RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI QUADERNO 2008/1 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE W W W. A I A F - A V V O C A T I . I T QUADERNO 2008/1 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE SUPPLEMENTO AL N° 1/2008 DI AIAF RIVISTA ANNO XIII NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE Redazione GALLERIA BUENOS AIRES 1, 20124 MILANO TEL. E FAX 02.29535945 EMAIL: [email protected] WEB: WWW.AIAF-AVVOCATI.IT Direttore responsabile MILENA PINI Stampa TIPOGRAFIA QUATRINI A. & FIGLI SNC VITERBO V. DELL’ARTIGIANATO SNC, AVVERTENZE Gli Autori dei testi pubblicati, avendo collaborato con l’AIAF al fine di sostenere la Sua attività associativa, di promozione culturale e formativa nel campo del diritto di famiglia e minorile, hanno autorizzato l’AIAF all’utilizzo del loro contributo, a mezzo stampa o con ogni altro tipo di supporto, compreso cd-rom o altri supporti elettronici, senza richiedere alcun corrispettivo e con rinuncia a richiedere e percepire da parte della stessa Associazione, i diritti di autore conseguenti all’eventuale pubblicazione, utilizzazione economica, distribuzione e commercializzazione, a mezzo stampa o altro tipo di supporto elettromagnetico. Conseguentemente, l’AIAF a tutela degli Autori e dei loro elaborati, comunica ad ogni effetto di legge, che l’utilizzo del materiale che viene messo a disposizione dell’Utente è permesso solamente per scopi personali e privati, e ne è vietata la riproduzione anche parziale. In caso di violazione di tale divieto, AIAF e i singoli Autori si riservano il diritto di agire in sede giudiziaria per il risarcimento dei danni subiti. SOMMARIO 5 Premessa 7 La logica dei nuovi orizzonti Alessandro Sartori Gabriella De Strobel 13 Rottura e riparazione dei rapporti: il ruolo dell’avvocato Cristina Curtolo 21 Fragilità della coppia e famiglie ricostruite: le emozioni dei figli Silvia Vegetti Finzi 31 La dinamica coniugale nel farsi e disfarsi del legame. Separazione personale e affidamento condiviso della prole Francesco Ruscello 63 Trauma emotivo e danno psicologico e/o psichico Anna Oliva De Cesarei 81 Un tempo per il dolore Tonia Cancrini 93 L’amore tra biologia e cultura Grazia Attili 103 L’ascolto del minore nella separazione Fulvio Scaparro 106 Tutelare i figli nella separazione Fulvio Scaparro 125 Sul piacere e sulla felicità Mauro Mancia 139 Le patologie dell’intimità Giulio Cesare Zavattini 153 Evoluzione giurisprudenziale del rapporto familiare Vincenzo Carbone 199 DOCUMENTI Protocollo sull’Ascolto del Minore 203 GLOSSARIO 3 AIAF QUADERNO 2008/1 4 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE PREMESSA ALESSANDRO SARTORI AVVOCATO IN VERONA, DIRETTIVO NAZIONALE AIAF La formazione interdisciplinare ha rappresentato l’impegno più rilevante dell’attività dell’AIAF Sez. Veneto, che ha individuato, ancora dieci anno or sono, la necessità di una più completa conoscenza delle varie professionalità che si occupano della crisi della famiglia. Il “Protocollo d’Intesa” del 5.11.2004 è stato un punto d’arrivo e di partenza per una sempre maggior integrazione delle varie discipline scientifiche (giuridica, psicologica, psichiatrica) e delle varie competenze istituzionali (Magistratura, Servizi Sociali delle ULSS e dei Comuni) per assicurare risposte sempre più adeguate alle sofferenze dei cittadini coinvolti nella disgregazione familiare. D’intesa con la Fondazione Campostrini è stato organizzato questo “Corso” per consentire una più approfondita conoscenza delle dinamiche del legame coniugale e del suo disfarsi. Il format propone un percorso conoscitivo sulle determinanti emotive e sociopsicologiche della relazione di coppia e famigliare, al fine di promuovere una riflessione sul paradosso tra bisogno vitale d’amore ed instabilità dei legami. Oggi si vaga cercando i luoghi e le persone che fanno stare bene nel desiderio di una felicità che, spesso, è fraintesa con il piacere, producendo come effetto la diffusione di un malessere le cui conseguenze possono essere sia giuridiche che sociali. Per comprendere lo scenario attuale delle trasformazioni sentimentali è indispensabile porsi la questione del destino dell’“amore romantico” nella società post-moderna, arrivando così a sviscerare le componenti della capacità di godere creativamente del momento presente, quale humus del destino della coppia che, altrimenti, rischia di incagliarsi nella fantasia che cambiando partner si possa stare meglio. L’amore segue un ciclo biologicamente determinato, finalizzato alla procreazione e alla crescita della prole e, in questo, sta l’inevitabilità della 5 AIAF QUADERNO 2008/1 sua evoluzione affettiva dalla passione al sentimento, perché prioritaria è la sicurezza dell’attaccamento. Tuttavia, si constata la fragilità dei legami: si sta insieme, ma la comunicazione sembra difficilmente toccare le corde emotive dell’intimità poiché occorre riconoscere la qualità delle proprie emozioni per darci un nome che aiuti a pensarle. Passione di sapere e capacità d’amare: è la medesima forza che spinge un uomo ed una donna ad amare e pensare, e in questo si può trovare un esempio di unione possibile tra ragione e sentimento. I tempi della vita sono molteplici, dall’amore si può passare al dolore per separazioni intollerabili che, in alcuni casi, assumono la dimensione di esperienza traumatica se scandita da scenari distruttivi agiti nella conflittualità processuale. Partendo dall’assunto che esistono coppie funzionali e coppie disfunzionali, varie sono le modalità comportamentali che segnalano un disagio della relazione coniugale che può avere ricadute sulla genitorialità. Ed è in questi momenti di passaggio che la comunità e le istituzioni rivelano l’efficacia o meno di una rete che possa aiutare ad arginare il rischio di una crisi devastante della società famigliare. Alla luce degli apporti della legge 54/06 sull’affido condiviso si intende promuovere la conoscenza delle risorse che possono tutelare gli affetti (rectius: la capacità di amare) quale perno per l’instaurarsi di una genitorialità condivisa e sostenuta da un clima emotivamente soddisfacente. 6 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE LA LOGICA DEI NUOVI ORIZZONTI GABRIELLA DE STROBEL AVVOCATO IN VERONA, DIRETTIVO NAZIONALE AIAF Il corso formativo organizzato da AIAF Veneto nel 2006/2007 rappresenta da un lato il punto di arrivo di un lungo percorso interdisciplinare che abbiamo intrapreso a Verona fin dal 1996, dall’altro segna il punto di partenza per nuove riflessioni sul ruolo dell’avvocato che si occupa di diritto di famiglia. Nei primi corsi ci siamo confrontati sui temi tecnico–giuridici più significativi, scambiandoci opinioni ed orientamenti che ci hanno portato ad ulteriori approfondimenti attraverso incontri di studio e convegni. Mano a mano che l’Associazione cresceva gli avvocati hanno avvertito l’esigenza di aprirsi al confronto anche con le altre figure professionali che gravitano intorno al processo della famiglia e dei minori. Ci si è accorti, insomma, che per affrontare in maniera sistematica i temi del diritto di famiglia, non si poteva rimanere isolati e confrontarsi solo sui problemi giuridici, ma diveniva fondamentale conoscersi e coordinarsi con le altre componenti del processo: giudici, psicologi, operatori socio-sanitari. È nato, cosi, a Verona, ormai 10 anni fa, un tavolo di lavoro interdisciplinare cui partecipano avvocati, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, magistrati uniti di concerto nel cercare di comprendere gli uni e gli altri, attraverso l’acquisizione reciproca del linguaggio e delle procedure di ogni professione. Nel solco di tale esperienza è stata avvertita la necessità di comprendere ed ampliare gli aspetti psicologici che si annidano nel profondo dei soggetti coinvolti nelle controversie familiari. Ci siamo accorti che per raffinare una professionalità giuridica di eccellenza - per la competenza delle scelte giuridiche da approntare - era indispensabile una maggiore considerazione della sfera emotiva per meglio capire le ragioni individuali delle persone coinvolte. Si è capito, infatti, che entrare in campo ed agire sull’onda di emozioni e sentimenti immediati, sia propri che quelle delle parti coinvolte nel pro7 AIAF QUADERNO 2008/1 cesso, può condurre a scelte processuali sbagliate e a danni, a volte, anche irreparabili. Da questa riflessione è sorta la volontà di conoscere più a fondo le dinamiche psicologiche che caratterizzano la scena della separazione per cogliere le motivazioni che animano i protagonisti. Il corso si è aperto con la prof.ssa Silvia Vegetti Finzi, la quale utilizzando una stimolante interpretazione teatrale ci ha rappresentato i sentimenti che attraversano tutti i membri di una famiglia coinvolti nella separazione: figli, genitori, nonni e parenti, ricordandoci che il punto più fragile dei protagonisti è rappresentato dai figli. “Gli effetti e le reazioni- legate alla separazione - sono molto diverse”, ma su tutto domina la sensazione di essere protagonisti di “destini inconclusi”. Ed è stato con la ricchezza di tale atmosfera che si è ascoltata la lezione magistrale del prof. Francesco Ruscello sul nuovo istituto giuridico dell’affido condiviso. Attraverso una interessante rilettura delle “famiglie”, come entità sociale dalla Costituzione ad oggi, il relatore ha enucleato i principi ispiratori dei nuovi “criteri” di affidamento della prole nel caso di crisi della coppia: “bigenitorialità”, esercizio delle potestà in capo ad entrambi i coniugi, valutazione prioritaria dell’affidamento condiviso. Nondimeno il relatore ci ha ricordato che la nuova legge ha perso l’occasione di introdurre una riforma che puntasse ad una vera responsabilità genitoriale, avendo d’altro canto privilegiato, invece, ed accolto le “pretese” dei genitori non affidatari della prole”. Il nuovo quadro normativo che regola la separazione dovrebbe in qualche misura dare una risposta al “trauma” che le persone subiscono per l’evento separazione, mentre invece ha finito per rendere più difficoltoso il raggiungimento di intese condivise. La dott.ssa Anna Oliva De Cesarei, ci ha parlato della “separazione” dal punto di vista psicologico in quanto esperienza che le persone “affrontano fin dalla nascita e dalla prima infanzia”, puntualizzando che la “qualità affettiva” del rapporto che c’è tra le persone ha “effetti strutturanti per lo sviluppo della personalità, e questo segna il processo di crescita. Più queste relazioni sono ben strutturate e meglio si affronterà l’evento separazione. Normalmente nella separazione una persona adulta è in grado di affrontare il periodo grazie alle proprie risorse interne; qualora, invece, 8 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE prende il sopravvento il dolore, la depressione, la rabbia, l’espulsione del partner, la delusione, la colpa, il fallimento di un progetto, la perdita di un legame allora nei figli prevale “il fardello psicologico di aver fallito nel loro tentativo di tenere uniti i genitori”. La dott.ssa Tonia Cancrini ha affrontato a tutto tondo il tema del “dolore” connesso alle problematiche che riguardano la separazione, ma anche ad altre vicende di vita. Il dolore è una esperienza che non possiamo evitare, perché è vitale e importante, soprattutto perché se c’è dolore significa che amiamo. Diversamente “l’anestesia emotiva” quale difesa per non soffrire porta ad “una vita affettiva povera e insignificante”. La separazione è un’esperienza dolorosa per i genitori e per i figli, ma la relatrice ha sottolineato la necessità di trovare un “tempo per il dolore”, uno spazio sia per i genitori che per i figli di elaborazione e condivisione per la perdita di un mondo familiare e per potersi, così, preparare al cambiamento. La prof.ssa Grazia Attili, invece, ci ha illustrato la natura dell’amore, il modo in cui si sviluppano le relazioni sentimentali che legano le persone. Il prototipo del legame di coppia è rappresentato dal rapporto madre–bambino. E tale legame si struttura attraverso quattro passaggi fondamentali: 1) l’attrazione; 2) l’innamoramento; 3) l’amore; 4) l’attaccamento. Per questo motivo il distacco dal partner è vissuto in maniera diversa a seconda della tappa che intreccia. Ad incastro, quindi, il prof. Mauro Mancia ci ha eruditi sulla differenza tra il piacere e la felicità. La ricerca della “felicità può solo essere frutto di un lavoro su sé stessi, di una ricerca e di una conquista”, è “ il risultato di un lavoro che aumenta la conoscenza di sé, e questo permetterà anche di affrontare le delusioni, le frustrazioni e le separazioni. Mentre il tema degli aspetti patologici tipici di alcuni legami di coppia è stato analizzato e sviluppato dal prof. Giulio Cesare Zavattini. Nella sua intensa analisi egli ci ha descritto la relazione di coppia approfondendo la dinamica dell’intimità; a volte le relazioni possono apparire assurde e folli dall’esterno, ma per l’economia psichica della coppia 9 AIAF QUADERNO 2008/1 sono funzionali a tratti e bisogni psicologici di entrambi. È importante, pertanto, chiedersi “che tipo di contenitore è il matrimonio” e per quale motivo si mantengono alcuni matrimoni infelici. Ogni individuo entra in relazione con l’altro mediante il proprio bagaglio psichico e c’è il rischio, quindi, che nei momenti di crisi emergano violentemente gli aspetti negativi non risolti del passato. I sentimenti di rivalsa, o frustrazione o delusione non elaborati oppure che colludono con il partner, possono portare alla separazione che, a questo punto, diventa veramente complessa. Concluso il percorso psichico – interiore della separazione, ci siamo interrogati sui modi, tempi, opportunità di “ascoltare” i figli nel processo giudiziario, novità introdotta dalla nuova legge, anche se già contenuta nella convenzione di New York e di Strasburgo. Il prof. Fulvio Scaparro ha ben evidenziato i rischi sottesi ad un cattivo ascolto del minore, enfatizzando la necessità di approntare spazi, luoghi e tecniche di ascolto adeguate ai minori e alla loro età. Ha evidenziato, in fine, la necessità di cogliere tale momento come una occasione per il minore di esprimersi e di manifestare i propri sentimenti, piuttosto che il luogo dove perpetrare il conflitto tra i genitori. Competenza e professionalità di avvocati, magistrati e operatori sono alla base di un ascolto del minore efficace e positivo. Al termine, il corso si è concluso con la brillante conferenza del dr. Vincenzo Carbone (Presidente della Corte di Cassazione) sulle nuove pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione in diritto di famiglia. Di seguito ha illustrato l’iter che ha portato la Corte Costituzionale ad abolire la fase preliminare del giudizio di ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale sulla paternità naturale perché il doppio processo nato per tutelare il convenuto da “ iniziative temerarie e vessatorie, era diventato un irragionevole ostacolo alla dichiarazione di paternità naturale”. Il dr. Carbone ha, poi, commentato la sentenza che ha eliminato l’obbligo della prova dell’adulterio per introdurre il giudizio di disconoscimento, prevalendo ormai su tutto la prova del DNA. Infine, si è soffermato sulla dibattuta questione del cognome da attribuire ai figli naturali e legittimi, auspicando anche in tale settore una riforma che dia attuazione all’eguaglianza giuridica e morale della donna sancita dalla Costituzione. 10 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Il percorso che abbiamo seguito attraverso questi incontri ci ha fatto acquisire maggior consapevolezza delle problematiche psicologiche sottese all’evento separazione. Ogni persona che si accinge a separarsi rappresenta una storia a sé, una situazione unica e, quindi, diversa da ogni altra, con bisogni ed emozioni che vanno capiti per essere tutelati. Non è certo sufficiente fermarsi ad applicare le norme giuridiche astrattamente senza calarsi nella singola e concreta realtà del caso in esame. L’avvocato di oggi deve essere in grado di scegliere e consigliare il percorso giuridico più adatto, puntando a salvaguardare gli affetti di cui le persone sono portatrici, innanzitutto dei minori. Il percorso psichico del corso ci consentirà di approntare scelte giuridicamente più corrette e sempre più consapevoli. Un primo risultato delle lunghe riflessioni che hanno accompagnato il corso si è tradotto nel “protocollo sull’ascolto del minore” che è stato elaborato tra avvocati, servizi sociali e consultori e con l’intervento dei magistrati della sezione famiglia del Tribunale di Verona (vedi allegato nella sezione documenti). 11 AIAF QUADERNO 2008/1 12 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ROTTURA E RIPARAZIONE DEI RAPPORTI: IL RUOLO DELL’AVVOCATO CRISTINA CURTOLO PSICOTERAPEUTA, PROFESSORE A CONTRATTO DI PSICOLOGIA CLINICA, UNIVERSITÀ DI VERONA LA DIRETTRICE DEL CAMBIAMENTO IN CORSO Uno dei temi salienti dell’esperienza formativa qui di seguito documentata ha riguardato l’analisi delle emozioni che impregnano la scena della separazione. Da una parte, quindi, l’interesse si è focalizzato sulle forme che la sofferenza può assumere sia negli adulti che nei bambini, e il conseguente riverbero sulla cooperazione e genitorialità*; dall’altra, si è guardato ai nessi concernenti la scelta dell’impostazione giuridica, consapevoli che tali fili dipendono dall’unicità della configurazione che ogni rottura coniugale assume. Sin dall’inizio si è respirata un’atmosfera di calda condivisione, corale dal punto di vista della trama degli interventi che si sono mano a mano annodati tra di loro, in un crescendo di partecipazione nel ripensare una buona prassi alla luce della legge sull’affido condiviso, e ai molti interrogativi suscitati. Oggi, sembra lontanissima l’epoca in cui la giurisprudenza e la psicologia evitavano di incontrarsi, entrambe arroccate con l’alibi di una incompatibilità che risaliva all’antinomia tra ragione e sentimento. Tale prospettiva, ahimé, segnò l’impermeabilità del confine tra il punto di vista giuridico e il punto di vista psicologico che nella pratica contribuì ad una rigida separatezza dei ruoli professionali identificati con la dimensione razionale oppure irrazionale della realtà e della sua interpretazione. Molti sono i fattori che hanno contribuito a superare l’impasse di una visione monoculare, rendendo possibile un modus operandi caratterizzato dalla messa a fuoco della collaborazione. Senza dubbio, determinante è stata la convinzione nella bontà a fare sistema e nella volontà di coloro i quali si sono impegnati in tale direzione, privilegiando obiettivi per tute13 AIAF QUADERNO 2008/1 lare i minori e offrire sostegno alla genitorialità. Storicamente all’AIAF va riconosciuto il merito di aver messo in campo una potenza trasformativa per la specificità degli intenti insiti nel suo compito primario, funzionando da fattore coagulante rispetto alle risorse istituzionali ed umane. Emblematico di tale cambiamento è il contesto veronese in cui da tempo si è consolidata una rete istituzionale che efficientemente affronta una casistica di procedimenti di separazione al di sopra della media nazionale. Altrettanto significativo è constatare che questo dato statistico non ha offuscato la percezione di icona dell’amore romantico che l’universo mondo attribuisce a Verona. Cosicché, fluttuando tra fantasia e realtà, il nostro territorio è rappresentativo di un malessere globalmente diffuso per l’instabilità crescente dei rapporti familiari e sociali. Fortunatamente si ha, ormai, una mole di dati sul fenomeno del farsi e disfarsi dei legami, e sulle conseguenti trasformazioni che la famiglia del terzo millennio sta attraversando. Tale cambiamento ci riguarda in quanto membri della comunità, ma anche come professionisti chiamati ad intervenire sulle lacerazioni relazionali poiché costituisce uno snodo cruciale per la società. Vediamo perché. L’imperfezione post-moderna la si può sintetizzare in una forma di tirannia del soggettivismo, nel senso di un iper-investimento del singolo su di sé, e in un analfabetismo morale che erode i presupposti per una convivenza armonica. Inoltre, si osserva una preoccupante esaltazione dello spirito tribale1che rispecchia un residuo filogenetico di solidarietà scandita dalla demarcazione amico-nemico, mitigato in maniera ondivaga dall’avvento della democrazia e della laicità. Focalizzando le coppie ad alta conflittualità agita si riscontra, coerentemente, la tendenza ad una modalità di pensare polarizzata sul principio noi e loro che si collega all’abbrutimento etico che alcune persone rivelano nel corso della separazione. Purtroppo, sempre più spesso si viene a conoscenza di forme di cattiveria, a volte addirittura di malvagità, che esplodono proprio nel momento in cui si apre il sipario sulla scena giuridica. Potremmo definirli comportamenti di auto-immolazione, ma tale descrizione non ci aiuta a spiegarne le ragioni. Certamente, l’avvocato deve fare i conti con le caratteristiche umane 1 14 Questa tematica viene ben trattata da Berreby D., Us and Them: Understanding Your Tribal Mind, Little Brown, new York 2005. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE delle persone che lo consultano e, verosimilmente, si ritrova ad avere sempre più spesso una funzione di bilanciamento, di contenimento per l’inevitabile ingerenza che le emozioni hanno sull’attività cognitiva della valutazione e della decisione. Per capire questo fenomeno occorre esplorare alcuni tratti della struttura di personalità dell’Homo Novus di cui ci si rende conto qualora emergono comportamenti oggettivamente definibili senza senso. PENSABILITÀ A RISCHIO Ad un primo sguardo il baricentro della metamorfosi nella qualità dei legami lo si individua nell’innesto tra le inquietudini nella capacità di amare2 e la fabbricazione psichica dei luoghi comuni3: oggi conta di più la convinzione rispetto il conveniente perché gli individui credono che si devono sì accettare gli eventi della vita, ma non ha qualsiasi costo. Il lato debole di tale logica, culturalmente enfatizzata, emerge attingendo argomenti dalla psicologia clinica; studi recenti rivelano nelle persone un generale incremento nell’incapacità di distinguere, tipicamente il giusto e l’ingiusto, poiché imperfetto è il riconoscimento dell’esistenza di un limite. Questa funzione psichica è deputata a garantire il mantenimento di una dialettica interiore tra ciò che si vorrebbe – lo spazio dell’ideale, delle fantasie – da quello che si può e si deve fare. Si tratta, in definitiva, di un sano realismo - che non va confuso con il relativismo - perché caratterizza un certo modo di pensare che porta anche a tollerare l’impossibilità di porre rimedio ad alcune cose della vita4. Questo indicatore di maturità trae origine da una modalità autoregolatrice espletata da una struttura cognitiva ed emotiva che si sviluppa durante i primi anni di vita, e dalla quale dipende lo stile relazionale e la capacità di adattamento che sono alla base dell’integrazione sociale5. 2 Mi permetto di rimandare ad un mio recente lavoro, Inquietudini nella capacità di amare, Libreria Universitaria Editore, Verona 2006. 3 Segnalo per un approfondimento l’originale articolo di Montanini M., “Per una metapsicologia dei luoghi comuni”, in Rivista di Psicoanalisi, 3, Borla Editore, Roma 2007. 4 Un saggio particolarmente illuminante sulla dialettica psicoculturale del concetto di limite e onnipotenza è di M. Balsamo et al., “Pensare il limite”, in Psiche, rivista di cultura psicoanalitica, 2, Il Saggiatore, Milano 2006. 5 Una esaustiva trattazione dei disturbi relazionali* la si trova in Amadei G., Come si ammala la mente, Il Mulino Editore, Bologna 2005. 15 AIAF QUADERNO 2008/1 Questo schema operativo, unitamente alla funzione riflessiva del pensiero, è un fattore protettivo dei rapporti in quanto regola i comportamenti anche quando gli individui sono sottoposti a stress*, abbassando notevolmente il rischio di reazioni violente. Si tratta, in definitiva, di poter contare o meno su una supremazia del pensiero quale modulatore delle caratteristiche negative dell’aggressività, nelle quali rientrano le azioni per non pensare. Una carenza psicologica diffusa e che è collegabile a percezioni distorte e, quindi, a probabili errori nella razionalità. Non mi riferisco, infatti, a quadri clinici di disturbi gravi, ma bensì a tratti di personalità con i quali l’avvocato può trovarsi ad interagire, magari nel tentativo di sanare le difficoltà che contrastano nella bigenitorialità. Si pensi ad alcune richieste che i genitori possono avanzare e che appaiono all’osservatore insensate poiché non considerano i bisogni autentici dei figli; in questi casi, alla fonte può esserci il desiderio di autoaffermazione e difesa dell’identità individuale che non trova altra strada se non quella di reclamare un maggiore potere genitoriale. Errori di attribuzione, cattiverie, spiegazioni personalizzate entrano fisiologicamente nella fenomenologia della separazione: una scena di vita che si può descrivere con la metafora della barca a vela – frequentemente le persone si vivono in balia delle onde - il cui destino dipende, pertanto, dalla presenza o assenza dello skipper-avvocato, la cui abilità nell’ascoltare il vento e nel sentire la corrente determina la differenza nel mantenimento o meno dell’assetto e della rotta. Uno sforzo, quindi, ancora più grande per gli avvocati, ai quali implicitamente viene richiesto di mettere in campo dei correttori di corrente utili ad arginare la componente distruttiva, dando così spazio a movimenti ricostruttivi finalizzati a salvaguardare, in modo particolare, i legami affettivi dei minori. Nella pratica significa impostare un contesto che possa aiutare le persone a guardare in modo autentico alla scena della rottura del legame, in modo che i resti della separazione non si polarizzino sul versante dell’odio e del risentimento, inevitabilmente foriero di una patologia della sofferenza che attraversa anche i figli. 16 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE LA MODERNITÀ DELLA FUNZIONE SOCIALE DELL’AVVOCATO Tra i mali che affliggono la società post-moderna la conflittualità coniugale non è altro che la punta dell’iceberg di un malessere che riguarda la convivenza in tutte le sue possibili declinazioni. Geneticamente l’uomo è un animale sociale e questo dato ha ben falsificato la concezione di Hobbes di natura lupina solitaria e prevaricatrice sulla quale si poteva intervenire grazie all’istinto di obbedienza. In realtà l’uomo anela alla cooperazione, ma ne è meno capace poiché i meccanismi di autoregolazione, come si è visto, possono essere compromessi. Ciò significa che l’incrinatura è nel processo di modulazione che permette il successo del vivere insieme. L’attitudine democratica non ha colore partitico, è uno stato mentale ed emotivo che affonda le sue radici nella memoria delle prime esperienze relazionali. Lapalissiano, seppur freudianamente rimosso, affermare che la democrazia è un bisogno vitale per lo sviluppo individuale il cui esito lo si vede nel comportamento etico, nel gusto per la legalità che fa scattare naturalmente l’indignazione, sollecitata da un sano disgusto quando essa viene infranta. All’origine di tale inclinazione psicologica vi è il vissuto precoce di sintonia, di riconoscimento di sé da parte dell’ambiente in cui si cresce. Al contrario, se l’essere persona incontra la natura lupina della disumanizzazione o deumanizzazione6 nel periodo della massima vulnerabilità e dipendenza, allora potrà sviluppare un falso atteggiamento di autosufficienza, una forma pericolosa di tirannia interna che può manifestarsi in un agire menzognero, antisociale. Mancando lo spazio interiore per una dialettica del pensare, garante della liceità, della giustizia, dell’amore per la conoscenza e per la verità*, si rischia di accettare tutto con indifferenza oppure agire nell’intolleranza, accecati nell’inaccessibilità di un significato poiché autisticamente chiusi nel proprio punto di vista. Bambini soddisfatti perché compresi, riescono bene nell’alternanza dei turni e in età adulta ben si adatteranno alle regole del vivere insieme e godranno di una buona capacità di lavorare e di amare, praticando naturalmente una democrazia del pensiero poiché emotivamente competenti. 6 Questo tema è attualmente al centro di un dibattito multidisciplinare che offre spunti per interpretare la realtà dei fatti, come pure pensare a modalità che possano invertire tale tendenza. Un recente compendio lo si trova in Psiche, Rivista di cultura psicoanalitica, Deumanizzazione, 1, Il Saggiatore Milano, 2006. 17 AIAF QUADERNO 2008/1 Nel ripensare alle linee guida di intervento non va, quindi, trascurato il dato di realtà che sia gli avvocati che gli psicologi ed assistenti sociali si incrociano nell’anfratto del dolore, venendo a contatto con la violenza del conflitto*, nell’intento di addomesticare, placare, governare e risolvere. Occorre entrare nel teatro delle emozioni per comprendere il rischio di una banalizzazione del dolore che si verifica quando vi è negazione dei sentimenti, il che comporta la mancanza di elaborazione ed assunzione di responsabilità da parte dei coniugi. Tale dinamica la si può definire anfratto psichico poiché è inconscia, ma potenzialmente può generare il male, il farsi del male per l’incastro con la banalità di circostanze favorevoli7. È la consapevolezza del dolore e del danno che ne deriva, come pure dei fenomeni di inganno, il collante che deve unire le forze professionali tese a mantenere una cultura della separazione che possa significare anche una possibilità di reversibilità del moto mors tua vita mea. Nell’odierno scenario di problematicità dei legami sociali e di una progressiva polverizzazione della famiglia8 è indispensabile sventagliare il contributo umano del ruolo e della funzione dell’avvocato. La mia ipotesi è che vi sia un potenziale terapeutico - nel senso di far star meglio - insito nell’esperienza legale di scontro tra tesi nella misura in cui si delinea come un’opportunità vera per gli attori in causa di conoscere qualcosa di sé e dell’altro. La verità non è apparenza, tuttavia vi è “una tendenza della mente umana a colorare la percezione con preconcetti.9” e questo può portare a miniaturizzare la complessità con il risultato di una mistificazione. Nella prassi vuol dire che il riconsiderare gli steps della separazione dal vertice della verità degli affetti può prevenire quell’esplosione chimica di emozioni irrisolte che diffonde particelle che vanno a colpire i figli i quali, per condizione, sono dipendenti e bisognosi di certezze. Se in passato il sacerdote, il farmacista e il medico di famiglia erano 7 Questo concetto è tratto dal saggio di Arendt H., La banalità del male, Feltrinelli, Milano dove si trova un’analisi delle circostanze che hanno determinato la shoah. Mi rendo conto che di primo acchito il riferimento può sembrare esasperato, ma se si assume il punto di vista della vittima, il vulnerabile ed inerme, si può cogliere l’assonanza fenomenologica e la logica del terrore perpetrato. A tal proposito suggerisco il libro di Cavarero A., Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme, Feltrinelli, Milano 2007. 8 Il sociologo Volpi R. offre un’attenta disamina sulle determinanti che contribuiscono alla scomparsa della famiglia tradizionale. Segnalo, quindi, il suo La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti. Mondatori, Milano 2007. 9 Lynch, M., La verità e i suoi nemici, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. 18 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE investiti del ruolo di referenti sociali con funzione di consiglieri, mediatori, garanti dell’ordine ai quali le persone si affidavano seguendone letteralmente il verbo, oggigiorno è l’avvocato ad avere nella forma e nella sostanza tale valenza. La conferma a tale investitura viene dal picco di litigiosità che il nostro Paese manifesta attraverso una mole di procedimenti giudiziari, che rende anche ragione dell’elevata proporzione di avvocati rispetto al resto dell’Europa. Siamo una popolazione moralmente sgrammaticata e questa constatazione risulta alquanto allarmante alla luce delle recenti ricerche sulla concezione di mente morale,10 con la quale Hauser descrive i processi interni che sottendono sia il rispetto che la violazione della norma acquisita. Questa ipotesi innovativa ci interessa in quanto teorizza la matrice genetica dell’istinto morale, inconscio ed universale, per cui enfatizza la necessità di chiarire i criteri di condotta che effettivamente riflettono la voce morale della nostra specie. Se è vero che i nostri istinti morali sono immuni ai comandamenti espliciti trasmessi dalle religioni e dalle autorità, altrettanto “…è anche un problema di stupidità l’atteggiamento di coloro che si occupano esclusivamente del proprio particulare, ossia degli interessi più gretti di sé stessi e dei propri famigliari, calpestando sistematicamente ogni possibile rispetto per tutto ciò che regola la convivenza allargata.”11 La stupidità è endemica poiché altamente contagiosa; ma, fortunatamente, anche il comportamento intelligente ha tale prerogativa, oltre al fatto di promuovere un vantaggio condivisibile, come indubbiamente è il bene dei minori. CONSIDERAZIONI FINALI Verosimilmente l’avvocato di famiglia può incontrare situazioni che possono rivelarsi ingannevoli, dei veri e propri cavalli di Troia, che sottendono un parterre di carenze individuali preoccupanti e, purtroppo, in aumento. Certamente la fragilità è un attributo umano normale quando entrano 10 Hauser M., Moral Mind. How Nature Designed Our Universal Sense of Right and Wrong, Harper Collins, New York 2006. 11 Jervis G., Pensare diritto, pensare storto. Introduzione alle illusioni sociali, Bollati Boringhieri, Torino 2007. 19 AIAF QUADERNO 2008/1 in gioco i sentimenti e, quindi, è una falsa credenza considerarne le manifestazioni quali indicatori di inaffidabilità a tutto tondo. Tuttavia, si è visto anche che all’origine di un tentativo di sovvertimento del significato - che si traduce nella pretesa di deformare la realtà – può esservi una sofferenza indicibile perché impensabile. Il male è una percezione del dolore che può aizzare la spirale del conflitto qualora prevale il bisogno di risarcimento, piuttosto che di riparazione. In modo particolare, la condizione di impotenza esprime sia una circostanza esterna – per status quo – sia un vissuto interno di minaccia esistenziale che incide notoriamente sulla dinamica degli accordi. Se utilizziamo la dimensione della fragilità-vulnerabilità e della rabbiaaggressività come estremi di un continuum di stati emotivi possibili nei coniugi ci troviamo ad affrontare una questione alquanto spinosa: il destino dei minori in quali mani viene posto? Di per sé tale considerazione rinforza l’esigenza di un vertice psicogiuridico per raffinare gli strumenti che il divenire del setting12della separazione richiede per ridurre gli effetti dell’impulsività decisionale oppure della rigidità mentale delle parti a causa di un’impensabilità, come pure stupidità, che scotomizza la verità: cioè, tutti i membri di una stessa famiglia, prima o poi, devono elaborare il fallimento di quel progetto di vita. Ultimo, ma non meno importante, anche l’avvocato viene a contatto con una miriade di emozioni poiché quando si parla di affetti e di bisogni emotivi* le corde di ognuno vibrano nel profondo dell’intimità, costituendo un sottofondo ineludibile al pensare. Potenzialmente una zona d’ombra si forma nell’intreccio tra personale e professionale, e solamente la consapevolezza della sua esistenza ed influenza può evitare l’illusione per un’allusione cieca. 12 Con questo termine, vicariato dalla clinica psicoanalitica, intendo riferirmi alla complessità degli scenari e alla modalità di categorizzarli per il tramite di una cornice formale che può facilitare oppure inibire l’emergere del significato sostanziale che la rottura di ogni legame produce. 20 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE FRAGILITÀ DELLA COPPIA E FAMIGLIE RICOSTRUITE: LE EMOZIONI DEI FIGLI SILVIA VEGETTI FINZI, ORDINARIO DI PSICOLOGIA DINAMICA, UNIVERSITÀ DI PAVIA INTRODUZIONE Nella mia esperienza privata e professionale ho conosciuto molte famiglie in crisi, in procinto di separarsi o già separate, e ne ho tratto la convinzione che la rottura dei legami familiari sia una delle prove più difficili da affrontare. In quei momenti è decisivo il modo con cui marito e moglie contrattano la fine della loro unione, vivono gli inevitabili conflitti, esprimono le loro differenti emozioni, elaborano il passato e prospettano il futuro. Come esiste, secondo l’efficace espressione di Alberoni, “l’amore allo stato nascente”, così esiste la separazione allo stato nascente: il momento aurorale dell’apertura al possibile, dell’attesa, dell’idealizzazione, della creazione. La separazione coniugale, anche quando appare meramente distruttiva, contiene in sé il lievito del rinnovamento, la speranza di realizzare nuove, impreviste forme di convivenza. C’è un momento, scriveva Cabanis, in cui sentiamo che siamo. Questo momento non corrisponde forse proprio all’esperienza passionale? Dall’altro canto, in certi casi si ha l’impressione che la decisione di separarsi nasca dalla voglia di accrescere, in mancanza di valori comuni, l’importanza della propria vita, di investire su di sé energie assopite e disperse nell’anomia della quotidianità. Alla stanca soggettività contemporanea, i panni della passione sembrano offrire una nuova, promettente Questo articolo è ampiamente tratto da S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Mondatori 2005 21 AIAF QUADERNO 2008/1 ricomposizione di sé, a volte anche una trionfale affermazione della propria individualità. Certo, separarsi bene è possibile e molti lo dimostrano, ma non subito, né senza aver prima elaborato gli immancabili sentimenti negativi di abbandono, di colpa, di rabbia e di vendetta che corredano ogni lacerazione degli affetti. La separazione amichevole è un formula di bon ton più che una realtà, soprattutto quando ci sono di mezzo i figli. In questi casi la serenità è una conquista, non un punto di partenza, e spesso un eccesso di controllo razionale tradisce una prematura anestesia delle emozioni. Ben sappiamo che i figli valutano la situazione di rimbalzo e i loro sentimenti riflettono in gran parte quelli degli adulti, anche se non completamente, perché ognuno ha una sua storia e una propria personalità in base alle quali filtra e interpreta gli avvenimenti. Allora, se padre e madre ammettono di soffrire, i figli si sentono autorizzati a fare altrettanto, altrimenti si considerano costretti a imitare i loro comportamenti edulcorati, ritenendoli più appropriati. Di fronte alla tentazione della “cultura dello spettacolo” in cui viviamo di rappresentare le vicende della separazione familiare in situation comedy tipo Friends o Sex and the City, tanto brillanti quanto mistificanti, occorre, quindi, dare voce alle emozioni dei protagonisti. LA SCENA MADRE Di solito i protagonisti della separazione familiare vengono considerati numeri nelle inchieste demografiche, membri di una generazione in quelle sociologiche, individui in crisi nei resoconti psicologici, casi clinici in quelli psicoanalitici. Ma il più delle volte si tace la loro soggettività. Il romanzo della vita è, in questi casi, particolarmente complesso, perché la coppia che si separa non è composta soltanto da due persone, molti sono i personaggi reali e fantastici che popolano la scena. Intorno ai coniugi che non vogliono più essere tali ci sono i figli, i nonni, i parenti prossimi, gli amici, i colleghi di lavoro e, nella testa di ciascuno, storie di famiglia, album fotografici, narrazioni e configurazioni prossime e remote. Ma, se ascoltiamo i protagonisti, il momento decisivo risulta la dichiarazione:”Non stiamo più insieme”. L’annuncio rende, infatti, esplicite e definitive intenzioni che potevano fino a poco tempo prima sembrare 22 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE revocabili. Tanto che, quando viene rievocata, la divisione della famiglia non appare come un lungo processo ma come un fatto puntuale, situato in un tempo e in uno spazio determinati. In realtà le separazioni familiari non si improvvisano, hanno radici lunghe e profonde, eppure i ricordi si fissano su alcune situazioni, spesso su un’unica scena che sembra, nella sua intensità, riassumerle tutte. Talvolta bisogna fare o non fare le cose per comprendere in seguito, e soltanto in seguito, perché si è agito così. “Abbiamo provato una spinta a parlarne” dicono alcuni genitori, cercando di motivare a posteriori la decisione di comunicare ai figli la loro separazione. Senza pretendere di controllare ogni scelta, dato che il pensiero è sempre connesso alle emozioni, possiamo però sottoporla a riflessione nella convinzione che capire le proprie intenzioni aiuta a essere coerenti e a valutarne le conseguenze. Certe volte i genitori intenzionati a separarsi si affrettano a darne notizia ai figli per far precipitare la situazione, perché accada davvero qualche cosa dopo che tra loro ne hanno parlato troppo o troppo poco. In ogni caso, anche quando sembra scontata, la dichiarazione “Noi ci separiamo” risulta sempre traumatica per chi la riceve, soprattutto per i figli, che cercano in ogni modo di schermarsi dall’impatto diretto dei fatti. Occorre, quindi, tenere presente che i bambini vivono una tale dipendenza dagli adulti che ammetterne l’inadeguatezza, ritenerli incapaci di svolgere i più essenziali compiti genitoriali risulta loro impossibile. Sentendosi, in situazioni di particolare difficoltà, in pericolo di vita, possono prendere allora, con il coraggio dell’età, una decisione decisiva. Benché non si tratti di una scelta razionale e consapevole, quell’atto sarà incisivo, forte, solenne e, per certi versi, irreparabile. Sono queste segrete determinazioni che, entro le coordinate del destino, fanno di noi quello che siamo. In ogni caso, prima di riflettere sul modo migliore di comunicare la separazione familiare, è necessario affrontare un problema preliminare: dirlo o non dirlo? Nonostante una diffusa sensibilità psicologica, persiste ancora il pregiudizio che sia meglio mantenere i bambini all’oscuro di tutto. Per il loro bene, naturalmente. Ma un figlio è già nel conflitto* dei suoi genitori, non si tratta di introdurlo arbitrariamente nel campo di battaglia, di farne un complice, ma di considerarlo un soggetto, con diritto di parola. Di fatto, la consapevolezza di ciò che si sta vivendo aiuta a superare la paura che s’insinua negli interstizi dell’imprevisto e dell’ignoto poiché la durezza è 23 AIAF QUADERNO 2008/1 nei fatti e si tratta di lenirne l’impatto emotivo. Altrimenti si lasciano soli i più piccoli nel difficile compito di registrare l’evento, fissarlo nella memoria, dargli un senso. Infatti, guardando alla scena primaria si riscontra la realizzazione di una contrapposizione tra un prima felice, un vero e proprio paradiso terrestre, e un dopo contrassegnato da sentimenti negativi come il dolore, la solitudine, la rabbia, che non coincide necessariamente con la realtà. Si tratta piuttosto di un mito, un “mito personale” intorno al quale s’impernia la propria autobiografia. In questi casi la narrazione di sé rimane spezzata in due tronconi contrapposti, una disgiunzione che si ripercuote sull’identità rendendola incompiuta, imperfetta, sconnessa. Abbiamo, invece, bisogno di avvertire un senso di continuità nelle alterne vicende della nostra storia perché solo così ci sentiamo identici nella diversità, interi nella frammentazione, persistenti nella dispersione delle nostre vite. Capaci di manovrare, almeno in parte, i fili del nostro futuro. LA STABILITÀ DEL MONDO Come già detto, la separazione è un processo profondamente emotivo. Non è possibile lasciarsi senza delusioni, recriminazioni, ansia, aggressività, paura, senza ferire e sentirsi feriti. Tuttavia, quando si decide di parlarne ai figli occorre che i sentimenti negativi si siano almeno parzialmente sedimentati, che ci si senta in grado di trasmettere loro fiducia e speranza. Nel momento della separazione l’etica risiede nel porre al primo posto il bene dei figli. Una constatazione troppo ovvia per essere esplicitata, un atteggiamento troppo difficile per non essere mai disatteso. Forte è infatti la tentazione di discolparsi, di porsi in buona luce, di far valere le proprie ragioni contro quelle dell’altro; impossibile non cedere mai, neppure per un attimo, alle pressanti richieste del narcisismo. Ma non si chiede ai genitori di essere perfetti, tanto meno in questi frangenti, basta che siano genitori abbastanza buoni. Ed è sul compito di gestire la paternità e la maternità che gli ex coniugi si rincontrano. Poiché per il bambino sono determinanti i cambiamenti che avvengono nella sua esistenza, è essenziale esaminare la situazione dal suo punto di vista, cercando di mettersi, non solo nei suoi panni, ma nella sua pelle. Il problema si pone però in modo particolarmente pregnante quando i 24 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE genitori cessano di convivere. Per non destrutturate i punti di riferimento dei figli, che non sono solo spaziali e temporali, ma anche simbolici ed affettivi, occorre che, nei limiti del possibile, i bambini continuino a vivere nella stessa casa, nelle medesime stanze, tra i vicini di sempre, circondati dagli oggetti abituali. Per essere ritenuto familiare, lo spazio ha bisogno di essere fermo e costante, disponibile alle esplorazioni infantili e ai rituali di riconoscimento. I gesti rischiano altrimenti di perdere l’automatismo e di assumere connotazioni problematiche e perturbanti. Nella realtà i figli di separati si trovano spesso a transitare tra due mondi di vita diversi e contrapposti che da soli non riescono a comporre. Ed è solo l’attenta osservazione dei bambini che può far comprendere come essi realmente stanno. Come ogni linguaggio, anche il linguaggio del corpo risente del contesto in cui si è inseriti. A tal proposito, vediamo quali possono essere i segni ed i relativi significati di una comunicazione non verbale. Prendiamo uno scena tra tante: accade che il bambino non stia bene proprio quando il papà viene a prenderlo: appena la mamma inizia i preparativi, si lamenta di mal di pancia o di mal di testa o è assalito da conati di vomito. È difficile stabilire se si tratta di coincidenze o di segnali di disagio e se il rifiuto del padre sia un atteggiamento spontaneo oppure indotto da altri, perlopiù dalla madre che non si fida del papà o semplicemente non ha ancora superato il trauma della separazione. Dolto ricorda in proposito che anche la salute è un discorso riuscito: se il bambino cresce bene vuole dire che stiamo facendo le cose giuste. In caso di ripetuti episodi di malessere, che sopravvengono giust’appunto quando il bambino dev’essere affidato al genitore non convivente, sarebbe meglio che questi incontrasse il figlio in campo neutro: in casa dei nonni, da una zia, o da amici comuni. Certamente, quando la famiglia si separa, per i figli s’infrange il medesimo involucro, ma gli effetti e le reazioni sono molto diverse. Spesso il primogenito si schiera con il genitore più debole, quasi sempre la mamma, il secondogenito con il genitore attivo nella separazione, quasi sempre il padre, mentre gli altri figli restano dietro le file, riparati dai più grandi. Vorrei segnalare anche un fenomeno recente come possibile esito positivo della separazione familiare: il sorgere di una nuova fratellanza. Sentendosi soli per l’assenza dei genitori che lavorano e che, per di più, sono separati, alcuni ragazzi, dello stesso sesso o anche di sesso diverso, 25 AIAF QUADERNO 2008/1 si comportano fra di loro come fratelli condividendo la vita quotidiana quasi fossero membri di una famiglia in realtà inesistente, evocata dal loro desiderio. Paradossalmente è il coetaneo, ora, che assume la funzione di referente e,a volte, anche di rifornimento emotivo in una società che racchiude sempre più a lungo i ragazzi nella riserva protetta dell’adolescenza, mentre i figli di genitori separati tendono a crescere più in fretta degli altri. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Chi spezza i vincoli familiari si sente libero anche se, paradossalmente, nuovi legami lo attendono e motivano la sua decisione ribelle, per cui la libertà appena conquistata è già comunque “condizionata”. Va anche detto che attuare la separazione non è da tutti: è richiesta una particolare predisposizione psicofisica, un temperamento passionale che alla fisionomica antica appariva forte, sanguigno, estroverso e determinato, ma che di questi tempi assume spesso, benché non sempre, i tratti del narcisismo freddo, dell’indifferenza, della decisione di cambiare tanto per cambiare, senza preoccuparsi troppo dei costi esistenziali per sé e per gli altri. Le lettere che abbiamo ricevuto, quasi tutte scritte da adulti, raccontano per filo e per segno il farsi e disfarsi della famiglia d’origine, le conseguenze che ne sono derivate negli anni successivi e quelle che si attendono negli anni a venire. C’è, però, anche un passato che non passa, di chi, incapace di ricominciare, si dibatte per le ferite di una disperazione estrema che disumanizza. E in questa evenienza genitori e figli si possono disperdere nell’annullamento di una differenza di ruoli che, ahimé, non si riesce più a mantenere. Lo strano intrecci di sentimenti è determinato dal fatto che i genitori, anche i più lontani e indifferenti, costituiscono comunque fondamentali presenze interne, icone che veicolano su di sé cariche di amore e di odio, pronte a esplodere quando gli eventi mettono in crisi l’equilibrio raggiunto. I figli di genitori separati che abbiamo conosciuto attraverso le loro storie sono protagonisti di “destini inconclusi”, hanno avuto indubbiamente vite difficili e ancora oggi stanno cercando una soluzione a conflitti che rinviano alla separazione dei genitori. La loro identità appare incerta, l’autostima insicura, il bisogno di rassicurazione e compensazione inappagato. Eppure non si può dire che abbiano ceduto alla rassegnazione e 26 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE alla disperazione. Il fatto stesso che siano riusciti a trovare la voglia di rispondere e il coraggio di scrivere significa che è in atto un lavoro psichico profondo che non tarderà a dare i propri frutti. 27 AIAF QUADERNO 2008/1 DISCUSSIONE CRISTINA CURTOLO Indubbiamente, uno dei traguardi di civiltà della nostra epoca è stata l’apertura all’educazione sessuale dei bambini, al fine di soddisfare saggiamente le loro naturali e comuni domande “Da dove veniamo? Chi porta i bambini?”. Se ci si sofferma sul significato di tale cambiamento si coglie che il messaggio ai figli è che loro sono il frutto dell’amore dei genitori – liberando, finalmente, la cicogna di ogni responsabilità! – il che, di per sé, veicola un’intenzionalità, un atto di volontà il cui alone è il desiderio di un progetto familiare. Psicologicamente questa comunicazione è una lezione magistrale di vita che, frequentemente, trova conferma e, quindi, rinforzo in un climax di quotidiana condivisione. Su questa linea di pensiero si situa la testimonianza di Silvia Vegetti Finzi, la quale ci ricorda la bontà del principio della verità* per i figli, sempre e comunque, ancor di più quando i genitori decidono di separarsi. Nell’avvicendarsi del disfarsi del legame, purtroppo, sono gli adulti a manifestare una pericolosa reticenza al vero; forse, perché svelare i sentimenti fa aumentare il senso di responsabilità e di colpa. Comunque sia, è certo che dal momento in cui si dichiara la separazione – la scena madre – i grandi dovrebbero dimostrarsi particolarmente sensibili e disponibili affinché i figli possano digerire i vissuti provati, e che non sempre hanno le parole per raccontare. Il dolore è parte della vita, soprattutto nella sfera affettiva, e naturalmente vi è un istinto protettivo genitoriale al quale, ingenuamente, si tende ad appellarsi per sostenere la credenza nel far finta per non provocare sofferenza. Di fatto, i genitori hanno prove continue della capacità dei bambini di leggere la mente al di là delle parole, ed è per questa ragione che la funzione protettiva dell’adulto deve essere di filtro. E questo si realizza con un comportamento partecipativo, proponendo un significato comprensibile alle emozioni osservate e provate nei piccoli. Non dimentichiamo che i sentimenti, gli affetti circolano continuamente all’interno della famiglia e se parte di questi sono negativi – rabbia, rancore,…- rischiano di generare un’atmosfera tossica. Ecco perché, ad un 28 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE certo punto, la separazione può essere la soluzione migliore: se i genitori stanno meglio i figli non possono che goderne. È prassi, ormai, che gli avvocati siano consultati, magari individualmente, nel momento di apice della crisi di coppia. In presenza di figli, molti sono gli interrogativi che emergono e che li riguardano. Questo periodo ha un’alta sensibilità, nel senso che quello che succede nel qui e ora crea inevitabilmente delle premesse. Può essere utile, quindi, già in sede di consultazione, impostare una strategia con il cliente che tenga conto dei desideri ragionevoli1 tanto quanto di quegli altrui. A mio parere è questo uno dei punti di maggior rilievo rispetto alla legge sull’affido condiviso in quanto richiede un ripensamento della fase consultiva. In senso onnicomprensivo il legislatore legittima un orientamento rivolto alla bigenitorialità per cui l’affidamento esclusivo rientra, oggi, nell’eccezionalità della motivazione prodotta. Se così è, si evidenzia una ricaduta sul metodo consultivo poiché l’avvocato, tecnicamente, sin da subito dovrebbe individuare una tattica per bonificare il terreno dalle mine anti-marito o anti-moglie che le persone furiose fantasticano per rivalsa. L’esperienza, infatti, ci dice che le prime parole ascoltate si imprimono a fuoco nella persona con-fusa la quale si rivolge al sogge o supposto sapere. Parimenti, però, si individua il nucleo del problema: in quella medesima sede l’avvocato imbastisce una propria valutazione - sia della persona che della situazione – ma finora aveva avuto anche il tempo per apporvi gli opportuni aggiustamenti, dato che l’impostazione era dettata dalle circostanze. Ora, a fronte del vincolo giuridico si impone una riflessione sull’efficacia della consultazione. La necessità di problematizzare la consultazione deriva dal fatto che sono in aumento le situazioni che hanno le caratteristiche del cavallo di Troia, dove il sovvertimento2 – l’inganno – è indice di per sé del disagio sottostante che può riguardare la persona tanto quanto la famiglia come sistema. Anche il sociologo Bauman3 segnala tale caratteristica, definendo la 1 Berlin I., La libertà e i suoi traditori, Adelphi, Milano 2005. 2 Odifreddi P., Le menzogne di Ulisse. L’avventura della logica da Parmenide ad Amartya Sen, Longanesi e C., Milano 2004. 3 Bauman Z., Il disagio della post-modernità, Bruno Mondatori, Milano 2002. 29 AIAF QUADERNO 2008/1 società contemporanea nei termini di modernità liquida, in quanto gli individui non sempre si presentano con una forma propria – l’identità autentica – ma assumono, con una modalità camaleontica, tratti per adattarsi al contesto. Da qui deriva quel senso di inconsistenza e mutevolezza che alcuni incontri suscitano. Partendo dallo stile personale che l’avvocato ha sicuramente maturato con l’esperienza alcuni potrebbero avvertire l’esigenza di raffinare strategie che aiutino nella comprensione dei fattori facilitanti ed ostacolanti la scelta dell’impostazione. Pensare necessita tempo e fatica, ma non solo, anche di formazione per riuscire a valorizzare la propria soggettività quale metodo di conoscenza. Mi riferisco a quella forma di intuito che emerge nel hic et nunc e che per essere colto necessita di mettere tra parentesi tutto il percepito del mondo. Nella letteratura lo troviamo nell’istinto proustiano, in psicoanalisi nel concetto di pensabilità4 dal quale discende il metodo del pensiero critico, un’attitudine ad affrontare la realtà con uno stato mentale di curiosa ricettività la quale alimenta interrogativi, ridimensionando il giudizio saturante. 4 30 Curtolo C., Psicologia clinica per esperti nei processi formativi: il modello della pensabilità, Libreria Universitaria Verona 2006. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE LA DINAMICA CONIUGALE NEL FARSI E DISFARSI DEL LEGAME. SEPARAZIONE PERSONALE E AFFIDAMENTO CONDIVISO DELLA PROLE FRANCESCO RUSCELLO ORDINARIO DI DIRITTO DELLA FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DI VERONA Sommario: 1. Il «farsi» della famiglia nella storicità dell’ordinamento. – 2. «Farsi» della famiglia e rispetto della funzione promozionale della persona. – 3. Il «disfarsi del legame» coniugale quale causa di una più complessa realtà familiare. – 4. Il «disfarsi del legame» coniugale e l’«affido condiviso». – 5. Segue: il diritto del minore alla «famiglia». – 6. Segue: affidamento della prole e interesse dei figli. – 7. Segue: l’esercizio della potestà. – 8. Segue: l’affidamento condiviso quale esercizio condiviso della potestà. – 9. Segue: il mantenimento dei figli. – 10. Conclusioni. 1. IL «FARSI» DELLA FAMIGLIA NELLA STORICITÀ DELL’ORDINAMENTO Il suggestivo titolo che si è voluto dare agli incontri che oggi siamo chiamati a introdurre suggeriscono al giurista, tra gli altri, due quasi ovvi interrogativi: da un lato, cosa si debba intendere per famiglia; dall’altro, quale sorte debba essere riservata al «disfarsi» del vincolo coniugale. Non sempre e non da tutti si pone il problema relativo al primo dei due interrogativi proposti. Eppure, è sotto gli occhi anche dell’osservatore poco attento quanti modelli familiari oggi si possano prospettare 1. E, quantunque fondi la sua disciplina sulla base della famiglia fondata sul matrimonio, lo stesso legislatore conosce diverse realtà familiari: da quelle nucleari (come, per esempio, nelle ipotesi degli artt. 29 cost. e 143 1 Il problema è posto in evidenza, tra gli altri, da V. Scalisi, La “famiglia” e le “famiglie”, in La Riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Atti del Convegno di Verona 14-15 giugno 1985 dedicato alla Memoria del prof. Luigi Carraro, Padova, 1986, p. 270 ss.; nonché, più di recente, da F. Ruscello, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano, 2005, p. 9 ss. Da una diversa angolazione, per certi versi ripercorrendo la via tracciata da chi reputa necessario «far riferimento agli effetti di natura strettamente personale» tipici della «famiglia coniugale» (il riferimento è a P. Barcellona, Famiglia (Diritto civile), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 799 ss. e spec. p. 787 s.), v., da ultimo, G. Giacobbe, Famiglia: molteplicità di modelli o unità concettuale, in Familia, 2006, p. 1219 ss., che, individua un unico «preciso e puntuale modello di famiglia che, nella unitarietà della sua configurazione normativa, esclude che ogni altra e diversa ipotesi di aggregazione sociale possa essere qualificata come famiglia» (ivi, p. 1244). 31 AIAF QUADERNO 2008/1 c.c.) a quelle allargate (si pensi in materia successoria alla rilevanza della parentela fino al sesto grado ai fini della successione legittima: art. 565 c.c.); da quelle legittime a quelle naturali (per queste ultime, fra tutte, si pensi alla famiglia prevista dall’art. 30 cost. con riferimento alla filiazione naturale); da quelle caratterizzate dal vincolo di consanguineità a quelle che tale vincolo non pongono quale elemento essenziale (può essere, questa, l’ipotesi della famiglia prevista ai fini del diritto di abitazione di cui all’art. 1023 c.c.). Nell’ordinamento, la famiglia nasce quale entità sociale e, in particolare nel diritto romano, quale entità anche politica2. E ancora nel codice civile del 1942, essa conserva le sue caratteristiche di istituzione o, come anche si usava dire, e non da pochi ancora si dice, di cellula della società, secondo quella visione aristotelica che da Cicerone viene indicata come principium urbis. Non a caso, per lungo tempo, alla disciplina normativa della famiglia è assegnata una natura affatto particolare, né pubblica né privata; la sua regolamentazione è confinata in un «limbo» nel quale si vede, attraverso una formula ormai anche abusata, «un’isola» lambita, ma soltanto lambita, dalle onde del diritto3. Ne segue una famiglia istituzionalizzata e, per ciò stesso, spersonalizzata; una famiglia che riconosce la sua «unità concettuale» in un «capo», simbolo di un potere che si manifesta al suo interno allo stesso modo di come il principe esercita il suo potere sui sudditi. Il marito, quasi esprimendo una scelta di carattere ideologico4, è il «capo della famiglia», recita ancora l’art. 144 c.c. del 1942, ed esercita la potestà maritale sulla moglie e la patria potestà sui figli. Una posizione di supremazia, quella che al marito attribuisce il codice del 1942, che, forse, non rispecchia nemmeno il contesto storico nel quale lo stesso codice si inserisce e che, sotto questi aspetti, può apparire anche «grottesca»5; una po2 Sul punto, anche per i necessari ragguagli di letteratura, sia consentito a F. RUSCELLO, Dal patriarcato al rapporto omosessuale: dove va la famiglia?, in Studi in memoria di V. E. Cantelmo, a cura di R. Favale e B. Marucci, II, Napoli, 2003, p. 657 ss. 3 È sin troppo evidente il riferimento alle pur illuminanti pagine di A. C. JEMOLO, La famiglia e il diritto, in Annali della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania, 1948, II, p. 57. 