MA COSA CE NE FACCIAMO DEL NATALE?

comunione e liberazione in collaborazione con il
centro culturale enrico manfredini
MA COSA CE NE
FACCIAMO DEL
NATALE?
In copertina: William Congdon, “Natività”, 1960.
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
È questo immortale istinto del bello che ci fa considerare il mondo e tutte le sue bellezze come un riflesso, come una corrispondenza del Cielo. La sete inestinguibile di
tutto ciò che è al di là, e che rivela la vita, è la prova più viva della nostra immortalità.
Con la poesia e insieme attraverso la poesia, con la musica e attraverso la musica,
l’anima intuisce la luce che splende al di là della tomba; e quando una poesia perfetta fa nascere le lacrime agli occhi, queste lacrime non sono segno di eccessiva gioia,
ma piuttosto indice di una malinconia esasperata, di una esigenza nervosa, di una
natura esiliata nell’imperfetto che bramerebbe possedere subito, in questo mondo,
un paradiso rivelato.
C. Baudelaire, “L’art romantique”,
Ed. Garnier Flammarion 1968
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Fu per volere di Dio
che io vivo in questa ansietà, che tutti i lamenti sono miei, che è tutta mia la
nostalgia, fu per volere di Dio. Che strana forma di vita ha questo mio cuore:
vive di vita perduta.
Chi gli ha dato questo potere? Che strana forma di vita. Cuore indipendente,
cuore che io non
comando,
vivi perso tra la gente,
continuamente sanguinando,
cuore indipendente. Io non ti accompagno più:
fermati, cessa di battere. Se non sai dove vai,
e perchè continui a correre, io non
ti accompagno più.
Estranha forma de vida (strana forma di vita)
Alfredo Duarte e Amália Rodrigues
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Foi por vontade de Deus
que eu vivo nesta ansiedade.
Que todos os ais são meus,
Que é toda a minha saudade.
Foi por vontade de Deus.
Coração independente,
coração que não comando:
vive perdido entre a gente,
teimosamente sangrando,
coração independente.
Que estranha forma de vida
tem este meu coração:
vive de forma perdida;
Quem lhe daria o condão?
Que estranha forma de vida.
Eu não te acompanho mais:
para, deixa de bater.
Se não sabes aonde vais,
porque teimas em correr,
eu não te acompanho mais.
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
O Signore datemi la forza e il coraggio
di contemplare il mio corpo e il mio cuore senza
disgusto
C. Baudelaire, “Diari intimi”,
Ed. Mondadori 1970
Qui, dove il vento è colore
rosacanino di petali d’indifferenza,
va, mia vita,
bambina disabile per l’eterno
perciò tanto più amata.
A. Bevilacqua, “Ultimi accordi”, Ed. Einaudi 2011
“La luce si alza verso il cielo sopra le luci e il buio
dolce degli edifici abbraccia a lungo lo sguardo”.
In questa ora che volge ‘l disio l’uomo che siamo
si chiede “a cosa appartieni questa sera, a chi parli?” “Non c’è vergogna se trovi nel cielo di questa
sera fiducia in qualcosa che non conosci, e non
la vita che si sogna, ma qualcosa di tuo nella vita
che vedi. Adesso componi il numero, chiedi”.
G.M. Villalta, “La vanità della mente”, Ed. Mondadori 2011
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Cosa sarà
lucio dalla - ron - Francesco de gregori
Cosa sarà
Cosa sarà che fa crescere gli alberi
la felicità
che fa morire a vent’anni
anche se vivi fino a cento
cosa sarà a far muovere il vento
a fermare il poeta ubriaco
a dare la morte per un pezzo di pane
o un bacio non dato
Cosa sarà
che ti svegli al mattino e sei serio
che ti fa morire ridendo di notte
all’ombra di un desiderio
Cosa sarà
che ti spinge ad amare una donna
bassina e perduta
la bottiglia che ti ubriaca
anche se non l’hai bevuta
Cosa sarà
che ti spinge a picchiare il tuo re
che ti porta a cercare il giusto
dove giustizia non c’è
Cosa sarà
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che ti fa comprare di tutto
anche se è di niente che hai bisogno
Cosa sarà
che ti strappa dal sogno
Cosa sarà
che ti fa uscire di tasca
dei no non ci sto
ti getta nel mare
e ti viene a salvare
Cosa sarà
che dobbiamo cercare
che dobbiamo cercare
Cosa sarà
che ci fa lasciare
la bicicletta sul muro
e camminare a sera
con un amico a parlare del futuro
Cosa sarà
questo strano coraggio
o paura che ci prende
e ci porta ad ascoltare
la notte che scende
Cosa sarà
quell’uomo e il suo cuore benedetto
che sceso dalle scarpe
e dal letto si è sentito solo
e come un uccello
che in volo si ferma
e guarda giùCosa sarà
Cosa sarà che fa crescere gli alberi
la felicità
che fa morire a vent’anni
anche se vivi fino a cento
cosa sarà a far muovere il vento
a fermare il poeta ubriaco
a dare la morte per un pezzo di pane
o un bacio non dato
Cosa sarà
che ti svegli al mattino e sei serio
che ti fa morire ridendo di notte
all’ombra di un desiderio
Cosa sarà
che ti spinge ad amare una donna
bassina e perduta
la bottiglia che ti ubriaca
anche se non l’hai bevuta
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Di che è mancanza questa mancaza, cuore,
che a un tratto ne sei pieno?
di che ? Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza…
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce forza e canto
la musica perpetua…ritornerà.
Sii calmo.
M. Luzi, “Sotto specie umana”,
Ed. Garzanti, 1999
el arado (L’aratro)
Víctor Jara
Aprieto firme mi mano
y hundo el arado en la tierra
hace años que llevo en ella
¿cómo no estar agotado?
Vuelan mariposas, cantan grillos,
la piel se me pone negra
y el sol brilla, brilla, brilla.
El sudor me hace surcos,
yo hago surcos a la tierra
sin parar.
Afirmo bien la esperanza
cuando pienso en la otra estrella;
nunca es tarde me dice ella
la paloma volará.
Vuelan mariposas, cantan grillos,
la piel se me pone negra
y el sol brilla, brilla, brilla.
Y en la tarde cuando vuelvo
en el cielo apareciendo
una estrella.
Nunca es tarde, me dice ella,
la paloma volará, volará, volará,
como el yugo de apretado
tengo el puño esperanzado
porque todo
cambiará.
