Corso di Sistemi Animali e Vegetali MODULO BOTANICA Prof. C. GUARINO METODI E PRINCIPI DELLA SISTEMATICA BIOLOGICA Concetto di sistematica La sistematica è la scienza della diversità degli organismi. Essa implica la scoperta, la descrizione e l’interpretazione della diversità biologica nonché la sintesi dell’informazione sulla diversità sotto forma di sistemi di classificazione predittivi. Questo concetto viene espresso con il termine Tassonomia. Un punto da tener ben fermo è la distinzione tra Tassonomia e Classificazione. Infatti quest’ultima può essere considerata come il risultato degli studi tassonomici, che hanno portato a disporre tutti gli individui in un ordinato sistema di categorie sistematiche. Nel linguaggio comune viene, soventemente, utilizzato il termine “classificazione”, anche al posto di di “identificazione” o “determinazione”. Essa per la maggior parte degli autori, è il riconoscimento (denominazione) di un individuo e la sua successiva collocazione in uno schema già esistente (“classificazione”) messo a punto dalla Tassonomia. I vari taxa sono differenti fra loro, sia per ampiezza, sia per ordine gerarchico. Il taxon fondamentale di tutta la sistematica è la Specie. La specie di norma viene indicata con due nomi (denominazione binomia) il primo corrisponde al genere a cui tale specie è stata assegnata il secondo è esclusivo di ogni specie. ES. rosa selvatica (nome volgare) Rosa canina L. (nome scientifico) (genere) (specie) (autore) I taxa progressivamente superiori al genere sono: la famiglia (spesso divisa in sottofamiglie e queste in tribù), l’ordine (che può comprendere due o più sottordini), la classe (nella quale spesso sono distinte varie sottoclassi) e la divisione o stipite. Il genere può suddividersi in più sezioni e la specie in altre entità di minor ampiezza EVOLUZIONE DEI METODI TASSONOMICI La preistoria Fin dalla preistoria i primi uomini, distinguendo e scegliendo le piante utili da quelle dannose, effettuavano già delle “identificazioni” che, sono le prime basi della botanica sistematica. Le antiche civiltà Iniziarono lo sfruttamento delle piante spontanee: era il primo processo di domesticazione, dove le piante oltre ad essere catalogate per l’uso, venivano selezionate anche in base alla loro produttività. Alle origini, quindi, la Botanica sistematica può considerarsi nata semplicemente dalla necessità della identificazione delle varie piante utili o dannose. In Egitto nacque il primo orto botanico. Grecia Nella civiltà ellenica la botanica inizia uno sviluppo scientifico. Aristotele diede un primo significato al termine “organismo vegetale” considerandolo un animale abbarbicato al terren, con la bocca (radici) ramificata e sotteranea. Teofrasto è considerato il padre della botanica, allievo di Aristotele. A lui si deve sia l’identificazione e la descrizione di un gruppo molto vasto di specie differenti, sia il primo tentativo tassonomico tendente a raggruppare le specie simili in categorie omogenee. A Teofrasto, inoltre si deve la esatta descrizione di caratteri morfologici importantissimi, riguardanti sia l’apparato vegetativo che quello riproduttivo delle piante. I Romani Assume sempre di più la veste di scienza applicata. Infatti si limita alla descrizione di nuove specie interessanti dal punto di vista agronomico o medicinale, e alla specificazione delle norme da seguire per la loro coltivazione o per l’uso che di esse può venir fatto.Columella, Virgilio e soprattutto Plinio il vecchio sono esempi in tal senso. Gli Erbari Figurati Nel medioevo si iniziò a raffigurare le piante. Gli erbari figurati consistevano in raccolte di disegni, più o meno fantasiosi, delle specie in uso a quei tempi. Successivamente si iniziò la coltivazione in “vivo” dando inizio ai primi orti dei semplici. Erano raccolte di piante medicinali dei luoghi. Andrea Cesalpino (1501-1577), professore di botanica a Pisa ebbe la geniale idea di sostituire gli erbari figurati con gli erbari veri, costituti da exiccata delle varie piante o dei vari organi principali. Altro merito di Cesalpino fu la messa in luce dello stretto legame esistente tra forma e funzione attualmente uno dei