Media Philosophy. Interpretare la comunicazione

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Mediologie 2
Collana diretta da Alberto Abruzzese, Gino Frezza,
Gianfranco Pecchinenda, Giovanni Ragone
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Stefano Cristante
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Media Philosophy
Interpretare la comunicazione-mondo
Prefazione di Andrea Tagliapietra
Liguori Editore
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© 2005 by Liguori Editore, S.r.l.
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Prima edizione italiana Novembre 2005
Cristante, Stefano :
Media Philosophy. Interpretare la
comunicazione-mondo/Stefano Cristante
Mediologie
Napoli : Liguori, 2005
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5880 - 6
1. Sociologia della comunicazione
I. Titolo II. Collana III. Serie
2. Comunicazione politica
Aggiornamenti:
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12 11 10 09 08 07 06 05
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
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Indice
1
13
Eventi/stili/consumi
Note per una breve storia degli eventi culturali
Cittadini del mall
La gioventù nell’epoca della sua riproducibilità
mediatica
Rileggere l’industria culturale
Concetto di opinione pubblica e weblog
Brevi investigazioni sul rapporto personale tra
potere, sovversione e politica
AA 61 e le filosofie della modernità
Culture del segreto
43
51
63
83
101
113
123
131
Guerre/conflitti/opinioni
Che cosa sta accadendo? La mia visione dell’11 settembre
Frammenti sulla guerra globale
Grandi eventi mediali: le novità di Genova
2001 per la comunicazione di massa
Eventi e strategie comunicative nella campagna elettorale 2001
La Cgil e la difesa dell’articolo 18: interpretazione di una battaglia mediale
147
153
167
185
201
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Estratto della pubblicazione
Prefazione di Andrea Tagliapietra
Introduzione: una filosofia per i media
VIII
Indice
213
225
237
Riferimenti bibliografici
249
Avvertenza
253
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Il desiderio di verità mediatica tra menzogna e
verosimiglianza
Esiste l’opinione pubblica mondiale?
Frammenti sulla guerra globale 2
A Pi, che non se lo aspetta
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Prefazione
di Andrea Tagliapietra
La prefazione di un libro è come la soglia di una casa:
a meno di non rompere un vetro e scavalcare una
finestra, bisogna sempre attraversarla per entrarci. Ma
il saggio di Stefano Cristante è un libro particolare
perché è, esso stesso, a sua volta, una specie di soglia.
Una sorta di porta d’ingresso, ovvero il manifesto già
operativo più che velleitariamente programmatico, di
una nuova disciplina, la media philosophy, che l’autore,
nell’introduzione, traduce in italiano con l’inedita
espressione di filosofia per i media.
Perché filosofia per i media e non filosofia dei
media? La variazione preposizionale non è affatto
accidentale e rivela, anzi, uno slittamento semantico
decisivo, una determinazione protrettica che ha, insieme, il senso di una destinazione e la ragione di uno
scopo. Se la filosofia dei media può essere intesa come
l’etichetta disciplinare dell’ennesima ripartizione regionale del sapere filosofico, cosı̀ come si danno, per
esempio, una filosofia del linguaggio, della scienza,
delle religioni, dell’arte, della storia, della politica, ecc.,
la filosofia per i media rifiuta costitutivamente il collocamento nella consueta scansione accademica dei saperi – magari come branca teoretica e fattore d’ordine
all’interno del caotico brodo di coltura delle scienze
della comunicazione –, rivendicando per sé l’apertura
di uno spazio critico originale e originario.
Prefazione
2
1
Per la critica serrata e conseguente del significato di
questo aforisma nietzscheano (Frammenti Postumi
1886-1887, 7 [60]) nell’ermeneutica moderrna cfr. M. Ferraris, L’ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 33-92.
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Per cercare di spiegare l’essenziale novità di questo spazio critico proviamo a rileggere l’inflazionato
slogan di Marshall McLuhan secondo il quale il medium e` il messaggio. In termini filosofici lo slogan suona
come quell’altrettanto abusato aforisma di Friedrich
Nietzsche che afferma i fatti non esistono, esistono solo
interpretazioni1. Si tratta, in entrambi i casi, di esplicite
violazioni del senso comune, ossia della percezione
ordinaria interna ad una determinata cultura – quella
dell’americanismo del secondo dopoguerra del Novecento per McLuhan, con l’esaltazione ottimistica della
pura strumentalità della tecnica, quella dello scientismo positivista ottocentesco per Nietzsche, con il
mito dell’assoluta oggettività dei fatti. Da una parte il
medium, ovvero lo strumento tecnico della comunicazione, dall’altra l’interpretazione, ossia la dimensione
vitale e creativa del rapporto con il mondo dell’interprete, rifiutano di dipendere da qualcos’altro che, secondo il senso comune culturale, viene inteso come
maggiormente saldo, stabile e affidabile. Il rovesciamento teorico produce, in questo modo, un autentico
ribaltamento della scansione dei poteri e dei saperi.