4 «Nel disegno del 1939» – sottolinea, opportunamente, P. ZATTI, Introduzione, in Tratt. dir. fam. Zatti, I, 1, Famiglia e matrimonio (a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello), Milano, 2002, p. 20 – «la struttura gerarchica esistente è piegata al tentativo di adeguare il diritto di famiglia alle esigenze di un regime ormai totalitario». 5 È l’espressione che usa G. GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità concettuale, cit., p. 1224. 32 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE sizione che, con ogni probabilità, vuole anche indicare quella figura della donna, moglie e madre, da me definita delicata e odiosa a un tempo, di «angelo del focolare domestico»6, ma che, ora sicuramente, espone il dettato normativo a un ingiustificato contrasto con il principio di eguaglianza solennemente sancito dall’art. 3 cost. e coerentemente affermato, in ambito coniugale, dall’art. 29 cost. che, appunto, riconosce nella famiglia una «società naturale» fondata su un matrimonio che pone l’uomo e la donna su un identico piano di dignità «morale e giuridica». L’eguaglianza, pur sancita in termini di reciprocità dei diritti e dei doveri che nascono con il matrimonio, è una eguaglianza soltanto formale perché quegli stessi diritti e doveri si contraddistinguono per contenuti diversi: la disciplina dell’adulterio è differente per il marito e per la moglie e differenti sono i connotati dei doveri di mantenimento e di assistenza. Anche alla moglie si riconosce la titolarità della potestà sui figli, ma il suo esercizio è riservato al solo marito. 2. «FARSI» DELLA FAMIGLIA E RISPETTO DELLA FUNZIONE PROMOZIONALE DELLA PERSONA Quando, per contro, con l’avvento della Costituzione, alla visione istituzionale si sostituisce quella antropocentrica, si rovesciano i piani del discorso, la famiglia viene calata nella società e inizia, irreversibile, quel processo oggi conosciuto con il nome di «privatizzazione della famiglia»7. La Carta costituzionale, come è noto, inaugura un sistema in cui l’individuo è posto al centro dell’ordinamento in quanto persona e che affonda le sue radici su una solidarietà economica e sociale coniugata con l’identica dignità riconosciuta a tutti a prescindere da qualunque condizione di fatto. Anzi, diviene compito imprescindibile della «Repubblica» quello di rimuovere ogni ostacolo che, limitando la libertà, impedisca lo sviluppo e la realizzazione della personalità (art. 3, comma 2, cost.)8. 6 V., infatti, F. RUSCELLO, Crisi della famiglia e affidamenti familiari: il nuovo art. 155 c.c., di prossima pubblicazione in Dir. fam. e pers., 2006. 7 Sul c.d. processo di privatizzazione della famiglia v., tra i più recenti contributi, P. ZATTI, Familia, familiae – Declinazione di un’idea. I. La privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, p. 1 ss.; e F. RUSCELLO, Dal patriarcato al rapporto omosessuale, cit., p. 657 ss. 8 In questa prospettiva è l’insegnamento di P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, passim. 33 AIAF QUADERNO 2008/1 Queste solenni affermazioni entrano a far parte anche della famiglia che, ora, diviene una «formazione sociale» nella quale si devono dispiegare le libertà come dei coniugi così dei figli. Da entità gerarchicamente ordinata e fondata sull’autorità dell’uomo, si normativizza una comunità che assume valore non per se stessa ma in quanto strumentale alla realizzazione della personalità di chi a quella comunità partecipa9. I figli stessi sono considerati non più per la legittimità dello status ma perché nati: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» (art. 30, comma 1, cost.). Si costituzionalizza, in questi limiti, una famiglia anche naturale che, sebbene formalizzata da quel disposto per il solo rapporto di filiazione, apre gli orizzonti su un divenire della comunità familiare contraddistinto da valori di natura squisitamente personali ben diversi e lontani da quelli caratterizzanti un dato normativo ordinario, quello del codice del 1942, sempre più lontano dalle concrete manifestazioni delle relazioni familiari. A queste enunciazioni corrisponde, seppure non completamente, la riforma del 1975. Si stravolgono le disposizioni precedenti e, da un lato, i coniugi sono posti su un piano di effettiva parità, dall’altro, i figli divengono soggetti attivi di un rapporto al quale loro stessi partecipano e nel quale non sono più meri «oggetto di tutela»10. Alla scarna formulazione dell’art. 143 del codice del 1942 si sostituisce un complesso disposto che immagina la relazione fra i coniugi in un rapporto di collaborazione e alla potestà maritale preferisce un governo diarchico di una comunità ora fondata su una comunione di vita materiale e spirituale. La potestà dei genitori si evolve sempre più in «responsabilità» dei genitori11 e le sue manifestazioni sono sorrette da un esercizio comune del quale è partecipe anche il minore. I doveri dei genitori non sono più fondati sui principi 9 Anche la famiglia deve avere una ragione giustificativa della sua rilevanza, e ciò si coglie, in particolare, nel passaggio dal valore in sé della famiglia al valore persona (v., per esempio, quanto incisivamente sottolinea D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 146) nei limiti entro i quali si ponga quale «strumento di promozione e crescita della personalità individuale» (testualmente v., tra gli altri, V. SCALISI, La “famiglia” e le “famiglie”, cit., p. 273 s.); anche la famiglia, in altri termini, è sottoposta a un giudizio di meritevolezza (v., in particolare, P. PERLINGIERI, Sui rapporti personali nella famiglia, in Rapporti personali nella famiglia, a cura di P. Perlingieri, Napoli, 1982, p. 19). 10 V., per tutti, anche per gli ulteriori riferimenti, F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. I rapporti personali2, in Il Codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 2006, spec. p. 23 ss. 11 V., per tutti, M. SESTA, Genitori e figli tra potestà e responsabilità, in Riv. dir. priv., 2000, p. 219 ss. ma spec. p. 230 ss.; e, più di recente, L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, in Familia, 2006, p. 611 s. 34 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE della morale – principi ai quali faceva riferimento l’abrogato testo dell’art. 147 c.c. – ma devono tener conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Sicché al rispetto che i figli devono ai genitori (art. 315 c.c.) corrisponde un analogo rispetto di questi ultimi verso i figli. Ma la famiglia, come detto, amplia i suoi orizzonti. Il dato normativo ordinario considera anche altre comunità e fa assumere a queste una rilevanza prima sconosciuta. Le convivenze, prima «illegittime» e non a caso identificate anche sotto la forma del «concubinato», sono sempre più prese in considerazione dallo stesso legislatore, prima ancora che dal costume sociale. Le più recenti disposizioni normative sono particolarmente significative sotto questo aspetto: penso, fra l’altro, alla rilevanza della convivenza ai fini della disciplina sulle violenze familiari (artt. 342 bis s. c.c.), ai fini dell’amministrazione di sostegno (artt. 404 ss. c.c.) o ai fini della procreazione medicalmente assistita (l. 19 febbraio 2004, n. 40). La famiglia diviene una comunità non necessariamente formalizzata da un atto, il matrimonio, ma una «formazione sociale» caratterizzata da una comunione di vita materiale e spirituale che, nel perdurare di un «consenso responsabile», si rinnova nella quotidianità di un rapporto complesso. 3. IL «DISFARSI DEL LEGAME» CONIUGALE QUALE CAUSA DI UNA PIÙ COMPLESSA REALTÀ FAMILIARE Anche la disciplina della crisi coniugale risente di questa evoluzione. La visione istituzionale della famiglia imponeva una normativa coerente a questa impostazione: al matrimonio si riconosceva il carattere dell’indissolubilità e la separazione personale dei coniugi, pur ipotizzata nelle forme attualmente ancora conosciute della separazione giudiziale e della separazione consensuale, era considerata un’eccezione e, per ciò stesso, tipizzata nei suoi presupposti (art. 150 c.c. nel testo abrogato dalla riforma del 1975). La crisi della relazione coniugale, per essere formalizzata, dove accordo non v’era, doveva trovare la sua giustificazione nella colpa di uno o di entrambi i coniugi. All’affermarsi dei nuovi principi accennati, per contro, corrisponde una disciplina della crisi coniugale che lascia ai coniugi una autonomia decisionale ora sottoposta a una valutazione di meritevolezza che deve trovare il suo fondamento nella mancata realizzazione della funzione tipica di quella relazione: l’intollerabilità della convivenza e il pregiudizio dei figli, 35 AIAF QUADERNO 2008/1 presupposti ora previsti dal legislatore per la separazione personale, vanno letti in considerazione del concreto manifestarsi di una relazione che è strumentale alla realizzazione della personalità così dei coniugi come dei figli. All’indissolubilità del matrimonio, sicché, non si sostituisce la sua mera dissolubilità. Il favor matrimonii, sempre meno rilevante, non è più il favore nei confronti di una «istituzione» ma il favore per lo sviluppo della persona in una determinata famiglia. Se questa, in quanto fondamentale formazione sociale nella quale anche si manifestano i diritti inviolabili dell’uomo e i doveri inderogabili di solidarietà, è strumento per sviluppare e realizzare la personalità individuale, il legislatore non può non prevedere una disciplina che tenga conto di queste finalità. In questa dimensione, dire che, con il divorzio, si è sostituito al principio dell’indissolubilità del matrimonio quello opposto della dissolubilità è limitativo e fuorviante nei limiti in cui non si coglie la reale riforma che la nuova disciplina sulla crisi coniugale ha portato all’interno dei rapporti familiari12. Al disgregarsi di una famiglia, a un tempo, può corrispondere la formazione di una nuova famiglia che non cancella del tutto quella precedente. Non a caso da parte della dottrina più recente si parla, forse anche enfaticamente, di «solidarietà post-coniugale»13 proprio per sottolineare una continuità che, se nei confronti dei coniugi, sebbene in corrispondenza di precisi presupposti, si dispiega limitatamente a determinate situazioni di carattere patrimoniale, nei confronti dei figli conserva inalterati i suoi contenuti. E lo stesso legislatore, quantunque non ve ne fosse bisogno, si preoccupa di precisare che i doveri dei genitori stabiliti dagli artt. 147 e 148 c.c. permangono «anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori» (art. 6 l. divorzio)14. La famiglia diviene un fenomeno ancora più complesso e, nei limiti in cui si può divenire partecipi anche di una pluralità di famiglie, diffi12 Negli stessi termini v., fra gli altri, F. RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, cit., p. 151 ss. 13 V., in particolare, M. BIANCA, La famiglia, Milano, 2005, p. 284 14 Formula, quella richiamata nel testo, sicuramente incompleta (v., infatti, G. F. BASINI, I provvedimenti relativi alla prole, in G. BONILINI e F. TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, in Il Codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1997, p. 595 s.) e, per certi versi, anche pericolosa (v., infatti, le osservazioni di E. QUADRI, Il minore nella crisi coniugale, in Giur. it., 1988, IV, c. 22) ma che, «in quanto riguardante effetti non residuali al rapporto coniugale in crisi ma direttamente nascenti dal rapporto di filiazione comunque e in qualunque tempo costituitosi, va intesa come riferita a tutti i figli dei genitori separandi o divorziandi e, per ciò stesso, formalmente indicativa, paradossalmente proprio nella sua inutilità, di quella che da più parti viene indicata come responsabilità da procreazione dei genitori» (F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, Milano, 2002, p. 20). 36 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE cilmente enucleabile in formule più o meno definite astrattamente. Anche la famiglia, in una parola, conosce quel fenomeno di «frantumazione concettuale» già da anni verificato con riferimento ad altri istituti: fra tutti, la proprietà, la responsabilità civile, il contratto. Si tratta, però, di una «frantumazione» che non è arbitraria o disorganica, ma indicativa delle diverse modalità attraverso le quali storicamente si è venuta a manifestare la comunità familiare e, a un tempo, della volontà del legislatore di riconoscere, a volta a volta, la meritevolezza di tutela di situazioni che, se considerate all’esterno della famiglia, rimarrebbero prive di tutela15. 4. IL «DISFARSI DEL LEGAME» CONIUGALE E L’«AFFIDO CONDIVISO» È in questo quadro che si deve inserire la nuova disciplina del c.d. affido condiviso emanata con la l. n. 54 del 2006. Una nuova disciplina che, di là da ipocrisie, trova il suo fondamento nelle pur giuste pretese dei genitori non affidatari della prole16 e che, in realtà, come si accennerà anche di qui a poco, poggia su una non del tutto corretta interpretazione del precedente dato normativo. È vero, d’altra parte, che i limiti delle nuove disposizioni sono riconosciuti dallo stesso legislatore allorquando espressamente sottolinea, in sede di approvazione del progetto di legge, la possibilità di «tornare nuovamente a riflettere sulla materia»17. Sotto altro verso, poi, stando almeno ai primi commenti18, anche da parte di chi ha 15 Nei termini del testo v., in particolare, F. RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, cit., p. 153. 16 Non è un caso, d’altra parte, che molte proposte di legge, come è espressamente indicato nelle rispettive relazioni, altro non erano che elaborazioni di testi suggeriti dalle diverse associazioni dei genitori: penso, tra le altre e soltanto a titolo esemplificativo, alla Proposta Cento, espressamente formulata sulla base dell’elaborazione dell’Associazione genitori separati dai figli (http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0002390.pdf), alla Proposta di legge Lucchesi ed altri, espressamente presentate sulla base di uno studio svolto dall’associazione Crescere insieme (http://wai.camera.it/ _dati/leg14/lavori/stampati/ pdf/14PDL0011220.pdf), o alla Proposta Vitali e Marras, (anche questa presentata sulla base di uno studio dell’associazione Crescere insieme (http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0009740.pdf). 17 Lo pone in evidenza anche F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, in Fam. e dir., 2006, p. 402, allorquando sottolinea la modestia e la discutibilità dell’intervento legislativo di riforma. 18 V., in particolare, P. SCHLESINGER, L’affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. Giur., 2006, p. 301 ss.; nonché, fra gli altri, P. LOVATI, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova legge, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 165 ss. 37 AIAF QUADERNO 2008/1 promosso più attivamente la riforma, la soddisfazione dei risultati non ha raggiunto una soglia, per dir così, del tutto tranquillante19. È ovvio che tutto è perfettibile, e ciò è maggiormente vero in una materia, quale il diritto di famiglia, così sensibile all’evoluzione dei costumi, nei confronti della quale il continuo adeguamento della disciplina legislativa alle trasformazioni sociali è una sicura funzione che l’ordinamento deve non soltanto perseguire ma anche concretamente svolgere. Mi sembra, nondimeno, che, di là da alcuni irrisolti problemi di armonizzazione con il complesso sistema familiare20, si sia persa una occasione21, quantunque evidente sia lo sforzo, principalmente culturale, di responsabilizzare maggiormente i genitori e si prenda pure atto di alcune nuove manifestazioni del vincolo familiare, espressamente stabilendo, fra l’altro, che le nuove disposizioni si applichino anche alle ipotesi di rottura di una convivenza. I principi che si sono voluti affermare possono, sinteticamente, essere così enucleati: riconoscimento della bigenitorialità, esercizio della potestà in capo a entrambi i coniugi, valutazione prioritaria dell’affidamento «condiviso». Di là da ogni altra considerazione, la prima «novità» che il legislatore ha reputato di dover introdurre riguarda l’espressa previsione del «diritto» del minore alla bigenitorialità, inteso nella conservazione di «un rapporto equilibrato e continuativo» con entrambi i genitori per modo da ricevere da ciascuno di essi «cura, educazione e istruzione» (art. 155, com19 Anche riguardo a quella che dovrebbe rappresentare la vera «rivoluzione» del sistema proposto – il riconoscimento espresso del «diritto» alla bigenitorialità pure in sede di crisi del rapporto coniugale – non sono mancate osservazioni critiche: ambiguo ed esposto a tentativi di contraffazione interpretativa, per alcuni, bisognoso, per altri, di essere acquisito dalle generazioni come modello di vita reale, ovvero di una convinta adesione da parte di tutti i soggetti coinvolti, e soltanto la mera enunciazione di un principio, per altri ancora (per i riferimenti sia consentito rinviare a F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», in Familia, 2006, p. 628 s.). 20 Lo sottolinea anche nonché F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 402, dove pone in evidenza, appunto, «la sconcertante impressione che le nuove disposizioni non tengano deliberatamente conto del sistema in cui si inseriscono e che è assente il benché minimo tentativo di armonizzare le nuove norme con la complessa disciplina codicistica che regola la potestà genitoria e gli effetti della separazione coniugale». 21 Di «opportunità» persa nel «delineare non soltanto nei contenuti le diverse modalità dell’affidamento ma anche di assegnare a ciascuna di esse una precisa funzione nel “rapporto familiare” che si costituisce a seguito della separazione personale fra coniugi» è stato già posto in evidenza da F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 652. Cfr., altresí, L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, cit., p. 609. Alcuni annosi problemi, non affrontati adeguatamente dall’attuale normativa, sono posti in evidenza anche da L. LENTI, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse dei figli o dei padri separati?, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 247 ss. 38 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ma 1, c.c.). Si mira, quindi e salvo che ciò non sia contrario all’interesse preminente della prole, a salvaguardare la conservazione dei rapporti tra la prole e i genitori, appunto con l’ipotizzato «diritto alla bigenitorialità», anche in sede di crisi coniugale, responsabilizzando entrambi i genitori al rispetto dei loro diritti e doveri. In questi termini, il principio enunciato, se espressamente indica la necessità che il rapporto genitori-figli abbia una sua continuità, ribadisce la rilevanza, oltre che dell’interesse del figlio, dell’interesse del genitore stesso a conservare un rapporto significativo con la prole 22. Le ragioni che hanno determinato l’intervento del legislatore, infatti, risiedono negli equivoci ai quali, con ogni probabilità, dava luogo la precedente normativa23. Con questa, come è noto, si prevedeva, di regola, l’affidamento della prole a uno soltanto dei genitori (c.d. affidamento esclusivo) e, soltanto in presenza di un accertata situazione di accordo, l’affidamento a entrambi (c.d. affidamento congiunto). La formulazione dell’abrogato testo dell’art. 155 c.c., tuttavia, permetteva interpretazioni non del tutto conformi al suo spirito e autorizzava, nella pratica delle aule giudiziarie e nelle ricostruzioni di molta parte di dottrina, la creazione di un rapporto della prole, con l’uno e l’altro genitore, differenziato di fatto secondo le attribuzioni a ciascuno di essi ascritte24: al genitore affidatario si riconosceva l’esercizio esclusivo della potestà e, dunque, la cura del minore; ciò a tutto svantaggio del genitore non affidatario che, non vedendosi riconosciuto l’esercizio della potestà, diveniva, per dir così, il genitore «del tempo libero»25. Muovendo da questa situazione, il legislatore 22 Con specifico riferimento alla riforma del 2006 v. anche G. DE MARZO, L’affidamento condiviso, I, Profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, c. 90. Con ogni probabilità, quelle delineate nel testo, oltre che, come almeno sembra, l’implicita convinzione dello stretto collegamento funzionale tra bigenitorialità e affidamento condiviso, sono le ragioni che inducono P. MOROZZO DELLA ROCCA, Alcune considerazioni critiche riguardo alla legge sull’affidamento condiviso, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 14, a sottolineare «che la clausola generale del best interest del minore smette di essere tale e viene subordinata all’obbiettivo del mantenimento della bigenitorialità». 23 V. già, nel senso del testo, F. RUSCELLO, Crisi della famiglia e affidamenti familiari: il nuovo art. 155 c.c., cit. Nella prospettiva del testo, si può convenire con chi, più di recente, pur sottolineando l’indiscutibile esistenza del diritto alla bigenitorialità già prima della novella 2006, sottolinea che, di fatto, esso veniva sconfessato: M. G. RUO, Riflessioni di un avvocato sulla prima giurisprudenza, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 21 s. 24 Ampiamente, sui problemi accennati nel testo, v. la prima edizione di F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. I rapporti personali, in Il Codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1996, p. 214 ss. 25 L’osservazione del testo è pressoché pacifica: v., da ultimi e criticamente, L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, cit., p. 612; e, in nota a una decisione del 2004 della Corte di Appello di Cagliari, E. MARONGIU, “Genitore dei 39 AIAF QUADERNO 2008/1 ha creduto di dover ribadire espressamente la conservazione in capo al minore e ai genitori del «diritto alla bigenitorialità» prevedendo, appunto, il mantenimento di rapporti personali regolari e diretti al verosimile fine di preservare il più possibile la prole dalle conseguenze traumatiche della crisi tra i suoi genitori e di garantire ai coniugi-genitori l’esercizio delle loro funzioni inderogabili e inalterabili se non per ragioni intimamente connesse all’esigenza di tutelare l’interesse del minore. In realtà, il diritto alla bigenitorialità mai è stato negato26 e la stessa precedente normativa, sebbene soltanto implicitamente, lo riconosceva: dato, questo, ammesso anche da parte di chi sembra guardare con favore alla riforma27. Lo stesso già ricordato art. 6, comma 1, l. divorzio, nemmeno tanto implicitamente, richiama questa garanzia nell’affermare il permanere dei doveri genitoriali «anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori»; una garanzia che non può non essere ipotizzata nella indiscutibile continuità del rapporto genitori-figli. Anche con riferimento alle relazioni personali, nessuno dubitava che la «bigenitorialità» dovesse essere valore da salvaguardare ed essere garantita attraverso una effettiva conservazione di rapporti il più possibile stabili. Tant’è che, da un lato, se il genitore affidatario non si fosse attenuto alle condizioni stabilite, si imponeva al giudice di tener conto di quel comportamento al fine del cambio di affidamento (art. 6, comma 5, l. divorzio); dall’altro, anche in giurisprudenza, proprio a garanzia della conservazione del rapporto tra il figlio e il genitore non affidatario, si riconosceva la risarcibilità del danno sofferto da quest’ultimo a seguito di ingiustificato impedimento da parte del genitore affidatario alle relazioni personali con il figlio28. Risarcibilità doveri” e “genitore dello svago”: problemi in tema di affidamento della prole, in Fam. pers. e succ., 2006, spec. p. 313 s. 26 «Invero» – precisa già prima della riforma del 2006 anche L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, in Familia, 2004, p. 4 – «le discussioni non vertono certo sul diritto dei minori alla bigenitorialità, che per tutti costituisce un dato incontestabile e rappresenta un punto che potremmo definire, nel contempo, sia di partenza che di arrivo». Con espresso riferimento alla novella del 2006 v., nel senso del testo, tra gli altri, L. LENTI, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse dei figli o dei padri separati?, cit., p. 251. 27 V., infatti, tra gli altri, prima della riforma, V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in G. CAMPANATO, V. ROSSI e S. ROSSI, La tutela giuridica del minore. Diritto sostanziale e processuale, Padova, 2005, p. 437; e, successivamente, R. VILLANI, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Prima parte), in Studium iuris, 2006, spec. p. 521. 28 Negli stessi termini delineati nel testo v. già, quasi testualmente, F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 650, dove anche ulteriori riferimenti. 40 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE che, oggi, è espressamente prevista dal comma 2 del rinnovato art. 709-ter c.p.c. nelle ipotesi di «gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento». 5. SEGUE: IL DIRITTO DEL MINORE ALLA «FAMIGLIA» Obiettivo del legislatore è di (far apparire e di) garantire al minore una situazione «somigliante» a quella vissuta nella fisiologia del rapporto coniugale. Da qui la necessità di far conservare al minore le relazioni con tutti i suoi familiari e, per ciò, di prevedere anche il suo «diritto […] di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 155, comma 1, c.c.). Non si tratta, però, a mio avviso, del riconoscimento di un diritto in capo ai familiari del minore di intrattenere con lui relazioni personali29: in ogni caso, e come in passato, quando una tale previsione non era ancora formalizzata, volendo pur parlare in termini di situazioni soggettive semplici, i familiari rimangono titolari di un interesse legittimo che, per ciò stesso, in tanto può essere tutelato, in quanto il suo esercizio corrisponda all’interesse del minore30. È indubbio che, di regola, i rapporti parentali, e in particolare quelli con i nonni, non soltanto per il significato e per il valore riconosciuto alla famiglia dal nostro ordinamento, ma anche per l’importanza che essi assu29 Cosí, invece, S. PATTI, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. e succ., 2006, p. 300 s. Da una diversa angolazione v., invece, v. L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio. Dall’affidamento esclusivo all’affidamento condiviso. Esperienze pregresse e novità legislative a confronto, Torino, 2006, p. 185 s., allorquando pone in evidenza che «La titolarità del diritto al permanere di significativi rapporti con i nonni è […] del minore». Analogamente v. C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli. Commento sistematico delle nuove disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, p. 34 ss. Indeciso è il pensiero di G. AMOROSO, Sul diritto di visita degli ascendenti, in Minori giustizia, 2006, n. 3, spec. p. 66 s., secondo il quale «Si potrebbe configurare la titolarità di un vero e proprio diritto riconosciuto agli ascendenti, ovvero di un interesse autonomamente meritevole di tutela nell’ambito del diritto privato, secondo quei criteri, già utilizzati per la nozione di interesse legittimo» (il virgolettato è a p. 67). 30 La contraddizione che teme S. PATTI, o.c., p. 301, di vedere, cioè, tutelato il rapporto avonipoti «quando i genitori sono separati e non quando essi convivono», non si pone, venendo riconosciuta la stessa situazione soggettiva, di interesse legittimo, sia nella fisiologia sia nella patologia del rapporto coniugale: v., infatti, F. RUSCELLO, «Diritto di visita» e tutela della personalità del minore, in Rass. dir. civ., 1989, p. 191 ss. e spec. p. 196 ss. In giurisprudenza v., in linea di principio nel senso del testo, e dopo l’introduzione della novella del 2006, Trib. Catania, 26 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/ download/catania_prescrizioni1.PDF. 41 AIAF QUADERNO 2008/1 mono nella crescita di una persona, siano da salvaguardare31. È per questo che, merito del legislatore è non tanto la previsione in sé – che, in buona sostanza, altro non prevede se non una situazione di fatto indubbia, seppur talvolta contrastata – quanto l’espressa affermazione di ciò che rappresenta la comunità familiare, quale valore indiscutibile della persona anche nella crisi del rapporto personale fra coniugi: una comunità che, per realizzare la funzione promozionale alla quale è espressamente chiamata dagli artt. 2, 29 e 30 cost., si esprime in un insieme di rapporti non esauribili nella famiglia nucleare, ma che si estendono alle relazioni parentali «di ciascun ramo genitoriale». 6. SEGUE: AFFIDAMENTO DELLA PROLE E INTERESSE DEI FIGLI Diversamente da quanto enunciava l’abrogato testo dell’art. 155 c.c., per rendere effettivo il «diritto alla bigenitorialità, è previsto che l’affidamento esclusivo a uno dei genitori sia decisione soltanto residuale32 e, per altro, di là dalle ipotesi nelle quali ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 330 c.c. sulla decadenza dalla potestà33, possibile se, dall’affidamento all’altro genitore, possa derivare un grave pregiudizio al minore (art. 155 bis c.c.). Il giudice, pertanto, deve valutare «prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati a entrambi i genitori» (art. 155, comma 2, c.c.) e, «qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore», può disporre l’affidamento a uno soltanto di essi (art. 155 bis, comma 1, c.c.). Affidamento a entrambi e affidamento esclusivo, seppure con la preferenza netta e precisa verso il primo, sono destinati a convivere – sebbene, per dir così, a parti invertite – analogamente a quanto avveniva prima della recente riforma34. 31 Ribadisce, anche di recente, quanto sottolineato nel testo, C. M. BIANCA, La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso: prime riflessioni, in Dir. fam. e pers., 2006, p. 679. 32 Lo si precisa espressamente non soltanto da parte dei primi commentatori (v., per esempio, M. SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. e dir., 2006, p. 379), ma anche in giurisprudenza: v., a titolo esemplificativo, già Trib. Chieti, 28 giugno 2006, http//www.iuritalia.it/giurisprudenza/G_showdoc.asp?rid=3&ftc=772185; Trib. Catania, 16 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/catania_condiviso8.PDF. 33 Un caso emblematico è deciso da Trib. Catania, 26 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/ catania_prescrizioni1.PDF. 34 Sembra, d’altro canto, interessante rilevare che, almeno dalla lettura dei primi provvedimenti 42 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Dall’esclusivo interesse del minore, quale clausola generale con la quale si intende indicare la necessità di salvaguardare una personalità in formazione di fronte a qualsiasi altra esigenza, si passa, nondimeno, a un esclusivo interesse soltanto presunto che, proprio in quanto tale, si può vincere non in relazione a ciò che per il minore – il titolare di quell’interesse – può essere il più utile strumento di promozione, ma soltanto quando il giudice reputi che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore stesso (art. 155-bis, comma 1, c.c.)35. Quanto, invece, specialmente di fronte a una personalità in formazione, sia necessario passare da una valutazione in negativo, qual è quella di «non contrarietà», a una valutazione in positivo di promozione della personalità è posto in evidenza con forza dalla dottrina più recente36. «È tramontata l’epoca della famiglia, che potremmo definire “protettiva”, la cui funzione primaria consisteva nella protezione dei suoi membri dalla fragilità, dall’inesperienza, dalla solitudine, dalla malattia, dalla vecchiaia, e quant’altro. Mentre oggi impera un modello di famiglia che potremmo chiamare “partecipativa”, visto che i suoi membri intanto la creano e la mantengono in vita in quanto partecipando ad essa si realizzano a pieno nella loro realtà sociale, relazionale in merito, le motivazioni e le situazioni di fatto che giustificavano le scelte in tema di affidamento all’uno o all’altro genitore precedentemente all’entrata in vigore della novella del 2006 costituiscono elementi delle attuali decisioni per ammettere o escludere l’affidamento condiviso: v., in particolare, ai fini dell’ammissione, Trib. Napoli, 28 giugno 2006, in Corriere del merito, 2006, p. 984, sull’irrilevanza, nella valutazione dell’idoneità genitoriale del coniuge e alle determinazioni circa l’affidamento della prole, della condizione omosessuale del coniuge stesso e delle eventuali relazioni omosessuali da questi intraprese; e, ai fini dell’esclusione, Trib. Catania, 5 giugno 2006, http//www.iuritalia.it/giurisprudenza/G_ showdoc.asp?rid=5&ftc=769308, secondo il quale non si può disporre «l’affidamento condiviso qualora uno dei coniugi non abbia manifestato alcun interesse in tal senso, piuttosto evidenziando la propria difficoltà nella gestione di tale forma di affido a causa dell’attività lavorativa esercitata (nel caso di specie autotrasportatore)». 35 Quantunque l’affidamento a entrambi i genitori sia, in astratto, quello che, di regola, offre le migliori garanzie: tra i contributi più recenti nell’ambito della «sociologia della famiglia», cfr. V. POCAR e P. RONFANI, La famiglia e il diritto, Roma-Bari, 2003, spec. p. 173 ss., i quali, pur riconoscendo appunto nell’affidamento congiunto – inteso «come piena condivisione delle responsabilità genitoriali» (ivi, p. 173) – la modalità di attuazione più «compiuta» del principio di «cogenitorialità», sottolineano come questo principio possa trovare attuazione anche con l’affidamento a uno soltanto dei genitori (ivi, spec. p. 179). Con riferimento, invece, a precedenti progetti di riforma dell’art. 155 c.c. v., da due diverse angolazioni, M. DOGLIOTTI, Idee per una riforma: breve analisi del progetto, in Fam. e dir., 1998, p. 487 ss.; e C. RIMINI, Separazione e divorzio: verso una riforma, ivi, 1998, p. 490 ss. 36 Già da tempo è, quello delineato nel testo, l’insegnamento di P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, cit., passim. Con specifico riferimento al problema di cui è questione in questa sede, mi sembrano nella stessa prospettiva anche le osservazioni di L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., p. 1 ss. 43 AIAF QUADERNO 2008/1 e professionale. Si è passati, dunque, dalla famiglia “nido” alla famiglia “trampolino”. E cioè alla famiglia la cui esistenza ed il cui funzionamento operano da precondizione per raggiungere determinati risultati concreti in termini di realizzazione della propria identità»37. Il dubbio che si sia inteso effettivamente garantire l’«esclusivo interesse del minore» di fronte all’emersione di altri interessi evidentemente reputati, se non superiori a quello, almeno equivalenti38 diventa un interrogativo39. «La verità è che oggi troppo spesso l’egoismo del genitore […] sembra prevalere sugli interessi dei figli, soggetti deboli che subiscono le scelte degli adulti»40. Eppure il soggetto – siamo ormai abituati a sentire – non è più soltanto il punto di riferimento di situazioni soggettive e lo stesso disposto costituzionale, in questo, è inequivoco nei limiti in cui alla soggettività, intesa quale momento statico dell’essere, sostituisce la persona nel suo dinamico divenire41. La realizzazione dell’interesse del minore, quale persona in formazione, esige, in questi termini, prima ancora che una valutazione di non contrarietà, una valutazione in positivo di meritevolezza della decisione, a volta a volta, presa42. 37 D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 153 s. 38 Forse non a caso, già si sottolinea che, quantunque l’esclusivo interesse della prole rimanga il criterio fondamentale sulla base del quale devono essere presi i provvedimenti concernenti la prole, «non v’è dubbio che per effetto della novella legislativa l’interesse del minore debba essere valutato applicando i nuovi principi enunciati dalla legge e, primo fra tutti, quello alla bigenitorialità»: L. BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, in Familia, 2006, p. 656. 39 E, infatti, non manca chi (G. CASABURI, Dall’affidamento congiunto all’affidamento condiviso, in Foro it., 2006, I, c. 1411) pone in rilievo la circostanza che, optando per una presunzione legislativa di favore verso l’affidamento condiviso, si potrebbe essere indotti a credere che la nuova normativa abbia intesi salvaguardare non tanto l’interesse del minore quanto quello dei genitori. 40 Lo sottolinea ancora D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, cit., p. 152. 41 Esemplari, in questa prospettiva, sono ancora le pagine di P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, cit., passim. «Alla capacità giuridica» – sottolinea su questa scia F. RUSCELLO, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Familia, 2002, p. 937 s. – «situazione bensí inviolabile (arg. ex artt. 2, 3 e 22 Cost.) ma qualificante il momento statico della soggettività, si affianca la dinamica dell’essere persona che si proclama con gli artt. 2 e 3 Cost.: l’individuo, dunque anche il minore, è soggetto titolare di situazioni soggettive ma, a un tempo, persona alla quale l’ordinamento riconosce la garanzia dello sviluppo e della realizzazione della personalità» (già prima, in questo senso, v., diffusamente, P. STANZIONE, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino-Napoli, 1975, spec. p. 85 ss.). 42 Nei termini delineati nel testo, è pensabile che all’eventuale accordo raggiunto circa l’affidamento della prole, sia esso condiviso o esclusivo debba riconoscersi un valore eminentemente relativo, ed è in quegli stessi limiti che, a mio avviso, si deve intendere l’inciso sulla «presa d’atto» da parte del giudice degli accordi intervenuti fra i genitori. In argomento, v., da due angolazioni parzialmente diverse, S. PATTI, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 44 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Non soltanto; un dubbio si potrebbe affacciare all’orizzonte anche sull’effettiva bontà della scelta preferenziale, sebbene a livello soltanto presuntivo, di un affidamento a entrambi i genitori; e ciò specialmente in considerazione delle motivazioni che sorreggevano, vigente la precedente normativa, la possibilità data al giudice di pronunciare l’affidamento congiunto43. Sotto questo profilo, credo che non si abbia del tutto torto – ma, come accennerò di qui a poco, se con ciò si realizzi effettivamente l’interesse della prole – quando si afferma che le identiche motivazioni poste dalla giurisprudenza e dalla dottrina a fondamento dell’affidamento congiunto debbano sorreggere anche i provvedimenti che, oggi, il giudice è chiamato a emanare, posto che, per espressa previsione dell’art. 155, comma 2, c.c., i provvedimenti relativi alla prole devono essere presi «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa»44. La scelta 302, secondo il quale «violerebbe la legge […] il giudice che si discosti dagli accordi senza motivi apprezzabili, e cioè nei casi in cui la sua decisione, che comunque deve porsi in linea con le scelte dei genitori, non contrarie all’interesse del minore, non sia evidentemente diretta a realizzare ancor meglio tale interesse»; e, secondo una impostazione più in linea con la prospettiva che si va delineando in questa sede, M. SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. e dir., 2006, p. 382, secondo il quale, fermo restando il limite dell’interesse del minore, il giudice «ben può disattendere le intese raggiunte dai genitori» non potendo, questi ultimi, «sic et simpliciter abdicare al principio della bigenitorialità, di cui l’affido condiviso è tipica espressione». 43 Ancora appena immediatamente prima dell’emanazione della l. n. 54 del 2006 la Cassazione ha precisato quale presupposto per l’affidamento congiunto l’assenza di conflittualità fra i coniugi: Cass., 20 gennaio 2006, n. 1202, in Foro it., 2006, I, c. 1406 ss., dove anche la nota di G. CASABURI, Dall’affidamento congiunto all’affidamento condiviso, cit., c. 1406 ss. È pur vero, tuttavia, che nella giurisprudenza di merito le posizioni che si facevano strada erano diversificate e a quanti spingevano – specialmente più di recente – per una preferenza verso l’affidamento congiunto anche in ipotesi di una certa conflittualità fra i coniugigenitori, conflittualità che, comunque, non doveva essere di ostacolo alla comune gestione della vita del figlio [v., per esempio, Trib. Venezia, 22 gennaio 2003, in Fam e dir., 2003, p. 241 (dove anche la nota di L. SACCHETTI, Dell’affidamento congiunto imposto, p. 243 ss.); Trib. Viterbo, 14 giugno 2004, in Gius, 2004, p. 3941 s.; Trib. Napoli, 18 gennaio 2005, in Corriere del merito, 2005, p. 265 s.], si contrapponevano quanti richiedevano uno «spirito collaborativo» o l’accordo fra i genitori (v., per esempio, Trib. Genova, 18 aprile 1991, in Giust. civ., 1991, I, p. 3095, dove anche la nota di M. MIGLIETTA, I presupposti dell’affidamento congiunto, p. 3095 ss.; App. Perugia, 18 gennaio 1992, in Dir. fam. e pers., 1994, p. 148 ss.; Trib. Catania, 8 giugno 1994, ivi, 1995, p. 222 ss.) reputandolo addirittura modello eccezionale (in questo senso App. Venezia, 24 maggio 2004, in Giur. merito, 2005, p. 64). In dottrina v., fra gli altri e per gli opportuni riferimenti, F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., p. 110 ss.; nonché, da ultimo e con particolare riferimento anche alla riforma del 2006, G. F. BASINI, L’affidamento ad un solo genitore prevale ancora sull’affidamento “condiviso”, se cosí impone l’esclusivo interesse della prole, in Fam. per. e succ., 2006, spec. p. 788 s. 44 V., in particolare, G. F. BASINI, L’affidamento ad un solo genitore prevale ancora sull’affidamento “condiviso”, cit., pp. 781 ss., 784 ss. e spec. p. 789 s.; e di S. ASPREA, La tutela dei figli nella separazione, nel divorzio e nella famiglia di fatto. Alla luce della legge sull’affido condiviso e del nuovo patto di famiglia, Torino, 2006, spec. p. 22. Nei limiti entro i quali si sottolinea la difficile pratica applicabilità del nuovo istituto, v., inoltre, G. CASABURI, 45 AIAF QUADERNO 2008/1 dell’affidamento congiunto, come è noto, era dettata dalla necessità di realizzare il più compiutamente possibile l’interesse del minore45 e questo si immaginava che si potesse attuare quando fra i genitori fosse esistente una situazione non conflittuale, se non proprio di accordo46. È possibile, allora, ipotizzare un mutamento di prospettiva da parte del legislatore rispetto a quanto anche la giurisprudenza della Cassazione reputava doversi accertare per pronunciare un affidamento congiunto? Se l’interesse esclusivo dei figli esigeva quel modello di valutazione, è possibile interrogarsi sul perché oggi l’affidamento c.d. condiviso dovrebbe essere in via di logica astratta preferibile? In realtà, il conflitto fra i coniugi, grave o no che sia, non mi sembra, oggi Dall’affidamento congiunto all’affidamento condiviso, cit., c. 1412 s. Sul punto v., altresí, P. MOROZZO DELLA ROCCA, Alcune considerazioni critiche riguardo alla legge sull’affidamento condiviso, cit., p. 18, dove sottolinea: «come fare ad evitare che, in queste condizioni di dissenso e frizione, l’affidamento condiviso non risulti essere un salto nel buio di cui i minori diverrebbero le prime – ma non certo le uniche – vittime?». Singolari, invece, appaiono le osservazioni di M. SANTINI, L’affidamento congiunto, http://www.altalex.com/index. php?idnot=35539, che, mentre in un primo momento sottolinea la necessità che, nell’affidamento condiviso, il rapporto tra i genitori sia caratterizzato da «spirito collaborativo» e da «senso di responsabilità», successivamente precisa, a un tempo, «che ove la litigiosità dei genitori possa assurgere ad elemento ostativo ad un affidamento congiunto, il nuovo testo dell’articolo 155 c.c. sarebbe di fatto svuotato di ogni significato», sicché dovrebbe «ritenersi superato il principio sulla base del quale l’accordo dei coniugi sarebbe presupposto imprescindibile per l’affidamento congiunto della prole». Sul profilo della conflittualità pongono l’accento anche le prime decisioni in merito: secondo Trib. Napoli, 28 giugno 2006, in Corriere del merito, 2006, p. 984 ss., «la fortissima conflittualità tra i coniugi osta all’affidamento condiviso»; e secondo Trib. Catania, 1 giugno 2006, http//www.iuritalia.it/giurisprudenza/G_showdoc.asp?rid=6&ftc=770921, l’affidamento condiviso «non può ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi» [analogamente, già lo stesso Trib. Catania, 18 maggio 2006, http//www.iuritalia. it/giurisprudenza/G_showdoc.asp?rid=7&ftc=746417, allorquando esclude la possibilità di un affidamento condiviso quando la richiesta provenga «dal genitore detenuto per episodi di violenza nei confronti della moglie (madre del bambino) trattandosi di situazioni che travalicano i limiti dell’ordinaria conflittualità tra i coniugi separandi (di per sé non ostativa all’affido condiviso)»]. 45 Il quale, come è noto, a seguito dell’affidamento congiunto era sottoposto, non a caso, all’esercizio congiunto della potestà da parte di entrambi i genitori quale «conseguenza necessaria di tale tipo di affidamento» (testualmente, per tutti, M. MIGLIETTA, I presupposti dell’affidamento congiunto, cit., p. 3097, dove ulteriori riferimenti). 46 Anche in considerazione delle osservazioni esposte nel testo ho avuto già occasione di chiedermi, infatti, in cosa si potesse distinguere l’attuale affidamento «condiviso» con il precedente affidamento «congiunto»: F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., pp. 636 ss., 644 ss.; sotto quest’ultimo profilo, si esprime, in linea di principio, in senso analogo G. F. BASINI, L’affidamento ad un solo genitore prevale ancora sull’affidamento “condiviso”, cit., p. 788 ss. Si ricordi, per altro, che, proprio nella prospettiva accennata nel testo, l’affidamento congiunto era considerato «un sistema di assai difficile attuazione» (testualmente M. COSTANZA, Quale interesse nell’affidamento congiunto della prole?, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 595, dove anche ulteriori ragguagli di dottrina e di giurisprudenza). 46 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE più di ieri per l’espressa scelta del legislatore, possa essere di per sé causa sufficiente per escludere un affidamento condiviso, dovendo rimanere essenziale la prioritaria esigenza di realizzare l’interesse del minore. Credo, infatti, si abbia ragione quando si precisa che, se emerga una conflittualità coniugale fondata «esclusivamente nella rottura del rapporto di coppia e nelle conseguenti problematiche di natura economica tra coniugi» senza investire «il profilo della condivisione delle responsabilità genitoriali, non potrà essere ritenuta per ciò solo legittima la previsione dell’affidamento ad un solo genitore»47. 7. SEGUE: L’ESERCIZIO DELLA POTESTÀ Continuando nei suoi intendimenti, il legislatore ha, poi, dissolto inequivocabilmente la discutibile dissociazione fra titolarità ed esercizio della potestà, riconoscendo che la potestà è esercitata da entrambi i genitori e specificando, forse nel tentativo di adeguare la regolamentazione dei rapporti conseguenti alla separazione a quella immaginabile nella fisiologia del rapporto familiare (artt. 147 e 316 c.c.), che «Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli» (art. 155, comma 3, c.c.). Nulla si dice, per contro, relativamente all’esercizio della potestà in ipotesi di affidamento esclusivo, con ciò lasciandosi aperta una breccia per quanti ancora vogliano scindere la titolarità dall’esercizio della potestà48: una scissione che, a mio avviso, non trova alcuna spiegazione nella 47 L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, cit., p. 188 s. Già qualche pronuncia, quantunque in una prospettiva diversa da quella che si è andata delineando in questa sede e mirata a responsabilizzare uno dei genitori, in concreto reputato inadeguato, propende a dichiarare l’affido condiviso pur in presenza di una situazione conflittuale fra i genitori «perché il distacco dalla figura materna potrebbe essere di grave pregiudizio al minore»: Trib. Ascoli, 16 marzo 2006, http://www.minoriefamiglia.it/ download/ascoli_condiviso1.PDF. 48 V., infatti, quanti escludono l’esercizio in capo a entrambi i genitori della potestà in ipotesi di affidamento esclusivo: in giurisprudenza, Trib. Catania, 1 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/catania_condiviso5.PDF; e, in dottrina, R. VILLANI, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Seconda parte), in Studium iuris, 2006, p. 668; M. SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, cit., p. 380 s.; L. BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., p. 660; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Alcune considerazioni critiche riguardo alla legge sull’affidamento condiviso, cit., p. 15; M. G. RUO, Riflessioni di un avvocato sulla prima giurisprudenza, cit., p. 27; L. LENTI, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse 47 AIAF QUADERNO 2008/1 dinamica delle situazioni soggettive le quali, come mi sembra evidente, devono avere un loro ciclo di realizzazione che dalla nascita va fino all’estinzione e che nell’esercizio trova uno dei momenti maggiormente significativi. Per altro, qui si discute della potestà dei genitori, cioè di una situazione soggettiva di rango costituzionale e tutelata, se non esclusivamente, almeno prioritariamente nell’interesse del minore49. Si tratta di una situazione soggettiva complessa che non può essere compromessa da fatti non collegabili all’interesse della prole. Sicché, se questo interesse esige che il genitore non eserciti la potestà, allora mi sembra evidente che sia necessario ricorrere alla decadenza dalla potestà. La stessa decadenza dalla potestà, non a caso, non estingue la situazione, ponendola soltanto in uno stato di quiescenza e fino a quando, «escluso ogni pregiudizio per il figlio», il giudice non decida di reintegrare il genitore nell’esercizio delle sue funzioni (art. 332 c.c.). Oggi, più di ieri, coerentemente al sistema di valori e di principi espressi dal nostro sistema, non si possono non interpretare gli artt. 155 e 155-bis c.c. in considerazione del principio espresso dall’art. 317 c.c. che si richiama bensì, per l’esercizio della potestà, alle disposizioni previste per la crisi coniugale ma garantendo, a un tempo, la comune potestà ai genitori50. Diversamente dalla normativa previgente, d’altro canto, il legislatore non si è preoccupato di riconoscere in capo al genitore non affidatario il diritto di «vigilanza» – che, nell’ipotesi in cui si dia rilevanza al silenzio normativo, dovrebbe essere escluso al genitore, con la conseguenza, per certi verdei figli o dei padri separati?, cit., p. 257. In senso contrario, però, v., in giurisprudenza, Trib. Trento, 11 aprile 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/trento_condiviso1. PDF; e, in dottrina, F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 651 s.; ID., Crisi della famiglia e affidamenti familiari: il nuovo art. 155 c.c., cit.; F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 394; L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, cit., p. 610; S. ASPREA, La tutela dei figli nella separazione, nel divorzio e nella famiglia di fatto, cit., pp. 22, 25; L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, cit., p. 188; C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 17; nonché, almeno sembra, G. GIACOBBE, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, in Dir. fam. e pers., 2006, p. 710. 49 Nel senso del testo v., in particolare, F. RUSCELLO, Potestà genitoria e filiazione incestuosa, in Riv. giur. Molise e Sannio, 1996, p. 150; ma già prima l’insegnamento di M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, in Commentario al diritto italiano della famiglia a cura di G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, IV, Padova, 1992, p. 286, ricorda che la riforma del 1975 è fondata, tra l’altro, «su una decisa affermazione che la potestà viene attribuita ai genitori nell’esclusivo interesse del figlio». 50 Opportunamente, e sebbene con riferimento ad altro problema, S. ASPREA, La tutela dei figli nella separazione, nel divorzio e nella famiglia di fatto, cit., p. 14, pone in evidenza che la nuova normativa trova nell’art. 147 c.c. il suo «principio ispiratore». 48 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE si paradossale, che la sua posizione dovrebbe essere equiparata, a questi fini, a quella di qualunque altro parente – ma ha soltanto ribadito, senza stabilire a quali ipotesi si dovesse applicare il disposto, che «Le decisioni di maggiore interesse per i figli […] sono assunte di comune accordo» dai genitori (art. 155, comma 3, c.c.). Ed è di palmare evidenza che, quando si parla di decisioni da prendersi nell’interesse dei figli, non si può parlare d’altro se non di decisioni che sono esplicazioni della potestà e, dunque, del suo esercizio51: non a caso, lo stesso comma 3 dell’art. 155 c.c. aggiunge che, per le questioni di ordinaria amministrazione, «il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente»52. 8. SEGUE: L’AFFIDAMENTO CONDIVISO QUALE ESERCIZIO CONDIVISO DELLA POTESTÀ Per cogliere le ragioni che mi inducono a concludere nel senso appena prospettato, devo chiarire il significato che mi sembra doversi assegnare all’affidamento condiviso, un modello di affidamento colpevolmente non definito dal legislatore53 e che suscita già qualche incertezza54. Se da un primo lato, infatti, pur precisandosi da alcuni che l’innovazione potrebbe non essere esclusivamente terminologica55, si accosta l’affidamento condiviso al precedente affidamento congiunto56, da un secondo lato si distin51 Lo sottolineano anche M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, cit., p. 336; e L. FERRI, Della potestà dei genitori, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, a cura di F. Galgano, Libro Primo, Delle persone e della famiglia, Bologna-Roma, 1988, p. 46. 52 Disposizione, quella richiamata nel testo, che secondo F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 394, si dovrebbe applicare soltanto in ipotesi di affidamento condiviso, giacché, nell’affidamento esclusivo, le questioni di ordinaria amministrazione dovrebbero essere nell’esercizio del solo genitore affidatario. 53 Amaramente sottolinea, in proposito, F. SASSANO, Diritto di famiglia: siamo veramente sicuri che cambi tutto?, http://www.personaedanno.it/site/se_browse1. php?campo1.=26&campo2=243& browse_id=1444, che la conquistata parità di ruoli tra madre e padre, pur meritevole, è un «grosso equivoco», atteso che «nessuno ha spiegato in termini pratici come realizzare l’affidamento condiviso». 54 Incertezze che, con ogni probabilità, si devono all’inadeguatezza del testo legislativo, carente – secondo P. SCHLESINGER, L’affidamento condiviso è diventato legge!, cit., p. 304, del quale anche le parole tra virgolette in questa nota – di criteri direttivi ai quali il giudice possa affidarsi per «disciplinare come debba “condividersi” l’affidamento ad “entrambi i genitori”». 55 Il riferimento è, in particolare, a G. GIACOBBE, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, cit., p. 708. 56 Nei termini del testo v., infatti, G. GIACOBBE, o.l.u.c.; e, almeno sembrerebbe, F. TOMMASEO, 49 AIAF QUADERNO 2008/1 guono nettamente i due modelli di affidamento57. Da quest’ultima angolazione, in particolare, precisato che la locuzione «affidamento condiviso», secondo il significato letterale dell’espressione «condividere» che indica uno «spartire insieme con altri», rimanda a un’idea di «compartecipazione», si individua, nell’affidamento condiviso, un affidamento «ripartito fra i genitori» e, nell’affidamento congiunto, un affidamento «che vede i genitori esercitare il loro ruolo assieme, cioè a mani unite»58. Una distinzione, questa, che – almeno così mi pare di poter rilevare – se può trovare un suo fondamento letterale nel riconosciuto esercizio della potestà in capo a «entrambi i genitori» (art. 155, comma 3, c.c. prima parte)59, sembra, nondimeno, ancora da un punto di vista letterale, contrastare con l’attribuzione del dovere ascritto in capo a entrambi i genitori di assumere «di comune accordo» le decisioni di «maggiore interesse per i figli»60 e con il potere del Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 393, secondo il quale, in particolare, l’affidamento condiviso «si specifica nel mantenimento diretto e nel diretto impegno di ciascuno nell’educazione, cura e istruzione del figlio minore e ciò secondo criteri oggetto di determinazione pattizia o giudiziale». Parlano, invece, indifferentemente, equiparandoli nella sostanza, di affidamento «congiunto» e di affidamento «condiviso» M. SANTINI, L’affidamento congiunto, cit., passim; e S. PASCASI, Il nuovo affido condiviso, risvolti pratici, http://www.altalex.com/index.php?idstr=26&idnot=10408. La distinzione, pur concettualmente possibile, è sfumata secondo L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, cit., p. 188. 57 Espressamente nel senso del testo cfr. M. SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., p. 380. In giurisprudenza, v. Trib. Catania, 16 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/catania_condiviso8.PDF, secondo il quale, in particolare, «L’affidamento condiviso non può ritenersi […] precluso di per sé dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché altrimenti avrebbe solo un applicazione residuale, coincidente con il vecchio affidamento congiunto; e ciò anche considerato il fatto che l’uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i conflitti al fine magari di orientare il decidente verso un affidamento esclusivo». 58 M. SESTA, o.l.u.c. 59 E ciò a differenza di quanto stabilisce il comma 2 dell’art. 316 c.c. in base al quale la potestà «è esercitata di comune accordo» dai genitori: differenza terminologica, dunque, che potrebbe lasciar supporre, appunto, la distinzione richiamata nel testo e proposta da M. SESTA, o.l.u.c., che, pur tuttavia, passando a distinguere i caratteri dell’affidamento condiviso e dell’affidamento esclusivo, riconosce, come anche si preciserà di qui a poco, che «la nozione di affidamento non può degradare al mero profilo materiale della collocazione del figlio presso l’uno o l’altro genitore» – profilo, quest’ultimo, che «si pone allo stesso modo nell’affidamento condiviso ed in quello esclusivo» – non potendo altro significare se non attribuzione al genitore delle responsabilità connesse al compito di crescere il figlio e di prendersene cura: va da sé – continua M. SESTA, o.l.u.c. – che la differenza tra i due modelli di affidamento (condiviso ed esclusivo) «non può che ricercarsi nello strumento che ai genitori è dato per esercitare tali funzioni, che è la potestà». 60 Ora, per contro, diversamente da quanto stabiliva il precedente testo dell’art. 155, comma 3, c.c. in base al quale «le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi», ma sicuramente in un modo che lascia intendere nella sua formulazione letterale un esercizio fatto, appunto, «assieme, cioè a mani unite» (è la richiamata espressione di M. SESTA, o.l.u.c., per contraddistinguere l’affidamento congiunto dall’affidamento condiviso). 