punti fondamentali di tutte le scienze biologiche. Nascono i primi Orti Botanici- Pisa e Padova I SISTEMI ARTIFICIALI Col progredire delle conoscenze sistematiche, nasce la necessità di estendere le prime categorie sistematiche ad un insieme di piante sempre più vasto, tanto da comprendere, via via, tutte le specie descritte. Tra questi spicco il sistema di Tournefort che separò le piante in base al loro habitus, in due grandi categorie, erbe e suffrutici da un lato e alberi dall’altro, la prima delle quali venne inoltre suddivisa a seconda dei caratteri della corolla. LINNEO Tra tutti questi sistemi proposti il più valido e geniale fu senza dubbio quello di Carlo Linneo (1707-1778) che ebbe il grande merito di richiamare l’attenzione sul valore sistematico degli apparati riproduttori, così da denominare il suo sistema “sessuale”. Sono schemi molto rigidi che vuole per forza distribuire in tante categorie differenti piante che sono ritenute talora anche molto diverse, solo perché differiscono per uno o pochi caratteri. Da tener presente, che tutti questi sistemi si fondano ancora sul principio di fissità della specie. Infatti anche Linneo, nei suoi scritti maggiori, è un convinto sostenitore che sulla terra esistano tante specie differenti, quante fin dall’inizio vennero create da un Ente infinito. Solo in alcuni scritti minori accenna alla possibilità della trasformazione della specie in un’altra, soprattutto per quanto si riferisce alla varietà nell’ambito di una medesima specie. I SISTEMI NATURALI Ai sistemi artificiali si contrappongono quelli “naturali”. Inizia cioè il cosiddetto periodo dei “metodi naturali” di classificazione, con i quali si tende a porre in rilievo le vere affinità tra le piante. Per trovare tali affinità basta sostituire i pochi caratteri dei sistemi artificiali con una pluralità di caratteri. LA FILOGENESI Quando noi, a queste nuove teorie, sostituiamo il concetto di fissità della specie con quello della possibilità di una continua ed ereditaria variazione delle sue caratteristiche, giungiamo necessariamente ad ammettere che le specie hanno capacità di evolversi e che, con il passare del tempo, si potrà avere la probabilità della genesi di nuove specie da altre più antiche (progenitori), che potranno anche estinguersi. LA SPECIE E I TAXA INFRASPECIFICI Che cos’è l’individuo? La definizione di individuo, quasi sempre così facile nel campo degli animali o delle piante arboree, divisione molto più sfumata e alle volte, persino impossibile, quando la pianta forma grossi cespi (come in molte graminacee), o quando si estende al suolo mediante stoloni, oppure è provvista, nel terreno, di lunghi e ramificati rizomi. LA SPECIE Non minori difficoltà presenta la definizione di specie. Una delle definizioni più universalmente accettate è quella che afferma che la specie è costituita dall’insieme degli individui che hanno le seguenti caratteristiche:sono fra loro corrispondenti per tutti i caratteri essenziali, sono interfecondabili e danno origine a discendenti che mantengono le medesime caratteristiche dei genitori. Tre sono quindi i caratteri che sembrano fondamentali: la somiglianza fra gli individui, la interfecondabilità e la costanza dei caratteri nella discendenza. Partiamo da quest’ultimo punto che riguarda la somiglianza dei discendenti con i loro genitori in seguito a riproduzione sessuale. Immaginiamo il caso di un ibrido e che sia fertile, dai semi si sviluppano piante, che non “corrispondono per i loro caratteri essenziali”, né con il genitore, né con l’altro. Ciò conferma quindi la non appartenenza dell’ibrido alle specie (almeno in senso tassonomico) dei due genitori di partenza. Per quanto, invece, si riferisce alla interfecondabilità tra tutti gli individui appartenenti ad una data specie, occorre precisare che tale criterio è valido soprattutto per il concetto di specie in senso biologico ma non in senso tassonomico. AD es le specie che ormai si riproducono solo vegetativamente. In modo analogo, come si può negare che le piante di melo, appartenenti alla stessa varietà, non siano da collocare nella medesima specie, perché autosterili? Anche in questo caso