Eccezioni al mutuo riconoscimento

SENTENZA DELLA CORTE (TERZA SEZIONE) DEL 14 LUGLIO 1988. - DIVIETO DI USARE
LA DENOMINAZIONE " YOGURT SURGELATO ". - CAUSA 298/87.
Massima:
1 . Nel sistema dell' art . 177 del trattato, spetta ai giudici nazionali valutare la rilevanza delle
questioni pregiudiziali che essi sottopongono alla Corte rispetto ai fatti della causa dinanzi ad essi
pendente .
2 . L' art . 30 del trattato osta a che uno Stato membro applichi alle merci importate da un altro
Stato membro, ove esse sono legalmente prodotte e messe in commercio, una normativa nazionale
che riservi il diritto di usare la denominazione "yogurt" agli yogurt freschi, ad esclusione di quelli
surgelati, qualora le caratteristiche di questi non siano sostanzialmente diverse da quelle del
prodotto fresco, e un' adeguata etichettatura, con l' indicazione della data limite per la vendita o per
il consumo, basti per garantire al consumatore una corretta informazione .
3 . La direttiva 79/112, relativa all' etichettatura ed alla presentazione delle derrate alimentari, e in
particolare l' art . 5 di essa, va interpretata nel senso che essa osta all' applicazione della normativa
nazionale che neghi la denominazione di vendita "yogurt" alle merci importate o di origine nazionale
che siano state surgelate, qualora queste possiedano, per il resto, i requisiti fissati dalla normativa
nazionale al fine della concessione di detta denominazione alle merci fresche .
Parti
Nel procedimento 298/87,
avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art . 177
del trattato CEE, dal tribunal de commerce di l' Aigle, nel redressement judiciaire ( amministrazione
controllata ) dinanzi ad esso pendente nei confronti della
Smanor SA, con sede in Saint Martin d' Ecublei,
domanda vertente sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato CEE e degli artt . 5, 15 e
16 della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978 ( GU 1979, L 33, pag . 1 ),
LA CORTE ( terza sezione ),
composta dai signori J.C . Moitinho de Almeida, presidente di sezione, U . Everling e Y . Galmot,
giudici,
avvocato generale : J . Mischo
cancelliere : J.A . Pompe, vicecancelliere
viste le osservazioni presentate :
- dalla ditta Smanor SA, con gli avv.ti Langlais e Mendel,
- dal governo francese, rappresentato dai sigg . J.P . Puissochet e G . de Bergues,
- dal governo olandese, rappresentato dal sig . E.F . Jacobs,
- dalla Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C . Durand,
vista la relazione d' udienza ed in seguito alla trattazione orale del 4 maggio 1988,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 2 giugno 1988,
ha pronunziato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con ordinanza 15 giugno 1987, integrata da ordinanza 21 settembre 1987, il tribunal de
commerce di l' Aigle ha sottoposto a questa Corte, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, una
questione pregiudiziale vertente sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato e degli artt .
5, 15 e 16 della direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri concernenti l' etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità ( GU 1979, L 33, pag . 1; in
prosieguo : la "direttiva "), onde essere posto in grado di valutare la compatibilità del decreto
francese 22 febbraio 1982, n . 82-184, con le suddette disposizioni .
2 La questione è stata sollevata nell' ambito di una procedura di amministrazione controllata nei
confronti della Smanor SA ( in prosieguo : "Smanor ") dinanzi al tribunal de commerce di l' Aigle . La
Smanor è un' impresa francese specializzata nella produzione e vendita all' ingrosso di prodotti
surgelati, in particolare di yogurt che essa surgela con un procedimento brevettato di sua
invenzione . Dal 1977 le autorità francesi adottavano una serie di provvedimenti nei confronti della
Smanor onde vietarle, ai sensi delle vigenti norme francesi in materia, la distribuzione di detti
prodotti con la denominazione "yaourt" o "yoghourt" ed imporle pertanto di venderli sul territorio
francese con la denominazione "lait fermenté surgelé" ( latte fermentato surgelato ).
3 L' art . 2 del decreto francese n . 63-695 relativo alla lotta contro le frodi e le sofisticazioni nel
settore del latte fermentato e dello yogurt ( JORF del 16.7.1963, pag . 6512 ), così come modificato
con decreto 22 febbraio 1982, n . 82-184 ( JORF del 25.2.1982, pag . 676 ), dispone quanto segue :
"La denominazione 'yaourt' o 'youghourt' è riservata al latte fermentato fresco ottenuto, secondo gli
usi leali e costanti, solo con lo sviluppo dei batteri lattici termofili specifici denominati lactobacillus
bulgaricus e streptococcus thermophilus, che devono essere inseminati simultaneamente e
riscontrarsi vivi nel prodotto posto in vendita in una percentuale di almeno 100 milioni di batteri per
grammo (...). Lo yaourt o yoghourt, dopo la coagulazione del latte, non deve subire alcun altro
trattamento che non sia la refrigerazione, e eventualmente la rimescolatura (...)".
4 Il tribunal de commerce di l' Aigle riteneva che le difficoltà finanziarie della Smanor, che sono all'
origine della procedura fallimentare nella causa principale, fossero connesse alla disciplina francese
in materia di yogurt in quanto costringerebbe la Smanor a rinunciare agli sbocchi sul mercato
francese oppure a vendere illegalmente lo yogurt surgelato . Il tribunal de commerce di l' Aigle ha
quindi sospeso il procedimento ed ha chiesto alla Corte di pronunziarsi in via pregiudiziale "sull'
interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato e degli artt . 5, 15 e 16 della direttiva in relazione
al decreto 22 febbraio 1982, n . 82-184 ".
5 Per una più ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, delle disposizioni di diritto
nazionale di cui è causa nonché delle osservazioni presentate alla Corte si fa rinvio alla relazione d'
udienza . Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla
comprensione del ragionamento della Corte .
Sull' interpretazione degli artt . da 30 a 36 del trattato
6 Con la prima parte della questione il giudice nazionale intende, in sostanza, accertare se gli artt .
30 e 34 del trattato ostano all' applicazione da parte di uno Stato membro, allo yogurt che sia stato
surgelato, di una normativa nazionale che ne vieti la vendita con la denominazione "yogurt
surgelato ".
7 Il governo francese sostiene che la fattispecie che ha dato origine alla controversia principale non
rientra negli artt . 30 e seguenti del trattato, dato che riguarda l' applicazione del diritto francese a
un' impresa francese che fabbrica e smercia "yaourts" surgelati sul territorio francese, e che
pertanto non è necessario risolvere questa parte della questione pregiudiziale .
8 Effettivamente la disciplina francese si applica solo ai prodotti venduti sul mercato francese, senza
incidere in alcun modo sulle esportazioni verso gli altri Stati membri, e non occorre pertanto
esaminarla per quel che riguarda l' art . 34 del trattato relativo alle misure d' effetto equivalente a
restrizioni quantitative all' esportazione . Tuttavia, dalle osservazioni non contestate della
Commissione risulta che yogurt surgelati vengono legalmente fabbricati e venduti con questa
denominazione in altri Stati membri; non è quindi escluso che questi prodotti vengano importati in
Francia e che la normativa francese venga loro applicata .
9 Quanto alla questione se la Smanor possa far valere dinanzi al giudice nazionale che la disciplina
francese ostacola le importazioni di yogurt surgelato, va ricordato che secondo la giurisprudenza
costante della Corte spetta al giudice nazionale, nel sistema dell' art . 177 del trattato, valutare
rispetto ai fatti della causa la necessità di una decisione pregiudiziale .
10 E quindi opportuno accertare se e in quale misura l' art . 30 del trattato osti ad una disciplina
come quella francese che vieta lo smercio sul territorio nazionale con la denominazione di "yaourt
surgelé" di yogurt che abbia subito un surgelamento .
11 Si deve ricordare innanzitutto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte ( in primo
luogo la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Procureur du Roi / Dassonville, Racc . pag . 837 ), il
divieto delle misure d' effetto equivalente a restrizioni quantitative, sancito dall' art . 30 del trattato,
riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o
indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari .
12 Se il divieto di cui sopra, che implica l' obbligo di fare uso di un' altra denominazione di vendita,
non impedisce in modo assoluto l' importazione nello Stato membro interessato di prodotti originari
di altri Stati membri in cui si trovano in libera pratica, esso è nondimeno atto a renderne più difficile
lo smercio e di conseguenza, ad ostacolare, per lo meno indirettamente, gli scambi fra gli Stati
membri ( vedasi in particolare la sentenza 16 dicembre 1980, causa 27/80, Fietje, Racc . pag . 3839
).
13 Occorre precisare in proposito che la denominazione proposta dal governo francese, e cioè "lait
fermenté surgelé", è meno nota presso i consumatori della denominazione "yaourt surgelé" e che il
criterio decisivo per il divieto della denominazione "yaourt surgelé", e cioè il surgelamento, si
ricollega ad una modalità di conservazione che è particolarmente importante per questo tipo di
prodotti quando sono importati .
14 Una normativa nazionale che vieti lo smercio nel territorio nazionale con la denominazione di
"yogurt surgelato", di yogurt che sia stato surgelato costituisce quindi una misura d' effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell' art . 30 del trattato .
15 Va sottolineato poi che da una giurisprudenza costante della Corte ( in particolare le sentenze 20
febbraio 1979, causa 120/78, Rewe, Racc . pag . 649; 10 novembre 1982, causa 261/81, Rau, Racc
. pag . 3961; 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione / Germania, "birra", Racc . 1987, pag .