Premo forte la mano e affondo l’aratro nella terra, sono anni che mi curvo su di
essa. Come non essere sfiniti? Volano farfalle, cantano i grilli, la mia pelle si imbrunisce e il sole brilla, brilla, brilla. Il sudore mi scava solchi, scavo solchi nella terra
senza sosta. Rinforzo la speranzaquando penso all’altra stella; non è mai tardi, mi
dice quella, la colomba volerà. E alla sera quando torno nel cielo appare una stella.
Non è mai tardi, mi dice quella, la colomba volerà, volerà, volerà, come lo stretto
giogo tengo il pugno, speranzoso perché tutto cambierà.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Il desiderio umano tende sempre a determinati beni concreti e tuttavia si trova di fronte all’interrogativo su che cosa sia davvero «il» bene... Che cosa può davvero saziare il desiderio dell’uomo?
Ogni bene sperimentato, ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio
fondamentale che non è mai pienamente saziato.
L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò
che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Rimane il mistero:
l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti … un «mendicante di Dio».
Possiamo dire con le parole di Pascal: «L’uomo supera infinitamente l’uomo.
Gli occhi riconoscono gli oggetti quando questi sono illuminati dalla luce. Da qui il desiderio di
conoscere la luce stessa, che fa brillare le cose del mondo e con esse accende il senso della bellezza.
L’uomo porta in sé un misterioso desiderio di Dio.
Benedetto XVI. Piazza San Pietro, Mercoledì, 7 novembre 2012
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Ho bisogno d’un amante che,
ogni qual volta si levi,
produca finimondi di fuoco
da ogni parte del mondo!
Voglio un cuore come inferno
che soffochi il fuoco dell’inferno
sconvolga duecento mari
e non rifugga dall’onde!
Un Amante che avvolga i cieli
come lini attorno alla mano
e appenda,come lampadario,
il Cero dell’Eternità,entri in
lotta come un leone,
valente come Leviathan,
non lasci nulla che se stesso,
e con se stesso anche combatta,
e, strappati con la sua luce i
settecento veli del cuore,
dal suo trono eccelso scenda
il grido di richiamo sul mondo;
e,quando,dal settimo mare si volgerà
ai monti Qàf misteriosi da
quell’oceano lontano spanda
perle in seno alla polvere!
M. J. Rumi, “Il fuoco
dell’Amore Divino”
Ciò che occorre è un uomo,
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in ispirito e verità;
non un paese, non le cose,
ciò che occorre è un uomo,
un passo sicuro, e tanto salda
la mano che porge che tutti
possano afferrarla, e camminare
liberi, e salvarsi.
C. Batocchi. “Dal definitivo istante”,
Ed. Rizzoli, 1999
ize cheruvimi (Inno dei cherubini)
bortniansky
Ize Cheruvimi tajno tajno obrazujusce.
Izivotvoriacej trojce trisviatuju pesn
Pesn pripejajusce.
Vsia koje nineziteskoje otlozim popecenije.
Amin.
Jakodatiaria vsechpodimem vsechpodimem
Anghel skiminjevidimo dorinosi massimi.
Alliluja, alliluja, alliluja...
Voi che misticamente rappresentate i cherubini ed alla Trinità
vivificante cantate l’inno Santo, Santo, deponete ora ogni sollecitudine mondana, Amen, per ricevere il Re dell’universo, scortato
invisibilmente dalle schiere angeliche. Alleluja, alleluja, alleluja.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
la nascita
Mariah ha un brivido.
Fino alle ossa, come un uccello oscuro che si agita tra i rami.
“Nasce!” pensa.
Anzi, non è neanche un pensiero. E’ aria che cambia dentro il suo fiato, colore degli occhi che diviene più febbrile, intenso..
Inizia a sentire forti in lei le discese, le spinte.
La ragazza ha meno di diciassette anni, è la prima volta. Getta uno sguardo al suo uomo. Poi chiude gli occhi. Ora deve richiamare ogni energia.
Joseph ha fatto appena in tempo a sistemarle dietro la schiena un sacco di paglia trovato nella
stanza, per stare un po’ sollevata.
Ora spingere. Aprirsi.
In tutti questi mesi ha custodito il segreto nel suo cuore. E l’uomo che ha sposato lo ha custodito
con lei.
Un segreto tremendo.
Quando gli disse d’essere incinta del cielo, lui guardò per terra.
Ormai i segni sul suo corpo erano evidenti. Mariah ci aveva messo un bel po’ per trovare le parole
e ora lui invece non diceva un bel niente.
Poi sollevò lo sguardo sul viso di lei. Luce netta lo tagliava, sembrava di sasso. Gli occhi però accesi.
Lui uscì.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Per Joseph vennero sogni, richieste bisbigliate, mezzi chiarimenti domandati in modo vago a
vecchi rabbini. Lui era un giusto di Israele. Non ne parlò a nessuno.
Vennero sere con la testa tra le mani. Un angelo le ha detto...un angelo le ha detto... Vennero tutti
i giorni prima di dire “sì” come a un muro.
Al muro dei suoi occhi di ragazza inquieta. Ebbe un sogno Joseph, un angelo gli disse: lei ti ha
detto il vero, Dio sta azzardando tanto. Aspettava il suo sì di ragazza libera. Solo da quel sì poteva
nascere una storia d’amore –libero come dev’essere ogni amore- tra Dio e i suoi figli. Ci voleva un
primo “sì”. E doveva essere quello della ragazza che ti è stata affidata.
Dio non ha scelto una schiena curva, una sottomissione, una obbligazione. Ma un primo “sì” libero, detto a viso aperto da tutta la giovinezza di una donna. Un “sì” fragile e potentissimo. Dio lo
aspettava e la tua Mariah glielo ha dato. “Non avere paura”, aveva detto la creatura d’ombre e di
luci. Tutto può iniziare.
Joseph s’era svegliato ancora più confuso. Aveva inteso ? O non aveva capito nulla ? O in quel momento non c’era differenza tra capir tutto o capir nulla... Si trattava di dire sì, come lei. O dire no,
e mettersi, per così dire, al contrario di lei. Perché non c’erano solo sogni strani e angeli e profezie
bisbigliate con cui fare i conti. C’erano le maldicenze. Le viltà. Che iniziavano a girare come ragni.
Topi lungo i muri secchi, nel sole di Nazareth.
C’era il “sì” della ragazza che gli era stata affidata. Come una bomba nel suo cervello. E i ragni
lungo le pareti.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Lei era stata la prima. Lui doveva essere solo il secondo. Appoggiare il suo “sì” a quello che lei aveva già detto. E che già le gonfiava il corpo.