Ciò che appariva secondario e derivato – gli strumenti
tecnici della comunicazione, lo sguardo dell’interprete
– adesso appare in primo piano e rivendica la sua
autonomia rispetto alla presunta sovranità dei fatti e
alla purezza originaria del messaggio.
Fatti e messaggio non sono più degli assoluti che,
dal passato, impongono la loro forma al presente,
costringendo lo sguardo teoretico a intraprendere
quello che già Bergson denunciava come il consueto
movimento retrogrado del vero – e che lo stesso filosofo
Prefazione
3
2
H. Bergson, La pense´e et le mouvant, Puf, Paris 1938; tr. it.,
Pensiero e movimento, Bompiani, Milano 2000, pp. 3-21.
3
A. J. Greimas – J. Courtès, Se´miotique. Dictionnaire raisonne´ de la the´orie du language, Hachette, Paris 1979; A. J.
Greimas, Du sens 2: essais semiotiques, Editions du Seuil, Paris
1983; tr. it., Del senso 2, Bompiani, Milano 1998.
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francese poteva criticare grazie alla nuova comprensione del mondo e della durata temporale che gli
derivava dalla fruizione pensosa del medium cinematografico2 –, ma si relativizzano, entrano come componenti differenziali di uno spazio ermeneutico che non
può più rivendicare l’intangibilità normativa di un fuori
produttore di canoni e custode di valori assoluti. Non
c’è più il feticcio di un testo o di un significato che,
almeno in linea teorica, siano immaginabili del tutto
separatamente dall’indefinita teoria dei loro fruitori e
dalle modalità stesse della loro fruizione – in cui, cioè,
l’elemento tecnico assuma il carattere di portentoso
generatore di sensi e combinazioni diverse.
Lo spazio ermeneutico dei media appare, quindi,
come una continuità discreta in cui i termini di opposizione rimangono comunque in relazione senza
escludersi. Emblematico è ciò che Cristante scrive a
proposito delle culture del segreto: la contrapposizione fra verità e segreto diviene, nell’ambito dei
media, un insieme ibrido di verità e segreto. Il quadrato
3
semiotico di Algirdas Julien Greimas (Fig. 1) si trasforma in una losanga (Fig. 2) in cui il differenziale fra
segreto e verità e, quindi, fra sembrare e essere, si assottiglia, mentre, al vertice opposto della figura, là dove
non sembrare e non essere si avvicinano, aumenta l’inafferrabilità strutturale dell’endiade di falsità e menzogna.
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4
Prefazione
Figura 1
Figura 2
È, del resto, su questo mutamento essenziale dell’orientamento interpretativo che la filosofia per i media e l’ermeneutica filosofica, erede della grande tradizione filologica classica, divergono strutturalmente.
Per l’ermeneutica, che ha trovato la sua sistemazione
teorica matura nelle pagine novecentesche di Verità e
Estratto della pubblicazione
Prefazione
5
4
4
H. G. Gadamer, Wahrheit und Methode, J. C. B. Mohr,
Tübingen 1960; tr. it., Verità e metodo, a c. di G. Vattimo,
Bompiani, Milano 1983.
5
Cfr. F. Bianco, Introduzione all’ermeneutica, Laterza,
Roma-Bari 2002, p. 176.
6
A. Wellmer, Kritische Gesellschaftstheorie und Positivismus,
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1969, p. 49.