il concetto di specie in senso tassonomico è ben diverso da quello proposto dal biosistematico. Il primo criterio prima citato, riguardante la necessità, per gli individui appartenenti ad una data specie, “ di rassomigliarsi in tutti i loro caratteri essenziali”. Come facciamo a riconoscere se un dato carattere è essenziale o non? In tale contesto i pareri sono diversi e l’approccio metodologico differente. Gilmour riconosce l’impossibilità di meglio specificare tale questione e rimanendo nel vago afferma che la somiglianza tra i caratteri deve essere quella “normalmente accertata come tipica per il livello di specie”, e quindi necessariamente soggettiva. Mentre il tassonomista classico, molte volte, si limita al rilevamento dei caratteri tradizionali per riconoscere le specie, per il biosistematico la concordanza dei caratteri deve essere verificata nel modo più ampio, con analisi biochimiche, anatomiche, citologiche, genetiche, accompagnate da coltivazioni in ambienti controllati e così via. Tutte queste ricerche dovrebbero servire a porre in risalto quale sia il complesso dei geni (genoma) caratteristico di quella specie. In realtà l’uguaglianza di genoma si trova solo negli individui derivati tra loro da semplici riproduzione vegetative, siano essi omozigoti che eterozigoti. Con la riproduzione sessuale e la meiosi, infatti, negli eterozigoti si attua una distribuzione di alleli differenti GLI OMOZIGOTI Solo il caso di individui con alleli identici (omozigoti) per tutti i geni (caso molto raro in natura), anche la riproduzione sessuale consentirà la formazione di discendenti esattamente identici per il loro genoma. Individui omozigoti si possono produrre, per es., da piante partenogenetiche (e quindi con corredo aploide di cromosomi) nelle quali avvenga, per qualche motivo, il raddoppiamento del genoma. Più frequenti in natura sono gli omozigoti per qualche gene. Ciò si trova soprattutto nelle piante che hanno autofecondazione. GLI ETEROZIGOTI Se esiste una certa variabilità nell’ambito degli omozigoti, molto maggiore naturalmente sarà quella degli eterozigoti, che hanno geni alleli più o meno diversi, segregati in modo casuale, ad ogni meiosi, nelle meiospore o nei gameti. Per alcune piante, sono stati ritrovati per il medesimo gene fino a 200 alleli differenti. Pertanto possiamo farci un idea sul numero consistente di genotipi differenti, ritrovabili in una medesima specie. IL FENOTIPO E IL GENOTIPO Dato che, in ogni determinato ambiente, ogni genotipo dà origine ad un fenotipo particolare, in natura noi troviamo individui che, pur rassomigliandosi notevolmente, saranno leggermente differenti fra loro anche se appartenenti alla medesima specie (variabilità intraspecifica). Più precisamente, potremo avere, persino nell’ambito dello stesso individuo, una notevole variabilità, connessa in questo caso con il grado di sviluppo raggiunto (variabilità dovuta all’ontogenesi) Ancora si può verificare che tra individui anche genotipicamente identici avremo differenze dal punto di vista morfologico e fisiologico se mantenuti in ambienti con caratteristiche diverse (variabilità dovuta all’ambiente). Molte volte non è possibile, senza la coltivazione in ambienti controllati, riconoscere se si abbia a che fare con semplici differenze fenotipiche dovute all’ambiente, oppure con differenze ormai genotipicamente stabilite. Utile per la identificazione e attribuzione in tali contesti è la biometria. LE POPOLAZIONI Nella biosistematica moderna, ha acquistato sempre maggior peso la sostituzione dello studio dei singoli individui con quello di intere popolazioni. Essa, dal punto di vista biologico, può essere definita come l’insieme degli individui che appartengono al medesimo taxon e che sono presenti in un dato momento, in un determinato luogo. Secondo Gilmour et al. le popolazioni dovrebbero venir contrassegnate dal suffisso “demo”. Così un topodemo è il complesso di individui che appartengono ad un dato taxon e che crescono in una determinata “stazione”. L’ecodemo, climatico o edafico, è quella popolazione, che si trova in un luogo che ha particolari caratteristiche (climatiche o edafiche). Importante