Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Mediologie 2 Collana diretta da Alberto Abruzzese, Gino Frezza, Gianfranco Pecchinenda, Giovanni Ragone Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Stefano Cristante Estratto della pubblicazione Media Philosophy Interpretare la comunicazione-mondo Prefazione di Andrea Tagliapietra Liguori Editore Estratto distribuito da Biblet Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. 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Comunicazione politica Aggiornamenti: ———————————————————————————— 12 11 10 09 08 07 06 05 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 Estratto della pubblicazione Indice 1 13 Eventi/stili/consumi Note per una breve storia degli eventi culturali Cittadini del mall La gioventù nell’epoca della sua riproducibilità mediatica Rileggere l’industria culturale Concetto di opinione pubblica e weblog Brevi investigazioni sul rapporto personale tra potere, sovversione e politica AA 61 e le filosofie della modernità Culture del segreto 43 51 63 83 101 113 123 131 Guerre/conflitti/opinioni Che cosa sta accadendo? La mia visione dell’11 settembre Frammenti sulla guerra globale Grandi eventi mediali: le novità di Genova 2001 per la comunicazione di massa Eventi e strategie comunicative nella campagna elettorale 2001 La Cgil e la difesa dell’articolo 18: interpretazione di una battaglia mediale 147 153 167 185 201 Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Prefazione di Andrea Tagliapietra Introduzione: una filosofia per i media VIII Indice 213 225 237 Riferimenti bibliografici 249 Avvertenza 253 Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Il desiderio di verità mediatica tra menzogna e verosimiglianza Esiste l’opinione pubblica mondiale? Frammenti sulla guerra globale 2 A Pi, che non se lo aspetta Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Prefazione di Andrea Tagliapietra La prefazione di un libro è come la soglia di una casa: a meno di non rompere un vetro e scavalcare una finestra, bisogna sempre attraversarla per entrarci. Ma il saggio di Stefano Cristante è un libro particolare perché è, esso stesso, a sua volta, una specie di soglia. Una sorta di porta d’ingresso, ovvero il manifesto già operativo più che velleitariamente programmatico, di una nuova disciplina, la media philosophy, che l’autore, nell’introduzione, traduce in italiano con l’inedita espressione di filosofia per i media. Perché filosofia per i media e non filosofia dei media? La variazione preposizionale non è affatto accidentale e rivela, anzi, uno slittamento semantico decisivo, una determinazione protrettica che ha, insieme, il senso di una destinazione e la ragione di uno scopo. Se la filosofia dei media può essere intesa come l’etichetta disciplinare dell’ennesima ripartizione regionale del sapere filosofico, cosı̀ come si danno, per esempio, una filosofia del linguaggio, della scienza, delle religioni, dell’arte, della storia, della politica, ecc., la filosofia per i media rifiuta costitutivamente il collocamento nella consueta scansione accademica dei saperi – magari come branca teoretica e fattore d’ordine all’interno del caotico brodo di coltura delle scienze della comunicazione –, rivendicando per sé l’apertura di uno spazio critico originale e originario. Prefazione 2 1 Per la critica serrata e conseguente del significato di questo aforisma nietzscheano (Frammenti Postumi 1886-1887, 7 [60]) nell’ermeneutica moderrna cfr. M. Ferraris, L’ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 33-92. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Per cercare di spiegare l’essenziale novità di questo spazio critico proviamo a rileggere l’inflazionato slogan di Marshall McLuhan secondo il quale il medium e` il messaggio. In termini filosofici lo slogan suona come quell’altrettanto abusato aforisma di Friedrich Nietzsche che afferma i fatti non esistono, esistono solo interpretazioni1. Si tratta, in entrambi i casi, di esplicite violazioni del senso comune, ossia della percezione ordinaria interna ad una determinata cultura – quella dell’americanismo del secondo dopoguerra del Novecento per McLuhan, con l’esaltazione ottimistica della pura strumentalità della tecnica, quella dello scientismo positivista ottocentesco per Nietzsche, con il mito dell’assoluta oggettività dei fatti. Da una parte il medium, ovvero lo strumento tecnico della