7
J. Habermas, La pretesa di universalità dell’ermeneutica, in
G. Ripanti (a c. di), Ermeneutica e critica dell’ideologia, Queriniana, Brescia 1979, p. 163.
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metodo di Hans Georg Gadamer , ogni tentativo di
comprensione muove dal contesto in cui ci troviamo
e, quindi, in questo senso, dalla tradizione, dal passato
che condiziona il presente dell’interprete5. Anche se la
dipendenza della comprensione dai pregiudizi, ossia
dal passato dell’interpetazione, può produrre sia una
conferma che una messa in questione del consenso
instaurato all’interno della tradizione, è innegabile che
l’ermeneutica esponga il pensiero al rischio di una
deriva conservatrice e passatista. Come osservava Albrecht Wellmer, «la pretesa di universalità dell’impostazione ermeneutica può essere mantenuta solo se
come punto di partenza si assume che il contesto
della tradizione, come luogo della possibile verità e
dell’effettivo intendersi, è anche nello stesso tempo il
luogo dell’effettiva non verità e del persistere dell’au6
torità» . Detta con le parole di Jürgen Habermas,
l’ermeneutica, per ricuperare le funzioni della critica,
deve prevedere, come parte integrante del suo programma, «la conoscenza metaermeneutica delle condizioni di possibilità della comunicazione sistematicamente deformata»7 . L’esse, ossia l’essere, diventa
l’inter-esse, ovvero la dimensione collettiva, intrecciata
di bisogni e, appunto, di interessi concreti della comunicazione interumana. Non c’è ermeneutica senza la
critica dell’ideologia, ovvero senza tener presente la
dimensione politica.
Prefazione
6
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D’altra parte, l’ingenuità con cui l’ermeneutica
gadameriana guarda al dialogo e, quindi, al linguaggio
naturale come ultimo metalinguaggio che ogni linguaggio tecnico presuppone, finisce per costituire una
sorta di schermo ideologico che, in perfetta sintonia
con l’avversione reazionaria nei riguardi della tecnica
di una parte non trascurabile del pensiero novecentesco, conclude, nel migliore dei casi, in una radicale
incomprensione dei fenomeni della modernità, se non
in una loro liquidazione di stampo eminentemente
moralistico (si vedano i rigurgiti censori, ricoperti con
una patina di moderno liberalismo, che le considerazioni senili di sir Karl Popper sulla cattiva maestra
televisione hanno avviato nel panorama intellettuale
degli ultimi dieci anni8). Invece i fenomeni della modernità sono ontologicamente e non solo gnoseologicamente dipendenti, come coraggiosamente azzarda
Cristante, dalla loro presentificazione mediatica e dai
mezzi tecnici – sempre più sofisticati e in qualche
misura imprevedibili rispetto all’intenzione stessa di
colui che li utilizza –, con cui essa avviene. In questo
senso, allora, si può proprio dire che Leni Riefensthal
ha inventato il nazismo. Ovvero, non solo che Leni
Riefensthal, con le sue memorabili riprese delle Olimpiadi di Berlino del 1936, abbia dato espressione visiva
ed estetica al fenomeno del nazismo, ma che il nazismo stesso, come evento, tragga apocalitticamente
senso dalla rivelazione delle immagini di Leni Riefensthal. Nella prospettiva dei media, il vettore interpretativo della filosofia è, infatti, strutturalmente orientato
verso il futuro. Non si tratta di un’archeologia, quindi,
ma, in un certo qual modo, di un’escatologia laica e,
come suggeriva Georges Bataille a proposito della sua
sociologia, radicalmente ateologica.
8
K. Popper, Cattiva maestra televisione (1994) a c. di G.
Bosetti, Marsilio, Padova 2002.
Prefazione
7
9
R. Descartes, Meditationes de prima Philosophia, Soly, Paris
1641, meditatio I; tr. it. in R. Descartes, Opere, a cura di G.
Cantelli, Arnoldo Mondadori, Milano 1986, p. 212.
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Se l’ermeneutica classica vive nel mito della restaurazione del testo originario e del suo autentico
significato, dedicando la certosina pazienza dell’interpretazione a questo compito infinito, l’ermeneutica
che innerva la filosofia per i media è, piuttosto, un’ermeneutica dell’inquietudine e dell’impazienza, del futuro prossimo e, quindi, senza voler essere retorici,
un’ermeneutica dell’aspettativa e della speranza. Ad
essa, ci dice Cristante, aprendo il suo libro con una
vera e propria apologia del movimento, appartiene la
struttura cinetica dell’evento, che, rompendo i circoli
retrogradi dell’interpretazione, è tutta protesa verso la
possibilità di ciò che accade e, anzi, sta per accadere.
Il verbo della possibilità è potere, ma potere è anche il
sostantivo con cui si indica quella capacità di condizionare la condotta degli altri uomini che sta a monte di
ogni dimensione politica. La filosofia classica spiega il
potere a partire dall’essere, la filosofia moderna spiega
l’essere a partire dal potere, da quella che, dopo
Nietzsche, ci siamo abituati a chiamare volontà di
potenza. Ciò implica che sin dall’inizio della filosofia
moderna – si pensi al Discorso sul metodo e alle Meditazioni metafisiche di Cartesio – il virtuale preceda e, in
qualche modo, contenga il reale: «e mentre rifletto con
maggior attenzione su tutte queste circostanze, constato con grande chiarezza che non ci sono indizi sicuri
per distinguere il sonno dalla veglia, che ne rimango
stupito; e questo mio stupore è tale che quasi mi
convinco di dormire»9. La potenza e la virtualità sono
l’apertura di un ricco fascio di possibilità che contengono e sopravanzano il reale. Anzi, che lo accolgono
sul limite dell’evento, là dove il presente che accade
sporge già verso la destabilizzazione positiva del futuro.
