La moneta e l`inflazione - Zanichelli online per la scuola

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CAPITOLO 4
La moneta e l’inflazione
Domande di ripasso
1. La moneta ha tre funzioni: riserva di valore, unità di conto e mezzo di scambio. In quanto
riserva di valore, la moneta rappresenta un modo per trasferire potere d’acquisto dal presente al futuro. In quanto unità di conto, rappresenta il termine rispetto al quale sono indicati i prezzi e rilevati i debiti. In quanto mezzo di scambio, è lo strumento utilizzato per la
compravendita di beni e servizi.
2. La moneta fiat è una moneta priva di valore intrinseco, che acquisisce valore solo in virtù di
una decisione dello Stato. La moneta merce è una moneta che è anche un bene dotato di
un valore intrinseco. L’oro, se usato come moneta, è un esempio di moneta merce.
3. Nella maggior parte dei paesi l’offerta di moneta è controllata dalla banca centrale. Nel
Regno Unito tale funzione è svolta dalla Bank of England, nell’Unione europea dalla Banca
centrale europea (BCE). Il controllo dell’offerta di moneta è detto politica monetaria.
La banca centrale controlla l’offerta di moneta soprattutto attraverso operazioni di mercato aperto, che comportano l’acquisto e la vendita di titoli di Stato. Per aumentare
l’offerta di moneta, la banca centrale acquista titoli di Stato dal pubblico, mettendo nuova
moneta in circolazione; per diminuire l’offerta di moneta, la banca centrale vende titoli di
Stato al pubblico, sottraendo moneta dalla circolazione.
4. L’equazione quantitativa è un’identità che esprime la relazione tra il numero delle transazioni compiute dagli individui e la quantità di moneta che detengono. Viene scritta così:
Moneta ⫻ velocità ⫽ prezzo ⫻ transazioni
M⫻V ⫽P⫻T
Il membro destro dell’equazione quantitativa descrive le transazioni che vengono eseguite
in un dato periodo di tempo (per esempio, un anno): T è il numero totale degli scambi di
beni e servizi in cambio di moneta e P rappresenta il prezzo della transazione media. Pertanto P ⫻ T è il valore monetario delle transazioni eseguite in un anno.
Il membro sinistro dell’equazione quantitativa descrive la moneta utilizzata per queste
transazioni: M rappresenta la quantità di moneta esistente nell’economia e V rappresenta
la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni.
Dato che il numero delle transazioni è difficile da misurare, gli economisti spesso ricorrono a una notazione leggermente diversa dell’equazione quantitativa, nella quale al numero
delle transazioni, T, viene sostituito il prodotto aggregato, Y:
Moneta ⫻ velocità ⫽ prezzo ⫻ prodotto aggregato
M⫻V ⫽P⫻Y
P rappresenta il prezzo dell’unità di prodotto aggregato, quindi P ⫻ Y è il valore monetario
del prodotto aggregato, cioè il PIL nominale. In tale notazione V è la velocità di circolazione
della moneta rispetto al reddito.
5. Se ipotizziamo che la velocità di circolazione della moneta sia costante, possiamo interpretare l’equazione quantitativa come una teoria del PIL nominale. A velocità di circolazione costante, l’equazione quantitativa afferma che:
MV ⫽ PY
Se V è costante, una variazione della quantità di moneta (M ) causa una variazione proporzionale del PIL (PY ). Inoltre, se ipotizziamo che anche il prodotto aggregato sia esogenamente determinato dai fattori di produzione e dalla tecnologia, giungiamo alla conclusione
che la quantità di moneta determina il livello dei prezzi. Questa viene detta teoria quantitativa della moneta.
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6. L’imposta di inflazione grava su chi detiene moneta: con l’aumento generalizzato dei prezzi,
il valore reale della moneta che gli individui detengono diminuisce; in altre parole, dato che
i prezzi aumentano, una data quantità di moneta serve ad acquistare una minore quantità
di beni e servizi.
