Giustiniano Sabbazio Giustiniano (Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus) meglio noto come Giustiniano I il Grande (482565), fu imperatore bizantino, dal 527 alla sua morte. Giustiniano fu uno dei più importanti sovrani dell'epoca altomedievale; il suo governo coincise con un periodo d'oro per l'Impero romano d'Oriente, dal punto di vista civile, economico e militare, con la riconquista di parte dei territori dell'Impero romano d'Occidente, per lo più grazie alle campagne di Belisario. Giustiniano portò avanti un progetto di edilizia civile che ha lasciato opere architettoniche di notevole importanza come la chiesa di Hagia Sophia a Costantinopoli; il suo patronato diede inoltre nuova linfa alla cultura. La maggiore eredità lasciata dall'Imperatore è la raccolta normativa del 535, poi conosciuta come Corpus iuris civilis, una compilazione omogenea della legge romana che è tutt'oggi alla base del diritto civile, l'ordinamento giuridico più diffuso al mondo. In occidente, il Corpus iuris venne preso come testo di riferimento solo a partire dal Basso Medioevo, dato che nell'Alto Medioevo i sovrani germanici che avevano abbattuto l'impero romano emanarono leggi proprie nei regni romano-germanici costituitisi. La peste che colpì l'impero durante il suo regno segnò la fine di un'epoca di splendore. Nipotre molto stimato generale Giustino, Giustiniano completò il classico corso di studi, occupandosi di giurisprudenza e filosofia. La sua carriera militare fu contrassegnata da rapidi avanzamenti, favoriti dalla proclamazione ad imperatore, nel 518, di Giustino. Giustiniano venne nominato console nel 521, e più tardi comandante dell'esercito d'Oriente. Funse da reggente molto prima che Giustino lo rendesse imperatore associato nel 527. Tra il 524 ed il 525, Giustiniano sposò Teodora, un'attrice teatrale con trascorsi da prostituta. Giustiniano, per sposarla, dovette superare parecchi ostacoli, il più importante dei quali era una legge che proibiva agli uomini di alto rango di sposare serve o attrici. Il futuro imperatore, tuttavia, riuscì a vincere le resistenze della madre e della zia, contrarie al matrimonio e superò l'ostacolo della legge persuadendo lo zio imperatore ad abrogarla; l'editto che abrogò la legge permise alle ex attrici pentite di sposare i cittadini di più alto rango, portando a sfumare la distinzione in classi alla corte bizantina. Teodora sarebbe divenuta molto influente nelle politiche dell'impero, e gli imperatori successivi avrebbero seguito l'esempio di Giustiniano sposandosi al di fuori della classe aristocratica. Il regno di Giustiniano ebbe un impatto mondiale, costituendo un'epoca distinta della storia dell'Impero bizantino e della Chiesa Ortodossa d'Oriente. Giustiniano fu un uomo di insolita abilità nel lavoro e possedeva un carattere moderato affabile e vitale, diventando privo di scrupoli e scaltro quando occorreva. Fu l'ultimo imperatore a tentare di restaurare l'Impero romano, riconquistando gran parte dei territori che facevano parte dell'Impero romano d'Occidente; a questo scopo diresse le sue grandi guerre e la sua colossale attività di costruzione. Partendo dalla premessa che l'esistenza del bene comune era affidata alle armi e alla legge, prestò particolare attenzione alla legislazione e e fece comporre quello che sarebbe diventato un monumento a sua perenne memoria, codificando il diritto romano nel Corpus iuris civilis. Lo storico Procopio ci fornisce la fonte primaria per la storia del regno di Giustiniano e dei segreti della sua corte. Uno degli episodi più notevoli intervenuti all’inizio del suo governo fu conseguenza di alcuni provvedimenti contro i giochi pubblici e le lotte tra i diversi tifosi fu una seria rivolta scoppiata durante i giochi dell'ippodromo alle idi di gennaio del 532. Tre giorni prima il praefectus urbi condannò a morte sette esponenti di entrambe le fazioni Ebbe così inizio la così detta rivolta di Nika, dal grido con cui le due fazioni diedero inizio alla rivolta. L'Imperatore tentò di trattare con i rivoltosi, ma ciò non bastò a spegnere la rivolta e le due fazioni proclamarono imperatore Ipazio, nipote di Anastasio I. Giustiniano, disperato, aveva già pronte le navi per fuggire dalla capitale ma Teodora riuscì a dissuaderlo affermando che avrebbe preferito morire da imperatrice piuttosto che perdere il trono fuggendo. Incoraggiato dalle parole di Teodora, Giustiniano diede a Narsete il compito di corrompere gli Azzurri con del denaro, mentre Belisario e Mundo dovevano sedare la rivolta con le armi, che si concluse con il massacro di oltre 30.000 persone nell'ippodromo. Il giorno successivo vennero giustiziati l'usurpatore Ipazio e il complice Pompeo. Negli anni successivi alla rivolta sembra che le fazioni si fossero comportate bene ed eventuali disordini furono stroncati sul nascere. L'Imperatore riedificò Santa Sofia e le altre chiese ed edifici danneggiati durante la rivolta. Giustiniano apportò alcune modifiche al sistema provinciale che si discostarono dai principi di Diocleziano: queste riforme prevedevano infatti per determinate regioni dell'Impero l'accentramento del potere amministrativo e militare (che secondo Diocleziano dovevano rimanere separati) nelle mani di un'unica persona, la soppressione di alcuni vicari e l'accorpamento di province più piccole in province più grandi. Queste riforme risalgono agli anni 535 e 536 e sono motivate dal tentativo di porre fine ai conflitti tra autorità civile e autorità militare. In particolare illustrano la volontà dell'imperatore di incrementare i poteri delle autorità minori e di diminuire i poteri dei governatori più potenti. Nel 541 Giustiniano abolì il consolato. Il motivo di tale provvedimento era il fatto che tale carica, oltre ad essere puramente onorifica, portava al dispendio di grandi somme di denaro. Infatti i consoli dovevano assumersi le spese per le celebrazioni all'inizio dell'anno, che ammontavano a 2.000 libbre d'oro, una cifra che non tutti potevano permettersi, per cui divenne sempre più difficile trovare persone disposte a spendere una tale quantità di denaro per assumere quella carica. In alcuni casi era l'Imperatore stesso a pagare le spese per il consolato al posto del console. Nel 538 Giustiniano promulgò una legge che abbreviò la durata delle feste per festeggiare il console e rese facoltativo lo spargimento di soldi alla popolazione, stabilendo che nel caso ci fosse stato sarebbero state sparse non monete d'oro ma monete d'argento.Il titolo di console divenne una carica che veniva assunta dall'Imperatore nel primo anno di regno. Furono promulgate alcune leggi per contrastare gli abusi e le iniquità commesse a danno dei sudditi. Una di queste leggi prevedeva l'abolizione delle suffragia, una somma di denaro che i governatori di province dovevano sborsare per ottenere il posto; secondo l'mperatore, i governatori, per rifarsi della spesa, spesso estorcevano con mezzi irregolari dai cittadini una somma da tre a dieci volte la somma che dovettero sborsare per ottenere il posto. L'Imperatore proibì ai governatori di pagare somme di denaro per ottenere cariche e i contravventori venivano puniti con l'esilio, la perdita delle proprietà o con punizioni corporali. Giustiniano confermò inoltre una legge che proibiva ai governatori che si dimettevano di lasciare la provincia prima di 50 giorni dalle dimissioni, in modo che potessero essere giudicati per eventuali reati commessi. Cercò anche di dare