comunicazione, dall’altra l’interpretazione, ossia la dimensione vitale e creativa del rapporto con il mondo dell’interprete, rifiutano di dipendere da qualcos’altro che, secondo il senso comune culturale, viene inteso come maggiormente saldo, stabile e affidabile. Il rovesciamento teorico produce, in questo modo, un autentico ribaltamento della scansione dei poteri e dei saperi. Ciò che appariva secondario e derivato – gli strumenti tecnici della comunicazione, lo sguardo dell’interprete – adesso appare in primo piano e rivendica la sua autonomia rispetto alla presunta sovranità dei fatti e alla purezza originaria del messaggio. Fatti e messaggio non sono più degli assoluti che, dal passato, impongono la loro forma al presente, costringendo lo sguardo teoretico a intraprendere quello che già Bergson denunciava come il consueto movimento retrogrado del vero – e che lo stesso filosofo Prefazione 3 2 H. Bergson, La pense´e et le mouvant, Puf, Paris 1938; tr. it., Pensiero e movimento, Bompiani, Milano 2000, pp. 3-21. 3 A. J. Greimas – J. Courtès, Se´miotique. Dictionnaire raisonne´ de la the´orie du language, Hachette, Paris 1979; A. J. Greimas, Du sens 2: essais semiotiques, Editions du Seuil, Paris 1983; tr. it., Del senso 2, Bompiani, Milano 1998. Estratto distribuito da Biblet francese poteva criticare grazie alla nuova comprensione del mondo e della durata temporale che gli derivava dalla fruizione pensosa del medium cinematografico2 –, ma si relativizzano, entrano come componenti differenziali di uno spazio ermeneutico che non può più rivendicare l’intangibilità normativa di un fuori produttore di canoni e custode di valori assoluti. Non c’è più il feticcio di un testo o di un significato che, almeno in linea teorica, siano immaginabili del tutto separatamente dall’indefinita teoria dei loro fruitori e dalle modalità stesse della loro fruizione – in cui, cioè, l’elemento tecnico assuma il carattere di portentoso generatore di sensi e combinazioni diverse. Lo spazio ermeneutico dei media appare, quindi, come una continuità discreta in cui i termini di opposizione rimangono comunque in relazione senza escludersi. Emblematico è ciò che Cristante scrive a proposito delle culture del segreto: la contrapposizione fra verità e segreto diviene, nell’ambito dei media, un insieme ibrido di verità e segreto. Il quadrato 3 semiotico di Algirdas Julien Greimas (Fig. 1) si trasforma in una losanga (Fig. 2) in cui il differenziale fra segreto e verità e, quindi, fra sembrare e essere, si assottiglia, mentre, al vertice opposto della figura, là dove non sembrare e non essere si avvicinano, aumenta l’inafferrabilità strutturale dell’endiade di falsità e menzogna. Estratto distribuito da Biblet 4 Prefazione Figura 1 Figura 2 È, del resto, su questo mutamento essenziale dell’orientamento interpretativo che la filosofia per i media e l’ermeneutica filosofica, erede della grande tradizione filologica classica, divergono strutturalmente. Per l’ermeneutica, che ha trovato la sua sistemazione teorica matura nelle pagine novecentesche di Verità e Estratto della pubblicazione Prefazione 5 4 4 H. G. Gadamer, Wahrheit und Methode, J. C. B. Mohr, Tübingen 1960; tr. it., Verità e metodo, a c. di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1983. 5 Cfr. F. Bianco, Introduzione all’ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 176. 6 A. Wellmer, Kritische Gesellschaftstheorie und Positivismus, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1969, p. 49. 7 J. Habermas, La pretesa di universalità dell’ermeneutica, in G. Ripanti (a c. di), Ermeneutica e critica dell’ideologia, Queriniana, Brescia 1979, p. 163. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione metodo di Hans Georg Gadamer , ogni tentativo di comprensione muove dal contesto in cui ci troviamo e, quindi, in questo senso, dalla tradizione, dal passato che condiziona il presente dell’interprete5. Anche se la dipendenza della comprensione dai pregiudizi, ossia dal passato dell’interpetazione, può produrre sia una conferma che una messa in questione del consenso instaurato all’interno della tradizione, è innegabile che l’ermeneutica esponga il pensiero al rischio di una deriva conservatrice e passatista. Come osservava Albrecht Wellmer, «la pretesa di universalità dell’impostazione ermeneutica può essere mantenuta solo se come punto di partenza si assume che il contesto della tradizione, come