B. MARINO - O. MILANESI - R. FORMIGARI - G. SANTORO CARDIOLOGIA PEDIATRICA EDIZIONI MINERVA MEDICA MARINO cardiologia pediatrica.indd 1 17/09/15 07:54 ISBN: 978-88-7711-849-3 © 2016 – EDIZIONI MINERVA MEDICA S.p.A. – Corso Bramante 83/85 – 10126 Torino Sito Internet: www.minervamedica.it / e-mail: [email protected] I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. MARINO cardiologia pediatrica.indd 2 17/09/15 07:54 Vogliamo dedicare questo libro alle nostre famiglie che ci hanno supportato e sopportato in questi anni e alla generazione precedente alla nostra in particolare al Dott. Luigi Ballerini, al Prof. Raffaele Calabrò, al Prof. Fernando Picchio, al Prof. Gaetano Thiene e al Prof. Franco Zacchello che ci sono stati maestri e mentori MARINO cardiologia pediatrica.indd 3 17/09/15 07:54 INTRODUZIONE Consultare questo gran bel libro di cardiologia pediatrica è un autentico piacere e uno stimolo culturale prezioso. E non è un piacere di nicchia poiché coinvolge – e stimola l’interesse – non soltanto dei cardiologi, ma specificamente dei pediatri ad ogni livello, universitario, ospedaliero, di territorio, in formazione. L’impostazione editoriale e la partitura dei singoli capitoli permettono di seguire il bambino con problemi cardiaci a partire dal concepimento, dall’epoca fetale e dalla nascita attraverso le età successive – attività scolare e sportiva incluse – fino allo sviluppo adolescenziale verso l’età adulta: ogni età comporta diversi e importanti rischi di malattia e al contempo specifiche opportunità di salute. Lungo questo percorso, il volume propone problemi e quesiti offrendo al lettore risposte di altissimo livello qualitativo. Perché i problemi sono quelli che i pediatri generalisti e specialisti incontrano nella propria vita professionale e che devono saper gestire con competenza e autorevolezza. Mancava un manuale che con sapiente maestria spiegasse e motivasse quali e quante nuove acquisizioni abbiano mutato le prospettive del paziente con cardiopatia congenita e della sua famiglia e quali nuove responsabilità, di conseguenza, siano oggi affidate ai medici che ne devono guidare e condividere le scelte. Ognuna di queste piccole, grandi rivoluzioni, dalla genetica molecolare alle straordinarie tecniche di imaging che consentono diagnosi e interventi all’interno del cuore, come in una sorta di realtà virtuale, viene affrontata e orientata al sapere, al saper fare e, non da ultimo, al saper comunicare. Conoscere le basi genetiche delle cardiopatie congenite è indispensabile per orientare la famiglia ad affrontare future gravidanze al meglio delle attuali possibilità diagnostiche e terapeutiche; le tecniche interventistiche consentono oggi di correggere alcune malformazioni già alla nascita o addirittura in utero: il trasferimento del paziente è quindi programmabile quando è ancora in utero, verso centri nascita che abbiano competenze e strutture idonee. Ma non vengono trascurati anche altri aspetti apparentemente più semplici come il dolore toracico, i disturbi del ritmo o i limiti della pratica sportiva, aspetti che quotidianamente il pediatra deve affrontare e orientare come patient manager, interfacciandosi con i centri cardiologici di eccellenza. Ci troviamo sempre più spesso a trattare bambini con problemi cronici complessi. I cosiddetti children with special health care needs (CSHCN), bambini con bisogni assistenziali speciali, e i più gravemente compromessi children with medical complexity (CMC), sono nel nostro Paese poco meno di un milione e mezzo. Sono affetti molto spesso da sindromi genetiche complesse di cui fanno parte cardiopatie congenite dalle più alle meno gravi. I progressi davvero impressionanti della cardiologia, della cardiochirurgia e dell’interventistica permettono oggi di sopravvivere e spesso di diventare adulti a un gran numero di bambini che un tempo morivano alla nascita o sopravvivevano per poche settimane o per pochi mesi. Anche in questa chiave di lettura, il volume è uno strumento prezioso per il pediatra perché molto spesso le malattie croniche complesse sono malattie rare che il singolo medico avrà l’opportunità di incontrare una, due volte nel corso di tutta la sua vita professionale. L’abbondanza di illustrazioni ed esemplificazioni iconografiche, con tabelle riassuntive e flow chart esplicative, si rivela preziosa anche per la consultazione. V MARINO cardiologia pediatrica.indd 5 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA Gli editor hanno saputo trasmettere a questo testo la propria egregia competenza accademica unita a un’altrettanta pregevole esperienza professionale in cardiologia pediatrica. Hanno saputo raccogliere intorno a sé numerosi esperti, tra i più autorevoli, della pediatria, della genetica clinica e della cardiologia che hanno contribuito fattivamente all’eccellenza di questo libro. Ne hanno saputo coagulare saperi e competenze professionali mettendoli a disposizione dei pediatri e dei cardiologi per soddisfarne appieno, armonicamente, la domanda di conoscenza e di cultura e le esigenze dell’aggiornamento e dell’approfondimento clinico-professionale. Prof. Alberto G. Ugazio Direttore Dipartimento di Pediatria Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma VI MARINO cardiologia pediatrica.indd 6 17/09/15 07:54 PRESENTAZIONE Mi è stato gentilmente chiesto di scrivere una presentazione per questo trattato di cardiologia pediatrica, una presentazione vista con gli occhi di un cardiologo tradizionalmente “adulto” quale io mi considero. Ai tempi della mia iniziale formazione cardiologica i casi di cardiopatia congenita che capitavano all’osservazione clinica non erano rari. Poi, gradualmente, l’espandersi esplosivo delle conoscenze fisiopatologiche, delle tecnologie diagnostiche e delle opzioni terapeutiche ha portato al progressivo sviluppo di competenze specifiche e alla loro concentrazione in centri super specialistici nelle mani di esperti del settore. Questa evoluzione ha portato a una progressiva ottimizzazione e standardizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche che rappresenta ora la base di partenza per il trattamento delle cardiopatie congenite e della loro evoluzione nel tempo. Questo trattato fa il punto sullo stato dell’arte in questo campo in maniera comprensiva e ammirevole. Tuttavia ritengo sia giunto il momento di prepararsi a un ulteriore passo avanti, prendendo proprio come punto di partenza questo trattato. Infatti, dopo la correzione dei loro difetti, molti pazienti hanno potenzialmente davanti a loro molti anni di vita normale, se seguiti nel tempo secondo le direttive specifiche. Queste direttive possono essere implementate direttamente anche dai cardiologi adulti e dai medici di medicina generale ora che hanno a disposizione il razionale e le indicazioni generali che sono dettagliate in questo trattato, per indirizzarli quando fosse opportuno, agli esperti del settore e ai centri super specialistici. Prof. Attilio Maseri Presidente Fondazione “Per il Tuo Cuore” Onlus VII MARINO cardiologia pediatrica.indd 7 17/09/15 07:54 Prefazione Cardiologia pediatrica: quo vadis? Conoscere un argomento anche a fondo non costituisce affatto una garanzia di saperne anticipare gli sviluppi, poiché “quando parliamo del domani spesso pensiamo alle nostre idee di oggi” (Tim Harford, divulgatore economico inglese). Prevedere quindi quale possa essere l’evoluzione tecnica e di pensiero che la cardiologia pediatrica è destinata a percorrere nel corso dei prossimi anni rappresenta un difficile obiettivo, soprattutto qualora si considerino le profonde mutazioni che il nostro sistema sanitario, e sociale più in generale, si appresta a sperimentare nel futuro più vicino. La ristrutturazione del modello assistenziale, che potrebbe prevedere il progetto di una progressiva scomparsa delle enclavi specialistiche negli ospedali e negli istituti di cura, impone un cambiamento non solo strutturale, ma anche concettuale, della figura e dell’identità del “cardiologo pediatra” e del modo con il quale questo interagisce con le altre figure professionali di riferimento, che siano mediche, infermieristiche o tecniche. Il quesito quindi andrebbe forse così riformulato: Cardiologo pediatra, quis es? La definizione di una figura professionale di questo tipo, sempre sospesa fra la cardiologia e la pediatria, è complessa e risulterebbe scarsamente comprensibile qualora non si faccia riferimento alla memoria storica, l’epopea di quasi un secolo, costruita da donne e uomini dei quali la passione e la generosità hanno permesso di alimentare la speranza per la sopravvivenza e per una vita migliore a un numero sconfinato di persone cardiopatiche. Fino ai primi decenni del Novecento, il cardiologo pediatra ovviamente non esisteva e le malformazioni cardiache venivano viste come rari, se pur interessanti, scherzi della natura per i quali non vi era rimedio. È per opera di un chirurgo, Robert E. Gross al Children’s Hospital di Boston, che nel 1938 viene tradizionalmente fatta iniziare l’era della diagnosi e della terapia delle cardiopatie congenite 1. Poi, nel 1944 a Baltimora fu eseguito il primo intervento palliativo per la tetralogia di Fallot: l’anastomosi succlavio-polmonare secondo Blalock e Taussig e a Minneapolis nel 1954 Walton Lillehei eseguì il primo intervento di cardiochirurgia a “cuore aperto”. La via era aperta, e dato che finalmente si cominciava a poter curare le cardiopatie congenite, si impose la necessità di eseguire diagnosi sempre più accurate 1. Dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, la cardiologia pediatrica uscì dalla fase pionieristica e si affermò come una sottospecialità della pediatria e della cardiologia; la diagnostica strumentale si sviluppò e gli interventi cardiochirurgici furono coronati da sempre maggiore successo. Ma è negli anni Settanta che si realizzarono alcune condizioni che rivoluzionarono la conoscenza, la diagnosi e la cura delle cardiopatie congenite. Lo studio dettagliato dei reperti anatomici, il raffronto con la clinica e l’esperienza chirurgica permisero a un gruppo di medici dedicati, come Richard Van Praagh, Jesse E. Edwards, Maurice Lev e Maria Victoria De la Cruz, per citarne solo alcuni, di gettare una prima concreta luce sull’apparente caos delle malformazioni congenite del cuore, compiendo un incredibile sforzo di classificazione e ricognizione nosologica, migliorandone sostanzialmente la comprensione anatomica e chirurgica 1. IX MARINO cardiologia pediatrica.indd 9 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA Gli studi di fisiopatologia neonatale, di emodinamica e di angiocardiografia chiarirono gli aspetti funzionali e resero possibile la diagnosi morfologica in vita. Nei primi anni Ottanta irruppe, poi, l’ecocardiografia bidimensionale quale metodica di visualizzazione del cuore, rendendo precise e veloci la diagnosi e l’indicazione non invasiva al trattamento chirurgico delle cardiopatie congenite. Sempre in quegli anni, poi, l’uso delle prostaglandine in epoca neonatale permise, riaprendo il dotto arterioso, la sopravvivenza di alcune gravi malattie dotto-dipendenti che, quindi, potevano essere diagnosticate e operate precocemente 1. La cardiochirurgia ovviamente continuò ad essere protagonista di quel periodo, con una tendenza alla correzione delle cardiopatie in epoca sempre più precoce, realizzando soluzioni chirurgiche palliative o correttive fino ad allora ritenute impossibili, mentre le nuove acquisizioni nel campo dell’immunologia migliorarono grandemente la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco. Le innovazioni culturali, tecniche e di mentalità degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso cambiarono radicalmente la cardiologia pediatrica ponendo le basi per tutti gli sviluppi futuri. Negli anni Novanta, le tecniche di emodinamica interventistica raggiunsero inoltre la piena maturità, consentendo il trattamento palliativo o correttivo non chirurgico di un numero sempre maggiore di difetti cardiaci 1. Infine, più di recente, risultati straordinari nella diagnosi e nella terapia interventistica e chirurgica delle cardiopatie congenite ottenuti nell’ultimo decennio del secolo scorso hanno ridotto drasticamente, nei paesi sviluppati, la mortalità neonatale e infantile di queste malformazioni. La cardiochirurgia pediatrica si presenta oggi come un campo nel quale i grandi progressi del passato sono stati oramai confermati e consolidati, lasciando intravedere, almeno per il prossimo futuro, margini di miglioramento sostenuti soprattutto dall’avanzamento delle tecniche di sostegno circolatorio extracorporeo e dalla riduzione delle sequele perioperatorie. I contributi più nuovi nel campo delle cardiopatie congenite stanno arrivando (e sono da attendersi sempre di più nel prossimo futuro) da due settori: il primo precede la nascita e include la genetica, la morfogenesi e la vita prenatale; il secondo segue il trattamento chirurgico e riguarda quindi il follow-up in età adolescenziale e adulta. Con l’approssimarsi del nuovo millennio, la crescente specializzazione delle metodiche diagnostiche e terapeutiche ha portato il cardiologo pediatra a differenziarsi in maniera sempre maggiore rispetto alle discipline di origine, indipendentemente dalla sua formazione in pediatria o cardiologia, e il suo ambito di azione è diventato sostanzialmente ben delimitato e delineato. Tuttavia, è proprio nei recenti anni che il mondo apparentemente stabile della cardiologia pediatrica è stato di nuovo rimesso in discussione da fattori che, se pur ampiamente previsti in passato, iniziano ora a pesare in maniera più forte. Il primo è la riduzione alla nascita del numero delle cardiopatie congenite, in particolare di quelle complesse, dovuta all’ampia diffusione dell’ecocardiografia fetale con la conseguente e frequente scelta abortiva 2. Questo fenomeno è in parte bilanciato però, in alcune nazioni sviluppate, dall’afflusso di bambini con cardiopatia congenita provenienti da Paesi con alti tassi di mortalità e con scarse disponibilità di tecnologie mediche. Esportare, quindi, nei Paesi del terzo mondo le conoscenze, le professionalità e le strumentazioni necessarie alla diagnosi e alla cura delle cardiopatie in età pediatrica è una grande sfida per il presente e per il futuro della nostra specialità. Contemporaneamente, nei Paesi altamente sviluppati vi è stato un crescente aumento del numero dei pazienti adulti portatori di cardiopatia congenita, conseguenza diretta del continuo progresso che induce la lunga sopravvivenza di pazienti pediatrici con cardiopatie anche gravi. Recenti dati epidemiologici dimostrano, infatti, che il numero dei pazienti adulti con cardiopatia congenita ha superato di molto quello dei pazienti in età pediatrica e rappresenta attualmente circa i due terzi della popolazione di pazienti con cardiopatia congenita 3; i sistemi sanitari si presentano ancora impreparati a ciò 3. Il cardiologo dell’adulto, infatti, non ha la preparazione culturale per affrontare una cardiopatia congenita e, d’altra parte, il pediatra cardiologo non ha la competenza e gli strumenti tecnici per affrontare le patologie correlate all’invecchiamento (aterosclerosi, malattie degenerative ecc.), con conseguenze importanti sia in termini economici che di aumento di rischio per i pazienti 4. L’adulto portatore di cardiopatia congenita (il cosiddetto GUCH, da grown up congenital heart patient) si presenta quindi come molto complesso e ben poche strutture sono preparate e disposte a farsi carico di pazienti con criticità multiple. Le degenze, in questi casi, sono spesso prolungate, con particolari difficoltà quando nel reparto “pediatrico” si debbano assistere anche pazienti di età relativamente avanzata. X MARINO cardiologia pediatrica.indd 10 17/09/15 07:54 Prefazione L’identità del cardiologo pediatra, consolidata alla fine del secolo scorso torna, dunque, a vacillare davanti a nuove sfide che, oltre alle problematiche di stretta pertinenza clinica, sono rappresentate da temi in passato scarsamente considerati, quali l’abilità al lavoro, l’idoneità assicurativa, la gravidanza, lo sport. Non si tratta più soltanto di conoscere l’anatomia, la clinica e la terapia delle cardiopatie congenite, ma viene richiesto di rispondere alle esigenze di una popolazione adulta in continua espansione e con necessità e problemi diversi da quelli per i quali la cardiologia pediatrica tradizionale, nella sua la storia ultradecennale, si era preparata. La formazione specialistica del cardiologo pediatra, ritenuta ottimale negli anni Novanta, risulta ora insufficiente davanti alle nuove sfide, soprattutto in Italia dove per lungo tempo si è rimasti fermi alla didattica istituita dalla tabella XVIII del DPR 27/7/1987 e all’istituzione dei Master di II livello. Nel resto