quale l’Irlanda aveva deciso di inoltrare presso la Commissione Europea di
Strasburgo un ricorso interstatale in cui si accusavano le autorità inglesi di violazioni
dell’articolo 3 CEDU, attuate in particolar modo mediante le c.d. “cinque tecniche di
privazione sensoriale”, consistenti nell’incappucciamento, nell’obbligo di rimanere in piedi
per lunghi periodi di tempo, nell’assoggettamento a continuo rumore, nella privazione del
sonno e nella negazione di cibo e bevande); 2) Valasinas contro Lituania n. 44558/98 del
24/7/2001 (in European Court of Human Rights - Cour Européenne des Droits de
L'homme, Reports of judgements end decisions – Recueil des arrêts et de décisions, 2001 VIII, Köln 2003, 385- 464 dove si legge: 20. La nourriture était toujours froide et il n'y avait
rien pour la réchauffer. Des légumes n'étaient servis qu'une fois par semaine. Trois fois par
semaine au moins, il était impossible de manger ce qui était servi au déjeuner car c'était
trop mauvais. D'une manière générale, les repas étaient préparés sans aucune hygiène. Le
requérant a parfois retrouvé des copeaux de bois, de petits cailloux et des morceaux de
métal dans ses aliments… 26. Les gardiens examinèrent son corps, y compris ses testicules.
Alors qu'ils ne portaient pas de gants, ils touchèrent les organes génitaux du requérant puis
la nourriture qu'on lui avait donnée sans se laver les mains. … 29. Le 10 octobre 1998, le
droit du requérant d'acheter de la nourriture à la boutique de la prison fut suspendu
pendant un mois; Kudla contro Polonia n. 30210/96 del 26 ottobre 2000 (in European
Court of Human Rights - Cour Européenne des Droits de L'homme, Reports of judgements
end decisions – Recueil des arrêts et de décisions, 2000 – XI, Köln 2002, 197-296, che ha ad
oggetto l’obbligo dello Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni detenuto
siano compatibili con il rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione della
misura siano tali che la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente assicurate.
80 Cfr. caso Jakóbski contro Polonia n. 18429/06 del 07/03/2011 dove la Corte ricorda
anche la raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri , in particolare la
raccomandazione ( Rec 92006-2) sulle Regole penitenziarie europee che raccomanda che i
prigionieri dovrebbero essere riforniti di cibo che tenga conto della loro religione.
81 Nel caso Butan e Dragomir contro Romania, n. 40067/06 del 14/2/2008 si era verificato
in casa dei ricorrenti un taglio della fornitura di acqua potabile, costringendoli a lasciare le
loro case . La Corte non contesta l'affermazione dei firmatari che la mancanza di acqua nei
sanitari delle abitazioni è una condizione disumana, tuttavia, avendo già riscontrato una
78
66
Quando il diritto al cibo adeguato è collegato a una delle libertà garantite
dalla CEDU, la conseguente tecnica di tutela non è più quella giustiziale
posta a tutela dei diritti sociali proclamati dalla omonima Carta, ma quella
giurisdizionale della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Nonostante l’interpretazione della giurisprudenza e le riflessioni della
dottrina, l’assenza, nella normativa europea, di riferimenti espliciti al diritto
al cibo adeguato, soprattutto in considerazione della tutela approntata, da
tempo, da altri sistemi regionali, rischiava di divenire sempre più evidente.
Ecco perché la Risoluzione “La sicurezza alimentare: una sfida permanente
che riguarda tutti” dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa83
rappresenta una importante (dovuta?) apertura dell’ordinamento del
Consiglio d’Europa a un diritto che rischiava di essere “nuovo” solo per i
cittadini europei.
Pur trattandosi di un semplice atto di indirizzo, che non ha valore legale
vincolante per gli Stati,84 tale atto è egualmente rilevante: innanzitutto
perché ha introdotto il concetto di diritto al cibo adeguato nel vocabolario
europeo; poi perché la Corte europea dei diritti dell’uomo, che tiene
normalmente conto degli indirizzi dell’Assemblea, potrà d’ora innanzi
avvalersi anche di questo nuovo orientamento nello svolgimento delle sue
funzioni ed eventualmente interpretare la Carta in modo evolutivo anche
alla luce di questo diritto “nuovo”.
Che si tratti di un atto normativo “nuovo” all’interno dell’ordinamento del
Consiglio d’Europa lo si desume anche dall’incipit della risoluzione, ove non
si richiama nessun precedente (come spesso accade in altri atti
dell’Assemblea parlamentare, i quali citano precedenti risoluzioni) ma solo
violazione dell'articolo 6.1, ritiene che non sia necessario riesaminare il caso anche ai sensi
dell'articolo 8.
82 Nel caso Gagiu contro Romania n. 63258/00 del 24 febbraio 2009 la Corte rileva che vi
era stata una violazione dell'articolo 8 ( diritto al rispetto della vita privata e familiare ), a
causa del rifiuto delle autorità dell’amministrazione penitenziaria di fornire al richiedente
gli elementi necessari per la sua corrispondenza con la Corte oltre che una violazione
dell'articolo 34 ( diritto di ricorso individuale ). In particolare la Corte ha rilevato che, il sig
Gagiu, pur avendo esplicitato la sua mancanza di risorse, non avendo famiglia e non essere
in grado di lavorare a causa del suo stato di salute, aveva dovuto vendere parte del suo cibo
ad altri detenuti per comprare francobolli per le sue lettere alla Corte . Di conseguenza, «la
Corte ritiene che le autorità della prigione Aiud abbiano inadempiuto l’obbligo positivo di
fornire al richiedente i francobolli necessari, in particolare per la sua corrispondenza con la
Corte e che, pertanto, vi è stata una violazione della l'articolo 8 della Convenzione a tale
riguardo» (traduzione a cura dell’autrice).
83 Si ricorda che tale Assemblea è un organo del Consiglio d’Europa e non va confusa con il
Parlamento Europeo, istituzione dell’Unione Europea. L'Assemblea Parlamentare del
Consiglio d'Europa, formata dai membri dei parlamenti nazionali degli Stati aderenti,
rappresenta le forze politiche degli stessi, discute dei problemi internazionali, in
particolare i problemi sociali e le questioni di politica internazionale, e gioca un ruolo
propulsivo all'interno del Consiglio d'Europa e dei suoi organi, Corte inclusa. Come noto il
ruolo più rilevante dell’Assemblea è quello della nomina dei giudici di Strasburgo (ex art.
22 CEDU).
84 Per un primo approfondimento sulle funzioni dell’Assemblea e sull’efficacia dei suoi atti,
oltre i siti istituzionali, cfr. F. B. Rohmer – H. Klebes, Council of Europe Law. Towards a panEuropean legal area, Strasburgo, Council of Europe Publishing, 2005, 56-69.
67
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
normativa onusiana, tra cui la Dichiarazione sugli Obiettivi del Millennio e il
processo per Kyoto 2. Non vi sono richiami a precedenti atti europei
nemmeno nel rapporto allegato alla risoluzione,85 dove si fa riferimento
prevalentemente a documenti non “europei”: le principali Carte
internazionali onusiane che tutelano il diritto al cibo adeguato86, i
documenti della FAO e dello Speciale Relatore sul diritto al cibo delle
Nazioni Unite, le Carte elaborate dal sistema interamericano e africano,
nonché le Costituzioni che già riconoscono il diritto al cibo adeguato in
modo esplicito87. Gli unici due riferimenti (fatti in nota) a precedenti atti del
Consiglio d’Europa sono: un generico richiamo alla Carta sociale88 e una
citazione delle conclusioni del Commissario per i diritti umani del Consiglio
d’Europa dopo una sua visita di monitoraggio in Spagna.89
Meraviglia l’assenza di riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea
sull’art. 2, 3, 8 e 9 della Convenzione,90 quasi come se la risoluzione non
avesse voluto affrontare il diritto al cibo adeguato anche dal punto di vista
delle libertà; e invece le interazioni tra diritti civili e sociali insite nel diritto
al cibo adeguato emergono sia da alcune Costituzioni,91 sia dalle riflessioni
di alcuni economisti: il premio Nobel Amartya Sen, a partire da alcuni studi
condotti sulle cause delle carestie, ha evidenziato il rapporto "inversamente
proporzionale" che sussiste tra fame e libertà o quello direttamente
proporzionale che esiste tra diritti politici e diritti sociali, diritto al cibo in
particolare.92
Cfr. Committee on Social Affairs, Health and Sustainable Development - Rapporteur: Mr
Fernand Bodem, Luxembourg, Group of the European People's Party, Doc. 13302 - 13
September 2013. Food security – a permanent challenge for us all. Report 1 .
86 Per i testi delle principali carte internazionali di tipo universale che tutelano il diritto al
cibo cfr. supra par. 2 nota 54,55,56.
87 Sulla tutela costituzionale comparata del diritto al cibo adeguato sia consentito rinviare
a: M. Bottiglieri, Il diritto ad un cibo adeguato: profili comparati di tutela costituzionale e
questioni di giustiziabilità, in P. Macchia ( a cura di) "La persona e l’alimentazione: profili
clinici, giuridici, culturali ed etico-religiosi" - Asti, 30 Novembre 2012 - (Collana " Diritto e
Ambiente" dell'Univ. di Pavia diretta dal Prof. G. Cordini), Roma 2014, 217-260.
88 Cfr. nota 9 p. 6 del Doc. 13302 - 13 September 2013. Food security – a permanent
challenge for us all. Report1 cit.
89 Cfr. nota 11 p. 6 del Doc. 13302 - 13 September 2013. Food security – a permanent
challenge for us all. Report1, cit. Cfr. N. Muižnieks, Council of Europe Commissioner for
Human Rights, Report Following his visit to Greece, from 28 January to 1 February 2013; in
realtà, il rapporto dell’Assemblea parlamentare cita tale relazione del Commissario
europeo per i diritti umani così come raccontata da due articoli: The International Herald
Tribune – “More children in Greece are going hungry” (17 April 2013) e “Spain recoils as its
hungry forage trash bins for a next meal” (24 September 2012).
90 Cfr. supra nota 71.
91 Si pensi all’art. 35.2 della Costituzione sudafricana: «Tutti coloro che sono detenuti, tra
cui ogni prigioniero condannato, hanno il diritto (...) a condizioni di detenzione che siano
coerenti con la dignità umana, di cui almeno la fornitura, a spese dello Stato, di un alloggio
adeguato, cibo, articoli di lettura e cure mediche».
92 Cfr. A. Sen, Poverty and Famines: An Essay on Entitlements and Deprivation, Oxford,
1982, in particolare il capitolo "Elementi dell'analisi delle carestie: disponibilità e
attribuzione", 277-309; cfr. anche A. Sen, Risorse, valori, sviluppo, Torino, 1984, 12-16.
85
68
Vi è invece un ampio riferimento del rapporto alla normativa unionale in
materia di sicurezza alimentare.93
Sulla base di questa ricognizione sul background del diritto al cibo adeguato,
il rapporteur evidenzia due dati essenziali:
Il primo, ripreso nel testo finale della Risoluzione stessa, consiste nella
qualificazione del diritto al cibo come “diritto fondamentale”: «Il cibo è il
bisogno più fondamentale e dunque anche il diritto più fondamentale (Food
is our most basic need and right.)94
Il secondo elemento evidenziato è l’avvertita necessità di una maggiore
omogeneità nella protezione nazionale del diritto al cibo adeguato da parte
degli Stati parte del Consiglio d’Europa: «Anche se il diritto al cibo è stato
riconosciuto a livello internazionale, regionale e nazionale, troppi membri
rifiutano ancora di riconoscere l'applicabilità di tale diritto. Ciò significa che
il diritto all'alimentazione è protetto in modo diseguale dalle autorità
nazionali. Credo che tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa
dovrebbero riconoscere l'esecutività del diritto al cibo nella loro
legislazione e dovrebbero rispettare pienamente gli obblighi internazionali
per proteggere correttamente questo diritto umano fondamentale».95
L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati
membri di prendere misure che rendano effettivo il diritto al cibo adeguato.
Una volta esplicitata la natura di diritto fondamentale del diritto al cibo
adeguato, la risoluzione n. 1957/2013, elencando gli obiettivi che devono
porsi gli Stati per renderlo effettivo, ne descrive in qualche modo gli stessi
contenuti.96
Si tratta di misure che, in via trasversale, toccano questioni di diritto
agrario, diritto dell’ambiente, diritto dei consumatori, diritto alla salute,
diritto allo sviluppo dei popoli, questioni di regolazione.
2.1. Con riguardo alla produzione del cibo, l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di prendere misure che
garantiscano la produzione sostenibile delle derrate alimentari. Con tale
indirizzo il Consiglio d’Europa sembra sottolineare l’importanza della c.d.
“agroecologia” ovvero l'applicazione dei principi ecologici alla produzione
di alimenti (oltre che di carburante, fibre e farmaci nonché alla gestione di
agrosistemi) .97
Cfr. Doc. 13302 - 13 September 2013. Food security – a permanent challenge for us all.
Report1 cit., 9-14
94 Cfr. Doc. 13302 - 13 September 2013. Food security – a permanent challenge for us all.
Report1 cit. 1, nonché paragrafo 2 (Il cibo – diritto fondamentale) nonché ris. N.
1957/2013, 5-6.
95 Cfr. Doc. 13302 - 13 September 2013. Food security – a permanent challenge for us all.
Report1 cit., 6; traduzione a cura dell’autrice.
96 Per una prima riflessione sugli obiettivi di questa risoluzione: cfr. J. Luther, Le scienze e
le norme dell’alimentazione di un’umanità in crescita in P. Macchia ( a cura di) "La persona
e l’alimentazione cit.”, 379-383.
97 Per un approfondimento sul contributo che l'agroecologia può apportare alla teoretica
del "diritto al cibo adeguato" cfr. O. De Schutter, Agroecology and the Right to Food. Report
presented at the 16th Session of the United Nations Human Rights Council - A/HRC/16/49,
20 December 2010.
93
69
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
2.2. Con riguardo a un consumo più responsabile del cibo, l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di
prendere misure che garantiscano un consumo del cibo che eviti gli sprechi;
a tal fine si raccomandano interventi di educazione a un alimentazione
adeguata tali da favorire l’acquisizione di sane abitudini alimentari (i c.d.
stili di vita) anche nell’intento di ridurre il più possibile il problema del
sovrappeso e dell'obesità, che in Europa continua a guadagnare terreno e
che fa da “contrappeso” ai problemi di sottoalimentazione dei Paesi del c.d.
Terzo mondo.98
2.3. Con riguardo alla sicurezza degli alimenti, l’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di prendere misure che
garantiscano la sicurezza sanitaria degli alimenti, intensificando i controlli
alimentari tesi ad evitare le frodi, aumentando il sostegno alla ricerca,
indipendente, sui rischi alimentari, soprattutto relativamente agli OGM,
migliorando la regolazione sulle bevande energetiche per minori.
Attraverso questo indirizzo il Consiglio sembra richiamare la consolidata
legislazione alimentare dell’Unione europea.99
2.4. Con riguardo all’accessibilità economica del cibo, l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di
prendere misure che la garantiscano. Il tema dell’accessibilità rappresenta il
cuore del diritto al cibo adeguato: come già accennato il cibo è "accessibile",
in senso economico, quando i costi finanziari personali o familiari connessi
alla sua acquisizione sono tali da non minacciare o compromettere l’accesso
ad altri beni fondamentali (salute, istruzione, abitazione). Garantiscono ad
esempio l’accessibilità economica al cibo un reddito dignitoso o l’accesso
alla terra e agli altri mezzi di produzione. Nell’intento di perseguire tali
finalità, la risoluzione n. 1957/2013 richiede di favorire un miglior accesso
Nel periodo 2010-2012 il numero delle persone sottonutrite è stato di 868 milioni, circa il
12,5% della popolazione mondiale, un individuo su otto (cfr. FAO, The State of Food Insecurity
in the World 2012, Roma 2012, table 1, 9 in www.fao.org/publications/sofi/en/ ). Di
queste, 852 milioni vivono nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). A questi 852 milioni di persone
affamate nei Paesi del Sud del mondo, fanno da “contrappeso”, nell'altra parte del mondo, circa
un miliardo di persone sovrappeso. Secondo i dati raccolti dall’International Obesity Task
Force si stima che circa 1 miliardo di adulti è in sovrappeso e altri 475 milioni sono obesi
(cfr. http://www.iaso.org/iotf/obesity/obesitytheglobalepidemic) . La sovralimentazione
concorre con la denutrizione e la carenza di vitamine o minerali, a definire il concetto di
“malnutrizione”, con cui si intende uno squilibrio – una carenza o un eccesso –
nell’assunzione di nutrienti e altri fattori (proteine, grassi essenziali e micronutrienti)
necessari per una vita sana.
99 Il diritto dell’alimentazione ha il compito di studiare le regole di produzione,
trasformazione, distribuzione, commercializzazione e circolazione degli alimenti, incluse le
norme di carattere sanzionatorio. Si ritiene che la legislazione alimentare dell'Unione
europea, che si fonda sul Regolamento (ce) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della
legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa
procedure nel campo della sicurezza alimentare, costituisca il sistema di tutela più
avanzato in materia, rappresentando sovente il modello a cui si ispirano anche altre
organizzazioni internazionali regionali. Per un quadro sulla legislazione alimentare
europea, cfr. L. Costato – F. Albisinni, European Food Law, Padova, 2012.
98
70
alla piccola proprietà fondiaria, il miglioramento delle tecniche di
conservazione e soprattutto il miglioramento dei meccanismi di solidarietà
sociale, non solo in Europa ma anche tra Europei e popolazioni dei Paesi in
via di Sviluppo, con le quali vanni rafforzate le politiche di cooperazione
internazionale, soprattutto se rivolte ai gruppi particolarmente vulnerabili,
come i bambini.
2.5. Con riguardo ai meccanismi di regolazione, l’Assemblea parlamentare
del Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di riconoscere nella
propria legislazione l’esigibilità del diritto fondamentale al cibo adeguato
come pure del diritto fondamentale all’acqua;100 a tal fine si ritiene
necessario armonizzare in tutt’Europa il principio di precauzione anche con
riferimento al diritto al cibo, sostenere gli sforzi delle agenzie delle Nazioni
Unite (l'Organizzazione Mondiale del Commercio - OMC e l'Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE ) per proteggere gli
alimenti contro la speculazione finanziaria, contenere la volatilità dei prezzi
degli alimenti di base, costituire riserve alimentari di livello nazionale o
regionale.
Le misure che l’Assemblea raccomanda agli Stati ai fine di una attuazione
del diritto al cibo adeguato sono pertanto di diversa natura: riguardano la
produzione, il consumo, la sicurezza, l’accessibilità degli alimenti e la
regolazione del diritto al cibo.
In realtà, si tratta di misure che includono sia questioni di diritto
dell’alimentazione sia tematiche relative al diritto all’alimentazione; sia
aspetti di sicurezza alimentare sia di sovranità alimentare.
A dispetto del titolo medesimo della risoluzione, che si limita ad evocare la
sola “sicurezza alimentare”, il tenore dell’intera disposizione è tale da far
ritenere che il suo oggetto sia molto più ampio di quello dichiarato:
altrimenti mai si sarebbe potuto disquisire della natura “fondamentale” del
diritto al cibo o arrivare a richiedere che la legislazione degli Stati-parte
renda effettivo e giustiziabile il diritto al cibo adeguato.
3. Anche le autonomie locali devono rendere effettivo il diritto al cibo
adeguato? Spunti di riflessione
L’Assemblea parlamentare, in questa risoluzione, pur esortando
esclusivamente gli Stati-parte a proteggere, rispettare e rendere effettivo il
diritto al cibo adeguato nei modi suggeriti, non esclude i diversi livelli
territoriali di governo.
L’acqua è stata dichiarata diritto umano con la Risoluzione n. 64/292 del 28/7/2010 che
riconosce l’accesso ad un’acqua sicura e pulita e all’igiene come un diritto umano
(A/RES/64/292). Dopo circa 15 anni di dibattiti sulla scarsità di acqua potabile del pianeta,
le Nazioni Unite sono arrivate alla votazione del 28 luglio 2010, alla quale erano presenti
163 Paesi (sui 192 che costituiscono l’Assemblea). Dei 163, 122 paesi hanno votato a
favore, nessuno contro e 41 si sono astenuti. Tra i paesi che hanno votato a favore c’è anche
l’Italia.
100
71
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Da un punto di vista del diritto internazionale, infatti, le autonomie locali,
sono considerate “organi” dello Stato, «ossia degli enti territoriali che lo
compongono in quanto Stato-ordinamento nel diritto internazionale».101
Su questa base è possibile ritenere che l’esortazione che la Corte rivolge agli
Stati sia rivolta, nel caso italiano, anche a tutti gli “organi” che lo
compongono (Stato, Regioni, Enti locali). A partire da questa premessa, si
intende provare a riflettere sulle possibili sfide che anche le autonomie
locali italiane devono prepararsi a raccogliere a seguito di questa
risoluzione.
Con riguardo agli aspetti regolatori attinenti l’attuazione degli indirizzi in
materia di sicurezza alimentare, le autonomie locali non sembra debbano
prepararsi a grandi innovazioni, attesa la copiosa produzione normativa,
nazionale, regionale e locale, già vigente, attuativa del diritto
dell’alimentazione e immediatamente cogente (si pensi in particolare a tutta
la normativa in materie di igiene degli alimenti, di prevenzione del rischio
ecc.).102
Rispetto ai temi delle garanzie di un diritto al cibo adeguato, invece,
proviamo a indicare due possibili percorsi di attuazione di questo diritto,
uno ab intra e uno ad extra. Il primo riguarda la normativa che regola
l’attuazione di quei servizi pubblici locali che rendono effettivo il diritto al
cibo adeguato, così come descritto dalla risoluzione in commento. Il secondo
riguarda la normativa che consente alle autonomie locali di svolgere attività
di cooperazione internazionale decentrata finalizzate alla lotta alla fame e
alla povertà.
Con riguardo al primo aspetto, si può osservare che alcune realtà locali sono
già dotate di strumenti normativi tesi a rendere effettivo il diritto al cibo
adeguato.
Normativa locale di attuazione del diritto fondamentale al cibo adeguato è,
ad esempio, quella che regola i servizi di ristorazione scolastica, prevedendo
menu differenziati non solo per ragioni di salute (si pensi alle diete per
celiaci), ma anche per rispondere al diritto dei bambini a nutrirsi in modo
conforme alla propria identità religiosa (si pensi ai menu differenziati per
studenti di religioni in cui vigono particolari regole alimentari come i
Tale interpretazione si riscontra anche nella giurisprudenza della Corte EDU in materia
di debiti dei comuni. Cfr. a tal proposito G. Boggero, Lo Stato ha l’obbligo di onorare debiti
propri o dei propri organi riconosciuti con sentenza definitiva. Annotazione alle sentenze
gemelle della Corte europea dei diritti dell'uomo De Luca c. Italia e Pennino c. Italia, in Opal
3/2013.
102 Per una sintesi sui diversi aspetti del diritto dell’alimentazione cfr. L. Costato, P. Borghi,
S. Rizzioli, Compendio di diritto alimentare, Padova, 2011. Atteso che è a livello locale che
vanno attuate le principali funzioni in materia di igiene (i cui principi risiedono sempre
nella normativa europea conosciuta come il c.d. “pacchetto – igiene”), normalmente ogni
municipio è dotato di un apposito regolamento. Per il Piemonte si veda ad esempio il
Regolamento d'igiene della Città di Torino , di Alessandria, Novara o di Cuneo.
101
72
buddisti, i mussulmani o gli ebrei)103 o ai propri orientamenti culturali (si
pensi alle diete vegetariane).104
Esiste anche normativa locale che va incontro agli obiettivi posti dalla ris.
1957/2013 in materia di educazione alimentare a un consumo sostenibile
delle derrate alimentari, la quale promuove forme di educazione a consumi
consapevoli o favorisce il consumo di alimenti biologici nelle mense
collettive.105
Riconoscono questo diritto i Regolamenti di Città come Venezia: cfr. in particolare l’art.