Era ancora bambina e su Mariah era stato deciso: voto di verginità. Le era stato scritto nel destino
qualcosa di chiaro e di oscuro. Il padre Gioacchino e la madre Anna erano orgogliosi della loro
ragazzina offerta solo a Dio. I loro volti immobili nella casa l’avevano vista cento, mille volte vestirsi per salire i gradini del tempio. La grande ingiustizia e la grande giustizia: essere solo di Dio.
Sua madre la guardava dall’ombra. E quando da piccola aveva salito i gradini del tempio per la
prima volta da sola non si era voltata, no, i due lessero in quel gesto una predilezione. Non li aveva
cercati come avrebbe fatto una bambina qualsiasi. In quell’attimo Gioacchino e Anna erano stati
orgogliosi ed erano invecchiati.
Secondo le usanze, la giovane diventando ragazza non può restare a vivere in solitudine. Hanno
dunque trovato con l’accordo dei capi della sinagoga Joseph un uomo un po’ avanti negli anni.
Un uomo che viene dalla radice di Jesse, come pensano di sé tutti i nazareni. Il seme che viene
da fianchi di Re Davide. Lui sarebbe stato lo sposo senza congiunzione carnale di Maria. Un buon
compagno, un buon tutore. Joseph aveva accettato il matrimonio chiesto dai capi della sinagoga.
Un uomo di fede. Un buon lavoratore, uno con la testa sulle spalle.
Fu lui a salvarla dalla più grande solitudine che possa toccare a un essere umano. Dove si tratta di
dire “sì” o “no” in faccia a Dio. Solitudine tollerabile solo per pochi istanti. I pochi istanti dell’angelo.
Ma tutti i giorni...Il suo sì secondario, secondo, servitore, il suo sì d’amore, Joseph lo pronunciò
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
piano, nel riquadro della porta di casa. E quando lei alzò gli occhi sembrò una che è stata recuperata dai precipizi di Sion. Gli occhi di una che non viene lasciata al vento terrificante del deserto.
“Joseph” disse solo, perché in certi momenti si dice solo il nome. Per dire e ridire tutto di una persona. E si riesce a dire solo il nome. Non sarebbe stato possibile sopportare quel “sì” senza di lui…
Ora aveva gli occhi dove si allargavano di nuovo le nuvole del sorriso.
Joseph è un uomo pratico. Sempre un po’ pensieroso. In certi momenti non si capisce se pensa ai
misteri della vita e della morte o solo a che tipo di pialla usare per un tòcco di legno. Forse è uno
che pensa allo stesso modo questi pensieri -Dio, la pialla, la curva del cielo, quella del legno. Con
la stessa attenzione.
Mariah a volte lo ha preso in giro: sei sempre silenzioso, cosa hai da pensare?
Lui la guardava. Una ragazza, una strana ragazza. Poi le diceva: a cosa penso lo sai. E lei abbassava
lo sguardo, grigio come le pietre del deserto sotto cieli bianchi. Mariah sapeva che quell’uomo un
po’ sempre straniero per lei sarebbe stato il taciturno e grande alleato per tutta la vita. Lo vedeva
ogni tanto stare con gli altri uomini, a Nazareth, a scambiare poche parole, bere qualcosa insieme,
trafficare di arnesi o giocare. Lo guardava e pensava: Joseph, stai con me…
Come se lui la sentisse, alzava la testa e si voltava dove lei se ne stava con le altre donne, coi grandi vasi e i setacci. Solo uno sguardo, un’ombra di sorridere. Era fatto così. Sì, diceva lui senza dire
niente. Il suo “sì” secondario, il suo “sì” che la strappava dalla solitudine, a tutti i posti della terra e
dell’anima dove un ragazza non poteva restare da sola.
Davide Rondoni, “Romanzo sulla vita di Gesù”, in uscita estate 2013
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
la peregrinación (il pellegrinaggio)
mercedes sosa
A la huella, a la huella
Jose y maria
Por las pampas heladas
Cardos y ortigas.
A la huella, a la huella
Cortando campo
No hay cobijo ni fonda
Sigan andando.
Florecita del campo,
Clavel del aire
Si ninguno te aloja
¿adonde naces?
¿donde naces, florcita
Que estas creciendo,
Palomita asustada,
Grillo sin sueño?
A la huella, a la huella
Jose y maria
Con un dios escondido
Nadie sabia...
A la huella, a la huella
Los peregrinos
Prestenme una tapera
Para mi niño.
A la huella, a la huella
Soles y lunas
Los ojitos de almendra
Piel de aceituna.
¡ay burrito del campo!
¡ay buey barcino!
¡que mi niño ya viene,
Haganle sitio!
Un ranchito de quincha
Solo me ampara
Dos alientos amigos
La luna clara
A la huella, a la huella
Jose y maria
Con un dios escondido
Nadie sabia...
Ah, Giuseppe e Maria, ah, fra le pampas cardi ghiacciati e ortiche. Andate dietro tagliando per la campagna, senza asilo né locanda,
continuate. Fiorellino di campagna garofano dell’aria, ah, se nessuno ti ospita, dove nasci, ah, dove nasci fiorellino che stai crescendo, ah, colombina spaventata, grilli senza sonno. Andate dietro Giuseppe e Maria. Con un Dio nascosto e nessuno lo sapeva Andate
dietro... pellegrini, per il mio bambino, andate dietro soli e lune, gli occhi a mandorla, pelle d’oliva, ah, annoiato dalla campagna,
ah bue “barcino” che il mio bambino ormai arriva, fategli posto, una capanna di “quincha” solo mi protegge due aliti amici, la luna
chiara, Andate dietro Giuseppe e Maria. Con un Dio nascosto e nessuno lo sapeva.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
E poi vennero i nove mesi. Tutti i nove mesi.
E venne lo spostamento per rispondere al censimento dei Romani Il segno burocratico, il possesso dei numeri. Il gesto imperiale che dice: esisti perché sei segnato nei miei registri. Il viaggio della
ragazza incinta e dell’uomo silenzioso fu fatto in mezzo a puzzo di pecore, grida di asini e gente
sospettosa. A uomini che biascicavano: verrà l’ora…
Fino a che è venuta questa ora.
E l’occhiata sgomenta, impaurita di lei: Nasce!
Corrono le nubi in cielo, la sera guadagna tutta la luce del cielo, corrono le energie lungo la sua
schiena di ragazza, lungo le sue gambe, nei polsi che diventano bianchi a forza di serrare il bordo
ruvido della mangiatoia di legno che le sta sopra la testa. Corre in lei la paura e il brivido che solo
le donne conoscono da sempre.
Il suo sposo le ha dato un pezzo di cuoio: “Stringi i denti”. Lei lo ha guardato dritto negli occhi un
istante.