1227 ) emerge che in mancanza di una normativa comune sullo smercio dei prodotti di cui trattasi
gli ostacoli alla libera circolazione intracomunitaria risultanti da disparità delle normative nazionali
debbono essere accettati purché detta normativa, applicata indistintamente ai prodotti nazionali e a
quelli importati, possa essere giustificata in quanto necessaria per ragioni di interesse generale
come quelle di cui all' art . 36 del trattato, ad esempio la tutela della salute delle persone o esigenze
imperative inerenti fra l' altro alla tutela dei consumatori . Inoltre è necessario che la normativa sia
proporzionata all' oggetto preso in considerazione . Se uno Stato membro può scegliere fra diversi
provvedimenti atti a conseguire il medesimo risultato, è tenuto a scegliere il mezzo che meno
ostacoli la libertà degli scambi .
16 Alla luce di queste considerazioni, si deve rilevare che non esistono norme comuni o armonizzate
sulla fabbricazione o lo smercio dello yogurt, salvo la direttiva, la quale riguarda solo l' etichettatura
e la presentazione delle derrate alimentari destinate al consumatore finale e su cui verte la seconda
parte della questione pregiudiziale, esaminata in prosieguo . Il regolamento n . 1898 del Consiglio,
del 2 luglio 1987, relativo alla protezione della denominazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari
all' atto della loro commercializzazione ( GU L 182, pag . 36 ) all' art . 2, n . 2, riserva la
denominazione di "yogurt" solo a prodotti lattiero-caseari, ma si limita sostanzialmente a rinviare
alle normative nazionali in materia .
17 Per quel che riguarda la giustificazione inerente alla tutela della salute delle persone, essa non
può essere ammessa nei confronti di una normativa come quella sopra descritta che non vieta lo
smercio dello yogurt surgelato ma unicamente l' uso della denominazione "yogurt ".
18 Quanto alla tutela del consumatore, la Corte ha riconosciuto che uno Stato membro è legittimato
ad accertarsi che i consumatori vengano correttamente informati sui prodotti che vengono loro
offerti e che venga quindi loro data la possibilità di scegliere in base a questa informazione (
sentenze 12 marzo 1987, precitata, e 23 febbraio 1988, causa 216/84, Commissione / Francia,
"succedanei del latte", Racc . 1988, pag . 793 ).
19 L' informazione può tuttavia essere fornita in modo efficace senza per questo vietare l' uso della
denominazione "yogurt", imponendo un' etichettatura adeguata che comporti obbligatoriamente
anche la qualificazione "surgelé" onde porre correttamente in evidenza il trattamento particolare
subito dai prodotti di cui è causa .
20 Questa soluzione si impone anche in considerazione del fatto che l' art . 5, n . 3, della direttiva
dispone che la denominazione di vendita può comportare inoltre un' indicazione dello stato fisico in
cui si trova il prodotto alimentare o del trattamento specifico da esso subito, e in questo contesto
fare espressa menzione dello stato "surgelato ".
21 Una soluzione diversa sarebbe ipotizzabile solo nel caso in cui lo yogurt non presenti più, a causa
del surgelamento, le caratteristiche che il consumatore si aspetta acquistando un prodotto con la
denominazione "yogurt ".
22 In proposito occorre rilevare che sia dal Codex alimentarius della FAO e dell' Organizzazione
mondiale della sanità sia dalle normative di diversi Stati membri, citate dalla Commissione, risulta
che l' elemento caratteristico del prodotto venduto come "yogurt" è costituito dalla presenza di
batteri lattici vivi, in quantità abbondante .
23 Stando così le cose, il divieto posto da una normativa nazionale di fare uso della denominazione
"yogurt" per la vendita di prodotti surgelati risulta essere sproporzionato rispetto all' obiettivo della
tutela dei consumatori qualora le caratteristiche dei prodotti surgelati non siano sostanzialmente
diverse, in particolare per quel che riguarda il numero di batteri, dai prodotti freschi, e un' idonea
etichettatura con la data limite di vendita o di consumo sia sufficiente per garantire una corretta
informazione del consumatore .
24 Spetta al giudice nazionale adito valutare, tenendo conto degli elementi di cui dispone, se le
differenze che presentano gli yogurt surgelati rispetto ai requisiti posti dalla normativa nazionale in
materia di yogurt freschi siano così rilevanti da giustificare una diversa denominazione .
25 La prima parte della questione pregiudiziale sollevata dal tribunal de commerce di l' Aigle va
quindi risolta nel senso che l' art . 30 del trattato osta a che uno Stato membro applichi ai prodotti
importati da un altro Stato membro, ove essi sono legalmente prodotti e messi in commercio, una
normativa nazionale che riserva il diritto di usare la denominazione "yogurt" solo allo yogurt fresco e
non allo yogurt surgelato, qualora le caratteristiche di quest' ultimo prodotto non siano
sostanzialmente diverse da quelle del prodotto fresco e un' adeguata etichettatura, con l'
indicazione della data limite per la vendita o per il consumo, basti a garantire al consumatore una
corretta informazione .
Sull' interpretazione della direttiva 79/112/CEE del Consiglio
26 La seconda parte della questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale consiste in
sostanza nell' accertare se gli artt . 5, 15 e 16 della direttiva vadano interpretati nel senso che
ostano a che una normativa nazionale in materia di denominazione di vendita neghi la
denominazione "yogurt" a yogurt che abbia subito un surgelamento .
27 Il governo francese sostiene che il riferimento che il giudice nazionale ha fatto ai precitati articoli
della direttiva è inconferente . In proposito esso rinvia, in particolare, all' art . 5 della direttiva, il
quale riserverebbe agli Stati membri la competenza in materia di denominazione di vendita dei
prodotti alimentari .
28 Per quel che riguarda l' art . 5 della direttiva, occorre rilevare che, ai sensi del n . 1, la
denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista dalle disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative ad esso applicabile o, in mancanza di essa, il nome
consacrato dall' uso nello Stato membro nel quale il prodotto alimentare è venduto al consumatore
finale, o una descrizione di esso e, se necessario, della sua utilizzazione sufficientemente precisa per
consentire all' acquirente di conoscerne la natura effettiva e di distinguerlo dai prodotti con i quali
potrebbe essere confuso .
29 Questa disposizione si riferisce alle denominazioni stabilite dalle normative nazionali degli Stati
membri, ma il suo significato e la sua esatta portata vanno nondimeno valutati tenendo conto del
contesto in cui si situa, in particolare della finalità generale della direttiva e della sua economia .
30 Si deve osservare in proposito che sia dal preambolo della direttiva sia dall' art . 2 risulta che
essa è stata concepita nell' intento di informare e tutelare il consumatore finale dei prodotti
alimentari, in particolare per quel che riguarda la natura, l' identità, le qualità, la composizione, la
quantità, la durata, l' origine o la provenienza e le modalità con cui detti prodotti vengono fabbricati
od ottenuti .
31 Per quel che riguarda più in particolare il surgelamento dei prodotti alimentari, il n . 3 dell' art . 5
dispone che la denominazione di vendita comporta inoltre un' indicazione dello stato fisico in cui si
trova il prodotto o del trattamento specifico da esso subito, se l' omissione di tale indicazione può
confondere l' acquirente . Gli esempi forniti in materia riguardano le indicazioni "in polvere,
liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato ".
32 Poiché il surgelamento di un prodotto è espressamente menzionato in questa disposizione, se ne
deve concludere che uno Stato membro non può negare l' uso di una determinata denominazione
ad un dato prodotto solo perché quest' ultimo ha subito un surgelamento, purché dopo il
trattamento continui a riunire gli altri requisiti che la normativa nazionale esige per la concessione
della denominazione di cui è causa .
33 La questione se lo yogurt, una volta surgelato, risponda sempre a questi altri requisiti stabiliti
dalla normativa francese per la concessione della denominazione "yogurt" è una questione di fatto
la cui valutazione spetta al giudice nazionale .
34 Per quel che riguarda l' art . 15 della direttiva, che consente di vietare il commercio dei prodotti
alimentari conformi alle norme previste dalla direttiva applicando disposizioni nazionali non
armonizzate relative all' etichettatura e alla presentazione dei prodotti alimentari, è sufficiente
rilevare che i motivi che possono giustificare, ai sensi del n . 2 di detto articolo, questi divieti, nel
caso di specie la tutela della salute pubblica e la repressione delle frodi, non ricorrono nel caso di
specie, come è stato sopra dimostrato .
35 Occorre infine constatare che l' art . 16 della direttiva si applica, come risulta dal suo tenore, solo
qualora vi sia fatto espressamente riferimento, cosa che non si verifica per gli artt . 5 e 15 .
36 Si deve quindi risolvere la seconda parte della questione pregiudiziale nel senso che le
disposizioni della direttiva 79/112/CEE, in particolare l' art . 5, vanno interpretate nel senso che
ostano all' applicazione di una normativa nazionale che neghi la denominazione di vendita "yogurt"
a prodotti importati o di origine nazionale che siano stati surgelati, qualora questi possiedano, per il
resto, i requisiti fissati dalla normativa nazionale al fine della concessione di detta denominazione ai
prodotti freschi .
SENTENZA DELLA CORTE DEL 10 NOVEMBRE 1992. - EXPORTUR - CAUSA C-3/91.
Massima:
1. Le disposizioni di una convenzione, stipulata successivamente al 1 gennaio 1958 da uno Stato
membro con un altro Stato membro, non possono, a partire dall' adesione di questo secondo Stato
alla Comunità economica europea, applicarsi nei rapporti fra gli stessi Stati qualora risultino in
contrasto con le norme del Trattato.