luogo della possibile verità e dell’effettivo intendersi, è anche nello stesso tempo il luogo dell’effettiva non verità e del persistere dell’au6 torità» . Detta con le parole di Jürgen Habermas, l’ermeneutica, per ricuperare le funzioni della critica, deve prevedere, come parte integrante del suo programma, «la conoscenza metaermeneutica delle condizioni di possibilità della comunicazione sistematicamente deformata»7 . L’esse, ossia l’essere, diventa l’inter-esse, ovvero la dimensione collettiva, intrecciata di bisogni e, appunto, di interessi concreti della comunicazione interumana. Non c’è ermeneutica senza la critica dell’ideologia, ovvero senza tener presente la dimensione politica. Prefazione 6 Estratto della pubblicazione D’altra parte, l’ingenuità con cui l’ermeneutica gadameriana guarda al dialogo e, quindi, al linguaggio naturale come ultimo metalinguaggio che ogni linguaggio tecnico presuppone, finisce per costituire una sorta di schermo ideologico che, in perfetta sintonia con l’avversione reazionaria nei riguardi della tecnica di una parte non trascurabile del pensiero novecentesco, conclude, nel migliore dei casi, in una radicale incomprensione dei fenomeni della modernità, se non in una loro liquidazione di stampo eminentemente moralistico (si vedano i rigurgiti censori, ricoperti con una patina di moderno liberalismo, che le considerazioni senili di sir Karl Popper sulla cattiva maestra televisione hanno avviato nel panorama intellettuale degli ultimi dieci anni8). Invece i fenomeni della modernità sono ontologicamente e non solo gnoseologicamente dipendenti, come coraggiosamente azzarda Cristante, dalla loro presentificazione mediatica e dai mezzi tecnici – sempre più sofisticati e in qualche misura imprevedibili rispetto all’intenzione stessa di colui che li utilizza –, con cui essa avviene. In questo senso, allora, si può proprio dire che Leni Riefensthal ha inventato il nazismo. Ovvero, non solo che Leni Riefensthal, con le sue memorabili riprese delle Olimpiadi di Berlino del 1936, abbia dato espressione visiva ed estetica al fenomeno del nazismo, ma che il nazismo stesso, come evento, tragga apocalitticamente senso dalla rivelazione delle immagini di Leni Riefensthal. Nella prospettiva dei media, il vettore interpretativo della filosofia è, infatti, strutturalmente orientato verso il futuro. Non si tratta di un’archeologia, quindi, ma, in un certo qual modo, di un’escatologia laica e, come suggeriva Georges Bataille a proposito della sua sociologia, radicalmente ateologica. 8 K. Popper, Cattiva maestra televisione (1994) a c. di G. Bosetti, Marsilio, Padova 2002. Prefazione 7 9 R. Descartes, Meditationes de prima Philosophia, Soly, Paris 1641, meditatio I; tr. it. in R. Descartes, Opere, a cura di G. Cantelli, Arnoldo Mondadori, Milano 1986, p. 212. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Se l’ermeneutica classica vive nel mito della restaurazione del testo originario e del suo autentico significato, dedicando la certosina pazienza dell’interpretazione a questo compito infinito, l’ermeneutica che innerva la filosofia per i media è, piuttosto, un’ermeneutica dell’inquietudine e dell’impazienza, del futuro prossimo e, quindi, senza voler essere retorici, un’ermeneutica dell’aspettativa e della speranza. Ad essa, ci dice Cristante, aprendo il suo libro con una vera e propria apologia del movimento, appartiene la struttura cinetica dell’evento, che, rompendo i circoli retrogradi dell’interpretazione, è tutta protesa verso la possibilità di ciò che accade e, anzi, sta per accadere. Il verbo della possibilità è potere, ma potere è anche il sostantivo con cui si indica quella capacità di condizionare la condotta degli altri uomini che sta a monte di ogni dimensione politica. La filosofia classica spiega il potere a partire dall’essere, la filosofia moderna spiega l’essere a partire dal potere, da quella che, dopo Nietzsche, ci siamo abituati a chiamare volontà di potenza. Ciò implica che sin dall’inizio della filosofia moderna – si pensi al Discorso sul metodo e alle Meditazioni metafisiche di Cartesio – il virtuale preceda e, in qualche modo, contenga il reale: «e mentre rifletto con maggior attenzione su tutte queste circostanze, constato con grande chiarezza che non ci sono indizi sicuri per distinguere il sonno dalla veglia, che ne rimango stupito; e questo mio stupore è tale che quasi mi convinco di