Bethlem la città del pane, detta anche città del Dio Lahm, si è popolata di viaggiatori venuti per il
censimento. Nella sera si placano le bestie, affievoliscono i belati, i ragli, i nitriti. E in parte si placano gli uomini, che hanno violenza anche nei sussurri. Il caravanserraglio è lontano dalla caverna
dove si sono rifugiati. Là non c’era posto. Ci sono più vicini bivacchi di pastori sparsi.
Lui vede i tendini di lei in rilievo nei polsi per lo sforzo. Ora gli tocca davvero stare attento.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Non ha trovato donne nei dintorni. Solo pastori. Girando come un forsennato, chiedendo. Quelli
scuotevano la testa. Capivano, ma cosa ci potevano fare. Non si avvicinano, sono uomini asciutti.
Non si capisce a cosa pensano. Forse a come sarebbe meglio qualsiasi altro posto, invece d’esser
qui a badare pecore o muli. In quei pensieri la loro vita si fa triste e profonda, oppure triste e cattiva. Hanno visi simili tra loro intorno ai fuochi, magri, barbe dure, nasi sottili e curvi. Mantelli tirati
sulla testa per il freddo. Ma gli occhi, gli occhi brillano in modo diverso. Ad alcuni le fiamme danno
un oro antico, altri sembrano riparati da un velo opaco, forse sonno o pigrizia. Altri ancora sono
acqua buia dove rabbrividisce una luce strana.
A Joseph hanno dato del vino, dei datteri, alcune coperte di lana.
Lasciano che il mugolio della bocca serrata della donna escano dalla stalla illuminata. Se ne sono
rimasti ai fuochi, un po’ distanti masticando carne di pecora, e bevendo dalle bisacce ormai sgonfie. Le palpebre gialle e pesanti.
Il piccolo villaggio di Bethlem è ormai tutto silenzioso nella notte.
Qualche belato d’agnello.
Pecorai, artigiani gente che pensa al lavoro e ha timor di Dio, come si dice. Un timore a volte duro,
muto. A volte penoso, vasto, una grande lamentazione. Ormai guardano con diffidenza i presunti
profeti che urlano per piazze e colline spelacchiate. Una sfilza di furbi, di tizi mezzi matti, di gente
che s’alimenta in modo strano, e urlatori visionari diffonde in mezzo alla gente la convinzione che
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
sì, sta per succedere qualcosa. Ormai il popolo si attende qualcosa di eclatante. Azioni finalmente.
I romani si annoiano. Stanno chiusi nei loro palazzi o negli accampamenti. Fanno feste, si ubriacano. E di giorno curano le armi e i corpi per la guerra. Non vedono la necessità di tutto quel fervore
e quei regolamenti. Loro hanno dèi più pratici.
Ma tra gli israeliti più religiosi sta serpeggiando un disagio: non si capisce che cosa Dio stia preparando per il suo popolo. Dove sono finiti i veri profeti? Tacciono da troppo tempo…
Il Messia deve arrivare. Ma da dove ? E che segni devono anticiparlo ? Come si svelerà ? dicono,
non dicono fissando la facciata grandiosa del Tempio. “Nel caso che l’offerta sia un capo di bestiame grosso, dice il Signore, sarà un maschio o una femmina senza difetto; l’offrirà davanti al
Signore, poserà la mano sulla testa della vittima e la immolerà all’ingresso della tenda…”
Davide Rondoni, “Romanzo sulla vita di Gesù”, in uscita estate 2013
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
salve
San José piodió posada
para su esposa Maria;
no se la quisieron dar
porque no le convenía.
¡Salve! ¡Salve, Regina Salve!
Siguió camino adelante
y llegó a una ranchería;
y alli le dieron posada
porque si le convenía.
San José puso en la mesa,
pan y vino que traía;
le dijo a su dulce esposa:
ven a cenar, mi María.
La Virgen le contestó
que ella cenar no quería,
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que la dejara llorar
que ella con llorar tenía.
San José tendió la calma
con linos de Alejandría:
le dijio a su casta esposa:
Ven a dormir mi María.
La Virgen le contestó
que ella dormir no quería,
que la dejara llorar
que ella con llorar tenía.
A las dose de la noche
San José se adormecía;
y en el pesebre sagrado
la Virgen se sonreía.
A Dios tiene entre pañales
luminosos como el día,
la más hermosa del mundo,
la Virgen Santa Maria.
Los pastores adoraban
a Jesús, José y María;
y el ‘Gloria in excelsis Deo’
por todo el mundo se oía.
Los tres Reyes del Oriente
con Gozo de Epifanía,
llevan oro, incienso y mirra
a Jesus, Jose y Maria.
Desde el trono de los cielos
lleno se santa alegría
a la Sagrada Familia
el Eterno benedicía.
San Giuseppe chiese alloggio per Maria sua sposa; non glielo vollero dare perchè non gli conveniva. Salve! Salve, Regina, Salve. Proseguì avanti il cammino ed arrivò ad una fattoria e lì gli diedero alloggio perchè gli conveniva. San Giuseppe preparò sul tavolo il pane e
il vino che portava; disse alla sua dolce sposa: vieni a cenare, mia Maria. La Vergine gli rispose che non voleva cenare, che la lasciasse
piangere che ella aveva da piangere. San Giuseppe preparò il letto con lini d’Alessandria; disse alla sua casta sposa: vieni a dormire,
mia Maria. La Vergine gli rispose che ella non voleva dormire, che la lasciasse piangere che ella aveva da piangere. Alle dodici della
notte San Giuseppe si addormentava; e nel santo presepe la Vergine sorrideva. È Dio che tiene tra le fasce luminoso come il giorno, la
più bella del mondo, la Vergine Santa Maria. I pastori adoravano Gesù, Giuseppe e Maria; e il ‘Gloria in excelsis Deo’ si udiva in tutto il
mondo. I tre Re d’Oriente con gioia d’Epifania, portano oro, incenso e mirra, a Gesù, Giuseppe e Maria. Dal trono dei cieli pieni di santa
allegria la Santa Famiglia l’Eterno benediceva.
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Mariah soffia.
La enorme stella lentamente porta il suo globo di fuoco fuori dalle nubi, i pastori sollevano le
teste senza parlare, e l’uomo di Mariah vede che qualcosa –qualcuno- sta uscendo. E’ girato bene,
è la testa. La sua donna è giovane, forte. Ce la può fare. Soffia, trattiene il fiato e poi giù, ancora.
Spingere la vita.