maggiore autorità al difensor civitatis, il magistrato che avrebbe dovuto difendere i diritti dei più deboli, ma che era diventato pressoché ininfluente e impotente; stabilì che il difensor civitatis sarebbe stato eletto tra gli individui più influenti della città, sarebbe stato in carica non più di due anni e avrebbe giudicato anche i casi minori. Istituì anche la figura del quaesitor, un magistrato che aveva l'incarico di indagare i motivi per cui i provinciali si fossero trasferiti a Costantinopoli e, nel caso non fossero validi, rispedirli nelle loro province natie. Una tale carica fu istituita per contrastare il trasferimento dei provinciali nella capitale, dove un aumento del proletariato avrebbe potuto causare numerosi problemi di ordine pubblico. Abolì inoltre la carica di praefectus vigilum, un ufficiale subordinato al praefectus urbis che aveva il compito di arrestare i malviventi, sostituendola con la carica di pretore dei demi. Quest'ultima carica, a differenza del praefectus vigilum, era indipendente dal praefectus urbi ed era sia un giudice che capo della polizia. Tuttavia queste leggi non riuscirono a eliminare la corruzione; infatti fonti contemporanee parlano di compravendita delle cariche e altri casi di corruzione, spesso ad opera dei ministri di Giustiniano. Giustiniano viene accusato da Procopio di aver dilapidato le casse statali, lasciate piene da Anastasio, con le sue guerre di conquista e con la sua attività edilizia e, una volta svuotate, di aver oppresso i sudditi facendosi erede di ricchi senatori con falsi testamenti, confiscando con pretesti vari le ricchezze di vari senatori e tassando i poveri. Inoltre, a dire di Procopio, il denaro accumulato in tal modo veniva elargito, sotto forma di tributi, ai barbari, rendendo così l'Impero loro tributario. Analisi moderne hanno calcolato che il bilancio statale ai tempi di Anastasio era di circa 8 milioni di nomismata con una riserva di 23 milioni. A smentita di quanto affermato da Procopio, alcuni storici moderni sostengono che Giustiniano spese sì grandi somme di denaro sfruttando le riserve di denaro ereditate da Anastasio, ma non in maniera sconsiderata come lo storico tardo-antico afferma. Sotto l'amministrazione di Giovanni di Cappadocia finì la compravendita delle cariche e, grazie ai tesori dei Goti e dei Vandali, nel 541 il bilancio sembra essere aumentato a 11,3 milioni di nomismata, circa un terzo in più rispetto ad Anastasio. La catastrofica epidemia di peste del 542 cambiò le carte in tavola. Probabilmente circa un quarto della popolazione dell'Impero venne uccisa dalla pestilenza e lo stesso Imperatore cadde malato. Inoltre la caduta in disgrazia del prefetto del pretorio Giovanni di Cappadocia, accusato di avere congiurato contro l'Imperatore, privò Giustiniano di un abile consigliere seppur impopolare. Per mantenere in attivo il bilancio statale, con le entrate in forte calo a causa della peste, l'Imperatore nominò Prefetto del pretorio Pietro Barsime, un banchiere disonesto. Pietro riuscì a mantenere in attivo il bilancio statale riprendendo la compravendita delle cariche e opprimendo i senatori con confische e altre iniquità. Per risparmiare smise inoltre di pagare i limitanei (cioè le truppe di frontiera) con il risultato che nel 545 numerosi soldati disertarono. Giustiniano comunque cercò di venire incontro ai suoi sudditi: poiché gli abitanti delle province erano gravati dall'onere di fornire cibo agli eserciti ivi stanziati e trasportare le scorte negli accampamenti, egli con una legge del 545 stabilì che da in quel momento in poi sarebbero stati pagati in pieno per il cibo fornito agli eserciti e che gli eserciti non avrebbero potuto più prelevare dalla popolazione cibo gratuitamente o senza autorizzazione scritta. Tentò anche di combattere gli abusi nella riscossione dell'epibola, una tassa gravosa pagata dai proprietari terrieri per le terre non coltivabili adiacenti ai loro latifondi; la peste e le devastazioni apportate dai Persiani sembrano tuttavia aver reso la riscossione dell'epibola frequente e gravosa. Nel 558 scoppiò di nuovo la peste, che probabilmente vanificò ogni tentativo di ripresa demografica ed economica e che spinse il prefetto del pretorio Pietro Barsime (al suo secondo mandato) ad adottare gli stessi metodi impopolari del suo primo mandato pur di mantenere in attivo il bilancio statale. Nel 565, alla morte di Giustiniano, il bilancio statale era di 8,3 milioni di nomismata, quasi lo stesso dei tempi di Anastasio. La peste aveva impoverito lo stato e costretto, insieme alle guerre di conquista e all'attività edilizia, Giustiniano a metodi oppressivi che lo resero impopolare. Secondo alcuni storici Giustiniano ebbe il merito di aver saputo affrontare efficacemente la forte crisi provocata dalla peste, impedendo, seppur a malapena e con metodi impopolari, il completo collasso economico e militare dello stato bizantino. Ai tempi di Giustiniano Costantinopoli, grazie alla sua posizione geografica privilegiata, dominava i traffici commerciali nel mediterraneo. I Bizantini non erano granché interessati a commerciare con nazioni europee, ormai impoverite dalle invasioni barbariche; preferirono piuttosto stringere contatti commerciali con le nazioni dell'Estremo Oriente, come India e Cina, dove veniva prodotta la seta. I Cinesi importavano dai Bizantini vasellame e stoffe prodotte in Siria ed esportavano la seta. Un grosso ostacolo ai traffici con l'Estremo Oriente era però rappresentato dalla Persia, nemico giurato dell'Impero, sul cui territorio era necessario passare per giungere in Cina. Una conseguenza di ciò è che durante i frequenti conflitti con i Persiani Sasanidi i traffici con Cina e India non erano possibili. Giustiniano cercò di ovviare a questo problema tentando di aprirsi un passaggio per la Cina attraverso la Crimea, e in questa occasione i Bizantini avviarono delle relazioni diplomatiche con i Turchi, anch'essi venuti in conflitto commerciale con i Sasanidi. Sotto il successore di Giustiniano, Giustino II, Bizantini e Turchi si allearono contro i Persiani. Un altro modo con cui Giustiniano cercò di commerciare con la Cina senza passare per la Persia fu giungere via mare passando per il Mar Rosso e per l'Oceano Indiano. In quest'occasione strinse rapporti commerciali con gli Etiopi Tuttavia entrambe le vie alternative presentavano incovenienti: l'Oceano Indiano era dominato dai mercanti sasanidi mentre la via asiatica era impervia e piena di pericoli. Il problema fu risolto dall'astuzia di alcuni agenti bizantini che, in un viaggio in Oriente, riuscirono ad impadronirsi del segreto della produzione della seta e riuscirono a portare di nascosto a Costantinopoli dei bachi da seta. La fioritura della produzione della seta nell'Impero che ne seguì fece sì che la produzione della seta divenne uno dei settori più importanti dell'industria bizantina e portò a un considerevole aumento delle entrate. I principali centri di produzione della seta nell'Impero erano Costantinopoli, Antiochia, Tiro, Beirut e Tebe I Bizantini esportavano dai popoli delle steppe stoffe, ornamenti e vino e importavano pelli, cuoio e schiavi. L'Egitto importava dall'India le spezie. Il commercio delle spezie potrebbe aver contribuito alla diffusione dell'epidemia di peste che colpì l'Impero durante il regno di Giustiniano; sembra infatti che l'epidemia si sia originata dall'Etiopia e da lì, tramite il commercio, sarebbe giunta in Egitto da dove si sarebbe