2. La tutela delle denominazioni geografiche si estende alle denominazioni, comunemente chiamate
indicazioni di provenienza, che siano usate per prodotti per i quali non si può dimostrare che
debbano un sapore particolare ad un determinato terreno e che siano stati ottenuti secondo
requisiti di qualità e norme di fabbricazione stabiliti da un atto delle pubbliche autorità. Queste
denominazioni possono infatti, al pari delle denominazioni di origine, godere di una grande
reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori, stabiliti nei luoghi che esse designano,
un mezzo essenziale per costituirsi una clientela e pertanto devono essere tutelate.
3. Uno Stato membro, se non vuole trasgredire l' art. 30 del Trattato, non può riservare, mediante
un atto legislativo, ai prodotti nazionali denominazioni che siano state usate per designare prodotti
di provenienza qualsiasi, obbligando le imprese degli altri Stati membri a servirsi di denominazioni
sconosciute o meno apprezzate dal pubblico. A causa della sua natura discriminatoria, una
normativa del genere non fruisce della deroga di cui all' art. 36.
4. Rientrano nella sfera di applicazione dell' art. 30 del Trattato le norme dettate da una
convenzione bilaterale fra Stati membri relative alla tutela delle indicazioni di provenienza e delle
denominazioni d' origine che, quali quelle della convenzione franco-spagnola 27 giugno 1973, si
risolvono nel vietare a imprese stabilite nello Stato d' esportazione di usare nello Stato di
importazione denominazioni tutelate il cui uso sia loro negato dal loro diritto nazionale e nel vietare
a imprese stabilite in un altro qualsiasi degli Stati membri di usare le denominazioni di cui trattasi
nei due Stati contraenti.
Tuttavia detti divieti, qualora non si applichino a denominazioni che abbiano acquistato, all' atto dell'
entrata in vigore della convenzione o successivamente, una natura generica nello Stato di origine,
sono giustificati poiché essi rientrano nell' ambito delle deroghe autorizzate dall' art. 36 del Trattato
per la tutela della proprietà industriale e commerciale. Il loro scopo, che è quello di impedire che i
produttori di uno Stato membro usino le denominazioni geografiche di un altro Stato della
Comunità, sfruttando così la reputazione propria dei prodotti delle imprese stabilite nelle regioni o
nei luoghi indicati da tali denominazioni, mira infatti a garantire la lealtà della concorrenza.
Peraltro, tali divieti non sono in contrasto con l' obbligo per gli Stati membri di rispettare gli usi
lealmente e tradizionalmente seguiti negli altri Stati membri, poiché di esso non possono avvalersi
operatori stabiliti in uno Stato che usino denominazioni che fanno riferimento a regioni o luoghi di
un altro Stato.
Parti
Nel procedimento C-3/91,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177
del Trattato CEE, dalla Cour d' appel di Montpellier, nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Exportur SA
e
LOR SA,
Confiserie du Tech,
domanda vertente sull' interpretazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CEE, per valutare la
compatibilità con dette disposizioni della convenzione fra la Repubblica francese e lo Stato spagnolo,
in data 27 giugno 1973, sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni di provenienza e
delle denominazioni di taluni prodotti,
LA CORTE,
composta dai signori O. Due, presidente, C.N. Kakouris, G.C. Rodríguez Iglelsias e M. Zuleeg,
presidenti di sezione, G.F. Mancini, R. Joliet, F.A. Schockweiler, J.C. Moitinho de Almeida, F.
Grévisse, M. Díez de Velasco e P.J.G. Kapteyn, giudici,
avvocato generale: C.O. Lenz
cancelliere: D. Triantafyllou, amministratore
viste le osservazioni scritte presentate:
- per la LOR SA e la Confiserie du Tech, dall' avv. F. Greffe, del foro di Parigi;
- per il governo tedesco, dal signor J. Karl, Regierungsdirektor del ministero federale dell' Economia,
in qualità di agente;
- per il governo spagnolo, dal signor A.J. Navarro Gonzales, direttore generale del coordinamento
giuridico ed istituzionale comunitario, e dalla signora G. Calvo Diaz, Abogado del Estado, dell' Ufficio
del contenzioso comunitario, in qualità di agenti;
- per il governo del Regno Unito, dal signor J.E. Collins, del Treasury Solicitor' s Department, e dalla
signora E. Sharpston, barrister, in qualità di agenti;
- per la Commissione, dal signor R. Wainwright, consigliere giuridico, in qualità di agente,
vista la relazione d' udienza,
sentite le osservazioni orali della Exportur SA, con gli avv.ti J. Villaceque, del foro dei Pirenei
orientali, e Mitchell, del foro di Parigi, della LOR SA e della Confiserie du Tech, con l' avv. N.
Boespflug, del foro di Parigi, del governo tedesco, rappresentato dal signor A. von Muehlendahl,
Ministerialrat del ministero federale della Giustizia, del governo spagnolo, del governo del Regno
Unito e della Commissione, rappresentata dal signor R. Wainwright, in qualità di agente, e dall' avv.
H. Lehman, del foro di Parigi, all' udienza del 23 gennaio 1992,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 18 marzo 1992,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con sentenza 6 novembre 1990, pervenuta in cancelleria il 3 gennaio 1991, la Cour d' appel di
Montpellier ha sottoposto a questa Corte, in forza dell' art. 177 del Trattato CEE, due questioni
pregiudiziali relative all' interpretazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CEE, a proposito della
tutela in Francia di denominazioni geografiche spagnole.
2 Le questioni sono sorte nell' ambito di una lite fra la società delle imprese esportatrici di Touron di
Jijona (in prosieguo: l' "Exportur"), con sede in Jijona (provincia di Alicante), e le società LOR e
Confiserie du Tech, con sede in Perpignano, a proposito dell' uso da parte di queste, per dolciumi
prodotti in Francia, delle denominazioni "Alicante" e "Jijona", che sono nomi di città spagnole.
3 La LOR e la Confiserie du Tech producono e vendono a Perpignano dei dolciumi, la prima con le
denominazioni "touron Alicante" e "touron Jijona", la seconda con le denominazioni "touron catalan
type Alicante" e "touron catalan type Jijona".
4 A norma dell' art. 3 della convenzione sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni
di provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti, firmata a Madrid il 27 giugno 1973 fra la
Repubblica francese e lo Stato spagnolo (Journal officiel de la Republique française 18 aprile 1975,
pag. 4011, in prosieguo: la "convenzione franco-spagnola"), le denominazioni "Turrón de Alicante" e
"Turrón de Jijona" sono riservate esclusivamente, nel territorio francese, ai prodotti o alle merci
spagnole e possono essere usate unicamente secondo la normativa dello Stato spagnolo. Ai sensi
dell' art. 5, n. 2, di detta convenzione, la norma si applica anche qualora le denominazioni di cui
trattasi siano accompagnate da termini quali "maniera" ("façon"), "genere" o "tipo".
5 Invocando la convenzione franco-spagnola, la Exportur ha invano tentato di ottenere dal giudice
dell' urgenza, indi dal Tribunal de commerce di Perpignano, che fosse vietato alle due imprese
francesi di usare le denominazioni spagnole di cui trattasi. La Exportur ha interposto appello contro
la sentenza del Tribunal de commerce di Perpignano dinanzi alla Cour d' appel di Montpellier.
6 Avendo dei dubbi circa l' interpretazione da dare agli artt. 30, 34 e 36 del Trattato, la Cour d'
appel di Montpellier ha deciso di sospendere il giudizio fino a che la Corte non si sia pronunciata in
via pregiudiziale sulle seguenti questioni:
"1) Se gli artt. 30 e 34 del Trattato CEE debbano essere interpretati nel senso che vietano la tutela
delle denominazioni d' origine o di provenienza disposta dalla convenzione franco-spagnola 27
giugno 1973, in particolare delle denominazioni Alicante o Jijona per i torroni.
2) In caso di soluzione affermativa della questione precedente, se l' art. 36 del Trattato debba
essere interpretato nel senso che autorizza la tutela delle stesse denominazioni".
7 Per una più ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, dello svolgimento del
procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza.
Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del
ragionamento della Corte.
8 In via preliminare, occorre rilevare che con ragione il giudice nazionale ha ritenuto che le
disposizioni di una convenzione stipulata successivamente al 1 gennaio 1958 da uno Stato membro
con un altro Stato non potessero applicarsi, a partire dall' adesione di questo secondo Stato alla
Comunità, nei rapporti fra gli Stati stessi, qualora si rivelassero in contrasto con le norme del
Trattato. Si deve quindi stabilire se le disposizioni della convenzione franco-spagnola siano
compatibili con le norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci.
9 Per risolvere la questione, si deve anzitutto esaminare la convenzione franco-spagnola, il suo
contesto e la sua portata.
Sulla convenzione franco-spagnola, sul suo contesto e sulla sua portata
10 Va posto in rilievo che la convenzione franco-spagnola ha lo scopo di tutelare le indicazioni di
provenienza e le denominazioni di origine spagnole nel territorio francese e, all' inverso, le
indicazioni di provenienza e le denominazioni di origine francesi nel territorio spagnolo.
11 Dall' esame comparato dei diritti nazionali si desume che le indicazioni di provenienza sono
destinate ad informare il consumatore del fatto che il prodotto che le reca proviene da un luogo, da
una regione o da un paese determinati. A questa provenienza geografica può essere connessa una
reputazione più o meno grande. La denominazione d' origine, dal canto suo, garantisce, oltre alla
provenienza geografica del prodotto, il fatto che la merce è stata prodotta secondo i requisiti di
qualità o le norme di produzione disposti da un atto delle pubbliche autorità e controllati dalle stesse
e quindi la presenza di talune caratteristiche specifiche (v. sentenza 9 giugno 1992, causa C-47/90,
Delhaize, Racc. pag. I-3669, punti 17 e 18 della motivazione). Le indicazioni di provenienza sono
tutelate mediante le norme dirette a reprimere la pubblicità ingannevole, come pure lo sfruttamento
abusivo della reputazione altrui. Le denominazioni d' origine sono invece tutelate dalle norme
speciali contenute nelle disposizioni di leggi o di regolamenti che le riconoscono. Queste norme
escludono generalmente l' uso di termini quali "genere", "tipo" o "maniera" ("façon") ed
impediscono, per tutta la durata del regime istituito, la trasformazione di tali denominazioni in
denominazioni generiche.