In alto la stella rompe la tenebra con un rosso denso, violento, come se in cielo si rompessero
fuoco sangue e magma. Anche Mariah spinge. Ora deve respirare forte. Come tutte le ragazze del
mondo quando viene l’ora. Diventa tutte le ragazze. Joseph mormora, quasi anticipando le preghiere che verranno nei secoli dei secoli: Mariah del mio cuore, su, Mariah del mio cielo, Mariah del
mattino, della sera, forza, Mariah vita mia, vita…Lei riesce a mormorare solo a tratti le preghiere
della devozione antica, passate di femmina in femmina fino a lei. Ora sente quelle parole antiche
di fuoco disciogliersi nel sangue, nell’adempimento supremo che passa di femmina in femmina,
mentre la schiena si appiccica alla stoffa e il vestito sul petto è bagnato di sudore.
Vede e non vede il volto del suo uomo. Per fortuna lui è lì con lei, soli, sperduti nell’universo.
“Cosa ti ha detto l’angelo…” chiede Joseph a Mariah. Lei ora sta soffiando e sembra sorpresa di quel che avviene.
Ora ispirare e respirare forte, largo. Lui le fa ricordare quel che non gli ha mai confidato. Cosa ti
ha detto. In tutti quei mesi aveva fatto solo cenni vaghi. Quasi spauriti. Con un occhiata soltanto
diceva: era un messaggero, io non so niente, ti fidi?
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
“Mi ha salutato…”
Fiato, soffiare. Le tempie bianche. I tendini.
“Partorirai un figlio si chiamerà…”
Si ferma non ce la fa.. Joseph mormora l’unica cosa che ha saputo in sogno “si chiamerà Gesù”
“Piena di grazia, ha detto, e”
“Respira Mariah, lascia stare, mi dirai…”.
Joseph ricorda quando li chiamarono al tempio. Su lui pendeva un’accusa grave e lo assediavano
i mormorii della gente e dei fedeli: la ragazza vergine che gli era stata affidata in moglie perché
la accudisse pura era incinta. Aveva tradito la fiducia dei sacerdoti e degli anziani del tempio. Per
lui la punizione massima. Per lei, se fosse stata trovata colpevole, non ci sarebbe stata che la via
dell’esilio e della vergogna. Gioacchino e Anna avrebbero voluto morire., anche se sapevano che
lei…
“Mi dirai dopo, ora pensa a…”, dice Joseph. Vedendo ora lei diventare così violentemente donna.
Li chiamarono e diedero loro da bere “l’acqua della prova”. Bevendo l’acqua e girando attorno
all’altare del tempio il mentitore si sarebbe coperto di macchie. Ma né su Joseph, né su Mariah
comparvero segni. Furono osservati da decine di volti induriti dal sole, assiepati dentro e fuori il
piccolo tempio di Nazareth, mentre tra le gambe si infilavano pecore e galli. Attesero le parole del
capo della Sinagoga. Le attendevano anche le donne con Anna nell’ombra delle stanze di terra
secca. Il paese intero attendeva la sentenza. E quando sentirono il sacerdote dire: “non mentono”,
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
il volto dei più religiosi tra quegli uomini e donne furono traversati dalle nubi e da corse di cose
strane.
Joseph ricorda gli sguardi per strada.
Ma non aveva mai chiesto a Mariah quali fossero state le parole esatte dell’angelo. Ne aveva sempre avuto timore. Ma ora, aveva pensato con un pensiero semplice, forse a lei in questi istanti
avrebbe giovato ricordare quella visita. La visione che aveva iniziato tutto. Ora se ne è pentito,
forse lei deve solo ispirare forte, e soffiare. E premere. Avessero trovato posto almeno nel caravanserraglio…
Ma lei nelle ultime spinte ha gli occhi ormai di acqua e pietra. E gli cerca il braccio con la mano
frenetica.
“No, ascolta…ha detto…è figlio dell’Altissimo, lo Spirito scenderà su di te e l’ombra della potenza…”
Un altro sforzo. I capelli le si sono appiccicati alle tempie.
“l’ombra dell’Altssimo si stenderà su di te…su di me”
“Ora respira, respira…piano…Non importa…Un’altra volta”
La nascita le sta scuotendo il corpo. Giuseppe non sa bene come funzionano queste cose. Lui doveva solo lavorare il legno ed essere devoto. Come ha fatto a trovarsi così ? In questa stalla con le
mani in una ragazza che partorisce in questo modo strano...La vita è una follia?
“E io…io ho detto: come è possibile ? lui, l’angelo, ha parlato di Elisabetta…”
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
“Sì, tua cugina, ha partorito anche lei, vedi…non sembrava possibile”
Le passa lo straccio bagnato sulla fronte.
“E io ho detto all’angelo…”
Un’onda lunga.
“Soffia, soffia” dice Joseph che sa e non sa cosa fare, e avvicina il catino con l’acqua.
Gli animali sparsi nelle stalle nei pressi danno muggiti, belati. Si sente un abbaiare di cane. L’aria
della notte ferma. Lei soffia, piange, tiene rigida la testa come un vitello legato. Poi lui sente qualcosa di vivente arrivare, il minimo cranio, la fronte, uno scricciolo, il visino cianotico…
In lei si tuffa e si apre una colata di metallo fuso. Ora rompe il respiro:
“E ho detto sì! sia così!” .
Lo grida. Con tutto il fiato.
E’ il sussulto finale, Joseph si trova tra le mani l’essere bagnato, piccolo. Lei fissa gli occhi e le mani
di Joseph. “Poi se n’è andato” dice piano girando la testa un istante tra le lacrime, “l’angelo se n’è
andato…”.
Quando si gira nuovamente verso Joseph, ha un volto sbigottito di ragazza, come la superficie del
lago quando si fermano le onde e passano le nubi.
Joseph regge con cautela il piccolo con le due mani, con la bocca afferra il panno che aveva preparato per avvolgerlo. Gli strilli del piccolo sono brevi, insistiti. Cerca aria.
Joseph taglia il cordone con il suo coltello attizzato nel fuoco. Le porge il bambino addosso. I due
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
iniziano a esistere insieme. Mariah si è avvolta intorno al suo piccolo. Il volto è quello dei primi
mattini in cui Joseph la vedeva al tempio. Li osserva, avvicina alle braccia di lei il catino di legno.
Un altro telo. Lei sta pulendo il piccolo che continua a strillare con la bocca che sembra d’uccellino. Le sue piccole mani tremano. Lei lo copre e se lo stringe. Joseph capisce che qualcosa,si sta
ricomponendo in lei, e che i due ora sono attaccati come nessuna delle cose che vivono attaccate
al mondo, nessuna foglia al ramo, nessuna ala all’aria, nessun pianto alla notte. Esce. Sa che ora
deve uscire, nessuno può assistere.