diffusa per tutto l'Impero. La peste colpì duramente soprattutto i commerci, che entrarono in crisi. Se i piani militari o le sue risposte alle gravi crisi demografica, economica e sociale non ebbero particolare successo, Giustiniano conquistò una fama duratura per la sua rivoluzione giuridica, che organizzò il diritto romano in una forma e uno schema organico rimasto alla base della legge di diverse nazioni odierne. La sua attività può essere opportunamente suddivisa in tre periodi. Il "primo" periodo, dal 528 al 534, fu caratterizzato dalle grandi compilazioni, con la preparazione e la pubblicazione di: Il primo Codice (Novus Iustinianus Codex), dal 528 al 529. Il Digesto, o Pandette (Digestum, seu Pandectae), dal 530 al 533, una raccolta di iura (opere di giuristi presieduti da Triboniano). Le Istituzioni (Institutiones Iustiniani sive Elementa), 533, destinate all'insegnamento del diritto nelle scuole. Il secondo Codice (Codex repetitae praelectionis), 534, ossia il Codice vero e proprio con la raccolta delle leges imperiali. Il lavoro compiuto in questo periodo risentì positivamente del coordinamento operato da Triboniano: il quaestor sacri palatii era infatti un esperto e colto giurista, perfettamente a suo agio anche nel maneggiare leggi vecchie di secoli. Il "secondo periodo", dal 535 al 542, fu caratterizzato da un'intensa legislazione "corrente" (per mezzo delle Novellae constitutiones, che raccolsero i frutti dell'intensa stagione legislativa tra il 535 e il 542). Il "terzo periodo", infine, dal 543 al 565, anche per la minore, o diversa, qualità dei collaboratori, vide l'attività legislativa (sempre per mezzo di Novellae) farsi sempre più scarsa e scadente. Il Corpus Iuris Civilis fu formato da tali opere, nelle quali le nuove leggi si armonizzavano con quelle antiche. Nel primo periodo furono scritte in latino, lingua ufficiale dell'impero ma scarsamente conosciuto dai cittadini delle province orientali (anche se lo stesso Giustiniano era di lingua, cultura e mentalità latine e parlava con difficoltà il greco). Il latino infatti era sostanzialmente la lingua dell'amministrazione, della giustizia e dell'esercito, mentre le principali lingue d'uso nella parte orientale dell'impero erano il greco e, in minor misura, il copto, l'aramaico e l'armeno (rispettivamente in Egitto, Siria ed alcune regioni dell'Asia Minore). Se il dominio romano, repubblicano prima ed imperiale dopo, era riuscito ad imporre con successo il proprio diritto e le proprie istituzioni politiche e militari, il sostrato culturale delle province orientali dell'impero continuò ad essere improntato in larga misura a forme e moduli di tipo tardo-ellenistico. Per ovviare a ciò, le opere successive (dalle Novellae in poi) vennero redatte pragmaticamente in greco, lingua più utilizzata dal popolo e dalla pratica amministrativa quotidiana. Il Corpus forma la base della giurisprudenza latina (compreso il diritto canonico) e, per gli storici, fornisce una preziosa visione dall'interno, delle preoccupazioni e delle attività dei resti dell'Impero Romano. Raccoglie assieme le molte fonti in cui le leges (leggi) e le altre regole erano espresse o pubblicate: leggi vere e proprie, senatoconsulti (senatusconsulta), decreti imperiali, rescritti, opinioni e interpretazioni dei giuristi (responsa prudentium). Il Corpus viene definito un "monumento alla sapienza giuridica di Roma" e fu alla base della rinascita degli studi giuridici e delle istituzioni politiche in Europa, tanto che ancora oggi costituisce il fondamento di molti sistemi giuridici nazionali nel mondo. Anche in campo amministrativo la sua attività fu notevole: dopo la rivolta di Nika iniziò a rinnovare l'impero coadiuvato dal prefetto Giovanni di Cappadocia, accorpando province, potenziando l'accentramento amministrativo e iniziando una rigorosa politica finanziaria improntata al taglio degli sprechi ed al recupero sistematico delle somme dovute allo Stato. Come i suoi predecessori romani e successori bizantini, Giustiniano si impegnò in guerra contro la Persia della dinastia sasanide. Comunque, le sue principali ambizioni militari si concentrarono sul Mediterraneo occidentale, dove il suo generale Belisario guidò la riconquista di parti del territorio del vecchio Impero Romano. Nel 533 Giustiniano trovò un pretesto per dichiarare guerra ai Vandali: nel 530 il loro re Ilderico, di fede cattolica, era stato infatti rovesciato dal cugino (di fede ariana) Gelimero, che assunse il potere. Giustiniano, in buoni rapporti con Ilderico, intimò a Gelimero di restituire il trono al legittimo re, ma al suo rifiuto, dichiarò guerra ai Vandali. Belisario ottenne il comando della spedizione e, arrivato in Africa, riuscì a infliggere una seria sconfitta alla popolazione barbarica. Due giorni dopo Belisario entrò a Cartagine e, infliggendo un'altra sconfitta ai Vandali, li costrinse infine alla resa. L'Impero ritornò così in possesso dell'Africa vandalica, Sardegna, Corsica e Isole Baleari. Immediatamente dopo la vittoria, nell'aprile 534, l'imperatore Giustiniano promulgò una legge riguardante l'organizzazione amministrativa dei nuovi territori. L'Augusto ripristinò la vecchia amministrazione, ma promosse il governatore a Cartagine a prefetto del pretorio: L'intento di Giustiniano era quello di cancellare ogni traccia della conquista vandala, come se non ci fosse mai stata. Il cattolicesimo ritornò ad essere la religione ufficiale delle nuove province e gli Ariani vennero perseguitati. Anche la proprietà terriera venne riportata a com'era prima della conquista vandalica, ma la scarsità di validi titoli di proprietà dopo 100 anni di dominio vandalico provocarono un caos amministrativo e giuridico. A capo dell'amministrazione militare venne posto il magister militum Africae, con un subordinato magister peditum e quattro comandi regionali di frontiera sotto il comando di un dux. Questa organizzazione venne introdotta gradualmente, poiché a quel tempo i Romani erano impegnati nella lotta contro i Mauri. Le campagne successive in Africa, volte soprattutto a difendere i territori bizantini dagli attacchi dei Mauri, culminarono nel 548 in una campagna vittoriosa. Giustiniano trovò quindi il pretesto per dichiarare guerra agli Ostrogoti, che governavano a quei tempi l'Italia, nell'assassinio della reggente Amalasunta compiuto da Teodato per impadronirsi del trono. Secondo lalcune fonti antiche non completamente attendibili ad ordire l'assassinio di Amalasunta sarebbe stata addirittura Teodora. L'imperatore affidò l'impresa di riconquistare l'Italia a Belisario, console per l'anno 535, mentre Mundo ricevette l'incarico di invadere la Dalmazia. Belisario avanzò in Sicilia, conquistandola in breve tempo, mentre contemporaneamente Mundo riuscì a soggiogare la Dalmazia. Allarmato per i primi successi bizantini, il re goto Teodato avviò le trattative di pace con Giustiniano promettendo di consegnare il regno ostrogoto all'Impero in cambio di una pensione annuale. Tuttavia una vittoria in Dalmazia dei Goti sulle truppe imperiali fece recuperare le speranze a Teodato che cambiò idea, decretando il proseguimento delle ostilità. Nel 536 Belisario attraversò lo stretto di Messina, sottomise senza trovare quasi alcuna opposizione l'Italia meridionale e si diresse a Roma, che conquistò. Nel frattempo i Goti, insoddisfatti della passività di Teodato, lo uccisero per eleggere re Vitige, il quale preparò la controffensiva gota che si manifestò nell'assedio di Roma protrattosi per un anno. Durante l'assedio di Roma del 537-538, l'assediato Belisario chiese, ottenendoli, nuovi rinforzi all'imperatore. Il comandante dei rinforzi, l'eunuco Narsete, non era tuttavia disposto ad obbedire agli ordini di Belisario e, sentendosi legittimato dalla discrezionalità accordatagli da Giustiniano, intraprese la conquista dell'Emilia nonostante il disaccordo di Belisario. La conseguente disunione dell'esercito imperiale, diviso in una fazione fedele a Belisario e l'altra al seguito di Narsete, comportò la riconquista gota di Milano, in seguito alla quale Giustiniano richiamò Narsete a Costantinopoli. Senza più Narsete ad ostacolarlo, Belisario poté riprendere la riconquista dell'Italia, impadronendosi con l'inganno della capitale dei Goti Ravenna e facendo prigioniero il re Vitige, che portò con sé a Costantinopoli. Belisario era in disaccordo con Giustiniano sul che fare dei territori riconquistati: Giustiniano avrebbe voluto lasciare che gli Ostrogoti governassero uno stato a nord del Po, mentre Belisario avrebbe preferito fare dell'intera Italia un territorio imperiale romano-bizantino. Deluso da Belisario, Giustiniano inviò quest'ultimo ad oriente, a difendere l'impero dai rinnovati attacchi dei Persiani. Dopo aver stabilito una nuova pace sul fronte orientale, Belisario fece ritorno in Italia (544), dove gli Ostrogoti, condotti dal loro nuovo re Totila, avevano recuperato terreno. Lo scarso numero di truppe fornitegli dall'imperatore impedì però al generale bizantino di contrastare efficacemente Totila: per tale motivo, egli non osò mai avventurarsi nell'interno della penisola, ma piuttosto preferì spostamenti marittimi navigando lungo le coste. Nonostante tali difficoltà, Belisario riuscì a riconquistare Roma, riuscendo perfino a resistere ad un tentativo di riconquista della città da parte di Totila. Infine, Giustiniano, su richiesta della consorte di Belisario, lo richiamò a Costantinopoli, dove lo accolse con grandi onori. Dopo la partenza di Belisario dall'Italia, Totila riconquistò Roma e altre città, giungendo a invadere persino la Sicilia e la Sardegna. Giustiniano, a questo punto, inviò in Italia il generale eunuco Narsete per cercare di concludere una volta per tutte la guerra gotica. Narsete, supportato da truppe adeguate allo scopo, riuscì a sconfiggere definitivamente i Goti (uccidendo prima Totila e poi il suo successore Teia), e a conquistare tutta l'Italia (553); la conquista non si rivelò però salda, dal momento che la parte settentrionale della penisola venne invasa dai Franchi e Alamanni mentre alcune fortezze gote ancora resistevano. Narsete riuscì a superare anche questi nuovi ostacoli, e nel 555 l'ultima fortezza gota a sud del Po capitolò. Gli anni successivi furono dedicati alla conquista delle città a nord del Po rimaste in mano gota e franca: nel 559 Milano e la Venezia risultavano già essere in mano imperiale, mentre nel 562, con la resa di Brescia e Verona, la conquista dell'Italia poté dirsi completa. Ma le conquiste di Narsete non furono durature e, a causa dello spopolamento e delle frequenti razzie di Franchi e Alamanni, non si ebbe mai un'ordinata gestione dei territori recuperati. Con la Pragmatica Sanzione del 554 la legislazione imperiale fu estesa all'Italia. La Dalmazia entrò a far parte della prefettura del pretorio dell'Illirico mentre la Sicilia non entrò a far parte di nessuna prefettura. La prefettura del pretorio d'Italia fu ristretta quindi alla penisola italiana, escludendo le isole. La massima autorità civile era in teoria il prefetto del pretorio risiedente a Ravenna ma nei fatti l'autorità civile fu sempre limitata fin dal principio da quella militare. Fu infatti il generalissimo Narsete ad assumere il governo effettivo dell'Italia. Pare che la prefettura d'Italia fu suddivisa in due diocesi, come nel tardo impero romano. L'Imperatore, mostrando soddisfazione per la fine del "tiranno Totila", annullò tutti i provvedimenti di quel re goto, confermando però le leggi dei suoi predecessori: questi provvedimenti erano volti ad annullare la riforma sociale di Totila, che aveva colpito gli interessi della classe senatoria con confische e l'affrancamento dei servi, e restaurare l'ordine preesistente alla guerra. Inoltre promise a Roma fondi per la ricostruzione dei danni della guerra, e tentò di porre fine agli abusi fiscali compiuti dai suoi sottoposti nella penisola, ma questi provvedimenti non ebbero molto effetto. Anche se alcune fonti contemporanee propagandistiche parlano di un Italia florida e rinata dopo la conclusione del conflitto, la realtà doveva essere ben diversa: la guerra aveva infatti inflitto all'Italia danni che non fu possibile cancellare in breve tempo, e, anche se Narsete e i suoi sottoposti ricostruirono numerose città distrutte dai Goti, la situazione dell'Italia era comunque disastrosa, dato che le campagne erano talmente devastate da essere irrecuperabili e la Chiesa riceveva proventi solo dalle isole o da zone esterne alla Penisola; inoltre i tentativi di Giustiniano di porre fine agli abusi nella riscossione delle tasse in Italia non ebbero effetto, poiché ancora esistevano, mentre il senato romano entrò in una crisi irreversibile e scomparve agli inizi del VII secolo. La conquista dell'Italia fu tuttavia effimera: infatti tre anni dopo la morte di Giustiniano, nel 568, i Longobardi invasero la penisola e in pochi anni riuscirono ad occuparne circa due terzi. Nel corso del 551 il regno visigoto fu colpito da una grave guerra civile: un pretendente al trono, Atanagildo, era infatti insorto contro il re legittimo Agila I, chiedendo aiuti militari proprio all'Impero romano d'Oriente per rovesciare il legittimo sovrano; Giustiniano decise di accettare la richiesta di aiuto giuntagli da Atanagildo, intendendo approfittare della guerra civile tra i Visigoti per strappare loro territori in Spagna meridionale; affidò il comando della spedizione a Liberio, che invase la Spagna meridionale in supporto di Atanagildo; sullo svolgimento della guerra le cronache dell'epoca non sono molto dettagliate, ma intorno al 555 la guerra civile terminò con l'uccisione di Agila e l'ascesa al trono di Atanagildo, che però non riuscì a ottenere il ritiro delle truppe imperiali dalle città da esse occupate. I territori occupati dalle truppe imperiali (che comprendevano parte della Spagna meridionale) formarono la nuova provincia di Spania, che resistette agli assalti visigoti fino al 624, anno in cui i Bizantini furono espulsi dalla Spagna. Sembra che i Bizantini abbiano occupato parte della Spagna, non solo per portare avanti il progetto di restauratio imperii giustinianea, ma anche per formare una zona "cuscinetto" (la Spagna bizantina appunto) per impedire ai Visigoti di invadere l'Africa bizantina. Lo squilibrio creato a oriente dalle campagne in Europa occidentale fu subito colto dai Persiani, che tra il 540 e il 562 invasero l'Armenia e la Siria, espugnando anche la metropoli di Antiochia la cui popolazione venne deportata in Persia. Giustiniano fu costretto a richiamare Belisario a Costantinopoli per inviarlo contro i Persiani nel 541 ma il generale, pur ottenendo qualche successo, non riuscì a ottenere una vittoria definitiva. Nel 545 Giustiniano riuscì a ottenere una tregua a caro prezzo, non valida tuttavia per la Lazica, dove la guerra riprese con intensità nel 549, dopo la rivolta della popolazione locale, oppressa dai Persiani, che chiese aiuto a Bisanzio. Il conflitto che ne risultò, detta guerra lazica, durò fino al 557 ma fu solo nel 561 che venne firmata la pace con la quale i Bizantini riottenevano il controllo della regione ma al prezzo di un tributo da versare ai Persiani. L’impero romano alla morte di Giustiniano Inoltre anche le frontiere balcaniche erano messe a rischio dalle popolazioni di Slavi che, nonostante la robustezza delle fortezze imperiali, sulle quali Giustiniano aveva investito molti soldi, invadevano quasi ogni anno i Balcani massacrando e saccheggiando le province bizantine senza incontrare quasi alcuna resistenza. Infatti, a causa delle campagne in Occidente, le frontiere balcaniche furono sguarnite di truppe e di ciò ne approfittarono i barbari che nel 559 giunsero a minacciare direttamente Costantinopoli e furono respinti solo per merito di Belisario. Giustiniano I ricostruì in modo grandioso la basilica di Santa Sofia, facendola diventare la più grande chiesa della cristianità..La politica religiosa di Giustiniano rifletteva la convinzione imperiale che l'unità dell'impero presupponesse incondizionatamente l'unità della fede; e con lui sembrò un dato di fatto che questa fede potesse essere solo l'ortodossia. Gli appartenenti ad un credo differente dovettero riconoscere che il processo iniziato a partire da Costantino II sarebbe continuato con vigore. Il Codice Giustiniano conteneva due statuti i quali decretavano la totale distruzione dell'Ellenismo, anche nella vita civile; queste disposizioni vennero attuate con zelo. Le fonti contemporanee parlano di gravi persecuzioni, anche di uomini altolocati. Forse, l'evento più degno di nota avvenne nel 529, quando gli insegnamenti dell'Accademia di Atene di Platone vennero posti sotto il controllo dello stato per ordine di Giustiniano, soffocando in pratica questa scuola di formazione dell'ellenismo. Il Paganesimo venne soppresso attivamente. Altre popolazioni, tra cui gli Unni, accettarono la cristianità Anche gli Ebrei soffrirono; non solo le autorità restrinsero i loro diritti civili, e minacciarono i loro privilegi religiosi, ma l'imperatore interferì negli affari interni della sinagoga, vietando ad esempio l'uso della lingua ebraica nel culto. I recalcitranti vennero minacciati con punizioni corporali, esilio e perdita delle proprietà. L'imperatore ebbe molti problemi con i Samaritani, considerati refrattari alla cristianità e ripetutamente in insurrezione. Questo gruppo etnico religioso, che alle soglie dei VI secolo era divenuto dominante in Samaria, era avversato dai cristiani ed anche dagli Ebrei. In quanto di religione non accettabile, essi subirono le stesse restrizioni di diritti civili subite dagli eretici. Una prima rivolta samaritana scoppiò nel 529, a causa dell'usanza da parte dei bambini cristiani di lanciare sassi contro le sinagoghe dei Samaritani dopo la messa della domenica; i Samaritani, che in genere sopportavano questa usanza, in quell'occasione reagirono rivoltandosi e massacrando la popolazione cristiana; nominarono successivamente imperatore un brigante di nome Giuliano, ma la loro rivolta venne rapidamente repressa nel sangue. I superstiti della rivolta tentarono senza successo di consegnare la Palestina ai Persiani (con cui l'Impero era in guerra) l'anno successivo. Giustiniano punì i Samaritani con una legge del 531 che ordinava la distruzione delle sinagoghe samaritane e li privava del diritto di lasciare in eredità i propri beni a meno che gli eredi non fossero cristiani ortodossi. Successivamente, nel 551, l'Imperatore, dopo aver avuto dal vescovo di Cesarea Sergio assicurazioni che la conversione dei Samaritani era a un buon punto e sarebbero rimasti tranquilli, rimosse con la legge Novella 129 alcune restrizioni civili che gravavano sui Samaritani tra cui il divieto di lasciare in eredità i loro beni ad altri samaritani. Alla metà dell'estate del 556, tuttavia, scoppiò la seconda rivolta samaritana. I Samaritani, che erano già stati decimati circa tre decenni prima, insorgevano in Cesarea, uniti questa volta ad alcuni alleati Ebrei. Anche questa rivolta fu annientata senza pietà. L'uniformità della politica di Giustiniano significò che anche i Manichei (che credevano in una religione dualista basata sulla Luce e le Tenebre) soffrirono dure persecuzioni, sperimentando sia l'esilio che la minaccia della pena capitale. A Costantinopoli, in un'occasione, molti manichei, dopo una dura ma manipolata inquisizione, vennero giustiziati alla presenza di Giustiniano in persona: alcuni sul rogo, altri per affogamento. Come per l'amministrazione secolare, il dispotismo apparve anche nella politica ecclesiastica dell'imperatore. Egli regolava tutto, sia nella religione che nella legge. Agli inizi del suo regno, ritenne appropriato promulgare per legge il suo credo nella Trinità e nell'Incarnazione; e di minacciare tutti gli eretici con delle punizioni.; dove successivamente dichiarava che aveva stabilito di privare tutti i disturbatori dell'ortodossia dell'opportunità, per tale offesa, di un giusto processo di legge Giustiniano rese il credo niceno-costantinopolitano l'unico simbolo della Chiesa e concesse valore legale ai canoni dei quattro concili ecumenici. I vescovi che parteciparono al Secondo concilio di Costantinopoli del 553, riconobbero che non poteva essere fatto niente nella Chiesa, che fosse contrario alla volontà e agli ordini dell'imperatore; mentre, da parte sua, l'imperatore, nel caso del Patriarca Antimo, rafforzò il bando della Chiesa con la proscrizione temporale. Diversi vescovi dovettero subire l'ira del tiranno. D'altra parte è vero che non negò alcuna opportunità per assicurare i diritti della Chiesa e del clero e per proteggere ed ampliare il monachesimo. In realtà, se il carattere dispotico delle sue misure non fosse stato così discutibile, si potrebbe essere tentati di chiamarlo un padre della Chiesa. Sia il Codex che le Novellae contengono molti decreti riguardanti donazioni, fondazioni, e l'amministrazione della proprietà ecclesiastica; elezioni e diritti di vescovi, sacerdoti ed abati; vita monastica, obblighi residenziali del clero, condotta del servizio divino, giurisdizione episcopale, ecc. Giustiniano inoltre ricostruì la Chiesa di Hagia Sophia, il cui sito originale era stato distrutto durante la rivolta Nika. La nuova Hagia Sophia, con le sue numerose cappelle e sacrari, la cupola ottagonale dorata, e i mosaici, divenne il centro e il monumento più visibile dell'Ortodossia Orientale a Costantinopoli. Dalla metà del V secolo in poi, compiti sempre più ardui dovettero essere affrontati dagli imperatori d'oriente, nella provincia della gestione ecclesiastica. I radicali di tutte le parti sentivano la costante repulsione per il credo che era stato adottato dal concilio di Calcedonia, con lo scopo di mediare tra le parti dogmatiche. La lettera di Papa Leone I a Flaviano di Costantinopoli, ad oriente veniva ampiamente considerata come opera di Satana, quindi nessuno si curava di dare ascolto a ciò che proveniva dalla Chiesa di Roma. Gli imperatori, comunque, dovevano lottare con un duplice problema. In primo luogo avevano una politica di preservare l'unione tra Oriente ed Occidente, tra Bisanzio e Roma; questo rimaneva possibile solo se non si discostavano dalla linea definita a Calcedonia. In secondo luogo, le fazioni ad oriente, che erano divenute inquiete e disaffezionate a causa di Calcedonia, richiedevano di essere tenute sotto controllo e pacificate. Questo problema si dimostrò il più difficile, poiché i gruppi dissidenti ad Oriente, eccedevano il partito che appoggiava Calcedonia, sia in termini di numeri, sia di abilità intellettuale. Il corso degli eventi dimostrò l'incompatibilità dei due obbiettivi: chiunque sceglieva Roma e l'Occidente doveva rinunciare all'Oriente e viceversa. Giustiniano entrò nell'arena dello statismo ecclesiastico poco dopo l'ascesa dello zio, nel 518, ponendo fine allo scisma monofisita, che durava, tra Roma e Bisanzio, sin dal 483. I vescovi monofisiti vennero privati della loro carica ed esiliati, mentre le comunità monastiche eretiche in Oriente vennero disperse e i loro conventi chiusi. Il riconoscimento della sede romana come della più alta autorità ecclesiastica, rimase la chiave di volta della sua politica occidentale, nonostante suonasse offensiva a molti ad oriente. Comunque Giustiniano, una volta salito al trono, non rinunciò a trovare una formula teologica compromissoria che potesse andare bene sia per i Calcedoniani che per i monofisiti moderati. Nel 529 permise ai vescovi esiliati di ritornare, e li invitò a partecipare a un'assemblea che avrebbe dovuto risolvere la questione. L'assemblea, tenutasi nel 531, non portò però a risultati. Giustiniano però non desistette dal tentativo di conciliazione e trovò una possibile formula teologica compromissoria nella dottrina teopaschita. All'inizio era dell'opinione che la questione rivolgeva attorno a parole di poca importanza. Per gradi comunque, Giustiniano venne a comprendere che la formula in questione non solo appariva ortodossa, ma poteva anche servire come misura conciliatoria nei confronti dei monofisiti, e fece un vano tentativo per usarla nella conferenza religiosa con i seguaci di Severo di Antiochia, nel 533. Ancora, Giustiniano rivide la stessa con approvazione nell'editto religioso del 15 marzo 533, e si congratulò con sé stesso poiché Papa Giovanni II aveva ammesso l'ortodossia della confessione imperiale. Questo tentativo di compromesso non toccava però la questione principale e non ebbe grande successo. L'Imperatrice Teodora era una convinta monofisita e influenzò la politica del marito. Nei primi anni della guerra gotica combattuta contro i Goti per la riconquista dell'Italia, l'Imperatore, evidentemente per mantenere il favore degli italici di fede calcedoniana, abbandonò ogni tentativo di compromesso avviando una nuova persecuzione contro i monofisiti. Nel 536, su pressioni di Papa Agapito I, il patriarca di Costantinopoli Antimo, monofisita, venne deposto e sostituito dal calcedoniano Mena, che nel maggio dello stesso anno convocò un sinodo che condannò gli scritti dei patriarchi monofisiti Antimo e Severo (eletti per volere di Teodora). Gli atti del sinodo vennero poi ratificati con un editto dall'Imperatore, che proibì con la stessa legge ai deposti patriarchi Antimo e Severo di risiedere nelle grandi città. L'Imperatrice Teodora, convinta monofisita, allora, si oppose alla politica ostile del marito ponendo sotto la sua protezione i membri più eminenti della Chiesa monofisita e tramando per porre sul seggio papale un pontefice che appoggiasse il monofisismo. Si mise in contatto con l'apocrisario papale Vigilio, promettendogli che avrebbe fatto in modo che divenisse Papa ma solo a condizione che avrebbe ripudiato il Concilio di Calcedonia e avrebbe ristabilito Antimo come patriarca. Nello stesso tempo ordinò al generale Belisario e a sua moglie Antonina, in quel momento a Roma (che avevano strappato ai Goti), di deporre con l'accusa di tradimento Papa Silverio. Dopo la deposizione di detto papa, Teodora fece in modo che il suo successore fosse proprio Vigilio. Questi però non mantenne la promessa fatta a Teodora per ottenere il papato, e si mantenne ligio all'ortodossia. Successivamente scoppiò la controversia dei Tre Capitoli, che significò nuovi contrasti con Roma. L'Imperatore fu infatti convinto che, per ottenere la conciliazione con i monofisiti, bisognasse condannare alcuni scritti contro il monofisismo, ovvero quelli di Teodoreto di Ciro, di Iba di Edessa e di Teodoro di Mopsuestia, in quanto, pur essendo stati accettati dal concilio di Calcedonia, erano accusati dai monofisiti di essere nestoriani. Seppur con iniziali esitazioni, i patriarchi orientali approvarono la condanna dei Tre Capitoli, ma a condizione che anche il Papa fosse d'accordo. La condanna di questi scritti non fu però accettata in Occidente, e di fronte al silenzio papale, Giustiniano passò alle maniere forti deportando Papa Vigilio a Costantinopoli per costringerlo ad approvare l'editto dei Tre Capitoli. Nel 548 infine, Vigilio, cedendo alle pressioni dell'Imperatore, approvò la condanna seppur con riserve, anche se la protesta dei vescovi occidentali (che minacciavano lo scisma) lo spinse a tornare sui propri passi, riuscendo a persuadere l'Imperatore a convocare un concilio che ponesse fine alla questione evitando al contempo un possibile scisma. Prima di convocare tale concilio, però, l'Imperatore si volle assicurare che nulla andasse contro i suoi piani e, a tal fine, depose i patriarchi di Alessandria e di Gerusalemme perché rei di non aver approvato la condanna. Nel 551, infine, emise un nuovo editto dei Tre Capitoli, che però non ricevette l'approvazione del Papa, il quale per questo motivo subì un tentativo di aggressione da parte della polizia imperiale e venne trattato per i successivi due anni come un prigioniero. Nel 553, infine, si tenne il concilio di Costantinopoli II, che, in assenza del papa (che si era rifiutato di prendere parte al concilio), sancì la condanna dei Tre Capitoli. Nella condanna dei tre capitoli Giustiniano cercò di soddisfare sia l'Oriente che l'Occidente, ma finì col non soddisfare nessuno. Anche se il Papa acconsentì alla condanna, l'Occidente credeva che l'imperatore avesse agito in maniera contraria ai decreti di Calcedonia; e anche se molti delegati ad Oriente risultarono asserviti a Giustiniano, molti altri, specialmente i monofisiti, rimasero insoddisfatti. Così l'imperatore sprecò i suoi sforzi per un compito impossibile; il più amaro per lui poiché durante i suoi ultimi anni ebbe grande interesse per le questioni teologiche. Giustiniano mise mano personalmente a manifesti teologici che portò avanti come imperatore; anche se, in ragione della posizione dell'autore, diventa difficile discernere se i documenti attualmente attribuiti al suo nome provenivano anche dalla sua penna. La teologia sostenuta in questi scritti concordava, in generale, con quella di Leonzio II di Bisanzio; in quanto mirava alla soluzione finale del problema, interpretando il simbolo calcedoniano in termini della teologia di Cirillo di Alessandria. Due punti si devono notare al riguardo; la furbizia con cui l'imperatore, o i suoi rappresentanti, riuscirono a difendere la reputazione e la teologia di Cirillo e l'antagonismo con Origene, un chiaro segno della caratteristica mancanza di inclinazione di quell'epoca per il pensiero indipendente, almeno tra personaggi influenti. All'epoca di Giustiniano, la mentalità e i costumi bizantini quasi nulla avevano di romano; le influenze orientalistiche, e la religione cristiana, avevano infatti impresso all'Impero tendenze nuove, da quando gli Imperatori avevano deciso di interferire negli affari di Chiesa, tentando di porsi al di sopra del Papa (cesaropapismo). In questo modo l'Impero d'Oriente si trasformò ben presto in una teocrazia e l'Imperatore aveva assunto un carattere sacro. Nonostante questa evoluzione del potere imperiale, fino all'epoca di Eraclio (610-641) l'Impero romano d'Oriente/bizantino era ancora romano per leggi, esercito, istituzioni (il sistema provinciale era ancora quello di Diocleziano e Costantino, mentre varie cariche (proconsole, console, prefetto del pretorio, Augusto, Cesare) caratterizzanti l'Impero romano erano ancora presenti nell'Impero bizantino) e lingua (il latino rimase lingua ufficiale fino a Eraclio anche se va detto che il greco era la lingua più diffusa); per questo motivo alcuni storici definiscono l'Impero bizantino fino a Eraclio con l'appellativo di "Tardo Impero Romano".. Tuttavia ben presto si era avviato un graduale processo di trasformazione: Giustiniano nel 541 abolì il consolato, considerato troppo dispendioso, e nel corso del suo lungo regno riformò il sistema provinciale (tale riforma provinciale, secondo J.B. Bury, anticipa la riforma dei temi di Eraclio, in quanto i molti casi si aveva l'accentramento delle autorità civili e militari nelle mani di un'unica persona); Maurizio (582-602) negli anni 580 abolì le Prefetture del Pretorio in Italia e Africa trasformandole in esarcati, con un'autonomia maggiore rispetto alle altre province (si pensi al fatto che gli esarcati dovevano provvedere da se alla loro difesa, con l'utilizzo di truppe locali); e Eraclio (610-641) ellenizzò l'Impero, trasformandolo profondamente per sempre. Egli (o forse uno dei suoi successori, Costante II, come afferma il Treadgold nella sua opera History of the Byzantine State and Society) abolì l'antico sistema provinciale romano di Diocleziano e Costantino, rimpiazzando province (o eparchie) e diocesi con distretti militari detti temi (themata). La riforma dei temi consisteva nell'assegnazione dell'autorità civile e militare del tema al comandante dell'esercito (strategos) e nell'assegnazione di terre da coltivare ai soldati (stratioti); tale riforma permise di tagliare le spese militari dei 2/3 e rese più motivati i soldati, poiché nella provincia da difendere dai nemici vi erano la loro famiglia e tutti i loro possedimenti. Grazie ai temi, Bisanzio riuscì a resistere per molto tempo a nemici molto forti come Arabi e Bulgari. Eraclio inoltre, oltre a rendere il greco la lingua ufficiale dello Stato, al posto del latino (ormai parlato da pochissimi), ellenizzò tutte le cariche politiche: l'Imperatore non veniva più chiamato Imperator Caesar Augustus ma Basileus (Βασιλεύς, re); anche il senato, i titoli di magister militum, curopalate ecc. vengono tradotti in greco; un cambiamento nel titolo non vuol dire necessariamente che sia avvenuto un cambiamento della funzione ma esso indica come la romanità dell'Impero d'Oriente si stesse man mano affievolendo. L'Impero romano d'Oriente aveva ormai perso in massima parte le proprie connotazioni romane. Dal 610 l'Impero romano d'Oriente, che, come si è accennato, era ormai un'entità statuale più greca che romana, divenne quello che molti storici moderni chiamano Impero bizantino, anche se non venne mai definito sotto tale nome dai suoi abitanti (veniva chiamato Romania, Basileia Romaion o Pragmata Romaion, che significa "Terra dei Romani", "Impero dei Romani"), che si consideravano ancora romani (romaioi, si pronuncia romei) e consideravano il loro impero il successore di diritto dell'Impero romano. Varie popolazioni (come Arabi e Persiani) chiamavano effettivamente i bizantini "Romani". Il termine bizantino venne coniato da storici del cinquecento che essendo rinascimentali disprezzavano tutto ciò che riguardava il Medioevo, visto come un'età di declino, e non volendo chiamare gli abitanti dell'Impero romano d'Oriente "Greci" o "Romani" in quanto non li ritenevano degni di essere chiamati così, coniarono il termine "bizantino" dall'antico nome della capitale Costantinopoli. Tale termine venne poi diffuso dagli illuministi che non vedevano di buon occhio l'Impero bizantino, vedendolo come un'epoca di decadenza e di rovina. Comunque, anche se il titolo basileus venne introdotto da Eraclio, solo più tardi con la dinastia isaurica viene introdotto nella monetazione, dove continua a essere usato il termine latino Augustus; questo fatto si può spiegare col fatto che la dinastia eracliana proveniva dall'Africa, dove si parlava latino, e dunque era poco propensa a ellenizzare i titoli sulle monete; con Costante II (641-668) si ebbe addirittura il tentativo di occidentalizzare l'Impero spostando la sede imperiale da Costantinopoli a Siracusa e di riconquistare l'Italia ai Longobardi; tuttavia gli ambiziosi progetti di Costante (anacronistici per l'epoca) fallirono e Costante morì assassinato a Siracusa nella sua vasca da bagno. Comunque la spedizione italiana di Costante II contribuì alla permanenza dei Bizantini in Italia fino all'XI secolo. Con l'ascesa della dinastia isaurica (717) l'Impero si ellenizzò ulteriormente, e gradualmente tutti i titoli latini scomparvero dalle monete. Nel corso dell'VIII secolo, la controversia iconoclastica e le minacce dei Longobardi e dei Franchi contribuirono a separare l'Italia e la città di Roma dall'Impero romano d'Oriente, e nella seconda metà dell'VIII secolo l'intero centro Italia cadde in mano longobarda; il Papa, non potendo più contare sui Bizantini, chiese aiuto ai Franchi che scesero in Italia e annichilirono il regno longobardo, cedendo poi il Centro Italia ai Papi invece di restituirlo ai Bizantini; Roma, l'antica capitale, andò di nuovo perduta finendo in mano papale. Nel 797 Irene per impossessarsi del potere accecò, depose e uccise il figlio Costantino VI; questo atto venne condannato dall'Occidente latino, al punto che gli Occidentali consideravano il trono vacante con l'uccisione di Costantino VI; fu a quel punto che il Papa e l'Occidente latino decisero di conferire all'Imperatore dei Franchi Carlo Magno il titolo di Imperatore dei Romani, decidendo di riservare all'Imperatore bizantino (prima di allora considerato Imperatore romano) il titolo di Imperatore dei Greci. Da quel punto in poi i Latini negarono la romanità dei bizantini chiamandoli greci e dando il titolo di Imperatore dei Romani al Sacro Romano Imperatore. Essere chiamati greci per i bizantini equivaleva a un'offesa grave, in quanto per i bizantini greco significava pagano. Bisanzio conobbe un periodo di rinascita sotto la dinastia dei Macedoni, nel corso della quale l'Impero riconquistò a spese di Arabi e Bulgari Cipro, parte della Siria e della Palestina, parti di Armenia e Mesopotamia, e tutti i Balcani; con la morte di Basilio II (noto come lo sterminatore di Bulgari, perché fu l'artefice della distruzione dell'Impero bulgaro) nel 1025 tuttavia iniziò un nuovo declino per Bisanzio dovuto soprattutto dalla disgregazione del sistema dei temi, causata dall'espandersi dei latifondi: con la scomparsa dei soldati-contadini (stratioti), sostituiti da truppe mercenarie, l'Impero si indebolì militarmente, e di questo ne approfittarono nuovi temibili nemici, come Normanni e Selgiuchidi, che inflissero un duro colpo all'Impero. Nel 1071 infatti i Normanni conquistarono Bari cacciando definitivamente i Bizantini dall'Italia mentre i Selgiuchidi annichilirono l'esercito bizantino nella Battaglia di Manzikert conquistando gran parte dell'Anatolia e della Siria; l'Impero, privo dell'Anatolia (principale fonte di truppe), sembrava sul punto di crollare ma seppe riprendersi con la dinastia dei Comneni. Il primo imperatore di questa importante dinastia, Alessio I, chiese infatti aiuti all'Occidente latino chiedendo loro di cacciare i Selgiuchidi dal Santo Sepolcro e dall'Anatolia e l'Occidente rispose organizzando alcune crociate contro gli Infedeli; nel corso delle Crociate si crearono tuttavia dei dissidi tra Crociati e Bizantini, che sfociarono nella Quarta Crociata (1204), che non fu volta contro gli Infedeli ma contro i Bizantini; e nel 1204 Costantinopoli, ritenuta inespugnabile, venne espugnata dai crociati, che posero momentaneamente fine all'Impero d'Oriente dando vita all'Impero latino. Tuttavia nel 1261 i Bizantini riuscirono a riconquistare Bisanzio facendo rinascere l'Impero d'Oriente; sotto la dinastia dei Paleologhi tuttavia l'Impero non riuscì a recuperare l'antico splendore anche a causa dell'ascesa di un nuovo nemico, gli Ottomani, che seppero approfittare delle guerre civili che dilaniavano Bisanzio e nel 1453 espugnarono Costantinopoli ponendo definitivamente fine all'Impero romano. Anche se Maometto II, il conquistatore della città, si dichiarò Imperatore dell'Impero romano (Cesare di Roma / Qayṣer-i Rum) nel 1453, Costantino XI di Bisanzio viene generalmente considerato l'ultimo imperatore romano-orientale. Le cause interne delle invasioni barbariche del II-VI secolo furono varie: l'anarchia militare e i conflitti interni tra i vari pretendenti al trono nel III e nel IV secolo, che distrussero l'unità imperiale; la crisi economica con l'inflazione che salì a livelli altissimi e i commerci che diminuirono, indebolendo notevolmente l'apparato produttivosociale nei territori dell'impero; lo stato di abbandono e spopolamento, che costrinse inoltre molti imperatori ad apporre leggi che anticipavano il Medioevo (come l'obbligatorietà dei cittadini a svolgere il mestiere dei loro padri); la perdita del carattere romano che secoli prima formò soldati disciplinati e induriti da mille battaglie, capaci di conquistare l'area mediterranea, ma che durante il periodo imperiale era progressivamente svanito al punto che gli stessi cittadini romani, se non volevano arruolarsi (come accadde con Stilicone) erano interdetti dagli stessi generali che preferivano rifornirsi nelle province (ciò ha generato inoltre un secolare dibattito riguardo la diffusione del Cristianesimo, da un lato visto come colpevole di aver ulteriormente indebolito, con il suo pacifismo e la credenza in una vita dopo la morte, la combattività dei soldati romani, dall'altro ininfluente su di una società divenuta decadente e impoverita da sola se non anzi artefice di una maggiore unificazione fra la popolazione). I barbari si fecero sempre più pressanti: i germani pressavano sul limes renico e danubiano e spesso compivano incursioni e saccheggi in territorio romano, mettendo spesso in difficoltà l'esercito romano. Le modalità di questi scontri erano molto diverse da quelle di secoli prima, non si trattava più di grandi spostamenti di individui a piedi ma di rapidi attacchi condotti da soldati a cavallo, per i quali le legioni non potevano rispondere in tempo (causando diverse riforme, come quella di Costantino, per farvi fronte). Lo stesso fece la nuova Dinastia Persiana dei Sasanidi, che nel 224 aveva causato la caduta dell'agonizzante (ma un tempo potente) Regno dei Parti, e che sognava di restaurare l'antico Impero achemenide di Ciro, Cambise e Dario strappando ai Romani le province orientali. Nel III secolo l'Impero perse la Dacia (odierna Romania) e gli Agri Decumati (in Germania). Nel IV secolo la crisi si stabilizzò ma nel V secolo l'occidente romano crollò; i vari popoli germanici (Vandali, Suebi, Alemanni, Visigoti, Ostrogoti ecc.) conquistarono vaste zone dell'Impero (Gallia, Spagna, Africa, Britannia) riducendo l'Impero d'Occidente a Italia e Dalmazia. E fu proprio un barbaro, il re degli Eruli Odoacre, a deporre l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augusto, ponendo formalmente fine all'Impero romano d'Occidente. L'Impero romano d'Occidente rischiò di rinascere nel corso del VI secolo. Infatti gli imperatori bizantini Tiberio II, prima, e Maurizio, poi, ebbero il progetto di dividere l'impero in due parti: una occidentale, con Roma capitale, e una parte orientale, con Costantinopoli capitale. Tiberio II ci ripensò e nominò unico successore il generale Maurizio. Lo stesso Maurizio, che aveva espresso nel suo testamento l'intenzione di lasciare in eredità la parte occidentale al figlio Tiberio, mentre la parte orientale sarebbe andata al primogenito Teodosio, venne ucciso insieme alla sua famiglia da una ribellione. L'impero romano d'Occidente rinacque de facto per un anno il 22 dicembre del 619, quando l'esarca eunuco di Ravenna, Eleuterio si fece incoronare dalle sue truppe imperatore d'Occidente con il nome di Ismailius. Su consiglio dell'arcivescovo ravennate decise di marciare su Roma per farsi incoronare nella antica capitale. Tuttavia, giunto a Castrum Luceoli (presso l'odierna Cantiano) venne ucciso dai suoi soldati. Oltre all'Impero bizantino, unico e legittimo successore dell'Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l'eredità. La prima fu il Sacro Romano Impero, inizialmente un grande progetto di ricostituzione dell'impero in Occidente, che fu fondato il giorno di Natale dell' 800 allorché papa Leone III incoronò il re dei Franchi Carlo Magno imperatore dei Romani. La seconda fu l'Impero ottomano. Quando gli Ottomani infatti, che basarono il loro stato sul modello bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore romano. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell'Italia in modo da "riunificare l'impero", ma gli eserciti papali e napoletani fermarono l'avanzata ottomana verso Roma a Otranto nel 1480. Il terzo a proclamarsi erede dell'Impero dei Cesari fu l'Impero russo che, nel XVI secolo, ribattezzò Mosca, centro del potere zarista, la "Terza Roma" (essendo Costantinopoli considerata la seconda). Escludendo questi tre ultimi Stati che sostenevano di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino che sfuggì alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni. Nel natale 800 l'Imperatore dei Franchi Carlo Magno venne incoronato Imperatore dei Romani dal Papa Leone III. in seguito Ottone I, nel X secolo, trasformò una parte del vecchio impero carolingio nel Sacro Romano Impero. I Sacri Romani Imperatori si consideravano, come i bizantini, i successori dell'Impero romano, grazie all'incoronazione papale, anche se da un punto di vista strettamente giuridico l'incoronazione non aveva basi nel diritto di allora; ma i bizantini erano allora governati dall'Imperatrice Irene, illegittima agli occhi degli occidentali, tale da giustificare il "colpo di mano" e in ogni caso Bisanzio non aveva alcun mezzo militare, né un reale interesse, per far valere le proprie ragioni. Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando, insieme al papato, era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni l'Impero iniziò a declinare, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, in favore delle varie autonomie locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovranazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Dal punto di vista sostanziale l'Imperatore non aveva alcuna autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica. Nel 1648 con la Pace di Westfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse in pratica a semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare Imperatore d'Austria.