del mondo, Gran Bretagna e Canada storicamente per prime, le strutture sanitarie nazionali e le società scientifiche già si erano strutturate ad affrontare questa realtà emergente e hanno contribuito alla realizzazione di centri appositamente dedicati all’assistenza del cardiopatico congenito adulto con specifici indirizzi educativi per il personale medico e infermieristico. L’organizzazione e l’attività di questi centri specializzati per gli adulti con cardiopatie congenite si sono dimostrate efficaci per ridurre la mortalità e la morbilità in questo crescente gruppo di pazienti 3, 4. La necessità di dover seguire pazienti sottoposti a palliazioni permanenti o con sequele dopo correzioni chirurgiche, a torto ritenute “complete”, impone ora al cardiologo pediatra non solo l’acquisizione di ulteriori nuove competenze tecniche, ma anche di uscire dall’isolamento culturale e di interagire in maniera sempre maggiore con la cardiologia e la medicina interna dell’adulto. L’altro problema emergente è quello dei costi. Il paziente cardiopatico congenito necessita di assistenza dedicata per una durata che spesso è quella di tutta la sua vita, con ripetute procedure diagnostiche e terapeutiche di elevato costo. Anche sul piano della terapia medica, i nuovi farmaci, come ad esempio quelli per il trattamento dell’ipertensione polmonare, presentano aspetti di rapporto costo/beneficio molto complessi che, nell’attuale scenario economico mondiale, non possono essere trascurati. Appare quindi evidente che è necessario evitare quanto più possibile la “deregulation” dell’assistenza al cardiopatico congenito, con relativi rischi oggettivi per il paziente e rischi economici per la sanità, concentrando esperienza, competenza e risorse in centri appositamente dedicati 5, 6. Allo stato attuale, almeno a livello nazionale italiano, tale azione appare ancora lontana, al contrario di quanto ha fatto la Svezia già dai primi anni Novanta, riducendo la mortalità operatoria dal 9,5 all’1,9% in breve tempo 7. L’affacciarsi di ambiti tecnici sempre più nuovi mette dunque alla prova il concetto “tradizionale” che abbiamo del cardiologo pediatra, coinvolto sempre di più in ambiti un tempo preclusi, come la sala operatoria a fianco del cardiochirurgo per le procedure cosiddette “ibride”, o la sala di risonanza magnetica nucleare, insieme al radiologo, per la valutazione anatomica e funzionale di cardiopatie complesse. Stiamo entrando in un’era di progressi tecnologici sempre più entusiasmanti e il ruolo del cardiologo (“pediatra”?) dovrà adattarsi alle nuove sfide. La terapia genica, l’interventistica prenatale, la realizzazione di grandi banche dati e studi epidemiologici su larga scala, la prevenzione primaria delle patologie cardiovascolari dell’età adulta, sono solo alcuni degli ambiti sui quali sarà necessario confrontarsi e la cui strada è stata già indicata dalle grandi società scientifiche 8, 9. Dobbiamo sempre ricordare, però, che in tutti i campi della medicina, e ancora di più in cardiologia pediatrica, la tecnologia non potrà sostituire la cultura, la robotica non potrà sostituire l’accuratezza e la computeristica non potrà sostituire l’umanità del medico e il suo amore per il malato. Possiamo forse prevedere che, accanto al cardiologo pediatra classico si affermerà la figura di un cardiologo che, avendo perso il connotato (o almeno l’esclusività) di “pediatra”, ha acquisito la caratteristica di “cardiologo del congenito”. Questa operazione, lessicalmente facile per gli anglosassoni (the congenital cardiologist) risulta decisamente più faticosa per noi italiani, motivo per cui gli autori di questo manuale hanno deciso di intitolarlo e dedicarlo, ancora, alla cardiologia pediatrica. In questo nostro libro abbiamo voluto coinvolgere i migliori specialisti italiani nel settore per fornire un panorama, crediamo piuttosto completo e approfondito, che riguarda tutti quei problemi di gestione pratica del cardiopatico congenito in età pediatrica e adulta, che raramente vengono affrontati nei classici libri dedicati all’argomento. Non vi è una trattazione sistematica degli aspetti diagnostici e chirurgici di tutte le cardiopatie congenite, per la quale rimandiamo agli ottimi testi che sono già a disposizione. Troverete inve- XI MARINO cardiologia pediatrica.indd 11 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA ce una trattazione aggiornata di vari argomenti di carattere pratico che possono interessare ed essere utili certo ai cardiologi pediatri, ma anche agli specialisti pediatri, neonatologi, cardiologi, anestesisti e cardiochirurghi che sono in qualsivoglia modo coinvolti nella diagnosi e nella cura dei bambini con cardiopatia (congenita o acquisita) e degli adolescenti e adulti con cardiopatia congenita. Se questi argomenti e la loro trattazione otterranno la vostra attenzione, il nostro lavoro avrà avuto un significato. Gli autori BIBLIOGRAFIA 1. Marino B. Cardiopatia congenita. Dai pionieri alle nuove frontiere. In: Burgio GR, Notarangelo LD (editors). Malattie maestre. Milano: UTET; 2002. p. 159-67. 2. Egbe A, Uppu S, Lee S et al. Changing prevalence of severe congenital heart disease: a population-based study. Pediatr Cardiol 2014;35:1232-8. 3. Marelli AJ, Ionescu-Ittu R, Mackie AS et al. lifetime prevalence of congenital heart disease in the general population from 2000 to 2010. Circulation 2014;130:749-56. 4. Mylotte D, Pilote L, Ionescu-Ittu R et al. Specialized adult congenital heart disease care: the impact of policy on mortality. Circulation 2014;129:1804-12. 5. Kim YY, Gauvreau K, Bacha EA et al. Resource use among adult congenital heart surgery admissions in pediatric hospitals: risk factors for high resource utilization and association with inpatient death. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2011;4:634-9. 6. Pasquali SK, Gaies MG, Jacobs JP et al. Center variation in cost and outcomes for congenital heart surgery. Cardiol Young 2012;22:1010-7. 7. Lundström NR, Berggren H, Björkhem G et al. Centralization of pediatric heart surgery in Sweden. Pediatr Cardiol 2000;21:353-7. 8. Lenfant C. Report of the Task Force on Research in Pediatric Cardiovascular Disease. Circulation 2002;106: 1037-42. 9. Kaltman JR, Schramm C, Pearson CD. The National Heart, Lung, and Blood Institute bench to bassinet Program: a new paradigm for translational research. J Am Coll Cardiol 2010;55:1262-5. XII MARINO cardiologia pediatrica.indd 12 17/09/15 07:54 AUTORI Anwar Baban Bruno Dallapiccola Marco Bonvicini Fabio Dardi Genetica Medica e Cardiologia Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva, Policlinico “S.Orsola-Malpighi”, Università degli Studi di Bologna, Bologna Giovanna Bosco Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Lorenzo D. Botto Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma AOU di Bologna, Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna, Bologna Giangiacomo Di Nardo UOSD di Cardiopatie Congenite dell’Adulto (G.U.C.H. Unit), A.O.R.N “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Divisione di Genetica Medica, Dipartimento di Pediatria, Università dello Utah, Salt Lake City, UT, USA Giovanni Di Salvo Gianfranco Butera Maria Cristina Digilio Cardiopatie Congenite del bambino e dell’adulto, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI) Raffaele Calabrò UOC di Cardiologia, A.O.R.N. “Ospedale dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Alessandro Capestro Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e Congenita, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, AOU Ospedali Riuniti, Ancona UOSD di Cardiologia Pediatrica, A.O.R.N. “Ospedale dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Andrea Donti Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva, Policlinico “S.Orsola-Malpighi”, Bologna Fabrizio Drago Aritmologia, Dipartimento Medico Chirurgico di Cardiologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Palidoro, Roma Rossella Capolino Ilaria Ernesti Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Mario Carminati Silvia Favilli Cardiopatie Congenite del bambino e dell’adulto, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI) Adriano Carotti Cardiochirurgia Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Biagio Castaldi UOSD di Cardiologia Pediatrica, A.O.R.N. “Ospedale dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Enrico Chiappa Cardiologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze Roberto Formigari Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva, Policlinico “S.Orsola-Malpighi”, Bologna Eliana Franchi Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e Congenita. Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, AOU Ospedali Riuniti, Ancona Nazzareno Galiè Cardiologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna, Bologna Chiara Colantoni Giuseppe Limongelli Dipartimento di Pediatria, “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Pier Luigi Colonna Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e Congenita, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, AOU Ospedali Riuniti, Ancona U.O.S.D. Cardiologia Riabilitativa, Intensiva e Scompenso Cardiaco, A.O.R.N. “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Maristella Lombardi UOC Cardiologia Pediatrica, Azienda Policlinico, Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Bari XIII MARINO cardiologia pediatrica.indd 13 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA Alessandra Manes Maria Giovanna Russo Sergio Manieri Sabrina Salvadori Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna, Bologna UOC Pediatria, AO San Carlo, Potenza Maurizio Marasini UO di Cardiologia, Dipartimento di Cardiologia e Chirurgia Cardiovascolare, Istituto Giannina Gaslini IRCS, Genova MARCO VALERIO MARIANI Dipartimento di Pediatria “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Bruno Marino Dipartimento di Pediatria “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Elisabetta M. Mariucci Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva, Policlinico “S.Orsola-Malpighi”, Bologna Francesco Martino Dipartimento di Pediatria, “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Eliana Martino Dipartimento di Pediatria, “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Vanessa Martucci Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Daniele Masarone UOSD di Cardiologia Pediatrica, A.O.R.N. “Ospedale dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli UOC Patologia Neonatale, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova, Padova Tiberio Santoro Dipartimento di Cardiologia, Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG) Giuseppe Santoro UOSD di Cardiologia Pediatrica, A.O.R.N. “Ospedale dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Berardo Sarubbi UOSD di Cardiopatie Congenite dell’Adulto (G.U.C.H. Unit), A.O.R.N “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Giancarlo Scognamiglio UOSD di Cardiopatie Congenite dell’Adulto (G.U.C.H. Unit), A.O.R.N “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Lucia Martina Silvestri Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Giorgio Svaluto Moreolo U.O.S.D. Cardiologia Riabilitativa, Intensiva e Scompenso Cardiaco, A.O.R.N. “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli UOC Pediatria, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo Pierpaolo Mastroiacovo Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma ICBD - Alessandra Lisi International Centre on Birth Defects and Prematurity, Roma Giancarlo Tancredi Ornella Milanesi Giulia Tuo UOC Cardiologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova, Padova UO di Cardiologia, Dipartimento di Cardiologia e Chirurgia Cardiovascolare, Istituto Giannina Gaslini IRCS, Genova Giuseppe Pacileo Ugo Vairo U.O.S.D. Cardiologia Riabilitativa, Intensiva e Scompenso Cardiaco, A.O.R.N. “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli UOC Cardiologia Pediatrica, Azienda Policlinico, Ospedale Pediatrico, Giovanni XXIII, Bari Massimiliano Palazzini Flavia Ventriglia Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna, Bologna Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Giovanna Passarella Paolo Versacci UOC Pediatria, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo Iva Pollini Cardiologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze Luca Ragni Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva, Policlinico “S.Orsola-Malpighi”, Bologna Alessandra Rea U.O.S.D. Cardiologia Riabilitativa, Intensiva e Scompenso Cardiaco, A.O.R.N. “Ospedali dei Colli”, II Università di Napoli, Napoli Dipartimento di Pediatria, Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma, Roma Cristina Zanoni Dipartimento di Pediatria, “Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I, Roma Francesco Zulian Centro Regionale Specializzato di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento A.I.S. per la Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova, Padova XIV MARINO cardiologia pediatrica.indd 14 17/09/15 07:54 INDICE Introduzione ................................................................................................................................................. V Presentazione ........................................................................................................................................... VII Prefazione ...................................................................................................................................................... IX Autori ............................................................................................................................................................. XIII 1 CARDIOLOGIA FETALE ................................................................................................................. 1 G. Tuo, M. Marasini 2 NEONATO CON SOSPETTA CARDIOPATIA CONGENITA ............................... 27 S. Salvadori, G. Passarella, O. Milanesi 3 TRATTAMENTO INTERVENTISTICO DELLE CARDIOPATIE CONGENITE ..................................................................................... 59 G. Butera, T. Santoro, M. Carminati 4 TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE CARDIOPATIE CONGENITE ............ 74 A. Carotti 5FOLLOW-UP E TRANSIZIONE ALL’ETÀ ADULTA DEL CARDIOPATICO CONGENITO ................................................................................... 88 E.M. Mariucci, R. Formigari, M. Bonvicini 6 CARDIOPATIE CONGENITE NELL’ETÀ ADULTA: PROBLEMATICHE CLINICHE ................................................................................................. 106 B. Sarubbi, G. Scognamiglio, G. Di Nardo 7 Cardiopatie congenite a esordio tardivo e nell’età adulta .................................................................................................................... 119 A. Donti, E.M. Mariucci, R. Formigari 8 Consulenza genetica .................................................................................................... 134 M.C. Digilio, L.M. Silvestri, A. Baban, R. Capolino, M.V. Mariani, B. Marino, B. Dallapiccola XV MARINO cardiologia pediatrica.indd 15 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA 9 Prevenzione primaria delle cardiopatie congenite .................. 146 P. Mastroiacovo, L.D. Botto 10 Sincope e morte improvvisa .................................................................................... 163 G. Svaluto Moreolo 11 Aritmie in età pediatrica .............................................................................................. 186 F. Drago 12 Dolore toracico .................................................................................................................. 215 P. Versacci, G. Tancredi, V. Martucci, I. Ernesti, L.M. Silvestri, F. Ventriglia, G. Bosco 13 Ipertensione polmonare in età pediatrica ........................................... 227 N. Galiè, F. Dardi, M. Palazzini, A. Manes 14 Obesità in età pediatrica ............................................................................................ 240 B. Castaldi, G. Di Salvo, G. Santoro, M.G. Russo 15 Aterosclerosi in età pediatrica ......................................................................... 254 F. Martino, C. Colantoni, E. Martino, C. Zanoni 16 Ipertensione arteriosa in età pediatrica ............................................... 275 I. Pollini, S. Favilli, E. Chiappa 17 Scompenso cardiaco in età pediatrica ..................................................... 287 D. Masarone, G. Limongelli, A. Rea, G. Pacileo, R. Calabrò 18 Gestione del soffio cardiaco .............................................................................. 305 M. Lombardi, S. Manieri, U. Vairo 19 Cuore e malattie reumatiche del bambino e dell’adolescente ......................................................................... 