12 In conformità al principio della territorialità, la tutela delle indicazioni di provenienza e delle
denominazioni d' origine è affidata al diritto del paese nel quale la tutela è chiesta (paese d'
importazione), non già a quello del paese di origine. Questa tutela è quindi determinata dal diritto
del paese d' importazione come pure dalla situazione di fatto e dalle idee correnti in questo paese.
Con riguardo appunto a questa situazione ed a queste idee sarà valutata l' esistenza di una frode a
danno degli acquirenti nazionali ovvero, se del caso, la natura generica della denominazione. Dato
che questa valutazione è indipendente dal diritto del paese di origine e dalla situazione esistente
nello stesso, una denominazione tutelata nel paese di origine in quanto indicazione di provenienza
potrà essere considerata una denominazione generica nel paese d' importazione e viceversa.
13 Appunto a questo principio dell' applicazione del diritto del paese d' importazione deroga la
convenzione franco-spagnola sulla tutela delle denominazioni d' origine, delle indicazioni di
provenienza e delle denominazioni di taluni prodotti.
14 La convenzione franco-spagnola si basa sui seguenti principi:
- le indicazioni di provenienza e le denominazioni di origine tutelate sono riservate ai prodotti e alle
merci del paese d' origine (artt. 2 e 3);
- le denominazioni tutelate sono indicate in due elenchi allegati alla convenzione (artt. 2 e 3);
- la tutela concessa si basa sul diritto del paese d' origine, non già su quello del paese in cui la
tutela è richiesta (artt. 2 e 3);
- la tutela delle denominazioni indicate è completata da una clausola generale la quale vieta che vi
siano, "sui prodotti o sulle merci, nella loro presentazione, sulla confezione o sull' imballaggio
esterno, come pure nelle fatture, bollette di accompagnamento o altri documenti commerciali,
ovvero nella pubblicità", delle indicazioni false o ingannevoli tendenti a indurre in errore l' acquirente
o il consumatore sulla loro effettiva origine o provenienza, sulla loro natura o sulle loro qualità
essenziali (art. 6);
- i divieti posti dalla convenzione valgono del pari qualora delle denominazioni tutelate siano usate
"vuoi tradotte, vuoi con l' indicazione della provenienza effettiva, vuoi con l' aggiunta di termini quali
'maniera' (' façon' ), 'genere' , 'tipo' , 'stile' , 'imitazione' o 'analogo' (' similaire' )" (art. 5, n. 1);
- infine viene precisato che "i prodotti o le merci originari del territorio di uno degli Stati contraenti,
come pure i loro imballaggi, etichette, fatture, bollette d' accompagnamento ed altri documenti
commerciali, i quali, al momento dell' entrata in vigore della presente convenzione, rechino o
menzionino abitualmente delle indicazioni di cui la stessa convenzione vieta l' uso, possono essere
venduti o usati per un periodo di cinque anni a partire dalla data della sua entrata in vigore" (art. 8,
n. 1).
15 Nella parte in cui prescrive di applicare il diritto del paese di origine, la convenzione francospagnola si distingue dalla convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale in data 20
marzo 1883, modificata da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni
unite, vol. 828, n. 11851, pag. 305), e dall' accordo di Madrid riguardante la repressione delle
indicazioni di provenienza false o ingannevoli in data 14 aprile 1891, modificato da ultimo a
Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle Nazioni unite, vol. 828, n. 11848, pag. 163).
In quanto comprende le indicazioni di provenienza e non si limita quindi alle denominazioni di
origine, "riconosciute e tutelate per questo motivo dal paese d' origine", essa differisce dall' accordo
di Lisbona 31 ottobre 1858, riguardante la tutela delle denominazioni d' origine e la loro
registrazione internazionale, modificato a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei Trattati delle
Nazioni unite, vol. 828, n. 13172, pag. 205). Del resto, proprio per porre rimedio alle
manchevolezze delle prime due convenzioni multilaterali sopra menzionate ed alle limitazioni della
terza, numerosi Stati europei hanno concluso accordi bilaterali di questo tipo.
Sull' applicazione del divieto di restrizioni all' importazione e all' esportazione
16 Va ricordato anzitutto che, secondo la costante giurisprudenza (v., in primo luogo, la sentenza 11
luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837, punto 5 della motivazione), il divieto di misure
di effetto equivalente a restrizioni quantitative posto dall' art. 30 riguarda qualsiasi normativa
commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in
potenza, il commercio intracomunitario.
17 Nel presente caso il giudice nazionale ha espresso dei dubbi circa l' applicazione dell' art. 30. In
proposito la Exportur ha sostenuto che la convenzione franco-spagnola ostava alla vendita in
Francia di prodotti francesi ed alla vendita in Spagna di prodotti spagnoli. Viceversa, essa non
osterebbe affatto all' importazione di prodotti spagnoli in Francia o a quella di prodotti francesi in
Spagna. Secondo la Exportur, non vi è quindi una misura di effetto equivalente ai sensi dell' art. 30
e l' interpretazione richiesta non è tale da fornire al giudice nazionale elementi utili per la soluzione
della lite dinanzi ad esso pendente.
18 La tesi della Exportur è infondata. La convenzione franco-spagnola si risolve nel vietare a
imprese spagnole di usare in Francia delle denominazioni spagnole tutelate qualora il diritto di
usarle sia loro negato dal diritto spagnolo e nel vietare a imprese francesi di usare in Spagna delle
denominazioni francesi tutelate qualora il diritto di usare tali denominazioni sia loro negato dal
diritto francese.
19 Inoltre, come hanno giustamente rilevato la LOR e la Confiserie du Tech, l' impresa, stabilita in
uno Stato membro diverso dalla Francia o dalla Spagna, che esportasse merci in uno di questi due
Stati, servendosi di una denominazione tutelata dalla convenzione, si troverebbe di fronte, in questi
due Stati, al divieto di usare la denominazione stessa.
20 Questi effetti potenziali per il commercio intracomunitario bastano per far rientrare i divieti posti
dalla convenzione franco-spagnola nel campo di applicazione dell' art. 30 del Trattato.
21 Per contro, la convenzione franco-spagnola non implica, come prescrive l' art. 34 (v. sentenza 8
novembre 1979, causa 15/79, Groenveld, Racc. pag. 3409, punto 7 della motivazione), misure che
abbiano l' oggetto o l' effetto di restringere specificamente le correnti d' esportazione e di
determinare quindi una differenza di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro ed il
commercio d' esportazione, in modo da garantire un vantaggio particolare ai prodotti nazionali o al
mercato interno dello Stato stesso, a detrimento dei prodotti o del commercio di altri Stati membri.
Come la Exportur ha dimostrato, le disposizioni della convenzione riguardano l' uso delle
denominazioni tutelate unicamente nel territorio dei due Stati contraenti. Lo smercio di prodotti
francesi o spagnoli in altri Stati membri esula dal loro campo d' applicazione. D' altronde, il fatto che
un' impresa francese non possa esportare in Spagna dei prodotti muniti di determinate
denominazioni riservate ai prodotti spagnoli non è dovuto al diritto vigente nel territorio francese in
forza della convenzione franco-spagnola, bensì al diritto spagnolo che andrebbe in ogni modo
applicato in caso di importazioni in Spagna.
22 Il problema va quindi risolto unicamente alla luce dell' art. 30.
Sull' applicazione dell' art. 36 del Trattato
Per quanto riguarda i principi
23 A norma dell' art. 36 del Trattato, l' art. 30 del Trattato non osta ai divieti o alle restrizioni d'
importazione giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale o commerciale.
24 In quanto contiene un' eccezione ad uno dei principi fondamentali del Mercato comune, l' art. 36
ammette tuttavia delle deroghe alla libera circolazione delle merci unicamente qualora queste siano
giustificate dalla salvaguardia dei diritti che costituiscono l' oggetto specifico di detta proprietà (v.
sentenza 31 novembre 1974, causa 16/74, Centrafarm, Racc. pag. 1183, punto 7 della
motivazione).
25 E' quindi opportuno accertare se i divieti posti dalla convenzione franco-spagnola siano
giustificati dalla salvaguardia dei diritti che costituiscono l' oggetto specifico delle indicazioni di
provenienza e delle denominazioni di origine.
26 La LOR e la Confiserie du Tech sostengono anzitutto che i torroni prodotti ad Alicante e a Jijona
non differiscono in modo significativo, per quanto riguarda la composizione e la qualità, da quelli
che esse producono a Perpignano. Le qualità e le caratteristiche di tali torroni non avrebbero alcun
rapporto con la loro origine geografica. Esse ne concludono, richiamandosi alla sentenza 20 febbraio
1975, causa 12/74, Commissione/Germania (Racc. pag. 181), che la convenzione franco-spagnola è
incompatibile con il diritto comunitario.
27 La Commissione, dal canto suo, richiamandosi alla stessa sentenza Commissione/Germania,
sostiene che la funzione specifica della denominazione geografica sussiste e il divieto per le altre
imprese di usare la denominazione è giustificato dalla tutela della proprietà commerciale unicamente
se il prodotto designato dalla denominazione tutelata possiede delle qualità e delle caratteristiche
dovute all' ubicazione geografica della sua provenienza e tali da contraddistinguerlo. Essa precisa
che nel caso in cui il prodotto non tragga un sapore particolare da un determinato terreno, l'
etichettatura che indichi il luogo d' origine o di provenienza effettiva del prodotto, ai sensi dell' art.