7. L’equazione di Fisher esprime la relazione tra tasso di interesse reale e tasso di interesse
nominale. Il tasso di interesse nominale i è pari al tasso di interesse reale r più il tasso di inflazione ␲:
i ⫽r⫹␲
Questa equazione ci dice che il tasso di interesse nominale può variare in conseguenza di
una variazione sia del tasso di interesse reale sia del tasso di inflazione. Il tasso di interesse
reale, per ipotesi, è indipendente dall’inflazione: come abbiamo visto nel capitolo 3, il tasso
di interesse reale si aggiusta in modo da equilibrare risparmio e investimento. Quindi, la relazione tra tasso di inflazione e tasso di interesse nominale è diretta ed esattamente proporzionale: se il tasso di inflazione aumenta di 1 punto percentuale, il tasso di interesse nominale aumenta di pari misura. Tale relazione è detta effetto di Fisher.
Se l’inflazione aumenta dal 6 all’8%, l’effetto di Fisher implica che il tasso di interesse
nominale aumenti di 2 punti percentuali, mentre il tasso di interesse reale rimane invariato.
8. Tra i costi dell’inflazione attesa sono compresi:
(a) Costo delle suole. Una maggiore inflazione implica tassi di interesse nominali più elevati, il che a sua volta induce gli individui a detenere saldi monetari più bassi. Se detengono saldi monetari più contenuti, gli individui devono recarsi in banca con maggiore
frequenza, per rifornirsi di contante. Questo è scomodo (e provoca un più rapido consumo delle suole).
(b) Costo del menu. Una maggiore inflazione induce le imprese a variare più frequentemente il prezzo dei beni e dei servizi che offrono. Questo potrebbe comportare dei costi, collegati alla stampa e alla diffusione di cataloghi e listini.
(c) Maggiore variabilità dei prezzi relativi. Se le imprese non aggiustano i prezzi istantaneamente, una maggiore inflazione comporta una maggiore variabilità dei prezzi relativi.
Dato che le economie di mercato si fondano sui prezzi relativi per allocare le risorse in
modo efficiente, l’inflazione provoca inefficienze a livello microeconomico.
(d) Drenaggio fiscale. La normativa tributaria di solito non prevede un adeguamento del
carico fiscale all’inflazione. Di conseguenza, l’inflazione può provocare un’alterazione
del carico fiscale per individui e imprese, spesso in modi che il legislatore non aveva
previsto e non ritiene desiderabile.
(e) Variazione continua del livello dei prezzi. Vivere in un mondo nel quale il livello dei
prezzi cambia continuamente è scomodo: la moneta è il parametro rispetto al quale si
misurano le transazioni economiche, e tale parametro perde parzialmente la propria utilità se il suo valore cambia continuamente.
C’è poi un costo dell’inflazione inattesa:
(f) Ridistribuzione arbitraria della ricchezza. L’inflazione inattesa ridistribuisce arbitrariamente la ricchezza tra gli individui. Per esempio, se l’inflazione è più elevata del previsto, i debitori ne sono avvantaggiati e i creditori svantaggiati. Inoltre chi percepisce
una pensione definita in termini nominali subisce un danno, perché il potere
d’acquisto della moneta diminuisce.
9. Un’iperinflazione riflette sempre le scelte di politica monetaria. Il livello dei prezzi non può
crescere rapidamente se, contemporaneamente, non cresce anche l’offerta di moneta; e
l’iperinflazione non può avere termine se il governo non riduce drasticamente l’offerta di
moneta. Ma questa spiegazione apre la porta a un’altra domanda: perché un governo comincia a stampare banconote in eccesso, e perché smette di farlo? La risposta va cercata
quasi sempre nella politica fiscale: se un governo deve affrontare un grosso disavanzo di bilancio (per esempio a causa di una guerra o di un altro evento di grande portata) e non è in
grado di finanziarlo con l’indebitamento, per pagare i propri conti non ha altra scelta che
stampare moneta. Soltanto quando questo problema fiscale viene risolto – riducendo la
spesa pubblica o aumentando le imposte – il governo può sperare di rallentare la crescita
dell’offerta di moneta.