317 F. Zulian 20 Farmaci cardiovascolari in età pediatrica ......................................... 327 R. Formigari, L. Ragni 21 Idoneità sportiva agonistica e non agonistica in pediatria ................................................................................................................................. 343 P. Colonna, A. Capestro, E. Franchi XVI MARINO cardiologia pediatrica.indd 16 17/09/15 07:54 Cardiologia fetale G. Tuo, M. Marasini Introduzione Le cardiopatie congenite (CC) rappresentano il tipo più comune di malformazione congenita alla nascita, con forme di gravità moderata e severa che interessano circa lo 0,6% dei nati vivi 1. Benché rimangano una causa importante di morte nell’infanzia, non tutte le forme di CC maggiore si manifestano nel primo periodo neonatale tanto che, secondo alcuni autori, approssimativamente il 25% dei bambini con forme severe di CC viene ancora oggi dimesso dalla neonatologia senza alcuna diagnosi 2, 3. Nel Baltimore-Washington Infant Study, tra il 1981 e il 1989, è stato diagnosticato il 60% dei casi di CC entro le quattro settimane di vita, l’80% entro le dodici settimane e il 90% entro i due anni di età 4. Nei nati morti, i difetti cardiaci sono osservati con una frequenza da quattro a cinque volte più elevata 5. La vera incidenza delle CC in epoca prenatale è, invece, ancora oggi difficile da valutare. Infatti, nonostante i progressi nella tecnologia ultrasonografica e la diffusione della valutazione con ultrasuoni del feto, le anomalie cardiache restano ancora le malformazioni più frequentemente misconosciute in epoca prenatale e ciò può avere profonde conseguenze mediche, psicologiche, socio-economiche e medico-legali. La probabilità di diagnosticare un difetto cardiaco in utero è strettamente correlata all’esperienza dell’operatore, all’epoca gestazionale in cui si esegue l’esame e all’apparecchiatura che si utilizza, che necessariamente deve essere ad alta risoluzione 6, 7. Inoltre, poiché alcune anomalie cardiache possono evolvere nelle loro caratteristiche ecografiche con la progressione della gravidanza, un certo gruppo di difetti non può essere escluso con certezza tramite un singolo esame, in particolare se questo è effettuato in un’epoca gestazionale molto precoce. 1 Negli ultimi anni si è focalizzata l’attenzione sullo sviluppo di programmi di screening ecografici di massa per la diagnosi prenatale delle CC indipendentemente dalla presenza nel singolo soggetto di fattori di rischio più o meno specifici. È stato valutato, poi, l’impatto di questi programmi di screening sulla mortalità e sulla morbilità dei bambini con diagnosi prenatale di CC rispetto alla popolazione generale, con risultati contrastanti 8, 9. Inoltre, la possibilità di intervenire in utero, che è ormai codificata per quanto concerne il trattamento antiaritmico, ma ancora in fase sperimentale per altri tipi di interventi, potrebbe ulteriormente migliorare l’outcome 10, 11. Infine, non si può non prendere in considerazione l’impatto che una diagnosi prenatale di cardiopatia ha sulla coppia e l’onere che ne deriva per il cardiologo che deve fornire tutte le informazioni relative al tipo di anomalia, alle opzioni terapeutiche e alle possibilità di sopravvivenza. Nelle pagine successive cercheremo di affrontare nel dettaglio tutti questi aspetti della cardiologia fetale rimandando quasi totalmente a testi specifici tutto ciò che riguarda le differenze rispetto al postnatale, per quanto concerne gli aspetti tecnico, teorico e pratico dell’esecuzione dell’esame sia in un cuore normale che, e soprattutto, in un cuore malformato. Indicazioni all’Ecocardiografia Fetale nella Popolazione ad Alto Rischio di CC Le indicazioni all’ecocardiografia fetale risultano strettamente collegate al riconoscimento e alla quantificazione dei possibili fattori di rischio e, conseguentemente, all’esatta conoscenza delle cause della cardiopatia congenita. A oggi sono stati individuati tre principali gruppi causali, sulla base 1 MARINO cardiologia pediatrica.indd 1 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA di dati empirici, genetici e di esperimenti su animali 4, 12-14. Questi sono: fattori genetici primari (aberranze cro­mosomiche, 5%; sindromi monogeniche, 3%), fattori esogeni primari (infezioni materne, 1%; teratogeni/malattie metaboliche materne 1%) ed eredità multifattoriale (90%). In quest’ultimo caso si ritiene che l’anomalia cardiaca derivi dall’interazione tra una genetica aspecifica e fattori ambientali. Questo presuppone una predisposizione genetica e l’influenza di fattori scatenanti ambientali agenti a un certo punto dell’embriogenesi; il periodo più sensibile è intorno alla sesta settimana di gestazione 13. Con i progressi della genetica molecolare, il concetto di eziologia multifattoriale è posto sempre più in discussione, in quanto numerosi difetti cardiaci sono stati identificati come il risultato di mutazioni monogeniche ereditate o ex-novo, e di micro-delezioni ereditate o spontanee 14-16. In ogni modo, a oggi l’eziologia della maggioranza delle anomalie cardiache è ancora oggetto di ricerca, e di conseguenza nella pratica clinica l’identificazione di popolazioni ad alto rischio è basata sulla storia clinica del paziente e sulle anomalie o i marcatori riscontrati all’esame ecografico. A questa minoranza di feti affetti da cardiopatia con fattori di rischio noti (circa il 10%) dovrebbe essere offerto un esame ecocardiografico dettagliato che includa anche una valutazione nel primo trimestre di gravidanza. In particolare si distinguono indicazioni materno-familiari e indicazioni fetali all’ecocardiografia prenatale (Tab. 1-I) 17. Indicazioni materno-familiari Per malattie materne s’intendono in particolare i difetti metabolici, le malattie autoimmuni, le infezioni o l’esposizione materna a sostanze teratogene. Nell’ambito delle patologie metaboliche il diabete mel­lito insulino-dipendente, specie se non compensato, comporta un aumento di circa cinque volte del rischio di CC rispetto alla popolazione generale 18. La fenilchetonuria è associata a un rischio 10-15 volte maggiore di CC, in particolare di tetralogia di Fallot (TF) e di difetto interventricolare (DIV), a seguito dell’esposizione del feto durante l’organogenesi a valori elevati di fenilalanina materna (eccedenti 15 mg/dl) 19. Le malattie autoimmuni quali il lupus eritematosus, la sindrome LLAC (Lupus Like Anticoagulant), la malattia di Sjogren o la semplice presenza di anticorpi materni anti-RO e/o anti-LA, anche in assenza di malattia, comportano un rischio di blocco atrio-ventricolare completo fetale che va- Tabella 1-I Indicazioni all’ecocardiografia fetale 17. Indicazioni materne •Malattie metaboliche materne, in particolare se scarsamente controllato in fase precoce di gravidanza: –– diabete melito –– fenilchetonuria •Esposizione materna a teratogeni cardiaci: –– anticonvulsivanti, acido retinoico, litio –– infezioni virali e altre infezioni. Come rosolia, citomegalovirus, coxsackie, parvo e toxoplasma •Malattie materne del collagene con anticorpi Ro/ SSA e/o La/SSB •Malattie cardiache congenite materne e cardiomiopatia familiare •Terapia materna con farmaci antinfiammatori non steroidei dopo la venticinquesima fino alla trentesima settimana di gestazione Indicazioni familiari •Malattia cardiaca congenita paterna •Precedente bimbo o feto con malattia congenita cardiaca o blocco cardiaco congenito •Anomalie cromosomiche, disordini genetici o sindromi con malattie cardiache congenite o cardiomiopatie Indicazioni fetali •Sospetto di malformazione cardiaca durante l’esame ostetrico •Idrope fetale •Idrotorace •Polidramnios •Malformazioni extracardiache, in particolare: –– omfalocele –– ernia diaframmatica –– atresia duodenale –– fistola tracheoesofagea –– igroma cistico •Anomalie cromosomiche •Translucenza nucale superiore al 99°percentile per lunghezza vertice-sacro •Aritmie: –– bradicardia sostenuta a meno di 100 battiti per minuto –– tachicardia, sia intermittente che sostenuta, se con frequenza maggiore di 180-200 battiti per minuto –– frequenti battiti ectopici •Altre condizioni con rischio noto di scompenso cardiaco fetale: –– tumori fortemente vascolarizzati –– fistole artero-venose –– assenza del dotto venoso –– acardiac twin –– sindrome da trasfusione feto-fetale –– anemia •Gravidanza gemellare monocoriale (per l’aumentato rischio di malformazioni cardiache strutturali fetali) ria dall’1 al 6%. Le pazienti affette producono autoanticorpi antinucleari di tipo IgG (anti-RO e anti-LA) che, oltrepassando la placenta a 16-18 settimane, possono interferire con il sistema di conduzione cardiaca determinando una reazione 2 MARINO cardiologia pediatrica.indd 2 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale infiammatoria che può portare a fibrosi del nodo atrio-ventricolare 20. Le infezioni materne, per lo più di natura virale, comportano un rischio di anomalie cardiache che varia in funzione dell’epoca gestazionale di esposizione: la rosolia contratta in gravidanza, specie se prima della dodicesima settimana, comporta un rischio malformativo sino al 50%, ma anche le infezioni da Coxsackie, da Parvovirus e da Citomegalovirus sono associate a una maggiore incidenza di CC e di miocarditi fetali 22, 23. Infine, sebbene non si possa escludere la possibilità che molte sostanze o farmaci possano interferire con la cardiogenesi, solo in pochi casi si sono evidenziate associazioni significative. L’uso nel primo trimestre di anticonvulsivanti, alcol, litio e di derivati della vitamina A sembra comunque aumentare il rischio di CC 24-28. Per malattie familiari o ereditarie s’intende la presenza su base familiare di sindromi a trasmissione mendeliana monogenica o secondarie a microdelezione, caratterizzate dalla presenza di difetti cardiaci congeniti associati. L’ecocardiografia fetale assume particolare importanza nei casi in cui tali condizioni non siano identificabili o escludibili in epoca prenatale con metodologie più precoci e sensibili (tecniche di biologia molecolare; FISH) o siano piuttosto caratterizzate da notevole variabilità di espressione (es. fenotipo CATCH) 29-37. In caso di familiarità per CC, il rischio di ricorrenza varia in funzione del tipo di lesione cardiaca e del grado di parentela: in caso di un solo figlio precedente affetto il rischio è dell’1-4% e aumenta fino a 3-4 volte (10%) in caso di due figli con malformazione cardiaca. Quando invece è affetto uno dei due genitori il rischio di ricorrenza, una volta escluse malattie ereditarie su base mendeliana, è pari al 5-10%. Sebbene vi siano opinioni discordanti, tale rischio sembra essere maggiore se a essere affetta è la madre o per alcune classi specifiche (patologie ostruttive del cuore sinistro, difetti di settazione e anomalie del situs) 13, 38-40. Il rischio di ricorrenza riguarda, di solito, lo stesso tipo o la stessa classe di alterazioni cardiache, per cui è molto importante, in sede di ecocardiografia, conoscere il difetto precedentemente diagnosticato. Indicazioni fetali Le alterazioni cromosomiche rappresentano un’in­dicazione all’esame ecocardiografico in modo da permettere un counselling adeguato. Ciò è particolarmente vero a seguito della diagnosi prenatale di alterazioni cromosomiche maggiori (monosomie, trisomie) associate a quadri sindromici severi per i quali la coppia abbia deciso di proseguire la gravidanza per scelta o per diagnosi tardiva; a seguito della diagnosi prenatale di alterazioni cromosomiche associate a quadri fenotipici variabili o non definiti in maniera assoluta, come nel caso della sindrome di Turner o di alterazioni cromosomiche di raro riscontro; a seguito della diagnosi prenatale di alterazioni cromosomiche non associabili a precise alterazioni del fenotipo come nel caso di mosaicismi di II e III livello, di cromosomi marcatori, o di alterazioni strutturali de novo apparentemente bilanciate 41, 42. Il sospetto di anomalia strutturale cardiaca nel corso di ecografia di routine in pazienti a basso rischio deve rappresentare la principale indicazione all’effettuazione di un’ecocardiografia fetale. I risultati degli studi ottenuti utilizzando come metodica di screening la sezione 4 camere evidenziano una sensibilità molto variabile (dal 4,5 al 63%) in funzione dei diversi protocolli di studio adottati e dell’esperienza dei diversi operatori coinvolti. Alcune cardiopatie sono facilmente individuabili mediante immagine a 4 camere (atresia mitralica o tricuspidalica, canale atrio-ventricolare ecc.), altre lo sono solo in caso di ampi difetti interventricolari. Altre ancora possono diventare evidenti solo tardivamente nel terzo trimestre (fibroelastosi endocardica, stenosi aortica e polmonare, coartazione aortica ecc.). Tutte le malformazioni tronco-conali invece, che rappresentano circa il 30-40% delle cardiopatie congenite a emergenza neonatale, non sono teoricamente evidenziabili impiegando solo questa scansione. Per i motivi sopra esposti, la detection-rate teorica mediante immagine a 4 camere dovrebbe essere intorno al 50-60% delle cardiopatie maggiori e questo conferma come l’enorme discrepanza riscontrata nei lavori pubblicati possa dipendere interamente dall’esperienza e dal training del centro e del singolo operatore. Inserendo nel programma di screening la scansione degli “assi lunghi” per la valutazione degli efflussi ventricolari, possono essere identificate anche le anomalie tronco-conali e la detection-rate teorica dovrebbe salire a circa l’8090% delle cardiopatie maggiori e in particolare dovrebbe permettere il riconoscimento in utero di quelle cardiopatie che maggiormente possono beneficiare della diagnosi prenatale (traposizione delle grandi arterie e cardiopatie dotto arterioso dipendenti) 43-50. 3 MARINO cardiologia pediatrica.indd 3 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA Il riscontro di aritmia fetale all’esame di screening è un’ovvia indicazione all’esame ecocardiografico che permette di valutare il tipo e il rilievo emodinamico dell’aritmia e di escludere eventuali anomalie strutturali cardiache associate (presenti nel 30-50% dei casi di blocco atrio-ventricolare e nel 5% dei casi di tachiaritmia) 50. Il test della “traslucenza nucale” (NT) positivo rappresenta un’altra indicazione all’ecocardiografia fetale, in quanto la prevalenza di difetti cardiaci maggiori aumenta in maniera esponenziale con l’aumentare dello spessore della NT, in feti cromosomicamente normali. Hyett et al. in un lavoro retrospettivo hanno rilevato che il 56% dei feti affetti da CC maggiore si collocava nella popolazione con spessore NT superiore al 95°percentile, evidenziando un aumento di circa 8-10 volte del rischio per anomalie cardiache maggiori (1,5% versus 1,7‰) 51. Aumentando il valore di cut-off dal 95° al 99°percentile si riduceva il numero di pazienti da esaminare ma la sensibilità diminuiva dal 56 al 40%. La frequenza di associazione tra CC e anomalie extracardiache dopo la nascita varia dal 25 al 45%, per cui il riscontro di anomalia extracardiaca in epoca fetale deve prevedere una valutazione specialistica del cuore fetale. È importante ricordare come i diversi tipi di cardiopatie possano essere associate in percentuale variabile a malformazioni di altri organi: ad esempio il canale atrio-ventricolare è associato ad altre anomalie in circa il 50% dei casi, mentre il difetto interventricolare, il difetto interatriale, la tetralogia di Fallot e la malposizione cardiaca lo sono in circa il 30% dei casi 52, 53. L’idrope fetale non immunitario può essere l’epi-fenomeno sia di anomalie del ritmo cardiaco che di anomalie strutturali cardiache 50. Altre malformazioni frequentemente associate a CC sono l’onfalocele, l’atresia esofagea più o meno associata alla fistola tracheoesofagea, l’atresia duodenale, l’igroma cistico (spesso in presenza di aneuploidia), l’ernia diaframmatica e l’agenesia del corpo calloso 54-57. Il rischio di cardiopatie congenite, di solito associate ad aneuploidia o a sindromi complesse, è aumentato anche in caso di difetto di crescita fetale precoce, oppure di tipo simmetrico, a prescindere dall’epoca gestazionale e in caso di gravidanza gemellare monozigotica 38, 50, 53, 58. Infine, in questi ultimi anni, alcuni autori hanno proposto di eseguire l’ecocardiografia fetale anche a quelle pazienti che, pur presentando fattori di rischio per anomalia cromosomica (età materna, screening biochimico positivo, anamnesi), rifiutano l’effettuazione di metodiche prenatali invasive e quindi a rischio di perdita fetale 50. In questi casi, l’ecocardiografia fetale potrebbe rappresentare un completamento diagnostico importante, dal momento che una cardiopatia si rileva nel 50% degli affetti da Trisomia 21, nel 35% dei feti affetti da sindrome di Turner e nel 90-99% di quelli con Trisomia 13 e 18. Le anomalie cardiache, inoltre, a differenza di altri marcatori ecografici, non hanno carattere transitorio bensì evolutivo, né risultano dipendenti da particolari livelli di cut-off correlati all’epoca gestazionale. In questi casi, un’accurata ecocardiografia può aumentare in misura sostanziale anche la possibilità di riscontro di una cromosomopatia 59. Aspetti tecnici Per l’esecuzione dell’ecocardiografia fetale devono essere utilizzate apparecchiature con un sistema bidimensionale ad alta risoluzione, con sonde aventi un numero elevato di cristalli che permettano di ottenere immagini nitide anche a ingrandimenti elevati. Inoltre, le apparecchiature devono essere provviste di funzione Cine Loop, di zoom e di funzioni quali l’M-mode, il Doppler pulsato e continuo e infine del color Doppler. Per quel che riguarda l’impostazione dell’apparecchio, è necessaria una regolazione più “dura” dell’immagine (rispetto all’immagine ostetrica), ov­ vero un basso livello di “range” dinamico e un aumento del contrasto, utile per una migliore definizione del contorno parietale e delle altre strutture anatomiche del cuore. È necessario, inoltre, utilizzare un frame-rate ele­vato per una corretta valutazione di strutture in rapido movimento, quali quelle cardiache fetali. Le sonde utilizzate dovrebbero essere la settoriale e la convessa, preferibilmente a multifrequenza (3-8 MHz), in modo da ottimizzare la frequenza di emissione in funzione della distanza del cuore fetale. Nel secondo trimestre si utilizzano frequenze più alte (5-8 MHz), mentre si utilizzano quelle più basse (3-5 MHz) nel terzo trimestre o in presenza di adiposità materna. Sebbene la valutazione del cuore fetale sia già possibile a tredici settimane di gestazione, l’epoca ideale in cui eseguire l’esame ai fini di ottenere una diagnosi della cardiopatia precoce, ma il più completa e accurata possibile, è quella compresa tra diciotto e ventidue settimane 60. 