è il gamodemo, cioè ogni popolazione locale costituita da individui che possono interfecondarsi, tra i quali, cioè, esiste la possibilità di un libero scambio di geni. DEFINIZIONI DI SPECIE La specie, in senso tassonomico stretto, quale è ancora accettata dalla maggior parte dei sistematici classici, può essere definita come il complesso degli individui, che si assomigliano fra loro, più che con ogni altro individuo. La specie così definita viene ancora validamente indicata con la denominazione binomia, proposta da Linneo, seguito dalla iniziale dell’autore che l’ha descritto per primo es: Rosa canina L. Ben diversa è la definizione di specie per un genetista. Stebbins propone una definizione condivisibile:le specie sono formate dall’insieme di popolazioni che sono fra loro separabili per la discontinuità nella loro variabilità; queste differenze, devono, inoltre, avere base genetica e devono essere espressione dell’esistenza di meccanismi di isolamento, che impediscono totalmente o quasi interamente la trasmissione dei geni da un insieme di popolazioni all’altro”. ENTITÀ TASSONOMICHE INTRASPECIFICHE Anche in questi taxa minori esiste sensibili differenza tra il tassonomista classico e il biosistematico. Per il primo, le specie vengono suddivise in: Sottospecie e in Varietà, Cultivar e Forme. Per il biosistematico vale il concetto di ecotipo. COS’È UNA FILOGENESI L’evoluzione non è semplicemente discendenza, ma coinvolge anche il processo di separazione delle stirpi. Immaginiamo una popolazione che per vari motivi si frantuma in due popolazioni che a loro volta si evolvono indipendentemente. In tal modo si sono generate due stirpi (intesa come susseguirsi di popolazioni antenato-discendente). Questa è la prova dell’evoluzione. Gli aspetti caratteristici delle piante, come il tipo di tronco, il colore del fiore, la forma del frutto ecc., sono detti caratteri. Ogni carattere può avere una determinata importanza con valori differenti questo viene definito stati del carattere. Il nodo di questo esempio è che le caratteristiche come i petali rossi e i fusti legnosi sono nuove e sono derivate rispetto alla popolazione ancestrale. Solo i caratteri nuovi ci permettono di comprendere che si è affermata una nuova stirpe. Un gruppo composto da un antenato e tutti i suoi antenati è conosciuto come gruppo monofiletico. In effetti trattasi di stati del carattere che, evidenti nell’antenato del gruppo, sono ancora presenti in tutti i membri, sebbene a volte in forma modificata. I diagrammi prima visti possono essere presentati sottoforma di albero ramificato. Conviene in tal senso mettere sull’albero solo i caratteri modificati. E’ evidente che ad ogni carattere posso dare un mio peso, in relazione all’estensione del carattere e quindi di conseguenza ottengo una classificazione gerarchica. La sistematica richiede l’osservazione precisa degli organismi. Senza un’accurata morfologia comparata è impossibile qualsiasi classificazione. L’identificazione della somiglianza è il primo passo nella determinazione dell’omologia, o identità da discendenza. Mostra tre modi diversi di organizzare i dati sull’osservazione effettuata sulle piante. ALBERI EVOLUTIVI E RADICAMENTO Riferendoci ad un albero evolutivo, si deve determinare quali cambiamenti sono relativamente più recenti e quali si sono verificati più lontano nel passato. L’albero deve essere radicato (avere un origine), e ciò significa che tutti i cambiamenti dei caratteri sono polarizzati o si svolgono in una data direzione. SCELTA DEGLI ALBERI Due fenomeni, comunque, rendono in pratica molto difficile la determinazione di una storia evolutiva: il parallelismo e l’inversione che alcune volte sono indicati come omeoplasia. Si definisce parallelismo: la comparsa di stati del carattere simili in organismi non legati da parentela. Si definisce inversione: il fenomeno mediante il quale uno stato del carattere derivato ritorna allo stato ancestrale. LA PROBABILITÀ DI UN CAMBIO EVOLUTIVO NEI CARATTERI L’interpretazione della storia evolutiva di un gruppo è legata a un modello implicito o esplicito del processo evolutivo. Più il modello riflette il processo