dormire»9. La potenza e la virtualità sono l’apertura di un ricco fascio di possibilità che contengono e sopravanzano il reale. Anzi, che lo accolgono sul limite dell’evento, là dove il presente che accade sporge già verso la destabilizzazione positiva del futuro. Prefazione 8 10 M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumie`res?, (lezione, Collège de France, 1983), in “Magazine littéraire” 207, (maggio Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Se diamo uno sguardo all’articolazione di questo libro vediamo che la parola chiave, il Leitmotiv che collega tutti i saggi, sia della prima che della seconda parte del volume, dalla “visione” dell’11 settembre al G8 di Genova, dalla questione della guerra in Iraq all’11 marzo e alle elezioni spagnole del 2004, è la parola evento. Qui la domanda filosofica fondamentale, che per la filosofia classica riguardava l’origine, cioè la causa, il “che cos’e`?” del tutto e di ogni singola cosa, si ritraduce nell’interrogativo sul senso del presente: “che cosa sta succedendo?”. La domanda, però, non azzarda alcuna definizione. Mettendo a fuoco ciò che accade, si limita a provocare una reazione di fronte allo scandalo del presente, rispetto al quale il lettore-interpretespettatore non può più conservare il vantaggio di posizione del suo distacco teoretico. Egli viene letteralmente gettato al centro dell’evento, viene coinvolto nella tensione delle forze che istituiscono e dominano la realtà in questione e che, tuttavia, ormai non sono più in grado, da sole, di giustificarla. La domanda, infatti, ha il potere di rompere i confini dell’evento, di spingere l’economia delle forze e dei soggetti che configurano il presente tale e quale appare, in un angolo, nei limiti di una parte che ora manifesta tutta la carenza che è propria dei fatti, lo scarto del loro accadimento, il margine non risarcito su cui poggia il presunto assolutismo della loro esistenza oggettiva. «Il problema che qui, per la prima volta, mi sembra emergere», scriveva Michel Foucault commentando la celebre risposta kantiana alla domanda sull’illuminismo, «è quello del presente, dell’attualità: che cosa accade oggi? Che cosa accade ora? E che cos’è questo “ora” all’interno del quale noi tutti siamo, e che definisce il momento in cui scrivo?»10. Allora, la Prefazione 9 1984); ora in M. Foucault, Dits et e´crits, in 4 voll., a cura di D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 1994, vol. IV, pp. 679-688 (tr. it., Il problema del presente. Una lezione su “Che cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, in “Aut-Aut” 205, (1985), pp. 11-19, p. 11). Una traduzione più recente di questo testo foucaultiano si trova in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. Vol. 3 (1978-1985: Estetica dell’esistenza, etica, politica), a c. di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 253-261. 11 M. Foucault, Il problema del presente. Una lezione su “Che cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, cit., p. 12. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione domanda del presente non è l’interrogazione della filosofia su che cosa, nelle circostanze attuali, possa determinare questa o quella decisione, questo o quel fatto, né è qualcosa di paragonabile a una domanda sul particolare stato delle conoscenze scientifiche di un’epoca o sulla moralità di una situazione. La domanda del presente, che, in verità, sin dai tempi dell’illuminismo e della nascita, con Voltaire, dell’intellettuale moderno, si è introdotta sulla scena della filosofia, verte su ciò che il presente effettivamente è, sul senso del presente, sull’elemento distintivo che bisogna decifrare e discernere nell’orizzonte dell’attualità in quanto tale. Qui si instaura una presa diretta con il mondo al punto che dal mondo stesso derivano i criteri della comprensione, e che, di conseguenza, non possono essere presupposti nell’intelletto umano che in maniera del tutto astratta. Ecco allora che un’autentica filosofia per i media deve saper sviluppare «il problema del presente come evento filosofico a cui il filosofo, che ne parla, appartiene»11. Nella prospettiva della media philosophy, l’interrogazione non si pone più all’interno di una scuola, in continuità con una dottrina o con una tradizione, ma, piuttosto, in relazione ad un noi, ossia alla comunità dei contemporanei che condividono quel problema di cui si è, al contempo, attori e spettatori. La domanda 10 Prefazione 12 Cfr. A. Tagliapietra, Ritornare a Patmos, in “Riga”, Italia, 8, Marcos y Marcos, Milano 1995, pp. 378-394 e id., Tempo ed escatologia. Il simbolo apocalittico, in AA. VV., Il tempo in questione. Paradigmi della temporalità nel pensiero occidentale, a cura di L. Ruggiu, Guerini e Associati, Milano 1997, pp. 73-86. 