4 MARINO cardiologia pediatrica.indd 4 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale Esame bidimensionale: piani di scansione Lo studio del cuore fetale inizia con l’individuazione della posizione fetale determinando il lato destro e sinistro del feto, la posizione della testa e della colonna vertebrale. Una volta compresa la posizione del feto, si passa all’esame morfologico del cuore fetale sfruttando scansioni trasverse, oblique e longitudinali (Fig. 1.1-1.4). La prima scansione è quella trasversa dell’addome che permette di evidenziare la posizione del­ l’aorta addominale, della vena cava inferiore, del fegato, della colecisti e della vena ombelicale rispetto alla colonna vertebrale in modo da definire il situs viscero-atriale e i rapporti spaziali tra le varie strutture. Inclinando di poco il trasduttore verso la testa del feto si ottiene una scansione trasversa del torace a livello delle 4 camere cardiache e con questa scansione è possibile riconoscere il 50-60% delle cardiopatie maggiori 45, 61. Queste prime due sezioni permettono di definire il situs, l’asse cardiaco, la posizione e le dimensioni delle camere cardiache, Figura 1.1 Sezione del torace dimostrante la proiezione 4 camere apicale (ottenuta quando il feto ha dorso posteriore). Attraverso questa proiezione si visualizzano l’aorta discendente (di fronte alla colonna vertebrale), l’atrio destro (AD) e sinistro (AD), il ventricolo destro (VD) e sinistro (VS), il setto interatriale e interventricolare, il forame ovale, la valvola mitrale e tricuspide. Figura 1.3 Scansione in asse lungo del VS che permette di verificare che un ventricolo morfologicamente sinistro sia in relazione con l’aorta e che vi sia continuità tra il setto interventricolare e la parete anteriore dell’aorta (escludendo in particolare la presenza di difetti interventricolari perimembranosi con o senza “aorta a cavaliere” del DIV. Figura 1.2 Sezione del torace dimostrante la proiezione 4 camere trasversa (ottenuta quando il feto ha dorso laterale) dove si evidenzia più accuratamente lo spessore delle pareti e del setto interventricolare (che viene esaminato a un angolo di circa 90 gradi rispetto al fascio di ultrasuoni). Si osserva inoltre l’apertura in atrio sinistro della membrana della fossa ovale. Figura 1.4 Sezione del mediastino superiore dimostrante: proiezione dei tre vasi con scansione trasversa dell’arco duttale e dell’arco aortico fino all’istmo. Attraverso questa proiezione si visualizzano da sinistra verso destra la vena cava superiore (VCS), l’aorta (AO) e il tronco dell’arteria polmonare che si continua del dotto arterioso (DA). La trachea si riconosce come una struttura circolare con parete ecogena alla destra dei due grandi vasi e dietro la VCS. 5 MARINO cardiologia pediatrica.indd 5 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA in assoluto e rispetto a quelle del torace 62. Il situs descrive la distribuzione degli organi e dei vasi nel torace e nell’addome e può essere solitus, inversus o indeterminato. L’asse cardiaco descrive l’orientamento rotazionale del cuore nel torace ed è quindi strettamente legato all’orientamento dell’apice cardiaco verso destra o verso sinistra, nonché al suo grado di rotazione rispetto alla parete toracica. Può essere misurato come l’angolo formato dal setto interventricolare con il piano anteroposteriore che biseca il torace: in tal modo esso definisce la rotazione del cuore all’interno della gabbia toracica. Normalmente l’apice cardiaco è orientato a sinistra della linea mediana (levocardia) e quest’angolo misura 40-45°; una levorotazione maggiore (>59°) o minore (<28°) frequentemente si correla con una patologia cardiaca primitiva (sindromi isomeriche, trasposizione corretta delle grandi arterie) o, indipendentemente dall’associazione con cardiopatie, a sindromi polimalformative 63. La posizione cardiaca descrive la collocazione del cuore all’interno della gabbia toracica e identifica l’emitorace occupato in prevalenza dal cuore. Normalmente, due terzi del cuore occupano l’emitorace sinistro e il rimanente un terzo l’emitorace destro. Il ventricolo destro è posto sotto la parete toracica anteriore, mentre l’atrio sinistro è situato al davanti della colonna vertebrale. Un’anomalia della posizione cardiaca è spesso secondaria a una malformazione extracardiaca (ernia diaframmatica, malformazione adenomatoide cistica polmonare ecc.). Riguardo alle dimensioni del cuore, esso usualmente occupa circa un terzo dello spazio toracico. La misurazione dell’indice cardio-toracico, dato dal rapporto tra circonferenza cardiaca e toracica, varia da 0,40 a 0,55, un valore superiore può essere dovuto a un vero aumento delle dimensioni cardiache (cardiomegalia) o a una ipoplasia del torace 64. Tale scansione permette, infine, di studiare le singole strutture del cuore, definendone le dimensioni e le caratteristiche di ognuna. Rimandando a testi specifici la descrizione, si ricorda che per definire una normale anatomia cardiaca, le dimensioni delle sezioni sinistre e destre devono essere simili (rapporto 1-1,2 anche se nel terzo trimestre di gestazione si può osservare una maggiore prevalenza del ventricolo destro sul sinistro), almeno due delle quattro vene polmonari devono essere visualizzate in atrio sinistro, il ventricolo sinistro deve essere posteriore e presentare una forma più allungata rispetto al ventricolo destro. Una corretta valutazione dell’integrità del setto interventricolare richiede sempre l’effettuazio- ne di una scansione trasversa in cui il setto venga esaminato a un angolo di circa 90 gradi rispetto al piano di scansione degli ultrasuoni per evitare fenomeni di falso “drop out” a volte visualizzabili nella scansione apicale. Va comunque sottolineato che la valutazione del tratto perimembranoso, sottoaortico del setto non è possibile neanche in questa scansione, ma solo in asse lungo di sinistra, e che un difetto perimembranoso isolato, anche di dimensioni non piccole, può sfuggire all’esame ecocardiografico fetale. Talvolta durante l’esame delle 4 camere si visualizzano delle zone iperecogene puntiformi (“golf balls”) a livello dei muscoli papillari del ventricolo sinistro, del ventricolo destro o, più raramente, sul setto e sulle pareti libere ventricolari che sono l’esito di un’eccessiva deposizione di sali di calcio. Tali aree iperecogene possono essere multiple o singole e non rappresentano un segno di patologia cardiaca, anche se alcuni autori riportano, ma solo per particolari localizzazioni, un lieve aumento del rischio di CC. Secondo alcuni autori la presenza di “golf ball” può rappresentare un’indicazione al cariotipo fetale se in associazione ad altri fattori di rischio di cromosomopatia 65. Per l’analisi degli efflussi ventricolari (assi lunghi di destra e di sinistra) si devono utilizzare scansioni oblique, ottenute con minimi movimenti del trasduttore verso la spalla destra del feto, e scansioni assiali che richiedono invece un’ulteriore piccola inclinazione verso l’alto della sonda rispetto al piano precedente. Queste scansioni permettono di verificare l’assenza di ostacoli all’efflusso biventricolare, il tipo e il modo di connessione ventricoloarteriosa, il calibro dei due grandi vasi e la continuità tra il setto interventricolare e l’arteria che origina dal ventricolo sinistro. Con un’ulteriore inclinazione verso la testa del feto si ottengono delle sezioni dell’arco aortico e dell’“arco polmonare”, della vena cava superiore e dell’origine e del decorso dei tronchi sovra-aortici, sia in scansione longitudinale che trasversa 66. Oltre alle scansioni elencate, esistono altre sezioni intermedie, come la 5 camere e l’asse corto dei ventricoli che permettono di ottenere ulteriori informazioni anatomiche. Monodimensionale, Doppler pulsato e color-Doppler Tali metodiche vengono comunemente impiegate in ecocardiografia fetale per lo studio del ritmo cardiaco fetale o per ottenere informazioni funzionali (gradienti di pressione, distribuzione dei flus- 6 MARINO cardiologia pediatrica.indd 6 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale A B Figura 1.5 M-mode in corrispondenza della scansione asse lungo del VS per la valutazione del ritmo cardiaco. Sovrapponendo il color-Doppler su M-mode è possibile registrare oltre ai movimenti parietali anche le linee di flusso atrio-ventricolare telediastolico (in basso, corrispondente alla contrazione atriale) e sistolico ventricoloarteriosa (in alto o al centro, corrispondente alla contrazione ventricolare). A) Calcolo dell’intervallo PR; B) calcolo dell’intervallo RR. si attraverso una comunicazione anomala), sia nel cuore strutturalmente normale che in caso di cardiopatia 67-69 (Fig. 1.5). Con il monodimensionale si ottiene un’immagine grafica delle strutture che vengono attraversate dal fascio di ultrasuoni in funzione del tempo. In proiezione 4 camere trasversa si deve fare in modo che il singolo fascio di ultrasuoni attraversi le cavità ventricolari perpendicolarmente, subito al di sotto dei lembi delle valvole atrio-ventricolari. L’immagine ottenuta consente una misurazione accurata delle dimensioni della cavità, dello spessore delle pareti e dei movimenti di queste ultime permettendo di ottenere tutta una serie di informazioni sulla funzione contrattile e sulla funzione diastolica biventricolare 70, 71. Con il color-Doppler è possibile visualizzare, sovrapposta alle immagini bidimensionali, una mappa in tempo reale della distribuzione dei flussi all’interno delle cavità cardiache 67. I filtri colore saranno modificati in base al distretto da esaminare: per i flussi transvalvolari bisogna utilizzare un filtro “di parete” e una PRF alti (200-300 Hz), in modo da evitare disturbi del segnale dovuti ai movimenti delle valvole e dei setti; al contrario per i flussi lenti, venosi, conviene utilizzare un filtro e una PRF bassi. Considerando che durante la vita fetale raramente le velocità massime di flusso eccedono 1 m/sec, diventa agevole, grazie a un adeguato settaggio dell’apparecchio, visualizzare la normale circolazione di flussi laminari durante il ciclo cardiaco all’in- terno delle vene, delle cavità atriali, ventricolari e delle grandi arterie. Utilizzando le stesse scansioni dell’esame bidimensionale e ponendo attenzione affinché l’angolo d’insonazione del flusso da esaminare sia prossimo allo zero (cioè parallelo), sarà possibile ottenere utili informazioni riguardanti la normale pervietà delle connessioni cardiache (veno-atriale, atrio-ventricolare e ventricolo-arteriosa) così come un’eventuale anomalia nella presenza, velocità o direzione del flusso. Analogamente al monodimensionale, con il Doppler pulsato si ottiene un’immagine grafica, in funzione del tempo, della distribuzione del flusso all’interno di un singolo punto (volume campione) potendone valutare la direzione, la velocità e il pattern del flusso ematico 69. Per l’esame dei flussi attraverso le valvole atrio-ventricolari, il volume campione è posizionato, in 4 camere apicale, subito al di sotto dei lembi delle valvole atrio-ventricolari, cercando di ottenere una posizione il più parallela possibile alla direzione del flusso. Si ottiene, così, un’onda con una morfologia simile alla lettera M (positiva o negativa, secondo la posizione delle camere cardiache rispetto alla fonte di ultrasuoni) con un picco più basso in protodiastole (onda E) e un picco più alto in telediastole (onda A, che rappresenta il riempimento ventricolare durante la contrazione atriale) 69, 72. A livello della valvola mitrale, a causa della continuità fibrosa che esiste fra il lembo anteriore della mitrale e la valvola aortica, si registra spesso un flusso sistolico-aortico a direzione contraria rispetto a quello diastolico-mitralico. Variazioni della distensibilità e del precarico cardiaco, insieme a cambiamenti della frequenza cardiaca modificheranno le caratteristiche dell’onda a M. Nel feto sano, l’onda A è usualmente più alta, anche se con il progredire della gravidanza, il rapporto E/A aumenta, avvicinandosi ai valori riscontrati in epoca postnatale. Mentre esiste un generale accordo sul fatto che l’aumento del rapporto E/A sia dovuto all’aumentare della velocità dell’onda E rispetto all’onda A che rimane piuttosto costante durante la gestazione, c’è ancora disaccordo circa l’andamento con cui aumenta la velocità dell’onda E che secondo alcuni avviene in maniera lineare durante la gestazione, mentre secondo altri solo nell’ultimo trimestre 72, 73. Nel feto, è stata riportata la riduzione del rapporto E/A di entrambe le valvole, mitrale e tricuspide, nella sindrome da trasfusione feto-fetale, associata ad altri segni di disfunzione diastolica 74. Tuttavia, altri studi hanno dimostrato un aumento del rapporto E/A in situazioni di compromissione 7 MARINO cardiologia pediatrica.indd 7 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA cardiaca quali nello IUGR e nell’idrope da malformazione adenomatoide-cistica congenita 75, 76. Dopo aver esaminato i flussi attraverso la mitrale, inclinando leggermente la sonda verso la testa del feto e spostando il volume campione verso il setto interventricolare si registra meglio il flusso aortico sistolico, rappresentato da una curva con un unico picco centrale a una velocità inferiore a un metro al secondo. Un flusso del tutto analogo a quello aortico si registra in arteria polmonare quando questa viene visualizzata in asse lungo, con l’aorta in asse corto al centro (cosiddetto arco duttale). Spostando poi il volume campione verso la parte distale dell’arco della polmonare si evidenzia il flusso di sangue attraverso il dotto arterioso. A questo livello si registrano i flussi a velocità più elevata durante la vita fetale con un picco sistolico (superiore a 1 m/sec nel terzo trimestre di gravidanza), una progressiva discesa della velocità nella seconda metà della sistole e nella prima parte della diastole e una persistenza del flusso a bassa velocità per tutta la fase terminale della diastole. La funzione sistolica, dipendente dalla capacità contrattile del cuore e dalle resistenze periferiche, si può valutare esaminando la velocità di picco sistolico e il tempo di accelerazione nell’aorta, nella polmonare e nel dotto arterioso77. Posizionando il volume campione a livello delle vene cave si ottiene un’onda con una morfologia trifasica: la prima fase, di maggior ampiezza anterograda, corrisponde alla sistole, la seconda di ampiezza inferiore, anterograda, corrisponde alla diastole precoce e una terza, retrograda, sincrona con la contrazione atriale al termine della diastole. La suddetta morfologia varia con il variare della pressione atriale. La misurazione del flusso nel dotto venoso si ottiene ponendo il volume campione a livello della sua origine dalla vena ombelicale. La sua onda è bifasica costituita da due fasi