alla base dell’evoluzione, più sarà precisa la valutazione della storia evolutiva. Le supposizioni più importanti sono formulate per indagare circa la verosimiglianza di particolari cambiamenti degli stati del carattere e circa la verosimiglianza di inversioni e di parallelismi. Nella Figura seguente i caratteri possiedono solo due stati. Questi due stati dei caratteri sono interpretati come il risultato di un singolo scambio genetico: “on” produce uno stato (es. il polline è tricolpato), “off” l’altro stato (es.,il polline ha una sola apertura o monosoulcato). Durante il tempo evolutivo questo carattere potrebbe cambiare. Per esempio nelle Caryophyllales sembra tutto bucato come una palla da golf e si definisce pantoporato. Ora se noi volessimo mettere in una matrice il carattere “aperture del polline” esso dovrebbe avere tre stati: Monosulcato, tricolpato e pantoporato. Questo carattere è quindi un carattere multistato. Utilizzando i caratteri morfologici ed i loro stati del carattere di solito non siamo sicuri quali scambi siano possibili, per cui è comune considerare i caratteri pluristato come non ordinati (parsimonia di Ficth). Si presuppone che per creare una struttura morfologica viene coinvolta la mutazione di molti geni, ma per perderla basta la modificazione di uno soltanto (legge di Dollo). Tale legge può essere applicata nella scelta dell’albero agendo in modo che le acquisizioni contino di più rispetto alle perdite (parsimonia di Dollo). A causa della possibilità di pregiudizi, di solito i sistematici cercano di basare le scelte di pesata su un criterio oggettivo. Un approccio è quello di fare un’analisi filogenetica preliminare nella quale a tutti i caratteri è assegnato lo stesso peso. Il risultato di quest’analisi identificherà quali caratteri possiedono la più piccola omoplasia nell’albero/i più corto/i; a questi caratteri con minore omoplasia può essere quindi assegnato un maggior peso nelle analisi successive, un procedimento noto come appesantimento successivo. L’ALBERO EVOLUTIVO E’ possibile che parti di albero sia più attendibili di altre. Ciò accadrà se le inversioni e i parallelismi interessano alcuni gruppi di piante più di altri o se ci sono stati pochissimi cambiamenti nella storia di un particolare gruppo. Un semplice modo per valutare ciò è rilevare attraverso gli indici di consistenza dei caratteri (CI) il numero dei cambiamenti genetici avvenuti sul ramo che conduce ad un particolare gruppo. Per esempio,in uno degli alberi morfologici prodotti da Doyle et al vi sono 18 cambiamenti sul ramo che porta alle angiosperme e 11 di questi erano caratteri che avevano CI di 1. In altre parole, più della metà dei cambiamenti genetici avvenuti durante l’origine delle angiosperme hanno prodotto nuove caratteristiche, che non erano presenti in altri gruppi. Si ricorda che l’indice di consistenza (CI) è la misura più semplice di omoplasia e si ottiene dividendo il numero minimo dei possibili cambiamenti evolutivi (cioè il numero di cambiamenti genetici) con la reale lunghezza dell’albero (numero di effettivi cambiamenti genetici nell’albero). COSTRUIRE UNA CLASSIFICAZIONE Una classificazione filogenetica riflette la storia evolutiva e attribuisce nomi solo ai gruppi monofiletici, costituiti da un antenato e da tutti i suoi discendenti. Non tutti i raggruppamenti sono denominati. Significa che gruppi monofiletici possono non avere una denominazione. La ragione risiede negli aspetti puramente pratici. Dopo aver deciso quali sono i gruppi monofiletici da denominare, rimane ancora come citarli con correttezza. La classificazione botanica usa un sistema sviluppato nel diciottesimo secolo, secondo il quale ai taxa sono assegnati particolari ranghi quali regno, phylum, classe, ordine, famiglia, genere e specie, cioè i ranghi di Linneo I ranghi delle categorie di una classificazione Linneana possono essere utilizzati per esprimere le relazione fra i gruppi sister. E’ importante capire che, nonostante i taxa monofiletici vogliamo rappresentare i gruppi reali che esistono in natura come risultato del processo storico dell’evoluzione, i ranghi categorici sono solo costruzioni mentali.