Scarica allegato - San Simpliciano

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Parrocchia di san Simpliciano – Ciclo di 4 incontri sul tema
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
tenuti da don Giuseppe Angelini, nei lunedì di gennaio/febbraio 2016
1. Sapienza greca e follia cristiana (cc. 1-4)
Il successo della predicazione apostolica a Corinto è notevole e rapido, ma accompagnato da molti equivoci.
Il successo e i problemi molto assomigliano a quelli che la predicazione cristiana incontra oggi ancora, in
una società largamente neopagana. C’è un nesso tra vangelo e cultura, ma esso non è iscritto nell’ordine delle
cose; dev’essere realizzato dalla coscienza del singolo; il rischio di proiezioni è grande.
Accade anche oggi che la predicazione cristiana – e in genere il discorso religioso – conosca un successo
addirittura sorprendente, che non si sa bene da dove nasca e che cosa significhi. Insospettiscono due generi
distinti di comprensione del messaggio cristiano:
(a) Quella che possiamo chiamare dottrinalistica, o principialistica; essa riduce il cristianesimo a una
filosofia, a principi di carattere generale.
(b) Quella entusiasta o carismatica, secondo cui l’ispirazione del momento deve suggerire il comportamento.
Paolo precisa che no, l’ispirazione del momento dev’essere verificata mediante il confronto con Gesù e il
confronto con i fratelli: come nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire «Gesù è
anàtema», così nessuno può dire «Gesù è Signore» se non sotto l’azione dello Spirito Santo (12, 3).
I greci facilmente separano la verità interiore del sentire o del pensare dalle forme esteriori dell’agire; e la
giustizia dei rapporti esteriori dalla sincerità interiore opera dello Spirito.
Paolo ha annunciato al libertà, certo. In particolare, la libertà dalla legge come intesa dalla tradizione
giudaica. Tutto mi è lecito, dicono i Corinzi, ripetendo Paolo. Si, dice Paolo, ma non tutta edifica. La libertà
cristiana non deve alimentare l’anarchia; che conta non è quel che chiede la legge, ma quel che chiede il
fratello.
La struttura della lettera.
Le divisioni in partiti e riduzione del messaggio
Paolo inizia con una esortazione: non vi siano divisioni tra voi. Il senso dell’esortazione è precisato
attraverso i fatti, le divisioni in ‘partiti’: esse mostrano che il vangelo è ridotto a verità umana, a dottrina
umana.
Come già accadeva nella predicazione profetica, la più precisa determinazione della legge, del
comandamento di Dio è sollecitata dalle difficoltà. L’invettiva precisa il senso della legge. Grazie
all’invettiva i precetti negativi ed esteriori diventano torah scritta nel cuore.
Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché
non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro
riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io
sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». (1, 10-12)
I maestri umani, necessari, rimandano all’unico Maestro, il cui magistero trascende ogni interprete. Egli è
unico perché il suo magistero non può essere separato dalla sua persona. Se i Corinzi si dividono, questo
accade perché si riferiscono a una dottrina, a una filosofia umana, soltanto umana. È la riduzione del vangelo
a dottrina rende inevitabile la divisione in partiti.
La visione del cristianesimo come dottrina è sottesa anche ai modi in cui spesso si parla di esso nella società
secolare: esso sarebbe ‘un punto di vista’. Anche i cattolici parlano così: magari difendono le loro
convinzioni, ma anche rispettano quelle degli altri. Ma il cristianesimo non può essere trattato come un punto
di vista; è il criterio mediante il quale giudicare tutto.
Ci vuole anche una dottrina, certo. Ma che cos’è? perché oggi è in crisi? alle domande occorre rispondere. In
ogni caso la differenza della dottrina dal vangelo è subito evidente (Papa Francesco pare identificare le due
cose; ma pare una soluzione troppo sbrigativa.
Quasi a respingere una concezione troppo umana del suo ministero, Paolo precisa di non aver battezzato
nessuno: nessuno può dunque sospettare che egli abbia voluto raccogliere una chiesa intorno alla sua
persona; non è quello che più conta nel suo ministero.
La parola della croce come ‘stoltezza’
Subito Paolo si rende conto che, identificando il suo ministero in termini di predicazione, rischia di esaltare il
valore della sua parola. Subito precisa che la sua non è stata una parola sapiente, ma stolta; la stoltezza trova
espressione concisa nella formula parola della croce.
Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché
non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione,
ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e
annullerò l’intelligenza degli intelligenti. (vv. 17-19)
È una citazione di Isaia; il medesimo testo è citato in Mc 7, 6-7; è messo sulla bocca di Gesù, a giudizio
degli scribi, che sostituiscono al comandamento di Dio tradizioni tramandate da loro. Il contesto di Isaia è la
denuncia del culto di parole:
Dice il Signore: «Poiché questo popolo
si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e il culto che mi rendono
è un imparaticcio di usi umani,
perciò, eccomi, continuerò
a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l'intelligenza dei suoi intelligenti».
(Is 29, 13-14)
La parola della croce appare stoltezza a chi non cerca la sapienza vera, né la giustizia vera, e neppure il Dio
vivo e vero; ma una ricetta che esoneri dalla necessità di cercare. Questa pseudo sapienza molto assomiglia
al culto realizzato soltanto con le labbra.
Religione del cuore non è la religione espressa dal cuore, ma la religione che interpella i sentimenti. Una
religione così è possibile solo grazie all’invocazione, e quindi all’umiltà; essa confessa la trascendenza della
sapienza di Dio rispetto alla nostra mente.
L’accusa alla sapienza dei Greci e assomiglia a quella altrove proposta alla pretesa giustizia dei Giudei, come
pensata e praticata dai farisei. Essa procede dalla presunzione di conoscere bene la legge:
Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso;
infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro
quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai
tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio? O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della
sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? (Rm 2, 1-4)
Usata per giudicare il fratello, la legge è inevitabilmente fraintesa; essa serve soltanto a giudicare se stessi.
Paolo espressamente associa la scelta di Dio di seguire la via della follia della croce alla cecità incorreggibile
di quella sapienza in materia di religione.
Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio
dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con
tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della
predicazione. (vv. 20-21)
La parola della croce come scandalo
Soltanto a questo punto Paolo introduce il riferimento ai Giudei: la sapienza di questo mondo, cercata dai
Greci, fa pendant al feticcio giudaico della potenza; per essi Gesù crocifisso è anche scandalo:
E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i
Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di
Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più
forte degli uomini. (vv. 22-25)
La sommaria caratterizzazione della parola della croce come follia e scandalo – certo molto ellittica
e anche iperbolica – è confermata e insieme precisata mediante il riferimento alla concreta identità
degli interlocutori; essi sono nel numero di quanti nel mondo sono ritenuti stolti e deboli (vv. 2631). Anche in questo caso, la parola dell’apostolo è confermata da quella dei profeti (Ger 9, 22-23).
Paolo stesso è stato trepidante e incerto nel suo annuncio della parola della croce, così che risultasse
chiaro che l’annuncio non era cosa sua:
Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con
sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi
crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio
messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua
potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. (2, 1-5)
La sapienza vera, quella dello spirito
Anche di sapienza si parla tra i perfetti, tra i credenti, ma sui tratta di una sapienza altra rispetto a quella dei
Greci. L’opposizione di due figure opposte di sapienza è già nei testi dell’AT, anzi tutto nei due alberi del
giardino; ma anche nei Proverbi (Hai visto un uomo che si crede saggio? E` meglio sperare in uno stolto che
in lui, Pr 26, 12) o nel Qohelet, libro redatto proprio in polemica con la sapienza dei greci.
Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo […]. Ma a noi Dio le ha
rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti
dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se
non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto
ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma
insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose
dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo
dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha
conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.
Le divisioni vengono dall’essere carnali (c. 3)
La distinzione tra le due figure della sapienza consente di interpretare i litigi dei Corinzi; sono troppo
infantili, e non sanno intendere spiritualmente, e cioè da adulti: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di
Dio.
Giudice è solo il Signore (c. 4)
I ministri stessi del vangelo non debbono rispondere della loro predicazione davanti al tribunale dei fedeli,
ma soltanto davanti a Dio; e da Lui debbono attendere la loro ricompensa.
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