anterograde corrispondenti rispettivamente alla sistole e alla diastole. La misurazione del flusso nelle vene polmonari si ottiene in scansione 4 camere apicale posizionando il volume campione a livello del loro ingresso in atrio sinistro. L’onda è costituita da due picchi anterogradi relativi alla sistole e alla diastole rispettivamente. In conclusione, pur lasciando alla tecnica bidimensionale il ruolo fondamentale nell’esame del cuore fetale e nello screening delle cardiopatie in utero, l’M-mode, il Doppler e il color-Doppler devono essere considerati un utile complemento di indagine anche nello studio dei cuore normale in quanto facilitano il riconoscimento di importanti anomalie funzionali, particolarmente nel terzo trimestre di gravidanza. Doppler tissutale, strain, strain-rate Per Doppler tissutale (TDI) si intende l’applicazione dei principi del Doppler alla misurazione della velocità del miocardio piuttosto che al flusso di sangue intracardiaco. Considerato che l’apice del cuore rimane relativamente stazionario durante il ciclo cardiaco, l’analisi del movimento dell’anello valvolare mitralico rispetto all’apice fornisce una buona approssimazione della contrattilità longitudinale del ventricolo 78. Lo spettro del Doppler tissutale pulsato a livello dell’annulus mitralico è caratterizzato da tre onde: l’onda S’ (onda positiva in proiezione 4 camere apicale nell’esame postnatale transtoracico, corrispondente alla funzione sistolica) descrive la velocità del movimento sistolico dell’anello verso l’apice; l’onda È (onda negativa, corrispondente alla funzione diastolica) descrive la velocità del movimento proto-diastolico in allontanamento dall’apice e l’onda A’ (onda negativa, corrispondente alla funzione meccanica atriale) descrive la velocità del movimento dell’annulus associato alla contrazione atriale. Dal 1999, anno in cui veniva pubblicato il primo lavoro relativo al Doppler tissutale nella valutazione del miocardio fetale, a oggi sono stati riportati pareri discordanti circa l’utilità di questa tecnica di analisi della funzione cardiaca fetale. Jamjureeruk nel 2001 riportava un giudizio negativo nell’utilizzo del TDI per la valutazione delle velocità miocardiche di ciascuna parete cardiaca. Gardiner nel 2006 sottolineava invece l’utilità del TDI per dimostrare i progressivi cambiamenti che si verificano a carico sia della funzione sistolica che diastolica fetale durante il corso della gravidanza, affermando inoltre che l’andamento del processo maturativo della velocità tissutale miocardica è simile per i due ventricoli, nonostante condizioni di carico differenti 79-81. A differenza del TDI che misura il picco di velocità del segmento miocardico interrogato, il color TDI ne misura la velocità media. L’applicazione del color Doppler al TDI permette di valutare lo strainrate (ovvero i cambiamenti della lunghezza delle fibre per unità di tempo) e, per derivazione matematica, lo strain miocardico stesso (ovvero i cambiamenti della lunghezza delle fibre). Queste modalità di analisi hanno il vantaggio di misurare direttamente i segmenti miocardici, anziché i cambiamenti a 8 MARINO cardiologia pediatrica.indd 8 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale carico delle dimensioni delle camere ventricolari, e in questo modo riflettono in maniera più accurata la contrattilità miocardica. Tuttavia, così come il Doppler TDI pulsato, sono limitate dall’angolo-dipendenza e dalla valutazione del singolo segmento piuttosto che della funzione globale 81, 82. Ruolo dell’ecocardiografia fetale nel cambiamento dell’epidemiologia e della prognosi delle Cardiopatie Congenite Il ruolo dell’ecocardiografia fetale è andato progressivamente modificandosi nel corso degli anni. Nel 1972 veniva pubblicato uno dei primi studi relativi alla registrazione ecocardiografica M-mode dell’attività cardiaca nel feto umano 83. Gli autori ipotizzavano di analizzare la funzione cardiaca fetale con la misurazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, sfruttando la registrazione M-mode del movimento di parete cardiaca nel tempo. Gli stessi autori, tuttavia, prevedevano che le piccole dimensioni, l’anatomia complessa e la frequenza cardiaca elevata del feto umano non avrebbero permesso di diagnosticare in epoca fetale le malformazioni congenite cardiache complesse. Nell’introduzione alla sua epocale monografia del 1974, “Patologie congenite del Cuore”, il dottor Abraham M. Rudolph enfatizzava l’importanza insita nella caratterizzazione dell’adattamento del sistema cardiovascolare del feto durante il periodo prenatale e perinatale, nel migliorare la comprensione della condizione clinica del neonato, e nel contribuire alla formulazione di strategie di gestione delle diverse forme di CC, basate sulla logica e sulla fisiologia 84. Gli studi di Rudolph sulla fisiopatologia della circolazione nel feto di agnello e il lavoro citato in precedenza servirono da stimolo per l’inizio di un progetto di ricerca presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Yale, mirato all’applicazione in ambito clinico dell’ecocardiografia fetale, per validare nel feto umano gli assunti tratti dal modello fetale ovino. Tale progetto servì a dimostrare come l’ecocardiografia M-mode potesse fornire la conferma non invasiva che quanto riscontrato sperimentalmente sul cuore fetale dell’agnello valeva più o meno allo stesso modo anche per il cuore fetale umano. Helen Taussig nel 1978 sottolineava l’importanza di queste scoperte, intravedendo la possibilità di diagnosi di CC in epoca gestazionale precoce, oltre alla possibilità di un’eventuale inter- ruzione di gravidanza per ridurre il peso individuale e sociale della CC da cui erano affetti questi bambini. L’attenzione rivolta a stabilire il ruolo clinico del­l’ecocardiografia fetale andava crescendo e nel 1980 iniziavano ad essere pubblicati i primi lavori sull’argomento. Kleinman et al. dell’Università di Yale suggerirono le indicazioni all’ecocardiografia fetale in gravidanze considerate ad alto rischio per CC e riportarono l’utilizzo dell’ecocardiografia Mmode e bidimensionale per documentare i primi casi di diagnosi prenatale di cardiopatie congenite e aritmie fetali 85. Nello stesso anno, pubblicazioni da San Diego e da Londra documentavano la possibilità di esaminare il cuore fetale con un’analisi sequenziale, segmentale delle strutture cardiache 86, 87. Nel 1985 al Congresso Mondiale di Cardiologia Pediatrica, Fermont da Parigi riportava la propria esperienza nell’esecuzione dello screening del cuore fetale (mediante la scansione 4 camere), per la rilevazione delle malformazioni congenite, e in seguito anche Allan forniva la descrizione del programma regionale di screening impostato a Londra 88, 89. Dalla metà degli anni Ottanta a oggi, lo screening ostetrico per le malformazioni cardiache fetali, inteso come strumento attraverso cui si identificano i feti che necessitano di una valutazione più approfondita con ecocardiografia fetale, è stato riconosciuto universalmente come esame standard di routine e la richiesta di esecuzione è aumentata progressivamente nel tempo 89, 90. Considerato, infatti, che circa l’80% dei feti con CC si presenta in gravidanze prive di fattori di rischio, allo stato attuale si ritiene che non sia sufficiente lo screening basato esclusivamente sulla presenza di fattori di rischio noti, ma che sia necessario effettuarlo anche in gravidanze a basso rischio per aumentare la percentuale di casi diagnosticati in epoca prenatale 90, 91. Nel corso degli anni, il diffondersi dello screening ostetrico ha consentito di aumentare la percentuale di CC riconosciute all’ecocardiografia fetale, con la probabilità più alta di diagnosi prenatale per le forme più severe di CC 92-94. I progressi della tecnologia hanno permesso di effettuare diagnosi sempre più accurate e in epoca gestazionale sempre più precoce, aspetti che insieme farebbero presupporre un miglioramento nella gestione clinico-terapeutica delle CC con diagnosi prenatale, anche se restano ancora numerose controversie in merito. Non è, in effetti, semplice provare che la diagnosi prenatale abbia un impatto positivo sulla prognosi di tutti i casi di CC. Una delle difficoltà nel fare un confronto tra l’evoluzione dei casi con e 9 MARINO cardiologia pediatrica.indd 9 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA senza diagnosi prenatale è che la diagnosi prenatale consente una valutazione dell’evoluzione a partire dall’epoca fetale in cui si fa diagnosi, avendo dunque la possibilità di considerare l’eventuale morte spontanea intrauterina e la morte precoce neonatale prima della chirurgia. Al contrario, i bambini con una diagnosi postnatale sono quelli sopravvissuti alla vita fetale e spesso al periodo neonatale precoce fino a raggiungere un centro di terzo livello dove viene confermata la diagnosi ed effettuato il trattamento. Inoltre, lo spettro fetale delle anomalie cardiache è ulteriormente aggravato dalla presenza di lesioni complesse e da quelle associate con anomalie extracardiache e cromosomiche 94, 95. Il confronto, quindi, non è tra popolazioni omogenee ed è per questo motivo che solo pochi studi in letteratura hanno saputo dimostrare un vantaggio in termini di sopravvivenza complessiva nelle serie prenatali rispetto a quelle postnatali. D’altro canto, invece, diversi autori hanno riportato un impatto positivo da parte della diagnosi prenatale sulle condizioni preoperatorie dei neonati con malformazioni cardiache complesse. La diagnosi prenatale sembra, infatti, essere associata con una ridotta morbilità preoperatoria, una ridotta acidosi e con l’evidenza di una migliore perfusione d’organo 96-101. Le malformazioni per cui abbiamo a disposizione un numero più o meno ampio di dati pubblicati in questo senso sono la sindrome del cuore sinistro ipoplasico, la trasposizione delle grandi arterie, la coartazione dell’aorta e l’atresia polmonare. Eapen et al. hanno descritto una ridotta morbilità postnatale, un minor ritardo nella correzione chirurgica e un periodo più breve di ricovero in terapia intensiva nei pazienti con patologia ostruttiva severa del cuore sinistro diagnosticata in epoca prenatale rispetto ai pazienti con diagnosi postnatale. La diagnosi prenatale ha, inoltre, condizionato la scelta della sede del parto nel 65% dei casi, preferendo un centro di terzo livello all’ospedale di periferia. Non si è, tuttavia, registrata differenza in termini di mortalità chirurgica tra i pazienti con e senza diagnosi prenatale, benché gli autori suggeriscano che le condizioni preoperatorie più favorevoli possano contribuire a una migliore prognosi neurologica 98. Anche Mahle et al. hanno studiato l’impatto della diagnosi prenatale sulla sopravvivenza e sulla morbilità neurologica in neonati con la sindrome del cuore sinistro ipoplasico sottoposti a chirurgia palliativa. Gli eventi neurologici perioperatori sono risultati inferiori nei pazienti con diagnosi prenatale rispetto a quelli senza, an- che se non si è riscontrata una parallela riduzione della mortalità ospedaliera 9. Questi autori, come Eapen in precedenza, suggeriscono che la diagnosi prenatale possa migliorare l’evoluzione neurologica a lungo termine. Nemmeno lo studio di Kumar dimostra un miglioramento della mortalità preoperatoria e postoperatoria precoce per i pazienti con diagnosi prenatale di cuore sinistro ipoplastico, pur presentandosi questi in condizioni preoperatorie più favorevoli di quelli con diagnosi postnatale 100. Tworetzky nel 2001 descrive, invece, l’assenza di mortalità nel gruppo di 14 feti a cui era stata fatta diagnosi di cuore sinistro ipoplasico contro una mortalità di 13 su 38 bambini con la stessa diagnosi effettuata in epoca postnatale, presso un singolo centro negli Stati Uniti 99. Oltre al beneficio sulla mortalità, la diagnosi prenatale di cuore sinistro ipoplasico si associa a una migliore funzione ventricolare, a un’insufficienza tricuspidalica più lieve e a una ridotta richiesta di inotropi e bicarbonato. L’autore conclude, quindi, affermando che la diagnosi prenatale può migliorare la prognosi chirurgica, presumibilmente grazie al miglioramento dello stato preoperatorio del paziente. Anche Franklin et al., nell’unico lavoro che abbia esaminato l’impatto della diagnosi prenatale di coartazione severa dell’aorta sulla prognosi postnatale, riportano un impatto positivo della diagnosi prenatale in termini di morbilità preoperatoria e mortalità, così come in termini di funzione contrattile ventricolare alla presentazione iniziale del paziente 101. Una conseguenza importante della diagnosi prenatale sembra essere, dunque, quella di evitare l’in­stabilità emodinamica nei difetti cardiaci dottodipendenti, come visto nella patologia ostruttiva critica del cuore sinistro, ma anche nella trasposizione delle grandi arterie e nell’atresia polmonare. La serie più ampia che ha preso in esame l’impatto della diagnosi prenatale di trasposizione delle grandi arterie (TGA) sull’evoluzione postnatale è quella pubblicata nel 1999 da Bonnet e dal gruppo francese dell’Ospedale Necker-Enfants Malades di Parigi 97. Questo studio ha incluso 68 neonati con diagnosi prenatale e 250 con diagnosi postnatale. La mortalità preoperatoria e postoperatoria è risultata rispettivamente del 6 e dell’8,5% nel gruppo con diagnosi postnatale, mentre non sono stati registrati decessi nel gruppo con diagnosi prenatale. Inoltre, i pazienti con diagnosi postnatale si sono presentati con un’acidosi metabolica e uno scompenso multiorgano più severo rispetto ai pazienti con diagnosi prenatale. Nello stesso anno anche Maeno con il 10 MARINO cardiologia pediatrica.indd 10 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale gruppo di Toronto, Boston e dell’Ontario ha sottolineato l’importanza della diagnosi prenatale nei feti affetti da TGA, in particolare nel gruppo di trasposti con forame ovale e dotto arterioso restrittivi 102. Secondo questi autori, e secondo lo stesso gruppo del Necker che ha pubblicato un nuovo lavoro relativo alla gestione dei pazienti con TGA nel 2004, l’identificazione in epoca prenatale dei feti a rischio più elevato di ipossiemia postnatale, e quindi di morte precoce neonatale, offre la possibilità di organizzare il parto in un centro di terzo livello e di predisporre in maniera accurata la gestione perinatale del paziente, permettendo in questo modo una prognosi migliore 102, 103. Recentemente, tuttavia, il lavoro pubblicato da Raboisson et al. di Lione, relativo ancora una volta all’impatto della diagnosi prenatale di TGA sulla prognosi, non ha confermato la tesi di Bonnet e Maeno. La popolazione studiata era composta da 121 neonati con trasposizione delle grandi arterie, di cui 48 con diagnosi prenatale. Il confronto tra i due gruppi, rispettivamente con e senza diagnosi prenatale, ha condotto gli autori ad affermare che la diagnosi prenatale di TGA ha un impatto solo sulle modalità del parto, incrementando la percentuale di parti indotti e di tagli cesarei, senza alcun impatto positivo sulla prognosi del neonato, se non per la possibilità di effettuare una settostomia atriale più agevolmente e di ottenere un accesso in terapia intensiva più rapido 104. A oggi, un numero più limitato di studi in letteratura ha preso in considerazione l’impatto della diagnosi prenatale sulla prognosi dei neonati con flusso polmonare dipendente dal dotto arterioso. Nel lavoro pubblicato nel 1998, Daubeney ha analizzato la popolazione del Regno Unito affetta da atresia polmonare a setto intatto, ponendo a confronto i pazienti con diagnosi prenatale con quelli diagnosticati dopo la nascita. In base ai risultati raccolti, l’autore ha concluso che la cardiopatia in esame è rara e che l’ecocardiografia fetale ha un impatto importante sull’incidenza alla nascita per il numero elevato di interruzione di gravidanza (IVG) a seguito della diagnosi precoce (61%) 105. Tuttavia, la diagnosi prenatale risulta influente anche nei casi in cui l’interruzione volontaria di gravidanza non è presa in considerazione, in quanto indirizza la coppia di genitori a scegliere un centro di terzo livello per il parto e permette di organizzare meglio la gestione perinatale del paziente, somministrando più precocemente le prostaglandine. In questo studio è fallito, tuttavia, il tentativo di dimostrare un vantaggio in termini di sopravvivenza a breve e lungo termine rispetto ai pazienti senza diagnosi prenatale. Successivamente, anche il gruppo inglese dell’Evelina Hospital di Londra ha pubblicato i dati relativi ai pazienti con atresia polmonare 106. I neonati con diagnosi prenatale si presentavano con una saturazione arteriosa più elevata, ma questa condizione preoperatoria non si traduceva in una mortalità o morbilità a breve termine migliore di quelli senza diagnosi