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10. Una variabile reale è una variabile misurata in unità che rimangono costanti nel tempo: per
esempio, una variabile misurata in «euro costanti». In altre parole, le unità di misura vengono aggiustate rispetto all’inflazione. Una variabile nominale è misurata in unità (per esempio euro) correnti: quindi il valore della variabile non viene aggiustato per l’inflazione.
Per esempio, una variabile reale è un Bacio Perugina, mentre una variabile nominale è il
valore corrente di un Bacio Perugina (che negli anni 1960 era di 50 lire e nel 2001 di 50
centesimi di euro, che corrispondevano a circa 1000 lire). Il tasso di interesse che la banca
vi dichiara – diciamo l’8% – è un tasso di interesse nominale, dal momento che non è aggiustato per l’inflazione. Se, per esempio, l’inflazione è del 3%, il tasso di interesse reale –
che misura l’aumento del vostro potere d’acquisto – è il 5%.
Problemi e applicazioni pratiche
1. Le funzioni della moneta sono: riserva di valore, mezzo di scambio e unità di conto.
(a) Una carta di credito può essere usata come mezzo di scambio, perché è accettata in
cambio di beni e servizi; è una riserva di valore negativa, in quanto permette di accumulare debito; e non è una unità di conto (per esempio, un’automobile non costa 5
carte VISA).
(b) Un quadro di Rembrandt è soltanto una riserva di valore.
(c) Un biglietto per l’autobus soddisfa tutte le tre funzioni della moneta. Ma, al di fuori
del sistema di trasporto pubblico, non è ampiamente utilizzato come mezzo di scambio
o come unità di conto, per cui non è una forma di moneta.
2. Il tasso di interesse reale è pari alla differenza tra il tasso di interesse nominale e il tasso di
inflazione. Il tasso di interesse nominale è dell’11%, ma dobbiamo risolvere per il tasso di
inflazione. A questo scopo utilizziamo l’equazione quantitativa espressa in forma di variazione percentuale:
⌬% M ⫹ ⌬% V ⫽ ⌬% P ⫹ ⌬% Y
Manipolando questa espressione troviamo che il tasso di inflazione è dato da:
⌬% P ⫹ ⌬% M ⫽ ⌬% V – ⌬% Y
Sostituendo i dati forniti dal problema, otteniamo:
⌬% P ⫽ 14% ⫹ 0% – 5%
⫽ 9%
Il tasso di interesse reale è pari dunque al 2%, cioè al tasso nominale (11%) al netto
dell’inflazione (9%).
3. (a) Per essere rieletto, il legislatore deve mantenere un alto indice di gradimento. Uno dei
modi per restare popolari è assicurare che il valore reale delle prestazioni previdenziali e
di altre indennità rimanga costante nel tempo. A tal fine, bisogna indicizzare le indennità al costo della vita, come misurato dall’indice dei prezzi al consumo. Con
l’indicizzazione, l’indennità nominale varia allo stesso tasso dei prezzi.
(b) Se ipotizziamo che l’inflazione sia misurata correttamente (a questo proposito, vedi cap.
2), i cittadini più anziani non sono influenzati dal più basso tasso di inflazione. Benché
ricevano meno soldi dal governo, i beni che acquistano costano meno; il loro potere
d’acquisto è esattamente lo stesso rispetto a quando il tasso di inflazione era più alto.
4. Il principale beneficio di avere una moneta nazionale è il signoraggio, cioè la possibilità che
il governo aumenti le entrate stampando moneta. Il principale costo è la possibilità di inflazione, o anche iperinflazione, se il governo ricorre troppo pesantemente al signoraggio. I
benefici e i costi di utilizzare una moneta straniera sono esattamente quelli opposti: il beneficio è che l’inflazione non è più sotto il controllo politico interno, ma il costo è che il governo nazionale perde la possibilità di aumentare le entrate con il signoraggio.