23 del Regolamento del servizio refezioni scolastiche adottato nel 1997 che recita: «E’
concessa, su richiesta del genitore tramite l’istituzione scolastica, la variazione di menu per
motivi religiosi e per i soli alimenti non consentiti dalla medesima religione»;
104 Consentono ad esempio diete differenziate per motivi etici oltre che religiosi il
Regolamento per i servizi di Ristorazione scolastica del Comune di Cuneo del 2004 in (il cui
art. 20 prevede che «Possono essere formulate dalle famiglie richieste di menu
personalizzati secondo i seguenti criteri: diete legate a particolari convinzioni religiose o
culturali: i genitori potranno richiedere per i propri figli diete particolari che rispettino le
convinzioni religiose o culturali del nucleo familiare») oppure l’art. 8 del Regolamento
comunale per la gestione del servizio di ristorazione scolastica di Chiusi (il cui art. 8 dice:
«Per motivi etici, culturali e/o religiosi dovrà essere presentata specifica richiesta da parte
del genitore su modulo messo a disposizione dal Comune»).
105 Leggi regionali che favoriscono il consumo di alimenti biologici nei luoghi di
ristorazione collettiva sono state emanate nella Provincia autonoma di Trento, in Lazio
(nell’art. 2 della L.R. 06 Aprile 2009, n. 10 Disposizioni in materia di alimentazione
consapevole e di qualità nei servizi di ristorazione collettiva per minori si legge: «La
Regione … interviene per garantire, nei servizi di ristorazione collettiva per minori nelle
scuole, nei reparti ospedalieri di pediatria anche accreditati e negli istituti di pena per
minori, l’utilizzo di una percentuale non inferiore al 50 per cento di prodotti agroalimentari
tipici e tradizionali nonché zootecnici provenienti da coltivazioni e allevamenti biologici
regionali ed eventualmente nazionali»), Toscana (L.R. 27 maggio 2002, n. 18 Norme per
l'introduzione dei prodotti biologici, tipici e tradizionali nelle mense pubbliche e
programmi di educazione alimentare nella Regione Toscana, il cui art. 1 recita: «La Regione,
nell'ambito delle iniziative volte a tutelare la salute dei cittadini, promuove il consumo di
prodotti agroalimentari da agricoltura biologica, da agricoltura integrata, tipici e
tradizionali, con particolare riguardo a quelli provenienti da aziende in possesso di
certificazione etica, nelle mense scolastiche, ed universitarie, nonché nelle refezioni
ospedaliere per i degenti e promuove programmi di educazione alimentare»), Puglia (L.R.
13 dicembre 2012, n. 43 Norme per il sostegno dei Gruppi acquisto solidale (GAS) e per la
promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità dove si legge
che «Per sostenere la filiera corta e i prodotti a chilometro zero e di qualità la Regione
Puglia intende favorire il loro impiego da parte dei gestori dei servizi di ristorazione
collettiva pubblica stabilendo che nei bandi per l’affidamento dei servizi di ristorazione
collettiva gli enti pubblici devono garantire priorità ai soggetti che prevedono l’utilizzo di
prodotti da filiera corta, prodotti a chilometro zero, prodotti di qualità in misura non
inferiore al 35 per cento in valore rispetto ai prodotti agricoli complessivamente utilizzati
su base annua»). Una legge ragionale che, oltre all’aspetto biologico, affronta il tema della
educazione alimentare è quella emiliana: L.R. 4 novembre 2002, n. 29 Norme per
l'orientamento dei consumi e l'educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di
ristorazione collettiva il cui art. 1 dichiara: «la presente legge favorisce: a) l'educazione al
consumo consapevole, attraverso la comprensione delle relazioni esistenti tra sistemi
produttivi, consumi alimentari e ambiente, nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile; b)
l'adozione di corretti comportamenti alimentari e nutrizionali, attraverso la conoscenza e il
consumo di prodotti alimentari ed agroalimentari ottenuti nel rispetto della salute e
dell'ambiente o legati alla tradizione e alla cultura del territorio regionale; c) la diffusione
d'informazioni sugli aspetti storici, culturali, antropologici legati alle produzioni alimentari
e al loro territorio d'origine».
103
73
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Tali esempi di regolazione potrebbero in tal senso essere disseminati o
rafforzati, anche nelle realtà dove le medesime finalità sono già assicurate
da atti di natura amministrativa (Linee-guida regionali oppure delibere e
bandi degli Enti locali).106
Un'altra tipologia di normativa locale tesa a rendere effettivo il diritto al
cibo adeguato è quella che rende possibile l’accesso al cibo in via diretta, ad
esempio mettendo a disposizione dei cittadini (in particolare i più disagiati)
porzioni di suolo pubblico, al fine di realizzare orti urbani nei quali
produrre derrate alimentari di prima necessità, destinate all’autoconsumo.
Attualmente sembra che solo la Regione Campania si sia dotata di apposita
legge,107 mentre nelle altre Regioni si registrano prevalentemente
regolamenti ad opera dei Comuni.108
Un’attenzione a parte andrebbe riservata all’acqua. Dopo il riconoscimento
internazionale del diritto all’acqua e le recenti campagne referendarie sul
modello di organizzazione del servizio idrico, sono davvero molti gli Statuti
municipali che hanno introdotto l’esplicita tutela del diritto all’acqua:109 tale
Le clausole sociali in materia di fornitura di alimenti biologici o conformi alle regole
alimentari religiose sono contenute nei bandi di affidamento del servizio o nei contratti di
servizio (a seconda se i comuni gestiscano tale servizio in via diretta o tramite una società
in house). Della diversificazione delle diete alimentari si da conto ai cittadini nelle diverse
Carte dei servizi. Si veda ad esempio la Carta dei servizi della ristorazione scolastica delle
scuole del Comune di Torino, del Comune di Bologna del Comune di Milano. Le Regioni che
non hanno legiferato in materia di ristorazione scolastica si avvalgono però dello
strumento delle Linee guida: si vedano ad esempio Linee guida di Lombardia (Linee Guida
della Regione Lombardia per la ristorazione scolastica) o quella del Friuli Venezia Giulia,
ove si prevede la possibilità di diete speciali dovute a ragioni etico – religiose (La
ristorazione scolastica. Linee guida della Regione Friuli Venezia Giulia).
107 Cfr. L.R. Campania n. 5 del 30 marzo 2012 (Norme in materia di agricoltura sociale e
disciplina delle fattorie e degli orti sociali e modifiche alla legge regionale 7 marzo 1996, n.
11 (modifiche ed integrazioni alla legge regionale 28 febbraio 1987, n. 13, concernente la
delega in materia di economia, bonifica montana e difesa del suolo) dove all’art. 3.2. si legge
che «I soggetti designati alla conduzione degli orti sociali sono persone singole o associate
che si impegnano a coltivarli per ottenere prodotti agricoli a scopo benefico e di
autoconsumo»; l’art. 2 lett b) specifica che per orti sociali si intendono gli «appezzamenti di
terreno di proprietà o di gestione pubblica che sono appositamente destinati all'attività
agricola».
108 Cfr. Città di Torino, Regolamento per l'assegnazione e la gestione di orti urbani - n. 363.
Tale regolamento, definendo tra i criteri di individuazione degli assegnatari il reddito del
richiedente (che deve essere inferiore ai 15.000 euro annui lordi), la maggior anzianità, il
criterio della rotazione tra beneficiari, sottolinea l'intento dell'ente di utilizzare tale misura
anche come forma di sostegno al reddito. Cfr. inoltre il Regolamento per la conduzione e la
gestione dei terreni adibiti ad aree ortive dei Comuni di Bologna o le Linee Guida del
Comune di Udine
109 Cfr. l’art. 79.6 Statuto Comune di Milano (modificato con delibera 41/2012): «Il Comune
riconosce l’acqua quale patrimonio dell’umanità, bene comune, diritto inalienabile di ogni
essere vivente. Il servizio idrico integrato è di interesse generale ed il Comune ne assicura il
carattere pubblico»; l’art. 4 Statuto Comune di Vicenza (approvato con delibera 09 gennaio
2013 n. 2 in vigore dal 17 maggio 2013): «1. Il Comune di Vicenza riconosce il diritto
umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua potabile come diritto umano, universale,
indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico e garantisce che
la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e
depurazione siano pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e
106
74
prassi potrebbe essere diffusa anche nelle realtà in cui tali modifiche
statutarie non siano state ancora introdotte e potrebbe essere d’ispirazione
per introdurre analoghe disposizioni normative in materia di
riconoscimento statutario del diritto al cibo adeguato, che al momento
sembrano essere del tutto assenti anche dalle carte fondamentali delle città
italiane a vocazione metropolitana.110
Con riguardo alle azioni ab extra si ricorda che anche le autonomie locali
possono contribuire agli obiettivi di cooperazione allo sviluppo indicati
dalla Risoluzione n. 1357/2013, nella specie di cooperazione decentrata con
enti omologhi dei Paesi in Via di Sviluppo.
Esistono già in quasi tutte le Regioni italiane specifiche leggi111 che, sulla
base dell’Art. 10 della Carta Europea dell'Autonomia Locale del Consiglio
d’Europa del 15 ottobre 1985, della normativa europea112 e di quella
nazionali. 2. Il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale di interesse generale
che, in attuazione della Costituzione ed in armonia con i principi comunitari, deve essere
effettuato da un soggetto di diritto pubblico, non tenuto alle regole del mercato e della
concorrenza»; l’art. 2 lett n) Statuto Città di Torino (approvato con del 2010 08431/002) in
cui si afferma che: «Il Comune esercita le proprie attribuzioni perseguendo le seguenti
finalità: … n) assicurare il diritto universale all'acqua potabile attraverso la garanzia
dell'accesso individuale e collettivo dei cittadini alla risorsa»; l’art. 3 dello Statuto del
Comune di Bari: « Riconosce il diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto
umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune
pubblico. Riconosce, altresì, il servizio idrico integrato come un servizio pubblico locale
privo di rilevanza economica in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso
all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, la cui gestione va quindi attuata
attraverso un Ente di diritto pubblico». Riconoscono il diritto all’acqua gli Statuti di molte
altre città come Genova, Venezia, Firenze.
Ad oggi (1 marzo 2014) non compare una tutela esplicita del diritto al cibo adeguato
negli Statuti di città come Torino, Milano, Genova, Venezia. Firenze, Roma, Napoli, Bari,
Palermo. E’ peraltro singolare che l’adeguatezza del cibo, non sia garantita come diritto per
i cittadini né da atti statutari o regolamentari, mentre sia invece disciplinata in modo
esplicito a favore degli animali (chiaramente non a titolo di diritto): cfr. ad esempio art. 8
del Regolamento per la tutela ed il benessere degli animali in città del Comune di Torino «
Gli animali di proprietà e quelli a qualsiasi titolo custoditi dovranno essere accuditi ed
alimentati secondo la specie, la razza, l'età e le condizioni di salute» o di quello di
Ventimiglia che ha lo stesso tenore: «Gli animali di proprietà e quelli a qualsiasi titolo
custoditi dovranno essere accuditi ed alimentati secondo la specie, la razza, l'età e le
condizioni di salute».
111 Abruzzo: L.R. 105/1989; L.R. 53/1995; Basilicata: L.R. 26/1996; Calabria: L.R. 4/2007;
Provincia Autonoma di Bolzano: L.P. 5/1991; Emilia Romagna: L.R. 12/2002; Friuli Venezia
Giulia: L.R. 19/2000; Liguria: L.R. 28/1998; Lazio: L.R. 19/2000; Lombardia: L.R. 20/89;
Marche: L.R. 9/2002; Molise: L.R. 23/1997; Piemonte: L.R. 67/1995; Puglia: L.R. 20/2003
Sardegna: L.R. 19/1996; Toscana: L.R. 17/1999; Provincia Autonoma di Trento: L.P.
10/1998; Umbria: L.R. 26/1999; Valle d'Aosta: L.R. 44/1990; Veneto: L.R. 55/1999.
112 Cfr. il Trattato 25 marzo 1957 sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato con
Legge 4 ottobre 1957 nella versione attuale consolidata con il Trattato di Lisbona del 13
novembre 2007 (entrata in vigore dal 1° dicembre 2009): Parte V (Azione esterna
dell’Unione) Titolo III (Cooperazione con i paesi terzi e aiuto umanitario), Capo I
(Cooperazione allo sviluppo), Capo II (Cooperazione economica, finanziaria e tecnica con i
Paesi terzi) e Capo III (Aiuto umanitario). Cfr. anche Art. 14 Regolamento (CE) n.
1905/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 che istituisce
uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo nonché
Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the
European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions increasing the
110
75
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
italiana113, regolamentano la cooperazione decentrata di Regioni ed Enti
locali; in talune di queste Regioni sono stati approvati anche programmi
specifici che hanno ad oggetto la promozione di azioni di sicurezza
alimentare in alcune aree del mondo particolarmente deprivate.114
La cooperazione decentrata, intesa come l’azione di cooperazione
internazionale allo sviluppo «realizzata dalle Regioni e dagli Enti locali
nell’ambito di relazioni di partenariato territoriale con istituzioni locali (per
quanto possibile omologhe) dei paesi con i quali si coopera (…) finalizzate a
stabilire e consolidare lo sviluppo reciproco equo e sostenibile (…) con la
partecipazione attiva degli attori pubblici e privati nei rispettivi territori »115 è
centrale per assicurare l’effettività del diritto al cibo adeguato nei PvS.
impact of EU development policy: an Agenda for Change COM(2011) 637 del 13 ottobre
2011.
113 Legge 26 febbraio 1987 n. 49 Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi
in via di Sviluppo il cui art. 2.4. afferma: «Le attività di cui alle lettere a), c), d), e), f), h) del
comma 3 possono essere attuate, in conformità con quanto previsto dal successivo articolo
5, anche utilizzando le strutture pubbliche delle regioni, delle provincie autonome e degli
enti locali. 5. Le regioni, le province autonome e gli enti locali possono avanzare proposte in
tal senso alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo 10. Il
Comitato direzionale di cui all'articolo 9, ove ne ravvisi l'opportunità, autorizza la stipula di
apposite convenzioni con le suddette strutture pubbliche». Per il c.d. “potere estero” delle
Regioni cfr. art. 117, comma 9 («nelle materie di sua competenza la regione può concludere
accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato»). Per l’attività di rilievo internazionale degli Enti locali cfr.:
Art. 272 del D.Lgs. 267/2000 Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali («1.
L'Anci e l'Upi possono essere individuate quali soggetti idonei a realizzare programmi dei
Ministero degli affari esteri relativi alla cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di
sviluppo, di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni, nonché ai
relativi regolamenti di esecuzione. A tal fine il competente ufficio del Ministero degli affari
esteri è autorizzata a stipulare apposite convenzioni che prevedano uno stanziamento
globale da utilizzare per iniziative di cooperazione da attuarsi anche da parte dei singoli
associati. 2. I comuni e le province possono destinare un importo non superiore allo 0.80
per cento della somma dei primi tre titoli delle entrate correnti dei propri bilanci di
previsione per sostenere programmi di cooperazione allo sviluppo ed interventi di
solidarietà internazionale») e l’ art. 6 co. 7 della Legge 131 del 2003 Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 («7. Resta fermo che i Comuni, le Province e le Città metropolitane continuano a
svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro attribuite, secondo
l’ordinamento vigente, comunicando alle Regioni competenti ed alle amministrazioni di cui
al comma 2 ogni iniziativa»). Sulla cooperazione decentrata degli Enti locali sia consentito
rinviare a M. Bottiglieri, La cooperazione internazionale nel sistema delle autonomie locali
in "Orientamenti Sociali Sardi" 2/2012, 62-82 e M. Bottiglieri, La Città di Torino tra
cooperazione decentrata italiana ed europea in M. Baradello, M Bottiglieri, S. Chicco (a cura
di), Le città e la cooperazione decentrata: il caso del progetto europeo Mirando al Mundo,
Roma,
2012,
113-146
(anche
in
www.comune.torino.it/cooperazioneinternazionale/pdf/20120718/citta_e_cooperazione_
decentrata.pdf),
Si pensi al Programma regionale di sicurezza alimentare e lotta alla povertà in Africa
sub-sahariana della Regione Piemonte, l’ultimo dei quali risulta essere stato approvato con
D.G.R. n. 2-12377 del 26 ottobre 2009 (“Direttive triennali per la definizione del
Programma regionale di sicurezza alimentare e lotta alla povertà in Africa sub-sahariana”).
115 Cfr. Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo - MAE, Linee Guida sulla
cooperazione decentrata, approvate con delibera 15 Marzo 2010
114
76
Attraverso di essa, infatti, possono essere realizzati scambi e progetti tesi a
promuovere o rafforzare anche nelle città e nei governi locali dei PvS servizi
pubblici che attuano il diritto al cibo adeguato. E garantire il diritto al cibo
adeguato a partire dal livello locale costituisce un obiettivo e una priorità
ben presente anche a livello onusiano: «Una misura importante per eliminare
la fame e la malnutrizione consiste nel sottolineare l'importanza della
sicurezza alimentare locale e dei programmi di nutrizione locali. (…). La
sicurezza alimentare locale comporta l'adozione di misure concrete a livello
locale per lottare contro i problemi della fame e della malnutrizione. I poteri
pubblici devono non solo applicare politiche a livello nazionale, ma anche
vigilare affinché queste politiche siano comprese e applicate a livello locale,
tramite autorità locali e comunitarie. Esistono molti provvedimenti semplici,
applicabili con minima spesa. Il loro costo è senza dubbio largamente inferiore
al costo globale della sottoalimentazione e della malnutrizione». 116
Queste sporadiche e al momento non coordinate esperienze di regolazione
locale ci sembrano rendere in qualche modo già effettivi alcuni degli
indirizzi espressi dalla risoluzione in commento.
La risoluzione dell’Assemblea parlamentare, tuttavia, costituisce soft law
tanto per i governi locali quanto per il governo nazionale. Ecco perché
sarebbe auspicabile che tale provvedimento fosse recepito a livello
parlamentare per essere adeguato al contesto normativo nazionale, o
attraverso una legge-quadro117 o attraverso la realizzazione del tanto
dibattuto (in passato) “Testo unico sul diritto alimentare”,118 nel quale la
tutela esplicita del diritto al cibo adeguato potrebbe costituire uno dei
principi fondamentali costitutivi.
Occorre solo capire se, anche nel nostro Paese, dove il tasso di
disoccupazione è superiore alla media europea e dove la disoccupazione
giovanile supera il 40%119, il diritto al cibo adeguato possa costituire una
tecnica di tutela utile a garantire quelle situazioni giuridiche soggettive di
vulnerabilità che né il diritto al lavoro, né i diritti in materia di sicurezza e
protezione sociale riescono più a garantire.
«E’ stato calcolato, per esempio, che la malnutrizione costava al Pakistan il 5 percento
del suo Pil mentre le sole carenze di ferro nei bambini costavano al Bangladesh il 2
percento del suo. La sicurezza alimentare locale consiste nel garantire che la popolazione
nel suo complesso disponga delle conoscenze di base in materia di nutrizione e abbia
accesso a un nutrimento sufficiente e adeguato sia grazie a un giusto reddito, sia tramite un
migliore accesso a piccoli appezzamenti agricoli, parcelle di terreno, orti e banche locali
delle sementi» Così J. Ziegler , Dalla parte dei deboli. Il diritto all'alimentazione, cit, 89-90.
117 La Legge-quadro è una misura di attuazione del diritto al cibo adeguato particolarmente
raccomandata dal sistema ONU, insieme alle altre: 1) approvazione dei Trattati internazionali
che tutelano il diritto al cibo; 2) costituzionalizzazione del diritto; 3) definizione di programmi,
piani e politiche pubbliche; promozione di politiche locali specifiche. La FAO ha emanato a tal
fine le Linee Guida sulla legislazione relativa al diritto al cibo e la Guida per legiferare. Cfr.
FAO, The right to food guidelines Roma 2009 e FAO; Guide on Legislating for the Right to
Food, Roma 2009.
118 Cfr. sul punto P. Borghi, Il progetto di codice di diritto alimentare, in Rivista di diritto
alimentare 1/2007
119 Il tasso di disoccupazione a dicembre 2013 risultava del 12,7% rispetto alla media
dell’Europa a 28 (che è al 10,7% ) e dell’area Euro (che è al 12%); la disoccupazione delle
donne risulta al 13,6% e quella giovanile al 41,6%. Cfr. tali dati in December 2013 Euro
area unemployment rate at 12.0%. EU28 at 10.7% cit.
116
77
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Occorre capire, cioè, se anche per noi italiani il “cibo è il nostro più
fondamentale bisogno e diritto”.
78
La legge statale non può imporre la gratuità degli incarichi nelle
comunità di valle delle province di Trento e Bolzano (Corte
costituzionale n. 263/2013)
di Nicola Dessì
Parole chiave: Finanza e contabilità; cittadini, enti, organi; costi della
politica; comunità montane e di valle.
Riferimenti normativi: art. 4, n. 3); artt. 79, co. 3 e 4; art. 80, co. 1; art.
81 d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto
Adige) Principio di leale collaborazione. Art. 69, co. 3- bis, decreto-legge
22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 7 agosto
2012, n. 134.
Massima: Lo statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige riconosce
alla Regione e alle Province autonome di Trento e Bolzano la potestà di
provvedere, con legge, alle finalità di coordinamento della finanza
pubblica contenute nelle leggi statali. È di conseguenza illegittima, con
riferimento alle Province di Trento e Bolzano, una legge statale che
prevede la gratuità degli incarichi conferiti all’interno delle comunità di
valle, con il fine di coordinare la finanza pubblica: si tratta, infatti, di una
normativa non di principio, ma di dettaglio, non suscettibile di essere
ulteriormente sviluppata da un intervento legislativo della Regione e
delle Province
Link al documento
La sentenza decide alcune questioni di legittimità costituzionale, promosse
in via principale dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, contro una
disposizione del d.l. 83/2012 (c.d. “decreto sviluppo”), poi convertito con
legge 134/2012. La Corte Costituzionale ha deciso il giudizio con una
sentenza di accoglimento.
L’art. 69, co. 3-bis, del “decreto sviluppo” dispone la gratuità degli incarichi
conferiti all’interno delle comunità di valle: tali incarichi, dunque, devono
essere svolti a titolo onorifico, senza che sia previsto alcun compenso.
Questa disposizione, in base al successivo comma 3-ter, deve essere
applicata compatibilmente con le competenze attribuite alle Province di
Trento e Bolzano, in base allo statuto regionale del Trentino-Alto Adige e
alle relative norme di attuazione.
Secondo la Corte, l’art. 69, co. 3-bis è illegittimo, in quanto lesivo delle
competenze attribuite con legge costituzionale alle Province di Trento e
79
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Bolzano. Il testo unico delle leggi costituzionali sullo statuto speciale del
Trentino-Alto Adige (d.P.R. 670/1972) 670/1972 assegna alle due Province
autonome di Trento e Bolzano la potestà legislativa in alcuni ambiti: in virtù
dell’art. 79, co. 3 e 4, le Province – al pari della Regione – concordano con il
Ministero dell’Economia gli obblighi relativi al Patto di stabilità interno, e
provvedono alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute
nelle disposizioni legislative dello Stato. La Corte sottolinea che nella
disposizione impugnata è “già dettagliatamente predeterminato il
contenuto dell’intervento legislativo decentrato”. In altre parole, il comma
3-bis si configura come una normativa di dettaglio, assunta senza la
procedura di concertazione prevista dall’art. 79, co. 3, dello statuto di
autonomia locale, e tale da impedire a Province e Regioni di svolgere un
ruolo nel conseguire le “finalità di coordinamento della finanza pubblica”.
La Corte Costituzionale, in più, fa notare che la disposizione censurata è in
logica contraddizione con il co. 3-ter, il quale dovrebbe costituire una
“clausola di garanzia” delle prerogative riconosciute alla Regione TrentinoAlto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano: la disposizione
impugnata, infatti, è chiaramente incompatibile con le attribuzioni regionali
e provinciali contenute nello statuto, ed è dunque inapplicabile una
disposizione che richieda una “compatibilità” impossibile sul piano della
logica. Ad ogni modo, la Corte non ha dichiarato l’illegittimità
consequenziale del co. 3-ter, che non è stato preso in considerazione dalle
Province ricorrenti.