13 M. Foucault, Il problema del presente. Una lezione su “Che cos’e` l’Illuminismo?” di Kant, cit., p. 19. 14 M. Foucault, What is Enlightenment?, in The Foucault Reader, a cura di P. Rabinow, Pantheon Books, New York 1984, pp. 32-50; ora in M. Foucault, Dits et e´crits, cit., vol. IV, pp. 562-578, p. 569. Una traduzione di questo testo foucaultiano è disponibile, ora, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. Vol. 3 (1978-1985: Estetica dell’esistenza, etica, politica), cit., pp. 217-232. 15 M. Foucault, L’arche´ologie du savoir, Gallimard, Paris 1969; tr. it., L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971. Estratto distribuito da Biblet accade nel presente e istituisce la comunità come sua futura, possibile, intelligenza collettiva (Pierre Lévy). In questa cuspide avanzata della contemporaneità che si pone la questione decisiva del presente, il significato della modernità non è più il rapporto longitudinale con gli antichi, ovvero la secolarizzazione di un canone passato (Karl Löwith), bensı̀ il rapporto saggitale con l’hic et nunc, l’intreccio dell’attualità del presente e della sua autoaffermazione (Hans Blumenberg) con l’apocalittica12 dell’istante vissuto. «Che cos’è la nostra attualità? Qual è il campo attuale delle esperienze possibili? Qui», conclude Foucault, «non è in gioco un’analitica della verità; si tratta di ciò che si potrebbe chiamare un’ontologia del presente, un’ontologia di noi stessi»13. Eppure, proprio questa apertura sul presente – 14 questa «eroizzazione (he´roı¨sation) del presente» , come la chiamerà altrove l’autore dell’Archeologia del sapere15 –, non significa affatto l’attitudine a sacralizzare il momento che passa per cercare di conservarlo o di perpetuarlo nel tempo, né, tantomeno, quella singo- Prefazione 11 16 M. Foucault, What is Enlightenment?, cit.; ora in M. Foucault, Dits et e´crits, cit., vol. IV, pp. 562-578, p. 570. 17 U. Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa (1965), Bompiani, Milano 2001. 18 P. Sloterdijk, Nicht gerettet. Versuche nach Heidegger, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2001; tr. it., Perche´ non siamo stati ancora salvati. Saggi dopo Heidegger, Bompiani, Milano 2004, p. 293. Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione lare forma di schiacciamento sull’attualità cieca della cosa che veniva evocata nella famosa immagine dell’ameba di Bertrand Russell e che appartiene, spesso, al modo di rapportarsi con gli eventi all’interno di alcuni media contemporanei come, per esempio, il mezzo radiotelevisivo e, nella stampa, in certi usi della cronaca. Nella prospettiva di un’autentica filosofia per i media «l’alto valore del presente è indissociabile dall’accanimento a immaginarlo, a immaginarlo altrimenti da quello che è, e a trasformarlo, non distruggendolo, ma cogliendo gli elementi di tale trasformazione in ciò che è»16. Riprendendo la famosa distinzione echiana17 – essa stessa, per altro, di sapore apocalittico – la media philosophy non sta dalla parte degli integrati, ma da quella degli apocalittici. «Se si chiede ad un moderno: “Dov’eri al momento del delitto?”», ironizzava Peter Sloterdijk, «la risposta suona: “Ero sul luogo del delitto”, vale a dire all’interno di quel mostruoso generale che comprende i suoi correi e i suoi complici nel moderno insieme delle circostanze del crimine: la modernità è la rinuncia alla possibilità di avere un alibi»18. Una media philosophy come quella che Stefano Cristante prospetta nelle pagine di questo libro è una filosofia critica consapevole di trovarsi sempre sul luogo del delitto e, quindi, una filosofia che non cerca più alibi per rinviare il confronto e il conflitto con il mostro. Del resto, il mostro, prima di ogni connotazione morale basata 12 Prefazione sulla negatività dell’apparire, non è che il sostantivo verbale di ciò che si mostra: nient’altro che un nome, nell’orizzonte dei media, per chiamare l’epifania dell’evento. Andrea Tagliapietra Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Venezia, 27 luglio 2005