La stabilità politica del paese estero è un fattore chiave. La ragione principale per usare
la moneta di un’altra nazione è guadagnare stabilità. Se la moneta estera è instabile, allora
un paese ha convenienza a utilizzare la propria moneta, perché l’economia interna diventa
più stabile, e il governo mantiene la possibilità di ricorrere al signoraggio.
5. Un’arma di carta sarebbe potuta essere efficace per le stesse ragioni per cui l’iperinflazione
è negativa. Come è noto, l’iperinflazione rende i prezzi più variabili, altera in modo arbitra-
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rio gli obblighi fiscali, rende l’unità di conto meno utile e, infine, aumenta l’incertezza e
causa una ridistribuzione arbitraria del reddito. Se l’iperinflazione è sufficientemente spinta, può indebolire la fiducia del pubblico nella politica economica e nell’economia.
Osservate che, se aerei stranieri avessero lanciato banconote, il governo «bombardato»
non avrebbe ottenuto un’entrata da signoraggio dalla conseguente inflazione; pertanto i
benefici normalmente associati all’inflazione sarebbero andati perduti.
6. Un modo per capire questa affermazione è pensare che il governo sia un debitore netto del
settore privato in termini nominali. Chiamiamo B il debito pubblico misurato in euro. Il
debito in termini reali è pari a B/P, dove P è il livello generale dei prezzi. Aumentando
l’inflazione, il governo aumenta i prezzi e riduce il proprio debito in termini reali. In questo
senso possiamo dire che il governo ripudia il debito. Questo però accade solo se l’inflazione
è inattesa: in caso contrario il pubblico chiederà un più alto tasso di interesse nominale. Il
ripudio si verifica ancora (cioè, all’aumentare dei prezzi il valore reale del debito continua a
diminuire), ma non più a spese dei detentori del debito, poiché essi vengono ricompensati
da un più alto tasso di interesse nominale.
7. La deflazione è una diminuzione del livello generale dei prezzi, il che equivale a un aumento del valore della moneta. In un sistema aureo un aumento del valore della moneta equivale a un aumento del valore dell’oro, poiché oro e moneta sono legati da un rapporto fisso.
Quindi, dopo una deflazione, con un’oncia d’oro si acquistano più beni e servizi, e ciò crea
l’incentivo a cercare nuovi giacimenti d’oro. Ne consegue che, in un sistema aureo, dopo
una deflazione aumenta la probabilità di scoprire nuovi giacimenti.
8. Un aumento del tasso di crescita degli aggregati monetari provoca un aumento del tasso di
inflazione. L’inflazione, a sua volta, provoca una crescita del tasso di interesse nominale,
cioè un aumento del costo-opportunità di detenere moneta. Come risultato, i saldi monetari reali diminuiscono. Poiché la moneta è una componente della ricchezza, anche la ricchezza reale diminuisce. Una diminuzione della ricchezza riduce il consumo e quindi aumenta il risparmio. L’aumento del risparmio provoca uno spostamento verso destra della
curva di risparmio, come nella figura 4.1. Questo porta a un abbassamento del tasso di interesse reale.
Tasso di interesse reale
r
r1
r2
S1
Figura 4.1
S2
A
B
I (r)
I, S
Investimento, Risparmio
La dicotomia classica afferma che una variazione delle variabili nominali, come l’inflazione,
non influenza le variabili reali. In questo caso la dicotomia classica non regge; la crescita del
tasso di inflazione comporta una diminuzione del tasso di interesse reale. L’effetto di Fisher
afferma che i ⫽ r ⫹ ␲; in questo caso, poiché il tasso di interesse reale r diminuisce, un
aumento dell’inflazione in misura dell’1% fa aumentare il tasso di interesse nominale i in
misura inferiore all’1%.