3, settimo comma, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, riguardante l'
etichettatura e la presentazione di prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la
relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), basterebbe per tutelare il consumatore dal rischio di
errore.
28 La posizione assunta dalla Commissione, che concorda con quella difesa dalla LOR e dalla
Confiserie du Tech, va disattesa. Essa si risolverebbe infatti nel privare di qualsiasi tutela le
denominazioni geografiche che siano usate per dei prodotti per i quali non si può dimostrare che
debbano un sapore particolare ad un determinato terreno e che non siano stati ottenuti secondo
requisiti di qualità e norme di fabbricazione stabiliti da un atto delle pubbliche autorità,
denominazioni comunemente chiamate indicazioni di provenienza. Queste denominazioni possono
ciò nondimeno godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori,
stabiliti nei luoghi che esse designano, un mezzo essenziale per costituirsi una clientela. Esse
devono quindi essere tutelate.
29 La sentenza Commissione/Germania, sopra menzionata, non ha la portata attribuita dalla
Commissione. Da essa si desume in sostanza che uno Stato membro, se non vuole trasgredire l' art.
30, non può riservare, mediante un atto legislativo, ai prodotti nazionali denominazioni che siano
state usate per designare prodotti di provenienza qualsiasi, obbligando le imprese degli altri Stati
membri a servirsi di denominazioni sconosciute o meno apprezzate dal pubblico. A causa della sua
natura discriminatoria, una normativa del genere non fruisce della deroga di cui all' art. 36.
30 Va del resto ricordato che, nella sentenza 25 aprile 1985, causa 207/83, Commissione/Regno
Unito (Racc. pag. 1201, punto 21 della motivazione), la Corte ha deciso che il Trattato non
rimetteva in discussione l' esistenza delle norme che consentono di far vietare l' uso di indicazioni d'
origine false.
Per quanto riguarda l' uso precedente, antico, leale e tradizionale
31 Richiamandosi alla sentenza 13 marzo 1984, causa 16/83, Prantl (Racc. pag. 1299), la LOR e la
Confiserie du Tech hanno sostenuto inoltre che la tutela delle denominazioni geografiche era
giustificata unicamente purché non fosse leso l' uso leale e tradizionale da parte di terzi, e che l'
applicazione della convenzione franco-spagnola non poteva risolversi nel vietare loro di usare le
denominazioni "Turrón de Jijona" e "Turrón de Alicante", dal momento che esse le usavano
costantemente e lealmente già da molto tempo.
32 Questo argomento va disatteso. E' vero che nella sentenza Prantl è detto che, quando si tratta di
stabilire se una normativa nazionale, per difendere una designazione indiretta di origine geografica
allo scopo di tutelare il consumatore, possa vietare lo smercio di vini importati in un certo tipo di
bottiglia, si deve rilevare che, in un regime di mercato comune, la difesa dei consumatori e la lealtà
dei negozi commerciali in fatto di presentazione dei vini devono essere garantite rispettando
vicendevolmente gli usi lealmente e tradizionalmente seguiti nei vari Stati membri.
33 In detta sentenza la Corte ha concluso che l' esclusiva d' uso di un tipo di bottiglia, garantita da
una normativa nazionale in uno Stato membro, non può quindi essere opposta all' importazione di
vini originari di un altro Stato membro, contenuti in bottiglie di forma identica o analoga in forza di
un uso lealmente e tradizionalmente seguito in tale Stato membro.
34 Nel presente caso, senza che sia necessario pronunciarsi sul punto, controverso fra le parti nella
causa principale, se l' uso delle denominazioni "Touron Alicante" e "Touron Jijona" da parte della
LOR e della Confiserie du Tech sia anteriore alla convenzione franco-spagnola, va posto in rilievo
che la situazione alla quale la sentenza Prantl si riferiva è diversa da quella in esame. Nella causa
Prantl, la discussione dinanzi alla Corte aveva fatto emergere (v. punto 28 della sentenza) che
bottiglie dello stesso tipo del "Bocksbeutel", o che rispetto a questo avevano differenze impercettibili
per il consumatore, servivano tradizionalmente per lo smercio dei vini originari di talune regioni d'
Italia. In altre parole, in origine la forma della bottiglia era stata del pari usata nello Stato membro
esportatore; si trattava di provvedere alla coesistenza di un' indicazione indiretta di provenienza
nazionale e di un' indicazione indiretta di provenienza straniera. La situazione non è quindi per nulla
simile all' uso di denominazioni di città spagnole da parte di imprese francesi, uso che solleva il
problema della tutela in uno Stato di denominazioni di un altro Stato.
Per quanto riguarda la legittimità dell' estensione del regime vigente nello Stato d' origine allo Stato
nel quale la tutela è richiesta
35 La LOR e la Confiserie du Tech hanno inoltre sostenuto che le denominazioni "Touron Alicante" e
"Touron Jijona" sono denominazioni generiche che designano dei tipi di prodotti e non fanno più
pensare ad una provenienza geografica determinata.
36 La tesi dev' essere intesa nel senso che la convenzione, in ossequio all' art. 30 del Trattato, non
potrebbe vietare l' uso in Francia di una denominazione spagnola che sia divenuta generica in
Francia. Il problema è quindi se sia in contrasto con la libera circolazione delle merci il fatto che un
accordo bilaterale fra due Stati membri renda applicabile, in deroga al principio della territorialità, il
diritto del paese di origine anziché quello dello Stato in cui la tutela è richiesta. E' questo il problema
che si deve ora esaminare.
37 In proposito va rilevato che lo scopo della convenzione è quello di impedire che i produttori di
uno Stato contraente usino le denominazioni geografiche di un altro Stato, sfruttando così la
reputazione propria dei prodotti delle imprese stabilite nelle regioni o nei luoghi indicati da tali
denominazioni. Uno scopo siffatto, che mira a garantire la lealtà della concorrenza, può essere
considerato compreso nella salvaguardia della proprietà industriale e commerciale ai sensi dell' art.
36, purché le denominazioni non abbiano acquistato, al momento dell' entrata in vigore della
convenzione o in un momento successivo, natura generica nello Stato d' origine.
38 Giacché la tutela garantita da uno Stato a denominazioni indicanti regioni o luoghi del proprio
territorio è giustificata alla luce dell' art. 36 del Trattato, questo non osta nemmeno a che tale tutela
sia estesa al territorio di un altro Stato membro.
39 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, le questioni sollevate dal giudice nazionale
vanno risolte nel senso che gli artt. 30 e 36 del Trattato non ostano all' applicazione delle norme di
una convenzione bilaterale fra Stati membri relativa alla tutela delle indicazioni di provenienza e
delle denominazioni d' origine, quale la convenzione franco-spagnola 27 giugno 1973, purché le
denominazioni tutelate non abbiano acquistato, al momento dell' entrata in vigore della convenzione
o in un momento successivo, natura generica nello Stato d' origine.
SENTENZA DELLA CORTE
7 novembre 2000 (1)
«Protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine Regolamento (CEE) n. 2081/92 - Ambito di applicazione - Disciplina nazionale che
proibisce l'uso ingannevole delle indicazioni di origine geografica dette semplici»
Nel procedimento C-312/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177
del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Bundesgerichtshof (Germania), nella causa dinanzi ad
esso pendente tra
Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV,
e
Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG,
domanda vertente sull'interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081,
relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti
agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1)
LA CORTE,
composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann, A. La Pergola, M. Wathelet e
V. Skouris, presidenti di sezione, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, P. Jann, L. Sevón, R. Schintgen
(relatore) e dalla signora F. Macken, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
- per lo Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, dall'avv. E.M. Gerstenberg, del foro di
Monaco di Baviera;
- per la Warsteiner Brauerei Haus Cramer Gmbh & Co. KG, dall'avv. W. Witz, del foro di Mannheim;
- per il governo tedesco, dai signori W.-D. Plessing, Ministerialrat presso il ministero federale
dell'Economia, e A. Dittrich, Ministerialrat presso il ministero federale della Giustizia, in qualità di
agenti;
- per il governo ellenico, dal signor I.K. Chalkias, consigliere giuridico aggiunto presso l'Avvocatura
Page 1 of 13
26/08/2003http://curia.eu.int/jurisp/cgibin/gettext.pl?lang=it&num=79998892C19980312&doc=T&o
uvert=T&seance=ARRET ...
dello Stato, in qualità di agente;
- per il governo francese, dalle signore K. Rispal-Bellanger, vicedirettore presso la direzione Affari
giuridici del Ministero degli Affari esteri, e C. Vasak, segretario aggiunto agli Affari esteri presso la
stessa direzione, in qualità di agenti;
- per il governo italiano, dal professor U. Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del
Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor I.M. Braguglia, avvocato dello
Stato;
- per il governo austriaco, dalla signora C. Pesendorfer, Oberrätin presso la Cancelleria, in qualità di
agente;
- per la Commissione delle Comunità europee, dal signor J.L. Iglesias Buhigues, consigliere giuridico,
in qualità di agente, assistito dall'avv. B. Wägenbaur, del foro di Bruxelles,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali dello Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, rappresentato
dagli avv.ti E.M. Gerstenberg e C. Eggers, del foro di Francoforte sul Meno, della Warsteiner
Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG, rappresentata dall'avv. W. Witz, del governo tedesco,
rappresentato dal signor H. Heitland, Regierungsdirektor presso il Ministero federale della Giustizia,
in qualità di agente, del governo ellenico, rappresentato dal signor I.K. Chalkias, del governo
italiano, rappresentato dalla signora F. Quadri, avvocato dello Stato, e della Commissione,
rappresentata dal signor J.L. Iglesias Buhigues, assistito dall'avv. B. Wägenbaur, all'udienza del 22
marzo 2000,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 25 maggio 2000,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 2 luglio 1998, giunta alla Corte il 12 agosto successivo, il Bundesgerichtshof ha
proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale
vertente sull'interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo
alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed
alimentari (GU L 208, pag. 1).