prenatale, a cui per altro veniva fatta diagnosi entro una media di ventiquattro ore di vita. I dati raccolti recentemente presso il nostro centro, relativi alla gestione dei pazienti affetti da atresia polmonare a setto intatto, hanno confermato alcuni possibili vantaggi della diagnosi prenatale 107. Quest’ultima infatti ci ha permesso di offrire un counselling dettagliato ai genitori, pianificando in epoca prenatale la strategia terapeutica più appropriata per ogni singolo caso, in base alla severità del difetto cardiaco riscontrato. Anche nella nostra esperienza non si è riscontrata una differenza significativa in termini di mortalità tra i pazienti con e senza diagnosi prenatale. Tuttavia, è degno di nota che i pazienti diagnosticati in epoca fetale e sopravvissuti al periodo critico neonatale abbiano un’incidenza di mortalità e una necessità di ulteriori interventi nel follow-up sovrapponibile ai pazienti senza diagnosi prenatale, pur presentando alla nascita uno spettro significativamente molto più severo della cardiopatia rispetto a quelli con diagnosi postnatale. Un solo lavoro pubblicato nel 2009 ha posto, infine, a confronto le caratteristiche e l’evoluzione prognostica dei pazienti con truncus arteriosus diagnosticato in epoca pre- e postnatale 108. In utero, la diagnosi di questa cardiopatia si conferma particolarmente insidiosa, essendo spesso impegnativo differenziarla dalla tetralogia di Fallot con atresia polmonare. In questo studio, tale cardiopatia è risultata, inoltre, associata a un’incidenza di IVG complessiva (40%) più elevata rispetto ai precedenti dati riportati in letteratura, incidenza aumentata fino al 61% quando vengono presi in considerazione solo i feti con meno di ventiquattro settimane di età gestazionale alla diagnosi 109, 110. Pur non trattandosi di una lesione dotto-dipendente (a parte i casi di truncus associati a un’interruzione dell’arco), cardiopatie per le quali, come visto in precedenza, la diagnosi prenatale si è dimostrata vantaggiosa ai fini della gestione perinatale del paziente, in questo studio l’ecocardiografia fetale dimostra di essere comunque importante nella gestione della gravidanza e nel comprendere la storia naturale della 11 MARINO cardiologia pediatrica.indd 11 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA cardiopatia in utero, oltre a garantire la possibilità di counselling per la coppia di genitori coinvolti. L’impatto della diagnosi prenatale si è dimostrato particolarmente rilevante nell’identificazione e nella successiva guida al trattamento, spesso salva-vita, delle aritmie fetali. Per le tachicardie fetali, che per lo più consistono in tachicardia sopraventricolare da rientro o flutter atriale, esiste un’ampia evidenza dell’efficacia della terapia prenatale per controllare l’aritmia conducendo alla risoluzione dell’idrope fetale, se presente 111-113. Il farmaco da utilizzarsi deve essere scelto in base al tipo di aritmia diagnosticato e alla presenza o meno dell’idrope (che influisce sulle capacità di passaggio transplacentare del farmaco). Riguardo alle bradicardie fetali, dovute al blocco di conduzione atrio-ventricolare completo, esistono controversie circa la terapia da utilizzare. Se esiste un difetto strutturale associato all’anomalia di conduzione, si tratta solitamente di una trasposizione corretta delle grandi arterie, di un isomerismo atriale sinistro, di cardiomiopatie o tumori cardiaci. La prognosi per questi feti è solitamente infausta indipendentemente dalla terapia, con una minoranza di sopravvissuti alla nascita 114, 115. Se il blocco congenito è isolato, per lo più consegue alla presenza di anticorpi materni anti-Ro o anti-La. In questi casi esistono pareri discordanti circa l’utilità della terapia prenatale: alcuni raccomandano farmaci quali il desametasone e il salbutamolo in tutti i feti affetti, mentre altri solo in quelli in cui ci sia l’evidenza di scompenso emodinamico 116, 117. Di certo il riconoscimento prenatale di una bradicardia severa permette di organizzare la gestione perinatale del paziente mettendo a disposizione i farmaci adeguati e il necessario per un’eventuale stimolazione cardiaca in sala parto. Concludendo, dunque, l’ecocardiografia fetale permette di identificare in epoca prenatale precoce difetti strutturali cardiaci anche molto complessi, associati o meno ad anomalie elettriche o funzionali. Alcuni dei feti affetti raggiungono il termine di gravidanza e su questi la diagnosi pre-natale può influire nella decisione del timing, della sede e della modalità del parto. Altri, invece, non sopravvivono fino al termine della gravidanza, per morte endouterina da scompenso cardiaco o per decisione da parte dei genitori di interrompere la gravidanza, alla luce delle informazioni ricevute circa la prognosi a breve e lungo termine della CC diagnosticata. Ne consegue quindi, come descritto in precedenza, che la diagnosi prenatale può incidere sull’evoluzione delle CC anche in termini di incidenza di in- terruzione volontaria di gravidanza, determinando di conseguenza una riduzione significativa dell’incidenza alla nascita di certi tipi di CC maggiori. Dall’analisi eseguita da Bull nel 1999 circa gli effetti della diagnosi fetale sul pattern delle CC di grado severo giunte a termine nel Regno Unito si deduce che tra il 1993 e il 1995 la frequenza media del riscontro di CC in utero è stata del 23% e metà delle gravidanze patologiche è andata incontro a interruzione. Anche Todros, in una revisione della letteratura relativa alla diagnosi prenatale pubblicata nel 2000, ribadisce che l’unico vero impatto dello screening e della diagnosi prenatale delle CC è proprio la riduzione dell’incidenza di nati vivi affetti, senza alcun beneficio in termini di mortalità e morbidità 118, 119. In una revisione di diciassette registri condotti su popolazioni europee (database EUROCAT), Garner et al. hanno rilevato che la frequenza media di interruzione volontaria di gravidanza per sindrome del cuore sinistro ipoplastico è stata dell’85% quando la cardiopatia era diagnosticata prima delle ventiquattro settimane di gestazione, rispetto al 37% se la diagnosi avveniva dopo le ventiquattro settimane 120. Nella maggior parte dei Paesi, eccetto la Francia, la ventiquattresima settimana rappresentava allora l’età gestazionale oltre la quale non era più possibile interrompere. Recentemente Marek et al., riportando i risultati dello screening e della diagnosi prenatale effettuati nella Repubblica Ceca, hanno confermato l’incidenza molto elevata di interruzione volontaria di gravidanza a seguito della diagnosi fetale di CC complesse, non mancando però di sottolineare come questa possa allo stesso modo fornire un impatto positivo in termini di morbilità e di gestione perinatale del feto affetto, nel caso in cui la coppia decida di portare a termine la gravidanza 94. Trasporto intrautero Esistono molti difetti cardiaci per i quali la diagnosi prenatale ha un impatto limitato nella gestione terapeutica perinatale, come nel caso del difetto interventricolare o del canale atrio-ventricolare senza ostruzione agli efflussi ventricolari, dove non ci si aspetta di dover effettuare alcun trattamento, almeno fino alla riduzione spontanea delle resistenze vascolari polmonari. Per questi casi non esiste indicazione a modificare la sede e le modalità del parto, purché sia possibile una valutazione cardiologica neonatale, che confermi e perfezioni precocemente la diagnosi. 12 MARINO cardiologia pediatrica.indd 12 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale Al contrario, nel caso di feti con cardiopatie dot­ to-dipendenti o nei quali ci sia la potenziale necessità di un intervento chirurgico o percutaneo in epoca neonatale precoce, la diagnosi prenatale permette di prevenire lo scompenso emodinamico acuto del paziente mediante la programmazione del parto vicino o direttamente all’interno di un centro di terzo livello dotato di unità cardiologica dove siano immediatamente a disposizione il neonatologo, il cardiologo pediatra e il cardiochirurgo 97, 101, 102, 105. In questi casi, il trasporto intrautero permette un’immediata valutazione postnatale del paziente, evitando così i rischi del trasferimento neonatale in urgenza dalla sede del parto all’unità cardiologica, oltre al vantaggio di avere subito presenti i genitori per spiegar loro la procedura terapeutica programmata e far firmare il consenso informato. In pratica, comunque, molti genitori scelgono la sede del parto vicino o direttamente in un centro di terzo livello anche se il difetto cardiaco riscontrato all’ecocardiografia fetale non richiederebbe un intervento nei primi giorni di vita. Questo atteggiamento riflette in gran parte la preoccupazione dei genitori che devono separarsi dal loro piccolo appena nato, nel caso in cui sia stata posta indicazione a una valutazione cardiologica anche se non urgente e questa debba svolgersi in un centro geograficamente lontano rispetto alla sede del parto. Riguardo alla modalità del parto, considerata la fisiologia della circolazione in epoca prenatale, non esiste alcuna controindicazione a un parto normale per via vaginale per la maggior parte delle cardiopatie. Nella pratica comune si è soliti riservare il parto con taglio cesareo a una minoranza di casi in cui si preveda di dover intervenire immediatamente dopo la nascita. Appartengono a questa minoranza di casi i feti con TGA che presentino in utero un setto interatriale e un dotto arterioso restrittivi, i feti con cuore sinistro ipoplasico con setto interatriale restrittivo e i feti idropici nei quali possa essere indicato un drenaggio immediato dei liquidi accumulati nello spazio toracico e addominale e infine alcuni tipi di aritmie che rendono impossibile il monitoraggio fetale mediante cardiotocografia convenzionale durante il travaglio. Storia naturale intrautero delle CC La crescente esperienza nella diagnosi prenatale, supportata dai progressi avvenuti nella tecnica ecocardiografica, ha reso possibile il riconoscimen- to in utero della grande maggioranza dei difetti cardiaci congeniti, oltre che una più approfondita conoscenza dello sviluppo del cuore umano e del meccanismo di formazione di molte forme di cardiopatia. I controlli ecocardiografici seriati sui feti affetti da CC hanno dimostrato, inoltre, che molti difetti a carico delle strutture cardiovascolari iniziano a svilupparsi intorno alla sesta-settima settimana di gravidanza (ovvero nel periodo dell’embriogenesi del cuore) e continuano poi a evolvere nel secondo e nel terzo trimestre gestazionale, mentre altri difetti possono svilupparsi o diventare evidenti solo molto dopo il termine dell’embriogenesi. Durante il corso della gravidanza si può assistere per esempio allo sviluppo e/o alla progressione di un’ipoplasia di una struttura cardiaca o di un’ostruzione a livello dell’inlet o dell’outlet ventricolare, o al contrario, alla riduzione fino alla chiusura spontanea prenatale di un difetto interventricolare 121-130. Per molte CC lo spettro di severità osservato nel neonato è strettamente correlato al periodo gestazionale in cui avviene l’alterazione della circolazione fetale. Benché il feto cresca rapidamente durante tutta la gravidanza, i cambiamenti maggiori nella struttura corporea globale e in particolare nella struttura cardiaca avvengono nelle prime venti settimane di sviluppo prenatale 131. Questo spiega perché la riduzione del flusso sanguigno diretto a un ventricolo o a una grande arteria possa creare conseguenze così severe allo sviluppo e alla crescita di queste strutture, in particolare quando si verifichi prima della ventesima settimana di gestazione 132. La stenosi della valvola aortica o della valvola polmonare è un esempio di lesione che, se compare in un’epoca gestazionale precoce, comporta lo sviluppo secondario di altre condizioni patologiche associate. Quando si verifica un’ostruzione a carico di una valvola semilunare, inizialmente il ventricolo omolaterale si ipertrofizza per poi dilatarsi e talvolta andare incontro a disfunzione contrattile, con o senza insufficienza significativa della valvola atrio-ventricolare. In assenza di un rigurgito severo della valvola atrio-ventricolare si assiste a una redistribuzione di flusso attraverso il forame ovale verso il ventricolo “sano”, mentre quello affetto, essendo ipoperfuso, va incontro a una progressiva ipoplasia 122, 131, 132. Se l’ostruzione critica dell’outlet ha luogo a meno di quattordici settimane di gestazione, il ventricolo coinvolto può presentarsi estremamente ipoplasico già alla ventesima settimana, delineando un quadro di classica atresia del cuore sinistro. Se la stenosi critica della valvola semilunare si sviluppa, invece, 13 MARINO cardiologia pediatrica.indd 13 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA a ridosso della ventesima settimana gestazionale, il ventricolo al termine della gravidanza sarà visibile, anche se ipoplasico. Quando infine l’ostruzione a carico dell’efflusso ventricolare progredisce lentamente e diventa severa solo nel terzo trimestre di gestazione si osserva una crescita più regolare del ventricolo, perché il suo riempimento è conservato per un periodo più lungo. Nell’ostruzione critica del cuore sinistro può anche verificarsi una progressiva restrizione del forame ovale secondario all’aumento della pressione in atrio sinistro fino a determinare una condizione di ipertensione atriale sinistra che può anche alterare il flusso nelle vene polmonari e lo sviluppo del circolo vascolare polmonare 133. Nei casi in cui l’ostruzione precoce dell’efflusso ventricolare si associa a una significativa insufficienza della valvola atrio-ventricolare, l’aumento del precarico contribuisce solitamente a un normale sviluppo della camera ventricolare corrispondente. Tuttavia questa condizione è molto meno ben tollerata dalla circolazione fetale, probabilmente per un alterato riempimento del ventricolo sano. Hornberger et al. hanno descritto anche il potenziale per lo sviluppo e/o la progressione in utero dell’ostruzione a carico di uno dei due efflussi ventricolari nei feti affetti da lesioni tronco-conali e in particolare da tetralogia di Fallot, ventricolo destro a doppia uscita e interruzione dell’arco di tipo B. Come la stenosi valvolare aortica o polmonare, anche l’ostruzione dell’outlet nelle lesioni troncoconali comporta una redistribuzione del flusso che, attraverso il difetto interventricolare, è diretto verso l’outlet non ostruito. In questa condizione, può verificarsi la progressiva ipoplasia del vaso a valle dell’ostruzione, che è più comune nelle lesioni tronco-conali associate a un’ostruzione severa all’efflusso già presente in epoca precoce. Nel caso di ostruzione del tratto di efflusso polmonare possono andare incontro a una ridotta crescita entrambi i rami polmonari. Poiché la progressiva ipoplasia dei rami polmonari è osservata più frequentemente nelle forme severe di tetralogia di Fallot che nella stenosi polmonare o nell’atresia polmonare a setto intatto, si ritiene che sia la fisiopatologia intrinseca del letto vascolare polmonare nella tetralogia di Fallot a poter contribuire a questo pattern di crescita anomalo, piuttosto che l’età gestazionale più precoce alla comparsa dell’ostruzione 123. Come visto in precedenza anche la transposizione delle grandi arterie con setto interventricolare intatto può evolvere in utero con una progressiva restrizione del forame ovale e costrizione del dotto arterioso nel corso del terzo trimestre di gestazione, verosimilmente dovute alla fisiopatologia caratteristica della cardiopatia stessa 145. In questa condizione, infatti, le arterie polmonari ricevono sangue con un contenuto di ossigeno più alto che può essere sufficiente a ridurre le resistenze vascolari polmonari aumentando il flusso a livello del circolo polmonare e di conseguenza il ritorno venoso all’atrio sinistro. L’aumentata pressione in atrio sinistro può condurre alla restrizione del forame ovale, mentre la redistribuzione del flusso attraverso i polmoni e l’aumentata percentuale di ossigeno nel sangue possono determinare una costrizione prematura del dotto arterioso o almeno una riduzione del calibro rispetto ai feti normali. Anche l’insufficienza di una valvola semilunare o atrio-ventricolare può evolvere in utero, comportando la comparsa di altre condizioni patologiche associate. Hornberger in un lavoro pubblicato nel 1991 ha descritto la storia naturale intrauterina della malattia della valvola tricuspide associata a insufficienza valvolare, includendo sia l’anomalia di Ebstein che la cosiddetta displasia della valvola tricuspide 134. Al controllo ecocardiografico seriato, si è dimostrata una progressiva cardiomegalia interessante in particolare le sezioni destre, e talvolta un quadro di idrope fetale con episodi