La maggior parte degli economisti ritiene che questo effetto di Mundell-Tobin sia poco
importante, perché i saldi monetari reali sono una parte minima della ricchezza. Quindi
l’effetto sul risparmio illustrato nella figura 4.1 è trascurabile.
9. The Economist (www.economist.com) è un sito utile per la raccolta di dati recenti ma, al
momento, per accedere a questi contenuti è necessario sottoscrivere un abbonamento a
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pagamento. In alternativa, il Fondo Monetario Internazionale (www.imf.org) offre collegamenti ai dati nazionali dei singoli paesi, nella sezione «Standards and Code», sottosezione
«Data dissemination».
Per esempio, secondo i dati raccolti nel World Economic Outlook del FMI, nel 2004 in
Zimbabwe i prezzi al consumo sono aumentati del 350%. Secondo i Development Indicators della Banca mondiale, sempre nel 2004 la crescita della moneta e della quasi-moneta
in Zimbabwe è stata del 230% (ed era stata del 430% nell’anno precedente). Il tasso di
interesse sui prestiti era del 279%. Al contrario, nell’area dell’euro, nello stesso anno
l’indice dei prezzi al consumo è aumentato dell’1,8%, gli aggregati monetari del 6,4% e i
tassi di interesse a breve termine erano il 2,1%. Questi dati sono coerenti con la teoria esposta in questo capitolo: i paesi con tassi di inflazione più alti hanno tassi di crescita della
moneta e tassi di interesse nominali più elevati.
Altri problemi e applicazioni pratiche del capitolo 4
1. Se l’offerta di moneta cresce al tasso costante ␮, il modello di Cagan ci dice che pt ⫽ m t ⫹
␥␮. La soluzione del presente problema si fonda sulle implicazioni di questa equazione.
(a) Un modo per interpretare questo risultato consiste nel riordinare l’equazione, ottenendo:
m t – p t ⫽ –␥␮
(b)
(c)
(d)
(e)
In altre parole, i saldi monetari reali dipendono dal tasso di crescita dell’offerta di moneta. Quando il tasso di crescita dell’offerta di moneta aumenta, i saldi monetari reali
diminuiscono. Ciò è ragionevole in termini del modello presentato nel capitolo 4, poiché un aumento del tasso di crescita dell’offerta di moneta implica un aumento del
tasso di inflazione, il che rende meno desiderabile detenere saldi monetari.
Se il tasso di crescita dell’offerta di moneta rimane costante, l’aumento dell’offerta di
moneta m t fa aumentare il livello dei prezzi pt della stessa misura.
Se l’offerta di moneta rimane costante al livello mt, una variazione del tasso di crescita
dell’offerta di moneta fa variare il livello dei prezzi nello stesso verso.
Se la banca centrale riduce il tasso di crescita dell’offerta di moneta ␮, il livello dei
prezzi diminuisce immediatamente. Per compensare questa diminuzione del livello dei
prezzi, la banca centrale può aumentare il livello di offerta di moneta corrente, m t, come abbiamo visto nella parte (b). Queste risposte presuppongono che in ogni istante
gli agenti privati si attendano che il tasso di crescita dell’offerta di moneta rimanga invariato, cosicché il cambiamento della politica economica li coglie di sorpresa; tuttavia,
dopo che il cambiamento è avvenuto, esso è perfettamente credibile. In pratica, tuttavia, il settore privato potrebbe non ritenere credibile che un aumento dell’offerta di
moneta corrente indichi una diminuzione dei tassi di crescita dell’offerta di moneta in
futuro.
Se la domanda di moneta non dipende dal tasso di inflazione atteso, il livello dei prezzi
varia soltanto quando varia l’offerta di moneta stessa. In altre parole, le variazioni del
tasso di crescita dell’offerta di moneta ␮ non influenzano il livello dei prezzi. Nella parte (d) la banca centrale è in grado di tenere costante il livello dei prezzi corrente p t
semplicemente tenendo costante l’offerta di moneta corrente m t.
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