Alcuni pastori sono in piedi. La stella sembra sospesa come un frutto cupo e colmo sopra il luogo
dove la donna ha partorito in mezzo agli animali. Nei pensieri duri di quegli uomini si insinua una
specie di meraviglia, non è nato un capretto o un mulo, ma un bambino. Che notte strana, vedono
la stella. Hanno sentito le grida della nascita, una gloria per la terra…L’aria che trema per la luce
della stella mormora qualcosa di terribile e grande: c’è gloria nel profondo dei cieli, un bambino
nasce e dà pace a questa notte buia sulla terra.
Sono confusi, si avvicinano alla stalla.
Per la legge un uomo non può avvicinarsi per quaranta giorni a una donna che ha partorito. Il
tempo per purificarsi dalle cose di sangue. Ma lì non c’è nessuno, e il suo uomo l’ha aiutata, si è
avvicinato, non ci sono donne che possano portare il necessario per il piccolo.
Notte strana, sembra che le leggi siano sospese, o finite dall’altra parte del cielo. Vedono che il
padre è uscito sulla soglia della stalla. Ha la faccia stanca. “E’ nato”, dice solo.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Gli uomini si sono avvicinati e ora sono assiepati vicino all’entrata. Allungano il collo per guardare
dentro e lanciano occhiate in alto. Allora anche Joseph alza lo sguardo verso la stella che rosseggia come oro e sangue.
E prende quella luce negli occhi come uno felice, un pazzo, uno che ha sete. E che ora ha bisogno
di forze.
Davide Rondoni, “Romanzo sulla vita di Gesù”, in uscita estate 2013
adventi enek
zoltan kodary
Veni, veni Emmanuel,
captivum solve Israel,
qui gemit in exilio,
privatus Dei Filio,
Veni, veni o Oriens;
solare nos adveniens;
noctis depelle nebulas,
diras que noctis tenebras;
Gaude, gaude!
Emmanuel nascetur pro te, Israel.
Veni clavis davidica:
regna reclude caelica;
fac iter tutum superum,
et claude vias inferum.
Veni, veni Adonai,
qui populo in Sinai,
legem dedisti vertice,
in majestate gloriae.
Veni o Jesse virgula.
Ex hostis tuos ungula.
De specus tuos tartari
educ et antro baratri.
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Vieni, vieni Emmanuele, libera Israele prigioniero
che geme in esilio privato del figlio di Dio.
Rallegrati! L’Emmanuele nasce per te, Israele. Dio.
Vieni, virgulto di Jesse, strappa i tuoi dalle maglie
del nemico, dalle spelonche degli inferi e dall’oltretomba. Vieni luce del sole.
Disperdi le nebbie e le terribili tenebre della notte.
Vieni, chiave di Davide, apri i regni celesti, rendi
sicuro il viaggio terreno, e chiudi le vie degli inferi.
Vieni, Adonai, che hai dato la legge al popolo sul
monte Sinai, nella maestà della tua gloria.
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
natività
Si apra la terra e dia per gemma il Salvatore.
Aperiatur terra et geminet Salvatorem.
Così cantano i frati nel coro di questa chiesa dei Servi di Bologna nel tempo di Avvento.
Per questo mi han detto di dipingerti sul tavolo questa piantina nel vaso, Vergine bella, una piantina di maggiorana, quella che viene usata nelle nozze per augurare alle giovani spose una vita
fertile di figli.
Ma che Figlio, hai tu, Maria, in quel ventre rigonfio che ti ho dipinto sotto la veste ricamata!
C’è un Bambino lì dentro, ma che Bambino!
Ti ho dipinto come una ragazzina, come una di quelle dolci donzelle che mi facevano sobbalzare il
cuore quando le incontravo percorrendo le strade porticate per venire a lavorare qui nella chiesa.
Mi perdonerai se non ti ho fatto celeste come una visione di sogno, ma io non sono il raffinato Vitale, l’anziano maestro del pennello che ho visto ogni tanto lavorare qui a fianco ad una cappella
sontuosa.
Io sono Simone, un giovane principiante, figlio di un calzolaio, sono cresciuto tra il flagello della
peste e i colpi duri delle carestie.
Sì, sembri proprio una ragazzina madre, con quella smorfia nel volto e le mani che stringono le
cosce, scossa da un fremito.
Non è tanto per il cagnolino che ti fa la festa. Non è per questo che hai lasciato di leggere.
Un pensiero ti agita, una promessa misteriosa ti rende inquieta: «Su di te stenderà la sua ombra la
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
potenza dell’Altissimo, colui che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio».
Più ci penso e più un brivido di gioia mi corre per le ossa: da te, ragazzina, nasce oggi per me il
Salvatore del mondo, il mio Salvatore, proprio il mio, il Salvatore di tutti, il Salvatore dell’illustre
Vitale e di un Simone pittore qualunque, figlio di Filippo calzolaio.
Davide Rondoni, “Romanzo sulla vita di Gesù”, in uscita estate 2013
Manto De Açucenas (manto di gigli bianchi)
Cristina Branco
Pousando levemente no andor
os pés da Virgem Mãe lembram apenas
as pombas tão amadas do Senhor
num manto imaculado de açucenas
E vão p’lo mundo fora caminhando
nessa doce missão de proteger
quem vive tristemente procurando
a forma mais humana de viver
Senhora Teu sorriso magoado
acorda a nossa almda adormecida
e faz sentir a dor de ter pecado
de todas a maior da nossa vida
Senhora Teu sorriso magoado
acorda a nossa alma adormecida
E todo protecção e caridade
seu rosto vai sorrindo a quem o vê
num gesto de carinho e de bondade
tocando mesmo aquele que não crê
E leves vão batendo Tuas contas
ao doce caminhar do teu andor
e em cada uma delas Tu descontas
as contas que devemos ao Senhor
Leggermente posati, i piedi della Vergine ci ricordano le colombe che il Signore ha tanto amato, su di un manto immacolato di gigli
bianchi. E percorrono il mondo, camminando, in questa dolce missione di proteggere tutti coloro che vivono tristemente, cercando un
modo più umano di vivere. Signora, il tuo sorriso ferito svegli le nostre anime addormentate e ci faccia provare il dolore di aver peccato,
fra tutti il più grande della nostra vita. È pieno di protezione e di carità il suo viso sorride a chi lo vede, in un gesto di tenerezza e di bontà,
toccando anche chi non ha la fede. Leggeri tintinnano i grani del rosario, nella dolce andatura della tua altezza; e a ciascuno sconti i
conti che noi renderemo al Signore.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Non è forse strutturalmente impossibile all’uomo vivere all’altezza della propria natura?