2. Detta questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia che oppone lo Schutzverband
gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, un'associazione che ha come oggetto sociale la lotta alla
concorrenza sleale (in prosieguo: lo «Schutzverband»), alla Warsteiner Brauerei Haus Cramer Gmbh
& Co. KG (in prosieguo: la «Warsteiner Brauerei»), in relazione all'uso da parte di quest'ultima della
denominazione «Warsteiner» sulle etichette applicate alle bottiglie di determinati tipi di birra che
essa produceva in una birreria situata a Paderborn, località a 40 km da Warstein.
La disciplina nazionale
3. In Germania, l'art. 3 del Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge tedesca sulla
concorrenza sleale; in prosieguo: l'«UWG») del 7 giugno 1909 dispone:
«Contro chiunque fornisca, nell'ambito di relazioni commerciali, per ragioni di concorrenza,
indicazioni ingannevoli relative (...) all'origine (dei prodotti) può essere intentata un'azione inibitoria
dell'uso di tali indicazioni».
4. Il Gesetz über den Schutz von Marken und sonstigen Kennzeichen (legge tedesca sulla
protezione dei marchi e altri contrassegni; in prosieguo: il «Markengesetz») del 25 ottobre 1994
(BGBl 1994 I, pag. 3082), entrato in vigore il 1° gennaio 1995, stabilisce, all'art. 1, recante a rubrica
«Marchi tutelati e altri contrassegni»:
«Sono tutelati in forza della presente legge:
1. i marchi,
2. le ditte, le insegne e le denominazioni sociali,
3. le indicazioni di origine geografica».
5. Le indicazioni di origine geografica sono disciplinate dalla parte sesta del Markengesetz. Detta
parte si compone di tre sezioni, la prima delle quali (artt. 126-129) riguarda la «protezione delle
indicazioni di origine geografica» e la seconda (artt. 130-136) la «protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni d'origine ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92».
6. L'art. 126, n. 1, del Markengesetz, intitolato «Denominazioni, indicazioni o contrassegni tutelati
quali indicazioni di origine geografica», prevede che:
«Per indicazioni di origine geografica si intendono, ai sensi della presente legge, i nomi di luoghi,
regioni, territori o paesi, nonché le altre indicazioni o contrassegni usati nelle relazioni commerciali
per indicare la origine geografica di prodotti o di servizi».
7. L'art. 126, n. 2, precisa che «le denominazioni, le indicazioni o i contrassegni di cui al numero 1
non godono di tutela quali indicazioni di origine geografica allorché si tratti di denominazioni
generiche».
8. L'art. 127 del Markengesetz, intitolato «Portata della protezione», dispone:
«1. Le indicazioni di origine geografica non possono essere usate nelle relazioni commerciali per
prodotti o servizi che non provengono dal luogo, dalla regione, dal territorio o dal paese che le
stesse indicano, allorché l'uso di tali denominazioni, indicazioni o contrassegni per prodotti o servizi
di diversa origine comporti un rischio di frode circa la loro origine geografica.
2. Allorché un'indicazione di origine geografica designi prodotti o servizi che possiedono
caratteristiche particolari o una qualità particolare, l'indicazione di origine geografica può essere
usata nelle relazioni commerciali per tale tipo di prodotti o di servizi aventi tale origine solo quando
gli stessi presentano tali caratteristiche o tale qualità.
3. Allorché un'indicazione di origine geografica goda di particolare rinomanza, non può essere usata
nelle relazioni commerciali per prodotti o servizi di diversaorigine, ancorché in assenza di
qualsivoglia rischio di frode circa l'origine geografica, se il suo uso per prodotti o servizi di diversa
provenienza è atto a produrre un vantaggio sleale e ingiusto grazie alla rinomanza o alla qualità
caratteristica dell'indicazione di origine geografica, o a recarvi pregiudizio.
9. In forza dell'art. 128, n. 1, del Markengesetz:
«Un'azione inibitoria può essere intentata da parte di chi è legittimato in forza dell'art. 13, n. 2, della
legge sulla concorrenza sleale [UWG] contro chiunque usi nelle relazioni commerciali denominazioni,
indicazioni o contrassegni in violazione dell'art. 127.».
10. Al riguardo, risulta dall'ordinanza di rinvio che l'art. 13, n. 2, dell'UWG si riferisce ai concorrenti,
alle associazioni di categoria, alle associazioni dei consumatori e alle camere di commercio, industria
e artigianato.
11. Gli artt. 130-136 del Markengesetz regolano in particolare la procedura per la registrazione
delle indicazioni geografiche e per le denominazioni d'origine ai sensi del regolamento n. 2081/92, le
modalità di sorveglianza e di controllo previste dalle disposizioni di detto regolamento, i tipi di
ricorso esistenti in materia e i termini di prescrizione.
La disciplina comunitaria
Il regolamento n. 2081/92
12. Il regolamento n. 2081/92, entrato in vigore il 25 luglio 1993, ricorda, al suo quinto
'considerando, «che in relazione all'etichettatura i prodotti agricoli e alimentari sono soggetti alle
norme generali fissate dalla Comunità e segnatamente all'osservanza della direttiva 79/112/CEE del
Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità
[GU 1979, L 33, pag. 1]; che, tenuto conto della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di
disposizioni particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una
determinata area geografica».
13. Il regolamento n. 2081/92 constata parimenti, al suo settimo 'considerando, «che le prassi
nazionali di elaborazione e di attribuzione delle denominazioni di origine e delle indicazioni
geografiche sono attualmente eterogenee; che è necessario prospettare un approccio comunitario;
che in effetti un quadro normativo comunitario recante un regime di protezione favorirà la diffusione
delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine poiché garantirà, tramite
un'impostazione più uniforme, condizioni di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che
beneficiano di siffattediciture, ciò che farà aumentare la credibilità dei prodotti in questione agli
occhi dei consumatori».
14. Il nono e il decimo 'considerando del regolamento n. 2081/92 recitano come segue:
«considerando che il campo d'applicazione del presente regolamento si limita ai prodotti agricoli e
alimentari in ordine ai quali esiste un nesso fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine
geografica; che, tuttavia, all'occorrenza detto campo d'applicazione potrebbe essere esteso ad altri
prodotti;
considerando che, tenuto conto delle prassi esistenti, sembra opportuno definire due diversi livelli di
riferimento geografico, ossia le indicazioni geografiche protette e le denominazioni di origine
protette».
15. L'art. 1 del regolamento n. 2081/92 prevede:
«1. Il presente regolamento stabilisce le norme relative alla protezione delle denominazioni d'origine
e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli destinati all'alimentazione umana elencati
nell'allegato II del trattato e dei prodotti alimentari elencati nell'allegato I del presente regolamento,
nonché dei prodotti agricoli elencati nell'allegato II del presente regolamento.
(...)
2. Il presente regolamento si applica senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie particolari.
(...)».
16. L'allegato I al citato regolamento, intitolato «Prodotti alimentari di cui all'articolo 1, paragrafo
1», cita la «Birra» al primo trattino.
17. Ai sensi dell'art. 2, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2081/92:
«1. La protezione comunitaria delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche dei
prodotti agricoli ed alimentari è ottenuta conformemente al presente regolamento.
2. Ai fini del presente regolamento si intende per:
a) »denominazione d'origine: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali,
di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare
- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e
- la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente
geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed
elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata;
b) indicazione geografica: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di
un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare
- originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e
- di cui una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita
all'origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area
geografica determinata».
18. Il regolamento n. 2081/92 indica, al suo dodicesimo 'considerando, che «per usufruire della
protezione in ciascuno degli Stati membri, le indicazioni geografiche e le denominazioni d'origine
devono essere registrate a livello comunitario» e che «l'iscrizione in un registro consente altresì di
garantire l'informazione degli operatori del settore e dei consumatori».
19. Gli artt. 5-7 del regolamento n. 2081/92 disciplinano la procedura di registrazione delle
indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine di cui all'art. 2, detta «procedura ordinaria».
Secondo l'art. 5, n. 4, la domanda di registrazione va inviata allo Stato membro sul cui
territorio è situata l'area geografica interessata. Lo Stato membro verifica, ai sensi del n. 5 di tale
disposizione, che la domanda sia giustificata e la trasmette alla Commissione.
20. Tenuto conto del fatto che l'istruttoria di una domanda di registrazione da parte della
Commissione richiede un certo tempo e che si è ritenuto necessario, in attesa di una decisione
relativa alla registrazione di una denominazione, che lo Stato membro conceda una protezione
nazionale transitoria, il regolamento n. 2081/92 è stato modificato dal regolamento (CE) del
Consiglio 17 marzo 1997, n. 535 (GU L 83, pag. 3), che ha inserito all'art. 5, n. 5, dopo il n. 1, il
testo che segue:
«Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla denominazione così trasmessa una
protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di
adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della trasmissione; (...)
La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla data in cui è adottata una
decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento. (...)
Le conseguenze di una tale protezione nazionale, nel caso in cui la denominazione non fosse
registrata ai sensi del presente regolamento, sono responsabilità esclusiva dello Stato membro
interessato.
Le misure adottate dagli Stati membri in virtù del secondo comma hanno efficacia solo a livello
nazionale e non devono ostacolare gli scambi intracomunitari».