50 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE giudice di «stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente» per le decisioni «su questioni di ordinaria amministrazione» (così la seconda parte dello stesso comma 3 dell’art. 155 c.c.)61. Certo mi sembra che, di là dalle questioni terminologiche alle quali si è accennato62, quando il legislatore del 2006 si riferisce all’affidamento, si richiama a una nozione ben diversa da quella immaginata dal legislatore del 1975 nell’abrogato testo dell’art. 155 c.c. A ben vedere, il testo abrogato dell’art. 155 c.c. rimandava a una nozione di affidamento che indicava la collocazione materiale del minore presso uno dei genitori; sicché, quando si individuava il genitore affidatario, si individuava, in buona sostanza, il genitore presso il quale il figlio doveva vivere. Era in questa prospettiva che si riconosceva, nel genitore affidatario, il genitore «esercente la potestà» (era, in particolare, il genitore che poteva curare nelle necessità quotidiane il figlio) e, nell’altro genitore, il genitore che «vigilava» sull’istruzione e sull’educazione del figlio e che «esercitava» la potestà relativamente alle questioni di «maggiore interesse», le quali, non a caso, dovevano essere «adottate da entrambi i coniugi»63: il legislatore, in una parola, prendeva atto della situazione di non convivenza dei genitori e della necessità di allocare la prole presso uno di essi prevedendo modalità attuative dell’accordo diverse da quelle stabilite nella fisiologia del rapporto coniugale64. Oggi, per contro, quando si richiama all’affidamento «a entrambi i genitori» (l’affidamento c.d. condiviso), il legislatore non fa più riferimento alla collocazione materiale del minore, ma, più verosimilmente, alla sua cura65. Di là da quanto accennerò di qui a poco, anche in alcuni progetti di 61 Con ciò – e di là da qualunque altra considerazione sul contenuto della disposizione – ipotizzando un esercizio «ripartito» che tale – almeno mi sembra sulla base del disposto letterale – dovrebbe essere soltanto con riferimento alle questioni di «ordinaria amministrazione» e non per ogni altra relativa all’esercizio della potestà. 62 La dizione «affidamento condiviso», d’altra parte, non risulta mai nel testo delle nuove disposizioni: gli unici riferimenti sono nel titolo della legge n. 54 del 2006 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) e nella rubrica del nuovo art. 155 bis c.c. (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). 63 Diffusamente sul punto v. la prima edizione di F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. I rapporti personali, in Il Codice civile. Commentario a cura di P. Schlesinger, Milano, 1996, p. 214 ss. 64 Nel senso del testo oltre a F. RUSCELLO, o.l.u.c., cfr., altresí, ID., Lineamenti di diritto di famiglia, cit., p. 170 s. 65 In linea di principio è quanto sembra evincersi anche nel pensiero di P. SCHLESINGER, L’affidamento condiviso è diventato legge!, cit., p. 302, quando sottolinea che l’affidamento condiviso è «tale da comportare un onere a carico di padre e madre di ricercare con ogni maggiore 51 AIAF QUADERNO 2008/1 legge precedenti a quello definitivamente approvato si precisa, dopo aver affermato il principio che la potestà è congiunta ed è esercitata da parte di entrambi i genitori, che il giudice designa, con il consenso delle parti, con quale genitore il figlio debba convivere (il riferimento è, in particolare, all’art. 1 della Proposta di legge presentata dall’on. Cento)66 e nella stessa relazione al progetto definitivo presentato all’approvazione della Camera dei deputati67 si sottolinea che «affidamento condiviso non vuol dire permanente oscillazione dei figli da una casa all’altra. Un conto è l’affidamento, un conto è la collocazione abitativa o la frequentazione. Sono due concetti completamente diversi. Sì può avere una collocazione ripartita secondo standard sostanzialmente attuali, quindi, anche con prevalenza presso l’abitazione di uno dei due genitori, ma senza la discriminazione che oggi comporta l’affidamento esclusivo»68. È indubbio il valore relativo e non vincolante dei lavori preparato- possibile buona volontà una collaborazione tra loro per favorire un riparto non conflittuale delle loro funzioni a favore dei figli, specie di quelli più piccoli, e del tempo con cui ciascuno di essi può cercare di dargli assistenza e affetto» (v. anche, infra, testo e note). V., altresí, P. MOROZZO DELLA ROCCA, Alcune considerazioni critiche riguardo alla legge sull’affidamento condiviso, cit., p. 16, dove si interroga su cosa voglia dire l’espressione «”affidamento condiviso” di diverso ed in più rispetto all’esercizio della potestà in comune». In giurisprudenza v., nella prospettiva del testo, Trib. Messina, 18 luglio 2006, http://www.minoriefamiglia. it/download/messina_condiviso1.PDF, secondo cui, in particolare, «la caratteristica saliente dell’affidamento ad entrambi, nel nuovo sistema normativo, appare individuabile non tanto nella dualità della residenza e nella parità dei tempi che il minore trascorre con l’uno o l’altro genitore, bensì nella paritaria condivisione del ruolo genitoriale: in questo senso depongono le indicazioni per la determinazione giudiziale dei tempi che il minore trascorre con l’uno o l’altro genitore e la mantenuta disposizione sulla assegnazione della casa familiare. Il minore necessita, infatti, di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità di studi e di normale vita sociale: da qui la necessità di una collocazione privilegiata e di una regola organizzativa anche sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario». 66 http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0002390.pdf 67 http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=%2066 68 Una impostazione, quella accennata nel testo, che l’on. Paniz preannuncia nella discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge nella seduta n. 600 del 10 marzo 2005, quando, in particolare sottolinea: «Il testo in esame non tende ad una ripartizione analitica dei tempi di convivenza del minore con i genitori: nel testo unificato, affidamento ad entrambi i genitori non significa 50 per cento del tempo del figlio con ciascun genitore né 50 per cento delle competenze, né ping pong tra due case, ma conservazione di effettiva responsabilità genitoriale per entrambi i genitori, con modalità di esercizio della potestà da stabilire caso per caso. Si può anche avere una divisione temporale, se necessario, simile ad un affidamento esclusivo, ma senza rigidità e senza le umilianti discriminazioni che il regime attuale, purtroppo, prevede» (http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=%2066). 52 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ri69, ma da essi non sembra si possa aprioristicamente prescindere70. In questi termini, mi sembra certo che il minore, ancora oggi, debba vivere (comunque, prevalentemente) con uno dei genitori71: salvo a intendere la «condivisione» dell’affidamento in termini di «turnazione» della vivenza del figlio con i genitori 72 allo stesso modo di come da taluni si defini69 È quanto si sottolinea anche in giurisprudenza allorquando si precisa che i lavori preparatori non si possono sovrapporre a quanto espresso dal disposto normativo quale emerge dal suo dato letterale e logico: v., in questi termini, espressamente, Cass., 27 febbraio 1995, n. 2230, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 532; nonché, in linea di principio analogamente, Cass., 22 aprile 1980, in Rep. Foro it., 1981, voce Legge penale, c. 1813 s., n. 5; Cass. pen, 3 luglio 1997, n. 8962, in Cass. pen., 1998, p. 1431. 70 Ancora in giurisprudenza v. Cass., 27 febbraio 1995, n. 2230, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 532, secondo la quale, in particolare, ai lavori preparatori si può riconoscere valore sussidiario ai fini ermeneutici quando essi, unitamente ad altri canoni interpretativi o elementi di valutazioni emergenti dal disposto normativo, siano idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa della quale appaia ambigua la formulazione. Analogamente, nei limiti entro i quali i lavori preparatori sono richiamati, tra le altre motivazioni, a fondamento della decisione, specialmente quando ciò sia utile al fine di individuare «l’intenzione del legislatore», v., per esempio, Cass., Sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, in Danno e resp., 2004, p. 499 ss.; e, già prima, Cass., 11 luglio 1989, n. 3266, in Giust. civ., 1989, I, p. 2283 ss.; Trib. Pordenone, 26 gennaio 1994, in Giust. civ., 1994, I, p. 1103 s.; Cass., 16 marzo 1996, n. 2238, in Mass. Giust. civ., 1996, p. 375. Nella stessa logica sembrano richiamare i lavori preparatori anche i giudici di Palazzo della Consulta: v., infatti, Corte cost., 22 febbraio 1990, n. 72, in Giust. civ., 1990, I, p. 1429 ss. Per gli opportuni richiami anche di letteratura e per una puntuale sintesi sul punto, cfr. V. RIZZO, Delle fonti del diritto, in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza2 a cura di P. Perlingieri, I, Bologna-Napoli, 1991, spec. p. 104 ss. 71 V., infatti, anche Trib. min. Bologna, 26 aprile 2006, http://www.personaedanno.it/files/ personaedanno_browse1_it_ 3725_resource_orig-doc, che parla, in particolare, di «collocamento principale» del figlio minore presso uno dei genitori; e, implicitamente, seppure con riferimento all’affidamento congiunto, Cass., 28 febbraio 2000, n. 2210, in Rep. Foro it., 2000, voce Separazione di coniugi, p. 2096, n. 64. In dottrina v., espressamente, F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 394; nonché G. CASABURI, Dall’affidamento congiunto all’affidamento condiviso, cit., c. 1411; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Alcune considerazioni critiche riguardo alla legge sull’affidamento condiviso, cit., p. 16; e C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 53 s., che espressamente reputa «provvedimento che il Giudice dovrà sempre adottare» quello relativo alla «stabile collocazione materiale del minore presso l’abitazione di uno dei genitori» (il virgolettato è a p. 54). Sotto altro verso, mi sembra di poter sottolineare che l’affermazione di cui nel testo non possa essere smentita dal disposto dell’art. 155, comma 4, n. 3, c.c. che impone al giudice, in sede di determinazione dell’assegno periodico di mantenimento della prole, di tenere conto, tra l’altro, dei tempi di permanenza del figlio «presso ciascun genitore»: da un lato, perché la stessa determinazione dell’assegno è soltanto eventuale («ove necessario», precisa, infatti, lo stesso legislatore), dall’altro, perché il giudice deve, comunque, garantire alla prole il diritto, espressamente indicato dal comma 1 dell’art. 155 c.c., «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo» con ciascun genitore (in senso contrario v., però, M. BERGONZI PERRONE, La nuova legge sull’affido condiviso, http//www.altalex.com/index.php?idstr=26&idnot=2508, secondo il quale, infatti, «i figli dovranno in linea di principio “permanere” (id est: vivere) con entrambi i genitori, paritariamente», come testimonierebbe, tra l’altro, proprio il menzionato n. 3 del comma 4 dell’art. 155 c.c.). 72 V., in questi termini, però, già qualche primo commentatore: M. SANTINI, L’affidamento congiunto, cit., secondo il quale, infatti, una delle modalità attraverso le quali si può esplicare 53 AIAF QUADERNO 2008/1 va l’affidamento alternato73, lo testimonia anche l’art. 155 quater c.c. che, a prescindere dal modello di affidamento, prevede l’assegnazione della casa familiare «tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli»74. Se quanto precede è vero, va da sé che la decisione sull’affidamento non può che essere intesa nel senso di decisione circa le modalità attraverso le quali si può realizzare la cura del minore75. D’altro canto, se la prole deve conservare, sempre e nei limiti del possibile, un rapporto con i genitori «equilibrato e continuativo» (come precisa l’art. 155, comma 1, c.c.), tale rapporto dovrà indicare non tanto la necessità di un «elemento» materiale, quale può essere quello, pur importante, della coabitazione76, quanto la presenza di un «elemento» che garantisca al minore un corretto sviluppo l’affidamento condiviso sarebbe, appunto, «l’affidamento a residenza alternata, caratterizzata dal fatto che il minore alterna periodi di convivenza presso l’uno e l’altro genitore o sono gli stessi genitori ad alternarsi nella casa dove i figli abitano stabilmente». In giurisprudenza v., per esempio, Trib. Catania, 16 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/catania_condiviso8.PDF. 73 Un affidamento che – non è inutile ricordarlo, e quantunque da parte di alcuni ne si vorrebbe la reviviscenza proprio con l’attuale normativa (M. BERGONZI PERRONE, La nuova legge sull’affido condiviso, cit.) – era a tal punto denigrato, specialmente quando individuato in questi termini, da suscitare addirittura dubbi sulla sua costituzionalità: v., ancora, F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., p. 122 ss., dove anche gli opportuni riferimenti di dottrina e di giurisprudenza. 74 Lo rileva, sebbene ad altri fini, anche F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 394, quando precisa che «L’affidamento condiviso non impedisce […] la collocazione abitativa del minore presso uno dei suoi genitori, come avviene quando si tratta della casa familiare assegnata a uno di essi […]: restano ferme sia la possibilità che il minore possa dimorare anche con l’altro genitore, sia la reciproca frequentazione dei genitori allo scopo di garantire al minore il godimento dei diritti riconosciutigli dal 1° co,,a dell’art. 155: si tratta dunque di “mantenere un rapporto continuativo e equilibrato con i genitori” e di ricevere da entrambi “cura educazione e istruzione”». 75 All’esercizio della potestà, come s’è accennato, fa riferimento, in questo senso opportunamente, anche M. SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, cit., p. 380; nonché L. LENTI, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse dei figli o dei padri separati?, cit., p. 254 s.; e la prima giurisprudenza che si è venuta formando in questi primi tempi di applicazione della nuova normativa. V., per esempio, Trib. Bologna, 10 aprile 2006, http://www. personaedanno.it/files/personaedanno_browse1_it _3654_resource_orig-doc, secondo il quale all’affidamento condiviso «consegue non tanto una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra il figlio e ciascuno dei genitori, quanto piuttosto l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori e una condivisione delle decisioni di maggiore importanza»; e Trib. min. Milano, 6 ottobre 2006, http://www.personaedanno.it/files/personaedanno_browse_it_4737_resource_orig. doc, secondo il quale, ancor più in particolare, «il regime dell’affidamento, che va inteso come esercizio della potestà, ovvero assunzione delle decisioni relative alla educazione, alla istruzione, alla salute, alle attività extrascolastiche o altro che riguardino il figlio minore, non va confuso con il collocamento del minore stesso presso l’uno o l’altro genitore». 76 Elemento sul quale il giudice, in ogni caso, è chiamato a decidere nei limiti entro i quali deve determinare «i tempi e le modalità» della presenza dei figli presso ciascun genitore (art. 155, comma 2, c.c.). 54 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE della personalità attraverso la cura e l’educazione da parte di entrambi i genitori quale può essere la continuità della «vita relazionale». Da qui, la necessità di riconoscere l’esercizio della potestà in capo a entrambi i genitori (art. 155, comma 3, c.c.) anche quando, nei limiti precisati dall’art. 155 bis c.c., il giudice pronunci l’affidamento esclusivo. Nella prospettiva delineata, nella quale l’esercizio della potestà rimane in capo a entrambi i genitori, salvo contrario interesse del minore che esiga, addirittura, il rinvio al giudice competente per l’eventuale adozione di un provvedimento ablativo della potestà, e di là dalle osservazioni già svolte riguardo alle possibili motivazioni che sorreggevano l’affidamento congiunto previsto in sede di divorzio, mi sembra, allora, che la previsione di un affidamento esclusivo accanto all’ipotizzata regola dell’affidamento a entrambi i genitori ponga il problema di verificare in cosa l’affidamento esclusivo sia diverso dall’affidamento a entrambi i genitori77. Se è vero che la potestà è funzione di rango costituzionale posta a garanzia dell’interesse del minore, che la nozione di affidamento fa riferimento non all’elemento materiale della coabitazione ma all’aspetto della cura e della corresponsabilità attribuita ai genitori, e che l’affidamento esclusivo, proprio per questo, si immagina doversi disporre in casi eccezionali, sembra vero anche, per un verso, che la potestà non può aprioristicamente essere esclusa dalla sola circostanza che sia disposto l’affidamento esclusivo, per un altro verso, che non è possibile dare risposte meccaniche e aprioristiche, in un senso come nell’altro. Va da sé che, per conciliare quanto indica il legislatore proprio con riferimento all’affidamento esclusivo quando precisa che, per quanto possibile, di deve far salvo il diritto del minore di conservare «un rapporto equilibrato e continuativo» con ciascun genitore (art. 155 bis c.c.), occorre conciliare le ragioni che hanno indotto a questo modello di affidamento con l’esercizio stesso della potestà che, in ogni caso, presuppone la realizzazione dell’interesse del figlio. Credo, allora, che se un senso possono avere le soluzioni proposte dal legislatore, questo deve essere ipotizzato nelle peculiarità che sono riconosciute all’esercizio della potestà. Credo, in altri termini, che qui possa e debba valere quanto, vigente la precedente disciplina, si sottolineava quando si riconosceva in 77 Interrogativo che, non a caso, si pone la dottrina che esclude il permanere dell’esercizio della potestà in capo a entrambi i genitori nelle ipotesi di affidamento esclusivo: v., per esempio, L. BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., p. 660, che pur precisa come anche in ipotesi di affidamento condiviso «si porrà il problema del collocamento stabile presso uno dei genitori». 55 AIAF QUADERNO 2008/1 capo al genitore non affidatario una «potestà affievolita» o, comunque, come io stesso preferivo, «differenziata». È, dunque, non l’esercizio in sé quanto il suo contenuto a essere modificato78. Al genitore non affidatario, cioè, si dovranno riconoscere soltanto quelle modalità per le quali è indispensabile, nell’interesse del figlio, il suo intervento – perché modalità predisposte a tutela della prole – e un diritto alla conservazione dei rapporti con la prole «compatibile» con le ragioni – sicuramente diverse da caso a caso – che hanno consigliato l’affidamento esclusivo79. 9. SEGUE: IL MANTENIMENTO DEI FIGLI Sotto altro verso, è vero anche che i compiti dei genitori non subiscono variazioni a motivo dell’intervenuta crisi coniugale. Anche il contributo patrimoniale per far fronte ai doveri stabiliti dall’art. 147 c.c. rimane, di regola, identico a quello prefigurato nella fisiologia del rapporto, pur dandosi spazio all’accordo dei genitori in un ambito nei confronti del quale l’autoregolamentazione pur incontra più di un limite80. Si dispone, infatti, che, «Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti», accordi in ogni caso mai possibili in contrasto con l’interesse dei figli (art. 155, comma 2, c.c.), ciascun genitore «provvede al mantenimento dei figli in misura 78 Nella prospettiva delineata nel testo v., ora, anche C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 17 s., dove sottolinea che il provvedimento di affidamento «servirà essenzialmente al fine di stabilire, da un lato, la collocazione prevalente del minore presso uno dei genitori (la c.d. domiciliazione privilegiata), anche in ragione dei consequenziali provvedimenti economici e sull’assegnazione della casa familiare; dall’altro, servirà a determinare i tempi e le modalità di permanenza del minore presso ciascun genitore, nonché a fissare i loro compiti di cura rispetto alla prole (oltre all’eventuale regolamentazione dell’esercizio separato della potestà genitoriale su questioni di ordinaria amministrazione. […] Conseguentemente […] il provvedimento di affidamento della prole dovrebbe costituire una sorta di statuto, di programma riguardante i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, ed indicare, altresí, le responsabilità assunte da questi ultimi, con riferimento ai compiti di cura del minore» (ivi, in nota, ulteriori riferimenti). 79 Testualmente, nel senso del testo, F. RUSCELLO, Crisi della famiglia e affidamenti familiari: il nuovo art. 155 c.c., cit. «Il rischio» – sottolinea opportunamente L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, cit., p. 622 s. – «è certamente quello di dare vita ad un diritto fatto dai giudici in violazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. Ma ciascuno sa che, liberata dagli eccessi esegetici che sovente niente altro sono che dei paraventi, la libertà non è arbitrio e che deve avere per limiti le già ricordate esigenze della ragione, della coerenza degli insiemi legislativi, dei bisogni di sicurezza e d’equità del diritto che i giudici hanno il compito di rispettare e conciliare». 80 È quanto rilevano già F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 632; e L. BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., p. 662 s. 56 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE proporzionale al proprio reddito» (art. 155, comma 4, c.c.). Anche sotto il profilo materiale del mantenimento, dunque, l’intendimento del legislatore sembra mirato alla tendenziale conservazione di un rapporto genitori-figli simile a quello precedente la crisi coniugale: con l’affidamento condiviso nulla dovrebbe mutare, se non l’incidenza della diversa presenza giornaliera dei genitori rispetto alle quotidiane necessità economiche della prole81. Da qui la possibilità di far fronte al dovere di mantenimento in via diretta da parte di ciascuno dei genitori, provvedendo in proprio all’acquisto di beni e a quanto necessario nella vita quotidiana della prole, e, qualora il giudice lo reputi necessario e, comunque, in considerazione delle particolarità della situazione di fatto conseguente alla separazione dei genitori, secondo i parametri di riferimento espressamente indicati dal legislatore (art. 155, comma 4, c.c.)82, in via indiretta, mediante il versamento all’altro coniuge di un assegno periodico, verosimilmente a conguaglio del contributo che residua a quello dovuto ove il modo diretto non lo copra interamente. Si adegua espressamente, a un tempo, il disposto normativo a un ormai consolidato orientamento, stabilendo la possibilità di «disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico» (art. 155-quinquies c.c.)83. Viene eliminato, a mio av81 Analogamente Trib. Catania, 16 giugno 2006, http://www.minoriefamiglia.it/download/catania_condiviso8.PDF. 82 Parametri, quelli espressamente indicati dall’art. 155, comma 4, c.c., ai quali deve aggiungersi quello eventuale relativo al godimento della casa familiare che, secondo l’art. 155 quater c.c., concorre nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali fra i genitori. È evidente, infatti, che «il genitore titolare di un diritto reale sull’immobile già adibito a casa familiare e, in ipotesi, assegnata a favore dell’altro genitore convivente con i figli (o affidatario esclusivo degli stessi), avrà adempiuto, per una rilevante quota parte, all’obbligo di mantenimento su di lui gravante, garantendo alla prole un’idonea dimora in cui vivere» (C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 90). 83 V., infatti, anche per gli ulteriori riferimenti, F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., p. 210 ss. Rimane, però, il dubbio sui limiti del diritto riconosciuto e delle «circostanze» da valutare ai fini della determinazione dell’assegno periodico. Secondo F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 398, da un lato, il diritto del figlio maggiorenne all’assegno periodico continua a presupporre, come precisato in passato anche dalla giurisprudenza (v., però, in senso contrario, le osservazioni di M. BESSONE, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e direttive dell’art. 30 comma 1°, Cost., in Giur. it., 1975, I, 2, c. 625 s.), «il carattere incolpevole della mancata indipendenza economica», dall’altro, «le circostanze che il giudice deve valutare sono i fatti secondari la cui prova dà la prova indiretta dell’esistenza del fatto costitutivo del diritto al mantenimento eventualmente quantificabile nell’assegno». Reputa, invece, che l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza lascia «qualche margine alla riflessione se si dovesse riconoscere all’affermazione valore assoluto e astratto dalle specifiche connotazioni del caso concreto», F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. I rapporti personali2, cit., p. 101 s., testo e nota 286, dove anche ulteriori indicazioni. 57 AIAF QUADERNO 2008/1 viso, in questo modo, il pericolo di dubbie interpretazioni, attraverso le quali si esclude la reviviscenza del dovere di mantenimento a favore del figlio che, resosi autonomo con lo svolgimento di una adeguata attività lavorativa, perda poi questa autonomia per l’insuccesso in quella stessa attività84; interpretazioni che, giustificabili forse in una logica formale, mal si conciliano con l’effettivo diritto spettante ai figli di qualsiasi età ma bisognosi di ultimare il processo di formazione personale. Anche a quest’ultimo riguardo, tuttavia, mi si prospettano dei dubbi. Mentre, in una dimensione mirata a responsabilizzare i genitori con la condivisione delle scelte relative ai figli, non può non destare meraviglia la previsione del versamento diretto al figlio dell’assegno di mantenimento, prefigurandosi, con ciò e sebbene entro certi limi, la rottura dei rapporti fra i genitori; sotto diverso aspetto, proprio questa previsione sembra porsi in contrasto con quanto da alcuni si suggeriva in dottrina e in giurisprudenza sulla natura solidale dell’obbligo di mantenimento dei genitori85. È ben noto, infatti, che da più parti – me compreso – l’obbligo di mantenimento si definiva quale dovere dei genitori a questi ascritto per il solo rapporto di filiazione e, in quanto tale, enucleabile alla stregua di una situazione esistenziale e inviolabile del figlio. Sicché si configurava l’obbligo di mantenimento dei genitori come dovere solidale nei rapporti esterni (dunque, nei rapporti con il figlio) e parziario nei rapporti interni (dunque nei rapporti fra i genitori): ciò che legittimava, a maggior tutela dell’interesse della prole, la possibilità di richiedere la totalità dell’obbligo indifferentemente a ciascun genitore. Bene; alla luce della nuova disciplina, si può reputare modificata questa soluzione dalla previsione in parola? Ha forse il legislatore voluto scindere effettivamente l’unitario dovere dei genitori in due distinti obblighi di mantenimento? Se questa dovesse essere la soluzione, non soltanto la scelta si porrebbe in contrasto con gli 84 V., infatti, tra le più recenti, Cass., 7 luglio 2004, n. 12477, in Mass. Giust. civ., 2004, 1551; e Cass., 2 dicembre 2005, n. 26259, http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view. jsp?idCat=40&idArt =31231. 85 In questo senso v., fra gli altri, in dottrina, M. PARADISO, I rapporti personali tra coniugi, in Comm. Schlesinger, Milano, 1990, p. 302; RUSCELLO, I rapporti personali fra coniugi, Milano, 2000, p. 500 s.; C. M. BIANCA, La famiglia, cit., p. 320 s.; e, in giurisprudenza, Cass., 26 giugno 1987, n. 5619, in Rep. Foro it., 1987, voce Filiazione, 1132, n. 90; Cass., 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 1, 634 ss., dove anche nota di riferimenti e osservazioni di L. LENTI, Sulla collaborazione dei genitori al mantenimento del figlio naturale, 635 ss.; Trib. S. Maria Capua Vetere, 24 gennaio 2000, in Giur. napoletana, 2000, 110; Cass., 22 novembre 2000, n. 15063, in Giust. civ., 2001, I, 1296; Cass. 16 ottobre 2003, n. 15481, in Rep. Foro it., 2003, voce Matrimonio, 1532, n. 106. 58 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE intendimenti del legislatore della riforma, che ha tentato di modellare il rapporto dei figli con i genitori sulla scorta della fisiologia del rapporto familiare, ma, a un tempo, non potrei non manifestare più di un dubbio sulla sua costituzionalità: da un lato, sarebbe in evidente contrasto con il principio di eguaglianza, ponendo i figli di genitori separati in una posizione diversa rispetto ai figli di genitori conviventi; dall’altro contravverrebbe al disposto dell’art. 30 cost. che solennemente riconosce in capo ai genitori il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli per il solo fatto di essere genitori. È vero, d’altra parte, che lo stesso legislatore ordinario, con l’art. 279 c.c., riconosce questo diritto del figlio a prescindere dal suo formale status. 10. CONCLUSIONI Tralascio ogni eventuale considerazione sul potere riconosciuto al giudice di disporre «l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento» (art. 155 sexies, comma 1, c.c.); disposizione, quest’ultima, che non può non suscitare qualche dubbio allorquando dovesse essere intesa quale attribuzione al giudice di un vero e proprio dovere di ascoltare il minore 86: una scelta in tal senso, almeno mi sembra, tralascerebbe di considerare che la tutela della persona del minore e dei suoi interessi impongono di porre, se si vuole, sullo stesso piano ascolto e non ascolto privilegiando la soluzione coerente con l’interesse esclusivo del minore 87. 86 Tra i primi commentatori, non manca chi già parla di «obbligo» di ascolto del minore capace di discernimento: v., infatti, M. FINOCCHIARO, Commento alla l. 8 febbraio 2006, n. 54, in Guida al diritto, 18 marzo 2006, n. 11, p. 29; M. R. VERARDO, Per la continuità della genitorialità oltre la separazione, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 10, che sembra individuare un diritto del minore a essere ascoltato a fronte del quale vi sarebbe un obbligo del giudice; nonché L. FADIGA, Problemi vecchi e nuovi in tema di ascolto del minore, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 138 s. Reputa, per contro, in una prospettiva sicuramente condivisibile, che l’ascolto del minore sia «momento essenziale per la formazione del convincimento del giudice, la cui pretermissione, se non motivata con espresso riferimento al contrario interesse del minore, è causa di nullità del procedimento», F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 397, che, non a caso, aggiunge la necessità di un «ascolto protetto» e che, in ogni caso, tenga «conto delle speciali esigenze di protezione della personalità del minore». 87 In argomento v., diffusamente, F. RUSCELLO, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Familia, 2002, p. 933 ss. e spec. p. 956; nonché, con particolare riferimento alla nuova disciplina, ID., La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 634 s., dove anche ulteriori riferimenti. 59 AIAF QUADERNO 2008/1 Come anche, per evidenti ragioni di tempo, evito di trattenermi sull’art. 155 quater c.c. relativamente all’assegnazione della casa familiare: anche questa, disposizione che prospetta più di un dubbio sulla sua costituzionalità nella parte in cui prevede la perdita del diritto al godimento della casa familiare qualora il genitore assegnatario «conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio» 88. Se si possono cogliere le ragioni della scelta del legislatore, non si può mancare di avvertire che, nella decisione sulla assegnazione della casa familiare, si intrecciano interessi di natura patrimoniale ed esistenziale che, sotto il profilo evidenziato, non mi sembra vengano bilanciati nel disposto normativo tenendo conto dell’imprescindibile gerarchia dei valori imposta dall’ordinamento costituzionale. Non potendo ancora trattenermi anche su questi temi, mi avvio a concludere. Come ho avuto modo di precisare in altre occasioni, credo che ogni riforma, per realizzare i suoi intendimenti, debba essere accolta dalla coscienza sociale. Proprio per questo, ho fatto mio, conseguentemente, l’insegnamento di chi pone in rilievo che «Il diritto può assolvere una duplice funzione: conservare le situazioni presenti di fatto, conformando le proprie regole a quelle esistenti, dove la norma non fa che trasfigurare, tradurre in termini normativi gli interessi prevalenti ed egemoni; modifi88 Dubbi che già si sollevano da F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., p. 636, testo e nota 40. Tra gli altri, dubbi vengono sollevati anche da F. MICELA, L’assegnazione della casa familiare fra interessi dei figli e degli adulti, in Minori giustizia, 2006, n. 3, p. 99; da L. LENTI, La legge sull’affidamento condiviso: nell’interesse dei figli o dei padri separati?, cit., p. 260 s.; nonché, se alla disposizione si riconosca «un carattere tassativo per il giudice», da parte di L. D’AVACK, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, cit., p. 619; e, se «Riguardata nell’ottica del fondamentale interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico», da parte di L. BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., p. 666. In una prospettiva meno traumatica per l’ordinamento ma senza nascondersi i pericoli destabilizzanti di una attuazione del disposto normativo che non corregga «il tenore letterale della nuova norma con il dare il dovuto spessore alle esigenze di tutela del minore», v. F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 397. Sulla legittimità del disposto, invece, v. C. PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, cit., p. 147 ss. Sotto altro aspetto, l’art. 155 quater c.c. si potrebbe reputare illegittimo anche nella parte in cui, non rinviando, come invece faceva l’art. 6 l. divorzio, all’art. 1599 c.c., sembrerebbe richiedere, ai fini dell’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare ai terzi, sempre la sua trascrizione. Sul punto v., fra gli altri e da due diverse angolazioni, A. ZACCARIA, Opponibilità e durata dell’assegnazione della casa familiare, dalla riforma del diritto di famiglia alla nuova legge sull’affidamento condiviso, in Fam. pers.e succ., 2006, p. 780, che non esclude l’incostituzionalità della disposizione; e E. QUADRI, Nuove prospettive in tema di assegnazione della casa familiare, in Corriere giuridico, 2006, p. 1146, secondo il quale, di fronte a una possibile questione di legittimità, «la pronunzia della Corte, per coerenza con le finalità di necessaria tutela dell’interesse dei figli […], non potrebbe prevedibilmente che essere costituita da una decisione interpretativa orientata nel senso del ripudio di una esegesi tale da pregiudicare irragionevolmente, e in misura decisiva, la realizzazione dei valori costituzionali ritenuti assolutamente preminenti in materia». 60 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE care quelle strutture creando nuove regole, sotto la spinta di interessi contrastanti ed alternativi. […] Il legislatore non sempre fa proprie le istanze che la società esprime; talvolta le disattende o le interpreta diversamente sì da trasformare la realtà secondo un’autonoma valutazione» 89. Se questo, come credo, è vero, non mi è difficile pensare che la riforma ponga, in buona sostanza, un problema di ordine culturale 90 per l’espressa responsabilità che riconosce ai genitori – quali soggetti destinati a concretizzare le diversificate manifestazioni dell’esercizio dei loro doveri di cura ipotizzabili a seguito della separazione – di conservare nei figli almeno l’illusione di non averli persi. 89 P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale2, Napoli, 1991, p. 64 s. (ma già prima ID., Profili istituzionali del diritto civile, Camerino-Napoli, 1975, p. 3 s.) 90 Una spinta in tal senso, per vero, si può rinvenire anche in alcune decisioni giurisprudenziali precedenti all’emanazione della l. n. 54 del 2006. Espressamente v., in particolare, Trib. Milano, 9 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, p. 584 ss. (dove anche la nota critica di M. COSTANZA, Quale interesse nell’affidamento congiunto della prole?, cit., p. 592 ss.), secondo cui l’affidamento congiunto della prole presuppone il massimo spirito collaborativo tra i genitori, e deve pertanto escludersi allorquando persistano contrasti tra i medesimi; tuttavia il giudice, in considerazione dell’esclusivo interesse della prole, può ben disporre l’affidamento congiunto anche in presenza di una situazione conflittuale tra i genitori stessi. In tale ipotesi – continua il tribunale – la soluzione dell’affidamento congiunto, pur non rispecchiando una attuale disponibilità dei genitori a collaborare, va inteso come provvedimento che imponga agli stessi un simile dovere di collaborazione, al fine di realizzare le esigenze di ordine affettivo e psicologico della prole. 61 AIAF QUADERNO 2008/1 62 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE TRAUMA EMOTIVO E DANNO PSICHICO E/O PSICOLOGICO ANNA OLIVA DE CESAREI MEDICO PSICHIATRA, PSICOANALISTA DIDATTA SOCIETÀ PSICOANALITICA ITALIANA. Nella separazione, il problema si definisce apparentemente nei termini di una problematica individuale di due persone ormai “legalmente separate”che devono affrontare la perdita del legame; ciò che complica ulteriormente la situazione è cosa rimane – i resti – della problematica personale e della coppia e come vengono messi in gioco. Da qui la necessità di considerare gli affetti in gioco nella unione per comprendere meglio caratteristiche specifiche della separazione. La separazione è l’esperienza che ognuno di noi deve affrontare dall’inizio alla fine della vita, con tanti passaggi intermedi che segnano il processo di crescita. La vita dell’uomo comporta, per definizione, continui rimaneggiamenti di fronte ai tempi della vita, alle separazioni e vicissitudini varie. Il tempo, i limiti costituiscono categorie di base nella possibilità di elaborare: capacità di attesa, tolleranza della frustrazione, dilazione del bisogno e del desiderio, poter tollerare le separazioni e la caducità della vita. Come affrontiamo i tempi della vita, i passaggi, le speranze, il futuro… e il passato con i suoi ricordi… Per la costituzione del Sé come costruzione dell’esperienza interna è necessario uno scambio continuo con l’altro. Nella coppia madre-bambino, la madre contiene angosce e frustrazioni del bambino e gliele restituisce in una forma modificata e assimilabile gradualmente per il bambino. La matrice relazionale della mente prevede la formazione di un equipaggiamento base del sé; una salda interiorizzazione di esperienze buone permette di affrontare le separazioni che ogni passo evolutivo prevede con una attrezzatura e dotazione personale. Secondo Freud (1926), l’angoscia di separazione è radicata nel legame primitivo con l’oggetto; il neonato, se perde l’oggetto, perde l’oggetto capace di soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri. In queste fasi, l’oggetto è un prolungamento narcisistico del 63 AIAF QUADERNO 2008/1 bambino, tanto che ogni frattura del legame è sentita come mutilazione fisica. Se avviene una rottura in questi stadi, il bambino non è in grado di rappresentarsi l’oggetto in sua assenza; lacune in questa esperienza costringono il soggetto che vive la perdita a ricorrere a qualcosa di concreto che detensioni l’angoscia e il dolore (come vedremo successivamente a proposito degli schermi per proteggersi dal dolore). Freud indica l’angoscia di separazione come matrice originaria delle successive angosce. Winnicott afferma che non si può parlare di affetto nel bambino senza parlare degli affetti della madre. La madre fornisce le cure necessarie, garantisce una continuità di esistenza fornendo un buon ambiente di sostegno; nella crescita, aiuterà gradualmente i processi di individuazione e separazione. Bion sottolinea come la funzione materna strutturi la pensabilità delle diverse esperienze, attribuendo significato agli elementi grezzi che il bambino comunica alla madre. Il rapporto con una madre sufficientemente buona permette il riconoscimento e il passaggio all’altro, come altro da sé e come altro in sé, anche attraverso il legame con il padre, permettendo al bambino di aprirsi alla relazione oggettuale. Una madre può però essere in difficoltà, e non funzionare da buon contenitore per il bambino, può restituire non modificate le proiezioni del bambino o perché va in panico, o è depressa, o perché crea una barriera impermeabile, o non è adeguatamente supportata dal padre del bambino, oppure ha bisogno del figlio come supporto del sé e ne impedisce i processi separativi e la crescita… Parliamo di impingement, se ci sono carenze nello scudo protettivo materno, e il bambino è sottoposto a urti destabilizzanti il fragile status del neonato. Ogni storia individuale è fatta quindi di complesse interazioni tra l’investimento e la vitalità del bambino con la personalità interna delle figure fondamentali nei vari passaggi della sua crescita; questo interscambio è il fattore determinante della possibilità o meno di elaborazione e trasformazione delle esperienze affe ive di ogni individuo e della qualità di investimento affettivo che può vivere nelle relazioni che intreccia. Ci sono differenze fondamentali di patologia o deficit strutturali, a seconda del tipo di interazione, di situazioni traumatiche precoci o di difficoltà che il bambino può incontrare nel suo sviluppo psicologico successivo. A seconda che l’oggetto sia investito con valenze narcisistiche e/o oggettuali, potremo parlare di caratteristiche prevalentemente narcisistiche 64 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE e/o oggettuali nella struttura psicologica interna dell’individuo; si tratta di valenze affettive fondamentali nel complesso interagire tra il bisogno di essere amati e la capacità di amare. Ritengo fondamentale questa breve premessa sulla costituzione di una base psichica, di un nucleo identitario di base, anche come possibilità di una rete di elaborazione delle angosce e del dolore connesso alla perdita,per almeno due ragioni che riguardano il tema su cui riflettiamo: in primo luogo, è l’elemento determinante nella costruzione di una struttura psicologica abbastanza flessibile che mette in grado di affrontare meglio le situazioni separative. Strutture più rigide, viceversa, crollano, poiché con la separazione cade ogni punto di riferimento delegato al ruolo rigido. In secondo luogo, nella convinzione che la problematica narcisistica connessa a deficit in questo nucleo sia alla base delle separazioni più difficili e traumatiche. Passo ora ad alcune considerazioni su come interagiscono nella coppia i legami significativi interni dei due partner. Possiamo considerare la coppia una diade che si costituisce sulla base di affinità inconsce, un fiuto primitivo, su desideri parziali, sulla ricerca di un doppio, o sulla sostituzione di dipendenza (travaso della dipendenza dalla famiglia originaria al partner), sulla idealizzazione del partner ecc. Ognuno “porta” nella coppia la sua storia individuale. Poter essere se stessi, avere un buon nucleo interno, poter accettare il partner come altro da sé permette una buona complementarietà finalizzata al benessere e alla crescita della coppia, naturalmente non con un andamento lineare, ma attraverso la possibilità di vivere le inevitabili conflittualità in un clima costruttivo. D’altra parte, la coppia può invece essere un luogo privilegiato dove si manifestano tendenze arcaiche e nevrotiche della personalità, ci interessa quindi capire cosa viene portato nella coppia della condizione affettiva e relazionale di ognuno dei partner. Il termine “vincolo”, nella doppia accezione di legame e costrizione, esprime bene l’intersecarsi di problemi a vari livelli: apertura alla trasformazione e evoluzione da un lato o cristallizzazione e rigidità se prevale l’aspetto di coartazione. H. Dicks ha dato un grande contributo nell’approfondimento delle motivazioni inconsce dei legami nella coppia eterosessuale, in particolare 65 AIAF QUADERNO 2008/1 riguardo: La scelta del partner complementare, ossia come proiezione reciproca dell’immagine interna del genitore di sesso opposto, o la scelta del partner per contrasto (l’opposto della complementare). La collusione inconscia, la cui funzione è proteggere l’illusione che ha motivato la scelta. Giannakoulas e Giannotti (1985) la definiscono “connivenza inconscia”, considerando che la collusione sia basata su aspetti normali e patologici inconsciamente condivisi. Si tratta del complesso campo della selezione del compagno, degli elementi di difesa come la reciproca rimozione e dissociazione nella coppia stessa. Il confine diadico come legami inconsci profondi che fanno della coppia una unità intorno alla quale si delinea una specie di comune confine dell’io. Giannakoulas e Giannotti hanno descritto una stratificazione della membrana diadica allo scopo di rendere possibile una semiologia che possa valutare la qualità, lo spessore, l’elasticità, la costituzione e le componenti della membrana diadica. “Lo strato esterno è formato da elementi etico-religiosi e socio-politici; se gli altri strati sono atrofici e il matrimonio è basato prevalentemente su questo strato, rischia la disintegrazione quando questi elementi vengono a mancare. Lo strato medio è formato da componenti culturali e familiari in senso lato. Il terzo strato, interno, più sensibile, è costituito da aspetti personali, emotivi e istintuali. Qui i conflitti e le tensioni riguardano sempre qualcosa di intimo”. La stratificazione permette di capire come la membrana possa organizzarsi e diventare una barriera verso il mondo esterno, portando a una fusione diadica, a un sé comune, o addirittura a una folie à deux; in questo caso, il mondo esterno, diventa l’equivalente del non-io e il dentro può esistere solo in una armonia totale, idealizzata di accordo completo. Nelle situazioni più gravi dal punto di vista della struttura interna, è una regola trovare che le relazioni amorose ripetono in maniera grezza, non elaborata psichicamente, l’impatto col trauma originario. Si instaurano meccanismi di regolazione omeostatica per ripristinare lo stato quo ante e “proteggere” la coppia dal cambiamento. Ad esempio, se la caratteristica delle relazioni presenti (nella coppia) e passate è l’adesività, essere incollati l’uno all’altro, quando appare la benché minima discontinuità, vi è un precipitare di ruoli automatici legati al 66 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE trauma, una chiusura in una corazza di insensibilità e impenetrabilità che protegge dal precipitare in uno stato di panico o di frantumazione; oppure, se la coppia si regge attraverso l’adesione a modelli culturali e intellettuali asettici per ottenere riconoscimento e senso di appartenenza, se un partner muove un timido accenno più affettivo, l’altro partner si chiude in un gelo assoluto e sprezzante, che va a spegnere il piccolo germoglio di novità. In questa ottica, ogni esperienza di alterità è bandita in quanto ripetizione del primitivo incontro traumatico con il non-me; i ruoli sono scambievoli e le possibilità di alternative diverse sono automaticamente destinate all’insuccesso, anche perché questi pazienti hanno una filìa e un fiuto specifici (l’olfatto primitivo!) nel “ricercare” nei partner situazioni simmetriche, che ripropongono risposte uguali al trauma precoce. Quando i pazienti ne diventano consapevoli, parlano di una situazione a incastro difficile da “schiodare” in quanto ogni breccia comporta l’affiorare di angosce paniche; significativa mi pare la definizione di Racamier di “ingranamento”, come “modalità di influenza reciproca, sul modello di un intrico completamente privo di qualunque intermediario psichicamente elaborato”. L’ingranamento designa il fantasma e la messa in opera di una relazione interattiva tra le più strette e costrittive che vi siano. Niente può essere sentito, pensato, desiderato e voluto dall’una senza una risonanza nell’altra. ‘E possibile che un “fantasma” dell’uno vada in presa diretta su un’azione dell’altro: ciò che uno immagina (senza dirlo, e forse senza nemmeno avere in sé lo spazio per immaginarlo veramente) sarà sempre e regolarmente messo in atto dall’altro. Pensate a “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler. Meltzer (1979) ritiene che “ognuno di noi può avere molteplici relazioni, alcune collegate con la parte sana della personalità, altre con la parte malata o addirittura psicotica”; spesso il sintomo del bambino è l’espressione di una relazione a incastro dei genitori. A PROPOSITO DEL TRAUMA “Può agire come trauma qualsiasi esperienza provochi gli affetti penosi del terrore, dell’angoscia, della vergogna, del dolore psichico”(Breuer e Freud 1892-5) “e dipende ovviamente dalla sensibilità della persona col- 67 AIAF QUADERNO 2008/1 pita se l’esperienza stessa agisce come trauma”. Freud, dai lavori del 1915 in poi, concentra la sua attenzione e studio su “tutte quelle situazioni indesiderate e dolorosi stati affettivi” che fanno sentire all’uomo l’inevitabilità della perdita, della morte e del dolore. In “Lutto e Melanconia” parla della insopportabile intensità del dolore. Inibizione sintomo e angoscia (Freud 1926) costituisce una svolta fondamentale del pensiero psicoanalitico del trauma. L’angoscia, “reazione originaria all’impotenza vissuta nel trauma”, viene messa in rapporto all’angoscia di separazione e alla perdita dell’oggetto e, successivamente, all’angoscia di evirazione e all’angoscia della perdita d’amore del SuperIo (vi sono quindi, a seconda della fase, problematiche più spiccatamente narcisistiche o oggettuali). Gli elementi fondamentali che entrano in gioco nel trauma riguardano la forza o la debolezza dell’Io e la qualità del sostegno della relazione esterna (o l’assenza di un adeguato appoggio); nell’interazione di questi due elementi si gioca la possibilità di affrontare il trauma. Vi è inoltre l’elemento della sollecitazione quantitativa., se la madre fallisce nel prevenire che l’affetto raggiunga un’intensità intollerabile e soverchiante per il bambino, si può manifestare un trauma psichico. Mentre Freud ha sempre cercato di rintracciare una complessa interazione tra realtà esterna e vissuti fantasmatici, S. Ferenczi ha sottolineato con forza il fattore traumatico reale; entrambi però ritengono che non è l’evento in sé traumatico, ma il terrore e le reazioni che il trauma sollecita nella psiche. Il soggetto può “reagire” al trauma con una iperattività o restare paralizzato, in uno stato di torpore, blocco e immobilità (quest’ultima evoluzione è indice di un danno maggiore). Ferenczi approfondisce ciò che succede al bambino quando la sofferenza supera la capacità del bambino di tollerarla; l’esperienza di un sé morto o assassinato non può essere inscritta nella psiche. Ne conseguono meccanismi di scissione che lasciano del buchi nella psiche su qualcosa di impensabile. Un’altra difesa è una identificazione con caratteristiche arcaiche con l’oggetto maltrattante, con l’aggressore, con l’oggetto che schernisce… meccanismi che sono alla base di ripetizioni inconsce nefaste di ciò che la persona ha subìto. Il tutto avviene in uno stato di torpore e di confusione che alienano il soggetto dalla realtà che sta vivendo. Senza la protezione dal trauma, crolla la possibilità di pensare. Si dimentica ciò che ci fa soffrire, e però, da questo oblìo, può permanere una traccia mestica; la traccia mestica è una sorta di residuo percettivo 68 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE che rimane inscritto, conservato nella mente e che può essere rievocato. Molto diversa è la memoria traumatica, che si può manifestare nella ripetizione di comportamenti (ad esempio, pazienti borderline ripetono situazioni traumatiche e attraverso le ripetizioni “ricordano” i vissuti”), o con l’apparire di flash – residui sensoriali su un fondo di black out. Nessuno di noi è “vaccinato” definitivamente dall’impatto col trauma. Nel profondo possono giacere esiti di trauma “in letargo”, pronti ad apparire quando le vicende della vita sollecitano nuclei legati alla situazione di impotenza e fragilità che caratterizza l’umano nel suo primo sviluppo. La separazione nella coppia è spesso l’occasione per uno scatenarsi di manifestazioni patologiche fino ad allora incistate, latenti o mascherate finché la coppia è unita. In questi casi, si vede bene l’unione come adattamento che favorisce la localizzazione degli aspetti regressivi della personalità. Il legame di coppia può essere sorretto da tendenze narcisistiche profonde (aspetti arcaici) e si possono manifestare fratture della personalità quando il legame si rompe. Da questo punto di vista, possiamo considerare traumatica la rottura di un rapporto che supporti e sostenga la continuità psichica dell’esistere nel partner, un rapporto quindi necessario a fondare il senso di sé e a garantirne la coesione. Si ha trauma quando le funzioni di autoprotezione del Sé sono messe in scacco. Su questo punto a mio parere fondamentale, ho rilevato una sintonia con quanto afferma Sartori “ogni evento traumatico, ancorché modesto o naturale, è potenzialmente idoneo ad innescare dinamiche intrapsichiche atte a dare poi corpo ad una quadro psicopatologico”. Secondo una mia giovane paziente, i suoi genitori da soli sono dei naufraghi, insieme costituiscono una diga. Non si tratta, in questo caso, di partner con una buona maturazione affettiva, aperti a modificazioni e flessibilità della coppia, a possibilità di riorganizzazioni nella coppia permesse da una buona capacità emotiva, ma di una alleanza ferrea per la reciproca sopravvivenza psichica. Si può affermare che maggiore è la simbiosi patologica all’interno della coppia, più rigida è la membrana verso l’esterno, poiché ogni incrinatura è la minaccia di una catastrofe schiacciante per la coesione del sé; la separazione sollecita un disancoraggio delle radici che produce un effetto traumatico sul sentimento di appartenenza. Il disingranamento, secondo quanto afferma Racamier, nelle strutture che non hanno potuto affrontare 69 AIAF QUADERNO 2008/1 il lutto originario (inteso come graduale disillusione delle posizioni idealizzanti), è temuto come una lacerazione, lo strappo delle pelli incollate. In questi casi, le angosce arcaiche si esprimono attraverso sintomi somatici, agiti ripetitivi, o come angosce catastrofiche di annichilimento e di crollo, di frammentazione, di morte psichica. Per chiarire le difficoltà che una separazione può scatenare quando siamo di fronte a problematiche narcisistiche, mi aiuterò con una situazione clinica. Si tratta di una paziente, donna colta, molto affascinante, brillante professionista che ha affrontato molte problematiche nella sua storia analitica, lasciando però immobile e inattaccabile un “nocciolino” duro rappresentato da un rapporto di coppia molto civile e bene educato, ma altrettanto congelato. Decide dopo una lunga preparazione di separarsi e si avvia lo scongelamento di questo nocciolino duro che teneva blindata gran parte dell’affettività. Per un certo periodo, il corpo manifesta i tratti di espulsione di qualcosa di molto forte che non ha alcuna possibilità di essere pensato: il dolore si presenta con un pugno allo stomaco, sbianca in volto, la vita cade, c’è un senso di sfinimento. Sente un dolore fortissimo poiché con il marito non c’è stata nessuna possibilità di spiegarsi, anzi ha trovato un muro impenetrabile. Ha la fantasia di isolarsi in un buco per proteggersi dalla sovrastimolazione attuale che La rende inquieta, dorme male, fatica a concentrarsi. Oppure vorrebbe cercare una anestesia o surrogati che tamponino il vissuto di precipitare negli abissi, come succedeva con la madre nell’infanzia. In alternativa, la delusione-caduta in un baratro, che si esprime anche con una stanchezza fisica mortale. Sogno: casa di montagna isolata, si abbatte sulla casa un uragano, la porta sbatte, tutto è in pericolo. Sogno: casa in montagna, questa volta c’è una coppia, dalla finestra vedo come una nuvola che si forma, un tornado di polvere o lava. I sogni e la sintomatologia somatica esprimono bene come la separazione faccia precipitare una situazione di iperstimolazione, di una Sé minacciata alle radici dell’essere, la propria casa-identità è in grave pericolo per un non senso che ripresentifica una sé sradicata e sbalzata via. È preda di ondate di angoscia, “è qualcosa di più profondo della rabbia, è l’annientamento e la dispersione dell’identità”. Si era costruita su 70 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ruoli, che costituivano dei muri di contenimento, una testa pensante che aveva dovuto far morire tutta l’affettività. Faccio notare che la paziente ha deciso la separazione (è stata quindi soggetto attivo dell’evento separazione) ed è accompagnata in questo cataclisma dall’essere in analisi. DANNO PSICOLOGICO La separazione è il fallimento di un progetto, la perdita del legame ravviva l’angoscia di abbandono, di esclusione, può essere vissuta come prova di incapacità personale, ferita narcisistica (svalutazione, danno del senso di sé..), non c’è più la possibilità di avere un futuro insieme… Vi è la perdita di un ruolo, a livello personale e sociale, ruolo che definisce e stabilizza. La realtà psichica si alimenta con il legame, quando questo sostegno vacilla o viene perso, la vita psichica subisce una trasformazione. La perdita si inserisce inevitabilmente sul senso di sé, sull’identità, e va a sollecitare passate ferite, poiché comunque viene intaccato quel terreno di base necessario per la strutturazione e il buon funzionamento della vita psichica, specie per ciò che riguarda i processi di mediazione e trasformazione. Quale lavoro psichico è possibile? mi sembra l’interrogativo fondamentale che può segnare il confine e il passaggio al danno psichico. Intendo per lavoro psichico la possibilità di affrontare l’angoscia e il dolore, senza esserne travolti, potendo avviare un processo di lutto del rapporto di coppia precedente. Se un lutto è affrontato, la persona può ripercorrere la sua storia precedente, portare con sé ricordi di quanto ha vissuto “nel bene e nel male”, e aprire gradualmente piccole isole di piacere e desiderio che permettono nuovi investimenti vitali. DANNO PSICHICO Può essere considerato un danno nella struttura psichica. Vi possiamo includere senz’altro la psicopatologia classica; come psicoanalista, però, negli esempi clinici ho volutamente privilegiato la descrizione di situazioni apparentemente bene adattate nella vita, nella professione ecc. allo scopo di sensibilizzare l’attenzione alla delicatezza del tema psichico e delle sue risorse. 71 AIAF QUADERNO 2008/1 Cambia nettamente la situazione se il soggetto, di fronte all’evento separazione, sia minacciato di annullamento di sé, di perdersi nel crollo delle sue risorse. Nella relazione su “il rilievo civilistico del danno psichico” A. Sartori descrive il danno psicologico come “un danno a sintomatologia soggettiva e relativo alla modifica della personalità dell’individuo, può comportare la lesione della dignità offesa, il mero turbamento dell’animo, il peggioramento della qualità della vita, senza far conseguire al danneggiato una patologia permanente”. “Il danno psichico, invece, presuppone una patologia; non solo il manifestarsi di una sintomatologia soggettiva, ma anche di una oggettiva rilevabile con parametri comuni”. Viene citata la patologia dissociativa, fobica, isterica, paranoica… e il danno alle tre fondamentali facoltà: conoscitiva, affettivo-istintiva, volitiva. Ho molto apprezzato, nella Sua relazione, la constatazione della crescente sensibilità per il problema dell’integrità psichica (e ne condivido l’importanza) insieme alla citazione secondo cui “il disturbo psichico non è la mera somma di tanti fattori, ma l’irripetibile modo secondo cui in quel soggetto i singoli fattori si sono integrati” (Ponti). Nella mia libera interpretazione, intendo queste considerazioni significative a evidenziare la difficoltà, in molte situazioni, a differenziare il danno psicologico dal danno psichico, oltre che la necessità di pensare a parametri più dinamici, meno cristallizzati, che tengano conto della complessità della persona e del cammino evolutivo. PERDITA ELUSA, PERDITA ELABORATA E PASSAGGI INTERMEDI. In base a quanto detto finora, possiamo affermare che un quantum di esperienza traumatica è sempre connesso alla separazione, e ognuno si trova ad affrontare un dolore inevitabile legato alla rottura del rapporto di coppia. Molte persone sono in grado di affrontare un periodo di difficoltà e di turbolenza emotiva e di superarlo con le proprie risorse interne. D’altra parte, nell’esperienza della perdita, il quantum di dolore sollecitato può essere uno stimolo eccessivo rispetto al momento in cui il soggetto lo vive, o perché mette in evidenza un nucleo prima compensato di disturbo della personalità. L’esperienza è eccessiva, non può essere metabolizzata e l’Io si trova in una impasse, non si attiva l’angoscia segnale e relativi adattamenti, è il trauma. 