subentranti di flutter atriale correlati alla dilatazione atriale destra. Nei feti affetti da insufficienza tricuspidalica importante è frequente anche il riscontro di ipoplasia dei polmoni, considerato che il cuore, estremamente ingrandito, va a occupare lo spazio intratoracico necessario al normale sviluppo polmonare. Questo studio fornisce, inoltre, un’ulteriore evidenza della possibile evoluzione tardiva nel corso della gravidanza di una lesione cardiaca associata. Infatti, gli autori documentano lo sviluppo di ostruzione a carico del tratto di efflusso destro in feti che inizialmente avevano avuto diagnosi esclusivamente di patologia tricuspidalica con flusso transpolmonare normale al Doppler pulsato e al color Doppler. Secondo l’ipotesi eziologica proposta dagli autori, il peggioramento dell’insufficienza valvolare può determinare un’incapacità da parte del ventricolo destro di sviluppare una pressione sistemica adeguata conducendo alla mancanza di flusso attraverso l’uscita ventricolare destra. Questa condizione comporterebbe, come risultato, la progressiva ostruzione anatomica ovvero una stenosi polmonare o anche un’atresia polmonare che si manifestano nel secondo o terzo trimestre di gestazione. In alternativa, può svilupparsi la cosiddetta atresia 14 MARINO cardiologia pediatrica.indd 14 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale polmonare funzionale, in cui la valvola è anatomicamente pervia, ma non si apre in sistole proprio per l’incapacità del ventricolo di generare una sufficiente pressione sistolica. Counselling Per counselling prenatale si intende il colloquio che il cardiologo pediatra, esperto in cardiologia fetale, ha con la coppia nel momento in cui avviene il riscontro di un’anomalia cardiaca fetale. Un corretto counselling è importante quanto ottenere una diagnosi precisa, anche se spesso gli è riservata un’attenzione inferiore a quella che merita. Gli obiettivi principali del counselling sono di provvedere una diagnosi accurata della malformazione (sempre che questa non sia già stata effettuata da un’altra figura di esperto in cardiologia fetale), di fornire un quadro chiaro e veritiero della prognosi a breve e lungo termine, e di esporre le diverse possibilità di gestione e trattamento disponibili per la cardiopatia in questione 135, 136. Il processo del counselling è facilitato se preceduto da una preparazione adeguata della coppia da parte del collega ostetrico che effettua l’esame di screening e che indirizza la donna in gravidanza dal cardiologo fetale. È indispensabile, infatti, che la coppia arrivi a chi deve precisare la diagnosi e a chi deve fare il counselling (che siano la stessa persona o due distinte poco importa), consapevole che potrà ricevere delle brutte notizie o che al contrario il sospetto di malformazione potrà non essere confermato. Prima che inizi la valutazione specialistica mediante ecocardiografia fetale, è opportuno informare la coppia che l’esame ultrasonografico richiederà un certo tempo e una certa concentrazione per esplorare tutte le strutture del cuore fetale e che quindi non devono farsi intimorire da eventuali lunghi silenzi del medico. Utile, inoltre, che sappiano che una spiegazione completa di quanto riscontrato e delle conseguenti implicazioni sarà fornita solo al termine dell’esame, una volta raccolti tutti i dati rilevanti per la diagnosi. I medici in formazione e gli osservatori presenti nell’ambulatorio dovrebbero essere dissuasi dal commentare l’esame in corso, posticipando un eventuale insegnamento interattivo al momento della revisione delle immagini acquisite. È, inoltre, preferibile togliere il volume del Doppler in presenza di un’anomalia fetale in quanto sentire il battito cardiaco rappresenta sempre un’emozione molto forte per i genitori. Idealmente, il counselling non dovrebbe aver luogo nella stessa stanza in cui si è effettuato l’esame, ma in un ambiente diverso, tranquillo, dove il medico è seduto di fronte alla coppia e dove non possa essere interrotto. Il counselling non deve essere un monologo, ma un dialogo e per questo è utile iniziarlo chiedendo ai genitori che cosa è stato loro detto e che cosa hanno capito fino a quel momento del percorso diagnostico intrapreso. Il “counsellor” deve essere consapevole che l’ansietà e la paura provate dalla coppia possono spesso tradursi in ostilità e rabbia, e deve inoltre tenere presente le possibili difficoltà che la coppia stessa può avere nell’assorbire tante informazioni in uno stato di tale coinvolgimento emotivo. Dovrà, dunque, dimostrare estrema disponibilità nel fornire la spiegazione più chiara possibile, ripetendo eventualmente più volte i concetti fondamentali e accertandosi che siano stati assimilati. Far ricorso a diagrammi o disegni per spiegare il difetto cardiaco riscontrato, oltre che fornire informazioni scritte relative alla diagnosi e ai passaggi chirurgici principali, può essere utile ai genitori aiutandoli a ricordare quanto spiegato loro, una volta che abbiano lasciato l’ambulatorio. Dovrebbero inoltre essere anticipate domande molto frequenti, quali il perché della presenza di un difetto cardiaco e il rischio di ricorrenza in un’ipotetica nuova gravidanza. È importante, inoltre, rassicurare i genitori sulla possibilità di ulteriori incontri con il medico che ha effettuato il counselling, nel caso in cui avessero nuove domande da porre una volta terminato il colloquio iniziale. Molti cardiologi fetali preferiscono un approccio multidisciplinare che coinvolga nella stessa seduta l’ostetrico, il genetista e il cardiochirurgo in modo da fornire informazioni addizionali. Tuttavia, per alcune coppie di genitori questo approccio può risultare intimidatorio e può essere più gradito incontrare singolarmente i vari specialisti coinvolti. Un problema addizionale che complica attualmente il processo del counselling, è la consultazione da parte dei genitori di internet che rappresenta una fonte di informazioni che talvolta può essere di aiuto alla comprensione della patologia di cui è affetto il proprio bambino, ma più spesso si rivela ingannevole, inappropriata e soprattutto fonte di confusione. Il “counsellor” deve mettere in guardia la coppia e deve essere pronto a spiegare ogni possibile discrepanza tra le informazioni ottenute da internet e quelle estrapolate dal counselling stesso. I dettagli del counselling dipenderanno dalla precisa diagnosi cardiaca, tenuto conto dell’ampio range di severità che contraddistingue le malforma- 15 MARINO cardiologia pediatrica.indd 15 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA zioni cardiache (da difetti che non richiedono alcun trattamento come un piccolo difetto interventricolare muscolare, fino a cardiopatie complesse che possono ricevere solo chirurgia palliativa), dalla storia naturale della malformazione diagnosticata durante la vita fetale, dalle opzioni chirurgiche a disposizione sia nel proprio ospedale che altrove, e dall’eventuale associazione con altre malformazioni extracardiache. Accanto alla possibilità di continuare la gravidanza, il “counsellor” ha il dovere di considerare anche la possibilità che la coppia decida di interrompere la gravidanza, qualunque sia la propria idea al riguardo. L’interruzione volontaria di gravidanza rappresenta una scelta legale nella maggior parte dei Paesi sviluppati, anche se variano l’età gestazionale entro cui essa è consentita e alcune impostazioni concettuali di legge. Generalmente è permessa fino alla ventiquattresima settimana di gestazione, ma in diversi Paesi europei o stati americani è possibile un’interruzione oltre la ventiquattresima settimana, sempre che venga documentata una malformazione fetale grave tale da compromettere in modo significativo la durata e la qualità di vita del nascituro. In Italia, è l’articolo 6 della legge 194/78 a disporre in materia di interruzione di gravidanza oltre i novanta giorni (ovvero oltre le dodici settimane di età gestazionale). Dopo i novanta giorni – recita l’articolo – una gestazione può essere interrotta solo per gravi problemi di salute della gestante che possano mettere a repentaglio la sua sopravvivenza, o per la presenza di severe anomalie del feto che alterano lo stato di salute fisica o psichica della gestante stessa. Come si evince dall’articolo riportato, in Italia non è permesso l’aborto “eugenetico”, ovvero l’aborto esclusivamente legato alle anomalie del feto. La decisione di interrompere la gestazione deve essere presa solo ed esclusivamente dalla coppia di genitori sulla base delle informazioni diagnostiche e prognostiche fornite loro dall’equipe che ha eseguito la seduta di counselling prenatale. Spesso, invece, capita che il “counsellor” influenzi la decisione finale della coppia in base al proprio modo di comunicazione che non risulta completamente imparziale (directive counselling). È, invece, dovere di chi fa il counselling sostenere i genitori in un momento tanto delicato quale quello di decidere sulla successiva gestione della gravidanza, ascoltando i dubbi e le perplessità di entrambi al fine di aiutarli nella scelta a loro più consona. Indipendentemente dall’opinione della coppia circa l’interruzione di gravidanza, questa non è mai una decisione che viene presa con leggerezza ed è sempre causa di grande angoscia. Per questo la coppia si aspetta, comunque, un supporto totale e senza riserve da parte del “counsellor”, indipendentemente da quella che può essere la sua opinione circa la decisione da loro intrapresa. Prospettive di terapia intervenzionale intrautero L’obiettivo comune della terapia fetale, sia essa mirata alla cura di una patologia cardiaca o di altro organo, è quello di fornire un trattamento precoce del feto affetto per correggere il problema anatomico, o almeno per ridurre l’entità dei danni secondari che solitamente si verificano quando vi è una condizione di anatomia o fisiologia anomala 137. Attualmente, il più comune intervento per squilibrio circolatorio è quello praticato per evitare la morte fetale nella sindrome da trasfusione feto-fetale, mentre resta limitato il numero di feti cardiopatici sottoponibile a intervento in epoca prenatale, pur potendo anch’essi andare incontro a idrope fino a morte intrauterina. A oggi, gli interventi proponibili in utero per cardiopatia sono la valvuloplastica nei feti con stenosi critica o atresia della valvola aortica o della valvola polmonare, e la settostomia atriale con palloncino in quelli con chiusura precoce del setto interatriale associata a cardiopatie nelle quali la sopravvivenza neonatale dipende dalla pervietà della stessa, quali la trasposizione semplice delle grandi arterie o la sindrome del cuore sinistro ipoplasico con atresia della valvola aortica o mitrale 10, 11, 138-142. Infine è stato riportato qualche caso di efficace ma solo temporanea stimolazione cardiaca in feto con scompenso cardiaco e idrope secondario a blocco atrio-ventricolare totale da anticorpi materni anti-Ro/La 143. Il razionale per l’intervento fetale di valvuloplastica è supportato da alcune specifiche convinzioni. La prima deriva dai dati chirurgici che dimostrano come il precoce ristabilimento di un normale flusso anterogrado attraverso l’uscita ventricolare promuova la crescita delle strutture cardiache interessate. In effetti, a conferma di questi risultati, lo Z score calcolato per le singole strutture cardiache dei feti con ostruzione all’efflusso ventricolare, è suggestivo per una ridotta crescita in utero del cuore rispetto agli altri organi 10, 144-146. È stato, inoltre, accertato che un meccanismo di danno secondario a carico del ventricolo interessato da ostruzione deriva dalla ridotta perfusione coronarica al miocardio conse- 16 MARINO cardiologia pediatrica.indd 16 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale guente proprio ai valori elevati di pressione endocavitaria. Infatti, i feti con stenosi aortica critica e sindrome del cuore sinistro ipoplasico hanno un flusso anterogrado attraverso la radice aortica ridotto o addirittura assente e la perfusione coronarica dipende in modo esclusivo o prevalente dal flusso retrogrado proveniente dal dotto arterioso che, oltretutto, è ostacolato da un’associata ipoplasia estrema dell’arco aortico. Considerato che nei feti almeno il 75% della resistenza al flusso coronarico dipende dalla pressione intracardiaca, ne deriva che l’aumento della pressione telediastolica ventricolare associata alla stenosi aortica è un determinante importante di una ridotta perfusione coronarica, oltre che dello sviluppo di fibrosi endocardica 137. Un ulteriore meccanismo di danno ventricolare è costituito, poi, dalla risposta del miocardio fetale all’aumento del postcarico secondario alla chiusura valvolare aortica. L’aumento della pressione atriale sinistra correlata alla progressione della stenosi aortica è anche responsabile dell’alterato sviluppo della vascolatura polmonare fetale 133, 147. Un’altra convinzione su cui si basa il razionale per la valvuloplastica è che un feto con una circolazione biventricolare possa raggiungere una qualità di vita migliore di uno con una circolazione univentricolare. Per qualità di vita migliore non s’intende solo l’abilità funzionale superiore, ma anche la prognosi a livello neurologico. Come detto in precedenza, infatti, in caso di un’ostruzione a carico delle strutture sinistre del cuore, come nella stenosi aortica critica o nella sindrome del cuore sinistro ipoplasico, si verifica un’inversione del flusso a livello dell’arco aortico, per cui il cervello fetale è perfuso in maniera retrograda con sangue meno ossigenato. Nella stenosi aortica critica, in particolare, questa ipoperfusione coinvolgerebbe soprattutto il lato sinistro, tributario di succlavia e carotide sinistre, il che può spiegare la maggior frequenza in questi pazienti di danni cerebrali che coinvolgono la porzione sinistra dell’encefalo 9, 98, 99, 148. L’intervento di valvuloplastica in epoca fetale, migliorando la perfusione cerebrale e ristabilendo il flusso anterogrado attraverso l’arco aortico, potrebbe dunque ridurre teoricamente il rischio di danno neurologico associato alla cardiopatia. La settostomia atriale con palloncino rappresenta invece una procedura invasiva di palliazione nei feti affetti da TGA semplice o da sindrome del cuore sinistro ipoplasico. In questi ultimi infatti l’ispessimento fino anche la chiusura precoce del setto interatriale comporta talvolta lo sviluppo d’idrope con conseguente morte intrauterina 97, 102, 139. Nei feti che anche sopravvivano alla chiusura precoce del setto interatriale fino al termine della gravidanza, si riscontrano comunque anomalie del circolo venoso polmonare fino a un’ipertensione polmonare irreversibile, che rendono complesse le manovre rianimatorie alla nascita, così come lo svezzamento dal ventilatore 133, 147. Inoltre, nei feti con sindrome del cuore sinistro ipoplasico destinati a chirurgia palliativa, un setto chiuso o molto restrittivo, può danneggiare a tal punto la vascolarizzazione polmonare da rendere controindicato l’intervento di Norwood classico. Nei pazienti con TGA semplice, un setto interatriale chiuso può determinare un’ipossia neonatale severissima da mancato mixing atriale ed edema polmonare emorragico con conseguente morte immediatamente dopo la nascita, prima che possa essere effettuata una settostomia atriale anche in caso di diagnosi prenatale. Le tecniche di valvuloplastica fetale variano lievemente da un centro all’altro e vengono descritte da ciascuno nei dettagli nelle rispettive pubblicazioni 9, 10, 140-142. La maggior parte delle procedure è stata effettuata in feti di età gestazionale compresa tra ventuno e trenta settimane, mediante un approccio percutaneo e sotto guida ecografica, sfruttando la tecnica Seldinger. Alcuni hanno preferito procedere sotto anestesia generale materna, altri in anestesia locale con sedazione della madre. Tutti hanno somministrato anestesia al feto, solitamente Fentanyl, sia per via intramuscolo che direttamente nel cuore del bambino al momento della puntura fetale. Quando l’acquisizione delle immagini ecografiche risultava limitata dall’habitus materno o dalla posizione fetale, il gruppo di Boston ha preferito eseguire la procedura in mini-laparotomia ottenendo contemporaneamente immagini dirette del cuore fetale attraverso la parete uterina e una più facile manipolazione del feto 10. In commercio non è disponibile un’attrezzatura dedicata a questo tipo di procedura e l’approccio alla circolazione fetale nei casi riportati in letteratura è avvenuto passando dalla parete dell’utero al torace del feto e direttamente nel ventricolo o nell’infundibolo (nel caso di atresia polmonare). L’ago deve essere lungo almeno 15 cm con un introduttore flessibile che possa essere lasciato nel cuore del