21. L'art. 17 del regolamento n. 2081/92 introduce una procedura di registrazione semplificata,
applicabile alla registrazione delle denominazioni già esistenti alla data di entrata in vigore del
regolamento. Esso dispone:
«1. Entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data dell'entrata in vigore del presente
regolamento, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle
giuridicamente protette o, negli Stati membri in cui non vige un sistema di protezione, sancite
dall'uso, essi desiderano far registrare a norma del presente regolamento.
2. La Commissione registra, secondo la procedura prevista all'articolo 15, le denominazioni di cui al
paragrafo 1 conformi agli articoli 2 e 4. L'articolo 7 non si applica. Tuttavia non vengono registrate
le denominazioni generiche.
3. Gli Stati membri possono mantenere la protezione nazionale delle denominazioni comunicate in
conformità del paragrafo 1 sino alla data in cui viene presa una decisione in merito alla
registrazione».
22. In forza dell'art. 8 del regolamento n. 2081/92: «Le menzioni DOP, IGP o le menzioni
tradizionali equivalenti possono figurare solo su prodotti agricoli ed alimentari conformi al presente
regolamento».
23. Ai sensi dell'art. 13 del regolamento n. 2081/92:
«1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:
a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti
che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti
registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di
sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o
se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali genere, tipo,
metodo, alla maniera, imitazione o simili;
c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o
alle qualità essenziali dei prodotti usata sullaconfezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui
documenti relativi ai prodotti considerati nonché l'impiego, per la confezione, di recipienti che
possono indurre in errore sull'origine;
d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.
Se una denominazione registrata contiene la denominazione di un prodotto agricolo o alimentare
che è considerata generica, l'uso di questa denominazione generica per il prodotto agricolo o
alimentare appropriato non è contrario al primo comma, lett. a) o b).
2. Gli Stati membri possono tuttavia mantenere le misure nazionali che autorizzano l'impiego delle
espressioni di cui alla lett. b) del paragrafo 1 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere
dalla data di pubblicazione del presente regolamento, sempreché:
- i prodotti siano stati commercializzati legalmente con tali espressioni per almeno cinque anni prima
della data di pubblicazione del presente regolamento;
- dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.
Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera commercializzazione dei prodotti nel territorio di
uno Stato membro per il quale dette espressioni erano vietate.
3. Le denominazioni protette non possono diventare generiche».
24. Al fine di tener conto in particolare del fatto che solo nel marzo 1996 la Commissione ha
presentato al Consiglio la prima proposta di registrazione delle indicazioni geografiche e delle
denominazioni di origine che essa doveva elaborare ai sensi dell'art. 17, n. 2, del regolamento n.
2081/92, vale a dire dopo che la maggior parte del periodo transitorio di cinque anni previsto all'art.
13, n. 2, dello stesso regolamento era già trascorso, il regolamento n. 535/97, entrato in vigore il 28
marzo 1997, ha sostituito quest'ultimo numero con il testo seguente:
«In deroga al paragrafo 1 lett. a) e b), gli Stati membri possono lasciare in vigore i sistemi nazionali
che consentono l'impiego delle denominazioni registrate in virtù dell'art. 17 per un periodo massimo
di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione della registrazione, sempreché:
- i prodotti siano stati legalmente immessi in commercio con tali denominazioni da almeno cinque
anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento,
- le imprese abbiano legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando in modo
continuativo le denominazioni durante il periodo di cui al primo trattino,
- dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.
Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera immissione in commercio dei prodotti nel
territorio di uno Stato membro per il quale tali denominazioni erano vietate».
La causa principale e la questione pregiudiziale
25. La Warsteiner Brauerei gestisce, dal 1753, una birreria in Warstein, nella Renania
settentrionaleVestfalia (Germania). Essa è titolare del marchio «Warsteiner» per la «birra di tipo
Pilsen», registrato il 24 ottobre 1990 presso il Deutsche Patentamt (Ufficio brevetti tedesco) dopo
che era stato dimostrato che tale marchio si era ormai affermato sul mercato. E' pacifico che una
birra prodotta a Warstein non possiede alcuna specifica caratteristica che le derivi da detta località e
che la birra denominata «Warsteiner» deve la sua rinomanza alla qualità della birra e all'attività
promozionale del marchio «Warsteiner».
26. Nell'autunno 1990 la Warsteiner Brauerei acquistava una birreria in Paderborn, situata a km 40
da Warstein, nella quale ha prodotto birra di tipo «Light» e «Fresh» sino alla fine del 1991. Le
etichette applicate sulla parte anteriore delle bottiglie di questi tipi di birra presentavano tra l'altro la
menzione «Warsteiner» o «Marke Warsteiner» (marchio Warsteiner). Le etichette applicate sulla
parte posteriore indicavano tra l'altro che i tipi di birra in argomento erano prodotti e imbottigliati
«in unserer neuen Paderborner Brauerei» (nella nostra nuova birreria di Paderborn).
27. Ritenendo che tali etichette traessero in inganno, lo Schutzverband ha citato in giudizio la
Warsteiner Brauerei davanti al Landgericht Mannheim (Germania) perché le fosse inibito, ai sensi
dell'art. 3 dell'UWG, l'uso dell'indicazione di origine geografica «Warsteiner» per la birra prodotta a
Paderborn.
28. Davanti al Landgericht Mannheim, la Warsteiner Brauerei ha in particolare fatto valere che la
denominazione «Warsteiner» non implicherebbe alcuna allusione a una qualsivoglia provenienza
geografica, dato che la località Warstein sarebbe praticamente sconosciuta e che ad ogni buon
conto la rinomanza della birra non dipenderebbe dalle caratteristiche particolari attribuibili a tale
località. Essa aggiungeva che anche molte altre birre che recano una denominazione evocante
un'origine geografica non sarebbero esclusivamente prodotte nella località a cui la denominazione si
riferisce.
29. Il Landgericht Mannheim, dopo aver fatto procedere a una perizia demoscopica, ha accolto
l'azione inibitoria promossa dallo Schutzverband e, con sentenza 10 giugno 1994, ha vietato alla
Warsteiner Brauerei di offrire in vendita, distribuire e/o porre in commercio le birre prodotte nella
birreria di Paderborn, recanti le etichette contestate.
30. Con sentenza 14 febbraio 1996, l'Oberlandesgericht Karlsruhe (Germania), decidendo in sede di
appello, ha riformato la sentenza del Landegericht Mannheim e respinto la domanda dello
Schutzverband. Dopo aver disposto una perizia integrativa, l'Oberlandesgericht Karlsruhe ha infatti
dichiarato che dal sondaggio risulterebbe che una parte considerevole delle persone interrogate non
era tratta in inganno da questa denominazione in modo rilevante, cioè in modo tale da influenzare il
comportamento dei consumatori. Esso ha constatato che solo l'8% dei consumatori di birra
interrogati, ancorché bevitori in via rara od occasionale, sarebbero stati a conoscenza dell'esistenza
di una località chiamata Warstein e le avrebbero attribuito importanza.
31. Nella sua sentenza, l'Oberlandesgericht Karlsruhe ha parimenti esaminato le pretese fondate sul
Markengesetz, entrato nel frattempo in vigore, e, come risulta dalle osservazioni scritte presentate
alla Corte dalla Warsteiner Brauerei, ha al riguardo indicato:
«La pretesa invocata non può più fondarsi sul combinato disposto degli artt. 128, n. 1, da un alto, e
126 e 127, dall'altro, del Markengesetz. Per il diritto dei marchi, la protezione delle denominazioni
d'origine geografica presuppone essa stessa l'esistenza di un rischio di frode (art. 127, n. 1, del
Markengesetz). Esattamente come per l'art. 3 dell'UWG, occorre basarsi sull'esistenza di
un'indicazione ingannevole che influenzi la scelta al momento dell'acquisto».
32. La controversia è stata infine portata dinanzi al Bundesgerichtshof che, nella sua ordinanza di
rinvio, osserva innanzi tutto che per la valutazione giuridica della controversia vengono
segnatamente in rilievo le disposizioni del Markengesetz. Esso sottolinea che la protezione delle
indicazioni di origine geografica è stata ampliata tramite l'adozione di tale nuova legislazione, che ha
carattere di «lex specialis». Per sua natura, questa protezione continuerebbe a trovare un suo
fondamento nel diritto della concorrenza, ma disposizioni come quella dell'art. 3 dell'UWG
potrebbero essere invocate solo a titolo suppletivo, per fattispecie che non ricadono sotto gli artt.
126 e seguenti del Markengesetz. In assenza di attribuzione della denominazione a un singolo
titolare (esclusivista), le indicazioni di origine geografica non costituirebbero tuttavia un particolare
tipo di proprietà intellettuale.
33. Il Bundesgerichtshof rileva in seguito che la protezione dei concorrenti sarebbe motivo
sufficiente per giustificare il divieto di apporre su un prodotto indicazioni inesatte quanto alla sua
provenienza geografica, di modo che la protezione delle indicazioni di origine geografica dovrebbe
essere assicurata anche quando l'origine del prodotto è ininfluente sulle scelte di acquisto del
consumatore.
34. Secondo il Bundesgerchtshof, la protezione delle indicazioni di origine geografica semplici di cui
all'art. 127, n. 1, del Markengesetz non presupporrebbe che le indicazioni di cui trattasi siano note in
quanto tali, vale a dire, nella causa principale, in quanto riferimento a una località chiamata
«Warstein», ma richiederebbero semplicemente che la località indicata non sia palesemente
inimmaginabile come luogodi produzione, a motivo della sua specificità o delle caratteristiche
particolari del prodotto. Questa protezione non sarebbe neppure subordinata alla condizione che il
consumatore associ a questa indicazione qualità particolari, che si esplicitano in caratteristiche
regionali o locali. Per statuire sulla controversia principale, sarebbe perciò inutile sapere se il
consumatore associ al luogo di origine della birra particolari aspettative di qualità o se l'indicazione
«Warsteiner», in quanto indicazione di origine, rivesta una qualsivoglia importanza nel determinare
il consumatore all'acquisto.