Prefazione
8
10
M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumie`res?, (lezione, Collège de France, 1983), in “Magazine littéraire” 207, (maggio
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Se diamo uno sguardo all’articolazione di questo
libro vediamo che la parola chiave, il Leitmotiv che
collega tutti i saggi, sia della prima che della seconda
parte del volume, dalla “visione” dell’11 settembre al
G8 di Genova, dalla questione della guerra in Iraq
all’11 marzo e alle elezioni spagnole del 2004, è la
parola evento. Qui la domanda filosofica fondamentale,
che per la filosofia classica riguardava l’origine, cioè la
causa, il “che cos’e`?” del tutto e di ogni singola cosa, si
ritraduce nell’interrogativo sul senso del presente: “che
cosa sta succedendo?”. La domanda, però, non azzarda
alcuna definizione. Mettendo a fuoco ciò che accade,
si limita a provocare una reazione di fronte allo scandalo del presente, rispetto al quale il lettore-interpretespettatore non può più conservare il vantaggio di
posizione del suo distacco teoretico. Egli viene letteralmente gettato al centro dell’evento, viene coinvolto
nella tensione delle forze che istituiscono e dominano
la realtà in questione e che, tuttavia, ormai non sono
più in grado, da sole, di giustificarla. La domanda,
infatti, ha il potere di rompere i confini dell’evento, di
spingere l’economia delle forze e dei soggetti che
configurano il presente tale e quale appare, in un
angolo, nei limiti di una parte che ora manifesta tutta
la carenza che è propria dei fatti, lo scarto del loro
accadimento, il margine non risarcito su cui poggia il
presunto assolutismo della loro esistenza oggettiva.
«Il problema che qui, per la prima volta, mi
sembra emergere», scriveva Michel Foucault commentando la celebre risposta kantiana alla domanda
sull’illuminismo, «è quello del presente, dell’attualità:
che cosa accade oggi? Che cosa accade ora? E che
cos’è questo “ora” all’interno del quale noi tutti siamo,
e che definisce il momento in cui scrivo?»10. Allora, la
Prefazione
9
1984); ora in M. Foucault, Dits et e´crits, in 4 voll., a cura di
D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 1994, vol. IV, pp.
679-688 (tr. it., Il problema del presente. Una lezione su “Che
cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, in “Aut-Aut” 205, (1985), pp.
11-19, p. 11). Una traduzione più recente di questo testo
foucaultiano si trova in Archivio Foucault. Interventi, colloqui,
interviste. Vol. 3 (1978-1985: Estetica dell’esistenza, etica, politica), a c. di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 253-261.
11
M. Foucault, Il problema del presente. Una lezione su “Che
cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, cit., p. 12.
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Estratto della pubblicazione
domanda del presente non è l’interrogazione della
filosofia su che cosa, nelle circostanze attuali, possa
determinare questa o quella decisione, questo o quel
fatto, né è qualcosa di paragonabile a una domanda
sul particolare stato delle conoscenze scientifiche di
un’epoca o sulla moralità di una situazione. La domanda del presente, che, in verità, sin dai tempi
dell’illuminismo e della nascita, con Voltaire, dell’intellettuale moderno, si è introdotta sulla scena della
filosofia, verte su ciò che il presente effettivamente è,
sul senso del presente, sull’elemento distintivo che bisogna decifrare e discernere nell’orizzonte dell’attualità
in quanto tale. Qui si instaura una presa diretta con il
mondo al punto che dal mondo stesso derivano i
criteri della comprensione, e che, di conseguenza, non
possono essere presupposti nell’intelletto umano che
in maniera del tutto astratta. Ecco allora che un’autentica filosofia per i media deve saper sviluppare «il
problema del presente come evento filosofico a cui il
filosofo, che ne parla, appartiene»11.
Nella prospettiva della media philosophy, l’interrogazione non si pone più all’interno di una scuola, in
continuità con una dottrina o con una tradizione, ma,
piuttosto, in relazione ad un noi, ossia alla comunità
dei contemporanei che condividono quel problema di
cui si è, al contempo, attori e spettatori. La domanda
10
Prefazione
12
Cfr. A. Tagliapietra, Ritornare a Patmos, in “Riga”, Italia,
8, Marcos y Marcos, Milano 1995, pp. 378-394 e id., Tempo
ed escatologia. Il simbolo apocalittico, in AA. VV., Il tempo in
questione. Paradigmi della temporalità nel pensiero occidentale, a
cura di L. Ruggiu, Guerini e Associati, Milano 1997, pp.