feto mentre il pallone viene fatto scorrere su guida al suo interno. Poiché la valvola polmonare è più grande di quella aortica, è necessaria un’attrezzatura di dimensioni maggiori per interventi di valvuloplastica a destra. Il rapporto pallone/valvola oggi utilizzato è maggiore di quel- 17 MARINO cardiologia pediatrica.indd 17 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA lo in epoca postnatale, sia per la natura più grossolana della stenosi valvolare in epoca fetale, che rende più difficile la dilatazione e più facile la restenosi, sia per la documentata tolleranza e reversibilità dell’insufficienza valvolare postprocedurale nel feto. Come accennato in precedenza, il pattern di crescita del feto non è lineare ma molto più rapido nella fase precoce di gestazione, anche se in realtà la mancata crescita e il danno secondario si sviluppano in maniera più progressiva. Per quanto riguarda, dunque, la tempistica di esecuzione della procedura, la tendenza comune ai diversi centri è quella di proporre l’intervento poco dopo la diagnosi, tenuto conto del tempo necessario per eseguire il counselling e per prendere una decisione da parte della coppia. Lo svantaggio di effettuare la procedura precocemente è rappresentato dalla probabilità che questa si debba ripetere in una fase più tardiva della gravidanza per avvenuta restenosi. Tuttavia più a lungo permane una condizione di sovraccarico pressorio intraventricolare e di anomala emodinamica, più probabile è la comparsa di fibrosi, calcificazioni e ipoplasia irreversibile nel ventricolo affetto del feto. Diversi centri hanno eseguito la valvuloplastica aortica con variabili percentuali di successo e complicanze. La serie più ampia pubblicata è quella del Children Hospital di Boston in cui 100 feti sono stati sottoposti a valvuloplastica aortica per stenosi aortica severa a un’età gestazionale media di 23.8 settimane. La procedura ha avuto successo in 77 casi e di questi 38 (43% dei nati vivi) ha raggiunto una correzione biventricolare 141. Lo stesso gruppo di Boston qualche anno prima aveva riportato i dati preliminari circa la dilatazione percutanea del setto interatriale nei pazienti con TGA od ostruzione del cuore sinistro 139. Successivamente sempre lo stesso gruppo ha riportato il posizionamento con successo di uno stent a livello del setto interatriale in un feto con ipoplasia del cuore sinistro che è poi sopravvissuto fino al tempo dell’intervento di Norwood 149. Huhta et al. hanno invece proposto i criteri per candidare a valvuloplastica i feti affetti da atresia polmonare a setto intatto, proponendo di valutare in particolare la vena ombelicale per verificare la presenza di pulsazione venosa, il dotto venoso per la presenza o meno di flusso retrogrado telediastolico, le dimensioni e la funzione sisto-diastolica del cuore (sulla base della frazione di accorciamento, del jet di rigurgito, di un dP/dT <400, o ancora di una curva di riempimento diastolico monofasico o la presenza di idrope) 150. La procedura di valvu- loplastica ha dimostrato di far regredire l’idrope e di prolungare la gravidanza, ma sono rari i feti che presentino condizioni ideali per essere sottoposti alla procedura secondo i criteri elencati 11. A oggi sono stati riportati i risultati di sei procedure di questo tipo in Europa con quattro successi tecnici, permettendo una correzione biventricolare in due casi e una palliazione univentricolare negli altri casi che presentavano una grossa fistola coronarica 142. Riassumendo, la progressione della patologia cardiaca fetale è rapida nei casi di stenosi e atresia aortica o polmonare. Un certo numero di bambini va incontro a decesso nel periodo neonatale nonostante un intervento chirurgico tecnicamente efficace, a causa dei danni a carico del circolo polmonare e del miocardio secondari a queste forme severe di cardiopatia. In casi accuratamente selezionati, l’intervento in epoca fetale è sembrato promettente, in particolare se programmato in un’epoca di gravidanza precoce piuttosto che tardiva. Terapia intrautero delle aritmie Tutte le aritmie fetali, a eccezione delle extrasistoli, sono associate a un rischio moderatamente alto di distress fetale 151. Il riscontro di un’aritmia cardiaca comporta dunque la necessità di stabilire se sia opportuna una terapia e, in caso affermativo, quale tipo di terapia effettuare, avendo come primo obiettivo la prevenzione o la risoluzione di un’eventuale compromissione emodinamica e quindi la prevenzione dell’idrope fetale. Le aritmie fetali possono essere considerate benigne o maligne a seconda della loro potenzialità di causare morte fetale o morbilità. L’extrasistolia fetale viene definita un’aritmia benigna che, come detto, non richiede alcun tipo di terapia, anche in caso di extrasistoli numerose. Queste ultime richiedono, tuttavia, un monitoraggio attento da parte del ginecologo, tale da riconoscere tempestivamente la comparsa di una tachicardia sopraventricolare sostenuta (1-2% dei casi di extrasistoli). In caso di tachicardia fetale (Fig. 1.6), prima di iniziare una terapia farmacologica, è innanzitutto necessario valutare lo stato emodinamico del feto; questo tipo di aritmie può infatti essere ben tollerato durante la vita fetale e frequenze cardiache elevate, tachiaritmie di lunga durata e cardiopatie congenite associate rappresentano solo dei fattori di rischio relativi. Qualsiasi terapia antiaritmica è inoltre gravata da rischi che in funzione del tipo di farmaco, delle dosi e della via di somministrazione riguar- 18 MARINO cardiologia pediatrica.indd 18 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale Figura 1.6 Flutter atriale. Color M-Mode. Il fascio di ultrasuoni, allineato sul VS (in alto) e sull’AD, rivela la presenza di un Flutter atriale con una conduzione atrioventricolare 2:1 risultante in una frequenza atriale di circa 460 bpm e di una frequenza ventricolare di circa 230 bpm. dano sia il feto (effetto proaritmico) che la madre. In ogni singolo caso si dovrà dunque valutare il rapporto rischio/beneficio di utilizzare un farmaco “maggiore” per ottenere il ripristino del ritmo sinusale rispetto a quello di utilizzare un farmaco “minore” che consenta un semplice controllo della frequenza cardiaca pur persistendo l’aritmia. La terapia con antiaritmici dovrebbe essere iniziata in ambiente ospedaliero con basse dosi che possono essere aumentate gradualmente, monitorando attentamente la risposta al farmaco del feto e della madre. Prima di iniziare la terapia antiaritmica, dovrebbero essere escluse, tramite la storia clinica e un elettrocardiogramma, persistenti aritmie materne e la presenza di QT lungo. Quando la conversione a ritmo sinusale non è raggiunta attraverso la somministrazione materna di uno o più farmaci antiaritmici, è possibile optare per la terapia fetale diretta mediante la somministrazione intraombelicale, intra-amniotica, intraperitoneale o intramuscolare 152, 153. La via ombelicale permette un accesso diretto alla circolazione fetale e perciò una rapida risposta alla terapia, ma sottopone il feto a un rischio di morbilità e mortalità significativo. Le altre modalità di iniezione sono meno rischiose per il feto e permettono un rilascio più graduale del farmaco. La terapia fetale diretta dovrebbe, in ogni modo, essere utilizzata solamente in caso di tachicardia complicata da idrope resistente a una multiterapia transplacentare. In linea generale i farmaci più spesso utilizzati nella pratica corrente sono: –– digitale: permette un ripristino del ritmo sinusale nel 60-80% dei casi senza scompenso, ma solo nel 20-40% dei casi con idrope. In questi casi tuttavia, da solo o associato ad altri farmaci, consente di controllare la FC e di migliorare lo stato di scompenso. Non sono riportati effetti proaritmici, né importanti effetti collaterali materni (dosi: per os, attacco 1-2 g/die in 2-3 somministrazioni, mantenimento 0,5 g/die in 1-2 somministrazioni; ev, attacco 0,5-1 g/die in 2-3 dosi, mantenimento 0,125-0,25 g/die. Digossinemia materna ideale 1,8 ng/l); –– Flecainide da sola o associata a digitale, a dosi dimezzate. Ha dimostrato un tasso di conversione in una settimana dell’80% dei casi di tachicardia sopraventricolare (TSV) associati a idrope; se impiegata in caso di flutter atriale è tuttavia a rischio di morte intrauterina per riduzione della frequenza atriale con conduzione 1:1 e fibrillazione ventricolare. Necessita di attento monitoraggio materno (dosi per os attacco 150-300 mg/ die; mantenimento: 75-150 mg/die); –– Amiodarone: ha un’efficacia complessiva in circa il 60% dei casi, indipendentemente dal tipo di aritmia e dalla presenza o meno di scompenso cardiaco. In particolare, risulta utile in caso di feti idropici con TSV da rientro refrattarie al trattamento transplacentare e/o diretto intramuscolare con digitale o con altri antiaritmici 154. Gli svantaggi correlati all’utilizzo di questo farmaco sono la necessità di alte dosi (attacco 800-1600 mg/die; mantenimento 200-800 mg/die), la massima azione del farmaco tardiva e la frequenza elevata di effetti collaterali materni e fetali (ipotiroidismo neonatale nel 50% dei casi trattati, per lo più transitorio); –– Sotalolo: rappresenta il farmaco di prima scelta nel trattamento del flutter atriale associato o meno a idrope fetale, con tasso di successo del 65% come terapia singola e dell’80% se associato a digitale. Nelle TSV è molto meno efficace. Sono stati tuttavia descritti casi di morte improvvisa endouterina, per lo più in feti idropici con TSV, forse per fibrillazione ventricolare. Per ridurre il rischio proaritmico si raccomanda bassa dose iniziale, incrementandola gradatamente, sotto stretto monitoraggio (dosi per os 160-300 mg/die). Sulla base della nostra esperienza e dei dati riportati in letteratura, siamo soliti applicare il seguente schema terapeutico: –– in caso di tachiaritmia intermittente (periodi ripetuti ma di durata inferiore a 30 minuti) senza scompenso cardiaco, ci limitiamo a controlli bi- 19 MARINO cardiologia pediatrica.indd 19 17/09/15 07:54 CARDIOLOGIA PEDIATRICA settimanali del feto per valutare l’eventuale comparsa di segni precoci di insufficienza cardiaca (dilatazione degli atri, insufficienza valvole AV, inversione del flusso a livello della vena cava inferiore); –– in caso di tachiaritmia persistente o incessante senza segni di scompenso, somministriamo digitale per os e in caso di successo della terapia proseguiamo con dosi di mantenimento; in caso invece di insuccesso, se la gravidanza è oltre la trentaseiesima settimana e la FC è >220 bpm, anticipiamo il parto (che sarà effettuato mediante taglio cesareo), mentre se la gravidanza è prima della trentaseiesima, la frequenza cardiaca è controllata e non ci sono segni di scompenso neppure iniziali, proseguiamo con la sola digitale, eseguendo controlli bisettimanali del feto; in caso contrario, aggiungiamo il farmaco maggiore più adeguato (Flecainide se si tratta di una tachicardia da rientro atrio-ventricolare; Sotalolo se Flutter atriale; Cordarone se diagnosi dubbia), dimezzando la dose della digitale; –– in caso di tachiaritmia persistente o incessante con scompenso cardiaco, se la gravidanza è oltre la trentacinquesima settimana, a seconda del grado di idrope fetale può essere indicato sia il parto anticipato con taglio cesareo che un tentativo di cardioversione della aritmia e di riduzione dello scompenso con digitale a metà dose e il farmaco maggiore più adeguato; se prima della trentacinquesima settimana tentiamo l’utilizzo del farmaco maggiore più efficace per il tipo di aritmia eventualmente associato in un secondo tempo alla digitale. Per quanto riguarda il blocco AV completo (Fig. 1.7-1.8) nel 40% dei casi fetali esso è associato a malformazioni cardiache (quali canale atrio-ventricolare sbilanciato, cuore univentricolare, trasposizione corretta delle grandi arterie), mentre nei restanti casi non si osservano malformazioni ma è spesso presente una malattia autoimmune materna, quale lupus o sindrome di Sjogren latente o manifesta 155. Dovrà quindi essere ricercata, in tutti i casi di BAV congenito isolato, la presenza di anticorpi anti-SSA e anti-SSB nel sangue materno. Il trattamento di un feto in uno stadio irreversibile di danno nodale AV è primariamente quello di mitigare o prevenire la concomitante infiammazione miocardica e quello di aumentare la frequenza cardiaca fetale. A differenza del prednisone, il desametasone e il betametasone sono solo minimamente me- Figura 1.7 Falso BAV. Color M-mode in corrispondenza della scansione 4 camere. Il fascio di ultrasuoni allineato in modo da attraversare contemporaneamente il VS (in alto) e l’AD (in basso), permette di evidenziare le contrazioni atriali e quelle ventricolari molto più lente delle precedenti. Ogni contrazione atriale è seguita a breve distanza da un’altra contrazione atriale (extrasistole atriale) tanto precoce da essere bloccata a livello del nodo atrio-ventricolare e quindi non condotta ai ventricoli. Ne risulta una frequenza cardiaca bassa (solitamente 70-100 bpm) apparentemente regolare ma con un pattern di contrazione atriale irregolare (breve-lungo). Figura 1.8 BAV totale. M-mode in corrispondenza della scansione 4 camere. Il fascio di ultrasuoni, allineato in modo da attraversare contemporaneamente il VS e l’AD, permette di visualizzare le contrazioni atriali (in basso) a normale frequenza e quelle ventricolari (in alto) molto più lente e dissociate dalle precedenti. tabolizzati dalla placenta, e diventano utili quando è desiderato un trattamento di tipo antinfiammatorio. La somministrazione materna di desametasone si è rivelata in grado di migliorare il blocco AV fetale, l’idrope e la disfunzione miocardica 156-159. Vari beta-stimolanti sono stati utilizzati per incrementare la frequenza cardiaca fetale e la contrattilità miocardica con vari gradi di successo. Recentemente è stato introdotto un protocollo di trattamento del 20 MARINO cardiologia pediatrica.indd 20 17/09/15 07:54 1 – Cardiologia fetale BAV completo che si è rivelato in grado di migliorarne la prognosi 157. Secondo tale protocollo non appena viene posta la diagnosi di BAV completo immuno-mediato deve essere instaurata una terapia materna con desametasone (4 mg/die), mantenuta, quando possibile, per tutta la durata della gravidanza. Un agente beta-stimolante (salbutamolo orale 10 mg x 3/die) viene aggiunto se la frequenza cardiaca media del feto è inferiore a 55 battiti al minuto. La gravidanza deve essere strettamente sorvegliata sia con ecografia ostetrica che con ecocardiografia fetale. È importante, in particolare, ricordare che la terapia steroidea prenatale comporta il rischio di oligoidramnios e, conseguentemente, di possibile parto pretermine nel 20% dei casi di trattamento cronico, per cui è necessario monitorare con attenzione la quantità di liquido amniotico durante tutto il corso della gravidanza. Tale gestione clinico terapeutica materno-fetale consente solitamente di arrivare al terzo trimestre di gravidanza, programmando il parto attorno alla trentasettesima settimana di gestazione. È, comunque, indispensabile che questo avvenga sempre in un centro di terzo livello che possa garantire la possibilità, anche in sala parto, di una stimolazione cardiaca temporanea (esterna o endocavitaria), considerato che casi di BAV ben tollerati durante la gravidanza possono precipitare subito dopo la nascita per marcata riduzione della frequenza cardiaca o per severa compromissione delle condizioni di compenso cardiocircolatorio 158. Poiché il BAV completo si manifesta solamente nell’1-2% delle madri portatrici di anticorpi anti-Ro/La, viene ancora dibattuta la reale necessità di una profilassi cortisonica in caso di prima gravidanza. La terapia cortisonica con eventuale plasmaferesi deve, al contrario, essere instaurata immediatamente nella fase precoce di “miocardite” e in ogni modo nei BAV di recente insorgenza nella speranza di una regressione della lesione infiammatoria 159, 160. Anche il BAV di secondo grado si può associare a malattie del collagene materno e a difetti strutturali cardiaci. Il trattamento è simile a quello raccomandato per il BAV completo in presenza di malattie del collagene; in questi casi, è necessario un attento monitoraggio per la possibilità di progressione del grado di blocco. BIBLIOGRAFIA 1. Hoffman JI, Kaplan S. The incidence of congenital heart disease. J Am Coll Cardiol 2002;39: 1890-900. 2. Abu-Harb M, Hey E, Wren C. Death in infancy from unrecognized congenital heart disease. Arch Dis Child 1994;71:3-7. 3. Wren C, Reinhardt Z, Khawaja K. Twenty-year trends in diagnosis of life-threatening neonatal cardiovascular malformation. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2008;93: F33-5. 4. 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