E non è forse una condanna questo anelito verso l’infinito che egli avverte senza mai poterlo soddisfare totalmente? L’Infinito stesso, per farsi risposta che l’uomo possa sperimentare, ha assunto
una forma finita. Dall’Incarnazione, dal momento in cui il Verbo si è fatto carne, è cancellata l’incolmabile distanza tra finito e infinito: il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo cielo ed è entrato
nel tempo, si è immerso nella finitezza umana. L’uomo è fatto per un Dio infinito che è diventato
carne, che ha assunto la nostra umanità per portarla alle altezze del suo essere divino.
Benedetto XVI. Messaggi autografo per la XXXIII edizione del Meeting per l’Amicizia tra i Popoli,
Castel Gandolfo, 10 agosto 2012
Niño Dios
francisco guerrero
Niño Dios de amor herido,
tan preso os enamorais,
que apenas habeis nacido,
cuando de amores llorais?
La risa nos ha cabido,
el llorar vos lo aceptais,
y apenas habeis nacido,
cuando de amores llorais?
Cuando de amores llorais,
que apenas habeis nacido,
cuando de amores llorais,
cuando de amores llorais?
En esa mortal divisa,
nos mostrais bien el amar,
pues siendo hijo de risa,
lo trocais por el llorar.
Gesù bambino, ferito dall’amore,
così presto, appena nato,
ti innamorasti piangendo d’amore?
Il sorriso ci hai donato,
il pianto lo hai accettato.
In questa veste mortale,
ci hai insegnato come amare veramente.
Così, pur essendo figlio della gioia,
la cambiasti con il pianto.
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
Testimonianze di Giovanni e di Mimmo, carcerati a San Vittore.
E’ sabato. Finalmente sono libero, anche se per poche ore. E in quelle sei ore passate da persona
libera, ogni cosa che hanno visto i miei occhi resterà dentro di me per sempre. In quelle ore sono
andato a fare il volontario al banco Alimentare all’interno di un centro Commerciale. M,i ritrovavo
ad incitare la gente. In quel supermercato ho letto su un volantino “Cristo ora, presente, colma
quella solitudine, risponde a tutte le esigenze dei nostri cuori”.
Giovanni
Ho passato un periodo di detenzione con Antonio Simone, nella stessa cella se così la si può chiamare. L’ho conosciuto e frequentato e posso solo ringraziarlo per avermi fatto capire, o meglio
per avermi indirizzato sulla strada della fede e della preghiera, la fede e la preghiera per il nostro
Signore. Quando l’ho visto uscire e abbracciare i suoi figli e dire certe cose ho pensato quello che
dice un personaggio di Pieraccioni quando vede le ballerine: ma allora Dio esiste.
Mimmo
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
una lettera dal pakistan
Mi chiamo Asia Noreen Bibi.
Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono
rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per
blasfemia. Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e
dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui
scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel
mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e –se puoi– prega il Signore per noi e scrivi
al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa
lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia.
testimonianza di un sacerdote a marsiglia
Quella tonaca nera svolazzante sulla rue Canabière, tra una folla più maghrebina che francese, ti
fa voltare. Un prete, e vestito come una volta, per le strade di Marsiglia. Un uomo bruno, sorridente, eppure con un che di riservato, di monacale. E che storia, alle spalle: cantava nei locali notturni
di Parigi, solo otto anni fa è stato ordinato e da allora è parroco qui, a Saint-Vincent-de-Paul. Ma
la storia in realtà è anche più complicata: Michel-Marie Zanotti-Sorkine, 53 anni, discende da un
nonno ebreo russo, immigrato in Francia, che prima della guerra fece battezzare le figlie. Una di
queste figlie, scampate all’Olocausto, ha messo al mondo padre Michel-Marie, che per parte pa29
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
terna è invece mezzo corso e mezzo italiano. Ma se una domenica entri nella sua chiesa gremita,
e ascolti come parla di Cristo con semplici quotidiane parole; e se osservi la religiosa lentezza
dell’elevazione, in un silenzio assoluto, ti domandi chi sia questo prete, e cosa in lui affascini, e
faccia ritornare chi è lontano.
“La veste talare per me – sorride – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi mi incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li
porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la
mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto
su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Madonna, fra me: ma sai, le ho
detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi
gli chiedeva come convertire i marxisti: “Occorre diventare loro amici”, rispondeva.
«Chi mi cerca – continua – prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto
possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima.
Alla donna offesa dico: mandami tuo marito, gli parlo io. Ma poi, quanti vengono a dire che sono
tristi, che vivono male...”
Giornate totalmente donate, per strada, o in confessionale, fino a notte. Dove prende le forze? Lui
– quasi pudicamente, come si parla di un amore – dice di un profondo rapporto con Maria, di una
30
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
confidenza assoluta con lei. «Maria è l’atto di fede totale, nell’abbandono sotto alla Croce. Maria è
assoluta compassione. È pura bellezza offerta all’uomo».
Problemi, in strade a così forte presenza islamica? No, dice semplicemente: «Rispettano me e questa veste». In chiesa accoglie chiunque con gioia, «anche le prostitute. Do loro la Comunione. Che
dovrei dire, “diventate oneste, prima di entrare qui”?
Come vede il tema della nuova evangelizzazione? «Vede – dice al congedo– più invecchio e più
capisco ciò che ci dice Benedetto XVI: tutto davvero ricomincia da Cristo. Possiamo solo tornare
alla sorgente»
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
la santa allegrezza
tratto da Tarantella Ca Nun Va’ Bbona (1975)
Nuje cantammo la santa allegrezza
Maria bellezza maggiore ce dà.
Se l’è ‘ncarnato il Verbo di Dio
lasciando a Maria la verginità.
Cosa importante, cosa importante
lu Patre lu Figlio e lo Spirito Santo.
Quanno tu gravida fuste Regina,
lu cielo de stelle faciste stupire,
quanno l’intese Giuseppe devoto
cercava ‘nu luogo per partorire.
Cosa nce prega, cosa nce prega
Giuseppe e Maria ce cercan la fede.
E San Giuseppe patriarco supremo
pe’ darce lu fieno ne apre la mano,
e se nun era la mano di Dio
lo cielo sereno pe’ letto ne avria.
Dove reposa, dove reposa
è la bellezza de tutte le cose.
Quanno in viaggio la coppia si mise
n’angelo scende dal gran Paradiso
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p’accumpagnarcelo passo pe’ passo,
e per difenderla da Satanasso.
Verbo di Dio Verbo di Dio
quanno in viaggio si mise Maria.
Ma gran pericolo deve passare
la Vergine bella del cielo e del mare
e se un serpente il piede l’arresta
la Verginella ci schiaccia la testa,
luce la strata, luce la strata
dodici stelle Maria è ‘ncurunata.
Po’ nel cammino per farla passare
s’aprono pure le onde del mare,
cantano tutte le acque del mondo,
per questa vergine bella e gioconda...
Luce divina, luce divina
quanno Maria sopra all’acqua cammina.
E San Giuseppe dal giglio d’argento
và con la sposa nel freddo e nel vento,
e quando il vento si sente cchiù forte
bussa Giuseppe a tutte li porte.
Fa’ l’addimanda, fa’ l’addimanda
ma nun c’è posto a chesta locanda.
Soffre Maria e la mano ce tremma
quanno n’arrivano a Betlemme,
per questa coppia che il freddo
l’agghiaccia
tutti ci chiudono la porta ‘nfaccia.
‘Mmiezo a la via, ‘mmiezo a la via
nasce il mistero del Verbo di Dio.
E in mezzo al cielo Maria tutta pura
e sotto i piedi ci spunta la luna
Vergine bella che andasti e venisti
pe’ gghire truvanno la croce de Cristo,
per redenzione,per redenzione
e dell’umana generazione...
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
lettera a don giussani
«Caro don Giussani, le scrivo chiamandola caro anche se non la conosco, non l’ho mai vista, né
mai sentita parlare. Anzi a dire il vero posso dire che la conosco in quanto, se ho capito qualcosa
de Il senso religioso e di quello che mi dice Ziba, la conosco per fede e aggiungo io, ora grazie
alla fede. Le scrivo solamente per dirle grazie; grazie del fatto di avere dato un senso a questa mia
arida vita. Sono un compagno delle superiori di Ziba con il quale ho sempre tenuto un rapporto
di amicizia in quanto, pur non condividendo la sua posizione, mi ha sempre colpito la sua umanità
e la sua disponibilità disinteressata [che è l’unico modo con cui possiamo gridare ad un altro e
a tutto il mondo: «Cristo è vero»]. Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea
portato da quel treno che si chiama Aids e che non lascia tregua a nessuno. Adesso dire questa
cosa non mi fa più paura. Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse
vero e seguirlo. Questo interesse io l’ho inseguito tante volte, ma non era mai quello vero. Ora
quello vero l’ho visto, lo vedo, l’ho incontrato e incomincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome:
si chiama Cristo. Non so neanche cosa vuol dire e come posso dire queste cose, ma quando vedo il
volto del mio amico o leggo Il senso religioso che mi sta accompagnando e penso a lei o alle cose
che di lei mi racconta Ziba, tutto mi sembra più chiaro, tutto, anche il mio male e il mio dolore.
La mia vita ormai appiattita e resa sterile, resa come una pietra liscia dove tutto scorre via come
l’acqua, ha un sussulto di senso e significato che spazza via i pensieri cattivi e i dolori, anzi li ab33
Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
braccia e rende veri rendendo il mio corpo larvoso e putrido segno della Sua presenza. Grazie don
Giussani, grazie poiché mi ha comunicato questa fede o, come lei lo chiama, questo Avvenimento.
Adesso mi sento in pace, libero e in pace. Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli
bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo che era un codardo perché l’unica cosa che sapeva
fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. Ora quando balbettando tento di dirlo con lui
capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure a un palmo dal naso la verità che mi
stava di fronte. Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle. Grazie perché
nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello - ho una grande
paura di morire -, ma perché ora so che c’è qualcuno che mi vuole bene e anch’io forse mi posso
salvare e posso anch’io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come io ho visto
e incontrato. Così mi sento utile, pensi, solamente usando la voce mi sento utile; con l’unica cosa
che ancora riesco ad usare bene io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare del
bene solamente dicendo l’Angelus. È impressionante, ma anche se fosse un’illusione questa cosa
è troppo umana e ragionevole, come lei dice ne Il senso religioso, per non essere vera. Ziba mi ha
attaccato sul letto la frase di san Tommaso: “La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione”. Penso che la mia più grande
soddisfazione sia quella di averla conosciuta [non l’ho mai visto!] scrivendole questa lettera, ma
la più grande ancora è che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà
nuovo, buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
persone e della quale posso dire “anch’io c’ero”
anch’io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo avvenimento nuovo, buono e vero.
Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei ed il
movimento. La abbraccio. Andrea».
don giussani commenta
Duemila anni sono bruciati via da questa lettera. Non fu ieri, è oggi, non è oggi per me, ma è oggi
per te, qualunque posizione tu abbia: cambiala, se è da cambiare! Anch’io tutte le mattine capisco che la debbo cambiare, perché io sono responsabile di tante cose che Lui mi ha date. Dico
soltanto che questo avvenimento o questa presenza è di oggi - di oggi! Quel flusso umano di cui
abbiamo parlato, io lo porto oggi nella tua vita. Non c’è che Dio, Dio solo, ieri oggi e sempre. Un
avvenimento grande, diceva Kierkegaard, non può essere che presente, perché non è un passato,
un morto, che ci può cambiare. Ma se qualcosa ci cambia, è presente: «È, se cambia»
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Ma cosa ce ne facciamo del Natale?
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tatal nostru (padre nostro)
in questa notte splendida
Tatàl nostru care le esti in ceruri
Sfinteascà-se numele Tàu,
Vie ìmpàràtia Ta,
Facà-se voia Ta
Precum ìn cer si pe pàmànt.
Pàinea noàstrà cea de toate zilele
Dàne-o novà astàzi
Si ne iartà gresalele noastre
Precum si noi iertàm grescitilor nostri
Si nu ne duce pe noi ìn ispità
Ci ne isbàveste de cel ràu
Amen.
In questa notte splendida di luce e di chiaror,
il nostro cuore trepida, è nato il Salvator.
Un bimbo piccolissimo le porte ci aprirà
del cielo dell’Altissimo nella Sua verità.
Svegliatevi dal sonno, correte coi pastor,
è notte di miracoli, di grazia e di stupor.
Asciuga le tue lacrime, non piangere perché
Gesù nostro carissimo è nato anche per te.
In questa notte limpida di gloria e di splendor
il nostro cuore trepida, è nato il Salvator.
Gesù nostro carissimo le porte ci aprirà
il figlio dell’Altissimo con noi sempre sarà.