35. Il Bundesgerichtshof considera infine che il regolamento n. 2081/92 che, ai sensi del suo art. 2,
n. 2, lett. b), protegge le indicazioni geografiche dei prodotti alimentari solo se una determinata
qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica, non si
opponga di norma alla protezione nazionale delle indicazioni di origine geografica semplici. Esso
tuttavia ritiene che né la Corte, nella sua sentenza 7 maggio 1997, cause riunite da C-321/94 a
C324/94, Pistre e a. (Racc. pag. I-2343), né la Commissione nelle osservazioni scritte presentate in
occasione di detta causa, abbiano mai dato una risposta chiara e definitiva alla questione se la
protezione delle indicazioni geografiche e denominazioni d'origine introdotta dal regolamento n.
2081/92 escluda ogni ulteriore e più estesa protezione nazionale.
36. Ritenendo che, in base a tali premesse, la soluzione della controversia dipendesse
dall'interpretazione del regolamento n. 2081/92, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il
procedimento e di porre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle
indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari, osti ad una
normativa nazionale che proibisca l'uso ingannevole di una denominazione di origine geografica
semplice, vale a dire di un'indicazione che non implica nessun rapporto fra le caratteristiche del
prodotto e la sua origine geografica».
La questione pregiudiziale
37. Va ricordato, preliminarmente, che il quinto 'considerando del regolamento n. 2081/92 precisa
che i prodotti agricoli e alimentari sono soggetti, per quanto riguarda la loro etichettatura, alle
norme generali fissate dalla Comunità e segnatamente all'osservanza della direttiva 79/112.
38. Va parimenti rilevato che, nelle sue osservazioni scritte, il governo tedesco sottolinea
espressamente che gli artt. 126 e seguenti del Markengesetz, come già, in particolare, l'art. 3
dell'UWG, mirano a proteggere dalle frodi il consumatore al pari della direttiva 79/112.
39. Si deve tuttavia constatare che il giudice nazionale non ha interpellato la Corte
sull'interpretazione di tale direttiva, ma che la questione pregiudiziale proposta si riferisce solo alle
disposizioni del regolamento n. 2081/92.
40. Letta in relazione alla normativa nazionale applicabile, la questione proposta deve perciò essere
letta come volta a stabilire se il regolamento n. 2081/92 osti a una normativa nazionale che
proibisca l'uso ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto
tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.
41. Al riguardo, va prima di tutto rilevato che risulta dalla giurisprudenza della Corte che, in
mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio di un prodotto, spetta,
in linea di principio, agli Stati membri disciplinare, ciascuno nell'ambito del proprio territorio, tutto
ciò che riguarda il commercio di tale prodotto, comprese la sua denominazione e la sua
etichettatura, fatto salvo qualsiasi provvedimento comunitario adottato al fine di ravvicinare le
legislazioni nazionali in queste materie (sentenza 16 dicembre 1980, causa 27/80, Fietje, Racc. pag.
3839, punto 7).
42. Si deve rilevare in seguito che, conformemente ai suoi artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1 e 2, il
regolamento n. 2081/92 disciplina la protezione comunitaria delle denominazioni d'origine e delle
indicazioni geografiche di cui al detto regolamento.
43. Orbene, ai sensi del suo art. 2, n. 2, lett. b), il regolamento n. 2081/92 ha ad oggetto solo le
indicazioni geografiche per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualità, la reputazione
o un'altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dall'altro (v.,
in tal senso, la citata sentenza Pistre e a., punto 35).
44. E' pacifico che le indicazioni di origine geografica semplici che, secondo i termini usati dal
giudice nazionale nella questione pregiudiziale, non implicano nessun rapporto fra le caratteristiche
del prodotto e la sua origine geografica, non rientrano in questa definizione e non possono pertanto
trovare protezione in virtù del regolamento n. 2081/92.
45. Tuttavia, non vi è nulla nel regolamento n. 2081/92 che indichi che tali indicazioni di origine
geografica non possano essere tutelate in forza di una disciplina nazionale di uno Stato membro.
46. Al contrario, risulta espressamente dal nono 'considerando del regolamento n. 2081/92 che il
suo campo d'applicazione si limita alle denominazioni in ordine alle quali esiste un nesso fra le
caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.
47. Peraltro, nella citata sentenza Pistre e a., punti 39 e 40, la Corte ha già dichiarato che il
regolamento n. 2081/92 non osta all'applicazione di una normativa nazionale che tuteli
denominazioni le quali implichino riferimenti geografici specifici i quali, se esistessero nessi tra le
caratteristiche dei prodotti richiamate da tali denominazioni e la zona geografica alla quale rinviano,
potrebbero formare oggetto di una registrazione ai sensi del detto regolamento.
48. La Warsteiner Brauerei e il governo ellenico obiettano che il fatto di autorizzare, a fianco del
regolamento n. 2081/92, disposizioni nazionali sulla protezione di indicazioni geografiche che non si
raccordano con i presupposti di protezione stabiliti nel regolamento si scontrerebbe con lo scopo
scopo stesso di quest'ultimo che, conformemente, in particolare, al suo settimo 'considerando,
sarebbe quello di introdurre un sistema comunitario di protezione delle indicazioni geografiche e
delle denominazioni di origine sostituendo le svariate prassi nazionali in materia con un insieme di di
regole comunitarie e un approccio più uniforme. Secondo il governo ellenico, il mantenimento di tali
disposizioni nazionali metterebbe inoltre fondamentalmente in causa il sistema comunitario di
registrazione introdotto tramite il regolamento n. 2081/92, per il fatto che esso permetterebbe la
protezione di indicazioni geografiche senza che siano rispettate le regole di procedura e i rigidi
presupposti sostanziali cui sono subordinate la loro registrazione e, pertanto, la loro protezione ai
sensi del regolamento n. 2081/92.
49. A questo proposito, è giocoforza constatare che lo scopo perseguito dal regolamento n.
2081/92 non può essere messo in causa a motivo dell'applicazione, a fianco dello stesso, di
disposizioni nazionali di protezione delle indicazioni di origine geografica che non rientrano nel suo
ambito di applicazione.
50. D'altro canto, il regolamento n. 2081/92 ha lo scopo di garantire una protezione uniforme, nella
Comunità, delle denominazioni geografiche cui si riferisce e ha introdotto l'obbligo della loro
registrazione comunitaria affinché esse possano godere di una protezione in tutti gli Stati membri
(v., in tal senso, sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Chiciak e Fol, Racc.
pag. I-3315, punti 25 e 26), mentre la protezione nazionale che uno Stato membro può concedere a
denominazioni geografiche che non soddisfano i presupposti per la registrazione ai sensi del
regolamento n. 2081/92 è disciplinata dal diritto nazionale del detto Stato membro e resta confinata
al territorio dello stesso.
51. La Warsteiner Brauerei e il governo ellenico rilevano parimenti che l'art. 17, n. 3, del
regolamento n. 2081/92 così come il suo art. 5, n. 5, come modificato dal regolamento n. 535/97,
autorizzerebbero gli Stati membri a mantenere o ad accordare una protezione nazionale a favore
delle denominazioni comunicate o trasmesse alla Commissione ai fini della loro registrazione
nell'ambito rispettivamente della procedura semplificata, o della procedura ordinaria, solo in via
transitoria, fino alla data di adozione di una decisione sulla loro registrazione. Ne deducono che non
potrebbero più essere tutelate né le denominazioni comunicate o trasmesse in applicazione
rispettivamente degli artt. 17, n. 1, e 5, n. 5, del regolamento n. 2081/92 che non soddisfano i
requisiti di protezione di detto regolamento, né, a maggior ragione, quelle che non hanno fatto
oggetto di alcuna comunicazione o trasmissione.
52. A tale riguardo basta constatare che l'art. 17, n. 3, del regolamento n. 2081/92 si applica
unicamente alle denominazioni, già esistenti alla data di entrata in vigore del regolamento, che sono
state comunicate dagli Stati membri alla Commissione ai fini della loro registrazione e della
loro protezione a livello comunitario. Questa disposizione è volta a garantire che, in pendenza del
procedimento di registrazione e in attesa di una decisione che lo chiuda, tali denominazioni non
perdano la protezione nazionale di cui beneficiavano e non ha assolutamente ad oggetto di
occuparsi della sorte delle denominazioni esistenti di cui nessuno Stato membro chieda la
registrazione.
53. D'altra parte risulta espressamente dall'art. 5, n. 5, secondo comma, del regolamento n.
2081/92, come integrato dal regolamento n. 535/97, che la protezione transitoria che gli Stati
membri possono accordare ai sensi di questa disposizione a una denominazione la cui registrazione
è stata chiesta scegliendo la procedura ordinaria è una protezione «ai sensi del presente
regolamento», che resta tuttavia confinata al territorio nazionale come precisato all'art. 5, n. 5,
quinto comma, del regolamento n. 2081/92, così integrato dal regolamento n. 535/97. Tale
disposizione non ha perciò alcun rapporto con la questione se gli Stati membri possano accordare,
nei loro rispettivi territori nazionali, una protezione ai sensi del loro diritto nazionale a denominazioni
geografiche di cui non chiedono la registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92, o che non
soddisfano i presupposti per beneficiare della protezione prevista da tale regolamento.
54. Viste le considerazioni che precedono, occorre perciò risolvere la questione proposta
dichiarando che il regolamento n. 2081/92 non osta a una normativa nazionale che proibisca l'uso
ingannevole di una indicazione di origine geografica che non implica nessun rapporto tra le
caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica.