-AIM MAGAZINEMacrotrivial La fotosintesi clorofilliana Anna Crestana E-mail: [email protected] Mentre scrivo questo articolo, piove. Piove incessantemente da ore ed il pensiero non può non andare alle persone che meno di un mese fa, agli inizi di novembre, hanno subito un’alluvione che ha causato molti danni. In questo momento, il cielo non fa intravvedere nulla dietro le nubi che lasciano cadere la pioggia di stravento. Seguendo dall’alto verso il basso il percorso delle gocce di pioggia, il mio sguardo incontra gli alberi sulla via, con i loro rami e ramoscelli nudi protesi verso l’alto. Ecco cosa mi manca maggiormente in questo periodo dell’anno: tutta quella varietà di verdi e di arancioni delle foglie tipici delle altre stagioni (come in Fig. 1)! Figura1 Un bel panorama autunnale in Val d’Inferno nel gruppo montuoso dei Lagorai. Oltre ai vividi colori, delle foglie mi ha sempre affascinato questo fatto: sono minuscoli, operosi, efficienti e straordinari laboratori di chimica i cui prodotti rendono possibile (nientemeno che) la vita sulla Terra, almeno così come la conosciamo noi oggi. Vediamo un po’ in dettaglio come funziona questo laboratorio. La membrana fotosintetica e la reazione alla luce La fotosintesi clorofilliana è tra i primi argomenti affrontati durante gli studi di scienze alla scuola dell’obbligo; tuttavia, il dettaglio del funzionamento di questo processo chimico può non essere noto a molti. La fotosintesi, da cui consegue la produzione di ossigeno, avviene sulla Terra da circa 3 miliardi di anni, buona parte dei quali è stata utilizzata dai cianobatteri e non dalle piante verdi a cui usualmente l'associamo. Essa è definita come “la conversione biologica dell’energia luminosa in energia chimica”: in queste poche parole è condensata la ragione (ed il modo) d’essere di gran parte degli organismi presenti su questo pianeta, che respirano l’ossigeno prodotto durante la fotosintesi e la cui catena alimentare si basa sui vegetali. Infatti, gli organismi capaci di fotosintesi (piante, fitoplancton e alcuni tipi di batteri) utilizzano idrogeno ed elettroni dalle molecole di acqua per fissare il carbonio - 18 - -AIM MAGAZINEinorganico dell’anidride carbonica e sintetizzare molecole organiche. Queste ultime costituiscono il vero scopo della fotosintesi, mentre la produzione di ossigeno non è necessariamente vitale per tali organismi, tanto che in alcuni casi non ha affatto luogo! Nelle cellule vegetali adibite al processo fotosintetico si trovano i cloroplasti, organelli dalle dimensioni tra i 3 ed i 5 μm contenuti nel citoplasma, ma separati da esso da una doppia membrana. Nella porzione solubile dei cloroplasti si trovano gli enzimi per la riduzione dell’anidride carbonica a carboidrati. Sempre all’interno dei cloroplasti, ma separati dalla matrice solubile, sono invece contenuti numerosi sacchi oblunghi, appiattiti e membranosi detti tilacoidi: essi si accumulano in fitte strutture lamellari del diametro di circa 0.5 μm denominate “grana”. In realtà, esistono altri modi in cui i tilacoidi sono organizzati nelle cellule capaci di fotosintesi: ad esempio, in alcune alghe rosse e brune essi non si trovano all’interno di cloroplasti, ma sono localizzati in specifiche zone della cellula; in alcuni batteri, invece, i tilacoidi sono disposti in strutture sferiche denominate cromatofori. La membrana dei tilacoidi è tra i principali protagonisti della fotosintesi: infatti, in essa ha luogo la prima parte di tutto il processo, la cosiddetta “reazione alla luce” nella quale l’energia assorbita dai fotoni è fissata in due molecole, ATP (adenosin trifosfato, Fig. 2 a sinistra) e NADPH (nicotinammide adenindinucleotide fosfato, forma ridotta). La membrana dei tilacoidi è composta da lipidi, in maggior parte galattolipidi, da numerose proteine e da speciali cromofori, detti clorofille. Le molecole di clorofilla assorbono i fotoni della luce solare in prevalenza nelle regioni blu e rossa, riflettendo quelli nella regione verde-gialla; la clorofilla eccitata a seguito dell’assorbimento riduce una molecola accettrice e viene a sua volta ridotta, in seguito, da una molecola di citocromo. L’energia dei fotoni serve al sistema (un cluster di quattro ioni di manganese nel fotosistema II) per scindere due molecole di acqua in quattro protoni, quattro elettroni, una molecola di ossigeno: due elettroni ed un protone servono per ridurre una molecola di NADP+ (nicotinammide adenindinucleotide fosfato, forma ossidata, Fig. 2 a destra) a NADPH; vedremo in seguito il ruolo di questa molecola nella cosiddetta “reazione al buio”. Figura 2 Strutture di ATP e NADP+. Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:ATP_structure.svg http://en.wikipedia.org/wiki/File:NADP%2B_phys.svg Gli elettroni che servono all’enzima NADP+ riduttasi per ridurre il NADP+ sono incanalati in una serie di ossido-riduzioni che vedono coinvolti il complesso proteico denominato fotosistema II, il plastochinone, il complesso proteico del citocromo b6f, la plastocianina, il fotosistema I, la ferredoxina. Circa metà dell’energia assorbita dai fotoni è immagazzinata tramite la separazione delle cariche tra interno ed esterno della membrana del tilacoide, l’altra metà serve al trasporto degli elettroni all’esterno della membrana del tilacoide, a seguito del quale si accumulano altri protoni oltre - 19 - -AIM MAGAZINEa quelli prodotti dalla dissociazione delle molecole di acqua. Le clorofille, cromofori a base porfirinica come l’emoglobina, sono addotti di Lewis tra quattro atomi di azoto (dei pirroli) ed un atomo di magnesio (2+) organizzati in un sistema ad anello. Nella fotosintesi si fa soprattutto riferimento a due tipi di clorofilla, che assorbono a due lunghezze d’onda leggermente diverse l’una dall’altra: la clorofilla “a” (Fig. 3, a sinistra) è presente in tutti i sistemi che producono ossigeno molecolare; essa assorbe la luce a 700 nm ed il complesso proteico in cui si trova, il fotosistema I, viene perciò denominato P700. La clorofilla “b” (Fig. 3, a destra) si trova solo nelle piante superiori e nelle alghe verdi; possiede un picco di assorbimento tipico a 680 nm ed è localizzata nel fotosistema II o P680; quest’ultimo è in realtà coinvolto prima del fotosistema I nella reazione alla luce, ma è stato identificato successivamente ad esso. Il tipo I si ossida a favore di proteine contenenti ioni ferro, mentre il tipo II si ossida a favore di chinoni. Figura 3 Clorofille “a” e “b”. Immagini tratte da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chlorophyll_a.svg, http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chlorophyll_b.svg All’interno dei fotosistemi I e II sono contenuti i cosiddetti “complessi antenna”: in essi, polieni lineari come il β-carotene ed altri pigmenti accessori, come la xantofilla e clorofille non di tipo a e b, tra altre funzioni coadiuvano le clorofille a e b nell’assorbimento dei fotoni in un’ampia porzione dello spettro visibile. Come anticipato nel paragrafo precedente, questo assorbimento genera una separazione di cariche tra l’interno della membrana del tilacoide, carico positivamente, acido, e l’esterno, carico negativamente: una differenza di tensione si instaura tra i due strati della membrana. È importante sottolineare qui che il trasferimento degli elettroni avviene in un processo unidirezionale (l’elettrone non percorre all’indietro lo stesso percorso) e che la formazione di una separazione di carica, nonché la sua conservazione grazie alla permeabilità ionica selettiva della membrana, è il “motore” chiave del processo di fotosintesi. La parte della membrana nei tilacoidi carica positivamente a seguito dell’accumularsi di protoni è - 20 - -AIM MAGAZINEcoinvolta nella scissione dell’acqua a produrre ossigeno molecolare, mentre quella esterna contiene i fattori per la fosforilazione dell’ADP ad ATP. La struttura della membrana è fortemente asimmetrica: si ritiene che sia l’asimmetria, nella quantità e nella tipologia delle proteine in essa contenute, a permettere alla fotosintesi di avvenire. Un ruolo chiave hanno le proteine dei cosiddetti fattori di accoppiamento, che trasportano i protoni dall’interno della membrana all’esterno rendendoli disponibili per la riduzione del NADP+ a NADPH. Nonostante vi siano differenze anche sostanziali nei dettagli ddell'utilizzo della luce da parte di differenti organismi, possiamo pensare alla reazione alla luce come ad un trasporto incanalato di elettroni e protoni, in cui il mantenimento di una separazione di carica tra i due lati della membrana del tilacoide permette la conservazione dell’energia (da elettromagnetica a chimica). La reazione al buio Non tutta l’energia assorbita dai fotoni viene spesa per ridurre la molecola di NADP+: una parte di essa, infatti, serve al sistema per la fosforilazione dell’ADP ad ATP (adenosintrifosfato, essenziale al metabolismo cellulare) in presenza di ioni magnesio. Con l’NADPH, l’ATP funge da “riserva chimica” temporanea in cui l’energia solare è immagazzinata durante il processo della fotosintesi: essa viene in seguito utilizzata nella cosiddetta “reazione al buio”. Come la reazione alla luce, anche quella al buio avviene all’interno dei cloroplasti, non a livello della membrana dei tilacoidi, bensì nella loro componente solubile; in essa, anidride carbonica e ioni idrogeno (i due che avanzavamo dalla reazione alla luce, che non erano stati utilizzati nella riduzione delle due molecole di NADP+) sono trasformati in glucosio ed acqua. La reazione al buio non necessita direttamente di energia radiante: tuttavia, come menzionato nel paragrafo precedente, essa utilizza le molecole di ATP e NADPH prodotte durante la reazione alla luce. Per la maggior parte delle piante, il ciclo di Calvin (Fig. 4) descrive i tre stadi della reazione al buio che portano alla sintesi del glucosio a partire dall’anidride carbonica. Figura 4. Ciclo di Calvin (http://www.biologia.unige.it/corsi/Fisiologia_vegetale/fotosintesi/assimilazione__co2.htm) - 21 - -AIM MAGAZINENel primo stadio, grazie all’azione dell’enzima ribulosio difosfato carbossilasi, una molecola di CO2 reagisce con il ribulosio difosfato a produrre due molecole di acido 3-fosfoglicerico, una specie a tre atomi di carbonio. Nel secondo stadio, l’acido 3-fosfoglicerico è convertito in aldeide 3-fosfoglicerica; una molecola di ATP si scinde in ADP ed un gruppo fosfato, rilasciando energia, mentre una molecola di NADPH viene ossidata a NADP+. L’aldeide 3-fosfoglicerica (due molecole sulle dodici prodotte) è utilizzata nella sintesi di esosi come il glucosio. Il glucosio così ottenuto può essere ad esempio immagazzinato come riserva nutritiva sotto forma di amido o può essere utilizzato a produrre cellulosa: siamo quindi giunti allo scopo della fotosintesi dal punto di vista dell’organismo che ne fa uso. Nel terzo stadio, il ribulosio difosfato viene rigenerato a partire dalle dieci rimanenti molecole di aldeide 3-fosfoglicerica, permettendo così al ciclo di Calvin di ricominciare. Nel frattempo, fuori continua a piovere … Bibliografia Enciclopedia della Chimica, USES Edizioni Scientifiche Firenze, Vol. 5, 639-651. D. C. Youvan, B. L. Marrs, I meccanismi molecolari della fotosintesi, Le Scienze, 1987, n. 228, 16-22. Mortimer’s Physical Chemistry, Spectroscopy and Photochemistry, 778-779. G. Coleman, W. Coleman, Come le piante producono l’ossigeno, Le Scienze, 1990, n. 260, 44-50. K. R. Miller, La membrana fotosintetica, Le Scienze, 1979, n. 136, 62-75. http://www.chemie.de/lexikon/e/Calvin_cycle/ - 22 -