73-86.
13
M. Foucault, Il problema del presente. Una lezione su “Che
cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, cit., p. 19.
14
M. Foucault, What is Enlightenment?, in The Foucault
Reader, a cura di P. Rabinow, Pantheon Books, New York
1984, pp. 32-50; ora in M. Foucault, Dits et e´crits, cit., vol. IV,
pp. 562-578, p. 569. Una traduzione di questo testo foucaultiano è disponibile, ora, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. Vol. 3 (1978-1985: Estetica dell’esistenza, etica,
politica), cit., pp. 217-232.
15
M. Foucault, L’arche´ologie du savoir, Gallimard, Paris
1969; tr. it., L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971.
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accade nel presente e istituisce la comunità come sua
futura, possibile, intelligenza collettiva (Pierre Lévy). In
questa cuspide avanzata della contemporaneità che si
pone la questione decisiva del presente, il significato
della modernità non è più il rapporto longitudinale
con gli antichi, ovvero la secolarizzazione di un canone passato (Karl Löwith), bensı̀ il rapporto saggitale
con l’hic et nunc, l’intreccio dell’attualità del presente e
della sua autoaffermazione (Hans Blumenberg) con
l’apocalittica12 dell’istante vissuto. «Che cos’è la nostra
attualità? Qual è il campo attuale delle esperienze
possibili? Qui», conclude Foucault, «non è in gioco
un’analitica della verità; si tratta di ciò che si potrebbe
chiamare un’ontologia del presente, un’ontologia di
noi stessi»13.
Eppure, proprio questa apertura sul presente –
14
questa «eroizzazione (he´roı¨sation) del presente» , come
la chiamerà altrove l’autore dell’Archeologia del sapere15
–, non significa affatto l’attitudine a sacralizzare il
momento che passa per cercare di conservarlo o di
perpetuarlo nel tempo, né, tantomeno, quella singo-
Prefazione
11
16
M. Foucault, What is Enlightenment?, cit.; ora in M.
Foucault, Dits et e´crits, cit., vol. IV, pp. 562-578, p. 570.
17
U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e
teorie della cultura di massa (1965), Bompiani, Milano 2001.
18
P. Sloterdijk, Nicht gerettet. Versuche nach Heidegger,
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2001; tr. it., Perche´ non siamo stati
ancora salvati. Saggi dopo Heidegger, Bompiani, Milano 2004,
p. 293.
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lare forma di schiacciamento sull’attualità cieca della
cosa che veniva evocata nella famosa immagine dell’ameba di Bertrand Russell e che appartiene, spesso, al
modo di rapportarsi con gli eventi all’interno di alcuni
media contemporanei come, per esempio, il mezzo
radiotelevisivo e, nella stampa, in certi usi della cronaca. Nella prospettiva di un’autentica filosofia per i
media «l’alto valore del presente è indissociabile dall’accanimento a immaginarlo, a immaginarlo altrimenti da quello che è, e a trasformarlo, non distruggendolo, ma cogliendo gli elementi di tale
trasformazione in ciò che è»16. Riprendendo la famosa
distinzione echiana17 – essa stessa, per altro, di sapore
apocalittico – la media philosophy non sta dalla parte
degli integrati, ma da quella degli apocalittici.
«Se si chiede ad un moderno: “Dov’eri al momento del delitto?”», ironizzava Peter Sloterdijk, «la
risposta suona: “Ero sul luogo del delitto”, vale a dire
all’interno di quel mostruoso generale che comprende
i suoi correi e i suoi complici nel moderno insieme
delle circostanze del crimine: la modernità è la rinuncia alla possibilità di avere un alibi»18. Una media
philosophy come quella che Stefano Cristante prospetta
nelle pagine di questo libro è una filosofia critica
consapevole di trovarsi sempre sul luogo del delitto e,
quindi, una filosofia che non cerca più alibi per rinviare il confronto e il conflitto con il mostro. Del resto,
il mostro, prima di ogni connotazione morale basata
12
Prefazione
sulla negatività dell’apparire, non è che il sostantivo
verbale di ciò che si mostra: nient’altro che un nome,
nell’orizzonte dei media, per chiamare l’epifania dell’evento.
Andrea Tagliapietra
Estratto distribuito da Biblet
Estratto della pubblicazione
Venezia, 27 luglio 2005