80
ELEZIONI ED ORGANI
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Annotazioni alla Sentenza del T.A.R. Sicilia n. 17 del 09.01.2014 sui
commissariamenti delle Province Regionali siciliane.
di Luca Beccaria
Parola-chiave: commissariamenti province regionali, indizione
elezioni province regionali siciliane.
Riferimenti normativi: Statuto speciale della Regione Siciliana,
approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455; D.P.Reg. Sicilia n.115 del
24 aprile 2013; legge regionale n. 7 del 27 marzo 2013, art. 145 della
legge regionale 15 marzo 1965, n. 16; legge 30 dicembre 1989, n. 439
Massima: L'elezione diretta degli organi della provincia non sarebbe
munita di copertura costituzionale
Link al documento
Contenuto della sentenza
La sentenza del T.A.R. Palermo, muove dal ricorso, presentato dall'Unione
delle Province d’Italia e dall’Unione delle Province Regionali Siciliane
avverso il decreto del Presidente della Regione n.115 del 24 aprile 2013,
avente per oggetto il commissariamento120 della Provincia Regionale di
Caltanissetta, sulla base dell'unico articolo della legge regionale n. 7 del 27
marzo 2013. I ricorrenti, in particolare, impugnando il decreto di
commissariamento, hanno altresì contestato la legittimità costituzionale
dell'articolo 15 dello Statuto speciale della Regione Sicilia.121
Due sono dunque gli aspetti interessanti toccati da questa sentenza e che i
ricorrenti avrebbero voluto sottoporre all'attenzione della Corte
costituzionale: la legittimità dei commissariamenti – partendo dal caso
particolare della Provincia regionale di Caltanissetta – e la legittimità
dell'articolo 15 dello Statuto regionale.
120 Nello stesso periodo, il T.A.R. Cagliari, con l'ordinanza collegiale n.881/2013, si è
pronunciato in merito al commissariamento delle province “storiche” della Sardegna, e nel
corso di quel procedimento giudiziario, quel collegio ha intravisto i presupposti della
rilevanza e non manifesta infondatezza.
121 Art. 15. (I) Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano
sono soppressi nell'ambito della Regione siciliana.
(II) L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi
Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
(III) Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e
l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.
82
La vicenda legata alla l.r. 7/2013 non è nuova per la Sicilia; essa è la
riproposizione, sotto diverse spoglie, della legge regionale 8 marzo 2012, n.
14, con cui cominciarono i commissariamenti, in connessione con il
tentativo di riordino degli enti di area vasta avviato dal governo Monti.
Secondo la legge del 2012, “gli organi provinciali che devono essere rinnovati
entro il 31 dicembre 2012, fatta eccezione per quelli in carica la cui scadenza
naturale è prevista in data successiva, si applica, sino al 31 marzo 2013, l'art.
145 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali (decreto legislativo
presidenziale 29 ottobre 1955, n. 6) approvato con legge regionale 15 marzo
1963, n. 16, e successive modifiche ed integrazioni”. La legge del 2012
prevedeva, dunque, il commissariamento delle province in scadenza prima
del 31 dicembre 2012. Dopodiché, la legge stabiliva che “gli organi
provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012
restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo
periodo e al secondo periodo, si procede all'elezione dei nuovi organi
provinciali”.
La legge 14/2012,122 dunque, prevedeva ancora l'elezione diretta degli
organi provinciali, non facendo riferimento alcuno ai liberi consorzi. Questa
previsione viene definitivamente superata dalla legge 7/2013 (Norme
transitorie per l'istituzione dei liberi consorzi comunali), espressamente “al
fine di consentire la riforma della rappresentanza locale”, come enunciato
all'art. 1, comma 3.
Il giudice amministrativo, a questo specifico proposito, giudica ammissibile
lo strumento del commissariamento per la gestione della fase transitoria,
omettendo di constatare che esso ha finito con il diventare permanente o
quasi, visto che la l.r. 7/2013 fa effettivamente cessare i commissariamenti
in essere, ma – al contempo – li ripropone, sempre a norma dell'art. 145
della l.r. 15 marzo 1963, n. 16, mediante il rinvio al quale la norma del 2012
aveva già permesso i primi commissariamenti.
Il giudice amministrativo, però, con la decisione di non rimandare il tutto
alla Corte costituzionale, non ha permesso di fare chiarezza su una
questione che non è mai stata risolta definitivamente nel corso di oltre un
sessantennio: quella riguardante la possibile illegittimità dell'art. 15 dello
Statuto siciliano, per violazione dell'art. 5 Cost. Anzi, il giudice ricorda che
proprio lo Statuto siciliano è stato oggetto di modifiche con la legge
costituzionale n. 2 del 2001, nella cui sede non furono considerati
cambiamenti all'art. 15. Questa considerazione del giudice, trova però limite
in quanto disposto dall'art. 10 della successiva legge costituzionale (la n. 3
del 2001), nella quale si dice che sino all'adeguamento dei rispettivi statuti,
le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle
Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano
per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle
già attribuite. Per cui si ha una situazione in cui il legislatore costituzionale
si è espresso in chiave generale (immediatamente dopo l'approvazione di
modifiche allo Statuto speciale) prevedendo una clausola di maggiore
122 Cfr. I A. Patané, Liberi consorzi di comuni" nella Regione Sicilia. Commento alla legge
regionale n.7/2013,
83
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
favorevolezza per le autonomie locali, ed è impossibile non considerare,
come il passaggio da province-riparti a province-enti costitutivi della
Repubblica, imponga qualche riflessione in più. Questa situazione durerà,
almeno, fino a quando non venga dato seguito al rimando di legge di cui
all'art. 10 della legge cost. 3/2001.
In merito al combinato disposto dell'art. 5 e 114 Cost. e all'assenza dell'art. 1
Cost.
Il giudice amministrativo, laddove non trova convincente “la prospettazione
per cui la norma dello Statuto si porrebbe in contrasto con l’art. 5 Cost., in
relazione all’art. 114 Cost.”, si focalizza eccessivamente sul carattere
ontologico dell'equiparazione degli Enti territoriali, di cui al nuovo testo
dell'art. 114; non si sofferma, invece, sul principio fondamentale espresso
dall'art. 5 Cost.: infatti, è arduo conciliare la “promozione” delle autonomie
locali, contenuta fra i principi supremi del nostro ordinamento, con la
“soppressione” di un Ente territoriale come quella prevista dall'art. 15 dello
Statuto siciliano, soppressione che ha come unica conseguenza, sulla carta,
l'eliminazione della consultazione popolare.
Il riferimento all'art. 114 andrebbe operato in combinato disposto con l'art.
1 Cost.: la provincia, in quanto parte di una Repubblica che è democratica,
non può che essere democratica anch'essa; se la sovranità appartiene al
popolo della Repubblica italiana, allora il popolo deve esercitare la propria
sovranità in tutti gli Enti che costituiscono la Repubblica. La soluzione
consortile non consentirebbe l'attuazione di questo principio, alla luce della
sentenza della Corte costituzionale n. 107 del 1976 che si vedrà in seguito, a
maggior ragione se si considera la permanenza di un livello territoriale
intermedio.
In astratto, si sarebbe potuto giungere a diversa conclusione, stante
l'apparente inconciliabilità tra i termini “promozione” delle autonomie
locali di cui all'art. 5 Cost. e termini quali soppressione o abolizione: ad
esempio un livello intermedio potrebbe essere effettivamente rimosso a
favore di una riorganizzazione delle autonomie territoriali di tipo duale,
prevedendo la sola presenza di Regioni e Comuni. Caso peculiare di questa
organizzazione è la Valle d'Aosta, la cui storia, però, la vede prima parte
della Provincia di Torino, poi Provincia all'interno della regione Piemonte e
solo con la fine del fascismo quale regione autonoma per evitare l'ipotesi di
una cessione alla Francia.
Ma il legislatore, nel momento in cui prevede la presenza di un Ente
territoriale costituzionalmente garantito, non può privarlo di un organo
elettivo, composto di rappresentanti direttamente scelti dai cittadini. In tal
senso, vale la pena ricordare quanto affermato nella sentenza della Corte
costituzionale n. 107/1976, in riferimento all'istituzione di consigli di
quartiere: “l'elemento che deve togliere ogni dubbio circa la natura di vero e
proprio ente autonomo [...] è la nomina del consiglio a suffragio universale,
ossia attraverso la forma più squisitamente politica di esercizio di quella
84
sovranità che l'art. 1 della Costituzione attribuisce al popolo”. Tale
affermazione potrebbe ben essere estesa a tutti gli Enti autonomi: e,
dunque, anche alle Province; anzi, a maggior ragione alle Province, che – a
differenza dei consigli di quartiere – sono un ente costituzionalmente
previsto.
Libero consorzio di comuni, ente autonomo?
Il giudice amministrativo, nel corso della sentenza, arriva a formulare una
conclusione potenzialmente molto impegnativa: non è dato rinvenire nella
Carta fondamentale un principio cogente sulla indefettibilità del metodo
diretto di elezione; consentendosi, in linea di principio, al legislatore – nel
nostro caso, regionale – di scegliere tra il metodo diretto e quello indiretto,
ovviamente fuori dai casi in cui, espressamente, la Costituzione prevede
l’elezione diretta da parte del popolo (artt. 56 e 58 Cost.). Il Giudice
amministrativo approda ad una considerazione tanto semplice quanto
lapidaria: nella nostra Carta fondamentale manca un riferimento espresso
che garantisca il ricorso all'elezione diretta, a differenza di quanto, ad
esempio, dispone la Legge fondamentale tedesca all'art. 28.123 Quindi, nel
momento in cui si richiede, a fondamento dell'elezione diretta delle
Province, un'espressa disposizione costituzionale – che manca – e non si
ritiene sufficiente il combinato disposto degli artt. 1 e 114 Cost., si sta in
qualche modo asserendo che il legislatore potrebbe vietare il ricorso al voto
popolare anche per Comuni e Città metropolitane, e persino per le Regioni;
infatti, l'ipotesi dell'elezione diretta prevista dall'art. 122, comma 5,
riguarda solo il Presidente della Giunta regionale, ma non il Consiglio. Il
Giudice amministrativo definisce poi i Comuni, senza spiegarne il perché,
enti “sicuramente e imprescindibilmente a elezione diretta”. Di fatto, il TAR
della Sicilia, implicitamente, mette in discussione la garanzia del voto
popolare, anche con riferimento agli altri Enti.
Il Giudice amministrativo si spinge poi a sostenere che “la diretta elettività
degli organi della provincia non è (...) munita di copertura costituzionale”.
Non è, però, chiaro di quale copertura godano gli altri Enti, in particolare i
Comuni siciliani, visto che lo Statuto prevede l'elezione a suffragio solo per
il Presidente della Regione e l'Assemblea Regionale. Nel sostenere questa
posizione, inoltre, il Giudice amministrativo sottolinea come in realtà la
legge regionale 9/1986 della Sicilia sarebbe incostituzionale; sennonché,
tale legge chiariva espressamente, all'art. 42, il proprio portato, disponendo
che “fino a quando le province regionali non subentrino alle amministrazioni
straordinarie delle province, per l'elezione dei consigli e per i casi di
ineleggibilità e di incompatibilità si applica la legge regionale 9 maggio 1969,
n. 14”, legge che prevedeva l'elezione diretta.
123 Art. 28. (I) L'ordinamento costituzionale dei Länder deve corrispondere ai principi
dello Stato di diritto repubblicano, democratico e sociale ai sensi della presente Legge
fondamentale. Nei Länder, nei Distretti e nei Comuni il popolo deve avere una
rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete. Nei
Comuni, al posto di un organo elettivo, può subentrare l'assemblea dei cittadini del Comune
[Gemeindeversammlung].
85
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Non servono a molto le argomentazioni del Giudice amministrativo, fondate
sui richiami alle sentenze della Corte costituzionale, n. 164/1990124 e
286/1997.125 Va ricordato che il riferimento agli “altri enti locali” contenuto
all'art. 130 della Costituzione, è stato soppresso dalla revisione del Titolo V.
In più, laddove il giudice costituzionale indicava un orientamento, nel
definire gli Enti locali sulla base di “più complesse coordinate istituzionali,
quali la territorialità e la rappresentatività diretta o indiretta degli interessi
comunitari”, affermava sì la legittimità di un Ente in cui la rappresentanza
dei cittadini avvenisse in via indiretta, ma lo faceva con riferimento,
appunto, ad “altri enti”, non meglio specificati, all'epoca riferibili
prevalentemente alla Comunità montana e comunque profondamente
diversi rispetto all'ente Provincia, essendo quest'ultimo riconosciuto dalla
Costituzione.
Rapporto con la Carta Europea delle Autonomie Locali
Si potrebbe obbiettare che, nonostante i dubbi in ordine a un contrasto tra
art. 5 della Costituzione e art. 15 dello Statuto siciliano – tema su cui la
Corte costituzionale, purtroppo, non ha ancora avuto modo di pronunciarsi
– la legittimità dei liberi Consorzi di Comuni potrebbe essere avvalorata
dalla sopra citata sentenza 164, depositata dalla Corte Costituzionale il 4
aprile 1990. Potrebbe, ma non può: la Corte Costituzionale, al momento della
sentenza, non poteva tenere ancora in considerazione gli effetti dell'entrata
in vigore, il 1° settembre del 1990, della legge 30 dicembre 1989, n. 439;
tale legge ha ratificato nel nostro ordinamento la Carta Europea
dell'Autonomia Locale (CEAL).126
Il Giudice amministrativo richiama, a tale proposito, la sentenza della Corte
costituzionale 325 del 2010, in cui i contenuti della CEAL furono definiti
“prevalentemente definitori (art. 3, comma 1), programmatici (art. 4, comma
2) e, comunque, generici (art. 4, comma 4)”. Il Giudice amministrativo, però,
omette di ricordare che tale giudizio fu espresso in materia di servizi
pubblici locali; non furono menzionati i criteri d'elezione degli organi degli
Enti locali autonomi.
Si riporta, di seguito quanto disposto in materia, dalla CEAL.
Articolo 3 – Concetto di autonomia locale
1. Per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacità effettiva, per le
collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge,
124 Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma primo e terzo, della legge
regionale riapprovata il 2 ottobre 1989 dal Consiglio regionale del Molise, avente per
oggetto: (Norme in materia di controllo sugli atti degli enti sottoposti a vigilanza e tutela
della Regione) promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri.
125 Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 19, 20 e 21 della legge della regione
siciliana 6 marzo 1986, n. 9 (Istituzione della provincia regionale), promosso con ordinanza
emessa il 7 maggio 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
staccata di Catania.
126 Cfr. G. Boggero, La conformità della riforma delle province alla carta europea
dell’autonomia locale, del 23-10-2012, su www.federalismi.it
86
sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante
degli affari pubblici.
2. Tale diritto è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti
a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre
di organi esecutivi responsabili nei loro confronti. Detta disposizione non
pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra
forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita
dalla legge.
Secondo uno studio condotto proprio sul tema dell'applicabilità della CEAL
nel nostro ordinamento, “sebbene nella sentenza n. 325 del 2010 la Corte
abbia affermato il valore solo definitorio e programmatico delle disposizioni
della Carta europea dell’autonomia locale (citati art. 3, comma 1 e art. 4,
commi 2 e 4), si può ritenere che la stessa, costituendo atto di diritto
internazionale recepito con legge ordinaria nell’ordinamento interno, ricada
nell’alveo della previsione del primo comma dell’art. 117 Cost. che impone al
legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali. Ne deriva che, nonostante la mancanza di precettività delle sue
disposizioni, la Carta si pone come parametro idoneo ad orientare l’attività
sia del legislatore, al quale non dovrebbe essere consentito dettare discipline
con essa contrastanti, sia dell’interprete, tenuto ad applicare la normativa
vigente in conformità con i disposti della Carta medesima”.127
La questione che riguarda le Province regionali siciliane potrebbe
rappresentare l'occasione per applicare direttamente il disposto della CEAL.
Atteso che l'oggetto del contendere è anche l'elezione diretta delle Province,
si può affermare chiaramente che la democraticità dei loro organi è tutelata
in virtù dell'art. 117 Cost., primo comma, che per l'interposizione della Carta
europea, andrebbe a fornire la più completa enunciazione della garanzia
dell'elezione diretta. Tale principio è stato scalfito dalla interpretazione che
ne fa il giudice amministrativo siciliano, il quale non ritiene più sufficiente la
lettura combinata degli articoli 1 e 114 Cost., essendo venuto forse meno
l'orientamento che caratterizzava, ad esempio, la formulazione della
sentenza 107 del 1976.
127 M. Bellocci, R. Nevola (a cura di), L’applicazione in Italia della “Carta europea
dell’autonomia
locale”,
pag.
13
http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_228_Carta_eur_aut_
locale_questioni.pdf
87
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
FINANZE E CONTABILITÀ
88
Legittimo tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici senza contratto
collettivo. Annotazione alla sentenza della Corte costituzionale
n.310/201
di Elena Ponzo
Parole chiave: riduzione spesa pubblica – pubblico impiego – blocco
meccanismi di adeguamento retribuzioni – durata triennale
Riferimenti normativi: D.l. n. 78/2010 – legge n. 122/2010 - D. lgs. n.
165/2001 – legge n. 448/1998 – d.P.R. n. 382/1980 – Legge n.
240/2010 – d.P.R. n. 232/2011 – D.l. n. 98/2011 – legge n. 400/1988 –
d.P.R. n.122/2013 – legge n. 537/1993 – D.l. 262/2006 – Legge n.
286/2006
Massima: Le ragioni di contenimento e razionalizzazione della spesa
pubblica ai fini del riequilibrio del bilancio giustificano anche in
relazione alle attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio,
giustifica il blocco triennale dei meccanismi di adeguamento degli
stipendi del personale dell’impiego pubblico
Link al documento
Il giudizio di legittimità costituzionale viene instaurato incidentalmente nel
corso di alcuni procedimenti promossi da docenti universitari dinanzi a
diversi Tribunali Amministrativi Regionali contro le rispettive università di
appartenenza e i ministeri competenti. Le procedure erano dirette a
ottenere l’accertamento del diritto dei professori alla corresponsione del
trattamento economico senza l’applicazione delle misure di blocco di cui al
D.l. n. 78/2010 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica”) convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma
1, della L. n. 122/2010.
La Corte costituzionale, riuniti i vari giudizi, concentra l’esame sull’art. 9,
comma 21, primo, secondo e terzo periodo del D.l. n. 78/2010,155 il quale
Secondo l’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo del Decreto legge n.
78/2010 «i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato
di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti
dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011,
2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi
recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione
automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della
maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il
personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
155
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prevede per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del D.lgs. n.
165/2001, il blocco per il triennio 2011-2013 dei meccanismi di
adeguamento retributivo (primo periodo), degli automatismi stipendiali
correlati all’anzianità di servizio (secondo periodo) e di ogni effetto
economico delle progressioni in carriera comunque denominate conseguite
nello stesso triennio (terzo periodo), in relazione ai seguenti parametri
costituzionali:
Violazione dell’articolo 77 Cost. in quanto, secondo i giudici rimettenti, il D.l.
impugnato sarebbe intervenuto in assenza dei prescritti presupposti di
necessità e urgenza, con misure che, protraendosi nel tempo, non sarebbero
compatibili con la condizione di straordinarietà.
La Corte, sul punto, rileva che il D.l. n. 78/2010 è stato adottato in ragione di
diverse esigenze, peraltro non specificamente contestate nelle ordinanze di
rimessione: la straordinaria necessità e urgenza di provvedere al
contenimento della spesa pubblica; il contrasto dell’evasione fiscale ai fini
della stabilizzazione finanziaria; il rilancio della competitività economica.
La protrazione nel tempo degli effetti delle misure adottate, non
contraddice, secondo la Corte, la sussistenza della necessità e urgenza anche
in relazione alle finalità di programmazione pluriennale delle politiche di
bilancio.
Violazione degli artt. 3, 97, 36, 53 Cost. poiché, stante la prospettata natura
tributaria della norma impugnata, essa violerebbe il principio di capacità
contributiva e della progressività: il blocco dell’aumento delle retribuzioni,
infatti, colpirebbe maggiormente i meno anziani di servizio, titolari di salari
meno consistenti, perché la misura percentuale dell’incisione sulla
retribuzione sarebbe la medesima per ogni dipendente, a prescindere dal
reddito o dagli scatti accumulati.
Secondo la Corte, tuttavia, tale norma non ha natura tributaria in quanto
non crea una prestazione patrimoniale imposta attraverso un atto
autoritativo destinato a reperire risorse per l’erario; pertanto, vengono
respinte le censure relative al mancato rispetto dei principi di cui alle
diposizioni costituzionali invocate come parametro.156
Violazione degli artt. 9, 33, 34, 97 Cost. in quanto la disposizione censurata
si porrebbe in contrasto con il valore di centralità, libertà e autonomia della
ricerca scientifica, tutelati a livello costituzionale.
modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte
negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque
denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013
hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».
156 La Corte richiama sul punto, in senso conforme, la sentenza n. 223/2012, in occasione
della quale aveva individuato i tre elementi costitutivi della fattispecie tributaria: la
disciplina legale deve essere diretta prevalentemente a procurare una definitiva
decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve
comportare una modifica del rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti, connesse a un
presupposto economicamente rilevante, devono essere destinate a “sovvenire” le pubbliche
spese.
90
Secondo la Corte, tuttavia, l’articolo 33 Cost. e gli altri parametri non sono
pertinenti al tema del trattamento economico dei docenti universitari dato
che anche l’autonomia cui il testo costituzionale fa riferimento non attiene
allo status quo economico dei professori.157
Violazione degli artt. 2, 3, 36, 97 e del principio di affidamento del cittadino
nella sicurezza e certezza giuridica, con riguardo al blocco sia
dell’adeguamento che delle classi e degli scatti.
In questo profilo rientrano i richiami operati dai giudici rimettenti alla
sentenza n. 223/2012 in cui la Corte aveva dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 22, del D.l. n. 78/2010. Questa norma
prevedeva un blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo in
riferimento ai dipendenti pubblici componenti la magistratura, analogo a
quello previsto all’art. 9, comma 21, primo periodo del medesimo decreto.
Secondo la Corte, il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo in
esame non è comparabile con quello nei confronti dei magistrati che aveva
comportato
un’irragionevole
compressione
delle
prerogative
costituzionalmente riconosciute a questa categoria, compromettendone
inevitabilmente l’autonomia e dipendenza.
Con riferimento alle censure di irragionevolezza, infine, la Corte consolida la
propria giurisprudenza in tema di condizioni di legittimità dei meccanismi
di risparmio,158 secondo cui il contenimento e la razionalizzazione della
spesa pubblica giustificano sacrifici gravosi quali quelli sottoposti al suo
giudizio. Il D.l. n. 78/2010 supera pertanto il vaglio di ragionevolezza della
Corte: le norme in esso contenute sono volte a un risparmio della spesa
pubblica «che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in
una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese
necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi
appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni
in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di
bilancio».
Nella sent. n. 383/1998, richiamata dalla Corte, era già stato affrontato il tema e si era
affermato che «gli artt. 33 e 34 della Costituzione pongono i principi fondamentali relativi
all’istruzione con riferimento, il primo, all’organizzazione scolastica della quale le
Università, per quanto attiene all’attività di insegnamento, sono parte (Sentenza n. 195 del
1972); con riferimento, il secondo, ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che
essa è chiamata a fornire».
158 I precedenti richiamati dalla Corte in tema di legittimità dei meccanismi di blocco
dell’adeguamento salariale e progressione economica per classi e scatti ai fini del risparmio
della spesa pubblica, sono le Sentt. nn. 245 del 1997 e 299 del 1999 (pronunciate con
riguardo alla manovra economica del 1992), oltre che le nn. 189 del 2012 e 223 del 2012.
157
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
92
Il danno erariale per spese di rappresentanza illegittime dei
consiglieri regionali. Annotazione a sentenza della Corte dei Conti, sez.
reg. Friuli Venezia Giulia, 3.2.2014, n. 11
di Paolo Marta
Parole chiave: responsabilità amministrativa, consiglieri regionali,
presidente gruppo consiliare, rimborsi spese di rappresentanza,
omessa giustificazione-danno erariale.
Riferimenti normativi: artt. 97, 103, 122, Cost.; L.R. n. 54/1973 e
n. 52/1980; L. n. 20/1994.
Massima: sussiste la responsabilità per danno erariale del
Presidente del gruppo consiliare per non aver vigilato sul corretto
utilizzo dei fondi pubblici regionali destinati al funzionamento dei
gruppi e utilizzati per finalità diverse da quelle stabilite dalla legge e
dai regolamenti. Sussiste, inoltre, una responsabilità concorrente
dei componenti dell’Ufficio di Presidenza per non aver vigilato sulla
corretta rendicontazione e giustificazione di tali spese.
Link al documento
La procura contabile presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti
per il Friuli Venezia Giulia citava in giudizio il Presidente del gruppo
consiliare regionale del Partito Democratico per sentirlo condannare al
pagamento della somma di € 100.753,90 a titolo di risarcimento del danno
erariale in favore della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, per non
aver indicato, con colpa grave, le ragioni che rendevano necessari i rimborsi,
contabilmente imputati come costi di rappresentanza, di particolari
categorie di spese personali del convenuto e dei consiglieri del gruppo da lui
rappresentato.
In particolare, tali spese risultavano supportate da ricevute e scontrini
senza che, tuttavia, fossero indicate le ragioni che potessero farle
considerare quali spese per attività politica.
In particolare, la Procura richiamava l’art.3, L.R. n.54/1973, in materia di
stanziamenti di contributi a favore dei gruppi consiliari nonché l’art.97
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Cost., ritenendo irrazionale l’alta incidenza delle spese di rappresentanza
rispetto alla dotazione complessiva del gruppo consiliare, in un contesto di
violazione di legge ed eccesso di potere per illogicità e contrarietà ai
principi di buon andamento della pubblica amministrazione.
Riteneva, inoltre, sussistente l’elemento soggettivo della colpa grave, dato il
comportamento di assoluto disinteresse nell’utilizzo del denaro pubblico. Il
convenuto, costituendosi in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione della
magistratura contabile asserendo che i consiglieri regionali non rivestono la
qualifica di dipendenti pubblici, bensì di titolari di funzione legislativa, in
virtù del parallelismo fra l’art.68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost.
e che non essendovi alcuna disposizione specifica che attribuisca alla Corte
il sindacato sulla gestione delle spese dei gruppi consiliari, una eventuale
pronuncia sarebbe stata in contrasto con l’art.103 Cost.; affermava, inoltre,
di essere esente da responsabilità in quanto su di lui non incombeva una
funzione di garanzia e controllo, essendo precluso ogni sindacato sul merito
delle spese effettuate dai consiglieri. Infine, riteneva insussistente, in orni
caso, l’elemento della colpa grave, avendo seguito una prassi consolidata e
non avendo ricevuto alcun rilievo da parte dell’organo deputato al controllo
sul merito, l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
Il collegio, investito della questione, si pronunciava in merito agli aspetti
rilevanti della controversia.
- In via preliminare, respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione,
sostenendo che esiste un rapporto di servizio onorario fra la funzione di
consigliere e l’ente territoriale di appartenenza e che detto rapporto è da
considerarsi generatore di una responsabilità di natura gestoria, come si
evincerebbe dall’art.1, comma primo, del regolamento di esecuzione delle
leggi regionali n.54/1973 e n. 52/1980, che prevede che al presidente del
gruppo siano versati i contributi per le spese di funzionamento con
conseguente attribuzione di responsabilità in relazione alla legittima
gestione dei fondi (obbligo di tenuta delle scritture contabili e di
conservazione dei titoli di spesa nonché di elaborazione di una nota
riepilogativa delle spese).
Inoltre, ad una valutazione meramente soggettiva della qualifica del
soggetto agente, se ne affianca un’altra di natura oggettiva, basata sulla
natura pubblica dei finanziamenti (Cass. S.U., ord. N. 411/2006).
In relazione all’esimente che deriverebbe dall’art.122 Cost., i giudici
osservavano che la garanzia costituzionale si limita a negare il sindacato
giurisdizionale limitatamente alle manifestazioni di volontà e di opinione
nel corso dell’attività d’aula (Corte Cost. n.292/2001), ma che tale sindacato
non è precluso sulle attività di gestione dei gruppi (in mancanza di una
legge ad hoc). Benché l’approvazione del rendiconto sia espressione di voto
consiliare, questo non determina una insindacabilità “derivata” delle
decisioni contabili, altrimenti si determinerebbe un’area di totale
irresponsabilità civile, penale e amministrativa priva di fondamento
giuridico.
- Nel merito, il collegio definiva spese di rappresentanza quelle spese che
hanno una specifica funzione di mantenere o incrementare il prestigio
94
istituzionale esterno dell’organismo cui fanno riferimento, mediante
iniziative di visibilità e comunicazione esterna del gruppo, onde consentire
la massima divulgazione dell’attività istituzionale (Corte dei conti, sez. Friuli
Venezia Giulia, n.12/2011).
Tali spese sono oggetto di un elenco tassativo da parte del regolamento
regionale adottato con delibera n.196/1996 dell’Ufficio di Presidenza del
Consiglio; di conseguenza, qualunque altra spesa non compresa in questo
elenco deve essere autorizzata dall’Ufficio di Presidenza al fine di ottenerne
il rimborso. Questo significa che sorge un preciso obbligo di
rendicontazione delle spese e di vigilanza relativamente alla corretta
destinazione delle medesime.
Pertanto, la deviazione dalle finalità pubblicistiche delle spese, la loro
omessa rendicontazione o la mancata attestazione da parte del capogruppo
dei motivi e delle circostanze in cui sono state sostenute costituiscono una
violazione, gravemente colposa, delle regole di gestione dei fondi pubblici.
Alla luce di quanto esposto, i giudici attribuivano la responsabilità al
Presidente del gruppo consiliare, derivante dal dovere di accertare che le
spese da lui sostenute, o dai consiglieri del suo gruppo, fossero realmente
destinate alle finalità previste dalla normativa di settore; normativa
alquanto puntuale e precisa, tanto da non ammettere la liceità di
comportamenti improntati a una prassi consolidata, la quale non può
costituire un’esimente.
Il presidente, dunque, veniva condannato al risarcimento del danno erariale
per le somme illecitamente spese; tuttavia, veniva applicata una riduzione
dell’entità del risarcimento a causa della responsabilità concorrente dei
componenti dell’Ufficio di Presidenza, i quali, pur non essendo parte del
giudizio, indubbiamente avevano, con la propria condotta omissiva in
ordine al potere di vigilanza, agevolato la commissione dell’illecito da parte
del convenuto.
95
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
SOTTO LA LENTE
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La discussione sulle autonomie territoriali nella commissione per le
riforme costituzionali del Governo Letta
Di Matteo Porricolo
Il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva istituito con proprio decreto
dell’11 giugno 2013 una Commissione per le riforme costituzionali col
compito di fornire elementi di riflessione al Governo e al Parlamento
intorno ad alcune ‹‹proposte di revisione della Parte Seconda della
Costituzione, Titoli I, II, III e V, con riferimento alle materie della forma di
Stato, della forma di Governo, dell’assetto bicamerale del Parlamento e delle
norme connesse alle predette materie, nonché proposte di riforma della
legislazione ordinaria conseguente, con particolare riferimento alla
normativa elettorale».169
Tale Commissione sarebbe stata presieduta dal Ministro per le riforme
costituzionali e composta di trentacinque membri scelti fra personalità di
spicco della cultura giuridica italiana, per lo più professori universitari,
anche legislatori, e presidenti emeriti della Corte Costituzionale; al punto
che nel gergo giornalistico da subito definita la Commissione dei Saggi. Essa
si è riunita in un periodo compreso tra il 12 giugno e il 17 settembre in una
decina di sedute e, per i fini che qui ci interessano, si è occupata dei temi
riguardanti la riforma del Titolo V nella terza e nella quarta riunione.
La discussione sui rapporti tra Stato, Regioni ed Enti Locali non è stata
affatto facile e meno ancora lo è stato trovare soluzioni di compromesso
largamente condivise. Al di là delle singole e precise opinioni di ciascun
membro, la Commissione si è divisa lungo due direttrici che possono essere
così riassunte: da un lato, il pensiero di coloro che hanno ritenuto che
l’autonomia degli enti locali costituzionalmente garantita vada in ogni caso
rispettata, se non addirittura potenziata. Dall’altro l’opinione di chi ha preso
atto di quei processi europei che hanno portato alla prospettiva di una
“Europa delle Regioni” fondata sul dialogo immediato tra le Regioni europee
e l’Unione stessa, ad un rapporto quasi esclusivamente basata sull’UE con i
propri Stati membri; punto di vista che quindi tende a ripensare l’intero
Titolo V alla luce di tali cambiamenti in atto.
I cosiddetti Saggi si sono innanzitutto occupati del riparto delle competenze
legislative e sulla questione sono stati pressoché concordi che le
imperfezioni della riforma costituzionale del 2001 debbano essere sanate
con l’obiettivo di una revisione e razionalizzazione del riparto di cui all’art.
117 Cost, per altro senza mettere discussione la struttura e senza proporre
un’abolizione della potestà legislativa concorrente.
169
Art. 1 DPCM 11 giugno 2013.
97
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
Secondo la logica dell’interesse nazionale, si suggerisce di ricondurre alla
competenza statale materie oggi di potestà legislativa concorrente,170
nonché alcune materie sul mero fatto che per esse ‹‹appare meno plausibile
l’esercizio della funzione legislativa da parte delle Regioni».171
Ma d’altro canto si intende anche tutelare le competenze regionali di fronte
agli sconfinamenti della potestà statale causata dalle materie trasversali,
cosicché si sottolinea come esista l’esigenza di semplificare o riformulare
alcune clausole trasversali statali, elemento che ha determinato un notevole
contenzioso costituzionale.
Alcuni membri, in particolare bolognesi,172 a fini semplificatori propongono
la drastica eliminazione della competenza concorrente contrapponendo,
alla potestà statale generica, una competenza regionale residuale per tutte
le materie non espressamente attribuite allo Stato; sulla quale, per di più,
far pendere una clausola di salvaguardia statale, sul modello tedesco,
consentendo un intervento dello Stato ‹‹tutte le volte e nei limiti in cui lo
richiedano la tutela dell'unità giuridica o economica, la realizzazione di
programmi di interesse nazionali e le grandi riforme economico-sociali».173
A questa controbatte l’opinione di chi ritiene sia più opportuno mantenere
l’assetto attuale, comunque riducendo il numero delle materie comprese nel
caotico elenco del comma terzo.174 Viene portato l’esempio del “governo del
territorio”, su cui sarebbe inimmaginabile l’assenza di un intervento
specifico del legislatore regionale all’interno dei principi dettati dal
legislatore statale. E’ lo stesso motivo per cui una materia come l’ambiente
(attualmente competenza esclusiva statale) sarebbe più ragionevole fosse
ricondotta nell’alveo della competenza concorrente.
Poi, non sono mancate voci che hanno proposto, per una maggiore
razionalizzazione del riparto, un elenco espresso anche per le materie di
competenza residuale.
A contrappeso per tale perdita che subirebbero le Regioni, la Commissione
propone che il legislatore statale possa delegare l’esercizio della potestà
esclusiva ad una o più Regioni, anche su richiesta delle stesse (con
contestuale abrogazione del terzo comma dell’art. 116 che risulterebbe
superato), rendendo così più flessibile la distribuzione delle competenze e
assicurando una maggiore realizzazione del principio di differenziazione.175
Gli esperti prendono atto della cosiddetta “fuga dal regolamento”,
consistente nel sostanziale inutilizzo a livello regionale di tale fonte
Si fa riferimento alle “grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della
comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”.
171 Relazione finale della Commissione al Presidente del Consiglio dei Ministri, in
http://riformecostituzionali.gov.it/.
172 Barbera, Moscarini, Ceccanti e altri.
173 Relazione finale della Commissione al Presidente del Consiglio dei Ministri, cit.
174 Caravita, Onida, Cerrina Feroni e altri.
175 Così, Frattini e Pinelli.
170
98
formativa, e indicano la soluzione che la potestà regolamentare segua in
ogni caso quella legislativa.176 Si osserva inoltre che ‹‹l’opzione a favore
dell’eliminazione della competenza concorrente, può facilitare la soluzione
sulla potestà regolamentare».177 Il discorso della potestà regolamentare è
strettamente connesso a quello sulle funzioni amministrative. In seno alla
Commissione si è evidenziata la sostanziale inattuazione dell’art. 118 Cost.
Alcune componenti parteggiano per il mantenimento della disciplina
attuale178; altri avanzano invece l’idea dell’attribuzione allo Stato delle
funzioni amministrative nelle materie di sua competenza (salva la delega a
Regioni o Enti locali) e tutte le residue funzioni agli inferiori livelli
costitutivi della Repubblica secondo i consolidati principi di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza;179 il che rappresenterebbe un parziale
ritorno al parallelismo delle funzioni sancito dalla formulazione precedente
il 2001.
Relativamente all’autonomia finanziaria, la Commissione per le riforme
costituzionali ha riconosciuto la validità dello strumento dei costi e
fabbisogni standard, di cui alla l. 42/2009, per Regioni ed Enti locali -salvo i
correttivi- per finanziare integralmente le funzioni loro attribuite.180 Se ne
consiglia –senza ulteriori argomenti - la costituzionalizzazione.
Si consiglia, oltre a ciò, l’introduzione con la nuova figura della legge
bicamerale181 del principio secondo cui ‹‹eventuali ripiani di enti territoriali
in situazione di dissesto finanziario siano automaticamente accompagnati da
misure di effettivo commissariamento statale».182
Non mancano riflessioni, anche in un’ottica di diritto comparato, sulle
“risorse aggiuntive” e gli “interventi speciali” di cui all’art. 119 quarto
comma. Mantenute identiche le condizioni (‹‹…sviluppo economico, la
coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali,
per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona…››), si ritiene
l’opportunità che tali trasferimenti vincolati possano essere disposti nei
confronti di generalità di enti -così come previsto in molti Stati federali- e
non solo ‹‹in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni››, secondo la disciplina attuale.183
La distinzione tra le Regioni ordinarie e a Statuto speciale non è rimasta del
tutto pacifica, non mancano infatti colo che chiedono la radicale
soppressione di tale distinzione.184 La maggioranza dei Saggi, però, è per il
loro mantenimento, sebbene in un processo di generale riforma teso alla
Così, ad es., Catelani.
Frattini.
178 Luciani, che: ‹‹non ritiene possibile il parallelismo, se si passa attraverso il sistema della
cedevolezza o della clausola di supremazia, perché in tal caso il rapporto diventa casuale e
di conseguenza accidentale il passaggio della competenza amministrativa.››
179 Caravita, Cerrina Feroni, Onida.
180 V. opinioni di Tucciarelli.
181 Ciò presuppone la distinzione, analizzata puntualmente dalla Commissione e qui
omessa, tra leggi bicamerali e non.
182 Relazione finale della Commissione, cit.
183 Contra Onida e Salazar, che sono per mantenere l’art. 119 secondo la disciplina vigente.
184 Ventila l’idea Vandelli.
176
177
99
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
riduzione di diversità che oggi appaiono ingiustificate.185 Una strada da
seguire sarebbe, in primis, quella di sottoporre anche le Regioni ad
autonomia differenziata alla disciplina del federalismo fiscale e alla
perequazione, con uno specifico intervento sull’art. 119 che chiarisca tale
estensione.
Venendo ora al complesso argomento delle Province, la Commissione ha
affrontato questo tema in concomitanza con la decisione della Corte
Costituzionale (sent. 220/2013) che ha stabilito l’illegittimità costituzionale
di un loro riordino mediante lo strumento del decreto legge.
Da molti186 si è sposata la proposta di un intervento con legge costituzionale
che elimini ogni sorta di richiamo alla “Provincia” dal dettato costituzionale,
inserendosi così in un filone decisamente di “avversione” verso le Province
già accolto dagli ultimi governi. La gestione e la coordinazione delle
cosiddette funzioni di “area vasta” sarebbero quindi attribuite a nuovi
specifici enti per i quali sarebbe demandata allo Stato la configurazione dei
principi e alle Regioni la loro concreta attuazione.
Vale sicuramente la pena ricordare, a questo punto, una delle tante riserve
esposte:187 ad avviso degli oppositori della totale soppressione delle
Province dal nostro ordinamento, è necessario mantenere un livello di
governo intermedio tra Comuni (in alcuni casi molto piccoli) e le Regioni (in
alcuni casi molto grandi), poiché le funzioni di area vasta non possono
essere efficientemente allocate né agli uni né alle altre e la creazione di “enti
di area vasta”, diversi dalle province governate da organi eletti
direttamente, potrebbe provocare uno scoordinamento tra questi nuovi enti
funzionali. Molto meglio, sempre a parere dei dissenzienti, sarebbe una
razionalizzazione degli enti esistenti, finanche tramite una riduzione del
loro numero.
Sul tema delle Città metropolitane si sono contrapposte le tesi di chi ha
ritenuto confacente la via di una loro disciplina con legge bicamerale (circa
territorio, ordinamento, funzioni e autonomia finanziaria) e chi, al contrario,
ha obiettato la scelta di affidare allo Stato il potere esclusivo di disciplinarle:
ciò è dato dalle profonde differenze tra un’area e l’altra del Paese, differenze
che richiedono alle singole Regioni interessate una disciplina su di esse
modulata, sempre comunque all’interno dei principi dettati dalla legge dello
Stato. Su tutt’altro versante vi è chi sostiene la doverosità dell’espunzione
dal testo costituzionale, parimenti alle Province, anche delle Città
metropolitane.188
Passando ora all’analisi dei Comuni, la Commissione ha valutato buona e
conforme al principio di adeguatezza la recente riforma che ha imposto
l’esercizio associato di ogni funzione per i Comuni inferiori ai 1000 abitanti
e delle funzioni fondamentali per quegli Enti che non superino i 5000
Tra tutti, Onida, Pinelli, Nicotra.
Tra tutti, Lippolis, D’Onofrio, Violante, De Vergottini, Cheli, Carlassare,
187 Presentata da Valerio Onida. Aderiscono Chiti e Luciani.
188 Caravita, Cerrina Feroni, Moscarini.
185
186
100
abitanti. Si è ritenuto necessario compiere passi ulteriori in questa
direzione, secondo alcuni189 con la previsione direttamente in Costituzione
delle dimensioni minime per i Comuni, da individuarsi poi nel dettaglio ad
opera di una legge bicamerale. Per gli Enti che non avrebbero più i requisiti
di popolazione si offrirebbe la soluzione della trasformazione in Municipi,
come articolazione dei nuovi Comuni accorpati.190
In particolare, si è ragionato sul sistema di raccordi tra Stato, Regioni ed
Enti locali, prospettando anche una costituzionalizzazione delle Conferenze
oggi esistenti;191 struttura che alcuni ritengono superfluo qualora si
giungesse alla creazione di un Senato rappresentativo delle Autonomie (v.
infra). L’inserimento in Costituzione potrebbe infatti irrigidire il principio di
leale collaborazione, e generare nuovi conflitti costituzionali.192
Il tema del progetto di una Camera delle Autonomie ha occupato la
Commissione in momenti diversi delle giornate dedicate alla discussione sul
Titolo V e anche nella relazione finale gli è stato riservato il primo capitolo
intitolato “Superamento del bicameralismo paritario”.
A prescindere dalle contrapposizioni, tra i fautori del bicameralismo
differenziato e i sostenitori del monocameralismo (opinione unanime è
stata comunque il superamento del bicameralismo cosiddetto “perfetto”), vi
è stato consenso unanime per il superamento del bicameralismo c.d.
perfetto , o più correttamente, paritario.
Fra i Saggi l’ipotesi di un Senato di rappresentanza delle Autonomie
territoriali, con composizione e funzioni differenziati dalla Camera dei
Deputati, ha riscontrato maggiore adesione. La relazione finale espone
principalmente due motivazioni a sostegno: ‹‹a) la necessità di garantire al
governo nazionale una maggioranza politica, maggiore rapidità nelle
decisioni; e dunque stabilità; b) l’esigenza di portare a compimento il processo
di costruzione di un sistema autonomistico compiuto».193 La Commissione si è
soffermata sull’alternativa tra elezione diretta ed elezione indiretta194 dei
membri del Senato: in quest’ultimo caso si può ancora distinguere tra
senatori nominati oppure membri di diritto.
La nomina dovrebbe provenire da parte dei Consigli regionali così come dai
Consigli delle autonomie locali, giungendosi pertanto alla rappresentanza
non solo delle Regioni ma anche dei Comuni,195 visto che si tratterà di un
organo competente a regolarne le funzioni fondamentali e vista
l’importanza, anche storica, dei Comuni nell’ordinamento italiano.196
E’ prevalente l’opinione di chi sostiene che i senatori debbano essere scelti
al di fuori dei Consigli regionali, onde evitare la sovrapposizione di due
poteri legislativi. Ma tali soggetti dovrebbero essere estranei anche dai
Vandelli e altri.
Ministro Quagliariello.
191 V., inter alias, la tesi di Catelani.
192 Grisolia.
193 Relazione finale, cit.
194 Clementi, ad esempio, esalta il suffragio indiretto del Senato francese.
195 Vandelli. Dissente Mirabelli, fautore di un “Senato delle Regioni”, ma non dei Comuni.
196 Brunelli.
189
190
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Consigli comunali, qui non per motivi di contrasti tra potestà, quanto per il
fatto che, dato l’impegno in Senato, risulterebbe impraticabile l’attività
presso l’Ente locale di appartenenza. La nomina indiretta eviterebbe, poi, il
controllo dei partiti sugli interessi locali.197
Vi sono anche, però, gli avvisi esattamente contrari, a favore di una nomina
interna fra certi consiglieri che verrebbero per così dire “promossi” a
senatori;198 i quali potrebbero essere sostituiti dai primi non eletti, meglio
rispettando la volontà popolare di scelta dei propri rappresentanti.
Sono le stesse voci che intendono “spoliticizzare” il nuovo Senato, sia
tramite l’organizzazione dei senatori non per gruppi di appartenenza
politica ma per Regioni di provenienza, sia con l’obbligo per costoro di
votare in blocco (del tipo Bundesrat tedesco) all’interno del gruppo in
rappresentanza della Regione.
Resta ancora la via dell’elezione popolare dei senatori, non in concomitanza
con le “politiche” che resterebbero solo per la Camera, bensì
contestualmente alle votazioni per i singoli Consigli regionali. In questa
maniera, dicono i sostenitori, si avrebbero dei rappresentanti più legati al
territorio e responsabilizzati direttamente davanti all’elettorato. In più si
avrebbe il vantaggio di evitare complessi meccanismi di bilanciamento fra
senatori nominati dai Comuni e senatori nominati dalle Regioni.
Costoro resterebbero in carica per tutta la durata del Consiglio regionale
(comprensiva di termine naturale e scioglimento), configurandosi così un
nuovo Senato “federale” di durata permanente ma con un continuo
rinnovamento interno dei propri componenti.
Taluni avanzano l’ipotesi di cariche di diritto, che potrebbero spettare a
tutti i Presidenti di Regione199 o anche ai Presidenti dei Consigli regionali200.
Resta fermo il principio che il numero dei senatori debba dipendere dagli
abitanti di ciascuna Regione e la Commissione consiglia che nel complesso
sia compreso tra le 150 e le 200 unità, quindi con una decisa riduzione dal
numero attuale. È prescritto che ai membri di diritto non spetterà alcun
compenso a titolo retributivo, a parte il rimborso delle spese.
In conclusione, qualsiasi sarà la strada che prenderà il legislatore
costituzionale, è importante che le riforme non si traducano in modifiche di
stile o di facciata, magari per la compiacenza dell’opinione pubblica in un
periodo di “sospetto” verso i pubblici poteri; ma al contrario che le riforme
possano davvero potenziare la partecipazione delle autonomie territoriali ai
processi decisionali del Paese e che l’attuale eccessiva conflittualità sia
superata da solide logiche cooperative fra tutti i livelli costitutivi della
Repubblica.
De Vergottini.
Così Onida.
199 Ainis.
200 Onida.
197
198
102
Scheda riassunitva dei progetti di legge di revisione costituzionale.
a cura di Andrea Patanè
Camera dei Deputati
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CIVATI ed altri: "Modifiche alla
parte seconda della Costituzione in materia di semplificazione
dell'organizzazione e del funzionamento delle Camere, elezione e funzioni
del Senato, soppressione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro,
delle province e delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia
delle regioni, nonché rideterminazione delle competenze legislative statali e
regionali" (2227)201
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE VALIANTE: "Modifiche agli articoli
55, 57, 58 e 69 della Costituzione, concernenti le funzioni della Camera dei
deputati e l'istituzione del Senato delle autonomie" (2051)202
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE PIERDOMENICO MARTINO:
"Modifica dell'articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato attivo e
passivo per l'elezione del Senato della Repubblica" (1706)203
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CIRIELLI e GIORGIA MELONI:
"Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di
soppressione delle regioni e delle province e di costituzione di trentasei
nuove regioni" (1953)204
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE GIORGETTI ed altri: "Modifiche alla
parte seconda della Costituzione in materia di forma di governo, di
composizione e funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e di
razionalizzazione del procedimento legislativo" (1925)205
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE LA RUSSA ed altri: "Modifiche alla
parte seconda della Costituzione concernenti la composizione delle Camere
del Parlamento e la forma di governo" (839)206
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CAPARINI ed altri: "Modifiche agli
articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di composizione della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica" (399)207
http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=2227&sede=&tipo=
http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=2051&sede=&tipo=
203 http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=1706&sede=&tipo=
204 http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=1953&sede=&tipo=
205 http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=1925&sede=&tipo=
206http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=839&sede=&tipo=
207 http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=399&sede=&tipo=
201
202
103
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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE PISICCHIO: "Modifica dell'articolo
58 della Costituzione in materia di elezione dei senatori della Repubblica"
(177)208
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CAUSI: "Modifiche alla parte
seconda della Costituzione in materia di forma di governo, composizione e
funzioni del Parlamento e potestà legislativa dello Stato e delle regioni"
(148)209
Senato della Repubblica
I progetti di riforma della Costituzione presnenti al Senato sono all’esame
della prima commissione. Il testo base da cui si svolge l’esame è l’atto
Senato 1429 “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario,
la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di
funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del
titolo V della parte seconda della Costituzione”. All’esame dell’atto Senato
1429 sono stati collegati i seguenti ddl: 7, 12, 35, 67, 68, 125, 127, 143, 196,
238, 253, 261, 279, 305, 332, 339, 414, 436, 543, 574, , 732702, 736, 737,
877, 878, 879, 907, 1038, 1057, 1193, 1195, 1264, 1265, 1273, 1274, 1280,
1281, 1355, 1368, 1392, 1395, 1397, 1406, 1408, 1414, 1415, 1416, 1420,
1426, 1427, 1454.
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE210
CAPO I
MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 1. (Funzioni delle Camere) 1. L’articolo 55 della Costituzione e sostituito
dal seguente: «Art. 55. – Il Parlamento si compone della Camera dei
deputati e del Senato delle Autonomie. Ciascun membro della Camera dei
deputati rappresenta la Nazione. La Camera dei deputati e titolare del
rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo
politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del
208
209
http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=1925&sede=&tipo=
http://www.camera.it/leg17/126?tab=&leg=17&idDocumento=148&sede=&tipo=
Disegno di legge costituzionale presentato dal Presidente del Consiglio
dei Ministri (RENZI) e dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti
con il Parlamento (BOSCHI)
210
104
Governo. Il Senato delle Autonomie rappresenta le istituzioni territoriali.
Concorre, secondo modalita stabilite dalla Costituzione, alla funzione
legislativa ed esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le
Citta metropolitane e i Comuni. Partecipa alle decisioni dirette alla
formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione euro- pea e,
secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolge attivita di verifica
del- l’attuazione delle leggi dello Stato e di valu- tazione dell’impatto delle
politiche pubbliche sul territorio. Il Parlamento si riunisce in seduta comune
dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione». Art. 2.
(Composizione ed elezione del Senato delle Autonomie) 1. L’articolo 57 della
Costituzione e sostituito dal seguente: «Art. 57. – Il Senato delle Autonomie
e composto dai Presidenti delle Giunte regio- nali, dai Presidenti delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Co- muni
capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonche, per ciascuna
Regione, da due membri eletti, con voto limitato, dal Consiglio regionale tra
i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio
elettorale costituito dai sindaci della Regione. La durata del mandato dei
senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle
quali sono stati eletti. La legge disciplina il sistema di elezione dei senatori e
la loro sostituzione, entro sessanta giorni, in caso di cessazione dalla carica
elettiva regionale o locale. Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria
per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario
possono essere nominati senatori dal Presidente della Repubblica. Tali
membri durano in carica sette anni». Art. 3. (Durata della Camera dei
deputati) 1. L’articolo 60 della Costituzione e sostituito dal seguente: «Art.
60. – La Camera dei deputati e eletta per cinque anni. La durata della
Camera dei deputati non puo essere prorogata se non per legge e sol- tanto
in caso di guerra». Art. 4. (Titoli di ammissione dei componenti del Senato
delle Autonomie) 1. All’articolo 66 della Costituzione sono apportate le
seguenti modificazioni: a) le parole «Ciascuna Camera» sono sostituite dalle
seguenti: «La Camera dei deputati»; b) e aggiunto, in fine, il seguente
comma: «Il Senato delle Autonomie verifica i titoli di ammissione dei suoi
componenti. Delle cause ostative alla prosecuzione del mandato dei senatori
e data comunicazione al Senato delle Autonomie da parte del suo
Presidente». Art. 5. (Vincolo di mandato) 1. L’articolo 67 della Costituzione
e sostituito dal seguente: «Art. 67. – I membri del Parlamento esercitano le
loro funzioni senza vincolo di mandato». Art. 6. (Prerogative dei
parlamentari) 1. All’articolo 68 della Costituzione sono apportate le
seguenti modificazioni: a) al secondo comma, le parole: «Senza
autorizzazione della Camera alla quale ap- partiene, nessun membro del
Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «Senza auto- rizzazione della
Camera dei deputati, nessun deputato»; b) al terzo comma, le parole:
«membri del Parlamento» sono sostituite dalla se- guente: «deputati». Art.
7. (Indennità parlamentare) 1. All’articolo 69 della Costituzione, le parole:
«del Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei
deputati».
Art. 8 (Procedimento legislativo) 1. L’articolo 70 della
Costituzione e sostituito dal seguente: «Art. 70. – La funzione legislativa e
esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della
Costituzione e le altre leggi costituzionali. Le altre leggi sono approvate
dalla Ca- mera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera
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dei deputati e immediatamente tra- smesso al Senato delle Autonomie che,
entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, puo disporre
di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato delle Auto- nomie puo
deliberare proposte di modifica- zione del testo, sulle quali la Camera dei
deputati, entro i successivi venti giorni, si pro- nuncia in via definitiva.
Qualora il Senato delle Autonomie non disponga di procedere all’esame o
sia inutilmente decorso il ter- mine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge puo essere
promulgata. Per i disegni di legge che dispongono nelle materie di cui agli
articoli 57, terzo comma, 114, terzo comma, 117, commi secondo, lettere p)
e u), quarto, sesto e de- cimo, 118, quarto comma, 119, 120, secondo
comma, e 122, primo comma, nonche per quelli che autorizzano la ratifica
dei trat- tati relativi all’appartenenza dell’Italia all’U- nione europea, la
Camera dei deputati puo non conformarsi alle modificazioni proposte dal
Senato delle Autonomie solo pronunciandosi nella votazione finale a
maggio- ranza assoluta dei suoi componenti. I disegni di legge di cui
all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono
esaminati dal Senato delle Autonomie che puo deliberare proposte di
modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. Per tali
disegni di legge le disposizioni di cui al comma prece- dente si applicano
solo qualora il Senato delle Autonomie abbia deliberato a maggio- ranza
assoluta dei suoi componenti. Il Senato delle Autonomie puo, secondo
quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attivita conoscitive,
nonche formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera
dei deputati». Art. 9. (Iniziativa legislativa) 1. All’articolo 71 della
Costituzione, dopo il primo comma e inserito il seguente: «Il Senato delle
Autonomie puo, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi
componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di
un di- segno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all’esame e
si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del
Senato delle Autonomie.». Art. 10. (Modificazioni all’articolo 72 della
Costituzione) 1. All’articolo 72 della Costituzione sono apportate le seguenti
modificazioni: a) al primo comma, le parole: «Ogni disegno di legge,
presentato ad una Camera e,» sono sostituite dalle seguenti: «Ogni disegno
di legge e presentato alla Camera dei deputati e»; b) sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi: «Il regolamento del Senato delle Autono- mie disciplina le
modalita di esame dei dise- gni di legge trasmessi dalla Camera dei deputati.
I disegni di legge costituzionali e di revisione costituzionale sono esaminati
dal Senato delle Autonomie articolo per articolo e approvati a norma
dell’articolo 138. Il Governo puo chiedere alla Camera dei deputati di
deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorita all’ordine del
giorno e sottoposto alla votazione finale en- tro sessanta giorni dalla
richiesta ovvero entro un termine inferiore determinato in base al
regolamento tenuto conto della complessita della materia. Decorso il
termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, e posto in
votazione, senza modifi- che, articolo per articolo e con votazione fi- nale. In
tali casi, i termini di cui all’articolo 70, terzo comma, sono ridotti della
meta». Art. 11. (Rinvio delle leggi di conversione) 1. All’articolo 74 della
Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il primo
106
comma e inserito il seguente: «Qualora la richiesta riguardi la legge di
conversione di un decreto adottato a norma dell’articolo 77, il termine per
la conversione in legge e differito di trenta giorni.»; b) al secondo comma, le
parole: «Se le Camere approvano nuovamente la legge,» sono sostituite
dalle seguenti: «Se la legge e nuovamente approvata,». Art. 12. (Disposizioni
in materia di decretazione d’urgenza) 1. All’articolo 77 della Costituzione
sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole:
«delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati»;
b) al secondo comma, le parole: «alle Camere che, anche se sciolte, sono
apposita- mente convocate e si riuniscono» sono sosti- tuite dalle seguenti:
«alla Camera dei depu- tati che, anche se sciolta, e appositamente convocata
e si riunisce»; c) al terzo comma, secondo periodo, le parole: «Le Camere
possono» sono sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati puo»; d)
sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: «Il Governo non puo, mediante
provvedi- menti provvisori con forza di legge: discipli- nare le materie
indicate nell’articolo 72, quarto comma; reiterare disposizioni adottate con
decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base
dei mede- simi; ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza
di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per vizi non
attinenti al procedimento. I decreti recano misure di immediata
applicazione e di contenuto specifico, omoge- neo e corrispondente al titolo.
L’esame, a norma dell’articolo 70, dei disegni di legge di conversione dei
decreti, e disposto dal Senato delle Autonomie entro trenta giorni dalla loro
presentazione alla Camera dei deputati e le proposte di modificazione
possono essere deliberate entro dieci giorni dalla data di trasmissione del
testo». Art. 13. (Deliberazione dello stato di guerra) 1. L’articolo 78 della
Costituzione e sosti- tuito dal seguente: «Art. 78. – La Camera dei deputati
delibera lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Art.
14. (Leggi di amnistia e indulto) 1. All’articolo 79, primo comma, della
Costituzione, le parole: «di ciascuna Ca- mera,» sono sostituite dalle
seguenti: «della Camera dei deputati,». Art. 15. (Autorizzazione alla ratifica
di trattati internazionali) 1. All’articolo 80 della Costituzione, le parole: «Le
Camere autorizzano» sono sosti- tuite dalle seguenti: «La Camera dei
deputati autorizza». Art. 16. (Inchieste parlamentari) 1. All’articolo 82,
primo comma, della Costituzione, le parole: «Ciascuna Camera» sono
sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati».
CAPO II
MODIFICHE AL TITOLO II DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 17. (Modificazioni all’articolo 83 della Costituzione in tema di delegati
regionali) 1. All’articolo 83 della Costituzione, il secondo comma e abrogato.
Art. 18. (Disposizioni in tema di elezione del Presidente della Repubblica) 1.
All’articolo 85 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, le parole: «e i delegati regionali,» sono soppresse; b)
al terzo comma, il primo periodo, e sostituito dal seguente: «Se la Camera
dei deputati e sciolta, o manca meno di tre mesi alla sua cessazione,
l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della Camera nuova».
Art. 19. (Esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica) 1.
107
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All’articolo 86 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «del Senato» sono sostituite dalle seguenti:
«della Camera dei deputati»; b) al secondo comma, le parole: «le Camere
sono sciolte» sono sostituite dalle seguenti: «la Camera dei deputati e
sciolta» e la parola: «loro» e sostituita dalla se- guente: «sua». Art. 20.
(Scioglimento della Camera dei deputati) 1. All’articolo 88 della Costituzione,
il primo comma e sostituito dal seguente: «Il Presidente della Repubblica
puo, sentito il suo Presidente, sciogliere la Camera dei deputati».
CAPO III
MODIFICHE AL TITOLO III DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 21. (Fiducia al Governo) 1. All’articolo 94 della Costituzione sono
apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «delle
due Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati»; b)
al secondo comma, le parole: «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia»
sono sostituite dalle seguenti: «La fiducia e accordata o revocata»; c) al
terzo comma, le parole: «alle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «innanzi alla Camera dei deputati»; d) al quarto comma, le parole: «di una o
d’entrambe le Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei
deputati»; e) al quinto comma, dopo la parola: «Camera» sono inserite le
seguenti: «dei de- putati». Art. 22. (Modificazioni all’articolo 96 della
Costituzione) 1. All’articolo 96 della Costituzione, le parole: «del Senato
della Repubblica o» sono soppresse. Art. 23. (Soppressione del CNEL) 1.
L’articolo 99 della Costituzione e abrogato.
CAPO IV
MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 24. (Abolizione delle Province) 1. All’articolo 114 della Costituzione
sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole:
«dalle Province,» sono soppresse; b) al secondo comma, le parole: «le
Province,» sono soppresse. Art. 25. (Modificazioni all’articolo 116 della
Costituzione) 1. All’articolo 116 della Costituzione, il terzo comma e
abrogato. Art. 26. (Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione) 1.
All’articolo 117, primo comma, della Costituzione, la parola: «comunitario»
e so- stituita dalle seguenti: «dell’Unione euro- pea». 2. All’articolo 117,
secondo comma, della Costituzione, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’alinea e sostituito dal seguente: «Lo Stato ha legislazione
esclusiva nelle se- guenti materie e funzioni:»; b) alla lettera e), dopo le
parole: «bilanci pubblici;» sono inserite le seguenti: «coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario;»; c) alla lettera g) sono aggiunte,
in fine, le seguenti parole: «; norme generali sul procedimento
amministrativo e sulla disci- plina giuridica del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche»; d) alla lettera m) sono aggiunte, in fine, le
seguenti parole: «; norme generali per la tutela della salute, la sicurezza
alimentare e la tutela e sicurezza del lavoro»; e) alla lettera n) sono
108
aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; ordinamento scola- stico; istruzione
universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e
tecnologica»; f) alla lettera o) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ivi
compresa la previ- denza complementare e integrativa»; g) la lettera p) e
sostituita dalla seguente: «p) ordinamento, organi di governo, legislazione
elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comprese le loro forme
associative, e delle Citta metropolitane; ordina- mento degli enti di area
vasta»; h) alla lettera q) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «;
commercio con l’estero»; i) la lettera s) e sostituita dalla seguente: «s)
ambiente, ecosistema, beni culturali e paesaggistici; norme generali sulle
attivita culturali, sul turismo e sull’ordinamento sportivo»; l) dopo la lettera
s) sono aggiunte le seguenti: «t) ordinamento delle professioni intellettuali e
della comunicazione; u) norme generali sul governo del territorio; sistema
nazionale e coordinamento della protezione civile; v) produzione, trasporto
e distribuzione nazionali dell’energia; z) infrastrutture strategiche e grandi
reti di trasporto e di navigazione di interesse na- zionale e relative norme di
sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale». 3.
All’articolo 117 della Costituzione, i commi terzo e quarto sono sostituiti dai
seguenti: «Spetta alle Regioni la potesta legislativa in riferimento ad ogni
materia e funzione non espressamente riservata alla legislazione esclusiva
dello Stato, con particolare riferi- mento alla pianificazione e alla dotazione
infrastrutturale del territorio regionale e alla mobilita al suo interno
all’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, dei servizi
sociali e sanitari e, salva l’auto- nomia delle istituzioni scolastiche, dei
servizi scolastici, nonche all’istruzione e forma- zione professionale. Su
proposta del Governo, la legge dello Stato puo intervenire in materie o
funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela
dell’unita giuridica o dell’unita economica della Repubblica o lo renda
necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico sociali di
interesse nazionale. Con legge dello Stato, approvata a maggioranza
assoluta dei componenti della Camera dei deputati, l’esercizio della
funzione legislativa, in materie o funzioni di compe- tenza esclusiva statale,
ad esclusione di quelle previste dal secondo comma, lettere h), salva la
polizia amministrativa locale, i) e l), salva l’organizzazione della giustizia di
pace, puo essere delegato ad una o piu Regioni, anche su richiesta delle
stesse e per un tempo limitato, previa intesa con le Regioni interessate. In
tali casi la legge di- sciplina l’esercizio delle funzioni ammini- strative nel
rispetto dei principi di cui agli articoli 118 e 119». 4. All’articolo 117 della
Costituzione, il sesto comma e sostituito dal seguente: «La potesta
regolamentare spetta allo Stato e alle Regioni secondo le rispettive
competenze legislative. E fatta salva la facolta dello Stato di delegare alle
Regioni l’esercizio di tale potesta nelle materie e fun- zioni di competenza
legislativa esclusiva. I Comuni e le Citta metropolitane hanno potesta
regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto della legge statale o
regionale». Art. 27. (Modificazioni all’articolo 118 della Costituzione) 1.
All’articolo 118 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, la parola: «Province,» e soppressa; b) dopo il primo
comma e inserito il seguente: «Le funzioni amministrative sono esercitate
in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione
109
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amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabi- lita degli
amministratori.»; c) al secondo comma, le parole: «, le Province» sono
soppresse; d) al terzo comma, le parole: «nella materia della tutela dei beni
culturali» sono sostituite dalle seguenti: «in materia di tutela dei beni
culturali e paesaggistici»; e) al quarto comma, la parola: «, Province» e
soppressa. Art. 28. (Modificazioni all’articolo 119 della Costituzione) 1.
All’articolo 119 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse; b) il secondo
comma e sostituto dal seguente: «I Comuni, le Citta metropolitane e le
Regioni hanno risorse autonome. Stabili- scono e applicano tributi ed
entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo
quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario.»; c) il quarto comma e sostituito
dal seguente: «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti
assicurano il finanzia- mento integrale delle funzioni pubbliche attribuite ai
Comuni, alle Citta metropolitane e alle Regioni.»; d) al quinto comma, la
parola: «Province,» e soppressa; e) al sesto comma, le parole: «le Province,»
sono soppresse. Art. 29. (Limiti agli emolumenti dei componenti degli organi
regionali) 1. All’articolo 122, primo comma, della Costituzione, sono
aggiunte, in fine, le se- guenti parole: «e i relativi emolumenti nel limite
dell’importo di quelli attribuiti ai sin- daci dei Comuni capoluogo di
Regione». Art. 30. (Soppressione della Commissione parlamentare per le
questioni regionali) 1. All’articolo 126, primo comma, della Costituzione,
l’ultimo periodo e sostituito dal seguente: «Il decreto e adottato acquisito il
parere del Senato delle Autonomie».
CAPO V
MODIFICHE AL TITOLO VI DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 31. (Elezione dei giudici della Corte costituzionale) All’articolo 135 della
Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma e
sostituito dal seguente: «La Corte costituzionale e composta di quindici
giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo
dalle supreme magistrature ordinaria ed am- ministrative, tre dalla Camera
dei deputati e due dal Senato delle Autonomie.»; b) al settimo comma, la
parola: «senatore» e sostituita dalla seguente: «deputato».
CAPO VI
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 32. (Disposizioni consequenziali e di coordinamento) All’articolo 48,
terzo comma, della Costituzione, le parole: «delle Camere» sono sostituite
dalle seguenti: «della Camera dei deputati». 2. L’articolo 58 della
Costituzione e abrogato. 3. All’articolo 59 della Costituzione, il secondo
comma e abrogato. 4. L’articolo 61 della Costituzione e sostituito dal
seguente: «Art. 61. – L’elezione della nuova Camera dei deputati ha luogo
110
entro settanta giorni dalla fine della precedente. La prima riunione ha luogo
non oltre il ventesimo giorno dall’elezione. Finche non sia riunita la nuova
Camera dei deputati sono prorogati i poteri della pre- cedente». 5.
All’articolo 62 della Costituzione, il terzo comma e abrogato. 6. All’articolo
64 della Costituzione, il quarto comma e sostituito dal seguente: «I membri
del Governo hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute
delle Camere. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono». 7.
All’articolo 73, secondo comma, della Costituzione, le parole: «Se le Camere,
cia- scuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano»
sono sostituite dalle seguenti: «Se la Camera dei deputati, a maggioranza
assoluta dei suoi componenti, ne dichiara». 8. All’articolo 81 della
Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) al secondo
comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della
Camera dei deputati» e la parola: «rispettivi» e sostituita dalla seguente:
«suoi»; b) al quarto comma, le parole: «Le Camere ogni anno approvano»
sono sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati ogni anno approva»;
c) al sesto comma, le parole: «di ciascuna Camera,» sono sostituite dalle
seguenti: «della Camera dei deputati,». 9. All’articolo 87 della Costituzione
sono apportate le seguenti modificazioni: a) al terzo comma, le parole:
«delle nuove Camere» sono sostituite dalle se- guenti: «della nuova Camera
dei deputati»; b) al quarto comma, le parole: «alle Camere» sono sostituite
dalle seguenti: «alla Camera dei deputati»; c) all’ottavo comma, le parole:
«delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati»;
d) al nono comma, le parole: «dalle Camere» sono sostituite dalle seguenti:
«dalla Camera dei deputati». 10. La rubrica del titolo V della parte seconda
della Costituzione, e sostituita dalla seguente: «Le Regioni, le Citta
metropolitane e i Comuni». 11. All’articolo 120, secondo comma, della
Costituzione, le parole: «, delle Province» sono soppresse. 12. All’articolo
121, secondo comma, della Costituzione, le parole: «alle Camere» sono
sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati». 13. All’articolo 122,
secondo comma, della Costituzione, le parole: «ad una delle Camere del
Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «alla Camera dei deputati». 14.
All’articolo 132, secondo comma, della Costituzione, le parole: «della
Provincia o delle Province interessate e» sono soppresse e le parole:
«Province e Comuni,» sono sostituite dalle seguenti: «i Comuni,». 15.
All’articolo 133 della Costituzione, il primo comma e abrogato. Art. 33.
(Disposizioni transitorie) Fino alla data di entrata in vigore della legge di cui
all’articolo 57, terzo comma, della Costituzione, come modificato
dall’articolo 2 della presente legge costituzionale, la prima costituzione del
Senato delle Autonomie ha luogo, in base alle disposizioni del presente
articolo, entro dieci giorni dalla data delle elezioni della Camera dei deputati
successiva alla data di entrata in vigore della presente legge. 2. Con decreto
del Presidente della Repubblica, da adottare entro i cinque giorni successivi
allo svolgimento delle predette elezioni della Camera dei deputati, sono nominati senatori i Presidenti delle giunte regionali, i Presidenti delle province
autonome di Trento e di Bolzano e i sindaci dei comuni capoluogo di regione
e di provincia autonoma. Il medesimo decreto stabilisce la data della prima
riunione del Senato delle Autonomie, non oltre il ventesimo giorno dal
rinnovo della Camera dei deputati. 3. Entro tre giorni dallo svolgimento
delle elezioni della Camera dei deputati di cui al comma 1, ciascun consiglio
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
regionale e convocato in collegio elettorale dal proprio Presidente ai fini
della prima elezione, da tenersi entro cinque giorni dalla convocazione, tra i
propri componenti, di due senatori ai sensi dell’articolo 57, primo comma,
della Costituzione, come modificato dall’articolo 2 della presente legge
costituzionale. Le candidature sono individuali e ciascun elet- tore puo
votare per un unico candidato. Il voto e personale, libero e segreto. 4. Entro
tre giorni dallo svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati di cui al
comma 1, i sindaci di ciascuna regione sono convocati in collegio elettorale
dal Presidente della giunta regionale, ai fini della prima elezione, da tenersi
entro cinque giorni dalla convocazione, tra i componenti del collegio
medesimo, di due senatori ai sensi dell’articolo 57, primo comma, della
Costituzione, come modificato dall’articolo 2 della presente legge
costituzionale. Le candidature sono individuali e ciascun elettore puo votare
per un unico candidato. Il voto e personale, libero e segreto. 5. I senatori
eletti sono proclamati dal Presidente della giunta regionale. 6. La legge di
cui all’articolo 57, terzo comma, della Costituzione, come modificato
dall’articolo 2 della presente legge costituzionale, e approvata entro sei
mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati di cui
al comma 1 e le elezioni dei senatori, ai sensi della medesima legge, hanno
luogo entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore. 7. I senatori eletti
in ciascuna regione, ai sensi dei commi 3 e 4, restano in carica sino alla
proclamazione dei senatori eletti ai sensi del comma 6. 8. Sino alla data
della prima elezione del Senato delle Autonomie ai sensi del comma 6, le
disposizioni di cui commi 3 e 4 si applicano anche per il caso di sostituzione
dei senatori conseguente alla cessazione dalla carica elettiva regionale o
locale. 9. I senatori a vita in carica alla data di entrata in vigore della
presente legge costitu- zionale permangono nella stessa carica quali
membri del Senato delle Autonomie. 10. Le disposizioni dei regolamenti
parlamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge
costituzionale continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, fino alla data
di entrata in vigore delle loro modificazioni, adottate secondo i rispet- tivi
ordinamenti dalla Camera dei deputati e dal Senato delle Autonomie,
conseguenti alla medesima legge. 11. In sede di prima applicazione dell’articolo 135 della Costituzione, come modifi- cato dall’articolo 31 della
presente legge costituzionale, alla cessazione dalla carica dei giudici della
Corte costituzionale nominati dal Parlamento in seduta comune, le nuove
nomine sono attribuite alternativamente, nell’ordine, alla Camera dei
deputati e al Senato delle Autonomie. 12. Le leggi delle regioni adottate ai
sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nel testo
vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale,
continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi
adottate ai sensi dell’articolo 117, se- condo e terzo comma, della
Costituzione, come modificati dall’articolo 26 della pre- sente legge
costituzionale. 13. Le disposizioni di cui al Capo IV della presente legge
costituzionale non si ap- plicano alle regioni a statuto speciale e alle
province autonome di Trento e di Bolzano sino all’adeguamento dei
rispettivi statuti. Art. 34. (Disposizioni finali) Entro trenta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, il Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e
112
la pubblica amministrazione, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle
finanze, nomina, con proprio decreto, un commissario straordinario cui e
affidata la gestione provvisoria del Consiglio nazionale dell’eco- nomia e del
lavoro (CNEL), per la liquida- zione del suo patrimonio e per la riallocazione delle risorse umane e strumentali, non- che per gli altri adempimenti
conseguenti alla soppressione. All’atto dell’insediamento del commissario
straordinario decadono dall’incarico gli organi del CNEL e i suoi componenti per ogni funzione di istituto, com- presa quella di rappresentanza.
2. Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti
monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in fa- vore dei gruppi
politici presenti nei consigli regionali. Art. 35. (Entrata in vigore) 1. La
presente legge costituzionale entra in vigore il giorno seguente a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale successiva alla
promulgazione. Le disposi- zioni della presente legge si applicano a
decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso alla data della sua
entrata in vigore, salvo quelle previste dagli articoli 23, 29 e 34, che sono di
immediata applicazione.
Nel corso dell’esame alla prima Commissione è stato approvato il 6 maggio
2014 l’odg Calderoli, di cui si riporta di seguito il testo.
La Commissione permanente, in sede di esame dei disegni di legge di
revisione costituzionale del Titolo I e del Titolo V della Parte II della
Costituzione, nonché della disposizione riguardante il CNEL, in vista
dell'adozione del testo base per il seguito dell'esame, considerate le
previsioni contenute nei disegni di legge costituzionale d'iniziativa
parlamentare e nel disegno di legge costituzionale d'iniziativa del Governo,
tenuto conto dei rilievi e delle proposte emerse nel corso della discussione
generale, assume, in proposito, le seguenti linee di indirizzo: il Senato è la
camera che rappresenta le Regioni e le Autonomie; inserire, tra le funzioni
del Senato delle Autonomie, quelle di controllo dell'attività delle pubbliche
amministrazioni, di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato, nonché di
controllo e di valutazione delle politiche pubbliche, nonché l'espressione di
pareri, eventualmente vincolanti, sulle nomine di competenza del Governo;
prevedere che il Senato delle Autonomie sia composto da senatori regionali
eletti in ciascuna Regione in proporzione alla popolazione, contestualmente
all'elezione del rispettivo Consiglio regionale o di Provincia autonoma. La
legge regionale, sulla base della legge dello Stato, disciplina il sistema di
elezione dei senatori e la loro sostituzione, prevedendo altresì la
corrispondente riduzione del numero dei consiglieri regionali; prevedere la
soppressione dei senatori a vita di nomina presidenziale; stabilire che
anche il Senato delle Autonomie giudichi dei titoli di ammissione dei loro
componenti e che siano previste, anche per i suoi membri, le garanzie
dell'articolo 68 della Costituzione; prevedere che la funzione legislativa sia
esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della
Costituzione e le altre leggi costituzionali; per le leggi che disciplinano il
referendum popolare; per le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati
relativi all'appartenenza dell'Italia all'Unione europea; per le leggi di cui
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OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
all'articolo 117, secondo comma, lettera p); per tutti i casi in cui la
Costituzione prevede espressamente il concorso paritario dei due rami del
Parlamento; prevedere che, in tutti gli altri casi, le determinazioni del
Senato delle Autonomie, quando esercita il potere di richiamo, se adottate a
maggioranza non inferiore a quella assoluta, possano essere disattese dalla
Camera dei deputati solo con maggioranza equivalente; disporre che i
regolamenti parlamentari prevedano le modalità per la discussione e la
votazione finale in tempi certi delle proposte di legge d'iniziativa popolare;
prevedere che il regolamento del Senato disciplini il procedimento
legislativo bicamerale; inserire una disposizione in base alla quale il Senato
delle Autonomie possa, prima della sua promulgazione, deferire alla Corte
costituzionale, con mozione motivata approvata a maggioranza assoluta dei
suoi componenti, una legge che, approvata dalla Camera dei deputati in
contrasto con una propria deliberazione espressa con una maggioranza non
inferiore a quella assoluta dei suoi componenti, sia ritenuta lesiva delle
competenze legislative delle Regioni o del principio di sussidiarietà (si
tratta dunque di un ricorso preventivo su una legge non ancora promulgata,
su cui la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi in tempi rapidi). La stessa
tipologia di ricorso potrà riguardare una legge approvata dalla Camera dei
deputati, in assenza dei presupposti che giustificano il ricorso alla
cosiddetta "clausola di supremazia"; in materia di decretazione d'urgenza,
stabilire che, in sede di conversione in legge dei decreti-legge, non possano
essere approvate disposizioni afferenti a materie estranee al contenuto del
decreto; per l'elezione del Capo dello Stato, prevedere meccanismi che
garantiscano il ruolo del Senato delle Autonomie; disporre la soppressione
del CNEL; ridefinire il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le
Regioni; prevedere, altresì, corrispondentemente all'elenco delle materie di
competenza esclusiva statale, un elenco di materie di competenza esclusiva
regionale, con particolare riferimento alle seguenti: ordinamento della
Regione; governo del territorio e urbanistica; pianificazione e dotazione
infrastrutturale del territorio regionale e mobilità al suo interno;
promozione dello sviluppo economico locale, scientifico e tecnologico nei
diversi settori; mercato e politiche del lavoro; turismo di ambito regionale;
valorizzazione dei beni culturali e ambientali; attività culturali;
organizzazione dei servizi alle imprese; tutela della salute e organizzazione
dei servizi sanitari; protezione civile; servizi sociali; organizzazione dei
servizi scolastici, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; diritto allo
studio anche universitario; istruzione e formazione professionale;
coordinamento della finanza locale e forme associative degli enti locali;
ordinamento degli enti di area vasta; prevedere, all'articolo 116 della
Costituzione, che l'esercizio della funzione legislativa in materie di
competenza esclusiva statale possa essere conferito ad una o più Regioni,
anche su richiesta delle stesse, previa intesa con le Regioni interessate, in
presenza di una dimensione territoriale ottimale, definita anche da intese
fra le Regioni, e purché la Regione assicuri equilibrio tra le entrate e le spese
del proprio bilancio. In tali casi, la legge disciplina l'esercizio delle funzioni
amministrative; prevedere che, in nessun caso, il gettito dei tributi e delle
entrate propri di Comuni, Città metropolitane e Regioni sia assegnato allo
Stato; il fondo perequativo non deve alterare l'ordine delle capacità fiscali
114
per abitante tra i diversi territori e deve garantire il finanziamento dei costi
e dei fabbisogni standard; prevedere che lo Stato possa ricorrere alla
cosiddetta "clausola di supremazia" solo in presenza di eventi eccezionali,
per un periodo limitato nel tempo e in base ad una procedura puntualmente
definita, nella quale inserire, in ogni caso, il preventivo parere del Senato
delle Autonomie; stabilire che il decreto di scioglimento del consiglio e il
decreto di rimozione del Presidente della Giunta regionale siano adottati su
conforme parere del Senato delle Autonomie; disporre che le modificazioni
apportate alla disposizioni del Titolo V della Parte Seconda della
Costituzione non si applichino alle Regioni ad autonomia speciale e alle
Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento, previa
intesa, dei rispettivi Statuti, prevedendo altresì che l'esercizio della funzione
legislativa e della funzione amministrativa in materie di competenza
esclusiva statale, per le Regioni a Statuto speciale e per le Province
autonome di Trento e di Bolzano, possano essere delegate, anche su
richiesta delle stesse, previa intesa, con norme di attuazione, secondo le
previsioni dei rispettivi Statuti.
Allegato II all’editoriale di Jörg Luther, pag 7.
LEGGE 7 aprile 2014, n. 56
Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e
fusioni di comuni. (GU n.81 del 7-4-2014 )
Art. 1
1. La presente legge detta disposizioni in materia di citta' metropolitane,
province, unioni e fusioni di comuni al fine di adeguare il loro
ordinamento ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.
2. Le citta' metropolitane sono enti territoriali di area vasta con le funzioni
di cui ai commi da 44 a 46 e con le seguenti finalita' istituzionali generali:
cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e
gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di
comunicazione di interesse della citta' metropolitana; cura delle relazioni
istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le citta' e
le aree metropolitane europee. 3. Le province sono enti territoriali di area
vasta disciplinati ai sensi dei commi da 51 a 100. Alle province con
territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri sono
riconosciute le specificita' di cui ai commi da 51 a 57 e da 85 a 97. 4. Le
unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o piu' comuni per
l'esercizio associato di funzioni o servizi di loro competenza; le unioni e
le fusioni di comuni sono disciplinate dai commi da 104 a 141. 5. In attesa
della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle
relative norme di attuazione, le citta' metropolitane di Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono
disciplinate dalla presente legge, ai sensi e nel rispetto di quanto previsto
dagli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e
115
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
ferma restando la competenza regionale ai sensi del predetto articolo
117. I principi della presente legge valgono come principi di grande riforma
economica e sociale per la disciplina di citta' e aree metropolitane da
adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione
Friuli-Venezia Giulia, in conformita' ai rispettivi statuti. 6. Il territorio della
citta' metropolitana coincide con quello della provincia omonima, ferma
restando l'iniziativa dei comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle
province limitrofe, ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della
Costituzione, per la modifica delle circoscrizioni provinciali limitrofe e
per l'adesione alla citta' metropolitana. Qualora la regione interessata,
entro trenta giorni dalla richiesta nell'ambito della procedura di cui al
predetto articolo 133, esprima parere contrario, in tutto o in parte,
conriguardo alle proposte formulate dai comuni, il Governo promuove
un'intesa tra la regione e i comuni interessati, da definire entro novanta
giorni dalla data di espressione del parere. In caso di mancato
raggiungimento dell'intesa entro il predetto termine, il Consiglio dei
ministri, sentita la relazione del Ministro per gli affari regionali e del
Ministro dell'interno, udito il parere del presidente della regione, decide
in via definitiva in ordine all'approvazione e alla presentazione al
Parlamento del disegno di legge contenente modifiche territoriali di
province e di citta' metropolitane, ai sensi dell'articolo 133, primo
comma, della Costituzione. 7. Sono organi della citta' metropolitana: a) il
sindaco metropolitano; b) il consiglio metropolitano; c) la conferenza
metropolitana. 8. Il sindaco metropolitano rappresenta l'ente, convoca e
presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana,
sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione
degli atti; esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto. Il consiglio
metropolitano e' l'organo di indirizzo e controllo, propone alla conferenza
lo statuto e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi;
approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco
metropolitano; esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto. Su
proposta del sindaco metropolitano, il consiglio adotta gli schemi di
bilancio da sottoporre al parere della conferenza metropolitana. A seguito
del parere espresso
dalla conferenza metropolitana con i voti che
rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella citta'
metropolitana e la maggioranza della popolazione complessivamente
residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci dell'ente. La
conferenza metropolitana ha poteri propositivi e consultivi, secondo
quanto disposto dallo statuto, nonche' i poteri di cui al comma 9. 9. La
conferenza metropolitana adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche
proposti dal consiglio metropolitano con i voti che rappresentino almeno
un terzo dei comuni compresi nella citta' metropolitana e la
maggioranza della popolazione complessivamente residente. 10. Nel
rispetto della presente legge lo statuto stabilisce le norme fondamentali
dell'organizzazione dell'ente, ivi comprese le attribuzioni degli organi
nonche' l'articolazione delle loro competenze, fermo restando quanto
disposto dai commi 8 e 9. 11. Oltre alle materie di cui al comma 10, lo
statuto: a) regola le modalita' e gli strumenti di coordinamento dell'azione
complessiva di governo del territorio metropolitano; b) disciplina i rapporti
116
tra i comuni e le loro unioni facenti parte della citta' metropolitana e la
citta' metropolitana in ordine alle modalita' di organizzazione e di
esercizio delle funzioni metropolitane e comunali, prevedendo anche
forme di organizzazione in comune, eventualmente differenziate per aree
territoriali. Mediante convenzione che regola le modalita' di utilizzo di
risorse umane, strumentali e finanziarie, i comuni e le loro unioni
possono avvalersi di strutture della citta' metropolitana, e viceversa, per
l'esercizio di specifiche funzioni ovvero i comuni e le loro unioni possono
delegare il predetto esercizio a strutture della citta' metropolitana, e
viceversa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; c) puo'
prevedere, anche su proposta della regione e comunque d'intesa con la
medesima, la costituzione di zone omogenee, per specifiche funzioni e
tenendo conto delle specificita' territoriali, con organismi di coordinamento
collegati agli organi della citta' metropolitana, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica. La mancata intesa puo' essere superata con
decisione della conferenza metropolitana a maggioranza dei due terzi dei
componenti; d) regola le modalita' in base alle quali i comuni non compresi
nel territorio metropolitano possono istituire accordi con la citta'
metropolitana. 12. Le citta' metropolitane di cui al comma 5, primo periodo,
salvo quanto previsto dal comma 18 per la citta' metropolitana di Reggio
Calabria, e ai commi da 101 a 103 sono costituite alla data di entrata in
vigore della presente legge nel territorio delle province omonime. 13. Il
sindaco del comune capoluogo indice le elezioni per una conferenza
statutaria per la redazione di una proposta di statuto della citta'
metropolitana. La conferenza e' costituita con un numero di componenti
pari a quanto previsto dal comma 20, per il consiglio metropolitano, ed e'
eletta in conformita' alle disposizioni di cui ai commi da 25 a 39. Le
liste sono presentate presso l'amministrazione provinciale il quinto
giorno antecedente la data delle elezioni. La conferenza e' presieduta dal
sindaco del comune capoluogo. La conferenza termina i suoi lavori il 30
settembre 2014 trasmettendo al consiglio metropolitano la proposta di
statuto. 14. In deroga alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 325,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il presidente della provincia e la
giunta provinciale, in carica alla data di entrata in vigore della presente
legge, restano in carica, a titolo gratuito, fino al 31 dicembre 2014 per
l'ordinaria amministrazione, comunque nei limiti di quanto disposto per la
gestione provvisoria degli enti locali dall'articolo 163, comma 2, del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di
seguito denominato «testo unico», e per gli atti urgenti e improrogabili; il
presidente assume fino a tale data anche le funzioni del consiglio
provinciale. Ove alla data di entrata in vigore della presente legge la
provincia sia commissariata, il commissariamento e' prorogato fino al 31
dicembre 2014. Alle funzioni della provincia si applicano le disposizioni di
riordino di cui ai commi da 85 a 97. 15. Entro il 30 settembre 2014 si
svolgono le elezioni del consiglio metropolitano, indette dal sindaco del
comune capoluogo, e si insediano il consiglio metropolitano e la
conferenza metropolitana. Entro il 31 dicembre 2014 il consiglio
metropolitano approva lo statuto. 16. Il 1º gennaio 2015 le citta'
metropolitane subentrano alle province omonime e succedono ad esse in
117
OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali - Newsletter n. 4 - aprile 2014
tutti i rapporti attivi e passivi e ne esercitano le funzioni, nel rispetto degli
equilibri di finanza pubblica e degli obiettivi del patto di stabilita' interno;
alla predetta data il sindaco del comune capoluogo assume le funzioni di
sindaco metropolitano e la citta' metropolitana opera con il proprio
statuto e i propri organi, assumendo anche le funzioni proprie di cui ai
commi da 44 a 46. Ove alla predetta data non sia approvato lo statuto
della citta' metropolitana, si applica lo statuto della provincia. Le
disposizioni dello statuto della provincia relative al presidente della
provincia e alla giunta provinciale si applicano al sindaco metropolitano;
le disposizioni relative al consiglio provinciale si applicano al consiglio
metropolitano. 17. In caso di mancata approvazione dello statuto entro il
30 giugno 2015 si applica la procedura per l'esercizio del potere
sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 18. La citta'
metropolitana di Reggio Calabria e' costituita, con le procedure di cui ai
commi da 12 a 17, alla scadenza naturale degli organi della provincia ovvero
comunque entro trenta giorni dalla decadenza o scioglimento anticipato
dei medesimi organi e, comunque, non entra in funzione prima del rinnovo
degli organi del comune di Reggio Calabria. I termini di cui ai commi da
12 a 17 sono conseguentemente rideterminati sostituendo la predetta
data di costituzione della citta' metropolitana a quella di entrata in vigore
della presente legge. In ogni caso il termine del 30 settembre 2014 e'
sostituito dal centottantesimo giorno dalla predetta data di costituzione.
I termini del 31 dicembre 2014 e del 1º gennaio 2015 sono sostituiti dal
duecentoquarantesimo giorno dalla scadenza degli organi provinciali. Il
termine del 30 giugno 2015 e' sostituito dal trecentosessantacinquesimo
giorno dalla
scadenza
degli
organi provinciali. 19. Il sindaco
metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo. 20. Il
consiglio metropolitano e' composto dal sindaco metropolitano e da: a)
ventiquattro consiglieri nelle citta' metropolitane con popolazione
residente superiore a 3 milioni di abitanti; b) diciotto consiglieri nelle citta'
metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o
pari a 3 milioni di abitanti; c) quattordici consiglieri nelle altre citta'
metropolitane. 21. Il consiglio metropolitano dura in carica cinque anni. In
caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo, si procede a nuove
elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla
proclamazione del sindaco del comune capoluogo. 22. Lo statuto della citta'
metropolitana puo' prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio
metropolitano con il sistema elettorale che sara' determinato con legge
statale. E' inoltre condizione necessaria, affinche' si possa far luogo a
elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale,
che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto ad
articolare il territorio del comune capoluogo in piu' comuni. A tal fine il
comune capoluogo deve proporre la predetta articolazione territoriale,
con deliberazione del consiglio comunale, adottata secondo la procedura
prevista dall'articolo 6, comma 4, del testo unico. La proposta del
consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i
cittadini della citta' metropolitana, da effettuare sulla base delle rispettive
leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti
al voto. E' altresi' necessario che la regione abbia provveduto con
118
propria legge all'istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione ai
sensi dell'articolo 133 della Costituzione. In alternativa a quanto
previsto dai periodi precedenti, per le sole citta' metropolitane con
popolazione superiore a tre milioni di abitanti, e' condizione necessaria,
affinche' si possa far luogo ad elezione del sindaco e del consiglio
metropolitano a suffragio universale, che lo statuto della citta'
metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del
comma 11, lettera c), e che il comune capoluogo abbia realizzato la
ripartizione del proprio territorio in zone
dotate
di autonomia
amministrativa, in coerenza con lo statuto della citta' metropolitana. 23.
Al testo unico sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 60,
comma 1: 1) all'alinea, dopo le parole: «consigliere comunale,» sono
inserite le seguenti: «consigliere metropolitano,»; 2) il numero 12) e'
sostituito dal seguente: «12) i sindaci, presidenti di provincia,
consiglieri metropolitani, consiglieri comunali, provinciali
o
circoscrizionali in carica, rispettivamente, in altro comune,
citta'
metropolitana, provincia o circoscrizione»; b) all'articolo 63, comma 1,
alinea, dopo le parole: «consigliere comunale,» sono inserite le seguenti:
«consigliere metropolitano,»; c) l'articolo 65 e' sostituito dal seguente: «Art.
65 (Incompatibilita' per consigliere
regionale,
comunale
e
circoscrizionale). - 1. Le cariche di presidente provinciale, nonche' di
sindaco e di assessore dei comuni compresi nel territorio della regione,
sono incompatibili con la carica di consigliere regionale. 2. Le cariche di
consigliere
comunale
e
circoscrizionale
sono incompatibili,
rispettivamente, con quelle di consigliere comunale di altro comune e di
consigliere
circoscrizionale
di
altra circoscrizione, anche di altro
comune. 3. La carica di consigliere comunale e' incompatibile con quella di
consigliere di una circoscrizione dello stesso o di altro comune». 24.
L'incarico di sindaco metropolitano, di consigliere metropolitano e di
componente della conferenza metropolitana, anche con riferimento agli
organi di cui ai commi da 12 a 18 e' esercitato a titolo gratuito. 25. Il
consiglio metropolitano e' eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali
dei comuni della citta' metropolitana. Sono eleggibili a consigliere
metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica. La cessazione
dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere metropolitano.
26. L'elezione avviene sulla base di liste concorrenti, composte da un
numero di candidati non inferiore alla meta' dei consiglieri da eleggere,
sottoscritte da almeno il 5 per cento degli aventi diritto al voto.
27. Nelle liste nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura
superiore al 60 per cento del numero dei candidati, con arrotondamento
all'unita' superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno
rappresentato contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi. In caso
contrario, l'ufficio elettorale di cui al comma
29 riduce la lista, cancellando i nomi dei candidati appartenenti al sesso
piu' rappresentato, procedendo dall'ultimo della lista, in modo da assicurare
il rispetto della disposizione di cui al primo periodo. La lista che, all'esito
della cancellazione delle candidature eccedenti, contenga un numero di
candidati inferiore a quello
minimo prescritto dal comma 26 e'
inammissibile.
119
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28. Nei primi cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge 23
novembre 2012, n. 215, non si applica il comma 27.
29. Le liste sono presentate presso l'ufficio elettorale appositamente
costituito presso gli uffici del consiglio metropolitano e, in sede di
prima applicazione, presso l'amministrazione provinciale dalle ore otto
del ventunesimo giorno alle ore dodici del ventesimo giorno antecedente la
votazione. 30. Il consiglio metropolitano e' eletto con voto diretto, libero e
segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti in un unico collegio
elettorale corrispondente al territorio della citta' metropolitana.
L'elezione avviene in unica giornata presso l'ufficio elettorale di cui al
comma 29.
31. Le schede di votazione sono fornite a cura dell'ufficio elettorale di
cui al comma 29 in colori diversi a seconda della dimensione del comune
di appartenenza degli aventi diritto al voto, secondo le fasce di popolazione
stabilite ai sensi del comma 33. Agli aventi diritto e' consegnata la scheda
del colore relativo al comune in cui sono in carica.
32. Ciascun elettore esprime un voto che viene ponderato sulla base di un
indice determinato in relazione alla popolazione complessiva della fascia
demografica del comune di cui e' sindaco o consigliere, determinata ai sensi
del comma 33.
33. Ai fini delle elezioni, i comuni della citta' metropolitana sono ripartiti
nelle seguenti fasce:
a) comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti; b) comuni con
popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti; c) comuni con
popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti; d) comuni con
popolazione superiore a 10.000 e fino a 30.000 abitanti; e) comuni con
popolazione superiore a 30.000 e fino a 100.000 abitanti; f) comuni con
popolazione superiore a 100.000 e fino a 250.000 abitanti; g) comuni con
popolazione superiore a 250.000 e fino a 500.000 abitanti; h) comuni con
popolazione superiore a 500.000 e fino a 1.000.000 di abitanti; i) comuni
con popolazione superiore a 1.000.000 di abitanti. 34. L'indice di
ponderazione per ciascuna delle fasce
demografiche dei comuni
appartenenti alla citta' metropolitana e' determinato secondo le
modalita', le operazioni e i limiti indicati nell'allegato A annesso alla
presente legge. 35. Ciascun elettore puo' esprimere, inoltre, nell'apposita
riga della scheda, un voto di preferenza per un candidato alla carica di
consigliere metropolitano compreso nella lista, scrivendone il cognome
o, in caso di omonimia, il nome e il cognome, il cui valore e' ponderato ai
sensi del comma 34. 36. La cifra elettorale di ciascuna lista e' costituita dalla
somma dei voti ponderati validi riportati da ciascuna di esse. Per
l'assegnazione del numero dei consiglieri a ciascuna lista si divide la cifra
elettorale di ciascuna lista successivamente per 1, 2, 3, 4 ... fino a
concorrenza del numero dei consiglieri da eleggere; quindi si scelgono, tra i
quozienti cosi' ottenuti, quelli piu' alti, in numero eguale a quello dei
consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente.
Ciascuna
lista
consegue
tanti rappresentanti eletti quanti sono i
quozienti a essa appartenenti compresi nella graduatoria. A parita' di
quoziente, nelle cifre intere e decimali, il posto e' attribuito alla lista che ha
ottenuto la maggiore cifra elettorale e, a parita' di quest'ultima, per
120
sorteggio. 37. L'ufficio elettorale, costituito ai sensi del comma 29,
terminate le operazioni di scrutinio: a) determina la cifra elettorale
ponderata di ciascuna lista; b) determina la cifra individuale ponderata dei
singoli candidati sulla base dei voti di preferenza ponderati; c) procede al
riparto dei seggi tra le liste e alle relative proclamazioni. 38. A parita' di
cifra individuale ponderata, e' proclamato elettoil candidato appartenente
al sesso meno rappresentato tra gli eletti della lista; in caso di ulteriore
parita', e' proclamato eletto ilcandidato piu' giovane. 39. I seggi che
rimangono vacanti per qualunque causa, ivi compresa la cessazione dalla
carica di sindaco o di consigliere di un comune della citta' metropolitana,
sono attribuiti ai candidati che, nella medesima lista, hanno ottenuto la
maggiore cifra individuale ponderata. Non si considera cessato dalla
carica il consigliere eletto o rieletto sindaco o consigliere in un comune
della citta' metropolitana. 40. Il sindaco metropolitano puo' nominare un
vicesindaco, scelto tra i consiglieri metropolitani, stabilendo le eventuali
funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al consiglio.
Il vicesindaco esercita le funzioni del sindaco in ogni caso in cui questi ne
sia impedito. Qualora il sindaco metropolitano cessi dalla carica per
cessazione dalla titolarita' dell'incarico di sindaco del proprio comune, il
vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo sindaco
metropolitano. 41. Il sindaco metropolitano puo' altresi' assegnare
deleghe a consiglieri metropolitani, nel rispetto del principio di
collegialita', secondo le modalita' e nei limiti stabiliti dallo statuto. 42. La
conferenza metropolitana e' composta dal sindaco metropolitano, che
la convoca e la presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla citta'
metropolitana. 43. Lo statuto determina le maggioranze per le deliberazioni
della conferenza metropolitana, fatto salvo quanto previsto dai commi da 5
a 11.
44. A valere sulle risorse proprie e trasferite, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica e comunque nel rispetto dei vincoli del patto
di stabilita' interno, alla citta' metropolitana sono attribuite le funzioni
fondamentali delle province e quelle attribuite alla citta' metropolitana
nell'ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi
dei commi da 85 a 97 del presente articolo, nonche', ai sensi dell'articolo
117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le seguenti
funzioni fondamentali: a) adozione e aggiornamento annuale di un piano
strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di
indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle
unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione
all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto
delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza; b) pianificazione
territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di
servizi e
delle
infrastrutture appartenenti alla competenza della
comunita' metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attivita' e
all'esercizio
delle funzioni dei comuni compresi nel territorio
metropolitano; c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei
servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di
ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la
citta'
metropolitana puo' esercitare le funzioni di predisposizione dei
documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti
121
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di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive; d)
mobilita' e viabilita', anche assicurando la compatibilita' e la coerenza della
pianificazione urbanistica
comunale
nell'ambito metropolitano; e)
promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche
assicurando sostegno e supporto alle attivita' economiche e di ricerca
innovative e coerenti con la vocazione della citta' metropolitana come
delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a); f)
promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di
digitalizzazione in ambito metropolitano. 45. Restano comunque ferme le
funzioni spettanti allo Stato e alle regioni nelle materie di cui all'articolo
117 della Costituzione, nonche' l'applicazione di quanto previsto
dall'articolo 118 della Costituzione. 46. Lo Stato e le regioni, ciascuno per
le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle citta'
metropolitane
in attuazione
dei
principi
di
sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza di cui al primo comma dell'articolo
118 dellaCostituzione. 47. Spettano alla citta' metropolitana il patrimonio,
il personale e le risorse strumentali della provincia a cui ciascuna citta'
metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi,
ivi comprese le entrate provinciali, all'atto del subentro alla provincia. Il
trasferimento della proprieta' dei beni mobili e immobili e' esente da oneri
fiscali. 48. Al personale delle citta' metropolitane si applicano le
disposizioni vigenti per il personale delle province; il personale trasferito
dalle province mantiene, fino al prossimo contratto, il trattamento
economico in godimento. 49. In considerazione della necessita' di garantire
il tempestivo adempimento degli obblighi internazionali gia' assunti dal
Governo, nonche' dell'interesse regionale concorrente con il preminente
interesse nazionale, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, la regione Lombardia, anche mediante societa' dalla
stessa controllate, subentra in tutte le partecipazioni azionarie di
controllo detenute dalla provincia di Milano nelle societa' che operano
direttamente o per tramite di societa' controllate o partecipate nella
realizzazione e gestione di infrastrutture
comunque
connesse
all'esposizione universale denominata Expo 2015. Entro quaranta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite con
decreto del Ministro per gli affari regionali, da adottare di concerto con i
Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti,
le direttive e le disposizioni esecutive necessarie a disciplinare il
trasferimento, in esenzione fiscale, alla regione Lombardia delle
partecipazioni azionarie di cui al precedente periodo. Alla data del 31
ottobre 2015 le predette partecipazioni sono trasferite in regime di
esenzione fiscale alla citta' metropolitana. 50. Alle citta' metropolitane si
applicano, per quanto compatibili, le disposizioni in materia di comuni di
cui al testo unico, nonche' le norme di cui all'articolo 4 della legge 5 giugno
2003, n. 131. 51. In attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province
sonodisciplinate dalla presente legge. 52. Restano comunque ferme le
funzioni delle regioni nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e
quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118
della Costituzione. Le regioni riconoscono alle province di cui al comma 3,
122
secondo periodo, forme particolari di autonomia nelle materie di cui al
predetto articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione. 53. Le
norme di cui ai commi da 51 a 100 non si applicano alle province
autonome di Trento e di Bolzano e alla regione Valle d'Aosta. 54. Sono
organi delle province di cui ai commi da 51 a 53 esclusivamente: a) il
presidente della provincia; b) il consiglio provinciale; c) l'assemblea dei
sindaci. 55. Il presidente della provincia rappresenta l'ente, convoca e
presiede il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci, sovrintende
al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti;
esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto. Il consiglio e' l'organo di
indirizzo e controllo, propone all'assemblea lo statuto, approva
regolamenti, piani, programmi; approva o adotta ogni altro atto ad esso
sottoposto dal presidente della provincia; esercita le altre funzioni
attribuite dallo statuto. Su proposta del presidente della provincia il
consiglio adotta gli schemi di bilancio da sottoporre al parere
dell'assemblea dei sindaci.
A
seguito
del
parere
espresso
dall'assemblea dei sindaci con i voti che rappresentino almeno un terzo
dei comuni compresi nella provincia e la maggioranza della popolazione
complessivamente residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci
dell'ente. L'assemblea dei sindaci ha poteri propositivi, consultivi e di
controllo secondo quanto disposto dallo statuto. L'assemblea dei sindaci
adotta o respinge lo statuto proposto dal consiglio e le sue successive
modificazioni con i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni
compresi nella provincia e la maggioranza della popolazione
complessivamente residente. 56. L'assemblea dei sindaci e' costituita dai
sindaci dei comuni appartenenti alla provincia. 57. Gli statuti delle
province di cui al comma 3, secondo periodo, possono prevedere, d'intesa
con la regione, la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni,
con organismi di coordinamento collegati agli organi provinciali senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 58. Il presidente della
provincia e' eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia.
59. Il presidente della provincia dura in carica quattro anni. 60. Sono
eleggibili a presidente della provincia i sindaci della provincia, il cui
mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle
elezioni. 61. L'elezione avviene sulla base di presentazione di candidature,
sottoscritte da almeno il 15 per cento degli aventi diritto al voto. Le
candidature sono presentate presso l'ufficio elettorale appositamente
costituito presso la sede della provincia dalle ore otto del ventunesimo
giorno alle ore dodici del ventesimo giorno antecedente la votazione. 62.
Il presidente della provincia e' eletto con voto diretto, libero e segreto.
L'elezione avviene in unica giornata presso un unico seggio elettorale
costituito presso l'ufficio elettorale di cui al comma 61 dalle ore otto alle ore
venti. Le schede di votazione sono fornite a cura dell'ufficio elettorale. 63.
Ciascun elettore vota per un solo candidato alla carica di presidente della
provincia. Il voto e' ponderato ai sensi dei commi 33 e 34. 64. E' eletto
presidente della provincia il candidato che consegue il maggior numero di
voti, sulla base della ponderazione di cui ai commi 33 e 34. In caso di
parita' di voti, e' eletto il candidato piu' giovane. 65. Il presidente della
provincia decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco.
66. Il presidente della provincia puo' nominare un vicepresidente, scelto
123
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tra i consiglieri provinciali, stabilendo le eventuali funzioni a lui
delegate e dandone immediata comunicazione
al consiglio. Il
vicepresidente esercita le funzioni del presidente in ogni caso in cui questi
ne sia impedito. Il presidente puo' altresi' assegnare deleghe a consiglieri
provinciali, nel rispetto del principio di collegialita', secondo le
modalita' e nei limiti stabiliti dallo statuto. 67. Il consiglio provinciale e'
composto dal presidente della provincia e da sedici componenti nelle
province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, da dodici
componenti nelle province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti,
da dieci componenti nelle province con popolazione fino a 300.000 abitanti.
68. Il consiglio provinciale dura in carica due anni. 69. Il consiglio
provinciale e' eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni
della provincia. Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i
consiglieri comunali in carica. La cessazione dalla carica comunale
comporta la decadenza da consigliere provinciale. 70. L'elezione avviene
sulla base di liste, composte da un numero di candidati non superiore al
numero dei consiglieri da eleggere e non inferiore alla meta' degli stessi,
sottoscritte da almeno il 5 per cento degli aventi diritto al voto. 71. Nelle
liste nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura superiore al
60 per cento del numero dei candidati, con arrotondamento all'unita'
superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato
contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi. In caso contrario,
l'ufficio elettorale riduce la lista, cancellando i nomi dei candidati
appartenenti al sesso piu' rappresentato, procedendo dall'ultimo della
lista, in modo da assicurare il rispetto della disposizione di cui al primo
periodo. La lista che, all'esito della cancellazione delle candidature
eccedenti, contenga un numero di candidati inferiore a quello minimo
prescritto dal comma 70 e' inammissibile. 72. Nei primi cinque anni dalla
data di entrata in vigore della legge 23 novembre 2012, n. 215, non si
applica il comma 71. 73. Le liste sono presentate presso l'ufficio elettorale di
cui al comma 61 dalle ore otto del ventunesimo giorno alle ore dodici del
ventesimo giorno antecedente la votazione. 74. Il consiglio provinciale e'
eletto con voto diretto, libero e segreto, attribuito ai singoli candidati
all'interno delle liste, in un unico collegio elettorale corrispondente al
territorio della provincia. L'elezione avviene in unica giornata presso
l'ufficio elettorale di cui al comma 61. 75. Le schede di votazione sono
fornite a cura dell'ufficio elettorale di cui al comma 61 in colori diversi a
seconda della fascia demografica del comune di appartenenza degli aventi
diritto al voto, secondo le fasce di popolazione stabilite ai sensi del comma
33. Agli aventi diritto e' consegnata la scheda del colore relativo al comune
in cui sono in carica. 76. Ciascun elettore esprime un solo voto per uno dei
candidati, che viene ponderato ai sensi dei commi 32, 33 e 34. 77. L'ufficio
elettorale, terminate le operazioni di scrutinio, determina la cifra
individuale ponderata dei singoli candidati sulla base dei voti espressi e
proclama eletti i candidati che conseguono la maggiore cifra individuale
ponderata. A parita' di cifra individuale ponderata, e' proclamato eletto il
candidato appartenente al sesso meno rappresentato tra gli eletti; in caso
di ulteriore parita', e' proclamato eletto il candidato piu' giovane. 78. I seggi
che rimangono vacanti per qualunque causa, ivi compresa la cessazione
124
dalla carica di sindaco o di consigliere di un comune della provincia, sono
attribuiti ai candidati che, nella medesima lista, hanno ottenuto la
maggiore cifra individuale ponderata. Non si considera cessato dalla carica
il consigliere eletto o rieletto sindaco o consigliere in un comune della
provincia. 79. In sede di prima applicazione della presente legge, l'elezione
ai sensi dei commi da 67 a 78 del consiglio provinciale, presieduto dal
presidente della provincia o dal commissario, e' indetta: a) entro il 30
settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel
2014; b) successivamente a quanto previsto alla lettera a), entro trenta
giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o
scioglimento anticipato degli organi provinciali. 80. Per le elezioni di cui al
comma 79, sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti. 81. Nel
caso di cui al comma 79, lettera a), il consiglio provinciale eletto ai
sensi dei commi da 67 a 78 svolge fino al 31 dicembre 2014 le funzioni
relative ad atti preparatori e alle modifiche statutarie conseguenti alla
presente legge; l'assemblea dei sindaci, su proposta del consiglio
provinciale, approva le predette modifiche entro il 31 dicembre 2014.
Entro la medesima data, si procede quindi all'elezione del presidente ai
sensi dei commi da 58 a 65. Per le prime elezioni di cui al precedente
periodo sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti. In caso di
mancata approvazione delle modifiche statutarie entro il 30 giugno 2015
si applica la procedura per l'esercizio del potere sostitutivo di cui
all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 82. Nel caso di cui al comma
79, lettera a), in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma
325, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il presidente della provincia in
carica alla data di entrata in vigore della presente legge ovvero, qualora la
provincia sia commissariata, il commissario, assumendo anche le
funzioni del consiglio provinciale, nonche' la giunta provinciale, restano in
carica a titolo gratuito per l'ordinaria amministrazione, comunque nei limiti
di quanto disposto per la gestione provvisoria degli enti locali dall'articolo
163, comma 2, del testo unico, e per gli atti urgenti e indifferibili, fino
all'insediamento del presidente della provincia eletto ai sensi dei commi da
58 a 65 e comunque non oltre il 31 dicembre 2014. 83. Nel caso di cui al
comma 79, lettera b), l'assemblea dei sindaci approva le modifiche
statutarie conseguenti alla presente legge entro sei mesi dall'insediamento
del consiglio provinciale. In caso di mancata approvazione delle modifiche
statutarie entro la predetta data si applica la procedura per l'esercizio
del potere sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
84. Gli incarichi di presidente della provincia, di consigliere provinciale e
di componente dell'assemblea dei sindaci sono esercitati a titolo
gratuito. 85. Le province di cui ai commi da 51 a 53, quali enti con funzioni
di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali: a)
pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonche' tutela e
valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b)
pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione
e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la
programmazione regionale, nonche' costruzione e gestione delle strade
provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c)
programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della
programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di
dati,
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assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia
scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale
e promozione delle pari opportunita' sul territorio provinciale. 86. Le
province di cui al comma 3, secondo periodo, esercitano altresi' le
seguenti ulteriori funzioni fondamentali: a) cura dello sviluppo strategico
del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle
specificita' del territorio medesimo; b) cura delle relazioni istituzionali
con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti
territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia
caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli
enti predetti. 87. Le funzioni fondamentali di cui al comma 85 sono
esercitate nei limiti e secondo le modalita' stabilite dalla legislazione statale
e regionale di settore, secondo la rispettiva competenza per materia ai sensi
dell'articolo 117, commi secondo, terzo e quarto, della Costituzione.88.
La provincia puo' altresi', d'intesa con i comuni, esercitare le funzioni di
predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di
monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e
procedure selettive. 89. Fermo restando quanto disposto dal comma 88, lo
Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le
funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione
dell'articolo 118 della Costituzione, nonche' al fine di conseguire le
seguenti finalita': individuazione dell'ambito territoriale ottimale di
esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle
funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni;
sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di
avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel
processo di riordino, mediante intese o convenzioni. Sono altresi'
valorizzate forme di esercizio associato di funzioni da parte di piu' enti
locali, nonche' le autonomie funzionali. Le funzioni che nell'ambito del
processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali
continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio
di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data e' determinata nel
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 per le
funzioni di competenza statale ovvero e' stabilita dalla regione ai sensi
del comma 95 per le funzioni di competenza regionale. 90. Nello
specifico caso in cui disposizioni normative statali o regionali di settore
riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l'attribuzione di
funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o
provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale, si
applicano le seguenti disposizioni, che costituiscono principi fondamentali
della materia e principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione: a) il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 ovvero
le leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze, prevedono la
soppressione di tali enti o agenzie e l'attribuzione delle funzioni alle
province nel nuovo assetto istituzionale, con tempi, modalita' e forme di
coordinamento con regioni e comuni, da determinare nell'ambito del
processo di riordino di cui ai commi da 85 a 97, secondo i principi di
adeguatezza e sussidiarieta', anche valorizzando, ove possibile, le
126
autonomie funzionali; b) per le regioni che approvano le leggi che
riorganizzano le funzioni di cui al presente comma, prevedendo la
soppressione di uno o piu' enti o agenzie, sono individuate misure premiali
con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il
Ministro per gli affari regionali, previa intesa in sede di Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e successive modificazioni, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica. 91. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge,
sentite
le
organizzazioni
sindacali
maggiormente
rappresentative, lo Stato e le regioni individuano in modo puntuale,
mediante accordo sancito nella Conferenza unificata, le funzioni di cui al
comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze. 92. Entro il
medesimo termine di cui al comma 91 e nel rispetto di quanto previsto dal
comma 96, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, di
concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione
e dell'economia e delle finanze, sono stabiliti, previa intesa in sede di
Conferenza unificata, i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle
risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse
all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi
da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di
lavoro a tempo indeterminato in corso, nonche' quelli a tempo
determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. In particolare,
sono considerate le risorse finanziarie, gia' spettanti alle province ai
sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite
agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte
quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo comunque quanto
previsto dal comma 88. Sullo schema di decreto, per quanto attiene alle
risorse
umane,
sono
consultate
le
organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative. Il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri dispone anche direttamente in ordine alle funzioni
amministrative delle province in materie di competenza statale. 93. In
caso di mancato raggiungimento dell'accordo di cui al comma 91 ovvero di
mancato raggiungimento dell'intesa di cui al comma 92, il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al medesimo comma 92
dispone comunque sulle funzioni amministrative delle province di
competenza statale. 94. Al fine di tener conto degli effetti anche finanziari
derivanti dal trasferimento dell'esercizio delle funzioni, con il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 possono essere
modificati gli obiettivi del patto di stabilita' interno e le facolta' di assumere
delle province e degli enti subentranti, fermo restando l'obiettivo
complessivo.
L'attuazione
della
presente disposizione non deve
determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 95. La
regione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
provvede, sentite le
organizzazioni
sindacali maggiormente
rappresentative, a dare attuazione all'accordo di cui al comma 91. Decorso il
termine senza che la regione abbia provveduto, si applica l'articolo 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131. 96. Nei trasferimenti delle funzioni oggetto
del riordino si applicano le seguenti disposizioni: a) il personale trasferito
mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci
127
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del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento
all'atto del trasferimento, nonche' l'anzianita' di servizio maturata; le
corrispondenti risorse sono trasferite all'ente destinatario; in
particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del
trattamento accessorio, nonche' la progressione economica orizzontale,
secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a
costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito,
nell'ambito dei piu' generali fondi delle risorse decentrate del personale
delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttivita', la retribuzione
di risultato e le indennita' accessorie del personale trasferito rimangono
determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non
possono essere incrementati
fino
all'applicazione
del
contratto
collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al
primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di
entrata in vigore della presente legge;
b) il trasferimento della proprieta' dei beni mobili e immobili e' esente da
oneri fiscali; l'ente che subentra nei diritti relativi alle partecipazioni
societarie attinenti alla funzione trasferita puo' provvedere alla
dismissione con procedura semplificata stabilita con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze; c) l'ente che subentra nella funzione succede
anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso; il
trasferimento delle risorse tiene conto anche delle passivita'; sono trasferite
le risorse incassate relative a pagamenti non ancora effettuati, che
rientrano nei rapporti trasferiti; d) gli effetti derivanti dal trasferimento
delle funzioni non rilevano, per gli enti subentranti, ai fini della disciplina
sui limiti dell'indebitamento, nonche' di ogni altra disposizione di legge
che, per effetto del trasferimento, puo' determinare inadempimenti
dell'ente subentrante, nell'ambito di variazioni compensative a livello
regionale ovvero tra livelli regionali o locali e livello statale, secondo
modalita' individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali, sentita la
Conferenza unificata, che stabilisce anche idonei strumenti di monitoraggio.
97. Il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in
vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al
comma 92, uno o piu' decreti legislativi, previo parere della Conferenza
unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica e delle Commissioni parlamentari competenti per materia, in
materia di adeguamento della legislazione statale sulle funzioni e sulle
competenze dello Stato e degli enti territoriali e di quella sulla finanza e
sul patrimonio dei medesimi enti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri
direttivi: a) salva la necessita' di diversa attribuzione per esigenze di
tutela dell'unita' giuridica ed economica della Repubblica e in particolare
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
applicazione coordinata dei principi di riordino delle funzioni di cui alla
presente legge e di quelli di cui agli articoli 1 e 2 e ai capi II, III, IV, V e VII
della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; b) le risorse finanziarie, gia'
spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, dedotte
quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo quanto previsto
128
dai commi da 5 a 11, sono attribuite ai soggetti che subentrano nelle
funzioni trasferite, in relazione ai rapporti attivi e passivi oggetto della
successione, compresi i rapporti di lavoro e le altre spese di gestione. 98.
Al commissario di cui all'articolo 141 del testo unico, e successive
modificazioni, nonche' ad eventuali sub-commissari si applica, per
quanto compatibile, la disciplina di cui all'articolo 38, comma 1-bis, del
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, nonche' quanto previsto dal
regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10
aprile 2013, n. 60, in materia di professionalita' e onorabilita' dei
commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi. Nei confronti degli stessi
soggetti si applicano, altresi', le disposizioni del testo unico di cui al
decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235. 99. I prefetti, nella nomina dei
sub-commissari a supporto dei commissari straordinari dell'ente
provincia, sono tenuti ad avvalersi di dirigenti o funzionari del comune
capoluogo, senza oneri aggiuntivi. 100. In applicazione di quanto previsto
dal comma 99, gli eventuali sub-commissari nominati in base a criteri
diversi decadono alla data di entrata in vigore della presente legge. 101.
Salvo quanto previsto dai commi 102 e 103, la citta' metropolitana di
Roma capitale e' disciplinata dalle norme relative alle citta' metropolitane
di cui alla presente legge. 102. Le disposizioni dei decreti legislativi 17
settembre 2010, n. 156, 18 aprile 2012, n. 61, e 26 aprile 2013, n. 51,
restano riferite a Roma capitale, come definita dall'articolo 24, comma 2,
della legge 5 maggio 2009, n. 42. 103. Lo statuto della citta' metropolitana di
Roma capitale, con le modalita' previste al comma 11, disciplina i rapporti
tra la citta' metropolitana, il comune di Roma capitale e gli altri
comuni, garantendo il migliore assetto delle funzioni che Roma e' chiamata
a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonche'
delle
rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti, presso la
Repubblica italiana, presso lo Stato della Citta' del Vaticano e presso le
istituzioni internazionali. 104. I commi 4, 5 e 6 dell'articolo 19 del decretolegge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 2012, n. 135, e i commi da 1 a 13 dell'articolo 16 del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni, sono abrogati. 105.
All'articolo 32 del testo unico, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni: a) il terzo periodo del comma 3 e' sostituito dal
seguente: «Il consiglio e' composto da un numero di consiglieri definito
nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri
componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando
la rappresentanza di ogni comune»; b) il comma 4 e' sostituito dal seguente:
«4. L'unione ha potesta' statutaria e regolamentare e ad essa si applicano,
in quanto compatibili e non derogati con le disposizioni della legge recante
disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni
di comuni, i principi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare
riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e
contabile, al personale e all'organizzazione. Lo statuto dell'unione stabilisce
le modalita' di funzionamento degli organi e ne disciplina i rapporti. In fase
di prima istituzione lo statuto dell'unione e' approvato dai consigli dei
comuni partecipanti e le successive modifiche sono approvate dal consiglio
129
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dell'unione»; c) dopo il comma 5-bis e' inserito il seguente: «5-ter. Il
presidente dell'unione di comuni si avvale del segretario di un comune
facente parte dell'unione, senza che cio' comporti l'erogazione di ulteriori
indennita' e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica. Sono fatti salvi gli incarichi per le funzioni di segretario gia'
affidati ai dipendenti delle unioni o dei comuni anche ai sensi del comma
557 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Ai segretari delle
unioni di comuni si applicano le disposizioni dell'articolo 8 della legge 23
marzo 1981, n. 93, e successive modificazioni». 106. Per quanto non
previsto dai commi 3, 4 e 5-ter dell'articolo 32 del testo unico, come
modificati dal comma 105, lo statuto dell'unione di comuni deve altresi'
rispettare i principi di organizzazione e di funzionamento e le soglie
demografiche minime eventualmente disposti con legge regionale e
assicurare la coerenza con gli ambiti territoriali dalle medesime previsti.
107. All'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,
con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 28-bis
e' sostituito dal seguente: «28-bis. Per le unioni di cui al comma 28 si
applica l'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267, e successive modificazioni»; b) il comma 31 e' sostituito dal
seguente: «31. Il limite demografico minimo delle unioni e delle
convenzioni di cui al presente articolo e' fissato in 10.000 abitanti, ovvero
in 3.000 abitanti se i comuni appartengono o sono appartenuti a
comunita' montane, fermo restando che, in tal caso, le unioni devono essere
formate da almeno tre comuni, e salvi il diverso limite demografico ed
eventuali deroghe in ragione di particolari condizioni territoriali,
individuati dalla regione. Il limite non si applica alle unioni di comuni gia'
costituite». 108. Tutte le cariche nell'unione sono esercitate a titolo
gratuito. 109. Per il primo mandato amministrativo, agli amministratori del
nuovo comune nato dalla fusione di piu' comuni cui hanno preso parte
comuni con popolazione inferiore a
5.000 abitanti
e agli
amministratori delle unioni di comuni comprendenti comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti si applicano le disposizioni in
materia di ineleggibilita', incandidabilita', inconferibilita' e incompatibilita'
previste dalla legge per i comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti. 110. Le seguenti attivita' possono essere svolte dalle unioni di
comuni in forma associata anche per i comuni che le costituiscono, con le
seguenti modalita': a) le funzioni di responsabile anticorruzione sono
svolte da un funzionario nominato dal presidente dell'unione tra i
funzionari dell'unione e dei comuni che la compongono; b) le funzioni di
responsabile per la trasparenza sono svolte da un funzionario nominato dal
presidente dell'unione tra i funzionari dell'unione e dei comuni che la
compongono; c) le funzioni dell'organo di revisione, per le unioni formate
da comuni che complessivamente non superano 10.000 abitanti, sono svolte
da un unico revisore e, per le unioni che superano tale limite, da un collegio
di revisori; d) le funzioni di competenza dell'organo di valutazione e di
controllo di gestione sono attribuite dal presidente dell'unione, sulla base
di apposito regolamento approvato dall'unione stessa. 111. Il presidente
dell'unione di comuni, ove previsto dallo statuto, svolge le funzioni
130
attribuite al sindaco dall'articolo 2 della legge 7 marzo 1986, n. 65, nel
territorio dei comuni che hanno conferito all'unione la
funzione
fondamentale
della
polizia municipale. 112. Qualora i comuni
appartenenti
all'unione
conferiscano all'unione la funzione della
protezione civile, all'unione spettano l'approvazione e l'aggiornamento
dei piani di emergenza di cui all'articolo 15, commi 3-bis e 3-ter, della
legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonche' le connesse attivita' di
prevenzione e approvvigionamento, mentre i sindaci dei comuni restano
titolari delle funzioni di cui all'articolo 15, comma 3, della predetta legge n.
225 del 1992. 113. Le disposizioni di cui all'articolo 57, comma 1, lettera
b), del codice di procedura penale, e di cui all'articolo 5, comma 1, della
legge 7 marzo 1986, n. 65, relative all'esercizio delle funzioni di polizia
giudiziaria nell'ambito territoriale di appartenenza del personale della
polizia municipale, si intendono riferite, in caso di esercizio associato delle
funzioni di polizia municipale mediante unione di comuni, al territorio dei
comuni in cui l'unione esercita le funzioni stesse. 114. In caso di
trasferimento di personale dal comune all'unione di comuni, le risorse gia'
quantificate sulla base degli accordi decentrati e destinate nel precedente
anno dal comune a finanziare istituti contrattuali collettivi ulteriori
rispetto al trattamento economico fondamentale, confluiscono nelle
corrispondenti risorse dell'unione. 115. Le disposizioni normative previste
per i piccoli comuni si applicano alle unioni composte da comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti. 116. In caso di fusione di uno o piu'
comuni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 16 del testo unico, il
comune risultante dalla fusione adotta uno statuto che puo' prevedere
anche forme particolari di collegamento tra il nuovo comune e le comunita'
che appartenevano ai comuni oggetto della fusione. 117. L'articolo 15,
comma 2, del testo unico e' sostituito dal seguente: «2. I comuni che
hanno dato avvio al procedimento di fusione ai sensi delle rispettive
leggi regionali possono, anche prima dell'istituzione del nuovo ente,
mediante approvazione di testo conforme da parte di tutti i consigli
comunali, definire lo statuto che entrera' in vigore con l'istituzione del
nuovo comune e rimarra' vigente fino alle modifiche dello stesso da parte
degli organi del nuovo comune istituito. Lo statuto del nuovo comune
dovra' prevedere che alle comunita' dei comuni oggetto della fusione siano
assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei
servizi». 118. Al comune istituito a seguito di fusione tra comuni aventi
ciascuno meno di 5.000 abitanti si applicano, in quanto compatibili, le
norme di maggior favore, incentivazione e semplificazione previste per i
comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le unioni di
comuni. 119. I comuni istituiti a seguito di fusione possono utilizzare i
margini di indebitamento consentiti dalle norme vincolistiche in materia
a uno o piu' dei comuni originari e nei limiti degli stessi, anche nel caso in
cui dall'unificazione dei bilanci non risultino ulteriori possibili spazi di
indebitamento per il nuovo ente. 120. Il commissario nominato per la
gestione del comune derivante da fusione e' coadiuvato, fino all'elezione
dei nuovi organi, da un comitato consultivo composto da coloro che, alla
data dell'estinzione dei comuni, svolgevano le funzioni di sindaco e senza
maggiori oneri per la finanza pubblica. Il comitato e' comunque consultato
sullo schema di bilancio e sull'eventuale adozione di varianti agli
131
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strumenti urbanistici. Il commissario convoca periodicamente il
comitato, anche su richiesta della maggioranza dei componenti, per
informare sulle attivita' programmate e su quelle in corso. 121. Gli obblighi
di esercizio associato di funzioni comunali derivanti dal comma 28
dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive
modificazioni, si applicano ai comuni derivanti da fusione entro i limiti
stabiliti dalla legge regionale, che puo' fissare una diversa decorrenza o
modularne i contenuti. In mancanza di diversa normativa regionale, i
comuni istituiti mediante fusione che raggiungono una popolazione pari o
superiore a 3.000 abitanti, oppure a 2.000 abitanti se appartenenti o
appartenuti a comunita' montane, e che devono obbligatoriamente
esercitare le funzioni fondamentali dei comuni, secondo quanto previsto
dal citato comma 28 dell'articolo 14, sono esentati da tale obbligo per un
mandato elettorale. 122. I consiglieri comunali cessati per effetto
dell'estinzione del comune derivante da fusione continuano a esercitare,
fino alla nomina dei nuovi rappresentanti da parte del nuovo comune, gli
incarichi esterni loro eventualmente attribuiti. Tutti i soggetti nominati dal
comune estinto per fusione in enti, aziende, istituzioni o altri organismi
continuano a esercitare il loro mandato fino alla nomina dei successori.
123. Le risorse destinate, nell'anno di estinzione del comune, alle politiche
di sviluppo delle risorse umane e alla produttivita' del personale di cui al
contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al comparto regioni e
autonomie locali del 1º aprile 1999, pubblicato nel supplemento ordinario
n. 81 alla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 1999, dei comuni oggetto di
fusione confluiscono, per l'intero importo, a decorrere dall'anno di
istituzione del nuovo comune, in un unico fondo del nuovo comune avente
medesima destinazione. 124. Salva diversa disposizione della legge
regionale:a) tutti gli atti normativi, i piani, i regolamenti, gli strumenti
urbanistici e i bilanci dei comuni oggetto della fusione vigenti alla data di
estinzione dei comuni restano in vigore, con riferimento agli ambiti
territoriali e alla relativa popolazione dei comuni che li hanno approvati,
fino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti atti del
commissario o degli organi del nuovo comune; b) alla data di istituzione
del nuovo comune, gli organi di revisione contabile dei comuni estinti
decadono. Fino alla nomina dell'organo di revisione contabile del nuovo
comune le funzioni sono svolte provvisoriamente dall'organo di revisione
contabile in carica, alla data dell'estinzione, nel comune di maggiore
dimensione demografica; c) in assenza di uno statuto provvisorio, fino alla
data di entrata in vigore dello statuto e del regolamento di
funzionamento del consiglio comunale del nuovo comune si applicano,
in quanto compatibili, le disposizioni dello statuto e del regolamento di
funzionamento del consiglio comunale del comune di maggiore
dimensione demografica tra quelli estinti. 125. Il comune risultante da
fusione:a) approva il bilancio di previsione, in deroga a quanto previsto
dall'articolo 151, comma 1, del testo unico, entro novanta giorni
dall'istituzione o dal diverso termine di proroga eventualmente previsto
per l'approvazione dei bilanci e fissato con decreto del Ministro
dell'interno; b) ai fini dell'applicazione dell'articolo 163 del testo unico, per
132
l'individuazione degli stanziamenti dell'anno precedente assume come
riferimento la sommatoria delle risorse stanziate nei
bilanci
definitivamente approvati dai comuni estinti; c) approva il rendiconto di
bilancio dei comuni estinti, se questi non hanno gia' provveduto, e subentra
negli adempimenti relativi alle certificazioni del patto di stabilita' e delle
dichiarazioni fiscali. 126. Ai fini di cui all'articolo 37, comma 4, del testo
unico, la popolazione del nuovo comune corrisponde alla somma delle
popolazioni dei comuni estinti. 127. Dalla data di istituzione del nuovo
comune e fino alla scadenza naturale resta valida, nei documenti dei
cittadini e delle imprese, l'indicazione della residenza con riguardo ai
riferimenti dei comuni estinti.
128. L'istituzione del nuovo comune non priva i territori dei comuni
estinti dei benefici che a essi si riferiscono, stabiliti in loro favore
dall'Unione europea e dalle leggi statali. Il trasferimento della
proprieta' dei beni mobili e immobili dai comuni estinti al nuovo comune e'
esente da oneri fiscali. 129. Nel nuovo comune istituito mediante fusione
possono essere conservati distinti codici di avviamento postale dei
comuni preesistenti. 130. I comuni possono promuovere il procedimento di
incorporazione in un comune contiguo. In tal caso, fermo restando il
procedimento previsto dal comma 1 dell'articolo 15 del testo unico, il
comune incorporante conserva la propria personalita', succede in tutti i
rapporti giuridici al comune incorporato e gli organi di quest'ultimo
decadono alla data di entrata in vigore della legge regionale di
incorporazione. Lo statuto del comune incorporante prevede che alle
comunita' del comune cessato siano assicurate adeguate forme di
partecipazione e di decentramento dei servizi. A tale scopo lo statuto e'
integrato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale
di incorporazione. Le popolazioni interessate sono sentite ai fini
dell'articolo 133 della Costituzione mediante referendum consultivo
comunale, svolto secondo le discipline regionali e prima che i consigli
comunali deliberino l'avvio della procedura di richiesta alla regione di
incorporazione.
Nel
caso
di aggregazioni di comuni mediante
incorporazione e' data facolta' di modificare anche la denominazione del
comune. Con legge regionale sono definite le ulteriori modalita' della
procedura di fusione per incorporazione. 131. Le regioni, nella
definizione del patto di stabilita' verticale, possono individuare idonee
misure volte a incentivare le unioni e le fusioni di comuni, fermo restando
l'obiettivo di finanza pubblica attribuito alla medesima regione. 132. I
comuni risultanti da una fusione, ove istituiscano municipi, possono
mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti
preesistenti alla fusione, non oltre l'ultimo esercizio finanziario del primo
mandato amministrativo del nuovo comune. 133. I comuni risultanti da
una fusione hanno tempo tre anni dall'istituzione del nuovo comune
per adeguarsi alla normativa vigente che prevede l'omogeneizzazione
degli ambiti territoriali ottimali di gestione e la razionalizzazione della
partecipazione a consorzi, aziende e societa' pubbliche di gestione, salve
diverse disposizioni specifiche di maggior favore. 134. Per l'anno 2014, e'
data priorita' nell'accesso alle risorse di cui all'articolo 18, comma 9, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 agosto 2013, n. 98, ai progetti presentati dai comuni istituiti per
133
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fusione nonche' a quelli presentati dalle unioni di comuni. 135. All'articolo
16, comma 17, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono apportate le
seguenti modificazioni: a) le lettere a) e b) sono sostituite dalle seguenti: «a)
per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, il consiglio
comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri e il
numero massimo degli assessori e' stabilito in due; b) per i comuni con
popolazione superiore a 3.000 e fino a 10.000 abitanti, il consiglio
comunale e' composto, oltre che dal sindaco, da dodici consiglieri e il
numero massimo di assessori e' stabilito in quattro»; b) le lettere c) e d)
sono abrogate. 136. I comuni interessati dalla disposizione di cui al comma
135 provvedono, prima di applicarla, a rideterminare con propri atti gli
oneri connessi con le attivita' in materia di status degli amministratori
locali, di cui al titolo III, capo IV, della parte prima del testo unico, al fine
di assicurare l'invarianza della relativa spesa in rapporto alla
legislazione vigente, previa specifica attestazione del collegio dei revisori
dei conti. 137. Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000
abitanti, nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura
inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico. 138. Ai comuni
con popolazione fino a 3.000 abitanti non si applicano le disposizioni di
cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 51 del testo unico; ai sindaci dei medesimi
comuni e' comunque consentito un numero massimo di tre mandati. 139.
All'articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148, le parole: «5.000 abitanti» sono sostituite dalle seguenti: «15.000
abitanti». 140. Il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla data
di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro
dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, un decreto legislativo recante la disciplina
organica delle disposizioni concernenti il comune di Campione d'Italia,
secondo le modalita' e i principi e i criteri direttivi di cui all'articolo 20
della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonche' nel
rispetto del seguente principio e criterio direttivo: riordino delle specialita'
presenti nelle disposizioni vigenti in ragione della collocazione territoriale
separata del predetto comune e della conseguente peculiare realta'
istituzionale, socio-economica, urbanistica, valutaria, sanitaria, doganale,
fiscale e finanziaria. 141. Dall'attuazione del comma 140 non devono
derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 142. All'articolo 1,
comma 1, e all'articolo 2, comma 1, della legge 7 giugno 1991, n. 182, e
successive modificazioni, le parole: «e provinciali» sono soppresse. 143. Il
comma 115 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e'
abrogato. 144. Le regioni sono tenute ad adeguare la propria legislazione
alle disposizioni della presente legge entro dodici mesi dalla data della sua
entrata in vigore. 145. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, le regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna e la Regione siciliana adeguano i propri ordinamenti interni ai
principi della medesima legge. Le disposizioni di cui ai commi da 104 a
141 sono applicabili nelle regioni a statuto speciale Trentino-Alto Adige
e Valle d'Aosta compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le
134
relative norme di attuazione,
anche
con riferimento alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 146. Con riferimento alle citta'
metropolitane e alle province trasformate ai sensi della presente legge,
fino a una revisione del patto di stabilita' che tenga conto delle funzioni a
esse attribuite, i nuovi enti sono tenuti a conseguire gli obiettivi di
finanza pubblica assegnati alle province di cui alla legislazione previgente
ovvero alle quali subentrano. 147. Fermi restando gli interventi di riduzione
organizzativa e gli obiettivi complessivi di economicita' e di revisione
della spesa previsti dalla legislazione vigente, il livello provinciale e delle
citta' metropolitane non costituisce ambito territoriale obbligatorio o di
necessaria corrispondenza per l'organizzazione periferica delle pubbliche
amministrazioni. Conseguentemente le
pubbliche amministrazioni
riorganizzano la propria rete periferica individuando ambiti territoriali
ottimali di esercizio delle
funzioni
non obbligatoriamente
corrispondenti al livello provinciale o della citta' metropolitana. La
riorganizzazione avviene secondo piani adottati dalle pubbliche
amministrazioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge; i piani sono comunicati al Ministero dell'economia e delle finanze,
al Ministero dell'interno per il coordinamento della logistica sul territorio,
al Commissario per la revisione della spesa e alle Commissioni
parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. I piani
indicano i risparmi attesi dalla riorganizzazione nel successivo triennio.
Qualora le amministrazioni statali o gli enti pubblici nazionali non
presentino i predetti piani nel termine indicato, il Presidente del Consiglio
dei ministri nomina, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello
Stato, un commissario per la redazione del piano. 148. Le disposizioni della
presente legge non modificano l'assetto territoriale degli ordini, dei collegi
professionali e dei relativi organismi nazionali previsto dalle rispettive
leggi istitutive, nonche' delle camere di commercio,
industria,
artigianato e agricoltura. 149. Al fine di procedere all'attuazione di
quanto previsto dall'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonche'
per accompagnare e sostenere l'applicazione degli interventi di riforma di
cui alla presente legge, il Ministro per gli affari regionali predispone,
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, appositi programmi
di attivita' contenenti modalita' operative e altre indicazioni finalizzate
ad assicurare, anche attraverso la nomina di commissari, il rispetto dei
termini previsti per gli adempimenti di cui alla presente legge e la verifica
dei risultati ottenuti. Su proposta del Ministro per gli affari regionali,
con accordo sancito nella Conferenza unificata, sono stabilite le modalita'
di monitoraggio sullo stato di attuazione della riforma. 150.
Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica. 151. La presente legge entra in vigore il
giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
(…)
Allegato III all’editoriale di Jörg Luther, pag 7.
(articolo 1, comma 34)
135
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Criteri e operazioni per la determinazione dell'indice ponderato cui
e' commisurato il voto per l'elezione degli organi elettivi delle citta'
metropolitane e delle province.
Per la determinazione degli indici di ponderazione relativi a ciascuna
citta' metropolitana e a ciascun provincia si procede secondo le seguenti
operazioni: a) con riferimento alla popolazione legale accertata e alle fasce
demografiche in cui sono ripartiti i comuni ai sensi del comma 33 si
determina il totale della popolazione di ciascuna delle fasce
demografiche cui appartengono i comuni della citta' metropolitana o della
provincia, la cui somma costituisce il totale della popolazione della citta'
metropolitana o della provincia; b) per ciascuna delle suddette fasce
demografiche, si determina il valore percentuale, calcolato sino alla terza
cifra decimale, del rapporto fra la popolazione di ciascuna fascia
demografica e la popolazione dell'intera citta' metropolitana o provincia;c)
qualora il valore percentuale del rapporto fra la popolazione di un comune
e la popolazione dell'intera citta' metropolitana o provincia sia maggiore
di 45, il valore percentuale del comune e' ridotto a detta cifra; il valore
percentuale eccedente e' assegnato in aumento al valore percentuale delle
fasce demografiche cui non appartiene il comune, ripartendolo fra queste
in misura proporzionale alla rispettiva popolazione; d) qualora per una o
piu' fasce demografiche il valore percentuale di cui alla lettera b),
eventualmente rideterminato ai sensi della lettera c), sia maggiore di 35, il
valore percentuale della fascia demografica e' ridotto a detta cifra; e'
esclusa da tale riduzione la fascia demografica cui appartiene il comune di
cui alla lettera c); il valore percentuale eccedente e' assegnato in aumento
al valore percentuale delle altre fasce demografiche della medesima citta'
metropolitana, ovvero della provincia, ripartendolo fra queste in misura
proporzionale alla rispettiva popolazione, in modo tale che il valore
percentuale di nessuna di esse superi comunque la cifra 35; e' esclusa da
tale operazione la fascia demografica cui appartiene il comune di cui alla
lettera c); e) si determina infine l'indice di ponderazione del voto degli
elettori dei comuni di ciascuna fascia demografica; tale indice e' dato, con
approssimazione alla terza cifra decimale, dal risultato della divisione del
valore percentuale determinato per ciascuna fascia demografica, secondo
quanto stabilito dalla lettera c), ovvero d), per il numero complessivo dei
sindaci e dei consiglieri appartenenti alla medesima fascia demografica,
moltiplicato per 1.000.
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