72 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE È quindi importante considerare quanto le persone sono in grado di elaborare e trasformare le esperienze vissute, e quanto viene evacuato, espulso in agiti distruttivi, in quanto il dolore legato a esperienze traumatiche travalica la possibilità di pensare. Per ogni separazione è importante considerare vissuti, angosce, paure, che cosa ha dato a ciascuno la vita di coppia, il senso di liberazione nel lasciarsi (e confini con l’espulsione della sofferenza), ricordi, nostalgia, apertura del nuovo… e la struttura psichica di cui la persona dispone. La perdita è tollerabile, può essere vissuta? È essere gettati, senza pelle, in un abisso dove ogni legame è tranciato, e la persona è nel buio più totale, nulla, non esistente? Chi porta i pesi del dolore della separazione? Chi “mente” per non sentire il dolore, la responsabilità? Chi vive il dolore psichico? Questo dolore è riconosciuto come tale? Se per varie ragioni non può essere affrontata e elaborata l’esperienza del dolore, la persona può ricorrere a processi vari di mascheramento, con una funzione di schermo per non soffrire. Il senso della “bugia”e del mentire riguarda proprio le manovre della psiche per eludere il dolore. Alcuni nascondono la vulnerabilità e il dolore per la vergogna di fronte a un ideale (anche interno) oppure per il timore di un giudizio negativo. Altri possono ricorrere a meccanismi molto primitivi di fuga, quali il congelamento come forma di anestesia. In seguito a una separazione, può scaturire una depressione importante, ma anche il diniego della perdita dà luogo a problematiche consistenti (maniacalità ad es.); vi può essere il tentativo di calmare o obnubilare il dolore attraverso l’uso di sostanze (alcool, cibo, farmaci, droghe…). Un significato di schermo possono avere molte relazioni sessuali; con le parole di un mio paziente “varie donne mi servono per tenere insieme i pezzi, per trovare una possibilità di galleggiare; non posso tenere conto delle esigenze di chi si sente trascurato, poiché scombina l’incastro, scardina questi pezzi miei che tengo uniti, e i miei pezzi verrebbero scollati”. Vi possono essere molti agiti rabbiosi; si trasforma il dolore in rabbia e si impedisce di soffermarsi sul dolore. La rabbia distruttiva può essere agita nella conflittualità processuale, come ha sottolineato C. Curtolo nella introduzione. È anche molto importante poter capire e differenziare la rabbia che esprime l’odio, la rabbia come tentativo di reagire alla passività-schiacciamento dell’evento separazione, la rabbia come tentativo di 73 AIAF QUADERNO 2008/1 uscire da una angoscia di morte legata alla separazione e che potrebbe altrimenti esitare in violenza autodistruttiva… Mi soffermo ora, in modo più esteso, su una forma radicale, ma non rara, di frattura come evento traumatico nel corso di una separazione. Si tratta della espulsione come forma più radicale di evacuazione di una “possibile” realtà psichica; non c’è possibilità alcuna di avvicinare il dolore, pena un gravissimo sconvolgimento e scompenso psichico. Per definizione, diventa impossibile qualsiasi funzione di comunicazione e di trasformazione, mancando la persona di uno spazio intermedio, in quanto dominata da un funzionamento psichico arcaico. Usa il diniego come processo di cecità psichica; risulta impossibile ogni forma di mentalizzazione. Sono in genere relazioni dove un partner pretende che la compagna (o il compagno) accudisca i suoi bisogni, sia tutta d’un pezzo, non abbia o non mostri alcuna difficoltà. Un modello di relazione madre-bambino dove è idealizzata una madre totalmente supportante, costituita da una persona che ha dovuto (per la propria storia personale) denegare il proprio bisogno e crescere fin da bambina come se fosse una adulta.. Quando il bisogno si affaccia nel partner che sostiene la relazione, squilibra l’assetto precedente; il partner “bambino”, minacciato di essere invaso da una ondata emorragica di aspetti fragili, non può saperne niente, non può averci a che fare, espelle il/la partner e cerca un tamponamento con una nuova partner che ricostituisca l’equilibrio precedente fondato sulla staticità e l’immobilità. “Non può” è relativo a strutture o narcisistiche o borderline, con la funzione di impedire la ripetizione di ferite antiche al nucleo identitario. Vi è un grave rischio di scompenso e gravi TS quando si rompe la possibilità di espellere, e sono invasi da un essere disorientati, depressioni gravi, senso di morte…senza alcuna possibilità di lavoro psichico. Sono relazioni dominate da una dinamica “mors tua, vita mea”. L’altro partner, chi subisce l’espulsione, rimane in una posizione totalmente scoperta, è costretto a portare da solo i pesi del senso di esposizione totale del proprio bisogno e dell’abbandono. Porta i pesi, è derubata del “contenitore famiglia” e deve tenere insieme i pezzi; vive uno sradicamento con riattivazione della situazione infantile di perdita, “costretta” dall’espulsione a confrontarsi con una frattura profonda che viene messa a nudo, esposta. Domina il vissuto di una situazione irrecuperabile, di tradimento della fiducia di base; su un terreno minato, instabile, prova una rabbia omicida 74 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE per essersi sentita strumentalizzata “esclusivamente” ai fini del partner, di essere servita all’altro/a per costituire certe sicurezze e poi di essere buttata via. Mentre il partner che espelle cancella tutto ciò che c’è stato nella coppia, l’altro partner vive l’enorme dolore della ferita aperta, sente di sparire (spesso come nella storia infantile). Ricorre alla ricerca di prove-testimonianze che gli anni insieme non sono svaniti nel nulla per il partner, che non c’è stata una espulsione totale, vi è l’aspettativa che l’altro provi dolore per la destabilizzazione che ha provocato, la distruzione che ha creato, che diventi responsabile delle proprie azioni…che l’altro comprenda in che situazione ha lasciato la partner, che si scusi. Il fatto che, in realtà, rimanga “impunito” e totalmente inconsapevole (anzi, è frequente la proiezione della colpa di tutto su chi è stato espulso) scatena la furia. La situazione di espulsione è una situazione estrema e, come tale, mi sembra evidenziare bene le problematiche esposte e l’importanza, per chi subisce l’espulsione, di trovare una rete di accoglimento di una ferita molto dolente, che scompagina la vita psichica. E I FIGLI? Pensando di poter avere con Voi uno scambio di riflessioni su situazioni concrete, mi soffermo solo su alcuni rischi che riguardano i figli di genitori separati. Il pericolo di banalizzare l’impatto sui figli della separazione della coppia. I figli portano il pesante fardello di aver fallito nei loro tentativi di tenere uniti i genitori; spesso “mascherano” a lungo la loro sofferenza individuale, cercando di riunire la coppia. In altri casi, c’è uno schieramento del figlio con un genitore: un mio paziente, arrivato da adulto in analisi, alla separazione dei genitori quando era bambino, si era schierato, per motivi complessi, con la madre, perdendo poi quasi del tutto il rapporto con il papà. A un certo punto dell’analisi si può permettere il grande dolore di aver perso il padre, mi dice della costrizione psicologica di allora e della sua disperazione “perché voleva molto bene al padre”. Molti aspetti della storia di questo paziente potrebbero aprire una discussione sulla “Sindrome di alienazione genitoriale”, prendendo in 75 AIAF QUADERNO 2008/1 considerazione anche caratteristiche del bambino e della sua storia precedente la separazione, che possono influire sulla collusione con il genitore denigrante. Un altro problema molto frequente è quando i figli “devono” assumere un ruolo di curanti del genitore depresso in seguito alla separazione. Certamente sono importanti le collusioni in cui possono essere intrappolati i figli nel reciproco odio, desiderio di vendetta e rivalse dei genitori divisi. Vorrei concludere con una novella orientale (che ho trovato in M.L.Algini); narra che un padre morendo lasciò in eredità ai tre figli diciannove cavalli da dividersi in parti diseguali: la metà al maggiore, un quarto al secondogenito, un quinto al terzo figlio. Tutti i cavalli dovevano essere assegnati, nessuno doveva rimanere fuori, né essere fatto a pezzi… I tre figli, pur desiderando intensamente di realizzare la volontà paterna, presto si scoraggiarono per la difficoltà di venire a capo di quell’enigmatica divisione… Quand’ecco arrivare, ignaro dell’accaduto, un vecchio amico del padre, che condividendo con loro il dolore della perdita, li prega di accettare in prestito un cavallo della sua mandria e di riprovare ancora una volta a dividere l’eredità. A quel punto, tutto divenne semplice. Dei venti cavalli disponibili, il maggiore prese la metà, cioè dieci, il secondo un quarto, cioè cinque, il terzo un quinto, cioè quattro e il cavallo restante fu restituito al suo padrone. Quel prestito da parte di un estraneo-vicino aveva reso possibile quanto l’aritmetica da sola non sapeva sciogliere… Così Algini sente la funzione dell’analista infantile, come quella di un cavallo aggiunto in prestito, temporanea e finalizzata a consentire snodi non semplici. La novella mi è sembrata significativa per questo incontro in quanto, nella funzione di Avvocati per la famiglia e per i minori, penso sia fondamentale svolgere un ruolo di “terzo”, come possibilità di sviluppare uno sguardo e un pensiero differenziativi su situazioni difficili e spesso traumatiche. 76 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE BIBLIOGRAFIA Algini ML, Il viaggio, Borla Ed Breuer e Freud (1892-5) Comunicazione preliminare sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici. In Freud.S. Opere vol I Dicks H., Tensioni coniugali, Borla Ed. 1992 Ferenczi S., Diario Clinico Cortina Ed. Freud S. (1926), Inibizione, sintomo e angoscia. Giannakoulas A., Giannotti A.(1985) Il setting con la coppia genitoriale in Il setting Borla Meltzer D. (1979) Un approccio psicoanalitico alla psicosi. Quaderni di psicoterapia infantile, 2 Borla Ed. Racamier P.C. (1993) Il genio delle origini, Cortina Ed. Winnicott (1974) Oggetti transizionali e fenomeni transizionali in Gioco e realtà, Armando Ed. 77 AIAF QUADERNO 2008/1 DISCUSSIONE CRISTINA CURTOLO Pensare il trauma è umanamente difficile, andarlo a verificare ancora di più. La logica scorciatoia è che si generi fisiologicamente una zona d’ombra, invisibile perché impensabile. Altrettanto vero, però, è che la parola “trauma” è entrata nel linguaggio comune, tra uso improprio e abuso, come succede peraltro per altri termini. Si può cogliere in questa trasformazione linguistica una sorta di fascinazione collettiva per il gergo psicologico che riflette l’esasperato intento di palesare vissuti emotivi. Probabilmente è forte l’esigenza di parole per distinguere meglio le sfumature, i toni dell’affettività. Nello specifico della tecnica giuridica, incardinata peraltro sul verbo, si avverte la necessità di consolidare un linguaggio condivisibile. Ed è su questa linea che si pone l’approfondimento di Anna Oliva De Cesarei, la quale analizza il binomio trauma-separazione per poi collegarlo con la dinamica della separazione coniugale e, quindi, dei suoi esiti. Naturalmente non può esserci separazione senza dolore, tuttavia, occorre discriminare le reazioni sane da quei casi in cui la rottura affettiva elicita problematiche individuali irrisolte. Nel caso in cui l’avvocato si trovi in dubbio rispe o il discrimine una consulenza psicologica – anche a raverso colloqui clinici – può dare una risposta a codesto quesito. Emblematica di tale situazione è il ruolo di garante dell’equilibrio psicoaffettivo che il partner può ricoprire, una condizione di profonda dipendenza affettiva1 che fa sì che l’evento della separazione letteralmente sradichi le fondamenta su cui poggia l’identità, producendo un vissuto psicologico di angoscia e pericolo. Un vero e proprio tsunami emotivo che rischia, però, di essere negato, mascherato producendo effetti devastanti sulla capacità di pensare e di preoccuparsi. Perché è importante individuare la capacità del sogge o ad una elaborazione della perdita affe iva? Se il distacco dal partner intacca la radice dell’identità personale può esserci, come conseguenza, un’incapacità a prendersi cura congiunta- 1 78 Mitchell S., L’amore può durare? Il destino dell’amore romantico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003. PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST mente dei figli, i quali facilmente rischiano di incarnare il territorio del conflitto*. I figli vanno protetti ad ogni costo, su questo punto l’accordo è indubbio. Da questo vertice, quindi, è interessante guardare ai resti della rottura del legame come ad una scena che deve obbligatoriamente illuminare la reale dotazione di funzioni di entrambi i coniugi, nel senso dell’autenticità della loro maturità affettiva. Da un punto di vista giuridico il collegamento importante è con il concetto di capacità di amare quale parametro valutativo non solo della dinamica di coppia, ma anche della genitorialità*. Infatti, nel prendere in considerazione un progetto di affido condiviso non va dimenticato che i minori devono essere tutelati anche nei loro bisogni emotivi. Qualora, però, un genitore è troppo sofferente oppure preoccupato per sé potrebbe non riuscire a riconoscere le comunicazioni dei figli in quanto prevaricano i suoi bisogni e/o interessi. Ovviamente, tale evenienza segnala anche che la capacità genitoriale già antecedentemente alla rottura si poneva su una zona limite, magari compensata dalla situazione di coppia, e che lo stress e la sofferenza per la separazione hanno fatto esplodere. Se il genitore è psicologicamente stravolto è opportuno valutare la funzione genitoriale rispe o alla capacità riflessiva che è alla base del sapere pensare al bene dei figli. Un altro collegamento che si ricava dal contributo di Oliva De Cesarei riguarda il confine tra stress e trauma, come pure la loro differenziazione. Certamente, una dose di stress durante il disfarsi del legame è inevitabile, anche tenendo conto della durata della crisi che la coppia ha maturato e delle diverse posizioni, attiva o passiva, che i coniugi ricoprono rispetto alla decisione di separarsi. Per alcuni lo stress, se di breve durata, può far sentire il cambiamento di vita come una sfida trasformativa versus la felicità. Quando i partners di una coppia concordano nella volontà a separarsi? La risposta risale alla scelta inconscia che del partner si è fatta. Se da una parte sconcerta sapere che la scelta del partner è guidata dall’inconscio, e quindi dalla memoria dei legami passati, dall’altra la presenza di questo fiuto primordiale che orienta nella formazione della coppia ci fa dire che c’è stato un momento in cui queste due persone hanno concertato sulla base di un quantum di bisogni emotivi e relazionali che può esaurirsi 79 AIAF QUADERNO 2007/2 per percorsi di crescita che, invece di unire, hanno contribuito a dividere. Ritorniamo al trauma2. Già l’etimologia del termine introduce l’idea di un evento che produce una ferita, una lacerazione. Metaforicamente questa immagine ben descrive come la mente – l’apparato per pensare – possa risentire, se non addirittura ammalarsi, a seguito di un’esperienza che viene vissuta come uno stravolgimento esistenziale che impone un dolore psichico intollerabile, soprattutto, qualora appare privo di alcun senso. L’intensità dipende, come si è detto, dalla memoria delle relazioni affettive dell’infanzia che riaffiora nel vissuto di smembramento e mutilazione suscitato dalla separazione. Quali novità rispe o alla rilevazione del danno? Curiosamente, vi è stata una sorta di reticenza in ambito giuridico rispetto al riconoscimento dell’esperienza traumatica, un timore comprensibile di varcare un confine insidiato da possibili mistificazioni. Un po’ come succede per i casi di violenza domestica, si tende a bypassare, mentre la comunità scientifica documenta e spiega la complessità del trauma, individuando un continuum di stati psicologici che rende ragione della variabilità di manifestazioni sia negli adulti che nei bambini. 2 80 Garland C., Comprendere il trauma. Un approccio psicoanalitico, Bruno Mondatori, Milano 2001. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE UN TEMPO PER IL DOLORE TONIA CANCRINI PSICOANALISTA MEMBRO ORDINARIO CON FUNZIONI DI TRAINING DELLA SOCIETÀ PSICOANALITICA ITALIANA, ROMA IL RUOLO DEL DOLORE NELLA VITA Certamente il dolore accompagna tutta la nostra vita, dalla nascita fino all’età più avanzata. Diverse possono, però, essere le modalità con cui il dolore viene affrontato se si è bambini o adolescenti o adulti o anziani. Le cause fondamentali del dolore sono collegate ai problemi che riguardono il nostro corpo: malattie, deperimento fisico, invecchiamento, morte; eppoi al rapporto con gli altri, causa prima del dolore emotivo. Nel rapporto con l’altro ci possono essere situazioni di perdita, di lutto, di delusione, di separazione. L’altro ci può amare, capire, arricchire di belle esperienze, ma può anche al contrario farci del male, odiarci, deluderci, lasciarci; può ammalarsi e/o morire. Nel mio libro Un tempo per il dolore1 affronto il problema del dolore nelle sue diverse connessioni, in particolare con tematiche che riguardano la separazione, la morte, la colpa. Dolore, gioia, soddisfacimento, sono inevitabilmente imbricate: tanto più siamo aperti alle esperienze, alla realizzazione di noi stessi e della nostra vita affettiva e relazionale, più siamo esposti al rischio della sofferenza; più abbiamo nella vita una ricchezza di amicizie, di amori, di relazioni, di interessi, più siamo esposti al pericolo della delusione e della perdita di ciò che ci è caro, più corriamo il rischio di soffrire. Nella vita, dunque, non si può non dare spazio al dolore: il dolore nel nostro vissuto emozionale è un’esperienza così legata alla vita che possiamo dire che non provare dolore equivale a non vivere. C’è una dimensione vitale del dolore perché è un’esperienza emozionale importante e fondamentale, che necessariamente ha un posto all’interno di una vita ricca e creativa. Il paradosso della nostra esistenza è così descrivibile: se conquistiamo dentro di noi la capacità di sentire, di avere emozioni e sentimenti, ci di1 Cancrini,T., Un tempo per il dolore, Bollati Boringhieri, Torino 2002 81 AIAF QUADERNO 2007/2 sponiamo alla sofferenza. “Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l’oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici2” (pag. 574). C’è un profondo contenuto di verità* in questa affermazione di Freud poiché legando così strettamente l’amore alla sofferenza coglie un aspetto drammatico del nostro vivere. Se invece non ci apriamo alla ricchezza dell’affettività e non lasciamo spazio ai nostri sentimenti, ci ritroviamo nel deserto cupo della noia. Come, a più riprese, ha sottolineato Schopenhauer: la vita è dolore e, se non è dolore, è noia. La “noia”, che appare essere quel vuoto interno, quella incapacità di sentire, di provare emozioni e sentimenti che attanaglia il cuore in una morsa di freddo e di ghiaccio. La noia che accompagna i momenti neri della depressione. Più amiamo, dunque, più siamo liberi e coinvolti nella vita emotiva e più siamo potenzialmente esposti alla sofferenza e al dolore. E, all’opposto, più siamo isolati e lontani dagli affetti, più ci ritroviamo nel deserto della noia. Con queste considerazioni abbiamo anche aperto il discorso su quali sono le difese rispetto al dolore: l’anestesia emotiva, innanzi tutto, e poi il vuoto e la noia. Lì dove il dolore appare intollerabile accade che si annulli ogni risposta emotiva e si cade, allora, nel freddo e nel gelo dell’indifferenza. Nella clinica, con i pazienti capita frequentemente che uno dei problemi che ci pongono è quello di una sorta di anestesia emotiva, un’incapacità cioè a vivere la pienezza della vita emotiva. Si sentono vuoti, senza interessi, senza spinte vitali, incapaci di pensare alla propria vita in modo costruttivo. Questo tipo di situazione è perlopiù legato ad esperienze infantili traumatiche, spesso a dei lutti. Alla radice vi è la memoria del dolore sentito come una minaccia, come qualcosa di così violento e insostenibile che fa scattare in queste persone, preventivamente, il bisogno di un rifugio, una prigione in cui chiudersi che tenga al riparo da stimoli e sensazioni che potrebbero coinvolgere in situazioni che, inconsciamente, si avvertono intollerabili. Nella tradizione psicoanalitica ci sono molte ricerche sul significato della ricostruzione della storia personale e, dunque, sul ruolo della memoria nella nostra vita. Da Freud a Melanie Klein fino a Bion si considera che le esperienze del passato e, soprattutto le esperienze più precoci, segnano 2 82 Freud, S. (1929), Il disagio della civiltà, in Opere,Bollati Boringhieri, Torino. PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST il futuro sviluppo del bambino. La Klein, in particolare, sottolinea molto l’importanza delle esperienze precoci, di come sono vissute ed elaborate; fra queste hanno una particolare rilevanza quelle esperienze che hanno a che fare con momenti di separazione, di distacco, di lutto, di elaborazione del lutto. Da come queste esperienze sono vissute nell’infanzia, e da come sono elaborate, dipenderà la capacità dell’adulto di affrontare, in seguito, eventi di dolore e di perdita. Spesso nella vicenda infantile ci sono anche momenti confusi, non ancora espressi ed elaborati, vissuti solo a livello di sensazioni corporee, di brividi e inquietudini non meglio identificabili, di percezioni inespresse sia a livello conscio che inconscio che vagano pericolosamente nella sensibilità dell’individuo. Sono come delle mine inesplose che spesso riguardano i problemi che hanno a che fare con la separazione, il lutto e la morte. L’IMPATTO DELLA PERDITA AFFETTIVA Perdite precoci e morti improvvise possono compromettere lo sviluppo normale della vita emotiva impoverendo e soffocando l’affettività e la vitalità. C’è poi una connessione molto importante tra questi eventi traumatici e la possibilità di pensarli, perché non è solo la violenza dell’evento ad essere rilevante, ma anche e soprattutto la capacità di metabolizzare mentalmente l’esperienza. Tale capacità e, quindi, la pensabilità del trauma può essere influenzata da diversi fattori, che hanno a che fare con la sensibilità dell’individuo, ma anche con i rapporti e le situazioni affettive che si vivono nel momento del trauma. La violenza, l’impatto violento sull’emotività e sulla mente di chi subisce il trauma è, pertanto, determinata sia dalla gravità dell’evento, sia dalle condizioni interne ed esterne che ne permettono o non ne permettono l’elaborazione personale. Se penso a tanti miei pazienti colpiti da traumi precoci, come p. es. la perdita di uno dei genitori quando erano molto piccoli, me li ricordo arrivare in studio spenti e con una vita affettiva povera ed insignificante. È come se nella loro vita avessero attraversato un terreno così potenzialmente doloroso e sconvolgente che non sono riusciti a vivere e ad elaborare il lutto e sono stati, in qualche modo, costretti alla chiusura, all’allontanamento nell’indifferenza e nella solitudine. Sottolineavo prima quanto sia importante non solo l’evento traumatico, 83 AIAF QUADERNO 2007/2 ma anche e soprattutto la possibilità di pensarlo, di elaborarlo mentalmente. E quanto la violenza dell’esperienza possa essere amplificata dalla difficoltà di metabolizzarla mentalmente. Fra le esperienze traumatiche e dolorose dell’infanzia il primo posto spetta certamente alla morte dei genitori, poi ad altre morti di persone importanti e poi a disaccordi e a separazioni dei genitori. Innanzi tutto mi soffermo sulla morte di uno dei genitori. Prenderò in esame tre pazienti che hanno perso il padre intorno ai tre anni e mostrerò come si è determinato il loro vissuto in relazione alle diverse circostanze relazionali e affettive che hanno accompagnato questa vicenda. Un primo elemento molto importante è la condivisione. È infatti importante per l’elaborazione della sofferenza quanto si è potuto partecipare e quanto invece si sia stati esclusi dalla condivisione del dolore, quanto si sia stati tenuti lontani e lasciati soli. In questi pazienti vediamo tre diversi modi di vivere la stessa esperienza che, certamente, sono stati determinati dallo loro sensibilità individuale e dal loro mondo interno, ma anche dal modo con cui si sono poste intorno a loro le persone affettivamente importanti, in particolare la madre. Possiamo così vedere come accanto alla morte del padre, ancora più forti e drammatiche sono risultate nel loro vissuto interno le emozioni collegate alla depressione della madre e al venir meno della buona coppia genitoriale. E vediamo, altresì, come sia stata fondamentale nella loro esperienza il modo in cui le madri hanno elaborato e vissuto questo lutto. Posso così individuare tre situazioni: 1. Condivisione e vicinanza (Sandro). 2. Non condivisione e solitudine (Maria). 3. Non condivisione e colpa: non solo c’è morte e solitudine, ma anche si è segnati dalla colpa (Ludovico). Il primo di questi pazienti, Sandro, ha avuto una madre molto capace di amare, che ha sofferto molto per la morte del marito avvenuta improvvisamente, ma che è riuscita a elaborare questa perdita e a ritrovare in sé l’affetto e il ricordo dell’uomo amato. Sandro può così conservare internamente un’immagine dei genitori uniti nell’amore. Anche il ricordo del padre può rimanere dentro di lui come una realtà carica di grande affetto. Sandro, con una maggiore facilità rispetto agli altri pazienti menzionati, ha potuto trovare, ad un certo punto della sua esperienza e del lavo84 PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST ro analitico, un’immagine viva del padre che gli ha permesso una buona identificazione con lui. Pertanto, nel rapporto con il proprio figlio ha potuto recuperare e sperimentare un modello paterno che aveva conservato dentro di sé. Questa è stata una situazione che nel lavoro analitico si è riusciti ad affrontare abbastanza facilmente perché il paziente ha potuto recuperare dentro di sé delle immagini genitoriali positive ed affettive. Una situazione del tutto diversa ha vissuto Maria, la quale ha ritrovato il ricordo del padre solo dopo molti anni di lavoro psicoanalitico. Prima si è dovuta recuperare una capacità di provare le emozioni, di sperimentare il dolore perché la possibilità di vivere l’affettività era stata del tutto annullata. Il nesso di tale anestesia risaliva al fatto che quando il padre morì la madre fuggì dal dolore, andandosene di casa e lasciando la bambina con dei parenti. La sofferenza della bambina non è stata per nulla presa in considerazione, come se la famiglia avesse pensato: ma che può mai capire, è una bambina! La madre ha poi ricostruito la sua vita fuori di casa, in un nuovo matrimonio, escludendo la figlia da questa sua nuova sistemazione. La madre, quindi, ha cancellato dalla sua vita mentale ed affettiva, con una negazione totale del lutto e con una espulsione violenta, la persona perduta. Maria, bambina di quasi tre anni, si è ritrovata da sola con questa perdita terribile, senza poterne parlare e senza poter condividere il suo dolore. Si è ritrovata così con la mente e il cuore vuoti di sentimenti e di ricordi. È stato dopo la morte di una zia molto cara che Maria ha richiesto l’analisi: chiaramente aveva bisogno di poter elaborare i problemi della separazione e del lutto con la vicinanza di qualcuno che la capisse, e condividesse con lei le esperienze della separazione, del lutto e dell’abbandono. Quando Maria, attraverso l’esperienza psicoanalitica, è riuscita a prendere contatto dentro di sé con la possibilità di provare anche dei sentimenti rispetto alle situazioni di abbandono, di separazione, di perdita, allora ha potuto rivisitare la sua storia e ha cominciato a cercare il ricordo del padre. Mi dice: “Sono spinta al ricordo, voglio ricostruire la mia storia”. Comincia così a cercare le fotografie del padre, sfoglia i suoi libri, le sue carte, e comincia anche a fantasticare intorno al significato che questa figura così importante deve aver avuto nella sua vita. Si chiede il senso di questa mancanza e riesce piano piano a tollerare dentro di sé immagini, ricordi, 85 AIAF QUADERNO 2007/2 sentimenti, ed anche un po’ di sofferenza che, fino a quel momento, era completamente negata. Così, quello che era un malessere oscuro e inespresso diviene un’esperienza vitale che arricchisce la sua vita affettiva. E questo poter vivere ed elaborare il lutto ha determinato in seguito delle trasformazioni vitali e creative nella sua vita. Un altro paziente, Ludovico, mi permette di accennare alla connessione tra dolore e colpa. Ludovico ha avuto l’esperienza di un padre morto improvvisamente e di una madre devastata da una depressione molto forte. Ha così avuto la preoccupazione di dover sempre sostenere e aiutare la madre. Non è riuscito perciò a dare uno spazio adeguato a se stesso, alla sua vita interna, ed anche alla sua vita esterna e alla socialità. I suoi rapporti sono stati molto ridotti e sacrificati ed anche la relazione analitica ha risentito, a volte, di queste difficoltà: ci sono stati ritardi e sedute saltate, perché c’era spesso qualcosa di più importante che riguardava la mamma che gli impediva di trovare uno spazio e un tempo per se stesso. Alla morte improvvisa del padre, e alla conseguente depressione della madre, Ludovico si é ritrovato all’improvviso di fronte ad un universo affettivo completamente cambiato, dove sono diventati predominanti la solitudine e il vuoto. Ma non c’era solo questo, c’era in Ludovico anche preponderante un vissuto di colpa che invadeva tutta la sua vita. Si sentiva in colpa perché non riusciva a consolare la madre; si sentiva in colpa perché era, comunque, forte il suo desiderio di vivere malgrado la morte del padre e la depressione della madre; la colpa di vivere, malgrado tutto. E così Ludovico per anni è stato impegnato in questa fatica terribile di tenere in vita la madre, che era però inconsolabile. Mano a mano che l’analisi è andata avanti, sono emerse queste angosce e sono riaffiorate queste situazioni vissute. Poter capire e condividere con l’analista il dolore e le angosce profonde sulla colpa ha aperto una nuova possibilità di elaborazione e di vita. Nell’analisi è stato così accompagnato attraverso i terremoti che hanno sconvolto la struttura della sua esistenza, come rappresentato da diversi sogni, fino ad arrivare alla ricostituzione interna di una sua capacità di vedere e di capire la sua esperienza che ha aperto la possibilità di una ricostruzione. Anche per sensazioni sgradevoli e inquietanti come la colpa vale, infatti, il discorso dell’importanza del capire e del condividere. Finché rimangono zone oscure e cupe dentro l’Io c’è una compressione interna che 86 PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST impedisce di vivere liberamente. È soltanto vivendo e affrontando queste esperienze inquietanti che può aprirsi un nuovo spazio per possibilità vitali e creative. La colpa “disintegra il vissuto emotivo e destruttura la mente” (Cancrini, op. cit., p.110). È importante portare la colpa nel tempo e nello spazio; poterla raccontare, pensarla e condividerla con altri. Quanto possano essere terribili queste perdite precoci per i bambini appare chiaro a tutti; a volte si riflette meno su quanto l’elaborazione della perdita sia condizionata nel bambino dalle presenze affettive che possono condividere con lui queste esperienze tremende. Quando il bambino non è aiutato a sperimentare e tollerare la sofferenza, il dolore diviene un’esperienza invivibile e accade, allora, che la vita emozionale sia compressa, a volte annullata. E dove c’è un soffocamento dell’affettività, questo ha un suo corrispondente a livello di pensiero e di capacità mentali, perché la compromissione dello sviluppo emotivo danneggia fortemente anche le capacità mentali e di apprendimento. I bambini appaiono particolarmente esposti, vulnerabili, non ancora attrezzati a vivere momenti di sofferenza troppo intensi. È, pertanto, particolarmente importante per loro essere accompagnati e sostenuti in questa loro esperienza. In realtà, quello che accade molto spesso è che si trovino soli di fronte al dolore senza che gli adulti siano capaci di condividere con loro queste esperienze così difficili. E questo è tanto più vero se abbiamo a che fare con delle situazioni difficili o con dei lutti o con delle crisi violente all’interno della famiglia che coinvolgono anche gli adulti, che si trovano così anche loro sotto un peso a volte insostenibile, troppo provati dalle loro preoccupazioni e dal loro personale dolore, per riuscire a comprendere i loro piccoli. IL RIVERBERO EMOTIVO DELLA CONFLITTUALITÀ CONIUGALE Un’altra situazione particolarmente drammatica per i bambini è il disaccordo e la separazione dei genitori. Anche queste situazioni sono esperienze molto dolorose sia per i genitori che per i figli. I momenti di incomprensione e disaccordo che precedono le separazioni, così come le fasi della separazione, sono perlopiù caratterizzate da emozioni molto intense, forti, a volte violente e questo comporta una situazione di grande destabilizzazione per tutta la famiglia. C’è una perdita 87 AIAF QUADERNO 2007/2 insita nel cambiamento; i sentimenti che si attivano sono certamente di dolore, di rabbia, di colpa. Un insieme di emozioni che può avere un carattere fortemente dirompente. La capacità di gestire le proprie emozioni e di contenerle è certamente uno dei fattori più importanti per l’equilibrio psichico; se le emozioni sono troppo forti si rischia di esserne travolti e si perde la capacità di aver cura degli altri e di se stessi. Un dolore troppo forte può essere sentito come intollerabile e può trasformarsi in una rabbia altrettanto violenta che fa perdere il lume della ragione e spinge ad agiti assurdi ed incontrollabili. Il senso di colpa, spesso inconscio, destruttura la mente; viene, allora, meno la capacità di pensare e si cade facilmente in situazioni di reciproci rimproveri e recriminazioni: la colpa è sempre dell’altro e cade ogni possibilità di essere obbiettivi. La rabbia per qualcosa che si sente ingiusto e immeritato crea ancora di più una situazione esplosiva. Torniamo al punto da cui siamo partiti: l’importanza che le proprie emozioni abbiano un contenimento, l’importanza che ci sia un tempo per elaborare quello che si sta vivendo, un tempo per il dolore. Se c’é una separazione e, quindi, una perdita, un venir meno di qualcosa che è importante, è fondamentale che ci sia un tempo per vivere le emozioni, un tempo per il dolore. Che significa questo? Significa rendersi conto e accettare che si sta vivendo una situazione dolorosa, che procura una grande sofferenza, una grande rabbia, dei forti sentimenti di colpa e che è necessario quindi elaborarla così come si fa per una morte, per un lutto. Ma c’è un altro punto che merita una grande attenzione ed è l’esperienza vissuta dal punto di vista dei bambini. Anche loro hanno una perdita, anche loro hanno un dolore, anche loro possono sentirsi in colpa. Ma vediamo, innanzi tutto, cosa perdono e come lo perdono. Se la separazione riguarda solo il legame coniugale la coppia riesce a mantenere un rapporto genitoriale nella cura del bambino; la situazione è certamente triste, ma molto più facile da accettare per il bambino. Il fatto che, comunque, permanga un legame tra i genitori, è fondamentale per il figlio perché possa conservare in sé la fiducia nei rapporti affettivi. Se invece si ha una rottura violenta per cui il livello di conflittualità e di scontro è così alto da spezzare il legame anche della coppia genitoriale, la separazione diventa un’esperienza molto traumatica per il bambino. 88 PATTO DI FAMIGLIA - ATTI DI DESTINAZIONE - TRUST Particolarmente difficile diviene per il bambino la dinamica edipica, sperimentata in un momento di lotta e di conflitto* molto violento tra i genitori. Ritengo che ci siano situazioni edipiche molto differenti a seconda che la coppia genitoriale sia sentita unita nell’amore, o piuttosto minata dal dissidio e dal furore distruttivo. L’esperienza dei genitori che si amano può far sentire il bambino solo, escluso e, allora, appare geloso, triste, arrabbiato. L’esperienza dei genitori che si odiano e si distruggono vicendevolmente e attaccano il loro legame fa sperimentare al bambino un senso di caos e di catastrofe che lo fa sentire annientato, disintegrato, a pezzi. Una situazione, dunque, molto più drammatica ed inquietante che rischia di destabilizzare il bambino in modo molto grave. La sua stessa rabbia gli viene ricatapultata addosso e il bambino è così sopraffatto dalla violenza. Io credo che le sue fantasie siano come un’esplosione che fa andare tutto a pezzi. La rottura del legame tra i genitori pone il bambino di fronte a una realtà che lo disorienta e lo disintegra. Sente spezzato proprio quel legame che ha come scopo l’aver cura di lui e che è, pertanto, il suo punto fondamentale di appoggio. E allora la gelosia, la rabbia, l’esclusione non solo turbano il bambino, ma lo lasciano solo nel suo disastro interno. Non c’è una coppia che ha cura di lui, che lo accudisce e pensa al suo benessere. Nel materiale clinico di bambini disturbati possiamo spesso cogliere l’evidenza di questo dramma, ritrovando un riscontro nel loro mondo interno. Emanuele, un bambino venuto in analisi quando aveva 3 anni e mezzo, mi fece riflettere molto su quel particolare vissuto edipico che si ha nel momento in cui i genitori sono in lotta tra di loro. Il bisogno che il bambino ha di una coppia genitoriale buona e affidabile che colgo nel rapporto con me mi ha dato la possibilità di capire come sia terribile per Emanuele proprio la percezione di una coppia in lotta che, disintegrando se stessa, lo uccide. La coppia in lite non solo distrugge se stessa e uccide il legame, ma non ha spazio per il figlio, il quale si sente annientato, disintegrato. Il bambino vive, allora, i genitori come una coppia genitoriale cattiva che non solo lo esclude e l’abbandona - come nella situazione edipica classica - ma che nel lasciarlo lo annienta: non c’è più legame, non c’è più spazio per lui: è la morte, la disintegrazione. Ricordo delle sedute drammatiche nel periodo in cui c’erano stati degli scontri molto violenti tra i genitori, che preludevano a una separazione. Il bambino portò in seduta tutta la rabbia e la violenza, ma soprattutto il 89 AIAF QUADERNO 2007/2 senso di disgregazione interna e di disperazione collegato al venir meno della buona coppia genitoriale. L’odio dei genitori tra di loro e la percezione di un’assenza di legame penso abbia aperto la via all’abbandono e allo sconforto assoluto da un lato e, dall’altro, ad una disgregazione annullante. Verso i genitori uniti Emanuele stava provando gelosia, senso di esclusione, e certamente ha sentito di odiarli e li ha attaccati nella sua fantasia, ma il suo referente era comunque una coppia unita che non si faceva distruggere dalla sua rabbia. Ma ora tutto è cambiato e Emanuele si trova a dover affrontare una situazione drammatica e disgregante. La crescita, l’elaborazione di fatti dolorosi e di perdite importanti è, a volte, per il bambino molto sofferta. Per i figli che vivono queste esperienze dolorose e inquietanti è fondamentale la condivisione da parte dei genitori e degli adulti che li amano, che possono aiutarli a dare parole al dolore e possono vivere con loro il tempo della sofferenza e della disperazione. Ed è solo con la presenza e la condivisione che noi possiamo veramente aiutare i bambini di fronte alle situazioni più drammatiche della vita. Non possiamo a volte fargliele evitare, ma le possiamo vivere con loro. BIBLIOGRAFIA Bion W. R. (1962),Learning from Experience, Heinemann, London (trad. it. Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma 1972). Britton R., Feldmann M., O’Shaughnessy (1989), The Oedipus Complex today, ed. J. Steiner, intr. H. Segal, Karnac Books, London. Cancrini T. (1993), Fantasie edipiche precoci e controtransfert, Rivista di psicoanalisi, 4, 709-720. (1998) Precocious Oedipal fantasies and countertransference, in Journal of Child Psychotherapy (2002) Un tempo per il dolore, Bollati Boringhieri 2002. Freud S. - (1917) Lutto e melanconia. Vol. 8. (1929), Il disagio della civiltà. Vol. 10 op.cit. Klein M. - (1963), Our Adult World and other Essays, Hogarth, London (trad. it.Il nostro mondo adulto e altri saggi, Martinelli, Firenze 1972). 90 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE DISCUSSIONE CRISTINA CURTOLO Rotolano come pietre parlanti sul corpo inerme tutti i dolori non elaborati; non c’è scampo, alla resa dei conti psicologici una ferita del presente può far sanguinare l’edema di un trauma non riconosciuto. Con questo scritto Tonia Cancrini scuote con parole che penetrano nella carne, richiamandoci ai temi fondamentali dell’esistenza umana. La morte è l’evento più drammatico rispetto alla perdita affettiva, ma anche la rottura di un legame può esserlo poiché comporta di per sé l’affrontare la morte dell’amore sentito nei termini della fine di un mondo. Se quando si ama si tocca il cielo con un dito quando si è abbandonati si sprofonda nel vuoto terrificante: il nero del lutto, allora, rispecchia lo stato di prostrazione abissale e cupo che appare infinito nella lentezza del suo divenire, nell’afflizione tra il desiderio di ricordare e il bisogno di dimenticare per porre fine al tormento. Sciogliere i nodi che legano al partner, pertanto, può necessitare più tempo che per l’annodarsi del legame stesso. Più fitta è la trama più travagliato è il processo di sfilamento per lo struggimento del dolore, della rabbia, del rimpianto, della ribellione, sopraffatti dall’impotenza e terrorizzati dalla solitudine. Perché all’avvocato può interessare la fenomenologia del dolore? Esiste una soglia di tollerabilità individuale al dolore mentale ed emotivo, superata la quale l’urto sulla mente può comportare una temporanea défaillance delle capacità cognitive di analisi e valutazione di quello che è sentito un problema personale che nessuno può comprendere. Aforisticamente si può dire che si sbaglia perché si soffre e non si soffre perché si sbaglia poiché è vacillante la capacità riflessiva necessaria per pensare prima di agire. Se la sofferenza non può essere pensata facilmente si traduce in fa i violenti, l’inevitabile passaggio dal dolore alla violenza1. Nell’arcipelago delle emozioni affe i e pensieri possono alloggiare in modo contraddi orio nella mente. Psicologicamente è L’urlo di Munch l’icona dell’esperienza che il verbo 1 De Zulueta F., Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999. 91 AIAF QUADERNO 2008/1 traduce nell’ impazzire dal dolore. Occorre un tempo per il dolore, ma se questo tempo viene negato si rischia di precipitare nella patologia del lutto, uno stato mentale di sofferenza che tende a deformare l’esistente. Diversamente l’elaborazione del dolore è vitale, è un’esperienza trasformativa poiché generatrice di nuova conoscenza verso se stessi e verso il mondo. Il contrario dell’amore non è l’odio ma l’indifferenza. Odiare significa essere ancora legati. Se la persona non riconosce autenticamente i propri sentimenti e, ancor peggio, non li vede riconosciuti da coloro che gli stanno intorno, può verificarsi il fenomeno della banalizzazione del dolore. Nella complessità della confli ualità coniugale l’avvocato compie delle valutazioni sulle parti in causa per delineare i contorni di uno scenario di relazioni che si sta modificando. In virtù di tale operazione è importante sapere che non può esserci uno spazio autentico di bigenitorialità se entrambi i coniugi non hanno elaborato e, quindi, superato il lu o e la colpa per il fallimento di un proge o di vita2. Ma, pensare la colpa è una conquista particolarmente difficile, sopra u o, quando non si prospe a uno spazio di riparazione possibile. Traslare questa conoscenza nell’impostazione giuridica può significare prendere in considerazione la diacronia o la sincronia tra tempi giuridici e tempi psicologici in modo da tentare di controllarne gli effetti. Una delle possibili implicazioni è ben trattata da Cancrini con il concetto di fenomenologia del dolore invisibile – perché non adeguatamente riconosciuto - nel bambino, facendoci capire le inevitabili ricadute sullo sviluppo complessivo. Certamente è contro natura per un genitore assistere al dolore del figlio eppure nel corso di separazioni ad alta conflittualità questo può accadere, come pure possono configurarsi strategie ingannevoli di misconoscimento oppure di negazione. A partire da Flaubert, il padre di Madame Bovary, si è consapevoli che il male assoluto è quello che non trova alcun bene al suo opporsi. Realisticamente l’avvocato psicologicamente sensibilizzato può contenere l’evolversi di una patologia del male3 di cui molti genitori si ammalano e che si rende evidente ogni qualvolta si colpiscono attraverso i figli. 2 Cigoli V., Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna 1998. 3 Ricoeur P., Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana, Brescia 1993. 92 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE L’AMORE TRA BIOLOGIA E CULTURA GRAZIA ATTILI ORDINARIO DI PSICOLOGIA SOCIALE, UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA” Sigmund Freud scriveva “Dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo proviamo non possiamo amare”. È da questa asserzione, forse, che partono quelle considerazioni che vedono, in questi stati dell’anima, sentimenti e bisogni contrastanti, come se si trattasse di istanze quasi opposte della vita affettiva dell’individuo. Alcuni studiosi, su questa base, arrivano perfino a sostenere che il matrimonio, con la sua istituzionalizzazione di un legame stabile e duraturo, o comunque il coinvolgimento in un legame sentimentale di lunga durata è il frutto della cultura e della società, cui si oppongono tendenze ineluttabili a provare attrazioni labili per individui sempre diversi. In effetti non è così. Se si utilizzano i postulati dell’ approccio evoluzionistico e un paradigma scientifico ormai ampiamente diffuso in ambito psicologico - la teoria dell’attaccamento, formulata negli anni Sessanta da uno psichiatra inglese di nome John Bowlby- si può asserire che il desiderio, l’innamoramento, l’amore, l’attaccamento non sono dimensioni separate e contrastanti della vita affettiva. L’amore, quello di cui si vede nei film e si legge nei romanzi, quello che dura tutta la vita non è una costruzione storico-culturale oppure il risultato di un’invenzione che ha preso le mosse dai poeti del XIII secolo. I legami di coppia non sono destinati ad essere caratterizzati da passione, in una fase iniziale, per poi languire nella noia codificata di un matrimonio, che viene mantenuto per pure convenzioni sociali. Le relazioni sentimentali si sviluppano, se sane, secondo un percorso, che è allo stesso tempo biologico e sociale, secondo un itinerario che evolve per tappe imprescindibili e necessarie, ciascuna con un suo potenziale che Questo articolo è largamente basato su G. Attili, Attaccamento* e Amore, Il Mulino, 2004 93 AIAF QUADERNO 2008/1 contribuisce al buon adattamento dell’individuo al suo ambiente sociale e fisico. Il punto è che l’amore, così come l’intende l’immaginario collettivo, è solo una fase della relazione di coppia che, se di tipo affettivo è, tuttavia, d’amore, in un senso ben più profondo, lungo tutto il suo percorso. Il desiderio e l’eccitazione non sono in contrasto con l’amore, l’amore non è l’antitesi dell’attaccamento, ma è proprio l’attaccamento il filo rosso che tiene legati i partner di una coppia, all’interno di un percorso che porta gli amanti e poi i coniugi, a provare, nelle varie fasi del loro rapporto, particolari emozioni, ciascuna funzionale al buon andamento della relazione e, quel che più conta, cruciali per il loro benessere. L’amore, in altri termini, secondo gli approcci che utilizzano sia i costrutti della psicologia cognitiva che le concettualizzazioni proprie del neo- darwinismo, può essere considerato sinonimo di attaccamento, e, nello stesso tempo, una sua parte. Esso può essere visto come frutto dell’evoluzione e della selezione naturale, della filogenesi, in altri termini, e, pertanto, nelle sue connotazioni, può essere considerato ancorato con le sue radici nel nostro patrimonio genetico, ed è assimilabile, nelle sue funzioni, all’amore che lega un bambino alla madre. Questo non vuol dire che si ama il proprio partner come se questi fosse la propria madre, né viceversa. Esistono, tuttavia, delle somiglianze sostanziali tra i due legami, a livello fenomenologico e a livello funzionale, così che, nella sua impalcatura universale, il rapporto madre-bambino può essere utilizzato per capire la complessità del legame d’ amore tra adulti. Quello, come questo, infatti, si è evoluto perché è proprio attraverso un forte coinvolgimento con una persona specifica (la madre, il partner) che ciascun individuo può sopravvivere al meglio ed ottenere successo riproduttivo. In entrambi i rapporti sono rintracciabili quattro componenti, le quali, peraltro, appaiono in sequenza, lungo il percorso che porta allo strutturarsi del legame affettivo. Esistono, in altri termini, delle fasi di sviluppo comuni, ciascuna caratterizzata da emozioni e stati mentali diversi: in una prima fase quando si è legati sentimentalmente, si desidera mantenere la vicinanza con quella persona specifica piuttosto che con un’altra, si ha, quindi, l’effetto mantenimento della vicinanza. Questo accade nei primi mesi di vita del bambino e nella fase del legame di coppia, tra adulti,caratterizzato dal corteggiamento e dai momenti iniziali dell’innamoramento. In una seconda fase si cerca proprio quella persona (la madre, in età infantile, il partner, in età adulta) quando si è turbati o si è sotto stress*, o quando si 94 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE sta male, e solo quella ha il potere di rassicurarci e farci sentire confortati, secondo quello che viene detto effetto rifugio sicuro. Questo accade intorno ai cinque mesi nel bambino e nella fase vera e propria dell’innamoramento negli adulti. È in una terza fase che si entra in ansia, o comunque ci si rattrista quando l’altro non c’è, secondo l’effetto ansia da separazione. Perché questo accada è necessario che il piccolo abbia raggiunto l’ottavo mese. A questa età egli ha infatti le capacità cognitive necessarie a che si renda conto che la madre è “permanente”, ovvero che esiste anche quando non la vede. Riscontrare che non c’è lo mette in ansia. Negli adulti l’ansia compare perché il partner è ormai considerato necessario e insostituibile. In una quarta fase compare l’ effetto base sicura. Se il partner (la madre o il compagno della vita adulta) viene percepito come vicino e disponibile, in caso di necessità, ci si sente leggeri e si ha voglia di esplorare e conoscere il proprio ambiente sociale e fisico, mentre il solo immaginarsi che l’altro non avrà voglia di accoglierci tarperà inevitabilmente qualsiasi volontà di esplorazione. Anche le reazioni alla perdita della persona considerata, ormai, la propria figura di attaccamento, oppure una separazione, sono analoghe nei bambini e negli adulti. Esse costituiscono, un pattern universale e si articolano in una sequenza costituita dal succedersi di tre fasi, la protesta, la disperazione, il distacco. I LA PROTESTA. Questa reazione iniziale è caratterizzata da agitazione, grida, pianto, iperattività, urla, resistenza all’offerta di conforto da parte degli altri, ansia estrema, panico. Si tratta di reazioni che sembrano indicare che la persona abbandonata o che ha subito un lutto creda che attraverso le sue urla e le sue proteste, attraverso il suo controllo della situazione, la persona morta, o che se ne è andata, possa essere convinta a tornare. II LA DISPERAZIONE. La protesta attiva, con il passare del tempo, rivelandosi inutile, viene sostituita dalla disperazione, ovvero da un periodo di letargia, di inattività, di depressione, di alterazioni fisiologiche quali disturbi del sonno, alterazioni del comportamento alimentare, diarrea, elevata conduttività cutanea, battito cardiaco accelerato. 95 AIAF QUADERNO 2008/1 III IL DISTACCO. Col tempo si verifica il distacco. Ci si allontana emozionalmente dalla figura di attaccamento perduta, come se la separazione fosse stata accettata e ci si fosse resi conto che non c’è niente da fare, che la situazione è al di fuori di qualsiasi controllo personale. Nel caso la persona perduta sia morta, l’amore per essa permane, ma l’individuo comincia a riorganizzarsi emozionalmente, a riprendere le attività normali e a funzionare come faceva prima della perdita. Questo succedersi di fasi non è limitato alle situazioni di perdita permanente. Anche brevi separazioni sono sufficienti per produrre queste modalità di risposta sia nei partner che nei bambini che vengono allontanati dalla madre. In caso di lutto, di divorzio o di abbandono da parte di un coniuge, tuttavia, questa sequenza ha una durata di otto mesi, un anno. Reagire con la protesta e l’ansia perfino alla perdita temporanea di qualcuno che ha la funzione di assicurare protezione e cura, sia fisiche che emozionali ha un senso dal punto di vista biologico. E il fatto che tali reazioni sono presenti a seguito della rottura del legame madre- bambino e dei legami sentimentali che tengono uniti una coppia di adulti, ma non si verificano se viene meno un legame amicale o qualsiasi altra relazione sociale è un’ulteriore dimostrazione di come i rapporti di coppia possano essere considerati legami con un loro sviluppo e con bisogni propriamente biologici. Non a caso la rottura di una relazione, e in particolare un divorzio, rende una persona più vulnerabile ad un ampio spettro di alterazioni fisiche e psichiche, che vanno dalle disfunzioni del sistema immunitario, al procurarsi involontariamente incidenti, all’abuso di sostanze, al suicidio e a varie altre forme di psicopatologie. RIFLESSIONE FINALE Queste considerazioni acquistano spessore se ci si muove in una prospettiva che vede alla base dei nostri comportamenti, delle nostre emozioni, della tendenza a formare legami con certi individui e non con altri, una spinta ineluttabile, a base innata, a lasciare le nostre caratteristiche genetiche, culturali, psicologiche in quanti più individui possibile (è il 96 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE raggiungere questo traguardo che viene detto successo riproduttivo). A guidare le nostre azioni ci sarebbe una sorta di bisogno inconsapevole di immortalità, una necessità di raggiungere la vita eterna attraverso la propagazione delle nostre caratteristiche nella discendenza. In pratica, la selezione naturale ha operato al fine di far distillare nel nostro patrimonio genetico spinte che non si esauriscono nel perseguimento della sopravvivenza e della riproduzione. Esse operano, piuttosto, a far sì che noi, in maniera inconsapevole, facciamo il possibile perché sopravvivano quante più copie possibile di noi stessi non solo nei nostri figli, ma nei figli dei nostri figli e nei collaterali. Data la lunga immaturità dei nostri piccoli è cruciale che essi si leghino in maniera ineluttabile alla persona (che per lo più è la madre) che può assicurare ad essi sopravvivenza e condurli a divenire a loro volta adulti e buoni genitori. Allo stesso modo, al fine di raggiungere successo riproduttivo, è cruciale che due adulti, un padre ed una madre, si prendano cura insieme di un piccolo che porta le caratteristiche genetiche di entrambi. Ecco perchè si evoluto l’amore e perché amiamo! Parlare dell’amore (e dell’attaccamento) come parte di un processo universale a base innata non significa non tener conto del semplice ed ovvio dato che non tutti amano alla stessa maniera, così come non tutti i legami di coppia hanno le stesse caratteristiche. La struttura che assume un legame sentimentale, le distorsioni dell’amore, la scelta stessa del partner sono,infatti, da ricondurre alle aspettative che ciascuno ha su se stesso e sugli altri, al valore che ciascuno assegna ai propri bisogni affettivi e alle strategie delle quali si serve per ottenere affetto. Queste aspettative, il modo in cui ci si lega alla persona amata e si vive il rapporto di coppia sono, fortemente influenzati dalle esperienze peculiari che ciascuno ha avuto da bambino con la propria figura di attaccamento, nel corso dell’ontogenesi, sulle quali ha un largo peso l’ambiente sociale e la cultura di appartenenza. Il rapporto madre-bambino può essere considerato, pertanto, il prototipo del legame di coppia, non solo per le sue caratteristiche generali, ma anche, come del resto già evidenziato da Freud, per quelle individuali e l’amore fortemente influenzato sia dalla biologia che dalla cultura. Una volta apprese, nella prima infanzia, le caratteristiche di quella figura particolare (la madre o chi per lei), che dà cure e con la quale si instaura un legame affettivo speciale è quella, comunque essa sia, qualsiasi siano le forme di accudimento di cui sia capace, che viene cercata per ricevere con97 AIAF QUADERNO 2008/1 forto, quella dalla quale ci si aspetta cure e amore. Sofisticati meccanismi cognitivi, dei quali siamo totalmente inconsapevoli, esito della qualità di quella prima relazione, faranno, poi, sì che, da adulti, le persone con quelle stesse caratteristiche, o comunque con un modo simile di rapportarsi a noi siano attivamente scelte al fine di costruire i nostri legami di coppia. In altri termini, da adulti, si tende ad instaurare legami che somigliano, nella loro struttura, a quelli di cui si sia fatta esperienza, da piccoli. Essere gelosi come Otello e incapaci di fidarsi, o infedeli come il Don Giovanni, o appassionati e teneri come il Rodolfo della Boheme; reagire ad una separazione o ad un divorzio con minacce, vendette e una rabbia senza fine, o con una esibita indifferenze e freddezza sono i correlati di strutture di personalità che emergono da come si è stati trattati quando si era bambini. Delineare i percorsi della nostra vita affettiva, a livello generale e a livello individuale non significa proporre un quadro di ineluttabilità, un assetto dove tutto si gioca nell’incrocio tra livello genetico ed esperienze personali solo nei primi anni di vita. È vero, piuttosto, che l’interazione organismo-ambiente è una costante nel processo di sviluppo degli esseri viventi, ed è tanto più continuamente in progress quanto più gli individui sono complessi. Esperienze di coppia, nella vita adulta, con partner che sanno porsi in maniera continuativa e costante come diversi rispetto alle prime figure di accudimento hanno il potere di cambiare le aspettative su di sé e sugli altri e di porre gli individui in grado di formare legami affettivi funzionanti, anche lì dove le relazioni infantili non siano state soddisfacenti. 98 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE DISCUSSIONE CRISTINA CURTOLO Per cogliere appieno i risvolti psicologici e sociali, oltre che della salute fisica, connessi alla rottura di un legame affettivo occorre partire dall’analisi della potenza che l’amore detiene in quanto è un bisogno vitale all’esistenza stessa. La persona umana si nutre essenzialmente di affetti, anche se a volte sono confusi. Ed è per questo motivo che il contributo di Grazia Attili opportunamente toglie il velo sul fraintendimento tra amore e passione, andando alla matrice biologica dei bisogni emotivi*: l’attaccamento. Etimologicamente il termine deriva da attaccare, con il senso di unire, poiché per la formazione del legame conta la vicinanza, la responsività, la sensibilità, la continuità che fa si che due persone estranee, mano a mano, tendano a fondersi in un senso del noi condiviso. Secondo la teoria dell’attaccamento è il senso di sicurezza che deriva da un legame d’amore che fa sì che le persone impegnate in relazioni sentimentali durature abbiano una vita più sana, più felice e più lunga rispetto a quelle non sposate, così come la ricerca della psicologia della salute ci riporta. Dall’altra parte, il matrimonio etimologicamente riporta alla mater perché vi è l’impronta dell’amore assoluto e devoto che un bambino riversa nel suo primo legame, la cui qualità influenzerà i rapporti successivi. L’attaccamento, quindi, è una naturale evoluzione della passione romantica ed è il garante per la crescita della prole, unitamente alla differenziazione di funzioni genitoriali: di cura per la madre e di sostentamento per il padre, da qui il termine patrimonio. Si sa, però, che la natura viene vestita dalla cultura e questo ha comportato un’evoluzione negli equilibri di ruoli e di funzioni all’interno della coppia, come pure rispetto alle cure parentali. A tal proposito la legge sull’affido condiviso rispecchia tale cambiamento, legittimando una rivalutazione dei coniugi-genitori secondo il criterio della partecipazione alla vita familiare. Se questo è l’intento va anche, però, ascoltato e tutelato il punto di vista del minore cioè il suo legame di attaccamento. 99 AIAF QUADERNO 2008/1 Il rischio insito nell’affidamento condiviso per i bambini da zero a cinque anni riguarda la sindrome abbandonica versus il trauma che l’alternanza con i genitori può scatenare. I margini di tale rischiosità combaciano, peraltro, con l’esito che alcuni affidamenti esclusivi possono comportare. La chiave di volta è capire che il bambino entra in ansia1 ogni qualvolta è lontano dalla sua figura di riferimento per un tempo superiore alla sua tollerabilità. Questo succede perché il bambino sviluppa un attaccamento completo con un solo genitore, mentre può avere alcuni comportamenti di attaccamento con l’altro o verso altre persone. A fronte di ciò sono state evidenziate una serie di esperienze terrorizzanti che vengono indicate come trauma di a accamento2 che si verificano qualora il bambino subisce la percezione di una minaccia alla disponibilità della figura di attaccamento, unitamente ad una minaccia al sé. Clinicamente vengono considerati quattro tipi di traumi di attaccamento: 1. ro ura per una separazione reale che fa sentire indisponibile l’adulto di riferimento; 2. abuso da parte di un genitore; 3. ferite di a accamento quando il bambino si sente abbandonato in un momento di bisogno; 4. morte della figura di attaccamento. Nel caso dell’alternanza tra assenza e presenza dei genitori, ovviamente, il livello di sviluppo del bambino costituisce una variabile saliente rispetto il rischio di reazioni disfunzionali. Studi recenti hanno dimostrato che a monte di disturbi psicologici e fallimenti scolastici vi sono gli esiti di una rottura precoce di attaccamento. Lo scenario cambia con la seconda infanzia, quindi dai sei anni, dato che lo sviluppo linguistico e cognitivo pone il bambino nella condizione di poter rappresentarsi mentalmente la disponibilità della sua figura di riferimento, anche aiutato dalla fiducia che si è consolidata interiormente. 1 Gerhardt, S., Perché si devono amare i bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006. 2 Rholes W.S., Teoria e ricerca nell’attaccamento adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. 100 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Si auspica, quindi, che il criterio base nell’impostazione giuridica dell’affidamento sia la rilevazione clinica della figura di riferimento. In caso contrario si costituiscono le premesse per la formazione di un trauma irrisolto, una forma di danno di cui si intuisce la gravità. Un’ultima riflessione che accomuna: sia in ambito giuridico che psicologico da anni ci si trova ad osservare la versione tragica della famiglia che pone in risalto la questione perturbante della durata dell’amore. Siamo consapevoli che si è attivato un circolo di affettività insicura tra le generazioni per cui lo sforzo, e anche la sfida, deve riguardare il perfezionamento di procedure e prassi per l’umanizzazione della separazione familiare. Il principio cardine sta nel rispe are la condizione ontologica del minore, persona con diri i di cui, però, la priorità affe iva è messa troppo spesso a repentaglio. Ogni qualvolta il bisogno affe ivo non viene autenticamente riconosciuto il bambino – inerme - subisce l’effe o di non sentirsi riconosciuto sogge o ma rido o ad ogge o inanimato perché privato dell’anima, cioè del suo esserci nel mondo. Se così andrà, allora il Leitmotiv della sua vita sarà Io non sono nulla.3 3 Bisagni F., Io non sono nulla. Riflessioni psicoanalitiche sui bambini e uomini d’oggi, La biblioteca di Vivarium, Milano 2006. 101 AIAF QUADERNO 2008/1 102 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE L’ASCOLTO DEL MINORE NELLA SEPARAZIONE FULVIO SCAPARRO PSICOTERAPEUTA, DIRETTORE SCIENTIFICO DEL GEA-GENITORI ANCORA, MILANO So che molti dei presenti sono avvocati o magistrati e quindi bene al corrente di quel che dice la legge n. 54/2006 nell’Art. 155 – sexies1 quando 1 1. L’articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 155. - (Provvedimenti riguardo ai figli) – Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi». 2. Dopo l’articolo 155 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti: «Art. 155-bis. - (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso) – Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, 103 AIAF QUADERNO 2008/1 prevede la possibilità per il presidente di assumere mezzi di prova anche prima dell’emanazione dei provvedimenti provvisori relativi (però) solo ai figli; è infatti presente il richiamato esplicito al solo art. 155, e ciò sia su istanza di parte che in via officiosa. Molto più problematico sarà giungere a una lettura coerente e uniforme del verbo dispone che è utilizzato con riguardo all’audizione del figlio ultradodicenne e di età anche inferiore purché dotato di discernimento. Come fa notare il magistrato Gloria Servetti2, il presente indicativo, secco, e la scelta di non utilizzare la diversa formula ‘può disporrÈ sembra indicare un orientamento volto alla rigida applicazione delle Convenzioni internazionali (New York 1989 e Strasburgo 1996) e allo strumento dell’audizione personale e diretta come un passaggio obbligato prima dell’assunzione di qualsiasi provvedimento. Se così dovesse concludersi (e mi pare che una lettura nel senso dispone = può disporre, pure già da taluni prospettata, non possa essere condividispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile. Art. 155-ter. - (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli) – I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. Art. 155-quater. – (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza) – Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici. Art. 155-quinquies. - (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni) – Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori. Art. 155-sexies. - (Poteri del giudice e ascolto del minore) – Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli». 2 104 Testo trasmesso dall’A. a Fulvio Scaparro il 4 aprile 2006 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE sa), la ricaduta sui tempi dei giudizi e sulle modalità organizzative degli uffici giudiziari (per non parlare della ricaduta sui minori di cui dirò tra poco) sarebbe imponente; non voglio affatto scendere nel merito della previsione e del mancato espresso riconoscimento del potere del giudice di distinguere un caso dall’altro e, così, di non coinvolgere il minore ove non ve ne sia affatto necessità, ma qui mi preme anzitutto sottolineare come i tribunali non siano affatto pronti ad accogliere ogni giorno piccoli eserciti di minori, spaesati, intimoriti e accompagnati da genitori che neppure riescono in quel momento a parlarsi se non attraverso il canale dei loro difensori. Ed ancora, se così fosse, dovrebbe forse pensarsi ad approntare strutture idonee e ad avvalersi – in via stabile e organicamente riconosciuta – di personale ausiliario dotato di competenza specifica, anche solo per evitare che quello che è sempre stato visto come il diritto del minore di far sentire la propria voce nel processo degli adulti finisca con il diventare occasione maldestra di sofferenza e destabilizzazione, prima fra tutte quella che si crea ove dovesse il minore pensare di essere diventato ex lege arbitro della propria situazione e ago della bilancia anche della controversia della coppia genitoriale. La necessità di approntare un setting adeguato e tutelante non potrebbe essere differita, così che non posso che condividere l’opinione della Servetti circa l’urgente necessità sul piano organizzativo di attuare un protocollo di intesa e una collaborazione con i servizi territoriali, in modo da avere la garanzia di personale ausiliario del giudice pronto ad accogliere il minore per una sua audizione delegata.3 La neurofisiologia del piacere nasce con le esperienze di autostimola3 Servetti, G., cit.:”Forte è la preoccupazione nata da una lettura che sembrerebbe imporre questa audizione prima dell’adozione dei provvedimenti provvisori, sia perché in quel momento il presidente non può essersi fatto alcuna idea della situazione del nucleo familiare nel suo complesso sia perché è ben intuibile che i tempi di fissazione e di espletamento di queste udienze finirebbero con il dilatarsi a dismisura, in contrasto con quella che è l’esigenza sempre più da tutti rappresentata. Potrebbe allora suggerirsi una lettura che ‘stacca’ questa previsione dalla prima parte dello stesso 1° co. (dove è presente l’inciso “anche in via provvisoria”, non ripetuto nella seconda parte) e ipotizzarsi che l’audizione sia sì sempre un passaggio obbligato ma da collocarsi nel momento processuale più opportuno, lasciandone l’individuazione al giudice istruttore: questa soluzione avrebbe in sé l’innegabile vantaggio di garantire il mantenimento dei tempi normali di fissazione dell’udienza presidenziale e, al tempo stesso, di consentire al G.I. di trovare il momento e, quindi, le modalità più convenienti per il suo contatto diretto, o mediato, con il minore. Va da sé che una simile opzione interpretativa non escluderebbe la possibilità per il presidente, ove sollecitato e in presenza di un forte contenzioso sul tema dell’affidamento, di procedere ancor prima dell’emanazione dei provvedimenti provvisori a detta audizione, così come del resto nessuna preclusione vi sarebbe ad una reiterazione dell’incombente in un momento successivo, ad opera dell’istruttore.” 105 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Tutelare i figli nella separazione Prof. F.Scaparro Negli esseri umani una causa del disturbo posttraumatico da stress è l’assenza (privazione) o l’interruzione (deprivazione) del legame di attaccamento con la figura parentale primaria. Quando i legami ci sono ma sono deboli oppure sono recisi più tardi, i bambini possono crescere con gravi problemi psicologici, come depressione e comportamento antisociale o delinquenziale. 106 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro fonte: http://www.neuroskills.com/brain.shtml Prof. F.Scaparro Separare prematuramente un piccolo dalla famiglia ha effetti rilevanti in termini di sistema di attaccamento. Si ritiene che il danno si verifichi perché il legame di attaccamento è vitale per il corretto sviluppo della regione corticolimbica dell’emisfero destro del cervello. Se i neuroni non sono stimolati nel primo periodo dello sviluppo vanno perduti, lasciando i piccoli incapaci di regolare le loro emozioni, vulnerabili agli effetti dello stress e più inclini alla violenza. 107 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Vale per i nostri figli quello che vale per ogni essere vivente la cui crescita dipenda da una struttura di relazioni sociali e affettive: Prof. F.Scaparro stress sociale microbi scarsa nutrizione tossine fattori genetici sistema immunitario SISTEMA DI DIFESA DEL CORPO sistema nervoso, memoria, percezione, strategie di comportamento MALATTIA 108 fattori endocrini Rosenzwige, 1998 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Ecco perché, nel momento in cui tentiamo, attraverso nuove disposizioni legislative, di meglio regolare le procedure e le pratiche di separazione e divorzio, dobbiamo innanzi tutto tenere a mente ciò di cui i nostri figli hanno assoluta necessità: non perdere quei riferimenti sociali e affettivi dei quali il loro corretto sviluppo non può fare a meno. Prof. F.Scaparro Per questo mi permetto di chiedere ai presenti di prestare attenzione alle difficoltà che comportano l’ascoltare bambini e ragazzi e l’essere ascoltati da loro. 109 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Prima che come psicologi, avvocati o magistrati conosciamo queste difficoltà come genitori o insegnanti. E soprattutto perché siamo stati bambini e ragazzi e forse ancora ricordiamo quanto sia difficile il dialogo tra generazioni diverse. Prof. F.Scaparro E’ una pericolosa illusione credere che basti rendere obbligatoria “l’audizione del minore” per superare quelle difficoltà di comunicazione che sono ancora maggiori quanto più profondo è il coinvolgimento emotivo di chi è ascoltato e di chi ascolta. 110 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Già, perché non può esserci dialogo e dunque vero ascolto se tra adulto e bambino o ragazzo non esiste una relazione di fiducia che non si stabilisce ope legis. Prof. F.Scaparro Faccio dunque appello alla vostra pazienza per riflettere con voi su come sia possibile costruire una base di fiducia dalla quale far nascere il difficile dialogo tra generazioni diverse e distanti. 111 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro La premessa, ovviamente, è che l’audizione del minore non è un interrogatorio e non dovrebbe avere nulla di burocratico e rigorosamente formalizzato. Prof. F.Scaparro Si tratta invece di aiutare il/la bambino/a o il/la ragazzo/a a esprimere bisogni, dubbi e proposte in uno dei momenti più delicati della sua esistenza: quello che lo/la vede coinvolto/a, suo malgrado, in un’aspra contesa tra i suoi genitori. 112 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Tutti sappiamo o dovremmo sapere, non solo perché esperti della materia, ma perché esperti di vita, che esistono alcune cose da evitare quando si ha a che fare con i figli di genitori ‘in guerra’. Prof. F.Scaparro 1. Parlare male dell’altro genitore in presenza del figlio o lasciare intendere che è cattivo e responsabile del dolore di tutti. 113 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro 2. Coinvolgere i figli nelle discussioni degli adulti sia in maniera indiretta, come ascoltatori, sia in maniera diretta, chiedendo loro di dire chi ha ragione tra i genitori, se mamma o papà. Prof. F.Scaparro 3. Usare i figli come ‘ambasciatori’ delle richieste o delle lamentele nei confronti dell’altro genitore. 114 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro 4. Fare dei figli dei confidenti sulle questioni della separazione e degli stati d’animo dei genitori, la spalla su cui piangere, i consolatori. Prof. F.Scaparro 5. ‘Far decidere’ sempre ai figli, soprattutto se molto piccoli, come gestire la loro vita ed i rapporti con ciascuno dei genitori. 115 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro I cinque punti sopra riportati si sono dimostrati particolarmente distruttivi per i figli. I minori che incontriamo in audizione hanno quasi sempre già subìto in tutto o in parte gli effetti dei comportamenti sbagliati dei genitori che li hanno coinvolti nella loro battaglia. Prof. F.Scaparro Che ora sia un giudice o uno psicologo ad ascoltarli non garantisce affatto che sul minore non gravino indebiti carichi emotivi e responsabilità, molto simili a quelli di cui li hanno gravati i genitori. 116 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Bambini e ragazzi che per anni sono stati coinvolti in disastrosi conflitti familiari, spesso soli, senza sapere a chi rivolgersi per ottenere aiuto, sono oggi davanti a un magistrato e/o a uno psicologo che li ascolta. Prof. F.Scaparro O meglio ascolta ciò che una vittima riesce a dire quando si trova ancora nel pieno della catastrofe che l’ha colpita. Il bambino o il ragazzo possono tacere perché non vogliono o non possono parlare, possono schierarsi da una parte o dall’altra per sopravvivere, possono contenere o meno il dolore, la rabbia o la paura. 117 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Ma per immaginare un futuro diverso da quello attuale non basta un’audizione ‘durante la battaglia’ ma qualcuno/a che segua il minore più a lungo nel tempo, un progetto, una persona a cui fare riferimento per monitorare ed eventualmente correggere le decisioni prese oggi. Prof. F.Scaparro Quindi, la legge è legge e va rispettata. Se è necessaria l’audizione del minore che audizione sia. Ma nessuno può impedirci di progettare una legge migliore, una legge che quando parla di ascolto del minore si basi su quanto la scienza e l’esperienza hanno dimostrato necessario per ascoltare i minori. 118 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Proviamo a riflettere su quanto si è dimostrato utile per creare le condizioni necessarie all’ascolto del minore. Partiamo dai preadolescenti e dagli adolescenti. Prof. F.Scaparro Come ha insegnato Carl Rogers [Rogers, 1980], empatia è sentire il mondo personale dell’altro come se fosse nostro, senza però mai perdere questa qualità del come se: sentire l’ira, la paura, il turbamento dell’altro, senza però aggiungervi la nostra paura, il nostro turbamento. 119 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Essere empatici vuol dire recepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la persona - ma senza mai perdere di vista questa condizione del come se. Prof. F.Scaparro Significa perciò sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e di percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai identificarmi con l’altro dimenticando che è come se io fossi ferito o provassi piacere. Se questa qualità di come se manca, allora lo stato è quello dell’identificazione. 120 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro Per conoscerci, riconoscerci e crescere insieme si richiede empatia e non identificazione con l’altro. Come afferma Rogers, “ […] un alto grado di empatia in una relazione è probabilmente il fattore più potente nell’apportare trasformazioni e apprendimento”. Prof. F.Scaparro Se non abbiamo sensibilità e preparazione psicologica, se non abbiamo tempo, se riduciamo l’audizione del minore a un incontro (spesso un solo breve incontro) perché così vuole la legge, non raccontiamoci la storia consolante che l’abbiamo ascoltato. 121 AIAF QUADERNO 2008/1 Prof. F.Scaparro Lo abbiamo sentito nel senso di ‘udito’, abbiamo raccolto le sue dichiarazioni, le dichiarazioni di una vittima delle guerre familiari e lo abbiamo fatto proprio mentre la battaglia infuria. Prof. F.Scaparro Ma i ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e seguiti più a lungo nel nuovo assetto di vita che segue la separazione, fargli esprimere le loro proposte di modifica di quell’assetto, i loro ripensamenti, assisterli nel recuperare buone relazioni con entrambi i genitori ogni volta che questo è possibile. 122 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Prof. F.Scaparro In altre parole, occorre sensibilizzare in primo luogo i genitori ma anche tutti coloro che a vario titolo entrano in contatto con i figli (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.) affinché capiscano che tutelare bambini e ragazzi è interesse di tutti, dei singoli e della collettività e che nessuna sentenza o nessun accordo apporterà pace se i bisogni dei figli non sono stati soddisfatti. 123 AIAF QUADERNO 2008/1 124 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE SUL PIACERE E SULLA FELICITÀ MAURO MANCIA NEUROFISIOLOGO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO; PSICOANALISTA MEMBRO ORDINARIO CON FUNZIONI DI TRAINING DELLA SOCIETÀ PSICOANALITICA ITALIANA, MILANO zione eseguite nel ratto da James Olds nel 1954. Quando gli stimoli elettrici riguardavano le aree ipotalamiche laterali attraversate dal fascicolo prosencefalico mediale, il ratto continuava ad autostimolarsi trascurando il cibo e gli stessi richiami sessuali. La sostanza attiva nel produrre piacere è la dopamina che, liberata dal nucleo accumbens, produce un fenomeno a cascata con liberazione di altri trasmettitori che attivano altre aree cerebrali responsabili del piacere. La dopamina è coinvolta anche nel desiderio e nel piacere sessuale, e partecipa all’attenzione, che facilita la fissazione delle proteine prodotte dai geni sulle sinapsi deputate alla memorizzazione delle esperienze. Più che il piacere, la felicità ha interessato i filosofi fin dall’antichità. È stata considerata un momento di espressione di sé, di confusione con il mondo, un’immersione nel tutto che esclude il dolore della separazione. Questa concezione rimanda alle prime esperienze fusionali del bambino con la madre. La felicità può però essere definita anche da un altro vertice: non l’esperienza di un attimo, ma una ricerca e un lavoro su di sé che riguardano l’intera vita. Questa visione filosofica è in linea con il pensiero psicoanalitico che in questo capitolo ho cercato di elaborare. Partendo dalle prime e più traumatiche relazioni del bambino con la madre, avanzo l’ipotesi che la felicità possa essere raggiunta attraverso una conoscenza di sé che duri nel tempo e permetta la trasformazione del negativo e della sofferenza che è in noi in modo che possiamo gestire creativamente il nostro daimon interno distruttivo, fonte di infelicità. Anche se Aristotele sostiene che Dio è felice come l’uomo e che la sua Questo lavoro è tratto da Mauro Mancia, Sentire le Parole, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2004. Con gentile autorizzazione dell’Editore per la riproduzione. 125 AIAF QUADERNO 2008/1 felicità è collegata al piacere, il mio pensiero è che il piacere può essere scisso dalla felicità. Se infatti è sicuramente vero che il dispiacere genera infelicità, è altrettanto vero che il piacere non garantisce la felicità. Gli stessi Greci nell’istantaneità del piacere hanno subodorato una forma di inganno, una beffa degli, dèi (Natoli, 1994). Da neurofisiologo e psicoanalista, cercherò di affrontare qui la sottile distinzione tra piacere e felicità seguendo un criterio epistemologico dualistico, parlando di quel piacere che ha le sue radici essenzialmente nel corpo (cervello) e di quella felicità che appartiene all’area del mentale. Cominciamo dalla biologia del piacere. Nel 1954 James Olds, psicologo sperimentale americano, ha pensato che la stimolazione elettrica della sostanza reticolare del tronco, una delle parti più antiche del nostro cervello o cervello rettiliano, capace di attivare la corteccia cerebrale e la vigilanza, potesse interferire con l’attenzione e favorire pertanto l’apprendimento e la memorizzazione (Olds e Milner, 1954). Ha iniziato così una ricerca sperimentale tesa a dimostrare l’azione favorente l’apprendimento da parte della stimolazione elettrica della formazione attivatoria ascendente del tronco cerebrale, scoperta da Moruzzi e Magoun nel 1949 Un giorno, per errore, la punta dell’elettrodo stimolante, anziché essere fissata in questa struttura reticolare mesencefalica di un ratto, è finita qualche millimetro più avanti, nell’area dell’ipotalamo laterale. Il protocollo prevedeva l’osservazione del comportamento del ratto durante l’applicazione di un breve stimolo elettrico ogni volta che il ratto attraversava un cancello. James Olds si accorse che il ratto cui stava stimolando l’ipotalamo ritornava continuamente al cancello per essere stimolato, come se dallo stimolo stesso ricevesse un intenso piacere. Colpito dall’osservazione, progettò un esperimento in cui l’animale veniva prima impiantato con elettrodi nell’ipotalamo laterale e quindi posto in una scatola di Skinner per esperimenti di condizionamento (fig. 1). Il ratto era lasciato libero di esplorare l’ambiente e di toccare la leva colFigura 1 legata allo stimolatore. 126 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Quando nella sua esplorazione capitava all’animale di azionare la leva, lo sperimentatore assisteva a un fenomeno curioso: era come se il ratto avesse imparato un gioco che gli dava grande piacere. Continuava ad autostimolarsi ripetutamente e compulsivamente (fino a migliaia di volte in un’ora), trascurando il cibo e persino le attenzioni di un disponibile partner sessuale. L’area coinvolta in questo sistema del piacere era rappresentata da un fascio di fibre, il fascicolo prosencefalico mediale, che proviene dall’area tegmentale del tronco e raggiunge il nucleo accumbens e la corteccia frontale (fig. 2). Se l’elettrodo stimolante era collocato in altre parti dello stesso sistema, come il setto o l’area orbitofrontale, l’effetto che si otteneva era opposto: l’animale, come se avesse sentito dolore o disagio, si asteneva dallo stimolarsi. L’osservazione era di grande interesse, poiché dimostrava l’esistenza nel cervello di un potente sistema motivazionale, deputato a procurare piacere. L’ipotesi che i ricercatori hanno subito avanzato è stata che le fibre del fascicolo prosencefalico mediale contenessero delle sostanze capaci di attivare nel cervello un sistema da cui il ratto otteneva piacere. Impossibile, naturalmente, precisare di che natura fosse sul piano soggettivo questo piacere che appariva così motivante per l’animale. Nasceva a questo punto un’altra fondamentale questione: esistono nel cervello sostanze che provocano piacere? E, se sì, da quali strutture sono prodotte e di quali sostanze si tratta? Ricerche neurofarmacologiche hanno dimostrato che le fibre componenti il fascicolo prosencefalico mediale usano sostanze particolari con funzioni trasmettitoriali chiamate catecolamine. In particolare, la sostanza attiva è la dopamina. Il sistema dopaminergico, che veicola la «molecola del piacere», si unisce al recettore D2 della dopamina che, nel cervello, è fortemente implicato nella «ricompensa» e nel piacere. La dopamina è liberata dai neuroni del nucleo accumbens attraverso un «meccanismo a cascata». Inizialmente, Figura 2 infatti, il cervello produce 127 AIAF QUADERNO 2008/1 serotonina, che a sua volta stimola l’ipotalamo che produce encefalina, che a sua volta inibisce la produzione del GABA, un trasmettitore inibitorio. L’inibizione del trasmettitore inibitorio produce disinibizione e facilita quindi la liberazione di dopamina nel nucleo accumbens. l recettori della dopamina hanno dunque la chiave che regola il piacere e il benessere, e partecipano anche alla riduzione dello stress (Blum, Braverman e altri, 2000). Il ruolo della serotonina in questo meccanismo «a cascata» è determinante. 1 suoi recettori distribuiti diffusamente nel cervello (in particolare nel sistema limbico-ipotalamico) costituiscono un fattore importante per l’azione di questo trasmettitore che dà inizio al-«circuito del piacere». E interessante qui notare che alcuni di questi recettori sono anche sensibili al cioccolato, e che l’alcool, la cocaina, l’eroina, la marijuana e la nicotina attivano la liberazione cerebrale di dopamina. Sperimentalmente si può dimostrare che i ratti possono diventare tossicodipendenti come gli umani: esposti a un’iniezione di droga (cocaina) possono, con opportuni accorgimenti sperimentali, iniettarsi da soli le stesse droghe. E possibile pensare, antropomorficamente, che queste operazioni siano state motivate nell’animale dalla ricerca del piacere. Altre esperienze hanno dimostrato che la manipolazione farmacologica del sistema dopaminergico modifica il comportamento sessuale in un’ampia varietà di specie animali (Gessa e Tagliamone, 1974). La dopamina e i suoi recettori appaiono quindi oggi gli elementi centrali di un sistema che opera nel cervello dei mammiferi ed è in grado di produrre i seguenti effetti: produce piacere, media l’effetto dell’introduzione di droghe (come la cocaina, l’eroina e le anfetamine), regola il desiderio e il comportamento sessuale, partecipa a livello molecolare alla fissazione nelle sinapsi di quelle proteine espresse dai geni che sono implicate nella memoria. Nell’uomo, è lo stesso sistema dopaminergico a regolare le tossicodipendenze e il piacere. La sua attivazione (attraverso la stimolazione elettrica del fascicolo prosencefalico mediale, che unisce l’area tegmentale al nucleo accumbens) produce intenso piacere ed euforia. Questo circuito è fortemente coinvolto nelle tossicodipendenze dell’uomo, e gli stessi recettori della dopamina sono sensibili a molte droghe, anche pesanti (oppiacei come morfina e eroina).. Questi sistemi cerebrali studiati sperimentalmente, che controllano il piacere e il dolore, la dipendenza da droghe e dal sesso e regolano il tono dell’umore, sono presenti anche nell’uomo e possono essere studiati con sofisticate tecniche di bioimmagini (risonan128 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE za magnetica). Ad esempio, è possibile registrare una differente attività del lobo frontale dei due emisferi in rapporto al temperamento allegro o depresso del soggetto. La corteccia prefrontale sinistra è molto più attiva in soggetti di buon carattere e di buon umore. La corteccia prefrontale destra è invece più attiva in soggetti melanconici. Persino il riso presenta l’attivazione di vari sistemi centrali. Anche se non è sinonimo di felicità peraltro, nemmeno di piacere - il riso coinvolge l’attività di aree frontali e del nucleo accumbens, oltre che dell’area motoria supplementare che controlla l’espressione mimica del riso. A questo punto si pone l’interrogativo: che rapporto esiste tra il piacere e la felicità? Di fatto, quando dal discorso sul piacere (collegato soprattutto al corpo) si passa a quello sulla felicità, si esce dalla biologia e si entra in una più ampia e più complessa dimensione psicologica e culturale. Se, infatti, il piacere è certamente il referente delle scienze biologiche, la felicità ha più a che fare con le scienze umane. Per l’uomo non è sufficiente stare «biologicamente» al mondo, dice Natoli (2000) citando Hegel: è necessario che lo sappia abitare. Certo la felicità ha interessato il mondo del pensiero fin dall’antichità. Per i Greci era legata alla fortuna,la cui radice fero, che significa portare, suggerisce un evento che viene dall’esterno. Oggi potremmo pensare che i filosofi greci, legando la felicità alla fortuna, negassero la possibilità che questo stato della mente provenisse dall’interno, cioè dal mondo psichico, invece che dalla realtà esterna; anche se Plotino dice che la felicità è sempre goduta nel presente, poiché consiste di uno «stato» fuori dal tempo, nel profondo della nostra interiorità. Comunque, nessuna circostanza esterna garantisce la felicità, secondo i Greci, se non si è capaci di coltivare il senso della misura; cioè se non si è in grado di gestire quelle parti della propria personalità che rendono infelici per voracità e distruttività (Natoli, 1994). Il senso della saggezza - è un detto popolare - sta nel saper godere di ciò che si ha senza soffrire per ciò che manca. Ma - come insegna Leopardi nello Zibaldone - per gli uomini non è possibile essere felici, poiché non possono esserlo per sempre. E qui il pensiero di questo poeta dell’infelicità umana rimanda a quello di Freud così come emerge in quello straordinario scritto intitolato Caducità (1915e), dove analizza le ragioni per cui un giovane poeta (Rainer Maria Rilke) con il quale passeggiava in montagna non poteva godere di un bel prato fiorito: il poeta non tollerava di dover elaborare il lutto per la caducità della 129 AIAF QUADERNO 2008/1 bellezza, per il fatto, appunto, che la bellezza non può durare in eterno. L’uomo - è sempre Leopardi che parla - una volta sperimentata la felicità vuole averla per sempre. Poiché la felicità non è uno stato durevole, l’uomo non può che essere infelice, in quanto non tollera la «caducità» dello stato di felicità. È un problema che si collega alla «separazione» da uno stato vissuto come «espansione» di sé, dilatazione del proprio mondo. Questo sentimento presuppone una confusione con il mondo, un’immersione nel tutto che esclude il dolore della separazione. In termini psicoanalitici potremmo pensare all’esperienza primaria del bambino che si confonde con la madre e vive con lei il senso di una totale integrità, o piacere infinito. Questo sentimento di espansione presuppone dunque una relazione con l’altro e permette all’uomo di vivere la felicità quando la sua mente è occupata interamente dall’oggetto da cui è disponibile a farsi investire (Natoli, 1994) La felicità ha un legame con la rivelazione, in quanto permette all’uomo di rendersi manifesto nella sua pienezza; con la morte, in quanto evento essenziale e simbolico; con l’estasi, in cui il tempo è annullato, senza passato e senza futuro, come esperienza di un eterno presente che permette all’uomo di viversi nella propria completezza; con l’amore, in quanto luogo della felicità relazionale (Buber, 1987). Da analisti possiamo pensare a una felicità che rimanda a esperienze confusive più arcaiche del bambino con la madre, depositate nella sua memoria implicita. Ma la felicità non si risolve nell’intensità di un attimo. Essa deve poter definire una vita. È vero - come dice Natoli - che gli attimi di eternità possono rendere felice una vita, ma solo una vita nel complesso felice può accogliere e valorizzare questi attimi. La felicità - in questa visione esistenziale - può solo essere frutto di un lavoro su sé stessi, di una ricerca e di una conquista. In questa misura la felicità è il risultato di una lunga ricerca su di sé. «La felicità - scrive Natoli (1994) - non si risolve nell’esperienza immediata della propria pienezza. Quanto più ci si lascia conquistare dall’immediatezza della soddisfazione, appiattendosi su di essa, tanto più la felicità diviene per l’uomo un pericolo, rischia di fargli dimenticare la complessità dell’esistenza» (p. 114). E più avanti precisa: «Il dominio della felicità è più ampio dell’attimo, più complesso è il suo profilo (...) Se la felicità la si considera a partire dall’esperienza dell’attimo essa è qualcosa che si guadagna e si perde, è qualcosa che il tempo consuma. Se, al contrario, la si considera come il carattere da attribuire per intero a una vita, essa è qualcosa che si cumula, che paradossalmente contraddice l’attimo che si 130 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE guadagna nello svolgimento della vita stessa come capacità di utilizzare al massimo le possibilità che l’esistenza offre» (pp. 125 sg.). Questo è un pensiero molto vicino alle riflessioni psicoanalitiche che ho qui sviluppato. Freud si è interessato al rapporto tra principio di piacere e felicità nel Disagio della civiltà (1929), dove afferma che tutti gli uomini tendono alla felicità, identificata sia in senso passivo con l’assenza del dolore sia in senso attivo con il raggiungimento del piacere vero e proprio. Ma la costituzione stessa dell’uomo (il suo essere un misto di pulsioni di vita e di morte) è tale da rendergli meno difficile essere infelice piuttosto che essere felice. «Nessuna meraviglia - dice allora Freud - se ci riteniamo felici per il solo fatto di scampare all’infelicità, di sopportare le sofferenze se (...) il compito di evitare il dolore relega sullo sfondo quello di procurarsi il piacere» (ibid., p. 569). L’uomo cerca comunque il piacere, e dall’amore sessuale può trarre un piacere particolarmente intenso. Con il limite - precisa Freud - rappresentato dalla possibile perdita dell’oggetto d’amore che trasforma una felicità in infelicità, ma anche con il limite della proibizione e della ferita narcisistica che può essere subita dall’oggetto d’amore o dai tabù o dalle leggi o dai costumi che ridimensionano comunque i desideri umani: «Non solo, ma ciò che non è stato messo al bando, l’amore genitale eterosessuale, viene ulteriormente circoscritto dalle barriere della legittimità e della monogamia» (ibid., p. 594). Per tutte queste limitazioni, il programma impostoci dal principio di piacere (che è quello di raggiungere la felicità collegata al piacere sessuale) appare agli occhi di Freud irrealizzabile. Nonostante questo, l’uomo non può abbandonare la speranza di essere felice sia cercando direttamente il piacere, sia eludendo il dispiacere. «Là felicità è un problema dell’economia libidica individuale - conclude Freud. - E qualcosa di assolutamente soggettivo» (ibid., p. 580). Ma «esistono molte strade che possono condurre alla felicità per quanto umanamente essa è raggiungibile; tuttavia nessuna di queste strade è sicura» (ibid., p. 576). Qui c’è tutto il pessimismo e anche la saggia rassegnazione di Freud che, subito dopo, rincara la dose affermando che esiste un ultimo problema, non certo meno importante: il sentimento di colpa inconscio quale risultato di un’ancestrale ambivalenza emotiva verso il padre è per l’uomo uno dei grandi ostacoli al conseguimento della felicità. Il progresso civile ha comunque un prezzo pagato in perdita di felicità. E il senso di colpa sarebbe responsabile di questa infelicità umana. La conclusione di Freud è 131 AIAF QUADERNO 2008/1 che il lavoro come cammino verso la felicità è stimato poco dagli uomini. Che cosa può dire la psicoanalisi attuale sulla felicità? Innanzitutto è necessario sottolineare la differenza tra piacere e felicità. Il primo coinvolge il corpo e non costituisce un’esperienza duratura nel tempo, la seconda è una forma o stile di vita duraturo nel tempo. E possibile recuperare oggi un pensiero di Freud che, nel Disagio della civiltà, considera la felicità un problema soggettivo di soddisfacimento libidico individuale, ma anche, soprattutto, di conoscenza di sé come consapevolezza del proprio modo di vivere nel mondo. Questo è un passaggio molto significativo del suo pensiero. Riguarda non la felicità come momento episodico di relativa euforia destinata a durare lo spazio di un mattino, ma piuttosto la felicità intesa come stato della mente dialettico e relazionale, ridimensionato nella sua possibile maniacalità ma duraturo nel tempo, espressione di un lavoro su sé stessi, presa di coscienza che permette all’uomo di gestire le parti narcisistiche, negative e distruttive della propria personalità - fonte di sofferenza e infelicità (propria e altrui) - e di metterle al servizio della parte razionale e matura, capace di trasformare la frustrazione e la sofferenza tanto da farne motivo di conoscenza di sé e di crescita. L’esperienza psicoanalitica ci insegna che l’infanzia è il momento critico in cui la felicità umana appare più minacciata. Questo discorso ci rimanda indietro nel tempo all’organizzazione della mente e della personalità del bambino, radicata nelle prime esperienze relazionali con la madre e con l’ambiente in cui cresce. Sappiamo che lo sviluppo mentale del bambino dipende da tre fattori: i) il desiderio, che è la base motivazionale di ogni funzionamento mentale; z) l’equipaggiamento interno, che riguarda la dote genetica (biologica e psicologica) che i genitori danno ai figli; 3) l’ambiente, e in particolare la madre, che deve essere capace di tollerare ed elaborare le ansie del bambino e di ridurre al minimo i traumi impliciti nelle prime relazioni umane. Il desiderio del bambino è totalizzante e onnipotente, e non potrà mai essere completamente soddisfatto neanche dalla migliore delle madri. Di fatto, lo scarto tra il desiderio e il suo soddisfacimento regola il destino mentale ed emozionale dell’uomo. A questo si aggiunge un eccesso di frustrazioni e di sofferenza, incomprensioni, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali, ambienti degradati eticamente, psicologicamente e persino esteticamente, che potranno creare disturbi gravi dell’attaccamento (Bowlby, 1969/82) e dei processi «riflessivi» madre-bambino (Fonagy e Target, 1999) fino ad alterare l’organizzazione del Sé (Stern, 132 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE 1985) e dare luogo a difese patologiche come la scissione, l’identificazione proiettiva, la negazione, l’idealizzazione, difese queste che saranno alla base delle patologie relazionali anche nella vita adulta. E da queste difficoltà nasce l’infelicità dell’uomo. Queste esperienze precoci possono essere depositate nella memoria implicita (non cosciente e non verbalizzabile) e far parte di un inconscio non rimorso che condizionerà l’uomo nel corso della vita e lo spingerà a rivivere inconsciamente la sofferenza delle esperienze traumatiche di un tempo, allontanandolo dal raggiungimento di quella felicità cui consciamente aspira. Da questa infelicità possono nascere forme di violenza, perversioni e tossicodipendenze. Come psicoanalista, vedrei la felicità come risultato di un lavoro che aumenti la propria conoscenza di sé e la capacità trasformativa della mente riguardo a difese che si sono strutturate nell’infanzia e che costituiscono le «componenti negative» della personalità, caratterizzate da competitività, voracità, invidia, gelosia, persecutorietà, incapacità a entrare in relazione con il mondo. Sono queste le caratteristiche alla base del dolore mentale e dell’infelicità umana. La felicità appare, in questa prospettiva, come una visione del mondo che permette di tollerare le diversità, le frustrazioni, le delusioni, le dissonanze e, nello stesso tempo, alimenta la creatività, uno stile di vita in cui si realizzi una buona sintonizzazione affettiva, emozionale e cognitiva con il mondo, un’accettabile «capacità» depressiva che permetta di tollerare frustrazioni, delusioni e lutti,_,e protegga dalla depressione, ma anche una coerenza con i propri valori morali,, collegati alle rappresentazioni interne dei genitori e dell’ambiente in cui si è cresciuti (la propria legge interna superegoica e ideale). Se questa coerenza e fedeltà ai propri valori morali non si realizza, il sentimento inconscio di colpa sarà fonte di infelicità. Si tratta dunque di un metaforico abbattimento della tirannia del Super-io a favore della democrazia di un ideale dell’Io che assista l’individuo nel rafforzare la propria identità. Non dunque un momento di elazione effimera e breve nel tempo, ma il raggiungimento di una conoscenza e di un dominio di sé che duri nel tempo e permetta di trasformare il negativo e la sofferenza che è in noi e di gestire creativamente il nostro daimon interno distruttivo. Mi vengono qui in mente le infelici vite di Francis Bacon o di Van Gogh o di tanti altri scrittori e artisti che hanno forse vissuto il solo momento di felicità quando hanno potuto rappresentare in forme artistiche significative ed esteticamente emozionanti la loro sofferenza e il loro dolore mentale. 133 AIAF QUADERNO 2008/1 Non si può non riconoscere che tutto questo è la finalità di ogni analisi: aiutare il paziente a gestire meglio le sue parti più negative, fonte d’infelicità, e a trasformare le figure interne così da renderle più tolleranti e più creative. Non tanto, dunque, la liberazione da un sintomo, nevrotico o psicotico che sia, ma l’acquisizione di un nuovo modo di vivere e di vedere la realtà esterna attraverso una trasformazione della propria realtà psichica. In un numero di «Psiche» del 1998 dedicato alla felicità, vari autori italiani hanno espresso il loro pensiero su un tema caro - come dice Chianese (1998) - ai poeti e agli amanti, ma che non sembra far parte del lessico dello psicoanalista. Riporterò il pensiero di alcuni di questi autori. Per Chianese, «la felicità consiste nel saper accettare non solo la “necessità” della vita, ma anche il “caso” e l’imprevedibilità, accogliere, in tal modo, la realtà non come una ripetizione ma come un dono». Egli sottolinea anche come esistano diverse forme di felicità in rapporto all’età, alle trasformazioni cui vanno incontro la nostra mente e il nostro corpo. Comunque, tutte queste diverse forme di felicità attingono al «senza tempo» dell’inconscio. Una concezione teologica (laica) della mente è espressa da Orsucci (1998), per il quale felicitar risale alla radice indoeuropea fe, «il cui senso primario è quello di fecondità e prosperità». E ricorda, attraverso Socrate, la necessità per l’uomo di un costante rapporto con il proprio duimon intertio, che garantisca una consonanza estetica tra mondo interno e realtà esterna. Una lettera di Freud permette a Riccardo Lombardi (1998) di riportare la felicità al corpo e al fascino dell’illusione collegata al funzionamento dei processi primari, dominata dalla logica binaria piacere/dispiacere, e all’appagamento allucinatorio del desiderio. Restando aderente all’esperienza psicoanalitica, Luciana Bon de Matte (1998) pensa che sentimenti di felicità possano comparire dopo un lungo e intenso lavoro su conflitti, angosce e sofferenze psichiche. Di conseguenza, «l’unica forma di felicità reale e duratura è quella che viene da dentro di noi, che scaturisce dalla sicurezza in noi stessi, dalla fiducia nelle proprie possibilità, dalla serena certezza che prima o poi riusciremo a esaudire i nostri desideri. E se non riusciremo, poco male, perché l’accettazione della realtà sarà altrettanto serena e appagante, dato che avremo fatto il possibile per farla andare come volevamo noi». Dalle riflessioni mie e di altri analisti che ho riportato, appare evidente che agli occhi di un analista la felicità è molto ridimensionata nelle sue aspettative antropologiche. E riduttivamente riportata, nel mio pensiero, 134 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE alla possibilità di mantenere una stabilità dei propri oggetti interni, cioè delle proprie rappresentazioni affettive, e di tollerare le inevitabili conflittualità tra questi oggetti psichici. Una visione molto lontana da quella consumistica di una società che vuol vedere tutti obbligatoriamente felici e che considera perdente e soccombente l’infelicità. Spesso si sottovalutano il piacere e la felicità che possono derivare dal sentimento della propria stabilità interna, o dai propri pensieri autonomi, o dal godimento della natura, di un’opera d’arte o di una composizione musicale. Il piacere procurato da queste esperienze può avvicinarsi alla felicità nella misura in cui esse stabilizzano il nostro mondo interno. Ma queste esperienze possono anche destabilizzarci. Mi riferisco ad alcune espressioni artistiche contemporanee o ad alcune composizioni musicali tese a provocare emozioni «negative» e a destabilizzare il nostro mondo interno. Allora il piacere può derivare dal lavoro che facciamo per tollerare la provocazione e ricreare la stabilità interna momentaneamente minacciata o perduta. Forse queste idee sono troppo semplici e modeste rispetto all’idealizzazione della felicità che l’uomo ha fatto nei secoli, specie nel mondo occidentale. La mia idea è che la felicità può scaturire solo dalla conoscenza di noi stessi. Come dice Seneca, che conclude con queste parole il suo Tieste: «Infelice quel Re che, tristemente noto a ognuno, muore sconosciuto a sé stesso.» 135 AIAF QUADERNO 2008/1 DISCUSSIONE CRISTINA CURTOLO L’improvvisa scomparsa di Mauro Mancia non ha reso possibile la pubblicazione della relazione originale che, tuttavia, rimane nella memoria di coloro i quali hanno potuto godere della sua generosità intellettuale ed umana. Ringraziamo, pertanto, l’editore Bollati Boringhieri per aver autorizzato la riproduzione di un capitolo attinente al tema trattato dall’Autore nel corso della conferenza. Desidero riportare alcuni pensieri autobiografici di Mauro Mancia quale tributo al suo ricordo. “Tutta la mia vita è stata concentrata sull’impegno e sul lavoro: ho coltivato la conoscenza verso l’interno, come funziona il cervello e poi come funziona la mente…..Ho studiato medicina per scelta e ho una personalità inconscia di tipo riparativo. Una fantasia riparativa è conseguenza di una infanzia ambivalente nei confronti dei genitori interni. Io ho avuto una coppia di genitori molto forti eticamente, per cui anche sul piano professionale posso dire di non avere mai avuto un comportamento in contrasto con la mia coscienza. Solo nella vita amorosa ho acconsentito a compromessi. Nella vita amorosa il compromesso è sempre attivo. Il rapporto tra legame e fedeltà è sempre difficilissimo. Ma anche nei rapporti con le donne non ho mai ingannato. Sono quello che sono.1” Agli studi sul cervello Mancia ha dedicato una vita di ricercatore tra neuroscienze e psicoanalisi, dimostrando come le conoscenze neuroscientifiche diano sempre più corpo al lavoro clinico dello psicoanalista. Esemplificativo è il suo insegnamento sul valore terapeutico della musicalità della voce poiché è il ritmo, il tono e il timbro che vanno a stimolare le strutture precoci della memoria implicita, aprendo la strada all’elaborazione trasformativa. La psicoanalisi è in contatto con l’infelicità umana e considera l’infanzia il momento critico in cui la felicità è più minacciata. Infatti, la predisposizione all’infelicità nasce dalle esperienze traumatiche infantili e, così, dall’antinomia fondamentale cui l’uomo è esposto tra la logica aristotelica della coscienza e la logica simmetrica dell’inconscio. Parimenti, la psicoanalisi considera una difesa dall’infelicità la conoscenza di sé e del proprio 1 136 Bianchi Rizzi, A. (a cura di), Il Bene e il Male. Centocinquanta confessioni laiche, in corso di pubblicazione. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE mondo inconscio; conoscenza che permette una capacità di elaborazione della colpa. Dal vivo, il dolore mentale può essere osservato nel corso di una analisi personale ogni qualvolta il transfert si manifesta e le emozioni di un tempo - depositate nella memoria - ritornano al soggetto sotto forma di angoscia che punge la sua pelle dal di dentro. È compito dell’analista, quindi, aiutare il paziente a rendere verbalizzabile questo dolore così da trasformarlo e renderlo maturativo e terapeutico. Affrontare il tema della felicità vuol dire fare i conti con la dimensione epistemologica della realtà (le cose come le conosciamo) che implica, senza dubbio, una differenza ontologica (le cose come sono realmente). Benché sia più semplice attribuire agli altri la causa del nostro star male l’evidenza insegna che ciò non è foriero di maggior benessere, anzi. Guardando, invece, di più ai nostri comportamenti, e meno a quelli degli altri, è possibile modulare situazioni relazionali al fine di renderle molto più soddisfacenti, appaganti e, quindi, meno pericolose. Alla base di tale accadimento vi è il nucleo dell’umore interno, inteso come condizione psicologica, il quale contribuisce alla confusione e incomprensione, facendo sentire le persone molto sole. Come Mancia aveva ben descritto “…ci ritroviamo tra individui la cui pesantezza di vivere sta nella fitta rete di costruzioni, imposizioni, pregiudizi, fraintendimenti, false propagande, ideologie violente, che hanno stretto in nodi sempre più inestricabili le loro personalità fino ad annullare nella pesantezza la loro stessa identità2.” (pag.157). Se all’interno della personalità vi sono delle aree dominate da invidia, competitività, odio, sadismo, aggressività, voracità, violenza e varie forme di distruttività, si è di fronte a quella che Mancia aveva definito personalità negativa, un concentrato di rabbia e delusione che non trova pace, quindi, ben lontano dall’ideale di felicità. Come precisava l’Autore “Ma il negativo può essere facilitato dall’ambiente, dal suo degrado culturale e morale, da modelli genitoriali e sociali devastanti nella loro ignoranza, arroganza e violenza. Questo tipo di ambiente, insieme a genitori violenti e moralmente degradati, faciliterà nel bambino l’introiezione di modelli violenti, cattivi e moralmente compromessi, che condizioneranno lo sviluppo della sua personalità e il suo comportamento3...” (pag. 223). 2 Mancia M., Percorsi, Bollati Boringhieri, Torino 1995. 3 Mancia M., “Personalità negativa, colpa e responsabilità” in Ferrando e Visintini (a cura di), Follia e diritto, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 137 AIAF QUADERNO 2008/1 Da sempre l’individuo organizza difese rispetto all’infelicità. La religione monoteista, per esempio, con la negazione della morte e con il dogma della trascendenza rassicura l’uomo e dà un senso alla sua vita. La dimensione laica della difesa umana rispetto all’infelicità può essere rappresentata dall’arte, dalla musica, dalla creatività in generale. Numerosi esempi presi dalla pittura, poesia e musica, dimostrano come parti sane e creatrici della personalità degli artisti sono in grado di rappresentare le parti sofferenti e infelici dando loro un carattere universale e permettendo l’identificazione a chi ne fruisce. Sull’onda del contributo di Mancia riecheggia l’importanza di una funzione riflessiva personale che si declina nella capacità di pensare i propri pensieri per orientarsi nelle scelte. Riflettendo si agisce meno impulsivamente e si ha il tempo per capire effettivamente quello che è il desiderio rispetto il bisogno. Il bambino ha dei bisogni che sono ineludibili, ma in età adulta l’eccesso di bisogni emotivi va a gravare sul partner in un groviglio di aspettative errate che ne confondono il ruolo. Nei legami affettivi e sociali dell’Altro occorre tenere vivo il desiderio, non certamente il bisogno poiché questo appartiene al mondo dell’infanzia ed è inevitabilmente destinato ad essere disatteso. 138 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE LE PATOLOGIE DELL’INTIMITÀ GIULIO CESARE ZAVATTINI PSICOANALISTA DELLA SOCIETÀ DI PSICOANALISI ITALIANA, ORDINARIO DI PSICOLOGIA DINAMICA, UNIVERSITÀ LA SAPIENZA, ROMA; ASSOCIATED MEMBER SOCIETY PSYCHOANALYTIC COUPLE PSYCHOTHERAPIST, LONDON; MEMBRO DELL’INTERNATIONAL ASSOCIATION OF COUPLE AND FAMILY PSYCHOANALYSIS. INTRODUZIONE Sara e Luca, due genitori esausti di un bambino di sei anni, stanno discutendo animosamente a notte fonda. Sara: Non posso pensare che permettiamo a Giorgio di comportarsi in quel modo a scuola Luca: Si stava soltanto difendendo da alcuni ragazzi violenti. Sara: Stai solo cercando di fargli fare quello che tu non hai potuto fare. Quello che i tuoi genitori ti rimproveravano di fare. Luca: Bene, almeno i miei genitori hanno cercato di aiutarmi a difendermi dai bulli nella vita. Cosa hanno fatto i tuoi ? Loro sono dolci e corretti, ma non c’erano quando avevi bisogno di loro. Sara: Non devo difendere i miei adesso. Il problema sei tu ed il comportamento di tuo figlio. Luca: Il problema non sono io. È la tua iperprotezione. Il tuo coccolarlo. Il non permettergli di essere un uomo. Ti spaventa troppo. Sara: Luca non è questo il momento per iniziare a parlare di questa questione. Mi devo ancora riprendere dal nostro ultimo litigio. Luca: Beh, non posso tollerare che tu cerchi di cambiare qualcosa che è veramente importante per me nella mia relazione con mio figlio. Come osservano a proposito di questo brano Philip Cowan e Carolyn Pape Cowan efficace (Cowan, Pape Cowan, 2001), della Berkeley University, le relazioni positive tra i partner e la loro capacità di trovare un punto di incontro sulla funzione di genitori, non dipendono soltanto dal fatto di avere un repertorio comunicativo efficace. In realtà ciò dipende dalle esperienze nelle prime relazioni nell’infanzia ed è stato trovato un indice di correlazione tra i modelli di attaccamento* dei genitori rispetto alle loro famiglie di origine e la tendenza a replicarli nelle relazioni familiari 139 AIAF QUADERNO 2008/1 successive. Va anche aggiunto che dallo scambio di battute tra Sara e Luca emerge con chiarezza il fatto che ai figli viene affidato qualcosa di sé, ma anche, appunto, ciò si mescola con le aspettative che ognuno dei coniugi ha sull’altro e sul matrimonio come progetto affettivo (Zavattini, 2004; Castellano, Zavattini, 2007). In secondo luogo va sottolineato che la ricerca sulle dinamiche di coppia nel campo della teoria dell’attaccamento (Santona, Zavattini, 2007 a, 2007 b) ha messo in evidenza quanto sia fallace l’aspettativa ingenua che presuppone che tanto più “sicuri” sono gli individui e tanto più stabile e duratura sarebbe stata questa relazione. In realtà le relazioni più disfunzionali possono anche essere le più stabili e ciò vale in tutti i ceti sociali, sebbene poi i conflitti e gli scontri possano assumere “forme” diverse. La ricerca suggerisce che nelle storie d’amore adulte i partner spesso costituiscono figure di attaccamento primaria uno per l’altro e ciò, almeno in parte, ha le radici nelle relazioni affettive dell’infanzia. Se, infatti, i genitori sono stati capaci di sensibilità e di sostegno, è probabile che i figli svilupperanno aspettative positive nei confronti degli altri e saranno fiduciosi di essere meritevoli di amore e appoggio e ciò faciliterà successivamente lo sviluppo di relazioni di attaccamento sicure nella vita adulta (Zaccagnini, Zavattini, 2005, 2007). Al contrario una storia familiare caratterizzata da varie forme di cura incoerente (rifiutante/distanziante o ansiosa/preoccupata) può generare maggiormente modelli d’attaccamento insicuri che possono portare gli individui a ricreare e riprodurre modelli disfunzionali nelle relazioni adulte. Inoltre i dati di varie indagini mettono in luce che talora gli individui a rischio di essere coinvolti in relazioni problematiche e d’abuso possono trovare una maggiore difficoltà ad interromperle (Bartholomew, Henderson, Dutton, 2001). La presenza di uno stile d’attaccamento sicuro nei partner non garantisce, tuttavia, in modo deterministico la continuità e la capacità di mantenere una relazione affettiva anche se va notato che nei casi di conflitto*, di mancanza d’amore e d’intesa gli individui sicuri hanno maggiore capacità di mettersi in contatto con il partner o, in ogni caso, di limitare gli aspetti più violenti di un’escalation simmetrica in quanto possiedono un Senso del Sé più integrato che li porta a richiedere un trattamento più rispettoso. Oppure possono “pensare” di separarsi, probabilmente perché ritengono che non sia tollerabile l’aggressività, hanno una visione più positiva 140 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE di sé e maggiore fiducia nell’altro, aspetti che possono far pensare loro di potere in futuro essere amati e trovare un partner amabile. In altri termini non è così facile separarsi ed è necessario sempre chiedersi cosa sia stato “affidato” ad un matrimonio, o comunque ad una relazione intensa e duratura. In altri termini quale funzione sul piano dell’organizzazione del Sé è sottesa, in modo adattativo, o disadattivo, in modo conscio ed in modo inconscio, alla relazione col partner. Va precisato che sto facendo riferimento ad una certa tipologia della coppia in crisi, quella che incontro nel mio lavoro di psicoterapeuta di coppia, una quota minoritaria della popolazione che si rivolge ad un esperto (circa il 10% delle coppie si rivolge ad uno psicologo e circa un 5% agli assistenti sociali nei servizi; vedi Barbagli, Saraceni 1998). Per altri versi le separazioni di fatto e quelle legali sono sicuramente in aumento e costituiscono un fenomeno rilevante, così come, a mio avviso, il tasso di sofferenza di molte coppie. Non va, cioè, infatti sottovalutato quello che Vittorio Cigoli (Cigoli, 1998) chiamerebbe con il termine suggestivo di sleeper effect (un aspetto cioè silente e dormiente), l’effetto ritardato del divorzio, sottolineandone il carattere latente e l’improvviso riemergere dei problemi in età giovaneadulta. Cigoli fa, cioè, riferimento ad un aspetto di dolore diffuso presente nei “figli del divorzio” senza che ciò corrisponda a una conclamata patologia come messo in evidenza da Kelly (2000) in un’ampia rassegna sulle ricerche sul tema. Questo aspetto di dolore può essere presente anche in tante situazioni di coppia che tuttavia non esitano in una separazione od in un divorzio, ma le persone vivono in un “matrimonio infelice” –apparentemente felice in cui sembra prevalere una sorta di “né con te, né senza di te” (Santona, Zavattini, 2005; Velotti, Gigli, Zavattini, 2006). IL SÉ ALIENO Nel saggio, del 1918 “Vie della terapia psicanalitica”, Freud acutamente osserva che:“Detto per inciso, un matrimonio infelice e l’infermità fisica sono le forme in cui più frequentemente si risolve la nevrosi. Tali vie soddisfano in particolare modo il senso di colpa (bisogno di punizione), che è il motivo per cui molti malati si attaccano così tenacemente alla loro nevrosi. Un’infelice scelta coniugale è il mezzo di cui costoro si avvalgono per punirsi” (Freud, 1918). 141 AIAF QUADERNO 2008/1 L’esperienza clinica insegna che le coppie nell’intimità interagiscono spesso in modi del tutto folli. Questa “follia privata” può apparire agli occhi estranei come assurda, senza senso e talora può “scappare” di dire: “Ma separatevi, non vedete che non andate più d’accordo ?”. Con tale commento - qualche volta presente anche in terapeuti che hanno poca esperienza del lavoro con le coppie - emerge come non si colga sia l’aspetto di “gioco”, cioè di copione ripetitivo che nasconde accanto alla rabbia anche eccitamento e sfida, sia l’incastro inconscio per cui quel legame, per quanto sofferto, assolve ad un equilibrio nel mondo interno dei due partner che va compreso (Zavattini, 2006 a, 2006 b). Freud, del resto, nel passo citato mette in evidenza un paradosso, ossia ciò che sembra una relazione insensata, infelice, assolve una funzione, per quanto disadattiva. Ha cioè un senso, per esempio quello di essere il luogo in cui viene collocata una parte sofferente o francamente disturbata del Sé. Ciò rimanda a chiedersi che tipo di contenitore è il matrimonio, o comunque una relazione affettiva lunga e significativa, quesito che necessita di alcune considerazioni preliminari relative a come si può costruire precocemente la personalità. A tal fine farò riferimento, anche se in modo sintetico, al modello dell’evoluzione del Sé proposto da Peter Fonagy (Fonagy, Gergely, Jurist, Target, 2002): 1. L’aspetto più saliente della funzione della genitorialità* è che un genitore riesca non solo a comprendere e contenere le ansie dei figli, ma sia in grado anche di farsi un’idea di cosa pensano i figli e che tipo di emozioni provino. In altre parole la funzione della genitorialità si estrinseca secondo quella che viene chiamata la Funzione Riflessiva in cui si insegna ai figli a pensare, comprendere e differenziare le emozioni che rappresenta una strada maestra per potere cominciare a costruire il senso della relatività. 2. Infatti se tale processo si verifica armonicamente, si creerà via via nella mente del bambino la capacità di distinguere tra il ‘modo dell’equivalenza’, cioè l’idea che non c’è differenza tra gli eventi concreti ed il fatto che essi possano essere esperiti soggettivamente dalle varie persone ed il ‘modo del far finta’, ossia la consapevolezza che la realtà interna (soggettività) è diversa dalla realtà esterna (oggettività). Ossia c’è una differenza tra i fatti ed i significati dietro i fatti. 3. Nel caso invece si verifichi una cronica mancanza di sensibilità e sintonia con il caregiver, si crea un difetto nella costruzione del Sé, per cui 142 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE il bambino è costretto ad internalizzare la rappresentazione dello stato mentale del genitore come una parte centrale di se stesso, seppure ciò costituirà una sorta di Sé alieno. Un bambino cioè introietterà l’aspetto opaco della mente dei genitori, sarà “meno competente”, come oggi si dice, nel discriminare tra le proprie emozioni e quelle di un altro, sarà meno abile nel capire le sfumature dei propri sentimenti e del perché prova sentimenti positivi o negativi a seconda dei casi. 4. Il “Sé alieno” è nocivo soprattutto quando successive e ripetute esperienze di trauma, di trascuratezza o d’insensibilità costringono un individuo a distanziarsi e dissociarsi dal dolore, creando nella propria mente aree cieche e non affrontabili psicologicamente. Questa parte del Sé vuota può infatti essere colonizzata dalle immagini proiettate dai genitori ed il bambino può fare esperienza di sé come poco amabile, se non addirittura come malvagio e mostruoso. 5. Nello sviluppo questo Sé alieno necessita di essere esternalizzato, ma quando la capacità di mentalizzare si sviluppa, il Sé alieno può essere maggiormente incapsulato nel Sé creando un’illusione di coerenza in una struttura che invece ha nella sua trama interna una contraddittorietà ed incoerenza. La disorganizzazione del Sé può destabilizzare le relazioni di attaccamento, creando un bisogno costante di proiezione per potere esternalizzare qualcosa di non amalgamato ed estraneo. 6. Va infine precisato che una quota di Sé alieno è, in vario modo, presente in tutti noi, poiché l’essere trascurati momentaneamente, o non essere ‘completamentÈ capiti, è parte di un normale processo di crescita. Vanno segnalate tre conseguenze di questo processo: a) in primo luogo un danneggiamento della capacità di riflettere sull’esperienza mentale e sul differenziare le emozioni, ciò che si può chiamare un ripudio della mentalizzazione. b) un disturbo del Sé psicologico causato dall’emergere di altri Sé all’interno di una personalità non unitaria che si rivolge a sé ed agli altri in modo contraddittorio ed incoerente. c) una dipendenza fisica dagli altri, un dovere stare insieme, non come espressione di un bisogno genuino d’affetto e comprensione, ma come un veicolo per l’esternalizzazione di ciò che è avvertito in sé come intollerabile. 143 AIAF QUADERNO 2008/1 IL MATRIMONIO INFELICE E LA COLLUSIONE Ai fini del tema che stiamo affrontando si può comprendere che se da un lato la relazione di coppia può essere un luogo psichico, oltre che una realtà dell’organizzazione degli affetti, dove appoggiare gli aspetti irrisolti di un Sé “non coeso”, dall’altro lato questo sorta d’equilibrio è di per sé precario e molto frequentemente fonte di sofferenza per le contraddizioni insite nei suoi medesimi presupposti determinate dalla negazione della realtà psichica e dai frequenti fenomeni di proiezione e misconoscimento delle differenze tra Sé e l’Altro. In altri termini si può pensare che le relazioni umane abbiano sia la funzione di contenimento o d’integrazione di aspetti di sé, sia, al contrario di scissione e di negazione di qualcosa di doloroso o disturbante. Si può cioè ipotizzare che gli esseri umani non solo abbiano sempre bisogno di un contenitore per potergli affidare, ritrovare o non perdere la propria “posizione respinta”, ma che sia anche necessario un contenitore idoneo, ossia in grado di accogliere questa proiezione. Va cioè presupposto che vi sia nell’altro - perlomeno a livello inconscio - una ‘compiacenza’ od una tendenza collusiva. Può accadere così che una donna, segnata da vissuti penosi infantili d’abbandono, cerchi a livello conscio un compagno che le offra finalmente il rifugio della stabilità e della fedeltà, ma poi, inconsciamente, trascorra la vita a tentare di smascherare in lui la tendenza segreta a tradire, a deludere, per avere così la masochista conferma della fondatezza delle proprie paure e il misero vantaggio secondario di poterlo mascherare. Parimenti un uomo, pressato quotidianamente da questa accusa, potrebbe interagire secondo un proprio schema interno che gli fa vivere la moglie come una riedizione di una madre soffocante e castratrice, trovando così a sua volta conferma delle proprie paure più profonde e l’occasione di potersi, inconsciamente, rivalere sulla partner di uno schema interno di relazioni deludente. È su questi presupposti che si potrebbe dire che siamo indotti a giocare parti nei drammi interni degli altri nel senso che ogni individuo tenta di attualizzare nella relazione reale la relazione fantasticata di cui é portatore nella relazione. Dobbiamo, tuttavia, chiederci ulteriormente da cosa dipenda non solo la costruzione, ma soprattutto il mantenimento di uno scenario condiviso nella coppia a dispetto del sorgere e del protrarsi di molte difficoltà, delu144 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE sioni e conflitti? Nel lavoro clinico non è infrequente sentire espressioni come: “Il nostro matrimonio è diventato un inferno”, con cui s’intende dire che rispetto all’iniziale periodo di luna di miele la situazione è peggiorata senza che si riesca a fermare un aspetto coattivo. Ci potremmo chiedere se invece l’inferno personale venga “appoggiato” sul matrimonio preservando talora altre aree della vita interpersonale come appunto il lavoro e, talora, i figli. Sono due punti di vista diversi ed è in un quesito che possiamo porci: - a volte è vero che il matrimonio può “diventare” un inferno nel senso che un accordo può via via rovinarsi, - ma forse è anche vero che l’inferno era “già presente” in partenza ed a un certo momento della vita della coppia la situazione iniziale si trasforma. In realtà è difficile dirimere completamente questo dilemma poiché se da un lato ogni partner si “porta dietro” gli schemi relazionali costruiti nelle relazioni familiari, dall’altro lato, “l’incontro” di una coppia, crea sempre una realtà nuova, o enfatizza o minimizza, intrecciandoli, questi schemi interni (Messina, Zavattini, 2007). RIVALSA E RIPARAZIONE Cercherò ora di ripercorrere i vari passaggi di quanto ho affrontato oggi con l’idea di segnalare alcuni punti e di non trarre conclusioni definitive: sono partito da un primo quesito relativo al chiedersi se un legame affettivo duraturo all’insegna, tuttavia, della delusione e del non sentirsi capiti, sia l’espressione di un deteriorarsi del legame o se nel legame emergano aspetti latenti e non visti prima. Indubbiamente vari fattori, come la nota diminuzione della soddisfazione coniugale - la ricerca mette in evidenza l’inizio di una certa diminuzione dopo i tre anni sino ai sei e poi una relativa stabilizzazione (Bradbury, Fincham, Beach, 2000; Banse, 2004) -, i passaggi del ciclo vitale, militino nel considerare consistente la prima ipotesi, ossia col tempo si possono perdere quegli aspetti positivi che avevano inizialmente alimentato una relazione sentimentale. Oppure molte coppie riescono a mantenere una creatività ed una effettiva capacità di amore ed altre non riescono a trovare un equilibrio sereno od accettabile a parità di difficili condizioni. Vorrei partire di nuovo da un’osservazione di Freud che in “Psicologia 145 AIAF QUADERNO 2008/1 delle masse ed analisi dell’Io” osservava: “L’identificazione è comunque sempre ambivalente fin dall’inizio; può tendere tanto all’espressione della tenerezza quanto al desiderio dell’allontanamento” (Freud, 1921). Il riferimento al tema alle dinamiche dell’identificazione mi sembra che ci possa offrire una prima via di riflessione: facendo riferimento al tema dell’ambivalenza e al fatto che una non risoluzione delle dinamiche infantili con i genitori può portare ad un bisogno di rivalersi, se non addirittura vendicarsi. Si tratterebbe di una forma di ritorno del rimosso, ma nello scenario dell’intersoggettività che porta, tramite il meccanismo della proiezione, ad indurre nell’altro le caratteristiche delle figure affettive del proprio passato con cui ci si è trovati in conflitto Uno “schema interno disadattivo” può, cioè, ingenerare un irresistibile crescente bisogno di trasformare il coniuge in una proiezione di una immagine ambivalentemente investita anche in palese contraddizione con le reali qualità delle persone. In questo senso potremmo rispondere parzialmente al quesito: cosa tiene insieme quei due ? Potremmo dire: l’incessante bisogno di rivalsa che rischia di trasformare il rapporto coniugale nel campo di manifestazione per eccellenza di irrisolti aspetti del passato. Va anche considerata un’altra dimensione, ossia quella della speranza di trovare nell’altro una smentita di rappresentazioni di relazioni interne disadattive e sofferenti. Il rischio è che si verifichi una sorta di patologia della riparazione nel senso che un soggetto pretende inconsciamente che l’altro corrisponda a questa attesa senza valutare se ciò è possibile o nel modo totalizzante desiderato. Quando alla prova incessante della vicinanza fisica il coniuge fallisce come oggetto idealizzato il rapporto può in alcuni casi diventare all’insegna dell’odio e della persecuzione. In altri termini l’infelicità nascerebbe quando un rapporto interpersonale desiderato e di cui si ha bisogno nel proprio mondo interno e che il partner è stato designato a realizzare, non si traduce in pratica. Le due interpretazioni, che potremmo considerare come intrecciate tra loro, ossia quella della rivalsa e quella della patologia della riparazione, ci obbligano tuttavia a chiederci come mai si tende a ripetere la medesima scelta sbagliata trovando partner simili e similmente deludenti. In altri termini perché mai si continua la vecchia guerra con un nuovo nemico ? Diversi clinici che si sono occupati dei rapporti di coppia hanno messo in evidenza un fenomeno che potrei chiamare accecamento da luna di miele 146 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE che, se perdura può portare non solo a successive grandi delusioni, ma anche a quella tendenza a ricercare figure che poi si riveleranno analoghe a quelle precedenti già sperimentate come frustranti. La seconda osservazione si riferisce alla rigidità degli schemi culturali che può fortemente limitare in ambo i partner il repertorio di modi alternativi di trattarsi come persone e non come figure dello spostamento di un’immagine genitoriale. In altri termini, come scriveva Dicks (Dicks, 1967) venendo a mancare la fantasticata somiglianza del partner alla desiderata immagine genitoriale attesa, la più profonda ambivalenza verso l’oggetto d’amore viene alla superficie con sentimenti di odio prima nascosti dall’idealizzazione e qualità rifiutanti vengono attribuite ed evocate ciascuno dall’altro. Le tensione tra i coniugi possono cioè nascere dalla delusione provata quanto vengono frustrate le attese sia rispetto allo spostamento di aspettative di ruolo sul partner, sia nel matrimonio per contrasto ai modelli genitoriali arrivando a constatare che alla fin fine il coniuge espleta il ruolo coniugale alla maniera della figura genitoriale frustrante, somiglianza che durante il corteggiamento era stata negata. In secondo luogo si può fare riferimento a quanto ho già messo in evidenza nel modello di evoluzione del Sé proposto da Peter Fonagy a proposito degli effetti sulla personalità quando un genitore con un Sé disorganizzato costringe un bambino, seppure inconsciamente, ad incassare un Sé alieno che porta un individuo a distanziarsi e dissociarsi dal dolore, creando nella propria mente aree cieche e non affrontabili psicologicamente. Si può pensare, in particolare, sia al tema dell’aspettativa di un amore incondizionato, sia all’idea di un’impossibilità di potere reintroiettare, ossia riconoscere come propri sentimenti negati ed attributi al partner, oppure, talora ai figli. Separarsi davvero allora è difficile, se ciò significa non potere separarsi da qualcosa di sé doloroso ed impensabile, oppure con il rischio di continuare a proporre l’ingaggio affettivo a partner che sono la replica di figure frustranti e deludenti, per potere continuare a punirsi, rivalersi o inseguire idealizzazioni impossibili. 147 AIAF QUADERNO 2008/1 BIBLIOGRAFIA Banse, R. (2004) Adult attachment and Marital Satisfaction: Evidence for Dyadic Configuration Effects. Journal of Social and Personal Relationships, 21, 2, pp. 273-282. Barbagli M, Saraceni Ch. (1998) Separarsi in Italia. Il Mulino, Bologna. Bartholomew, K., Henderson, A.J.Z., Dutton, D.G. (2001 L’attaccamento insicuro e le relazioni intime violente, in C. Clulow (a cura di.) 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Il trait d’unione tra i due significati è, psicologicamente, la zona oscura e le sue propaggini. Risuona originale, in quanto innovativo, il titolo proposto da Giulio Cesare Zavattini in quanto accentra l’attenzione non solo sulla zona d’ombra del legame, ma sulla logica sottostante alla sofferenza che una relazione di coppia può provocare nei casi in cui è il legame ad essere pato-logico.. Da sempre si è riconosciuto un afflato di follia nell’innamoramento, uno stato psicologico caratterizzato da una alternanza vorticosa di pensieri su se stessi – ci si sente baciati dalla fortuna – e sul partner, il quale diventa il contenitore privilegiato dell’idealizzazione – è perfetto, nessuno come lui. Altrettanto si sa che è temporaneo, che il soggetto incantato1 vive la condizione viscerale del trionfo del corpo, del piacere sensoriale ed erotico che invade il pensiero. Tuttavia, solamente nel ruolo di osservatori – quindi alla giusta distanza -si riconosce che negli innamorati (per inciso nella prima fase dell’amore) vi è un’alterazione nella razionalità poiché prevale il bisogno di dare spazio all’illusione della fantasia. Tale andamento rimane fino a quando il partner viene guardato attraverso la lente del realismo che innesca il principio di rottura dell’incantesimo: un’escalation che ripristina la dialettica interiore tesa a trovare un punto di equilibrio tra emozioni e cognizione. Con il crescere della familiarità, quindi, prende l’avvio il processo di normalizzazione: la testa è meno tra le nuvole, si è dissolta l’atmosfera magica, non si ha più la tachicardia e l’insonnia, ma accresce la fiducia e la sicurezza, all’incirca verso il secondo anno, che diventano il cardine del legame di attaccamento. E qui si situa il primo spartiacque tra il buon funzionamento di una coppia e gli stati disfunzionali, come Zavattini chiarisce fornendoci un’ag1 150 Dufourmantelle A., Sesso e filosofia, Donzelli Editore, Roma 2004. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE giornata griglia di lettura delle più diffuse dinamiche coniugali. Esistono, infatti, dei legami di coppia che invece di essere vitali sono mortiferi in quanto non si basano e, quindi, non alimentano la bontà, la bellezza, la virtù del sentimento di amore; ma altresì si incardinano sugli aspetti perversi, potenzialmente crudeli e violenti, di cui la logica della sofferenza – la patologia - è che non c’è spazio per due. Questa è la culla del problema in cui si individua una vittima e un aggressore, uniti in una imbricata stratificazione psicologica, spesso resa invisibile perché mascherata dalla forza del collante fornito dalla collusione che, a qualsiasi costo, li tiene insieme. Fortunatamente, però, esiste una variabilità di situazioni all’interno di un continuum clinico che va dalla perversione* alla perversità*, le cui manifestazioni possono interessare tutte le aree della vita di coppia oppure solo alcune, per esempio la sessualità. Allarmano, peraltro, i dati recenti che riportano un aumento di casi di impotenza giovanile e di frigidità! Attualmente si verificano casi paradossali di matrimoni infelici che durano, come pure separazioni precoci, a volte durante la gravidanza del primo figlio. In senso lato, la capacità di separarsi è un indicatore di sanità rispetto alla patologia dell’intimità che segnala, invece, una forma di contagio che la relazione subisce per il trasferimento di aspetti disturbati di uno dei due. Frequentemente l’avvocato si sente dire che il partner, dopo la nascita di un figlio, non è più stato lo stesso, tu o si è trasformato in senso catastrofico. Molto si sa, sebbene parecchio ci sia ancora da fare sul versante della prevenzione, sulla depressione post-partum; mentre sugli effetti patologizzanti che la paternità può comportare si legge in letteratura, ma scarsi sono i riscontri clinici poiché si consumano nell’anonimato, almeno fino a quando la coppia compensa tali défaillance. Ebbene, la condivisione di desiderata tra i partners è un aspetto importante per la stabilità familiare e tra i molti, certamente, il desiderio di un figlio è il passaggio fondativo da coppia a famiglia. Ora, dalle versioni di alcune donne raccolte dagli avvocati si viene a sapere che il pensiero di un figlio ha riguardato la coppia, ma quando il bambino è diventato una realtà – quindi dalla gravidanza alla nascita – il marito si è progressivamente mostrificato nei comportamenti, nei modi, nelle abitudini con un raffreddamento affettivo e, proporzionalmente, un 151 AIAF QUADERNO 2008/1 aumento della conflittualità. Indicativamente questa tesi è possibile; di fatto può succedere che l’impatto della genitorialità su taluni possa essere psicologicamente traumatizzante nella misura in cui riporta nel presente tracce irrisolte del loro passato. Ineludibilmente il figlio incarna i bisogni emotivi*, e questa nuova esperienza può essere un detonatore psicologicamente potente per coloro i quali sono stati precocemente deprivati di buone cure e, in aggiunta, non hanno avuto l’opportunità di sviluppare una elaborazione intima della sofferenza. Una madre è biologicamente predisposta alla maternità poiché la gravidanza prepara il terreno neurochimico per l’empatia* e la sintonia, in primis l’ossitocina che per questo motivo viene soprannominata the cuddle hormone2(l’ormone delle coccole). Il mito di Medea ci ricorda l’orrore del crimine del figlicidio, come le cronache di questi tempi, ahimé, riportano; ma ci dice anche che il gesto folle trae origine dalla confusione relazionale tra Medea-madre e Medeamoglie di un uomo che la tradisce. E come Zavattini ben ci spiega, niente è più micidiale della rivalsa, dell’invidia, dell’incapacità a riconoscere il proprio limite per il bene dell’altro. 2 152 Eleison K., The mommy brain. How motherhood makes us starte, Basic Book, New York 2005. SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE DEL RAPPORTO FAMILIARE VINCENZO CARBONE PRESIDENTE AGGIUNTO DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE È opportuna una riflessione sulle tematiche alla base dell’istituto, relativo al rapporto genitore-figlio, alla prova della paternità e all’attribuzione del cognome. Le riflessioni sono state suscitate da due recenti decisioni della Corte costituzionale - abrogative la prima (Corte cost. 10.2.2006 n. 50) dell’art. 274 c.c. e la seconda (Corte cost. 6.7.2006 n. 266) dell’art. 235 comma 1 n. 3 c.c. - nonché da due sentenze della Corte di Cassazione (Corte cass. 14.7.2006 n. 16093 e 26.5.2006 n. 12641) sui contrasti tra i genitori per l’attribuzione al figlio del cognome, diversamente disciplinata per il figlio legittimo e per quello naturale. I PATERNITÀ NATURALE: INCOSTITUZIONALE LA FASE PRELIMINARE DEL GIUDIZIO. 1.1. NASCITA E SVILUPPO DELL’ART. 274 C.C. Il libro primo del codice, pubblicato con r.d. 12 dicembre 1938, con l’art. 272 c.c. (divenuto poi art. 274 c.c.) introdusse, dopo molte esitazioni, il giudizio preventivo di ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale sulla paternità naturale, sconosciuta nel codice del 1865, ritenendo che la nuova azione dovesse essere preceduta da una fase preliminare di ammissibilità, mediante “un’inchiesta sommaria” e “segreta” 1 dalla quale possono risultare, anche attraverso “sommarie informazioni”, indizi tali da fare apparire giustificata la proposizione del successivo giudizio avente 1 Relazione del Guardasigilli al progetto definitivo n. 282, in Pandolfelli, Scarpello, StellaRichter, Dallari, Codice civile, Lib. 1, Milano 1939, 308. 153 AIAF QUADERNO 2008/1 lo scopo di conseguire la dichiarazione giudiziale di paternità naturale2. Nella relazione del Guardasigilli si legge che l’istituendo giudizio pregiudiziale all’ammissibilità deve avvenire nella massima segretezza, “per evitare che attraverso azioni infondate si facessero valere intenti ricattatori, profittando del timore di scandalo e del turbamento che dibattiti sulla paternità possono determinare in delicate situazioni personali e familiari”, e, quindi, al fine di paralizzare, sin dall’inizio, qualsiasi richiesta pretestuosa. Si risentono, anche nel tono, le radici di un costume assai diverso. È da sottolineare il divieto di indagini sulla paternità sancito dall’art. 189 c.c. 1865, tranne i casi di ratto e di stupro violento3, basato sulla profonda diseguaglianza tra uomo e donna (si pensi alla pena inflitta alla donna per adulterio da cui l’uomo era esente tranne l’ipotesi di concubinato in casa o notoriamente altrove). La cultura dell’epoca era orientata a credere, ma non sempre4, alla “virgini pregnanti sempre esse creditur”, mentre “meretrici non idem”, per cui bastava proporre l’exceptio plurium concubentium, per evitare la dichiarazione giudiziale di paternità, il tutto basato sull’idea di fondo attribuita a Napoleone, Primo Console, che “l’Etat n’a aucun interêt à ce que la filiation dell’enfant naturel soit établie5. L’entrata in vigore nel 1948 della nuova Costituzione, e in particolare dell’art. 30, comportò una svolta culturale, conferendo piena tutela, giuridica e sociale anche ai figli nati fuori dal matrimonio6. Ma ci sono voluti anni perché la norma costituzionale fosse considerata non meramen- 2 La natura pregiudiziale è ben chiara in Piras, l’accertamento giudiziale della paternità naturale, in Riv. dir. priv. 1941, II, 241 s. Cfr. Cass. 22 novembre 1980, n. 6217, con nota di Scalisi, Ammissibilità dell’azione ex art. 274 c.c., e giudizio di merito, in Giust. civ., 1981, I, 2704. 3 Cicu, La filiazione, Milano 1927, 202. 4 Si pensi al caso posto innanzi al Parlamento di Grenoble nel 1974 in cui un certo avv. Servan confutò la distinzione, in Malarie-Aynes, Droit civil. La famille, Cujas 1989, 327 n. 101; Hauser e Huet-Weiller, La famille, in Traité de droit civil a cura di Ghestin, Paris 1993, 451 ss. insistono sulla importance croissante de la filiation naturelle. 5 Sono le parole di Napoleone. Bisognerà attendere la legge francese dell’8 gennaio 1993, n. 93 per addivenire all’attuale formulazione dell’art. 340 Cod. Nap. onde stabilire che “la paternité hors mariage peut être judiciairement déclarée. Per ulteriori richiami all’evoluzione normativa connessa ad una diversa concezione dei rapporti di famiglia, Carbone, Il padre può disconoscere il figlio da quando sa che non è suo, in Corr. giur., 1985, 7,738; Id., La paternità... è una questione di logica, ivi, 1985, 4,409; Id., Contrasti tra ammissibilità e merito della dichiarazione giudiziale di filiazione naturale, ivi, 1987, 11, 1156; Id., La crisi della paternità biologica, ivi, 1991, 5, 553. 6 Bessone, art. 30, in Comm. cost. a cura di Branca, Bologna-Roma 1976, 86 ss. 154 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE te programmatica, ma precettiva, per cui la disposizione codicistica ha a lungo resistito, nonostante la dichiarazione di parziale incostituzionalità (Corte cost. 12 luglio 1965 n. 70)7, sollecitata dai giudici milanesi8. La Corte costituzionale invece di sopprimere l’inutile giudizio preliminare, preferì “ricarburarlo” dandogli nuova veste processuale, consentendone l’impugnabilità e la riproponibilità. Si sono poi succedute continue modifiche del testo, a seguito della riforma operata prima dalla l. 23 novembre 1971 n. 1047 che ammette l’impugnazione della decisione al termine della fase dell’ammissibilità, e poi dell’art. 117 della l. 19 maggio 1975, n. 151, non priva anch’essa di difficoltà formulative, perché le specifiche circostanze “concorrono” nel testo approvato, mentre nella pubblicazione, poi modificata da un’ulteriore correzione, si legge “occorrono”9. Agli operatori più accorti apparve subito chiaro che l’art. 274 era rimasto “un ramo secco”10 un “residuo storico”11, un “relitto storico12” una “singolare procedura”13 o anche “un inutile (e defatigante) doppione del giudizio di merito”, incoerente con il diritto del figlio naturale, costituzionalmente riconosciuto, all’accertamento della paternità naturale al di fuori del matrimonio. Inoltre, le modifiche apportate e il passaggio dagli “indizi” alle “specifiche circostanze” non sortirono minimamente l’effetto voluto, anche perché i giudici di legittimità hanno più volte precisato che la sostituzione nel co. 1 dell’art. 274 c.c., a seguito della riforma del diritto 7 Corte cost. 12 luglio 1965, n. 70, in Foro it. 1965, I, 1369; in Giust. civ. 1965, III, 212, in Riv. dir. mat. 1965, 536 con nota critica di Borghese, Questioni costituzionali in materia di difesa e contraddittorio; in Giur. cost. 1965, 863 con nota di Chiarloni, Diritto di azione e diritto di difesa nel procedimento preliminare per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, e ivi 881 con nota di Nocella, Sentenza interpretativa di accoglimento o sentenza di accoglimento parziale dell’art. 274 c.c.? La sentenza è richiamata favorevolmente da Sgroi, Sul procedimento di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione naturale dopo la sentenza n. 70 del 1965 della Corte costituzionale, in Giust. civ. 1970, I, 602 e da Majello, Profili costituzionali della filiazione legittima e naturale, Napoli 1969, 148 s. 8 L’ordinanza del Trib. Milano 25 settembre 1964, è in Temi 1964, 399 con nota adesiva di Candian. 9 A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, vol. II, t., I Milano 1975, 316 ss.; Majello, Filiazione illegittima e legittimazione, in Comm. del c.c., Bologna-Roma 1982, 205 ss. 10 Morozzo della Rocca, Per l’abrogazione dell’art. 274 (dedicato ad un parlamentare di buona volontà), in Dir. fam. 1981, 949; Padova Un ramo secco: il procedimento di ammissibilità dell’azione di paternità e maternità naturale, in Giur. it. 1983, I, 2, 1859. 11 A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, vol. II, Milano 1984, 1821. 12 Cass., 2 luglio 1988, n. 4401, in Foro it., 1990, I, 1344 e in Giust. civ., 1988, I, 2569. 13 Vercellone, La filiazione, in Tratt. Vassalli, Torino 1987, 137 s. 155 AIAF QUADERNO 2008/1 di famiglia, dell’espressione «specifiche circostanze» alla parola «indizi», ai fini della ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità, non ha modificato sostanzialmente la natura “sommaria” della cognizione preliminare prevista dalla norma stessa, in quanto la valutazione circa l’esistenza di dette specifiche circostanze, sufficienti a rendere ammissibile l’azione, deve mantenersi sul piano della probabilità e non su quello della certezza. In sostanza, nella fase di ammissibilità non era necessaria l’acquisizione processuale di elementi forniti di decisivo o comunque elevato grado di efficacia probatoria, essendo sufficiente che il risultato della detta inchiesta sommaria fosse tale da convincere il giudice dell’esistenza di un fumus boni iuris, attraverso presunzioni idonee a far apparire l’azione verosimilmente non priva di fondamento14. La necessità di un giudizio pregiudiziale non apparve più sostenibile anche perché nel frattempo si era stabilito che la dichiarazione giudiziale sulla paternità e maternità naturale poteva essere dichiarata in tutti i casi in cui il riconoscimento era ammesso, e non più nei soli quattro casi espressamente previsti dall’art. 269 c.c. perché la tipizzazione delle ipotesi era stata nel frattempo, superata eliminando ogni limite con la nuova formulazione dovuta all’art. 113 della legge di riforma del diritto di famiglia n. 151/197515. 1.2. IL CONTRASTO TRA LE CORTI E IL DIVERSIVO DELL’INTERESSE DEL MINORE. Sintomatico il nuovo corso della giurisprudenza dei giudici di legittimità secondo cui dalla procreazione sorge, per il minore, il diritto a costituire, con la dichiarazione giudiziale, lo stato di figlio naturale che, sostan14 Cass., 3 maggio 1986, n. 3008, in Rep. Foro it. 1986, voce Filiazione, n. 72; Cass., 23 aprile 1983, n. 2805, in Giur. it., 1983, I, 1, 1857, con nota di Padova; in Foro it., 1984, I, 245; Cass., 16 marzo 1990, n. 2200, in Arch. civ., 1990, 795. 15 L’equiparazione è oggi rimessa in discussione in relazione ai timidi superamenti del vincolo stabilito per i figli incestuosi; Carbone, Anche il genitore affidatario di figli naturali può trascrivere il titolo di assegnazione della casa familiare, in Corr.giur., 2005, 12, 1677, specie 1683, con riferimento a Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494 secondo cui è incostituzionale l’art. 278, co. 1, c.c. nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell’art. 251, co. 1, dello stesso codice, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato; rimanendo fermo, in tali ipotesi, il divieto di riconoscimento, l’art. 269, co. 1, c.c., deve essere interpretato (secondo la sua formulazione letterale) nel senso che la paternità e la maternità naturali possono essere dichiarate nelle ipotesi in cui il riconoscimento è ammesso, ma non nel senso reciproco: cioè anche che il riconoscimento sia effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale. 156 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ziando la fondamentale tutela giuridica dei figli nati fuori dal matrimonio, è sottoposto ai soli limiti probatori previsti a garanzia della verità della filiazione dall’art. 30, quarto co., Cost.161 L’attenzione si sposta sulla valutazione dell’interesse del minore17 alla dichiarazione giudiziale di filiazione, in riferimento ad entrambi i genitori, accertando l’ampliamento della sfera affettiva dello stesso e altresì l’esistenza di benefici di tipo economico connessi alla presenza della nuova figura genitoriale. Interesse che può venire escluso per la condotta pregiudizievole del genitore, tale da configurare una ipotesi di decadenza dalla potestà, o per fondati rischi sugli equilibri affettivi, sull’educazione e la collocazione del minore. Si era giunti così alla conclusione che non aveva più senso un duplice giudizio, di cui uno pregiudiziale di ammissibilità, da taluno18 considerato autonomo, da altri una semplice fase preliminare19, rispetto alla fase di merito, teleologicamente connessa, sull’esistenza o meno del rapporto di filiazione. E così i giudici di legittimità hanno più volte, lungo un arco di venti anni, sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 274 c.c., in relazione agli artt. 2, 4 e 30 cost. Si pensi alla chiara impostazione della Cassazione che riteneva non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2 e 30 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. che disciplina il giudizio preliminare di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale20. Secca la replica della 16 Cass., sez. I, 11 dicembre 1995, n. 12642 in Nuova giur. civ., 1997, I, 266, con nota di Frasson, L’interesse del minore ad instaurare rapporti affettivi con il preteso genitore come nuovo criterio nella dichiarazione giudiziale di filiazione naturale. 17 Corte cost., 20 luglio 1990, n. 341, in Foro it., 1992, I, 25, con nota di Formica, ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 30 Cost., l’art. 274, co. 1, c.c., nella parte in cui non subordina l’ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, oltre che al concorso specifico di circostanze tali da farla apparire giustificata, anche alla condizione che ne sia valutata la rispondenza all’interesse del minore. Sul punto, Carbone, L’interesse del minore alla dichiarazione di paternità naturale, in Fam. e dir., 1995, 425; Id., È preferibile un padre putativo a quello biologico?, ivi, 1998, 427. 18 Vercellone, La filiazione, cit., 137 e 138 secondo cui la disposizione rappresenta “un serio limite al libero esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti”. Negli stessi sensi, Cass. sez. I, 6 agosto 1994, in Fam. e dir., 1994, 618 con nota di Vullo, Dichiarazione di paternità o maternità naturale: giudizio di ammissibilità e giudicato sulla competenza. 19 A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, vol. II, cit., 1804; Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, in Tratt. Rescigno, vol. 4, Persone e Famiglia, t. III, 2 ed., Torino 1997, 228. 20 Cass., 5 marzo 1986, n. 108, in Giust. civ., 1986, I, 1651. In tal senso si sono già espresse 157 AIAF QUADERNO 2008/1 Corte costituzionale che ha ritenuto inammissibile la questione nella parte in cui prevede la necessità di un giudizio preliminare di ammissibilità per l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, in riferimento agli artt. 2 e 30 cost., in quanto implica scelte discrezionali riservate al legislatore21. Con questo escamotage della discrezionalità del legislatore, altre risposte negative arrivano dalla Corte costituzionale, arroccata a difendere una norma divenuta inutile che lede posizioni soggettive, costituzionalmente tutelate, e fa perdere tempo ad una sollecita e funzionale risposta alla domanda di giustizia da parte del presunto figlio naturale22. Non sono, infatti, mancate le chiusure della Consulta, secondo la quale si tratta di scelte discrezionali riservate al legislatore e di questione manifestamente inammissibile in base al rilievo che il giudizio preliminare ha ormai perduto le sue originarie caratteristiche di segretezza, e la domanda è riproponibile senza limiti di tempo23. Anche l’opzione per il rito camerale ex art. 38, co. 3, disp. att. c.c., nella parte in cui stabilisce che sulla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità il tribunale per i minorenni «provvede in camera di consiglio», è giudicata non rilevante ai fini della costituzionalità del giudizio di ammissibilità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.. L’ordinamento, infatti, conosce vari provvedimenti decisori adottati in camera di consiglio, in cui la procedura è disposta anche in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa (procedimento di separazione personale dei coniugi, interdizione, inabilitazione, assenza e dichiarazione di morte presunta). La scelta discrezionale di tale procedimento risponde a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed all’opportunità di adottare determinate forme processuali e, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità costituzionale, nei limiti in cui tale scelta non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali. Inoltre l’osservanza del dianche Cass., 2 ottobre 1987, n. 623, in Giur. costit., 1987, II, 2, 1215 e Cass., 14 ottobre 1984, in Giur. cost., 1986, II, 2, 800. 21 Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 621, in Foro it., 1988, I, 1744, in Cons. Stato, 1987, II, 1917, in Giur. cost., 1987, I, 3728, in Giust. civ., 1988, I, 311. 22 Per una puntuale formulazione, Naddeo, La filiazione naturale, in Autorino Stanzione, Il diritto di famiglia, Torino 2006, vol. IV, 174 ss. 23 Corte cost., 14 luglio 1988, n. 814, in Giur. cost., 1988, I, 3856. 158 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE ritto di difesa non preclude la possibilità che la relativa disciplina si conformi alle speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioè la garanzia del contraddittorio. Nel procedimento specificamente previsto dagli artt. 269 ss. c.c. per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, la difesa è pienamente garantita, non solo per ciò che riguarda l’instaurazione del contraddittorio (artt. 274 e 276), ma anche con riferimento all’esperibilità di «ogni mezzo» di prova (art. 269, co. 2 c.c.), il che rende possibile ogni opportuna «integrazione del materiale probatorio in funzione delle domande hinc et inde spiegate», così da far escludere la temuta riduzione delle «modalità di esplicazione del diritto di difesa se rapportate a quelle vigenti nell’ordinario processo di cognizione contenzioso»24. Tuttavia, nonostante il pensiero interpretativo della Consulta, si diffonde la convinzione che le limitazioni all’ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale non sono idonee a soddisfare l’esigenza di sottrarre la parte convenuta ad azioni temerarie o vessatorie (e tutelare la famiglia legittima). Infatti, il preventivo giudizio sulla ammissibilità dell’azione limita il diritto, costituzionalmente garantito, di chi vuole ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, senza che tale limite sia giustificato dalla tutela dei fondamentali diritti della persona dal pericolo di una persecuzione in giudizio temerario e vessatorio. 1.3. LA RIPROPOSIZIONE DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ NEGLI ANNI 2003 E 2004 FINO ALLA PRONUNCIA N. 50 DEL 2006. La Corte costituzionale ha inoltre riaffermato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale alla valutazione dell’interesse del minore, in riferimento agli artt. 3, 30 e 31 cost.25. Non senza aggiungere che è stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18 c.p.c., 274 c.c. e 38 disp. att. c.c., nella parte in cui escludono che nel giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale la competenza per territorio, qualora la 24 Corte cost., 30 giugno 1988, n. 748 in Giur. cost., 1988, I, 3439. 25 Corte cost., 3 luglio 1997, n. 216. in Foro it., 1998, I, 38. 159 AIAF QUADERNO 2008/1 causa riguardi un minore, venga individuata nel tribunale per i minorenni ove risiede il minore, in riferimento agli artt. 3, co. 1, 31, co. 1 e 2, e 24, co. 1, Cost.26. La Cassazione non si lascia convincere e rompe nuovamente gli indugi, ritornando alla carica. Ribadisce che non è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 274 c.c., in quanto la fase di ammissibilità del giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, così come in concreto attualmente disciplinata, viola l’art. 3, co. 1 e 2, Cost., per la contraddizione intrinseca della norma con gli obiettivi che essa si pone; ostacola la tutela dei figli naturali nella ricerca del loro status e della loro identità biologica, e pertanto contrasta con l’art. 30, co. 1 e l’art. 2 Cost., ed infine con il principio della ragionevole durata del procedimento giudiziario ex art. 111 Cost.27. La risposta della Consulta è secca, quasi stanca delle continue sollecitazioni28. Infatti dichiara manifestamente inammissibile la questione perchè il giudice rimettente aveva omesso ogni motivazione relativamente alla circostanza che nel giudizio avanti allo stesso era intervenuto un giudicato sull’ammissibilità della domanda, mancando altresì d’individuare correttamente la norma denunciata e le ragioni che la ispiravano anche alla luce della modifica apportata dalla pronunzia additiva di cui alla sentenza della Corte cost. n. 341/1990. Questa volta i giudici di legittimità non disarmano e, con ordinanza del 26 novembre 2004 n. 2235129, nel corso dello stesso processo di cassazione, ripropongono per la seconda volta la questione di costituzionalità dell’art. 274 c.c.. Occorre ricordare però che tra i giudici di legittimità non è mancato chi ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 274 c.c., per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non consente alle parti di esporre sin dall’inizio le proprie tesi difensive ed indicare possibili fonti di prova; infatti, nonostante la peculiarità della proce26 Corte cost., 19 giugno 1998, n. 228 in Fam. e dir., 1998, 419, con nota di Vullo, La competenza per territorio nel reclamo di stato di figlio naturale. 27 Cass. sez. I, 4 luglio 2003, n. 10625, in Fam. e dir., 2003, 538, con nota di Sesta, La sospetta illegittimità dell’art. 274 c.c.: che fine farà l’interesse del minore? 28 Corte cost. [ord.], 11 giugno 2004, n. 169 in Fam. e dir., 2004, 451, con nota di Sesta, La Consulta salva il giudizio di ammissibilità dell’azione di dichiarazione della genitorialità. 29 Pubblicata in Fam. e dir., 2005, 251 con nota di Morrone, La Corte di cassazione ripropone la questione di costituzionalità dell’art. 274 c.c. e postilla di Sesta. 160 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE dura (giustificata dalla materia, consistente in una sommaria delibazione che l’azione proposta non sia palesemente temeraria), resta pur sempre assicurato alle parti il diritto di conoscere gli elementi istruttori e svolgere le opportune difese, deducendo ogni circostanza utile e di esaminare gli atti dell’inchiesta sommaria, nonché il diritto di impugnare il decreto motivato del tribunale e di ricorrere per cassazione contro il provvedimento del giudice d’appello30. La Cassazione ripropone la questione sotto nuove angolazioni richiamando, nella stessa causa, la precedente ordinanza ritenuta in limine inammissibile dalla Corte costituzionale. Secondo la Cassazione si tratta di un atto istituzionalmente dovuto, altrimenti i giudici di legittimità sarebbero costretti a decidere la lite sulla base di una norma fortemente sospetta di incostituzionalità. E verrebbe così meno al dovere del giudice di soggezione alla legge (art. 101 Cost.), che (per il principio di gerarchia delle fonti) è dovere, in primis, di soggezione alla Costituzione e si specifica, per tal profilo, nel divieto di assumere a parametro del giudizio disposizioni di dubbia compatibilità con precetti costituzionali, ed a questi non adeguabili per via di esegesi correttiva (perché il testo, come in questo caso, non lo consente), senza sottoporre siffatte disposizione al vaglio del Giudice delle leggi ed avere da questi ottenuto la rimozione del dubbio di illegittimità o, alternativamente, della stessa disposizione (ove effettivamente) illegittima. Ai fini della “più compiuta individuazione del contenuto della norma denunciata”, si precisa che - in ragione del principio di necessaria rilevanza della questione prospettabile, essenziale alla struttura incidentale del giudizio di costituzionalità e che comporta, come suo corollario, la necessità di contenere la denuncia della noma sospetta di illegittimità entro i limiti della sua effettiva inerenza al caso concreto - nella fattispecie per cui è causa, in cui l’azione di riconoscimento è stata proposta “ai sensi dell’art. 269 c.c.”, da soggetto maggiorenne. E l’ordinanza precisa che non prende in esame le sentenze costituzionali nn. 341/90 e 216/97, per la parte in cui hanno additivamente rimodellato il procedimento delibatorio relativo a minori, che non viene qui in rilievo, trattandosi di maggiorenne. Il filtro, apprestato dalla procedura sub art. 274 c.c (in relazione all’azione ex art. 269 c.c.) non è più idoneo ad assolvere la finalità per cui era stato a suo tempo introdotto, di tutela del preteso genitore da istanze di 30 Cass., sez. I, 15 gennaio 2000, n. 424, in Rep. Foro it: 2000, v. Filiazione, n. 84. 161 AIAF QUADERNO 2008/1 riconoscimento ricattatorie o vessatorie. Il tutto reso ancor più evidente ove si consideri che, anche nell’ipotesi (statisticamente assai infrequente) di denegata autorizzazione all’azione, questa (in ragione della sua imprescrittibilità) può essere riproposta sulla base di nuove allegazioni, senza alcun limite temporale. Inoltre, per effetto della progressiva accentuazione del carattere contenzioso della procedura, risultano fortemente attenuati, nella fase di gravame, e comunque azzerati nella fase pubblica di cassazione, anche quei connotati di segretezza inizialmente garantiti. Infine, la Cassazione sottolinea come il meccanismo processuale governato dall’art. 274 c.c., «oltre a non evitare (per come dimostrato) si presta anzi ad incentivare, per sua stessa struttura, strumentalizzazioni sia da parte del convenuto che (utilizzando le varie impugnative esperibili contro il provvedimento autorizzatorio) è in grado di differire a tempo indeterminato il giudizio di merito, sia da parte dello stesso istante che, attraverso una programmata graduazione della produzione probatoria, è in grado di assicurarsi una reiterabilità, anche in questo caso a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento (sì che a fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo, proprio per la non conseguibilità di un giudicato di merito sulla infondatezza della domanda)». La Cassazione ripropone, dunque, la questione di legittimità dell’art. 274 c.c., quanto agli aspetti, già evidenziati, dell’eccesso di potere legislativo per sopravvenuta irragionevolezza intrinseca della norma, della ingiustificata disparità di trattamento, che ne deriva, tra figli naturali e legittimi in tema di riconoscimento della paternità del vulnus alla effettività di tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica, che la coscienza sociale avverte come essenziali allo sviluppo della persona, del precetto della “ragionevole durata del processo”, anche in relazione all’art. 6 paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cui l’Italia si è impegnata a dare concreta attuazione. È la terza volta che la questione torna alla Consulta, in quanto con una prima decisione era stato dichiarata la nullità per difetto di contraddittorio tra tutti i possibili eredi del defunto preteso genitore, affermando che la domanda di dichiarazione di paternità, naturale, implicando questioni attinenti allo status delle persone, rende indispensabile la partecipazione di tutti i soggetti la cui sfera giuridica, tanto per l’aspetto personale che patrimoniale, è suscettibile di subire effetti in seguito alla formazione di uno status diverso da quello originario; consegue che nel procedimen162 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE to per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale la legittimazione spetta, in mancanza del presunto genitore, ai suoi eredi, ricompresi tra questi gli eredi degli eredi, che non possono essere considerati semplici interessati ai sensi dell’art. 276 c.c. e che acquistano la veste di litisconsorti necessari31. Una seconda volta, in sede di regolamento di competenza, utilizzato ex art. 42 c.p.c. per superare la sospensione del processo disposta in attesa della conclusione di quello di ammissibilità32. Nel terzo caso la Corte d’appello di Venezia aveva dichiarato improponibile la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità per la carenza del previo giudizio di ammissibilità dell’azione. I profili di costituzionalità posti in discussione concernono: a) la sopravvenuta irragionevolezza intrinseca della norma che vive avulsa dalla originale ratio; b) la discriminazione nei confronti dei figli naturali, non sussistendo analogo procedimento per le azioni di accertamento della filiazione legittima; c) il carattere ostativo della procedura rispetto alla tutela dei diritti fondamentali dei figli naturali; d) il contrasto della fase di ammissibilità con l’art. 111 cost. e la ragionevole durata del processo. La Corte costituzionale supera la precedente questione di inammissibilità, perché nessun giudicato ostativo è intervenuto nel corso di un processo iniziato e lo stesso è stato proposto da un maggiorenne e perviene finalmente a cancellare l’art. 274 c.c. Il punto centrale dell’intervenuta incostituzionalità dell’art. 274 c.c. è che l’attuale disciplina con le modifiche di tipo processuale e il conseguente diritto vivente del giudizio di ammissibilità “ha totalmente vanificato” la funzione prevista dal codice del 1942 e cioè la protezione del convenuto da iniziative temerarie e vessatorie. La disposizione dell’art. 274 c.c. si prestava ad una possibile strumentalizzazione da parte di entrambi i contendenti con una reiterabilità della procedura a tempo indeterminato. La Corte costituzionale, dopo 41 anni, riconosce finalmente l’irragionevo31 Cass., sez. I, 12 settembre 1997, n. 9033, in Fam. e dir., 1998, 22, con nota di Carbone, Morte del presunto padre naturale: legittimati passivi i primi eredi o anche gli eredi successivi? Questione oggi risolta da Cass. sez. un. 3 novembre 2005, n. 21287, in Corr. giur., 2006, 3, 347 con nota di Ferrando. 32 Cass. 2 agosto 1999, n. 8342 su regolamento di competenza non massimata e quindi inedita. 163 AIAF QUADERNO 2008/1 lezza della norma che costituiva un grave ostacolo all’azione di dichiarazione di paternità naturale garantita dall’art. 24 cost. con un’irragionevole durata del processo in contrasto con l’art. 111 cost. La Corte si affretta a precisare che la norma è incostituzionale per tutti i figli naturali sia se maggiorenni sia se minorenni, poiché l’incostituzionalità coinvolge l’intero procedimento di ammissibilità, sia nella struttura che nella funzione. Tanto tuonò che piovve! Ma quanti inutili fiumi di inchiostro in sentenze e commenti in oltre trenta lunghissimi anni? Non si poteva evitare, nell’interesse del “servizio giustizia” (art. 110 cost.), questo lungo ed estenuante braccio di ferro, dato che sin dall’inizio, a tutti, era parso ormai chiaro che dopo la “ricarburazione” processuale del 1971, si trattava di “un ramo secco”, incoerente con il diritto costituzionalmente riconosciuto del figlio naturale all’accertamento della paternità naturale? O forse, come rileva Santi Romano33, il giurista a volte preferisce giocare con i problemi piuttosto che risolverli? II PATERNITÀ BIOLOGICA: NON OCCORRE L’ADULTERIO BASTA LA PROVA DEL D.N.A. PER IL DISCONOSCIMENTO. 2.1. CONTESTO NORMATIVO E “DIRITTO VIVENTE”. Il nuovo diritto di famiglia non può non tener conto di altra dibattuta controversia sollevata su sollecitazione sia della Corte di cassazione34, che dei giudici di merito35: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 235, co. 1, n. 3, c.c., “nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio”. La formulazione non è quella originaria del codice del 1942, ma quella 33 Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano 1953, 115 ss. 117 ss. 34 Cass. Sez. I, 5 giugno 2004, n. 10742, in Fam. e dir. 2004, 569 con nota di Bolondi, La prova dell’adulterio al vaglio della Corte costituzionale. 35 Trib. Rovigo 29 ottobre 2004 in Gazz. Uff. Corte Cost. 20 aprile 2005, n. 16, 102 e App. Venezia 30 marzo 2005 in Gazz. Uff. Corte Cost. 29 giugno 2005 n. 26, 78. 164 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE dovuta alla novella operata dall’art. 93 della l. 19 maggio 1975 n. 151, nel contesto della riforma del diritto di famiglia, con ampliamento della legittimazione a proporre il disconoscimento di paternità anche alla madre e al figlio che ha raggiunto la maggiore età, e ulteriormente estesa – con l’art. 81 della l. 4 maggio 1983, n. 184 che ha modificato l’ultimo co. dell’art. 244 c.c. – al curatore speciale, nominato dal giudice, su istanza del figlio minore che abbia raggiunto i sedici anni o del P.M.36 per i minori di età inferiore, con esclusione del padre naturale37. La questione si era agitata in dottrina sotto il profilo del rilievo da conferire alla prova dell’adulterio38, un tempo elemento discriminante tra uomo e donna sotto il profilo penale (punito, dal codice penale del 1931, solo quello della donna, e non quello dell’uomo tranne che non avesse raggiunto livelli di concubinato39), ma anche sotto il profilo dell’irriconoscibilità dei figli adulterini, caduto con la riforma del 1975 che ne ammette il riconoscimento, con il vigente art. 250 c.c., come novellato dall’art. 102 della l. 19 maggio 1975 n. 151. Il punctus dolens è dovuto all’imperfezione della norma4040, che non evidenzia la diversa portata strutturale tra i primi due casi (mancanza di coabitazione e impotenza del marito41) che escludono ogni possibilità di 36 Secondo Corte cost. (sentenza 27 novembre 1991 n. 429, in Giur. it. 1992, I, l., 385, con nota di D’Amico, Va riconosciuto l’interesse della parte privata (estranea al processo a quo) ad intervenire nel giudizio costituzionale) è infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 244, co. 4, c.c., nella parte in cui nel procedimento per la nomina di un curatore speciale da parte del tribunale, dietro iniziativa del p.m., per la promozione dell’azione di disconoscimento di paternità, non viene considerato l’interesse del minore sia nella fase di iniziativa del p.m., sia in quella del successivo provvedimento del tribunale, in riferimento all’art. 3 Cost. 37 La legittimazione non include il padre naturale: Cass., sez. I, 6 aprile 1995, n. 4035, in Giust. civ., 1995, I, 2401, ha ritenuto che non esiste alcuna legittimazione del presunto genitore naturale, il quale come non può promuovere il relativo procedimento, né intervenirvi, così non è legittimato ad impugnare il provvedimento di revoca del decreto di nomina di un curatore speciale al minore infrasedicenne, adottato ai sensi dell’art. 244, ultimo co., c.c. 38 Ancora sulla distinzione tra adulterio civile e penale, Granelli, L’azione di disconoscimento della paternità, Milano 1966, 168. 39 Chi non ricorda la sentenza storica di Corte cost. 18 aprile 1974 n. 99, in Foro it. 1974, I, 1574, in Giur. cost., 1974, I, 1396 con nota di Rescigno. 40 Non a torto in sede di lavori preparatori il sen. Carraro insistette per scorporare e rendere autonoma in un apposito punto 4 l’ipotesi dell’incompatibilità genetica: A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, vol. II, t.1, 50; Sesta, La filiazione, in Tratt. Bessone, vol. IV. T. III, Torino 1999, n.45 s.s. 41 Sull’impotenza la Corte costituzionale (Corte Cost. 26 settembre 1998, n. 347, in Corr. giur., 1998, 11, 1294, con nota di Carbone, Riconoscimento di paternità e inseminazione eterologa: la Corte costituzionale non risolve il problema), ha ritenuto inammissibile la questione 165 AIAF QUADERNO 2008/1 confusione sulla genesi della gravidanza e della nascita, - sicchè la loro prova è, di per sé, anche prova dell’impossibilità della paternità biologica – e la terza ipotesi (adulterio o celamento della gravidanza) in cui la prova del fatto non è da sola sufficiente ad escludere la paternità biologica, potendo sussistere rapporti tra i coniugi idonei alla procreazione, nonostante l’adulterio o il celamento della gravidanza42. Inoltre l’art. 235 c.c., ora dichiarato incostituzionale, risulta ancora rapportato ai casi tassativi di epoca napoleonica, ed è stato dal “diritto vivente”43 interpretato restrittivamente, nel senso che l’indagine sul verificarsi dell’adulterio è stata ritenuta preliminare rispetto alla sussistenza o meno del rapporto procreativo, conferendo all’adulterio il ruolo di primo, anche se non sufficiente, elemento per escludere la paternità44. Solo dopo aver provato l’adulterio, poteva aver ingresso la prova genetica o ematologia per escludere definitivamente la paternità biologica, con l’inutile precisazione della dignità probatoria di siffatta prova, come un normale mezzo istruttorio, e non di sola istanza diretta a sollecitare l’esercizio di un potere proprio del giudice. Peraltro, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, la prova genetica poteva essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento della certezza dell’adulterio, al diverso fine non dell’amdi legittimità costituzionale dell’art. 235, co. 1, n. 2, c.c., nella parte in cui consentirebbe l’azione di disconoscimento di paternità al marito che, affetto da impotenza nel periodo che va dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita del figlio concepito durante il matrimonio, abbi dato il proprio consenso all’inseminazione artificiale eterologa della moglie. Inoltre (Corte cost. 14 maggio 1999, n. 170, in Corr. giur., 1999, 9, 1097, con nota di Carbone, Anche la madre può disconoscere il figlio da quando sa che il padre non è il marito), ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 24 Cost., l’art. 244, co. 2, c.c., nella parte in cui non prevede che il termine per l’azione di disconoscimento della paternità, nell’ipotesi di impotenza a generare, contemplata dal n. 2 dell’art. 235 c.c., decorra per il marito e per la moglie, rispettivamente, dal giorno in cui ciascuno dei coniugi sia venuto a conoscenza di tale circostanza. 42 De Cupis, Della filiazione legittima, in Comm. al dir. it. della famiglia, vol. IV, Padova 1992, 23 ss.; Finocchiaro, il disconoscimento di paternità, in Fam. e dir. 1994, 317; Sesta, Diritto di famiglia, Padova 2005, 505 s.s. Sciancalepore, Filiazione legittima, in Autorino Stanzione, Il diritto di famiglia, cit. vol. IV, 35 s.s. 43 Secondo Cass. 11 maggio 1982, n. 2925, in Giust. civ., 1982, I, 2710, in Foro it., 1983, I, 149, in tema di azione di disconoscimento della paternità, la prova dell’adulterio o del celamento della gravidanza e della nascita non è sufficiente per l’accoglimento della domanda, ma deve essere integrata da altri fatti o circostanze inconciliabili con la paternità, tra i quali l’art. 235 c.c. annovera specificamente le caratteristiche genetiche o l’incompatibilità del gruppo sanguigno del presunto padre. 44 La Corte costituzionale (Corte cost. 14 gennaio 1986, n. 9, in Giur. cost. 1986, I, 64) ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24, cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 244, co. 2, c.c., nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell’art. 235 stesso codice, che il termine per l’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito è venuto a sconoscenza dell’adulterio della moglie. 166 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE missibilità, ma di stabilire il fondamento, nel merito, della domanda. La giurisprudenza di legittimità si era quindi attestata, erroneamente, sul principio di diritto che, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità per adulterio della moglie, l’adulterio medesimo dovesse essere autonomamente dimostrato, senza possibilità di avvalersi degli elementi forniti dalla prova genetica od ematologia, la quale, ancorché espletata contemporaneamente con la prova sull’adulterio, poteva essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di detta dimostrazione45. Si è altresì precisato che la prova non è vincolata da eventuali ammissioni rese dalla moglie – le quali, riguardando diritti indisponibili, configurano elementi liberamente apprezzabili dal giudice (art. 2733 co. 2 c.c., nonché art. 235 co. 2 c.c.)46 – e che l’azione per il disconoscimento di paternità del figlio, concepito durante il matrimonio, è consentita solo se la moglie ha commesso adulterio nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita. Più volte la domanda di disconoscimento è stata rigettata ove il marito, anziché dare la prova dell’adulterio commesso dalla moglie nel detto periodo, si era limitato, da un lato, a dimostrare che quest’ultima aveva ammesso che il marito non era il genitore di uno dei figli nei cui confronti era stata esperita l’azione di disconoscimento, e, dall’altro, a produrre i risultati di esami ematologici cui erano stati sottoposti sia l’attore che i figli47. Inoltre, ad una prima, parziale apertura – in cui si riconosceva che il giudice poteva ammettere le prove genetiche e/o ematologiche contemporaneamente a quelle inerenti all’adulterio ed, in presenza del rifiuto ingiustificato all’espletamento della prova ematologia, poteva ritenere tale comportamento sufficiente ad integrare, con altre risultanze processuali, la prova dell’adulterio ai fini dell’esclusione della paternità48 – è poi seguita una chiusura interpretativa, ritenendosi che la prova ematologia o genetica non poteva essere ammessa per integrare quella (insufficiente o mancante) dell’adulterio o 45 Cass. Sez. I, 23 gennaio 1984, n. 541, in Giust. civ. 1985, I, 735 con note di Finocchiaro, L’azione di disconoscimento di paternità e la prova dell’adulterio della moglie a mezzo di esami ematologici e/o genetici e di Terranova, Disconoscimento del figlio di genitori separati e disciplina transitoria della legge di riforma. 46 Cass. Sez. I, 20 febbraio 1992, n. 2113, in Rep. Foro it. 1992, v. Filiazione, n. 27. 47 Cass., sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14887, in Giust. civ. 2002, I, 2739. 48 Cass. 12 novembre 1984, n. 5687, in Giust. civ. 1985, I, 734, con le citate note di Finocchiaro e di Terranova (supra nota 45). 167 AIAF QUADERNO 2008/1 del celamento della gravidanza, dal momento che questi fatti dovevano essere autonomamente provati per dare ingresso alle dette prove tecniche, con la conseguenza che il rifiuto della parte di sottoporsi al prelievo era irrilevante, ai fini dell’accoglimento della domanda, ove non fosse stata raggiunta la prova dell’adulterio o del celamento della gravidanza49. Nemmeno la dottrina si è dimostrata compatta, perché mentre alcuni50 sostenevano che preliminarmente doveva essere dimostrato l’adulterio, come condizione di ammissibilità dell’azione, mentre le prove genetiche potevano avere ingresso solo successivamente alla raggiunta prova dell’adulterio, altri qualificavano “iniqua”51 la giurisprudenza che riteneva “insufficiente” l’incompatibilità genetica tra il padre e figlio52. 2.2. IL FAVOR VERITATIS PREVALE SUL FAVOR LEGITIMITATIS E MODIFICA STRUTTURA E FINALITÀ DELL’AZIONE DI DISCONOSCIMENTO. La decisione in commento non prende posizione sulla questione di fondo se debba prevalere la paternità presunta o legale, anche se non corrispondente alla realtà, ovvero quella effettiva o biologica. Non affronta il dilemma se sia preferibile un padre legittimo, anche se putativo, ovvero il padre biologico. Nella famiglia d’oggi, le certezze e i valori sono diversi per cui ad un soggetto che è ritenuto e si comporta come padre, als Vater gilt è preferibile il padre biologico o genetico, cioè il vero padre, als Vater ist che trasferisce al figlio un patrimonio genetico. Diversa la posizione dei giudici di legittimità53 che non affrontano il vero quesito sulla 49 Cass. 5 gennaio 1984, n. 20, in Giust. civ. 1985, I, 734 con le ricordate note di Finocchiaro e Terranova. 50 Cattaneo, La filiazione legittima: lo stato di figlio legittimo e le prove della filiazione, Torino 1982, 199; Id. Filiazione legittima, in Comm. Scialoja e Branca, sub art. 235 c.c., BolognaRoma 1988, 113 c.c. 51 L’espressione è di Biscontini, La filiazione legittima in Il diritto di famiglia diretto da Bonilini e Cattaneo, vol.III, Torino 1987, 113. 52 Vercellone, La filiazione, in Tratt. Vassalli, cit., 72 che sostiene il valore “polivalente” della prova genetica. 53 Cass., sez. I, 17 agosto 1998, n. 8087, in Fam. e dir. 1998, 427 con la citata nota di Carbone, È preferibile un padre putativo a quello biologico? afferma che la prova genetica e/o ematologia non può essere ammessa per integrare quella, carente, sull’adulterio della moglie (ovvero sul celamento della gravidanza), ipotesi tutte previste al n. 3 del co. 1 del citato art. 235 c.c. tra quelle che consentono l’azione di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio; ed infatti, l’adulterio, come il celamento della gravidanza e della nascita, devono essere preliminarmente ed autonomamente provati, quali condizioni per dare ingresso alle prove genetiche o del gruppo sanguigno, le quali, pertanto, anche se espletate contemporaneamente alla prova delle circostanze citate, possono essere esaminate 168 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE scelta di fondo che significa abbandonare la sponda del favor legitimitatis e traghettare il diritto di famiglia sull’altra sponda del favor veritatis, il prevalere della verità biologica, dimostrata con il d.n.a., rispetto a quella putativa, ritenuta comunque di maggior interesse per il minore. Anche i giudici costituzionali evitano un’opzione di fondo e preferiscono inquadrare la significativa scelta nello scenario del mutato costume familiare, sottolineando i cambiamenti dei modelli di vita della società italiana, che coin volgono anche i rapporti coniugali, modificati, tra l’altro, per effetto della diffusione del lavoro femminile, della mobilità richiesta alle donne che lavorano e della lontananza dei luoghi di lavoro dall’abitazione, senza neppure sottolineare gli enormi progressi della ricerca scientifica in tema di procreazione artificiale 54 Com’è evidente, il contesto da cui era partita la legge di riforma del diritto di famiglia nel richiedere una doppia prova, anche se non sullo stesso piano, era dovuto alla considerazione che il mero adulterio non fa venir meno la presunzione di paternità del coniuge, il cd. favor legitimitatis, potendo ben essere compatibile un attento e controllato rapporto adulterino con la paternità biologica del figlio, spettante al marito. Non a caso l’art. 1.600 del codice civile brasiliano approvato con l. 10.406 del 10. 1. 2002 afferma “Non è sufficiente l’adulterio della moglie, anche se confessato, per vincere la presunzione legale di paternità” 55. Inoltre non tutti avevano recepito o erano pervenuti alla piena e convinta metabolizzazione delle scoperte scientifiche sul d.n.a. e sull’incompatibilità dei fattori genetici, per cui oggi, tra marcatori genetici e polimorfismi del d.n.a., si ha la certezza scientifica (100%) al fine dell’esclusione del rapporto biologico tra padre e figlio56. Il giudice costituzionale si dichiara costretto ad ammettere la piena irrilevanza dell’adulterio, in sé, ai fini del disconoscimento di paternità e a dichiarare incostituzionale l’art. 235 co. 1 n. 3 c.c., perché una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’art. 235, co.1, n. 3 - che consideri indirettasolo subordinatamente al raggiungimento di questa, ed al diverso fine di stabilire il fondamento nel merito della domanda. 54 Cirillo, La progressiva conoscenza del genoma umano: tutela della persona e problemi giuridici connessi con la protezione dei dati genetici, in Riv. dir. civ., 2002, 11, 399; Lenti, La procreazione artificiale. Genoma della persona e attribuzione della paternità, Padova 1993, 31 ss.; Santosuosso, La fe condazione artificiale umana, Milano 1984, 41 ss. 55 P. Carbone, Il nuovo codice brasiliano, Milano 2002, 178. 56 Ranalletta, La prova della paternità mediante il calcolo biostatico, Milano 1989, 37 ss. 169 AIAF QUADERNO 2008/1 mente raggiunta la prova dell’adulterio attraverso la esclusione della paternità a seguito dei risultati della prova genetica o ematologica - risulta preclusa, non tanto dalla volontà della legge, desumibile anche dai lavori parlamentari per la riforma del diritto di famiglia, di non consentire il disconoscimento della paternità sulla base dei risultati degli accertamento tecnici genetici e/o ematologici, quanto, soprattutto, dalla voluntas legis, così come interpretata dal “diritto vivente” applicato dai giudici di legittimità. La decisione riporta l’indirizzo interpretativo preclusivo della Corte di cassazione, ricordando anche qualche timido tentativo subito rientrato. Era stato affermato che l’art. 235, co. 1, c.c., non impediva al giudice del merito, che ne ravvisasse l’opportunità, di ammettere ed espletare le prove tecniche contemporaneamente a quelle inerenti all’adulterio. Nella fattispecie, il giudice aveva integrato il proprio convincimento sull’esistenza dell’adulterio con la valutazione dell’ingiustificato rifiuto opposto dai controinteressati all’espletamento della prova ematologica, ritenendo tale rifiuto come prova della non paternità, e ciò soprattutto perché, a causa del progresso scientifico verificatosi negli ultimi tempi, detta prova aveva assunto il valore di piena prova della esistenza o non esistenza del rapporto di filiazione57. Tuttavia, un siffatto, approccio inter pretativo - già all’epoca contrastato58 - è stato, successivamente, abbandonato, per un diverso “diritto vivente” per il quale l’indagine sull’avvenuto adulterio della moglie ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo, con la conseguenza che la prova genetica o ematologica, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima, e al diverso fine di stabilire il fondamento nel merito della domanda. Con l’ulteriore corollario che, in difetto di prova dell’adulterio, anche in presenza della dimostrazione che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, l’azione di disconoscimento della paternità deve essere respinta59. In presenza di tale “diritto vivente”, ascrivibile all’interpretazione dei giudici di legittimità, non sono proponibili differenti soluzioni inter57 Cfr. la ricordata sentenza n. 5687 del 1984, citata supra n. 48. 58 Cfr. le richiamate sentenze 541 e 20 del 1984 citate supra, note 45 e 49. 59 Tra le altre, cfr. le citate decisioni (Cass. n. 2113 del 1992, n. 8087 del 1998, n. 14887 del 2002), rispettivamente nelle note 46, 53 e 47. 170 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE pretative, ma va accertato se lo stesso sia o meno conforme ai principi costituzionali. La decisione della Corte costituzionale non segue un’ispirazione univoca e non privilegia l’uno o l’altro degli indirizzi in contrasto, ma riunisce ed assembla, shakerandole in un’unica motivazione, tutte le esigenze presenti nello scenario del diritto. Da un lato, ammette i progressi della scienza biomedica che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono, con la massima certezza, di accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione. Dall’altro, riconosce come i mutati costumi e l’evoluzione dei rapporti uomo-donna hanno determinato una notevole difficoltà pratica di fornire, per chi agisce in disconoscimento, una piena prova dell’adulterio. Sottolinea inoltre l’ontologica insufficienza di tale prova ad escludere la paternità (si pensi alla inseminazione artificiale o alla vecchia ipotesi del diritto canonico della mera depositio serminis ad os vaginae che evi tava il rapporto fisico). Non senza aggiungere, come elemento di contorno, una più vasta legittimazione estesa ora anche alla madre e al figlio maggiorenne o anche minorenne, con l’esclusione del solo genitore naturale60. Senza volerlo dichiarare, la Corte costituzionale finisce, inesorabilmente, con l’emettere un forte segnale in favore della paternità biologica, che prevale su quella putativa, con il conseguente abbandono, in definitiva, del favor legitimitatis ove non sia sorretto dalla paternità effettiva, essendo “l’identità biologica”61 un diritto fondamentale attinente allo status della persona, da tutelare. 2.3. L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO DI FAMIGLIA DOPO IL TERZO INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL’AZIONE DI DISCONOSCIMENTO. Il meccanismo si era già messo il moto con l’altro revirement operato dalla Corte con la sentenza che ritenne necessaria l’introduzione di un diverso dies a quo del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di disconoscimento62 - originariamente di tre mesi nel 1942 e poi portato ad 60 Cfr. la ricordata decisione di Cass., sez., 6 aprile 1955, n. 4035 citata retro, alla nota 37. 61 Cfr. Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50 in Corr. giur., 2006, 4, 497 con nota di Carbone, Paternità naturale: incostituzionale la fase preliminare del giudizio. 62 In origine Corte cost., 1 aprile 1983, n. 64, in Foro it., 1982,1, 2127, con nota di Jannarelli, in Giust, civ., 1982, 1, 1143, in Giur. it., 1982, 949 ritenne infondata la questione 171 AIAF QUADERNO 2008/1 un anno con la riforma del 1975 - con la precisazione sistematica che divenuta irrilevante la prova dell’adulterio della moglie, il termine per l’azione di disconoscimento decorreva non più dalla conoscenza dell’adulterio, ma dalla notizia certa del diverso d.n.a. del figlio, e cioè dalla consapevolezza di una paternità non biologica, ma meramente putativa e, quindi, non effettiva. Infine non va sottaciuto l’allargamento della legittimazione all’esercizio dell’azione di disconoscimento, estesa anche alla madre con un diverso termine (sei mesi) e un diverso dies a quo (la nascita del figlio, tranne il caso di non conosciuta impotenza del marito)63, nonché ai figli maggiorenni e minorenni, con la perdurante esclusione del solo padre naturale64. In tal modo, si viene a stabilire un collegamento tra la filiazione legittima e quella naturale, pur con tutte le innegabili differenze strutturali e di tutela65, perché lo stesso ordinamento italiano non conosce limitazioni probatorie66 in tema di impugnazione sia del riconoscimento del figlio di costituzionalità dell’art. 244 c.c. nella parte in cui dispone che il termine per l’azione di disconoscimento della paternità promossa dal marito decorra dalla nascita del figlio o dalla notizia che egli ne ha e non dalla conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento. Con un vero e proprio revirement la Corte cost. richiamando ancora una volta l’art 24, co. primo Cost., dichiara incostituzionale l’art. 244, co. 2, cc. nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell’art. 235 c.c., che il termine per proporre l’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie. La sentenza 6 maggio 1985, n. 134, in Corr. giur., 1985, 7, 738, con nota di Carbone, Il padre può disconoscere il figlio da quando sa che non è suo, in Foro it., 1985, 1, 2532 con nota di Amatucci, Disconoscimento per adulterio: effetti della sentenza additiva della corte costituzionale, in Giust. civ., 1985,1, 2142, con nota di Finocchiaro, “Adelante, Pedro, con judicio”, ovvero: l’evoluzione della coscienza collettiva e l’incostituzionalità dell’art. 244 c.c., in Giur, i t , 1985, 1, 1, 1153, con nota di De Cupis, Adulterio e decor renza all’azione di disconoscimento della paternità. 63 La Corte cost. (con sentenza, 14 maggio 1999, n. 170, in Corr. giur., 1999, 9, 1097, con nota di Carbone, Anche la madre può disconoscere il figlio da quando sa che il padre non è il marito), ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 24 cost., l’art. 244, co. 2, c.c., nella parte in cui non prevede che il termine per l’azione di disconoscimento della paternità, nell’ipotesi di impotenza a generare, contemplata dal n. 2 dell’art. 235 cc., decorra per il marito e per la moglie, rispettivamente, dal giorno in cui ciascuno dei coniugi sia venuto a conoscenza di tale circostanza. 64 Sull’interesse ad agire del padre biologico, anche se naturale, Cossu, Filiazione legittima e naturale, in La famiglia, vol. III, Torino 2000, 218. 65 La situazione del figlio legittimo, il cui status può essere contestato dal padre entro termini di decadenza stante la presunzione di paternità, e la situazione del figlio riconosciuto, il cui status è tutelato solo in considerazione della veridicità della filiazione, non sono tra loro comparabili; pertanto, è infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., per violazione dell’ars. 3 cost. sollevata sotto il profilo che, mentre l’azione per l’impugnazione della veridicità del riconoscimento del figlio naturale è imprescrittibile, invece l’azione di disconoscimento del figlio legittimo deve essere proposta entro termini di decadenza”: cosi nel 1991, Corte cost., 18.4.1991, n. 158, in Giur. cost., 1991, 2422, con nota di Caterini, Filiazione naturale e adozione nello “statuto dei diritti del minore”. 66 Anche il rifiuto di sottoporsi ad esami genetici può costituire elemento probatorio, Car- 172 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE naturale per difetto di veridicità, a norma dell’ars. 26367, sia della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, a norma dell’art. 269, co. 2, c.c., resa possibile anche per i figli incestuosi68. Sia pure in ritardo e con l’opera faticosa della giurisprudenza, l’Italia si avvicina agli altri paesi europei, quali Francia69, Germania70 e Svizzera71, dove l’azione di disconoscimento risulta incentrata sulla mancanza di legame biologico tra il presunto padre ed il figlio che si intende disconoscere. Si è anticipato il legislatore, cogliendo quella evoluzione del costume sociale e armonizzando con i principi costituzionali l’istituto del disconoscimento di paternità, intervenendo in modo significativo oltre che sulla disciplina della decorrenza dei termini per proporre l’azione (art. 244 c.c.), anche sull’inutilità della prova preventiva dell’adulterio “nascosto”72 o inutilmente ammesso. bone, Rifiuto equivale ad ammissione? nota a Cass. 24 febbraio 1997 n. 1661, in Fam. e dir. 1997, 105 ss.; Cass. 7 novembre 2001 n. 13766, ivi 2002, 127 con nota di Frassinetti, Prova ematologia e tutela della riservatezza; Cass. 19 settembre 1997 n. 9307, ivi 1997, 505 ss. con nota di Gioia, La prova biologica della paternità naturale: la parola torna alla Cassazione. 67 È stata, infatti ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, co. 2, cc., nella parte in cui ammette l’impugnativa del riconoscimento, anche dopo la legittimazione del figlio naturale, da parte di chiunque vi abbia interesse: Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 625, in Giur. cost., 1987, 1, 3752; Quadri, Accertamento della filiazione interesse del minore, in Fam. e dir. 2003, 97 ss. 68 Infatti, Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Giur. it., 2004, 15, con nota di De Grazia, I diritti dei « figli incestuosi» al vaglio della corte costituzionale - Osservazioni a margine della sentenza n. 494/2002, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 278, co. I, c.c. nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell’art. 251, co. 1, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato. Rimanendo fermo il divieto di riconoscimento, l’art. 269, cc., deve essere interpretato nel senso che la paternità e la maternità naturali possono essere dichiarate nelle ipotesi in cui il riconoscimento è ammesso, ma non nel senso reciproco: cioè anche che il riconoscimento sia effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi possa essere la dichiarazione giudiziale. 69 Il vigente art. 312 co. 2 c.c., Cod. Nap., legittima il padre che agisce in disconoscimento ad addurre fatti idonei a dimostrare che egli non può essere il padre: “faits propres à démontrer qu’il ne peut pas en être le père». E la giurisprudenza precisa che “la preuve de la non-paternité du mari peut se faire par touts moyen: Cass. civ. 1re, 18 maggio 1989, in Gaz. Pal. 1990, 1, 91 con nota di Massip. Si tratta di «vérité biologique»: Hauser e Huet-Weiller, La famille, in Ghestin, Traité de droit civil, 2 ed., cit., 329. 70 L’inesistenza della paternità o Nichtbestehen des Vaterschaft di cui al § 1599 des B.G.B. può essere fatta valere nel termine di due anni che decorre dal momento in cui il padre “ha conoscenza delle circostanze che depongono contro la paternità”: Umstanden die gegen die Vaterschaft sprechen”, § 1600-b, in Patti, Codice civile tedesco, Milano 2005, 989. 71 Dopo la modifica avvenuta nel 1976, l’art. 256 del cod. svizzero stabilisce che l’azione deve essere accolta se si dimostra che il marito non è il padre. Per altri profili di diritto comparato, Uccella, La filiazione nel diritto italiano e internazionale, Padova 2001, 57 ss. 72 L’espressione è di Vercellone, La filiazione cit., 72, e va condivisa poiché “l’adulterio è fatto la cui conoscenza può essere preclusa per molto tempo”. Si pensi alla giurisprudenza 173 AIAF QUADERNO 2008/1 Con questa decisione si è rimossa quella ambiguità di fondo, quella sorta di inerzia culturale di fronte al fatto nuovo di tecniche e risultati scientifici di assoluto rilievo, relativi alle prove sull’incompatibilità genetica che danno indiscussa certezza di poter escludere la paternità al dì là di presunzioni, ricostruzioni o indizi di vario genere: le più sofisticate ricerche scientifiche tra prove ematologiche e prove genetiche (doppia elica del d.n.a.) che hanno stravolto il precedente sistema probatorio, - tanto da trovare accoglimento nel testo dell’art. 235 c.c. - facendo della ricerca della paternità biologica il punto d’arrivo di un ordinamento civile che non deve far più ricorso a padri putativi73. Tirando le fila del discorso si deve riconoscere l’evoluzione dell’azione di disconoscimento di paternità, nata come azione di accertamento negativo dello status di figlio legittimo, e oggi costruita come azione avente natura costitutiva, diretta a rendere inoperante la presunzione di paternità ex art. 231 c.c. nei confronti di un figlio nato vivo74, in base ad un rapporto della moglie con un terzo. In tal modo si viene a produrre una nuova situazione giuridica familiare sulla base dell’effettiva paternità biologica, diversa da quella precedente a seguito della retroattiva eliminazione dello status di figlio legittimo. Cade la necessità della prova preliminare dell’adulterio della donna rispetto all’accertata incompatibilità genetica, cade l’indirizzo giurisprudenziale minoritario che, in una prospettiva del tutto antistorica, continuava a privilegiare l’apparenza di “famiglia legittima”, ritenendo che per un figlio, concepito da una donna coniugata con un uomo diverso dal padre, sia preferibile “apparire” figlio legittimo, ma putativo del marito, anziché acquisire il vero status di figlio nato al di fuori del matrimonio. Si prende atto delle incisive modifiche apportate dai mutamenti del costume alla vita familiare, recepite in parte dal modificato sistema normativo, ed in parte anticipate dall’interpretazione del giudice di legittimità75 o dagli interventi della stessa Corte costituzionale. americana sul caso Baby J, Carbone, Il caso Baby J, in Fam. e dir. 1997, 405 ss. 73 Tutto comincia nel 1900 quando Landsteiner scoprì che le proprietà agglutinanti del sangue non sono uguali per tutti gli individui. Si aprì la strada alla compatibilità dei gruppi sanguigni tra padre figlio (A, B, O), fino alla scoperta del fattore Rh (dalla scimmia Rhesus) raggiungendo un approfondita e sicura conoscenza dei gruppi sanguigni. 74 Sesta, Sul disconoscimento di paternità del figlio nato morto, in Giur. it. 1975,1,2, 283. 75 Si richiamano le decisioni delle sezioni unite che hanno distinto tra rapporti patrimoniali e personali: Cass. sez. un. 3 dicembre 2001 n. 15248 e 4 dicembre 2001 n. 15279, in Corr. giur. 2002, 1, 25 con nota di Carbone, Separazioni e divorzi più rapidi: i rapporti personali non sono più condizionabili da quelli patrimoniali. 174 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Il test del d.n.a. prova non soltanto le conseguenze “fattuali”, ma anche l’adulterio. Di fronte ad un tessuto normativo in forte evoluzione, connotato da successivi e ripetuti interventi nonché da continui rattoppi da parte del giudice di legittimità costituzionale delle leggi, non vi dovrebbero essere più dubbi sull’opzione interpretativa da adottare. La norma dichiarata incostituzionale (art. 235, co. 1 n. 3) non distingueva tra due distinte aree fenomeniche: da un lato l’adulterio della moglie e, dall’altro, il difetto di paternità del figlio, “eventuale conseguenza fattuale del rapporto adulterino”. A differenza dell’impossibilità di coabitazione fisica e dell’impotenza - che danno certezza del fatto e inequivocità delle conseguenze - l’adulterio si muoveva su un terreno più incerto e insicuro, potendo ben coesistere un rapporto adulterino - del tutto platonico, o così ben gestito, da evitare concepimenti indesiderati o, come diceva la Cassazione, che non dava luogo ad ulteriori conseguenze “fattuali” - con la nascita di un figlio legittimo, frutto di un sicuro rapporto con il marito. Partendo dalla premessa che non tutti i rapporti adulterini danno luogo a nascite indesiderate, il legislatore del 1975 si era dato carico, per questa fattispecie, di richiedere, prima, una prova dell’adulterio, come causa possibile ma non decisiva, e poi, nel solo caso di esito positivo, di procedere alla prova decisiva sull’effetto: “in tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”. Quest’ulteriore prova ha finito con lo stravolgere il precedente sistema, in tema di disconoscimento di paternità, ove l’adulterio non rilevava quale violazione del dovere di fedeltà, così come avviene nell’ambito dei rapporti orizzontali marito-moglie, la cui prova potrebbe dar luogo alla separazione giudiziale per intollerabile prosecuzione della convivenza (art. 151 c.c.), ma interferiva nei rapporti verticali genitore-figlio quale possibile causa del concepimento e della nascita di un figlio che presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre. Il testo normativo, dopo la correzione di rotta ad opera dei giudici costituzionali, focalizza tutto il suo interesse, trattandosi di disconoscimento di paternità e non di separazione dei coniugi, sulla nascita di un figlio dalle caratteristiche genetiche incompatibili, come conseguenza dell’adulterio. Di qui l’immediata rilevanza e la doverosa ammissibilità della prova genetica, ma anche l’aggancio solo a tale conoscenza del dies a quo della decadenza. Infatti, solo di fronte a tale prova il marito o gli altri legittimati sanno, con assoluta certezza, che il figlio nato durante il matrimonio non è 175 AIAF QUADERNO 2008/1 frutto della coppia coniugale, in quanto anche il più vissuto degli adulteri potrebbe non avere avuto effetti indesiderati, con la conseguenza che la sua prova non è funzionale al disconoscimento, ma ad altri rimedi per una coppia in crisi evidente. L’errore del precedente indirizzo metodologico era di porre sullo stesso piano “causa” (adulterio) ed “effetti” (nascita di un figlio geneticamente incompatibile). Infatti, la giurisprudenza correttamente escludeva che “la prova dell’adulterio della moglie implichi perciò stesso anche quella del difetto di paternità del coniuge” in quanto il rapporto adulterino può dare, ma può anche non dare luogo ad un eventuale concepimento. Tuttavia confondeva, sul piano metodologico, causa con effetti, bloccando ogni prova sull’eventuale “causa” senza considerare che la prova dell’effetto è anche prova della “causa”, perché - ripetesi - a differenza delle altre fattispecie di disconoscimento, l’adulterio non ha sempre gli stessi effetti, potendo, come per lo più accade, non dar luogo al concepimento di un figlio. Siffatte considerazioni si possono così sintetizzare: posto che un figlio non si fa per partenogenesi o senza fecondazione, va rilevato che se è vero che non sempre la presenza della causa (adulterio) dà certezza della produzione dell’effetto (concepimento), non è meno vero che la prova inequivocabile dell’effetto contiene irrefutabilmente anche quella della causa. In altri termini, se dimostro “l’effetto” che il figlio è incompatibile geneticamente con il marito della donna che l’ha partorito - in assenza di ipotesi di inseminazione artificiale - ho inequivocabilmente dimostrato che il figlio non è stato concepito dalla madre con il marito e quindi anche la possibile “causa”, cioè l’adulterio della donna. La certezza della paternità biologica e l’evoluzione non sempre sistematica76 del diritto di famiglia, rende inutile un padre putativo, quando è ormai scientificamente provato che il genitore che ha conferito il 50% dei cromosomi, cioè l’identità biologica, il patrimonio genetico77, è un altro! Sembra di essere ritornati nella favola de “I vestiti dell’imperatore” e di poter, nella meraviglia generale, ancora una volta affermare che “il re è nudo” e che la prova genetica e/o ematologia è da sola sufficiente a fondare il disconoscimento della paternità, senza doversi addentrare nell’atmosfera kafkiana di un eventuale, ma inutile, adulterio. 76 Cfr. Carbone, Relazione introduttiva, in Fam. e dir. 2006, 353 ss. 77 Sulla tutela del patrimonio genetico, Cortesi, Il diritto del minore a conoscere il proprio patrimonio genetico, in Fam e dir. 2003, 507 ss. 176 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE III CONFLITTI TRA GENITORI SUL COGNOME DA ATTRIBUIRE SIA AL FIGLIO LEGITTIMO CHE A QUELLO NATURALE. 3.1. LA DISTINZIONE SULLE REGOLE RELATIVE ALL’ATTRIBUZIONE DEL COGNOME DEL FIGLIO, SIA NELLA FILIAZIONE LEGITTIMA CHE IN QUELLA NATURALE. Non cessano, anzi si accrescono i contrasti e le controversie giudiziarie tra genitori legittimi o naturali e tra questi e le numerose, ma incomplete, regole sul cognome del minore legittimo o naturale, in un contesto sociale, economico e di costume profondamente diverso da quello in cui era maturata, alla fine degli anni trenta del secolo scorso, la disciplina della famiglia nel macrosistema civilistico, perché i mutati costumi e le nuove esigenze dei componenti la famiglia, ormai da tempo, non si ispirano più al modello patriarcale, dando spazio all’emergere di individualismi prima sconosciuti, con l’inevitabile insorgere di dolorosi conflitti, sia dal lato materno, che da quello paterno sul cognome del minore. Per anni si era pensato che la famiglia fosse come una rocca che si erge sul mare del diritto che si limita a lambirla, ma così non è più, perché la rocca, cioè la famiglia, con i suoi componenti, si è in parte disgregata, e i suoi membri perseguono interessi più personalistici che di gruppo. Sono, infatti, mutate le regole della consuetudine e dei comportamenti interindividuali, mentre l’ordinamento è in notevole ritardo nell’aggiornarsi78, che, spesso, fa in modo asistematico e incompleto79. Da anni, e già prima dell’introduzione del divorzio nel 1970, si sosteneva80 la necessità di riformare il primo libro del codice, ispirato a principi regolatori diversi rispetto a quelli contenuti negli artt. 29 e 30 cost., ma la riforma del 1975 intervenne in ritardo e in modo inadeguato, quando la donna si era già inserita autonomamente nel mondo del lavoro, e i coniugi avevano seguito la consuetudine della comunione volontaria degli utili e degli acquisti (Zugewinngemeinsha ), recepita dalla riforma del 1975, come comunione legale dei soli acquisti, imposta 78 Pocar, Ronfani, La famiglia e il diritto, Roma-Bari 200, 31. 79 Sull’asistematicità delle recenti riforme in tema di diritto di famiglia, cfr. Carbone, Relazione introduttiva, cit. 80 Giorgianni, Relazione sulla Riforma del codice civile (d.d.l. 10 ottobre 1963 n. 557), in La riforma del codice civile, Roma 1966, 18 ss. 177 AIAF QUADERNO 2008/1 retroattivamente alle coppie già sposate e mantenuta in vita dall’ordinamento, anche quando il rapporto di coppia è in crisi o è in corso di dissoluzione, sicché non esistono più obblighi di fedeltà o di aiuto reciproco tra gli ex coniugi, ma solo i problemi economici della permanenza della comunione legale. In verità, il pendolo oscilla tra la previsione normativa che vorrebbe privilegiare il gruppo, cioè la famiglia, nella quale si dovrebbero stemperare le posizioni dei singoli nel perseguimento e nell’attuazione di un interesse superiore - anche se non pubblico come riteneva Cicu nei primi anni del secolo, che fanno parte dello status familiare (gens, tribù, Grossfamilie, e ora famiglia mononucleare, famiglia di fatto etc.) - e l’interesse sempre più rilevante dell’individuo, riconoscendogli uno status soggettivo da tutelare, sotto il profilo dell’intollerabilità, anche se in contrasto con quello familiare, mettendo in soffitta i vecchi concetti di rinuncia, di sacrificio, di sopportazione, privilegiando, invece, le posizioni e le intolleranze del “single” (uomo o donna) rispetto alla coppia o alla famiglia. In questo contesto, non sono mancati dubbi sulla correttezza costituzionale di un principio regolatore - la rilevanza esclusiva del cognome paterno - che innerva la normativa italiana, non tanto in base a specifiche disposizioni, ma alla stregua di una consuetudine radicata da secoli nel nostro Paese, che mostra i segni d’insofferenza per un costume rimasto ormai solo italiano e già oggetto di proposte di legge, tese a dare spazio e rilievo, anche anagrafico, alla maternità. Recenti sentenze dei giudici di legittimità costituiscono una indiscutibile testimonianza del clima di nuove esigenze, di tensioni, di attese, di richieste di cambiamenti, di tentativi di riforme normative, presentate sia nella XIII81 che nella XIV82 legisla81 Nella XIII legislatura si ritrovano le stesse linee guida dei progetti ripresentati nella legislazione successiva. Tra i tanti si ricorda il d.d.l./Se nato (Manieri) del 9 maggio 1996 e (Salvato) del 25 febbraio 1997 favorevoli ad attribuire ai coniugi la scelta del cognome del figlio; la p.d.l./Camera (Scalia) del 9 maggio 1996 che prevede, per il figlio legittimo, il cognome del padre o della madre o di entrambi nell’ordine determinato di accordo o, in mancanza, in ordine alfabetico compiuti i diciotto anni, il figlio con doppio cognome, comunica quale intende adottare; la p.d.l./Camera (Pisapia) che anticipa quella n. 410 del 1 giugno 2001, optando decisamente per il solo cognome materno; il p.d.l./Camera (Scoca) e il d.d.l./Senato (Siliquini) del 16 gennaio 1997 analoghi a d.d.l. n. 415/Senato (Consolo) del 9 luglio 2001; il d.d.l., (Matranga) del 24 marzo 2000 favorevole alla scelta del cognome del padre o della madre o di entrambi determinato di accordo, al momento del matrimonio. 82 Nella XIV legislatura vanno ricordati il d.d.l., n 1739/Senato (Semeraro e altri) del 26 settembre 2002; il d.d.l. n. 1454/Senato (Franco e altri) del 30 maggio 2002; il d.d.l. n. 415/Senato (Consolo) del 9 luglio 2001. Alla Camera la p.d.l. n. 794/Camera (Bellilo e altri) del 13 giugno 2001; la p.d.l. n. 410/ Camera (Pisapia) del 1 giugno 201; la p.d l. n. 309 Camera (Mazzucca) del 30 maggio 2001; 178 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE tura, con il richiamo a modelli stranieri, rimasti finora senz’esito, ma costituiscono, altresì, prese di posizioni giurisprudenziali dirette a superare le richieste, sia della madre - che vorrebbe, d’accordo con il marito, attribuire al figlio legittimo il cognome materno al posto di quello paterno, sia del padre - che, riconoscendo tardivamente il figlio naturale, vuole sostituire il cognome paterno a quello materno, già attribuito - al fine di salvaguardare anche le posi zioni relazionali del minore e soprattutto la sua identità personale. In realtà, non esiste nel nostro ordinamento civilistico una specifica disposizione diretta ad attribuire ai figli il cognome paterno. Il diritto al nome, indicato nell’art. 22 cost. come un bene da proteggere, è oggetto di autonomo e insopprimibile diritto della persona con la specifica funzione di delineare l’identità del soggetto nella sua dimensione individuale e nella sua proiezione esterna. Trattasi di un dato, da tempo acquisito nella giurisprudenza e nella dottrina e corroborato dalle decisioni della Corte costituzionale83, che ha affermato il diritto di ogni persona a conservare il cognome che sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità, così mantenendo attraverso il cognome l’identità fino ad allora posseduta, anche quando siano sopravvenuti eventi tali da comportare il cambiamento di quel cognome. Inoltre va ricordato che la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia con l. 14 marzo 1985, n. 132, all’art. 16, lett. g) ha impegnato gli Stati aderenti ad adottare tutte la p.d.l. n. 202/Camera (Cima e altri) del 30 maggio 2001 tutte relative al cognome del figlio legittimo mutuato dal padre o dalla madre o da entrambi secondo i più svariati criteri. 83 Secondo Corte cost., 11 maggio 2001, n 120, in Foro it., 2002, I, 646, can nota di Raparelli è incostituzionale l’art 299, co. 2, c c., nella parte in cui non prevede, che qualora sia figlio naturale non riconosciuto da entrambi i genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello attribuitogli originariamente. Per Corte cost. 23 luglio 1996, n 297, in Fam. e dir. 1996, 412, con nota di Carbone, La conservazione del vecchio cognome come diritto all’identità personale, è incostituzionale l’art 262 c.c., nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale. Infine Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 13 in Giust.civ., 1994 I, 2435, con nota di Bonamore, il diritto al nome, patrimonio irretrattabile della persona umana e segno distintivo della personalità ha dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 2 cost., l’art. 165 r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome, il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo dell’identità personale. 179 AIAF QUADERNO 2008/1 le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari, ed in particolare ad assicurare, in condizioni di parità con gli uomini, gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome. Inoltre, con le raccomandazioni n. 1271/1995 e n. 1362/1998 il Consiglio d’Europa ha affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso, per cui ha raccomandato agli Stati inadempienti di realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome dei loro figli, di assicurare la piena eguaglianza in occasione del matrimonio in relazione alla scelta del cognome comune ai due partner, di eliminare ogni discriminazione nel sistema legale per il conferimento del cognome tra figli nati nel e fuori dal matrimonio. Esaminando congiuntamente entrambe le decisioni si evince con chiarezza il diverso modus operandi del cognome da attribuire al minore nella filiazione legittima e in quella naturale. Nel primo caso si discute di fonti legali, o ritenute tali (consuetudine, norma di sistema), mentre in tema di figlio naturale si tratta non di fonti legali, ma di fonti volontarie, in quanto l’acquisto del cognome paterno avviene mediante il riconoscimento di entrambi i genitori naturali, o di uno solo, per lo più la madre, o con un susseguente matrimonio e legittimazione dei figli già nati. Costituisce altresì fonte giudiziale la sentenza che contiene la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale. Tenuto conto della innegabile diversità della fonte, nasce e si sviluppa l’attuale doppio sistema; immutabilità del cognome paterno per i figli legittimi; possibilità, per i figli nati fuori dal matrimonio, di conservare o di riutilizzare il cognome precedente al riconoscimento o alla legittimazione, come segno distintivo della propria identità personale. Nella prima decisione (Cass. civ., 14 luglio 2006 n. 16093), si dà atto dell’inutile ricorso, da parte dei giudici di legittimità, alla questione di costituzionalità per superare l’attuale impossibilità di acquistare, da parte del figlio legittimo, anche o solo il cognome materno, nonostante il consenso di entrambi i genitori, e si constata il rifiuto della Corte costituzionale di intervenire sul problema, motivato con l’impossibilità di effettuare un’operazione manipolativa, stante la rilevata effettiva sussistenza di una “norma di sistema”, anche se non esplicita, ma con una pluralità di sfaccettature, attributiva del cognome paterno al figlio legittimo, retag180 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE gio di una concezione patriarcale della famiglia, e non in sintonia con le fonti sopranazionali. Il codice civile, nell’art. 6, afferma che ogni persona ha diritto al nome - nelle sue componenti del prenome e del cognome - “attribuito per legge”. Il nome è il segno legale distintivo della persona 84 ed a tale funzione adempiono i predetti componenti: il cognome (c.d. nomen familiae) che designa l’appartenenza ad una determinata famiglia, ed il prenome (cd. praenomen) che completa tale designazione nell’ambito familiare85. Il terzo comma dell’art. 6 c.c. sancisce il divieto di cambiare, aggiungere o rettificare il nome al di fuori dei casi previsti espressamente dall’ordinamento. Al contrario, nel periodo romano era possibile modificare86 la propria denominazione personale, anche se il fatto era abbastanza inusuale; inoltre, veniva punito chi si fosse attribuito un falso nomen o cognomen allo scopo di realizzare illeciti guadagni87 e si rilevava che mentre i nomi delle cose non sono mutabili (rerum enim vocabula immutabilia sunt), al contrario quelli degli uomini lo sono (hominum mutabilia)88. La libertà di mutamento del nome continuò in diritto comune fino alla formazione dello Stato moderno ed ebbe termine con l’instaurarsi dei rapporti tra Stato e cittadini, o meglio tra Stato e sudditi. L’interesse pubblico connesso all’immodificabilità del cognome89 non mancò di rivelarsi come un aspetto imprescindibile del potere della sovranità territoriale (leva militare, tasse, controllo penale). Sintomatico il decreto emesso dalla Convenzione nazionale francese del 23 agosto 1794 con il quale la Francia 84 Cinti, Segni distintivi della persona e segni distintivi della personalità, Milano 1994, 27. 85 La distinzione tra prenome e cognome è ben radicata nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 1° febbraio 1962 n. 201, in Giust. civ. 1962, 1, 659. 86 La dottrina è vasta cfr: Lenti, Nome e cognome, in Dig. Disc. Priv., Sez, civ, vol. XII. Torino. 1995, 136 ss.; De Cupis, Nome e cognome, in Novis Dig. lt., Torino, 1965, vol. XI, 299. Tamburrino, Le persone fisiche, Torino, 1990, 99 ss. Gli aspetti pubblicistici del diritto al nome sono sottolineati da Azzariti, Martinez, Azzariti, Diritto c i v i l e i t a l i a n o , v o l , I , P a dova, 1943, 229 ss. e ripresi da Nuzzo, Nome (dir. vig.), in Enc. Dir, vol. XXVIII, Milano, 1978, 304. Sul punto già Scialoja, Studi giuridici vol. III, Roma,1932, 56, che ricorda il seguente passo del Codex lustinianus (9, 25): mutare itaque nomen, vel praenomen, sive cognomen, sine aliqua frode, licito iure... 87 Si ritiene applicabile alle false attribuzioni di nome, ai fini dl un acquisto patrimoniale a titolo successorio, la lex Cornelia de falsis: dell’81 A.C.: Guarino, Diritto privato romano, Napoli, 1992, 306. 88 Cicerone, De invenzione, I, 24, nonché D. 30. 4. Cfr. Spagnesi, Nome (storia), in Enc. Dir., vol. XXVIII, Milano, 1978, 290 ss. 89 Sulla base della concezione pubblicistica del nome quale mezzo di identificazione di una persona fisica nell’interesse generale, non è mancato chi ha negato l’esistenza di un diritto al nome, Macioce, Profili del diritto al nome, Padova, 1984, 78; Schwarzemberg, Il nome della famiglia ed il principio di certezza, in Dir. fam. 1988, 674 ss. 181 AIAF QUADERNO 2008/1 rivoluzionaria90, al fine di prevenire mimetizzazioni da parte dei nobili, con la possibilità di sfuggire alle conseguenze del nuovo corso, vietò di portare nomi diversi da quelli d’origine91. Nella filiazione legittima l’acquisto, a titolo originario92, del cognome paterno (c.d. nomen familiae)93 oltre ad essere un sicuro elemento di riconoscimento dell’appartenenza del figlio ad un determinato gruppo familiare, dopo che il padre lo aveva sollevato da terra (“tollere liberos”), costituisce una conseguenza legale del rapporto di filiazione legittima94, in base ad una regola non scritta, ma insita nel sistema95, di certezza “nella ricerca del padre”96. Ne consegue che, in tema di filiazione legittima, si trovano risposte non tanto sul piano della tecnica codicistica, quanto su quello dei valori alla base della cultura del popolo su cui si è innervato l’ordinamento giuridico97. L’attuale nostro ordinamento, in tema di cognome del figlio legittimo, costituisce il retaggio di un’antica tradizione giuridica che affonda le radici nel diritto di famiglia romanistico, basato sull’agnatio, vale a dire su un sistema di rapporti personali, familiari e successori al centro dei quali stava il pater familias, principale soggetto di diritti, frutto di una secolare consuetudine, improntata su un ordine patriarcale discriminante nei confronti delle donne. Al figlio legittimo il cognome paterno è attribuito jure sanguinis, al momento della nascita, onde “rendere, anche formalmente, palese l’unità della famiglia legittima”98 sia pure in 90 Il decreto è citato come 6 fruttidoro, in Caruso, Il “nom d’usage”: una riforma a metà?, in Riv.dir. civ., 1988, 59. 91 Salveton, Le nom en droit roman et en droit roman et en droit français, Lyon, 1887, 6. 92 Alpa e Ansaldo, Le persone fisiche, in Comm. Schlesinger, Milano 1996, 279. 93 Spagnesi, Nome (storia), cit. 290; De Sanctis Ricciardone, Nome civile, in Enc. Giur. Treccani, Roma 1990, vol. XXI. 94 L’impostazione tradizionale è in De Cupis, I diritti della personalità, in Tratt. Cicu Messineo, Vol. IV Milano, 1982, 3, 37; Macioce, Profili del diritto al nome civile e commerciale, cit., 78 ss. 95 In senso critico, De Cicco, La normativa sul cognome e l’eguaglianza tra i genitori, in Rass. dir.civ. 1985, 960 ss. Prosperi, L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli, ivi 1986, 841 ss.; Paradiso, I rapporti personali tra coniugi (artt. 143-148 c.c.), in Comm. Schlesinger, Milano 1990, 116. Per l’impostazione tradizionale De Scrilli, Il cognome del figlio, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di Zatti, vol. II, Filiazione, Milano, 2002, 471 ss. 96 Lenzen, Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti Roma-Bari 1994, 45 ss. 97 Il riferimento non concerne solo l’Italia, ma anche altri paesi europei, Heinrich, Il diritto di famiglia nel quarto libro del B.G.B. e nelle riforme del XX secolo, in I cento anni del codice civile tedesco, Padova 2002, 541 ss.; Jayme, Cognome e diritto di famiglia nella recente riforma tedesca (con spunti di diritto comparato), in Riv. dir. civ. 1995, 1, 73 ss. 98 È la tesi di Carrara, Comm. alla riforma del diritto di famiglia, Padova 1987, 686 s. Per 182 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE mancanza di una disposizione espressa come quella contenuta nel § 1616 del B.G.B., che prima della riforma del 1994 affermava che il figlio “riceve il nome di famiglia del padre”. In un contesto del tutto diverso, relativo alle regole sul cognome dei figli nati fuori dal matrimonio e non riconosciuti dal padre immediatamente o comunque contemporaneamente alla madre, va inserita la seconda decisione, in tema di riconoscimento di figlio naturale (Cass. 26 maggio 2006 n. 12641). Qui non vale più la regola inespressa, sancita per il figlio legittimo, ma un sistema diverso regolato dall’art. 262, co. 1 c.c. che stabilisce, in caso di riconoscimento unilaterale, che il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. La disposizione regola anche l’ipotesi di doppio riconoscimento, precisando che, se questo è congiunto, il figlio assume il cognome del padre, se invece il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità sono avvenuti in tempi diversi, il figlio naturale può assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello materno. Con la precisazione che è esclusa l’automatica imposizione del cognome paterno, riconoscendosi al cognome già acquisito dal figlio, anche se non conforme al rapporto di filiazione, una propria autonoma tutela, quale segno distintivo dell’identità personale fino ad allora da lui posseduta nell’ambiente in cui vive99. In consonanza con questo indirizzo va ricordata la dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 262 c.c., nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo aveva riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale100. una più moderna valutazione, Sesta, Diritto di famiglia cit., 440 ss. Sul nuovo ordinamento dello stato civile, Musio e Naddeo, Commento al d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 (a cura di Stanzione), Milano 2001, 163 ss. Sui rapporti tra fatto biologico e atto di nascita, Uccella, La filiazione nel diritto italiano e internazionale, cit., 32 ss. 99 È questo Il principio di diritto sancito da Cass. 27 aprile 2001 n. 6098, in Fam. e dir. 2001, 266 con nota di Carbone, Figlio naturale tra cognome materno (riconoscimento) e paterno (legittimazione giudiziale), in Famiglia 2003, 889, con nota di Cassano, Automaticità della trasmissione del cognome versus identità personale. 100 In questi sensi la ricordata decisione della Corte Cost. 23 luglio 1996 n. 297, in Fam. e dir. 2001, 266 con nota di Carbone, La conservazione del vecchio cognome come diritto all’identità personale. Cfr pure De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia Padova, 2002, 949. 183 AIAF QUADERNO 2008/1 3.2. OCCORRE UNA LEGGE PER ATTRIBUIRE AL FIGLIO LEGITTIMO IL COGNOME DELLA MADRE. La prima decisione (Cass., civ, 14 luglio 2006 n. 16093) rappresenta il punto di arrivo di un tortuoso percorso giudiziario, iniziato da due coniugi che, al momento della dichiarazione di nascita, esprimono all’Ufficiale di stato civile la concorde volontà, non raccolta nell’atto di nascita, di imporre il cognome materno in luogo di quello paterno alla figlia minore, appena nata. Impugnano il rifiuto dell’Ufficiale di stato civile, chiedendo al Tribunale di Milano la rettificazione dell’atto di nascita del minore. Di fronte al rigetto della domanda diretta ad ottenere il cambiamento del cognome paterno in quello materno impugnano la sentenza, ma la Corte di Milano respinge l’appello, ritenendo irrilevante l’accordo dei coniugi. Ricorrono per cassazione i coniugi, sostenendo che la Corte di merito - nel ritenere l’esistenza di una consuetudine circa l’attribuzione al figlio legittimo del cognome paterno - avrebbe disatteso numerosi precetti costituzionali e norme convenzionali sovranazionali. Con ordinanza interlocutoria del 17 luglio 2004, n. 13298101 i giudici di legittimità, ritenuto che l’attribuzione al figlio del cognome paterno sia espressione di una norma desumibile dal sistema, in quanto presupposta da una serie dì disposizioni regolatrici di fattispecie diverse, condividono i rilievi di incostituzionalità, non preclusi dalle precedenti pronunzie in materia del giudice delle leggi (11 febbraio 1988 n. 176 e 5 maggio 1988, n. 516102) e dichiarano rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 143 bis, 236, 237, co. 2, 262, 299, co. 3, c.c., artt. 33 e 34 d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre anche quando vi sia in proposito una diversa comune volontà dei coniugi, legittimamente manifestata, per contrasto con gli arti. 2, 3 e 29, co. 2, cost. Com’era prevedibile la Corte costituzionale, in relazione al circoscrit101 L’ordinanza è pubblicata in Corr.giur., 2004, 457 con nota di Carbone, Quale futuro per il cognome? 102 Secondo Corte cost, 11 febbraio 1988, n. 176, in Foro it., 1988, 1, 1811, con nota di Caruso, posto che oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale non è la scelta del nome, bensì il nome acquisito per estensione legale che meglio tutela l’interesse alla conservazione dell’unità familiare, è manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 71, 72 e 73 r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, nella parte in cui non prevedono la facoltà dei genitori di determinare anche il cognome da attribuire al proprio figlio legittimo mediante l’imposizione di entrambi i loro cognomi, né il diritto di quest’ultimo di assumere anche il cognome materno, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 cost. 184 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE to petitum dell’ordinanza di rinvio, limitato alla richiesta di esclusione dell’automatismo della attribuzione al figlio del cognome paterno, nella sola ipotesi di manifesta concorde volontà dei coniugi, consapevole delle enormi ripercussioni del problema, ha escluso ogni interpretazione additiva o manipolativa, affermando con sentenza 16 febbraio 2006 n. 61103 l’inammissibilità della sollevata questione di costituzionalità sul rilievo, determinante, che “l’intervento che si invoca richiede un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte”. Il rispetto dell’autonomia dei coniugi e la conciliazione dei due principi sanciti dall’art. 29 cost. richiede un intervento normativo, anche per la pluralità delle soluzioni adottabili, che appartiene alla esclusiva competenza del conditor iuris. Infatti, il sollevato problema coinvolge tutta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente alla concorde volontà dei coniugi - con la conseguente necessità di stabilire i criteri cui l’ufficiale dello Stato civile dovrebbe attenersi in caso di mancato accordo - all’altra di stabilire se il raggiunto consenso dei coniugi di derogare alla regola, pur sempre valida, debba avvenire una sola volta con effetti, come nel modello spagnolo, per tutti i figli della coppia, ovvero debba essere espressa all’atto di nascita di ciascuno di essi. Non si tratta, quindi, di un’unica ipotesi di reductio ad legitimitatem, in presenza della quale si possono effettuare interventi di tipo additivo o manipolativo. Ciò comporta la rilevata effettiva sussistenza di una norma di sistema, anche se non esplicita, attributiva del cognome paterno al figlio legittimo, retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e non in sintonia con le fonti sovranazionali che impongono agli Stati membri l’adozione di misure adeguate onde eliminare le discriminazioni di trattamento, anche anagrafico, nei confronti della donna, norma che può essere ridisegnata, solo dal legislatore. Ancora una volta il diritto segue con affanno il mutato costume, come la tartaruga il piè veloce Achille. Da un insieme di pur eterogenee previsioni si desume l’immanenza di una norma che non ha trovato corpo in una disposizione espressa, ma che è pur sempre presente nel sistema e lo completa, della cui vigenza e forza imperativa i giudici costituzionali non hanno ritenuto di poter dubitare. Sulla base di tale usanza consolidata nel tempo, il cognome del figlio legittimo non si trasmette dal padre al figlio, ma si estende ipso iure da quel- 103 La sentenza è in Foro it. 2006,1,1673, con osservazioni di Casaburi. 185 AIAF QUADERNO 2008/1 lo a questo. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità104 ha anche precisato che il cognome, acquistato ex lege con la nascita, non può accrescersi o modificarsi in base agli istituti dell’usucapione o dell’immemorabile, in quanto esclusivi dei diritti reali. Infatti, oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale non è la scelta del nome, bensì il nome acquisito per estensione legale che meglio tutela l’interesse alla conservazione dell’unità familiare, per cui non è prevista la facoltà dei genitori di determinare il cognome da attribuire al proprio figlio legittimo, mediante l’imposizione di entrambi i loro cognomi, né il diritto di quest’ultimo di assumere anche il cognome materno e per la madre la facoltà di trasmettere ai figli legittimi il proprio cognome. La via più seguita, nei casi di cognomi divenuti noti per la presenza di personaggi di rilievo storico, culturale, imprenditoriale legati alla linea di ascendenza materna, che concorre ad attribuire un profilo più autentico dell’identità personale e familiare, è quella di utilizzare lo strumento sempre più diffuso del ricorso al Capo dello Stato. Come appare evidente si tratta di un’aspettativa che si può configurare come mero interesse legittimo, e non come diritto soggettivo dell’interessato a ricorrere al giudice ordinario per ottenere l’agognata assunzione anche del cognome di ascendenza materna. La giurisprudenza amministrativa105 ha avuto modo di precisare che il procedimento amministrativo per la modifica del cognome è unitario e dà luogo ad un unico provvedimento finale a carattere discrezionale. L’atto ministeriale che consente l’attivazione del procedimento ha mera natura endoprocedimentale e non provvedimentale, per cui è del tutto legittimo il successivo provvedimento ministeriale che, previo parere del Consiglio di Stato, rigetti l’istanza di modifica dell’ordine dei cognomi, di cui il primo presente dalla nascita ed il secondo aggiunto con decreto presidenziale, in quanto la sequenza dei cognomi è tassativamente disposta dalla legge. Uno sguardo di diritto comparato nei paesi mitteleuropei più vicini 104 Cass. 19 agosto 1996 n. 7618, in Giust. civ. 1997, 1, 3175 con nota di Cimenti, L’intervento della Suprema Corte in ordine al cognome del figlio naturale riconosciuto dai propri genitori naturali e successivamente adottato ex art. 44, lett. b), l. 4 maggio 1983 n. 184. Sul punto Manera, ancora sul cognome dei minori riconosciuti da un solo genitore naturale e poi adottato con adozione in casi particolari in Giur. merito 1993, 46. 105 Tar Lazio 16 dicembre 1988 n. 1801 e Cons. Stato 9 dicembre 1989 n. 906, in Giur.it. 1991. III, 1, con nota di Rescigno, Nome “aggiunto” dell’affigliante e “dismissione” da parte dell’affiliato. Cons. Stato 6 marzo 1995 n. 146 in Foro it. 1995, III, 363 con nota di Cerri, L’anticipazione del cognome aggiunto: si tratta veramente del “terzo escluso” tra mutamento e aggiunzione? 186 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE all’Italia dimostra come l’ex Germania dell’Est (Deutsche democratische Republik), prima della riunificazione, introdusse l’istituto del cognome familiare con il § 7 del codice di famiglia del 20 dicembre 1965. Anche la Germania federale si adeguò a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità del § 1355 co. 2 B.G.B.106, che sanciva il principio secondo cui con il matrimonio, tutta la famiglia assumeva il cognome del marito, addivenendosi alla legge 16 dicembre 1993, entrata in vigore l’anno successivo (il 1° aprile 1994), secondo la quale i coniugi possono optare per un nome comune, oppure decidere di conservare i rispettivi cognomi. E così il § 1616 del B.G.B. è passato dal testo originario „Das Kind erhälth den Familien names des Vaters“ a quello attuale “Das Kind erhälth den Ehenamen seiner Eltern als Geburtsnamen“107. In questa seconda ipotesi, il figlio legittimo assumerà un unico cognome quello del padre o della madre, secondo la scelta concorde dei genitori. Nei casi di contrasto il giudice sceglie il genitore e quindi la determinazione del cognome del figlio legittimo. Per garantire l’unità della famiglia, la scelta non è revocabile e i figli successivi porteranno lo stesso cognome del primogenito. A sua volta, il diritto di famiglia spagnolo, con l’art. 109 del codigo civil, prevede che il figlio acquista nell’ordine il cognome del padre e poi quello della madre, potendo trasmettere ai figli sia entrambi, sia il solo cognome paterno. La libertà di scelta, assai diffusa, nei paesi dell’America latina, ha ispirato l’art. 1565, par. 1, del nuovo codice civile brasiliano, approvato con l. n. 10.406, 10 gennaio 2002, secondo cui «uno qualsiasi dei nubendi potrà aggiungere al suo cognome quello dell’altro»108. La Francia, con la l. 8 gennaio 1993, n. 22, ha novellato gli artt. 57, 60 e 61 del Code civil, aggiungendo una nuova rubrica: “Des changements de prènoms et de nom». Si riconosce il principio che “Toute personne qui justifie d’un interét légitirne peut demander à changer de nom”, prevedendo che tale domanda voglia evitare l’estinzione di un cognome materno o di un ascendente fino al quarto grado. Senza poi interferire sull’acquisizione del nome legale 106 Bundesverfassungsgericht 5 marzo 1991, in Quadrimestre 1991. II, 887 con nota di Pozz o , A l c une n o v i t à in tema di cognome della famiglia nel diritto tedesco. ]ayme, Cognome e diritto di famiglia nella recente riforma tedesca, cit., 71 ss. 107 “Il figlio riceve quale cognome di nascita il cognome coniugale dei suoi genitori”: Patti, Codice civile tedesco, cit., 1011. 108 Calderale, Il nuovo codice civile brasiliano, Milano 2003, Introduzione, XLVII; P. Carbone, Il nuovo codice civile brasiliano cit., 174. 187 AIAF QUADERNO 2008/1 si puó aggiungere “à titre d’usage” il cognome dell’altro genitore109. Non sarà facile il compito del legislatore che non può non coniugare il principio dell’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi “con la garanzia dell’unità familiare” (art. 29 co. 2) 110, tenendo conto che un even tuale intervento legislativo, anche simile alla novella del § 1616 del B.G.B., deve comportare l’accoglimento delle nuove esigenze, bilanciandole con la tutela dell’unità familiare. Già in altri paesi la normativa introdotta impedisce di stabilire per ciascuno dei figli legittimi un cognome diverso, lasciato alla piena e mutevole discrezione dei genitori. E ove si accoglie l’opzione del doppio cognome, come segnale della parità dei coniugi, biso gna escogitare un filtro per evitare che i figli con doppio cognome facciano lievitare il numero dei cognomi stessi in proporzione geometrica, generazione dopo generazione, stabilendo una selezione che non si basi però, come in alcune dei disegni di legge decaduti, sull’ordine alfabetico del cognome. In conclusione, si prende atto di una prospettiva differente, a seconda che i figli siano nati nel matrimonio o al di fuori di esso, essendo diversa la fonte del cognome del figlio. Anche “En France l’enfant légitime porte obliga toiremente le nom de son père. Le nome de la mère peut seule ment étre ajouté, à titre d’usage, mais n’est par transmissi ble. L’enfant naturel porte également le nom de son père, dans la mesure ou il y a été reconnu simultanément par ses deux parents. Dans le casse contraire, il y a le nom de sa mère». Per i figli legittimi la fonte è la legge stessa trattandosi di un acquisto a titolo originario in una prospettiva mo derna del «tollere liberos”, a meno di un intervento legi slativo che attribuisca ai coniugi una diversa, articolata, facoltà di scelta. Per i figli naturali, invece, si richiede una fonte negoziale, come un atto di riconoscimento o una successiva legittimazione per conseguente matri monio, ovvero una fonte giudiziale come una sentenza contenente una dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità. In questi casi, a differenza dei primi si presenta evidente la possibilità di cambiare il cognome 109 Sulla “filiation par le sang, legitimime e naturelle” con le diverse conseguenze, Hauser e Huer-Weiller, La famiglie, in Traitè de droit civil (Ghestin), cit., 205 ss. 110 Sul carattere precettivo e non programmatico della disposizione, Bessone, Comm. all’art. 29 Cost., in Comm. cost. diretto da Branca, Bologna-Roma 1976, 60 ss. Sulle conseguenze, Pazè, Verso un diritto all’attribuzione del cognome materno, in Dir. fam. e persone 1998, 324 ss. 188 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE e gli interventi della Corte sono nel senso non del cam biamento, ma del diritto a mantenere il cognome originario, come simbolo dell’identità personale, anche se al di fuori dei cognomi sia paterni che materni. Il principio è quello di non disorientare il figlio con continui mutamenti, riconoscendo il diritto non a cambiare, ma a conservare il precedente cognome in uso, segno dell’identità personale anche se attribuito dall’ufficiale di stato civile. È il caso di una neonata, frutto di una relazione adulterina, nata prima della legge riforma del 1975. L’ufficiale di stato civile le attribuisce il cognome di “Libero”. Dopo oltre quarant’anni la madre, divenuta vedova, la riconosce, ma la donna chiede e ottiene di conservare il cognome con il quale aveva vissuto ed era divenuto il segno della propria identità personale111. 3.3. IL DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE NON CONSENTE DI MODIFICARE IL COGNOME DEL FIGLIO NATURALE, ANCHE IN CASO DI RICONOSCIMENTO DI PATERNITÀ TARDIVO. Regole diverse vigono per il cognome del figlio naturale, in quanto manca l’interesse alla conservazione dell’unità familiare, trattandosi di figli nati fuori dal matrimonio e non riconosciuti dal padre immediatamente o, comunque, contemporaneamente alla madre. Secondo i giudici di legittimità, in tale caso non solo è esclusa per legge l’automatica imposizione del cognome paterno (ex art. 262 co. 2 c.c.), ma deve essere riconosciuta al cognome già acquisito dal figlio, anche se non conforme al rapporto di filiazione, una propria autonoma tutela, quale segno distintivo dell’identità personale fino ad allora da lui posseduta nell’ambiente in cui vive. Per il figlio naturale il cognome viene regolato da una diversa disposizione. Il non contemporaneo riconoscimento da parte del padre legittima l’applicazione del cognome materno che l’ha riconosciuto tempestivamente. L’uso del cognome materno e l’inserimento del minore nel contesto sociale con il cognome non paterno che ne consente l’identificazione, rende impossibile applicare ipso iure la stessa regola adottata per il figlio legittimo. In questo caso, l’acquisto crea uno spazio di tempo in cui il minore vive e ha rapporti con un cognome che lo identifica e non è quello paterno. Emerge la funzione che assolve il cognome nel nostro ordinamento, non 111 È il ricordato caso risolto da Corte cost. 23 luglio 1996 n. 297, in Fam. e dir. 1996, 412 con nota di Carbone, La conservazione dei vecchi cognomi. 189 AIAF QUADERNO 2008/1 solo pubblicistica, tesa a offrire una tutela della famiglia, consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti a un determinato nucleo familiare, ma anche privatistica, quale strumento identificativo della persona. La protezione dell’identità personale, immancabilmente contraddistinta da peculiari connotati morali, culturali, ideologici trova, infatti, il suo nucleo centrale nella tutela del nome, che viene considerato non tanto come mezzo necessario di individuazione del singolo nell’ambito dei soggetti di un ordinamento giuridico, secondo principi normativi di interesse generale, quanto piuttosto nella sua corrente qualità di simbolo emblematico della identità personale di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana. Anche la seconda delle decisioni (Cass,. 26 maggio 2006 n. 12641) ritiene, in sede di applicazione dell’art. 262, co. 2 c.c. che, ove il riconoscimento del figlio naturale da parte del padre non sia contestuale, si debba prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome paterno, perché si deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre. L’assunzione del patronimico va evitata non soltanto ove ne possa derivare danno per il minore, ma anche se il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale in cui il minore si trova a vivere, ad estrinsecare la sua personalità, “ad essere se stesso”. La tutela dei nome assume quindi la funzione di simbolo emblematico della identità personale di un individuo e quindi come aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana. Costituisce il passaggio da una concezione del cognome quale mero segno di identificazione della discendenza familiare a una visione che lo inquadra tra gli elementi costitutivi del diritto soggettivo all’identità personale, intesa come un bene a sé, indipendente dallo status familiare, e che ha progressivamente sganciato le sorti del cognome dalla titolarità di una determinata posizione all’interno della famiglia. I giudici devono operare nell’interesse del minore e non seguire “paturnie”, “ubbie” o “lumìe” di genitori naturali che invece di ottemperare al dovere fondamentale di mantenere il figlio, procreato e riconosciuto, preferiscono confliggere tra loro, ricorrendo a tutti gli escamotage che l’ordinamento può offrire pur di sottrarre il minore alla sfera di influenza dell’altro coniuge, imponendo quanto meno il loro cognome, come una bandierina. Senza rendersi conto che i continui cambiamenti di cognome finiscono con il minare la stabilità, anche psichica di un soggetto, costretto a mutare la 190 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE propria identità, mediante la quale è conosciuto ed ha rapporti, sia con altri individui (quale componente del nucleo familiare), sia con strutture pubbliche, come la scuola, il comune, il servizio sanitario, le votazioni elettorali, ecc.. L’interesse del minore a rifiutare una paternità inutile e ingombrante, attenta al titolo, ma non alla funzione, ricorda il protagonista di Easy rider che al termine di un lungo viaggio, con malinconia, potrebbe dire.. “una volta la paternità era una cosa meravigliosa, non so proprio che cosa ne abbiano fatto”112. I giudici di legittimità ritengono al possibile “non interesse del minore” una legittimazione per provvedimento del giudice, consapevoli che non è interesse di un minore avere un padre che sia soltanto un cognome, distratto, non responsabile delle funzioni genitoriali, inidoneo ad instaurare un rapporto valido e affettuoso con il figlio. A tal fine, l’idoneità concreta ed attuale del padre deve essere valutata tenendo presente che il padre, a differenza della madre - nei limiti consentiti alla sola donna dalla L. 22 maggio 1978 n. 194113 - non può interrompere la gravidanza e a differenza della donna non può evitare di essere identificato, utilizzando una facoltà analoga a quella prevista dal r.d.l. 8 maggio 1927 n 798, oggi regolata dall’art. 30 co. 1 del d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, che riconosce il diritto della donna “a non essere nominata”, diritto esercitabile solo ove si tratti di figlio naturale, in quanto nel caso di figlio legittimo la dichiarazione del padre e lo status di figlio legittimo non consente alla donna di restare sconosciuta114. L’interesse del minore va valutato partendo dall’art. 30 cost., che pone a carico di chi ha procreato un figlio, anche se nato fuori del matrimonio, il dovere-diritto di mantenerlo istruirlo, educarlo. Sussiste quindi un principio di responsabilità per il fatto della procreazione, indipendentemente dalla situazione giuridica nell’ambito della quale la procreazione stessa si sia verificata115. In conclusione, al di là delle oscillazioni giurisprudenzia112 Così Lenzen, Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti, cit., 324. 113 Sui profili costituzionali della disciplina legislativa, Moscarini, Aborto, in Enc. Giur. Italiana, Roma 1991, vol. 1, 4 ss; Cian, Osservazioni e commento alla L. 194 del 1978, in Nuove leggi civ. comm. 1978, 907 ss. 114 Musio e Naddeo, Commento al d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 (a cura di Stanzione), cit., 150. Cfr. inoltre, Corte cost. 15 luglio 1975 n. 207 in Giur. Cost. 1975,1606; Carraro, Cognome del figlio, in Comm. Dir., it. Fam., vol. VI, Padova 1992, 144 ss.; Macello, Della filiazione illegittima, cit., 197. 115 Bessone, Rapporti etico-sociali, in Comm, della Cost. a cura di Branca, Bologna-Roma 1976, 74, Sandulli, Rapporti etico-sociali, in Comm. Dir. it. Fam., vol. I, Padova 1992, 68 ss. Anche qui il sistema giuridico si limita a recepire una legge di natura secondo cui “qui fait 191 AIAF QUADERNO 2008/1 li sulla valutazione dell’interesse del minore, ancorate tuttavia all’accertamento di specifici fatti concreti ostativi, sotto il profilo materiale o morale, all’idoneità del presunto padre ad assumere il ruolo genitoriale, non merita di essere condivisa la posizione dei giudici di merito che ritengono automatica l’attribuzione del cognome paterno per effetto del provvedimento giudiziale di legittimazione. Correttamente la Cassazione ha fissato il principio di diritto di dover valutare l’interesse esclusivo del minore “avuto riguardo al diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell’ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, escludendo ogni automaticità”, senza dover perdere il precedente cognome materno che per molti anni è stato la stella polare della sua identità, l’elemento di sicuro riconoscimento nel contesto familiare in cui è vissuto116. I contrasti tra vecchio e nuovo cognome sono sorti anche in tema di adozione tra maggiorenni ove il cognome originario si conservava con l’aggiunta del cognome dell’adottando con la differenza che prima dell’art. 61 della 1. 4 maggio 1983, n. 184, oggi modificato dalla l. 28 marzo 2001, n.149, l’adottato aggiungeva al proprio il cognome dell’adottante, mentre oggi l’adottato lo antepone al proprio117. Nell’adozione di minori, a norma dell’art. 27 della l. n. 184/1983 l’adottato perde ogni legame con la famiglia d’origine ed acquista lo status di figlio legittimo degli adottanti, “dei quali assume e trasmette il cognome”, ma al di là dell’espressione letterale, l’adottato assume il cognome del solo padre adottivo e non anche della madre118. Nel caso di adozioni particolari, il minore riconosciuto dalla madre, e poi adottato dal coniuge della donna, ai sensi dell’art. 44, lett. b), l. n. 184/1983, assume il doppio cognome, a norma dell’art. 299 c.c., anteponendo al suo quello dell’adottante: la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, trattandosi di adozione particolare, debbano rimanere entrambi l’enfant doit la nourrir”, Trabucchi, Note introduttive agli artt. 147 e 148 c.c., in Comm. Dir. it. Fam., vol. II, Padova 1992, 551. 116 Sulle stesse posizioni, Sesta, La filiazione, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, vol. IV, tomo, III, Torino 1999,170 (dell’estratto). 117 Critica la soluzione legislativa adottata, Scalisi, Della dichiarazione di adozione, in Commentario al diritto italiano della famiglia. vol IV Padova 1992,356. 118 Sbisà e Ferrando, Dell’adozione di persone maggiori di età, in Commentario al diritto italiano della famiglia, voL IV, Padova 1992, 269 cc.; A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, Milano 1983, 523; Dogliotti, Affidamento e adozione, in Tratt. Cicu, Messineo, Mengoni, Milano 1990, 362; Procida Mirabelli Di Lauro, Adozione di persone maggiori di età, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1995, 496. 192 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE i cognomi. In questo quadro occorre tener conto anche dell’adozione unilaterale, oggi consentita solo nei casi particolari119. Un significativo apporto a questa evoluzione è dato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha riconosciuto come il cognome goda di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale e irrinunciabile della personalità. Si tratta, poi, di tutela di rilievo costituzionale perché il nome, che costituisce il primo e più immediato elemento che caratterizza l’identità personale, è riconosciuto come bene oggetto di autonomo diritto, riconducibile nell’ambito dell’art. 2 cost. In proposito, la ricordata sentenza 23 luglio 1996 n. 297120, intervenendo proprio sull’art. 262 c.c., ha dichiarato incostituzionale tale norma laddove non prevede che il soggetto dichiarato alla nascita figlio di ignoti e successivamente riconosciuto da uno dei genitori possa conservare, anteponendolo o aggiungendolo al nuovo cognome, quello originariamente attribuitogli dall’ufficiale dello stato civile, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale. Questa decisione ha portato a completamento il disegno del legislatore del 1975, che aveva già modificato l’art. 262, co. 2 c.c., stabilendo - evidentemente nell’intento di garantire, nella conservazione del cognome, il profilo identificativo della persona e non quello della discendenza familiare - che il figlio naturale, riconosciuto dal padre solo successivamente al riconoscimento da parte della madre, non assume più automaticamente il cognome paterno, ma può scegliere se aggiungerlo o sostituirlo a quello materno. La ratio dell’art. 262 c.c. non è costituita dall’esigenza di rendere la posizione del figlio naturale simile a quella del figlio legittimo e quindi di parificare la filiazione naturale a quella legittima, privilegiando per tale via l’assunzione del cognome paterno, in quanto intende piuttosto garantire l’interesse del figlio a conservare o a non cambiare il cognome con cui è ormai conosciuto nell’ambito delle proprie relazioni sociali. Nell’applicazione dell’art. 262 c.c., quindi, l’organo giurisdizionale è chiamato a emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità, frutto di libero (e prudente) apprezzamento, nell’ambito del quale rileva non tanto l’interesse dei genitori quanto il modo più conveniente di in119 Cfr. Corte Cost 19 luglio 2005 a 347, in Corr.giur. 2005, 461, con nota di Carbone, Adozione internazionale di minore straniero da parte di non coniugato, solo nei casi particolari. 120 La sentenza è riportata retro, nota 84. 193 AIAF QUADERNO 2008/1 dividuazione dell’interesse del minore, con riguardo allo sviluppo della sua personalità, nel contesto delle relazioni sociali in cui si trovi a essere inserito. Pertanto, il giudice chiamato a valutare l’interesse del minore preventivamente riconosciuto dalla madre, a vedersi attribuito il patronimico a seguito del successivo riconoscimento paterno, dovrà impedire il mutamento di cognome non solo nei casi in cui la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio al minore, ma anche nel caso in cui il patronimico sia assurto ad autonomo segno distintivo della di lui identità personale. La Consulta, dopo aver ripreso i propri precedenti in cui aveva giustificato la soluzione legislativa contestata poiché essa rappresentava comunque una “regola radicata nel costume sociale come criterio di tutela dell’unità della famiglia fondata sul matrimonio”121, finisce tuttavia per riconoscere significativamente che, “a distanza di diciotto anni dalle decisioni in precedenza richiamate, non può non rimarcarsi che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Quanto precede induce, in definitiva, a considerare ormai non più attuale, in tema di filiazione naturale, un criterio di trasmissione del cognome assolutamente affidato a rigidi meccanismi automatici, che se da un lato possono soddisfacentemente proteggere interessi di ordine pubblico, dall’altro non riescono né a impedire forme di discriminazione basate sulla differenza di sesso tra uomo e donna, né a tutelare adeguatamente situazioni esistenziali connesse all’uso del cognome. Pertanto appare ormai indifferibile un intervento legislativo capace, da un lato, di adeguare la disciplina sul cognome alle mutate esigenze di una famiglia che da tempo non si ispira più al modello patriarcale e, dall’altro, di conciliare il diritto all’identità personale della famiglia legittima con il medesimo diritto di quella naturale. 121 Così Corte Cost., 19 maggio 1988 n. 586, in Giust. civ. 1988, I, 1649 secondo cui è manifestamente inammissibile - in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 cost. - la questione di legittimità costituzionale degli art. 6, 143-bis, 236, 237, co. 2, e 262, co. 2, c.c. e dell’art. 73, r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, sull’ordinamento dello stato civile, nella parte in cui non prevedono la facoltà per la madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi e per questi di assumere anche il cognome materno. 194 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Tirando le fila del discorso, va ribadito che in sede di applicazione dell’art. 262, co. 2, c.c., si deve partire dal presupposto, evidente nella ratio della norma, che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta. Nell’operare la valutazione richiestagli dall’enunciato normativo, il giudice deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere riguardo all’identità personale posseduta dal minore nell’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del tardivo riconoscimento da parte del padre. A tutela dell’eguaglianza fra i genitori, il giudice non dovrà autorizzare l’assunzione del patronimico, non soltanto ove ne possa derivare danno per il figlio naturale, ma anche allorquando il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale in cui il figlio si trova a vivere, giacché precludergli il diritto di mantenerlo si risolverebbe in un’ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto “a essere se stessi”. Il provvedimento deve, quindi, tutelare l’interesse del minore - non necessariamente coincidente con quello dell’uno o dell’altro genitore - alla propria identità. Il giudice può e deve ricercare di ufficio i dati informativi per conoscere l’interesse del minore; la relativa valutazione ha connotati di ampia discrezionalità, non trovando limitazione neppure nella volontà favorevole o contraria del minore medesimo. La corte territoriale ha tenuto ben presenti detti principi, rilevando in premessa che la contrarietà all’interesse del figlio può sussistere solo in caso di concreto accertamento di una cattiva reputazione del padre, di per sé pregiudizievole, ovvero di prova, ritenuta ampiamente raggiunta nella fattispecie esaminata, che, nell’intervallo tra i due riconoscimenti, il figlio abbia maturato una precisa, infungibile identità individuale e sociale per il fatto di essere riconosciuto con il cognome della madre nella cerchia sociale in seno alla quale è vissuto. In conclusione, la diversa tutela del cognome, in tema di minori nati dal matrimonio o al di fuori dello stesso, merita una necessaria distinzione. Infatti, diverso è il ruolo del cognome nella filiazione al di fuori del matrimonio, specie nell’ipotesi abbastanza diffusa di riconoscimento della sola madre, in mancanza di una scelta comune ad entrambi i genitori, ipotesi paragonabile all’accordo dei genitori nella filiazione legittima. Ove ciò non sia accaduto, e il minore non abbia avuto il nome del padre, ma quello della madre o - nel caso che si sia avvalsa della facoltà di non essere identificata ai sensi dell’art. 30 co. I dei d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396 - quello 195 AIAF QUADERNO 2008/1 indicato dallo stato civile, la scelta giurisprudenziale di favorire la tutela dell’identità, evitando di modificare il cognome se non nell’esclusivo interesse del minore, merita di essere condivisa. Per la filiazione legittima, i contrasti sul nome paterno richiedano il sollecitato intervento legislativo che dia attuazione, anche sotto il profilo del cognome, alla pari dignità giuridica e morale dei coniugi. Con la speranza che la scelta rimessa all’accordo dei genitori al momento delle nozze o del primo figlio, non si possa successivamente modificare, dando luogo a figli con diversi cognomi. L’Italia non vive isolata in Europa e dal 2001, con la modifica dell’art. 117 cost., ha adottato altri circuiti di legalità oltre quello costituzionale, imponendo al legislatore nazionale e anche al giudice delle leggi, il rispetto sia del diritto comunitario e delle decisioni della CE di Lussemburgo, sia dei trattati internazionali e delle decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Come già ricordato, l’Italia ha sottoscritto la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nel confronti della donna, stipulata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata con legge 14 marzo 1985, n. 132, e l’impegno ad eliminare ogni discriminazione nei confronti della donna, compresa la scelta del cognome. Inoltre, a differenza degli altri stati mitteleuropei, dove il problema è diversamente regolato, l’Italia corre il rischio di condanne da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo che già è intervenuta sul problema, sia sotto l’aspetto del cognome della donna sposata122, sia sotto quello, che qui interessa, del cognome del figlio123. Infine sono intervenuti sia il Consiglio d’Europa con le raccomandazioni n. 1271/1995 e n. 1362/1998, dirette a realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome dei loro figli, sia la Corte europea con sentenza del 2 ottobre 2003 n 148/02124. La controversia concerneva il cognome di figli, nati in Belgio, da coniugi ivi residenti di cui il padre spagnolo (Garcia Avello) e la madre belga (Weber), figli cui è stato attribuito il doppio cognome paterno, secondo il modello spagnolo. I coniugi chiedono che ai figli, con doppia cittadinanza sia riconosciuto il doppio 122 C.e.d.u. 16 novembre 2004 nella controversia sul cognome della donna sposata e il governo della Turchia (affaire Unal Tekeli c. Turquie); Ce.d.u. 24 ottobre 1994 sulla possibilità di modificare il proprio cognome (affare Stjerna c. Finlande). 123 C.e.d.u. 24 gennaio 1994 (affaire Burghartz c. Suisse) relativa e due cittadini svizzeri, sposati in Germania, che scelgono come nome familiare, da applicare ai figli, quello della donna (Burghartz), mentre il cognome registrato in Svizzera è quello del marito (Schnyder). 124 La sentenza è pubblicata in Fam. e dir., 2004, 437 ss con nota di Bugetti, L’attribuzione del cognome tra normativa interna e principi comunitari. 196 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE cognome, sia paterno che materno (Garcia Weber), ma la domanda è respinta in quanto contraria all’art. 335 c.c. belga, secondo cui il figlio porta il cognome del padre, sia in caso di filiazione legittima che naturale, con doppio contestuale riconoscimento. Su ricorso dei coniugi, il Con siglio di Stato belga chiede alla Corte Europea di pronunciarsi. La risposta della CE, a norma degli artt. 12 e 17 CE è inequivoca: costituisce discriminazione il fatto che l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni, residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello Stato belga e di un altro stato membro, allorché la domanda è volta a far si che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro. Il pendolo dello storia si sta spostando sul riconoscimento dell’eguaglianza morale e giuridica della donna anche in campo anagrafico, attribuendo rilievo alle scelte, non reversibili, fatte dai coniugi all’atto del matrimonio o alla nascita del primo figlio, ma valide anche per gli altri. Il legislatore italiano, dovrà introdurre nuove regole, o ancora una volta saranno le spinte e le esigenze dei cittadini a richiedere, a Bruxelles o a Lussemburgo, nuovi interventi o, in alternativa, opportuni ripensamenti agli stessi giudici italiani com’è già avvenuto, di recente e al termine di lunghi dibattiti, con l’abrogazione dell’art. 278, co. 1 c.c., nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali nei casi in cui è vietato il riconoscimento dei figli incestuosi125, o con l’abrogazione dell’art. 274 c.c., che prescriveva un giudizio autonomo di ammissibilità dell’azione di dichiarazione di paternità naturale126, o con l’abrogazione dell’art. 235 co.1 n. 3 cc. che subordinava l’azione di disconoscimento di paternità non al diverso d.n.a., ma alla prova dell’adulterio della moglie127. Il richiamo agli scritti di Vittorio Sgroi e alle sue intuizione critiche in relazione alla disciplina codicistica prima della riforma del 1975, coglien- 125 Il richiamo è sollecitato Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Familia, 2002, 1130, con nota di Sesta, La condizione dei figli incestuosi tra principi costituzionali e discrezionalità del legislatore, in Giur. It. 2004,15, con nota dl De Grazia, I diritti dei “figli incestuosi” al vaglio della corte costituzionale. L’ordinanza di rimessione, Cass., sez. I, 4 luglio 2002, n. 9724 è in Fam. e dir., 2002, 473, con nota di Carbone, È costituzionalmente legittimo il divieto di riconoscere il figlio incestuoso? 126 Cfr. Corte cost. 10 febbraio 2006 n. 50, in Corr. giur. 2006, 497 ss. 127 Corte Cost. 6 luglio 2006 n. 266, in Corr. giur. 2006, 1368 ss. 197 AIAF QUADERNO 2008/1 do le discrepanze tra disciplina all’epoca vigente e il mutato costume sociale, vuole indicare il punto di partenza del nuovo diritto di famiglia con i suoi problemi critici, i dubbi e le incertezze che costellano il percorso irreversibile evolutivo/modificativo che coinvolge interpreti e operatori del diritto. Occorre cambiare rotta, come l’Ulisse dantesco rispetto a quello omerico, e prendere atto che il diritto di famiglia recepito nel codice del 1942 e studiato all’Università è del tutto diverso da quello attuale perché nel frattempo “la vita familiare e il diritto di famiglia hanno conosciuto un cambiamento talmente significativo, durante gli ultimi trenta anni” sicché si può, senza tema di sentita, affermare che “il diritto di famiglia vigente nel suo complesso in Italia fino agli anni Settanta era più vicino a quello degli inizi del secolo XIX che all’attuale”128. 128 Così testualmente, Sesta Diritto di famiglia, cit., 29. Eekelaar, The end of an Era?, in Cross, Currents, Family law and Policy in the U.s. and England, Oxford 2002, 637 ss. da nota 76. 198 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE DOCUMENTI PROTOCOLLO SULL’INTERPRETAZIONE E APPLICAZIONE LEGGE 8 FEBBRAIO 2006, N. 54 IN TEMA DI ASCOLTO DEL MINORE TRIBUNALE DI VERONA – SEZ. FAMIGLIA AZIENDA ULSS 20 COMUNE DI VERONA AIAF – SEZ. VERONA OSSERVARTORIO SUL DIRITTO DI FAMIGLIA – SEZ. VERONA Articolo 155 sexies “Il giudice dispone l’audizione del minore che abbia compiuto 12 anni e anche di età inferiore ove capace di discernimento” considerato - che la norma in esame ha elevato a regola l’audizione del minore nei procedimenti di separazione e divorzio, peraltro già prevista dalle precedenti convenzioni internazionali; (art. 12 e 3 Convenzione di New York e Strasburgo) - che in virtù dell’art. 4, comma 2 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, detta previsione deve trovare applicazione anche nei procedimenti di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; - che, peraltro affinché l’audizione nel processo costituisca per il minore un’effettiva opportunità di esprimere propri bisogni e desideri, è necessario che si proceda all’ascolto con modalità adeguate e rispettose della sua sensibilità, nel rispetto del principio della minima offensività; - che, specie nel caso di procedimenti con alta conflittualità fra le parti, occorre prestare la massima cautela onde evitare che l’audizione del minore diventi occasione di pericolose strumentalizzazioni e suggestioni ad opera dei genitori o di terzi; - che, peraltro, al fine di garantire una corretta applicazione nel disposto ex art. 155 sexies si auspica che vengano fissati alcuni criteri interpretativi di base; - che si auspica che detti criteri ed indicazioni vengano rispettati per l’ascolto del minore in tutte le procedure civili che lo riguardano; Limiti dell’ascolto Fermo restando che l’ascolto: a) rappresenta per il minore un’occasione per esprimere le proprie opinioni, i propri dubbi, le proprie incertezze, le proprie paure; 199 AIAF QUADERNO 2008/1 b) è uno strumento per consentire al Giudice di formarsi un opinione più completa del caso sottoposto alla sua valutazione; c) non è un mezzo di prova, l’ascolto stesso dovrà essere disposto unicamente nei procedimenti contenziosi di diritto di famiglia; nel caso di procedimenti consensuali, l’ascolto potrà essere disposto soltanto laddove particolari circostanze del caso lo rendano opportuno. In ogni caso, l’ascolto del minore potrà essere disposto solo nei casi in cui debbano essere presi provvedimenti che riguardino l’affidamento, le modalità di esercizio della genitorialità e tutte le decisioni relative ai figli, eccettuate le ipotesi in cui la controversia riguardi esclusivamente gli aspetti economici. L’ascolto del minore potrà non essere disposto dal Giudice sia quando le parti gliene manifestino l’inopportunità, sia quando il Giudice ritenga, richiesto da taluna delle parti o dal minore ultra dodicenne, che per le particolari circostanze del caso, non sia rispondente all’interesse del minore stesso. Al fine di decidere se procedere o meno all’audizione del minore infradodicenne, il Giudice potrà avvalersi della competenza di un esperto, ausiliario ex art. 68 c.p.c. Tempi dell’ascolto giudiziario L’ascolto del minore dovrà essere disposto ad udienza fissa da stabilirsi di preferenza fuori dall’orario scolastico, in ambiente adeguato e a porte chiuse in modo tale da garantire la massima riservatezza e tranquillità al minore. Ascolto diretto e “competenze integrate” È auspicabile che il Giudice titolare della procedura proceda all’ascolto, previa adeguata conoscenza della situazione della famiglia e delle condizioni del minore, avvalendosi se del caso di un ausiliario ex art. 68 c.p.c. esperto in scienze psicologiche o pedagogiche. Luogo dell’audizione e verbalizzazione È auspicabile che l’audizione si svolga presso l’Ufficio Giudiziario competente in una apposita stanza idonea ad accogliere un minore. L’incontro sarà verbalizzato anche in forma sommaria ed il minore avrà il diritto di leggere e di sottoscrivere il verbale, che sarà messo con immediatezza a disposizione delle parti. Presenza delle parti o dei difensori L’audizione si svolgerà da parte del Giudice titolare della procedura, assistito dal Cancelliere, in presenza dell’eventuale ausiliario e, in caso di nomina, del difensore del minore o del curatore dello stesso. Nel caso in cui uno o entrambi i difensori chiedono di essere presenti all’audizione, il Giudice provvederà motivando in merito. In ogni caso, prima dell’audizione, i legali delle parti potranno sottoporre al Giudice i temi e gli argomenti sui quali ritengono opportuno sentire il minore. Se il minore richiederà espressamente la presenza di un genitore o di entrambi o di una persona esterna al nucleo famigliare in ossequio ha il diritto ad un’assistenza affettiva e psicologica, questa richiesta, anche in considerazione dell’età del minore, dovrà comunque essere valutata dal Giudice. Qualora venga disposta l’audizione di più fratelli, il Giudice valuterà se ascoltarli separatamente o assieme. 200 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Informazione Prima dell’audizione il minore dovrà essere adeguatamente informato dal Giudice del suo diritto ad essere ascoltato nel processo, dei motivi del suo coinvolgimento nello stesso, nonché dei possibili esiti del procedimento, precisando che tali esiti non necessariamente saranno conformi a quanto da lui eventualmente espresso o richiesto. Prima dell’audizione del minore il Giudice fornirà ai genitori ed agli avvocati indicazioni al fine di comunicare in modo corretto al minore tempi e modalità di ascolto. Doveri di astensione dell’avvocato e di informazioni delle parti In ogni caso, l’avvocato dei genitori del minore che deve essere ascoltato od eventuali loro consulenti non devono strumentalizzare la propria funzione per incidere sulla spontaneità del minore. L’avvocato dovrà invitare i suoi assistiti ad un atteggiamento responsabile nei confronti del minore evitando ogni forma di suggestione e di induzione della volontà, invitandoli espressamente ad astenersi dal rammostrare al minore qualsiasi atto processuale. L’avvocato dei genitori ed i consulenti nominati dalle parti si faranno lealmente carico di evitare ogni attività che incida sulla spontaneità del minore. Per il Tribunale Civile: ....................................................... Per L’Azienda ULSS n. 20: ....................................................... Per il Comune di Verona: ....................................................... Per l’AIAF: ....................................................... Per L’Osservatorio sul Diritto di Famiglia: ....................................................... Verona, 25 gennaio 2008 201 AIAF QUADERNO 2008/1 202 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE GLOSSARIO A CURA DI CRISTINA CURTOLO ATTACCAMENTO Bowlby (1982) ha definito l’attaccamento nei termini di quattro classi di comportamento distinte ma collegate: mantenimento della vicinanza, porto di salvezza, angoscia di separazione e base sicura. Questi comportamenti sono facilmente osservabili nei bambini normali, di un anno di età, in relazione al loro caregiver primario (solitamente la madre). Il bambino tiene continuamente sotto controllo la posizione del caregiver e compie tutti gli adattamenti necessari a mantenere il grado desiderato di vicinanza, si ritira verso di lei come verso un porto di salvezza in caso di pericolo percepito, si oppone attivamente ai tentativi di separarlo dalla madre ed è addolorato dalla separazione, e utilizza la madre come una base sicura dalla quale esplorare l’ambiente. I bambini spesso dirigono uno o più di questi comportamenti verso individui nei confronti dei quali non hanno sviluppato un attaccamento. Rholes e Simpson, Teoria e ricerca nell’attaccamento adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. BISOGNI EMOTIVI La disponibilità, le cure e il calore emotivo, la protezione rappresentano i comportamenti più significativi del caregiver (chi si prende cura del bambino) per lo sviluppo della relazione di attaccamento. Malagoli Togliatti e Lubrano Lavadera, Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, Il Mulino, Bologna 2002. CONFLITTO Molti studi sul conflitto confermano la sua universalità in ogni epoca storica e in tutti i raggruppamenti umani. La storia e l’esperienza quotidiana testimoniano ampiamente che le società non si compongono di insiemi armoniosi, ma si sviluppano e cambiano in forza di scontri tra ideologie, valori, progetti politici, economici e sociali. Il conflitto si presenta come un dato ineluttabile della vita individuale e collettiva: compone la trama strutturante della dinamica sociale; entra in tutti gli interstizi dell’avventura umana. Barus-Michel J. et al. (a cura di), Dizionario di psicosociologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005. CONFLITTO RELAZIONALE I ricercatori che si occupano dello studio delle relazioni si sono focalizzati sulla frequenza del conflitto all’interno delle relazioni di coppia e sul modo in cui le coppie partecipano ai conflitti e provano a risolverli. Da questo lavoro derivano tre generalizzazioni. Innanzitutto, il conflitto si verifica regolarmente in molte relazioni intime. In secondo luogo, affrontare il conflitto può facilitare, in alcune condizioni, lo sviluppo e il mantenimento dell’intimità e della soddisfazione in una relazione. In terzo luogo, nei matrimoni infelici il conflitto è associato a pattern di comportamento e di pensiero che intensificano il conflitto e che rendono più difficile negoziare una soluzione. Il fatto che il conflitto faciliti l’intimità o accentui il disagio può dipendere dalle differenze individuali nel modo in cui le 203 AIAF QUADERNO 2008/1 persone interpretano e rispondono al conflitto. Rholes e Simpson, op. cit. CONSCIO-INCONSCIO Sembra un’ottima cosa che ciascuno abbia il proprio inconscio e la propria coscienza ben divisi, disposti certamente a collaborare, a coniugarsi e a generare pensieri, purché resti tuttavia funzionante una delle dogane psichiche di freudiana memoria, la cesura. Se le cose non vanno troppo bene può invece capitare che un soggetto alberghi tutta la coscienza (e solo essa) e un altro tutto l’inconscio (e solo esso), con il risultato che nessuno dei sue riesce a funzionare. Francescani M., Il ventre della pecora. Ovvero: chi ha paura dell’inconscio, in Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica, 1, Il Saggiatore, Milano 2007. CONSULENZA È un rapporto interpersonale, nell’ambito del quale una persona cerca di aiutare un’altra a capire e a risolvere i suoi problemi. La consulenza comprende i procedimenti più svariati, dall’incoraggiamento ai consigli, dall’informazione all’interpretazione di risultati di test. Arnold et al., Dizionario di psicologia, Edizioni Paoline, Roma 1982. CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO Nelle separazioni giudiziarie il conflitto è agito e la componente emotiva e affettiva è tale che il giudice può ricorrere a un esperto in campo psicologico per una CTU. L’obiettivo diagnostico è soprattutto focalizzato allo studio dei rapporti interpersonali tra i componenti della famiglia. Ciò non solo per l’orientamento culturale emergente che pone come oggetto di studio la relazione interpersonale, ma per l’orientamento stesso della giurisprudenza. Il giudice attraverso i quesiti chiede all’esperto di valutare le relazioni tra il minore e ciascuno dei due genitori, le caratteristiche di personalità di costoro e di individuare le modalità di affidamento del minore onde tutelarne l’interesse, salvaguardando il principio dell’accesso dei figli a entrambi i genitori, come ribadito anche dalle convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito. Per rispondere a queste richieste lo psicologo clinico deve fare un’analisi molto particolare e circostanziata che include un lavoro diagnostico-valutativo e clinico per individuare spazi di cooperazione tra i genitori nell’assolvere le loro funzioni educative e affettive rispettando il principio della bigenitorialità. Diventa essenziale l’osservazione delle dinamiche relazionali familiari con l’adozione di sistemi di valutazione capaci di andare oltre l’analisi delle singole relazioni diadiche genitore-figlio, insufficienti a dare indicazioni sul processo di riorganizzazione delle relazioni familiari relative alla persistenza di un “noi” familiare anche dopo la separazione. La procedura del Lausanne Trilogie Paly sembra rispondere all’esigenza di tracciare lo sviluppo delle interazioni diadiche e triadiche contemporaneamente, laddove ciascuna di queste unità può mostrare una traiettoria di sviluppo parzialmente indipendente. Malagoli Togliatti e Mazzoni, Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori-figli. Il Lausanne Trilogue Play clinico,Raffaello Cortina Editore, Milano 2006. COPING (ABILITÀ DI) Capacità dell’individuo di far fronte agli eventi difficili e/o negativi ricorrendo alle proprie risorse e abilità. Fava Vizziello G.,Psicopatologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna 2003 CRITERIO DI ACCESSO È un indicatore cruciale nel lavoro di consulenza tecnica. Esso riguarda proprio la disponibilità ac- 204 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE certata in almeno uno dei due partner di assicurare al figlio l’accesso all’altro genitore e, con lui, alla sua stirpe e alla sua storia relazionale. Cigoli V., Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna 1998. DIVORZIO PSICHICO È uno dei compiti di sviluppo che la coppia che si separa è chiamata ad assolvere dal punto di vista coniugale. Essa è chiamata ad attuare il divorzio psichico elaborando il fallimento coniugale, a impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto coniugale e a ridefinire i confini coniugali e familiari. Così il legame tra ex coniugi dovrebbe risultare non ambiguo. Scabini E., Psicologia sociale della famiglia, Boringhieri, Torino 1995. DISTURBI RELAZIONALI Non si accompagnano necessariamente alle più gravi manifestazioni psichiatriche, che pure hanno evidentemente anche delle ricadute in termini di disfunzionalità relazionale. Quello che si intende proporre è infatti una visione dell’ “ammalarsi della mente” da intendersi soprattutto come rigidità di una grande parte del funzionamento mentale quotidiano che allontana una persona da se stessa e dal suo esserci autenticamente nelle relazioni interpersonali. Amadei G., Come si ammala la mente, Il Mulino, Bologna 2005. DOLORE PSICHICO Questo dolore è spesso sperimentato come se fosse fisicamente localizzato nel corpo, e tuttavia è chiaramente avvertito come una sofferenza psichica. Esso possiede alcune qualità specifiche: a) è incomprensibile; b) si situa sulla linea di confine tra il fisico e il mentale; c) deriva dall’uscita da uno stato di fragile equilibrio mentale. Il dolore psichico ha una speciale in-conoscibilità. Hinshelwood R.D., Dizionario di psicoanalisi kleiniana, Raffaello Cortina Editore, Milano 1990. EMPATIA La comprensione immediata, in prima persona, delle emozioni degli altri che il meccanismo dei neuroni specchio rende possibile rappresenta, inoltre, il prerequisito necessario per quel comportamento empatico che sottende larga parte delle nostre relazioni interindividuali. Condividere a livello visceromotorio lo stato emotivo di un altro è cosa, però, diversa dal provare un coinvolgimento empatico nei suoi confronti. Per esempio, se vediamo una smorfia di dolore non per questo siamo automaticamente indotti a provare compassione. Ciò spesso accade, ma i due processi sono distinti, nel senso che il secondo implica il primo, non viceversa. Inoltre, la compassione dipende da altri fattori oltre al riconoscimento del dolore: per esempio, da chi è l’altro, da quali rapporti abbiamo con lui, dal fatto che siamo più o meno in grado di metterci nei suoi panni, che abbiamo più o meno intenzione di farci carico della sua situazione emotiva, dei suoi desideri, delle sue aspettative, ecc. Se è qualcuno che conosciamo o contro cui non abbiamo nulla, la risonanza emotiva causata dalla vista del suo dolore può spingerci a compassione o a pietà, le cose possono andare diversamente se l’altro è un nemico o sta facendo qualcosa che in quella data situazione rappresenta per noi un potenziale pericolo; oppure se siamo dei sadici inguaribili, se non perdiamo occasione per godere della sofferenza altrui, ecc. In tutti questi casi percepiamo immediatamente il dolore dell’altro; ma non in tutti tale percezione determina il medesimo tipo di compartecipazione empatica. Rizzolati e Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006. 205 AIAF QUADERNO 2008/1 GASLIGHTING Termine che indica comportamenti messi in atto allo scopo di far si che una persona dubiti di se stessa e dei suoi giudizi di realtà, che cominci a sentirsi confusa o a temere di stare impazzendo. Esso va distinto dal dubbio e dalla ruminazione ossessivi, che non sono dovuti alla presenza di un gaslighter (l’agente di questo particolare tipo di maltrattamento). Il perpetratore “scarica” sulla vittima i propri conflitti per liberarsi di essi e dell’ansia che ne deriva. Filippini S., Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Franco Angeli, Milano 2005. GENITORIALITÀ L’assunzione del ruolo genitoriale non coincide puntualmente con l’evento della nascita di un bambino. La genitorialità, infatti, è connessa a un lungo processo di elaborazione delle proprie relazioni affettive primarie: l’arrivo di un figlio, suscitando nuove potenti emozioni, può aiutare a visualizzare e a riorganizzare meglio le passate esperienze, ma la nuova condizione può anche determinare un crollo psicologico proprio per il riattivarsi di sottostanti conflitti non elaborati. Le situazioni a rischio nell’ambito della genitorialità fanno riferimento a tutte quelle condizioni in cui la funzione genitoriale, nelle sue componenti fondamentali di cura e protezione dei figli, è fortemente disturbata e influisce profondamente sulla qualità della relazione genitore-bambino. Ammaniti M. (a cura di), Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001. INDIVIDUAL ADJUSTMENT Ovvero la capacità dell’individuo divorziato (uomo o donna che sia) di riorganizzarsi emotivamente dopo una separazione coniugale. Dai risultati di ricerche pare che la maggiore o minore difficoltà a superare il trauma della separazione sia connessa solo indirettamente al gender. Reazioni depressive, problemi di salute, problemi psicologici di vario genere sembrano infatti essere comuni a uomini e donne dopo la separazione. Tuttavia negli uomini sono più frequenti quando essi non hanno stabilito una nuova relazione con un’altra donna, mentre nelle donne sono più frequenti quando non hanno mai avuto un’attività lavorativa e avevano organizzato la propria identità intorno al ruolo di moglie e madre. Va detto infatti che, mentre non poche donne scoprono nella situazione di separazione nuove forze e risorse e raggiungono livelli di individuazione che non avrebbero potuto emergere se fossero rimaste imprigionate in un matrimonio disfunzionale, gli uomini divorziati che restano single difficilmente sanno trarre dalla separazione un’opportunità di crescita e di individuazione. Cigoli, V., op. cit. INSTABILITA EMOTIVA Tratto della personalità contraddistinto da frequenti cambiamenti di tono e di intensità delle emozioni, con manifestazioni eccessive che risultano inadeguate alle situazioni in cui si producono. Emerge sia sul piano motorio con reazioni eccessive e incapacità a restare fermi, sia a livello del funzionamento mentale con labilità dell’attenzione, contrasto tra tipi diversi di reazioni emotive, interessi passeggeri, salti improvvisi nel processo di ideazione. Nel bambino e nel ragazzo è normale un notevole grado di instabilità emotiva che dovrebbe poi ridursi nel corso dello sviluppo. Fava Vizziello G., op. cit. INTERSOGGETTIVITÀ NELLA FAMIGLIA Viene intesa come capacità dei componenti del gruppo familiare di comunicare e comprendere le intenzioni, le motivazioni e i significati dell’altro. Tale capacità è alla base del raggiungimento di quella coordinazione a livello dei comportamenti che caratterizza le alleanze familiare collaborative che favoriscono il contattato affettivo tra i membri della famiglia e il raggiungimento di obiettivi evolutivi. Fivaz-Depeursing e Corboz-Warnery, Il triangolo primario, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 206 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE LIFETRAPS Sono degli “schemi patologici” che veicolano specifiche memorie di esperienze relazionali disfunzionali e che ingabbiano la vitalità delle persone: i temi delle varie trappole (la convinzione dell’inaffidabilità/instabilità delle persone che dovrebbero dar sostegno, con la conseguente paura dell’abbandono; il senso di essere costantemente in difetto; la credenza di dover fornire in ogni occasione elevati livelli di prestazione; l’aspettativa che le cose andranno per forza male; l’inibizione alla spontaneità ecc.) vengono ripetutamente rielaborati e rinforzati attraverso tutto il corso della vita. Amadei G.,op. cit. MOBBING FAMILIARE Una sentenza della Corte di Appello di Torino lo ha ritenuto, in motivazione, causa giustificante della addebitabilità, comportamenti assimilabili al “mobbing”: i comportamenti del marito erano irriguardosi e di non riconoscimento della partner; “il marito curò sempre e solo il rapporto di avere, trascurando quello dell’essere e con comportamenti ingiuriosi, protrattisi e pubblicamente esternati per tutta la durata del rapporto coniugale ferì la moglie nell’autostima, nell’identità personale e nel significato che lei aveva della propria vita. Sentenza della Corte d’Appello di Torino, 21 febbraio 2000. MONOGAMIA Partner, sposo, marito, moglie, convivente. Il problema della monogamia è che non abbiamo mai trovato le parole per dirla. Philips A., Monogamia, Adelphi, Milano 1997. MONOGAMIA SERIALE Non è un fatto di quantità, ma di qualità: non di numeri, ma di ordine, di come si regge l’intreccio. Di come si presenta chi racconta la storia. Philips A., op. cit. PAROLA GIUDIZIARIA La capacità di sostenere la prova del dialogo è stata considerata, a partire da Platone, come criterio di rispettabilità intellettuale, se non addirittura come criterio della verità stessa. Il ruolo dell’avvocato diviene altrettanto decisivo poiché a lui compete far sorgere il dubbio e non solo riguardo ai fatti, ma circa il senso stesso della giustizia. Garapon A., Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. PERVERSIONE Non c’è attività umana che non possa venire pervertita, dato che l’essenza dell’impulso perverso consiste nel trasformare la parte buona in cattiva, conservando l’apparenza della bontà. Meltzer D., Stati sessuali della mente, Armando, Roma 1975. PERVERSIONE RELAZIONALE Consiste soprattutto nell’indifferenza alla verità, anzi nel disprezzo di quest’ultima. La vittima deve uniformarsi alla rappresentazione che, di essa, il cinico le impone, deve piegarsi ad essa. La comunicazione non comunica, non realizza uno scambio, non produce nulla: salvo la svalutazione, la 207 AIAF QUADERNO 2008/1 manipolazione, il controllo. Filippini S., op. cit. PERVERSITÀ Il termine si avvicina al concetto di distorsione, rovesciamento, pervertimento di ciò che è reale, vero o giusto. È sinonimo di perversione morale. Filippini S., op. cit. PSICOANALISI (METODO) Psicoanalisi è il nome di un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere. Freud ha dato il nome di psicoanalisi al lavoro clinico con cui si porta la persona a prendere coscienza dei suoi contenuti psichici rimossi. Uno dei risultati del processo analitico è l’esperienza trasformativa della consapevolezza. Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, vol.II, Laterza, Bari 1995. PSICOANALISI (SCIENZA) La psicoanalisi e l’etnologia occupano nel nostro sapere un posto privilegiato perché esse costituiscono senz’altro, ai confini di tutte le conoscenze sull’uomo, un tesoro inesauribile d’esperienze e di concetti, e soprattutto un perpetuo principio d’inquietudine, di problematizzazione, di critica e di contestazione di ciò che altrove poteva sembrare acquisito. Foucault M., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967. PSICODIAGNOSTICA Conforme alla sua origine caratterologica, la psicodiagnostica fu intesa fino ai giorni nostri, quale comprensione della personalità in tutti i suoi aspetti. I mezzi di cui si serve la psicodiagnostica sono ormai basati quasi esclusivamente sui test in tutte le loro forme, scelti a seconda del quesito da risolvere. Risultati, niente è più difficile che giudicare la giustezza delle affermazioni psicodiagnostiche fatte su una persona. In questo caso si tratta del cosiddetto problema di validazione (controllo di prova della diagnosi fatta). La sicurezza d’una decisione psicodiagnostica dipende da una parte dalla validità dei procedimenti usati, dall’altra dalla qualità dell’elaborazione dei dati acquisiti. Arnold et al.,op. cit. PSICOPATOLOGIA GENITORIALE Negli ultimi decenni, l’impatto della psicopatologia genitoriale sullo sviluppo del bambino è stata al centro dell’attenzione da parte di ricercatori di discipline diverse. Le ricerche hanno evidenziato che la sintomatologia psichiatrica e i disturbi psichici nei genitori sono associati a effetti specifici e non specifici sul bambino e sul suo sviluppo. In generale, si è riscontrato che i bambini che vivono accanto a genitori che presentano quadri psicopatologici lievi o severi, presentano numerosi problemi. Ad esempio, i bambini di genitori con marcati disturbi affettivi presentano disregolazione emotiva, disturbi somatici, difficoltà di apprendimento e sintomi depressivi in misura significativamente maggiore rispetto a bambini cresciuti in famiglie dove non sono presenti disturbi mentali. Ammaniti M., op. cit. PSICOTERAPIA Col termine psicoterapia analitica si intende una forma di psicoterapia che si basa su principi teorici e tecnici della psicoanalisi, senza tuttavia realizzare le condizioni di una cura psicoanalitica rigorosa. 208 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE Enciclopedia della psicoanalisi, op. cit. PSICOTERAPIA DI COPPIA Trattamento elettivo per affrontare la crisi coniugale che si manifesta con conflitti gravi e pensieriazioni di separazione. Sulla base dei risultati delle ricerche vi è una buona probabilità di recupero del legame matrimoniale dopo una terapia congiunta di coppia. Ciò non nega affatto la possibilità del divorzio che rientra nell’area decisionale della coppia. Cigoli V., op. cit. RISCHIO (FATTORI DI) Condizioni sfavorevoli della persona e del suo ambiente prossimale e o distale che caratterizzano le sue esperienze a partire dalle prime fasi della vita. Questi possono essere continuativi, cioè elementi e attributi che caratterizzano stabilmente le condizioni di vita della persona e, in quanto tali, possono avere una influenza durevole nel tempo sul singolo o sul suo contesto. I fattori di rischio continuativi possono essere: biologici (come anomalie fisiche o comportamentali del soggetto o di qualcuna delle persone deputate alla sua cura nel corso dello sviluppo); psicologici (come difficoltà o disturbi dell’individuo o degli adulti significativi per lui); ecologici (che comprendono disagi o difficoltà relativi al contesto di vita della famiglia ristretta o allargata del soggetto). Altri fattori di rischio a cui la persona può essere esposta nel corso della vita sono di natura transitoria e comprendono condizioni di stress o di difficoltà a breve termine a cui possono essere sottoposte le famiglie in un momento particolare della propria storia (come periodi di disoccupazione di un genitore, problemi di coppia, problemi di salute, ecc.) Fava Vizziello G., op. cit. SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE O PAS Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione” poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile. La PAS è caratterizzata da otto sintomi primari espressi dai figli come prodotto di una programmazione (o lavaggio del cervello) da parte del genitore affidatario. La programmazione tende a limitare, o impedire, una relazione piena e soddisfacente tra figli e genitore non affidatario, spingendo i bambini a rifiutare quest’ultimo. In sintesi i sintomi sono: la CAMPAGNA DI DENIGRAZIONE; la RAZIONALIZZAZIONE DEBOLE; la MANCANZA DI AMBIVALENZA; il FENOMENO DEL PENSATORE INDIPENDENTE; l’APPOGGIO AUTOMATICO AL GENITORE ALIENANTE; l’ASSENZA DI SENSO DI COLPA; SCENARI PRESI A PRESTITO; l’ESTENSIONE DELLE OSTILITA ALLA FAMIGLIA ALLARGATA DEL GENITORE RIFIUTATO. Gardner R. in www.CENTRO DOCUMENTAZIONE SINDROME DI ALIENAZIONE GENITORIALE, 2006. STRESS PER GLI ADULTI Situazioni in cui si è sopraffatti, si è carenti di risorse sufficienti per adeguarsi alle richieste che la vita ci pone o si cerca di sopravvivere in ambienti particolari, privati del supporto di altre persone. Stress di breve periodo, che si superano quando la crisi passa, ci permettono di riportare i nostri sistemi interni allo stato di normalità e fanno poco danno. Non è necessariamente la natura dello stress che conta, ma la disponibilità di aiuto o di risorse interne che le persone sotto stress hanno a disposizione per affrontarlo. Gerhardt S., Perché si devono amare i bambini, Raffaello Cortina Editore, 2006 209 AIAF QUADERNO 2008/1 STRESS PER I BAMBINI Lo stress per il bambino può persino assumere caratteristiche di un trauma poiché ha assai più a che vedere con la pura sopravvivenza fisica oppure per minacce psicologiche. Genitori stressati più facilmente inducono stress nei loro figli, soprattutto se molto piccoli. Per arrestare lo stress è necessario che i genitori siano emotivamente competenti cioè con la capacità di accettare e tollerare qualsiasi sentimento sorga con la coscienza. Gerhardt S., op. cit. TRAUMA Sensazione di impotenza dell’Io di fronte a forti eccitamenti di origine esterna o interna. L’Io è la vittima del trauma perché l’evento intrude nelle sue capacità difensive e in qualche modo lacera lo scherma protettivo tessuto dai meccanismi difensivi dell’Io stesso. Axia V., Emergenza e psicologia, Il Mulino, Bologna 2006. TRAUMA RELAZIONALE Le caratteristiche comunicativo-relazionali attribuite al trauma infantile (precoce) consentono di affermare che ogni trauma rappresenta l’infelice esito di carenze. Il trauma sarebbe quasi sempre la conseguenza di un modo effettivamente sbagliato, privo di comprensione e di tatto, lunatico e addirittura crudele di trattare i bambini da parte degli adulti, e la presenza di tali incapacità funzionali comporta la sottrazione dell’ambiente idoneo alla crescita. Pertanto, il trauma precoce modifica lo sviluppo funzionale, la formazione dell’identità e il senso del Sé. L’individuo ancora incompleto – il bambino – può crescere bene soltanto in un ambiente ottimale. In un’atmosfera di odio non può respirare e perisce. Se questo individuo ancora semiliquido non è sostenuto sotto tutti gli aspetti da quell’optimum, tende ad esplodere. Sarno L., La relazionalità traumatica: dal trauma infantile alla teoria traumatica della conoscenza, in Borgogno F. (a cura di), Ferenczi oggi, Bollati Boringhieri, Torino 2004. VERITÀ La verità è un’affermazione su come stanno davvero le cose. È il modo in cui il mondo è, ciò che conta per la verità; non quello che crediamo del mondo. Noi distinguiamo la verità dalla falsità perché abbiamo bisogno di un modo per separare credenze corrette e scorrette. Le credenze vere sono quelle che rappresentano il mondo come è, e non come potremmo sperare, temere o desiderare che sia. Lynch M., La verità e i suoi nemici, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007. VULNERABILITÀ Condizione in cui l’individuo sperimenta la presenza di numerosi fattori di rischio e la scarsità di fattori protettivi in grado di contrastare il rischio. La forte incidenza dei fattori di rischio personali, relazionali e/o ambientali, se non contrastata dalle risorse protettive del singolo o del contesto, rende la persona scarsamente resistente e non in grado di contrastare le difficoltà che si trova ad affrontare. In altre parole, la condizione descritta innalza la vulnerabilità dell’individuo, cioè il fatto che possa essere facile vittima degli eventi e soccombere di fronte alla problematicità di una situazione altamente negativa che non riesce a contrastare. Fava Vizziello G., op. cit. 210 SGUARDI SULLA SCENA DELLA SEPARAZIONE 211 AIAF QUADERNO 2008/1 Finito di stampare nel mese di giugno 2008 presso la Tipolitografia Quatrini Archimede e figli snc - Viterbo 212